14 minute read

Boavista

Next Article
Linea

Linea

“Lì dove ci sono le stelle” è il nuovo album del quintetto nato a Bologna e cresciuto a pane e rock

l’intervista

Advertisement

Chi sono i Boavista?

Siamo semplicemente cinque ragazzi che sognano di continuo, cercando di tramutare i sogni in musica. Siamo una band che nasce da incontri casuali a Bologna e scatta subito quella scintilla che ci permette di scrivere, suonare e stare insieme divertendoci. Non a caso abbiamo proprio deciso di

chiamarci Boavista (che indica “Visti a Bologna”).

Con quali ispirazioni (e aspirazioni) siete arrivati a questo disco di debutto?

Mmmm... in realtà abbiamo cominciato a scrivere non pensando di tirare fuori l’album, però più lo facevamo e più vedevamo che già prendeva forma in modo naturale. Ovviamente ci sono tante influenze nei nostri brani che sono frutto dei nostri singoli ascolti. Cerchiamo di valorizzare le nostre singole caratteristiche che hanno sicuramente fondamento nel rock, ma allo stesso tempo si respira aria di cantautorato miscelandolo a suoni elettronici come synth e le chitarre più rockeggianti. Ci piace ascoltare il britrock, il rock americano, l’elettronica ma abbiamo anche tanti riferimenti dello scenario italiano come i Negramaro, Subsonica, Elisa, Gazzè, Vasco ecc ecc...

Come nasce Ruggine e perché l’avete scelta per il video?

Ruggine è nata durante una notte in studio da me (Luigi). Eravamo io e Simone (cantante), e ho fatto ascoltare delle registrazioni che avevo già fatto in pre produzione. Simone si è fermato immediatamente, mi chiede di rimandare in ascolto il brano e a un certo punto comincia a scrivere su un foglio di carta che avevo lì sulla scrivania. Davvero, si è fermato il tempo e quando ci siamo resi conto che siamo stati lì senza fiatare per 4 ore aveva preso forma Ruggine. Questo è quello che definisco magia. Avevamo bisogno di dare un volto a questo brano e abbiamo deciso di girare un video incentrandolo sulla storia di una ballerina che nonostante le avversità non ha mai mollato. E’ il messaggio che vogliamo trasmettere.

Tre nomi che vi piacciono particolarmente del rock italiano di oggi

Tre sono pochi, ma come già spoilerato nella domanda precedente, sicuramente Negramaro, Subsonica, Elisa.

Quali sono i vostri progetti futuri?

Non appena finisce questo brutto periodo, sicuramente portare live il nostro album. Abbiamo ne-

cessità di raccontarlo alla gente e sentire il loro calore. Ora si cerca di promuoverlo a più non posso tramite tanti canali di riferimento e grazie al nostro ufficio stampa L’Altoparlante che ci segue di continuo. Nel frattempo si continua a lavorare in studio confrontandoci con il nostro produttore Filippo Manni e diamo sfogo a questo continuo flusso di nuove idee che non possiamo fermare. La musica deve andare avanti.

GREGORIO MUCCI

“Lì dove ci sono le stelle” è il nuovo album del quintetto nato a Bologna e cresciuto a pane e rock

> 1) Ci racconti chi sei? > Sono una persona profondamente innamorata dell’arte, della bellezza. > Per anni ho rifiutato l’etichetta di artista. Adesso ha un suono dolcissimo e delicato. > Credo che la vita sia semplice: una volta capito quello che ami, basta seguirlo. > > 2) Come sei arrivato alla scelta dei cinque pezzi dell’ep? E’ la > fotografia del momento oppure le accumulavi da un po’? > La fotografia del momento non direi. Possono esserci dei richiami ma non sono voluti perchè il lavoro è antecedente a questa situazione che l’intervista stiamo vivendo. > Il fatto che ci siano echi di cio’ che stiamo attraversando mi fa molto piacere: ci abbiamo visto lungo (ahah). > La scelta è arrivata seguendo una semplice regola: dare un’immagine di me che fosse fedele alla musica che sto scrivendo. > E quindi puoi sentire il Jaguaro e poi passare a Non è un Problema. Puoi sentire Meglio Morire e poi trovarti in un’atmosfera come quella di E aspetto te. > La musica, come tutta l’arte, ha bisogno di confini. Compito dell’artista è quello di trovare quelli giusti. > > 3) Come nasce “Il jaguaro” e perché l’hai scelta come singolo? > Il Jaguaro è una descrizione piuttosto romanzata di un amico. Ha attraversato un momento complicato e si è trovato tanta gente che, invece di comprendere e fare uno sforzo di empatia, ha preferito la via piu’ semplice: giudicare e puntare il dito. L’ho scelta perchè è una canzone a cui sono molto legato e perchè eravamo convinti che fosse un gran bel pezzo. > > 4) Chi sono i tuoi punti di riferimento musicali? > Attingo molto dal passato, sia in ambito internazionale che nazionale. Rolling Stones, Beatles, Dylan, Prince, M. Jackson, Bowie; Battisti, Dalla, Rossi, Rossini, Battiato e Rino Gaetano. > > 5) La promozione live al momento sembra impossibile. Quali saranno i > tuoi prossimi passi? > Lavorare con quello che è possibile maneggiare. I social (internet in generale) al momento sembra l’unica via per poter arrivare a un certo numero di persone. Abbiamo già diverse idee in mente, ci stiamo lavorando e sono molto fiducioso.

Ci racconti chi sei?

Sono una persona profondamente innamorata dell’arte, della bellezza. Per anni ho rifiutato l’etichetta di artista. Adesso ha un suono dolcissimo e delicato. Credo che la

vita sia semplice: una volta capito quello che ami, basta seguirlo.

Come sei arrivato alla scelta dei cinque pezzi dell’ep? E’ la fotografia del momento oppure le accumulavi da un po’?

La fotografia del momento non direi. Possono esserci dei richiami ma non sono voluti perché il lavoro è antecedente a questa situazione che stiamo vivendo. Il fatto che ci siano echi di ciò che stiamo attraversando mi fa molto piacere: ci abbiamo visto lungo (ahah). La scelta è arrivata seguendo una semplice regola: dare un’immagine di me che fosse fedele alla musica che sto scrivendo.E quindi puoi sentire il Jaguaro e poi passare a Non è un Problema. Puoi sentire Meglio Morire e poi trovarti in un’atmosfera come quella di E aspetto te. La musica, come tutta l’arte, ha bisogno di confini. Compito dell’artista è quello di trovare quelli giusti.

Come nasce Il Jaguaro e perché l’hai scelta come singolo?

Il Jaguaro è una descrizione piuttosto romanzata di un amico. Ha attraversato un momento complicato e si è trovato tanta gente che, invece di comprendere e fare uno sforzo di empatia, ha preferito la via più semplice: giudicare e puntare il dito. L’ho scelta perchè è una canzone a cui sono molto legato e perché eravamo convinti che fosse un bel pezzo.

Chi sono i tuoi punti di riferimento musicali?

Attingo molto dal passato, sia in ambito internazionale sia nazionale. Rolling Stones, Beatles,

Dylan, Prince, M. Jackson, Bowie; Battisti, Dalla, Rossi, Rossini, Battiato e Rino Gaetano.

La promozione live al momento sembra impossibile. Quali saranno i tuoi prossimi passi?

Lavorare con quello che è possibile maneggiare. I social (internet in generale) al momento sembra l’unica via per poter arrivare a un certo numero di persone. Abbiamo già diverse idee in mente, ci stiamo lavorando e sono molto fiducioso.

PIERPAOLO LAURIOLA “CANZONI SCRITTE SUI MURI”

Terzo album per il cantautore: sette canzoni che raccontano bene i tempi che stiamo vivendo (anche se sono state scritte prima) Ci sono dischi che inseguono gli eventi e altri che, in qualche modo, riescono ad anticiparli. Anche involontariamente, anche senza capirli del tutto, anche se le realtà che dipingono appaiono frammentarie, ma del resto la vita che viviamo non segue fili logici particolarmente evidenti. Canzoni scritte sui muri è il nuovo lavoro del cantautore Pierpaolo Lauriola, pugliese di origine ma avvitato sul territorio milanese anche per iniziative solidali sul territorio. Il nuovo album del cantautore è stato anticipatore di certe sensazioni che oggi viviamo sulla nostra pelle, bisognosi cose siamo di certezze, di difese, di immagini sicure a cui aggrapparci, ora più che mai. Eppure preda di ansie che prima rimanevano soprattutto legate a pericoli indefiniti e possibili, e che ora prendono le forme evidenti di letti d’ospedale. Il disco, il terzo della carriera di Lauriola, si apre con le due canzoni che sono state scelte come singoli, Le nostre fragili certezze e Scudo e riparo, per certi versi complementari. “In

questa giostra di paura e di coraggio” che è la vita di tutti i giorni, si combatte contro le difficoltà ma anche contro se stessi, pur realizzando che “Non sei solo e non sei sempre uguale”. I suoni sono spesso movimentati, rivelando una vitalità rock per canzoni che però non si tirano mai indietro quando c’è da regalare una pennellata poetica. “Proverò a barattare tutto questo dolore/con una nuova canzone”: oppure con otto nuove canzoni, che sono scritte sui muri ma anche sulla pelle, meditate con attenzione assoluta ai dettagli. Perché poi è questo quello che fanno i cantautori: cesellano con cura i dettagli delle sensazioni che risveglieranno echi in chi ascolta. Percorrendo il disco ci si sorprende nell’incontrare sensazioni universali e senza tempo, ma anche particolari che ci richiamano all’oggi (anche se sono state scritte mesi prima della pandemia), come quando la title track Canzoni scritte sui muri parla dei silenzi delle nostre città. Fantasmi del passato sfilano: Bessie Smith, Tien An Men, Jeff Buckley, ma anche

la recensione

storie piccole e quotidiane. Come quelle che raccontano la trasformazione in Da uomo a padre: il calcio di una volta alla radio diventa metafora di una paternità che supera le generazioni. Ci sono racconti che prevedono il solo ausilio della chitarra, come fa Ti reggo al ballo le mani. La sincerità dei brani colpisce, la volontà di esporre la propria fragilità per costruire un ponte con quelle di chi ascolta. “Così ho scritto queste canzoni che è da un po’ che avevo dentro”, racconta Lauriola ne La memoria: è un bene che le abbia tirate fuori, perché possono prenderci per mano e accompagnarci in tempi difficili.

È disponibile negli store e in streaming Ordine e disordine, il nuovo album di Eduardo De Felice. A due anni dal precedente È Così, De Felice rinnova il sodalizio artistico con Claudio “Gnut” Domestico e pubblica con l’etichetta Apogeo Records dieci tracce con un’anima intimistica, musicalmente ricco di strumenti acustici, aperto alla contaminazione di vari generi pur mantenendo uno stile personale e riconoscibile. Un diEDUARDO sco d’altri tempi, libero dalle logiche del mainstream odierno, che si pone come unico obiettivo la DE FELICE musica come piacere soggettivo. Ordine e disordine è un album di matrice pop cantautorale ma che “ORDINE E si diverte a spaziare tra vari generi ponendo la musica e le emozioni al centro di tutto. Si parte dai fiati DISORDINE” e da un ulteriore dualismo, oltre a quello del titolo dell’album: Il dubbio e la certezza è una canzone che ha tendenze melodiche A due anni dal precedente “E’ così”, ecco il nuovo lavoro del cantaure: dieci tracce intimistiche ma aperte alla contaminazione sonora marcate, con un inciso di piano un po’ battistiano, e qualche momento di bossa nova o giù di lì. Passo ragionato quello di Foschia, che ragiona sulle catene mentali

e sulle libertà possibili, attraverso immagini abbastanza eteree. L’amore cos’è racconta di un sentimento per lo più infelice, aiutandosi con archi e chitarra acustica, su un andamento abbastanza mosso dal punto di vista ritmico e su un testo fitto e appassionato. C’è una certa allegria in Viaggia ragazzina, che accelera e fa pensare alla scuola romana Silvestri-Gazzé-Fabi come stile, sempre su suoni per lo più analogici e con il piano che conduce le danze. La prima metà dell’album si chiude con Nostalgia, che torna subito su toni malinconici e nostalgici, con movimenti orchestrali e quasi cinematografici sullo sfondo. Ma c’è spazio anche per qualche accelerazione, per una canzone non ferma. E se il brano precedente aveva accennato a qualche sensazione jazzata, da lì si riparte per Qualcosa di più, tranquilla e senza troppi strappi. La tua vanità si fa abrasiva, con un po’ di blues e molto dinamismo, per un testo insolitamente appuntito. C’è un che di definitivo nel viaggio che si racconta all’interno di una molto

la recensione

dolce In fondo al buio. Ecco poi la title track Ordine e disordine, pezzo movimentato e anche ricco di spine. Si chiude con Percezioni, che torna a modi molto descrittivi e pacifici. Coda finale che si veste di funk jazz. C’è molta dolcezza nel disco di Eduardo De Felice, che affronta uno spettro completo di emozioni con le armi del cantautore e pochissimo che esce dal “classico” a livello di sonorità e temi. Ciononostante tutto

è portato a termine con qualità e

anche con fantasia.

MARCO SANTORO

“Dentro al Blu” è il nuovo brano del musicista, che ritorna a quattro anni di distanza dal suo ep, “La piccola bottega di Khaloud”

Quattro anni dopo La piccola bottega di Khaloud sembri pronto per iniziare un nuovo progetto. Ci racconti com’è questo momento per te, dal punto di vista artistico?

Sono sempre fiducioso e ottimista

l’intervista

un po’ per predisposizione. Sicuramente in questi giorni difficili per tutti, in cui abbiamo sospeso gran parte delle nostre attività quotidiane, nel mio piccolo, cerco di mantenere vivo il pensiero creativo. Sicuro del ruolo fondamentale che la Cultura e l’Arte abbiano nel veicolare messaggi importanti, sono riuscito a fare il mio mestiere un po’ controvento quest’estate con La cosa giusta di Daniele Silvestri, a scrivere canzoni, cercando così di prendere parte alla possibilità del delinearsi di orizzonti futuri. Questi giorni di puro silenzio, in cui le giornate si dilatano, mi portano a pensare, progettare, scrivere, ascolto il tempo e il tempo si concede a me benevolo. Ho il tempo per respirare tempo per sentirmi dentro… mi concedo spazio, la vita fa silenzio e io lo ascolto.

Come nasce Dentro al blu?

Dentro al Blu non nasce da un semplice istante, ma dentro c’è nascosta un’esperienza di vita. Nasce dall’esaltazione dei particolari di qualcuno, da piccole riflessioni, spesso automatiche, sugli stati d’animo che un rapporto crea. Ho voluto identificare questo stato d’animo con un colore: il blu. Mi piace pensare di essere avvolto dentro ad una bolla blu quando devo proteggermi, e nel contempo che diventi casa condivisa con l’essere speciale che il destino ha voluto per me. Dentro al blu nasce inevitabilmente dalle due facce dell’amore. Vale a dire, da un sentimento solido, che sa ridere di sé, delle proprie imperfezioni, e poi dei limiti, della paura – invalidante- della perdita.

Ci racconti qualcosa del video che accompagna il brano?

Volevo che questa canzone fosse raccontata da un video che mi connettesse con qualcosa di mio, che fosse un mio fatto personale. Per questo ho pensato al Terminal 2, dove ho perso il sonno diverse notti con i Silvestri. E per questo ho scelto Roma, che è la mia seconda casa. Il video è girato interamente con uno smartphone per le spiagge di Ostia. Nel video non c’è nostalgia, ma c’è molto amore e gratitudine per una storia. Abbiamo girato nei luoghi in cui volevo

che si sentisse la verità profonda di questa canzone perché in questo nuovo lavoro e forse per la prima volta completamente senza nient’altro, sono Marco.

Nella tua carriera hai lavorato con tantissimi artisti di alto livello. Chi ti ha lasciato le migliori lezioni?

Ogni artista mi ha trasmesso un ricordo e un insegnamento che porterò nel mio bagaglio professionale. Ho avuto la fortuna di lavorare con musicisti straordinari (Morgan, Sting, Giovanni Allevi… per esempio) con alcuni di loro ho condiviso spesso progetti che vanno molto al di là della messa in scena e mi hanno lasciato qualcosa, nella capacità di vivere il palco come atto di collaborazione e complicità, un percorso maieutico. Poi ci sono altri che sono quasi dei fratelli e sorelle maggiori: Daniele Silvestri, Petra Magoni, Tosca, con la quale non ho ancora lavorato ma spiritualmente e praticamente è una presenza preziosa) da loro ho appreso il rigore e l’umiltà, il grande rispetto per il lavoro e per il ruolo che ciascuno ricopre.

Quali saranno le fasi successive al singolo?

Non ho pensato a nessuna fase successiva del singolo. Come ho sempre fatto in passato, mi limito a pensare: c’è bisogno delle mie idee? Io non ho mai smesso di scrivere, ho smesso di pubblicare, che è diverso. Alla fine credo che anche senza volerlo ho un quantitativo di cose che usciranno quando sarà il momento giusto per me, e soprattutto nel momento storico giusto.

AAAA

Alla scoperta di un duo particolarmente misterioso, all’incrocio tra musica, esoterismo, arte e feticismo per il vinile

Mi raccontate la genesi del vostro progetto?

Gli ĀAAA sono 0 e 1. Non c’è un desiderio di anonimato, ma più che altro il progetto stesso ne ha bisogno. Prima di tutto è un’opera epica. L’epica non ha autori definiti, ne toglierebbe la magia. La generazione? 0 disse a 1: “Penso che dovremmo fare un disco”. 1

l’intervista

This article is from: