TRAKS MAGAZINE #44

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traks magazine Numero 44 - ottobre 2021

KAUFMAN

MILESSOUNDBASS JATA

VIBORAS

AMUSIN’ PROJECTS


sommario

4 Kaufman 8 MilesSoundBass 12 Viboras 16 Amusin’ Projects 20 Jata 24 Lain 28 Heat Fandango 32 Roseluxx 36 Chrome Sky 38 I Malati Immaginari 42 Penelope Aspetta

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KAUFMAN

“Parkour (Lato A)” è il nuovo disco della band lombardo-veneta, che mantiene caratteristiche indie pop senza compromessi Parkour (Lato A) è il nuovo disco dei Kaufman, in uscita per INRI. Dopo l’ultimo album Belmondo (2017) e i numerosi singoli costellati di featuring (Galeffi, Legno, Asia Ghergo) inseriti nelle principali playlist di Spotify, il quartetto prova a sopravvivere nella recente morìa di band indie. Il disco, anticipato dai brani Trigonometria (feat. Legno) e 3 Gin Tonic, è tra-


cover story


scinato dal singolo Judo, che vede il featuring di un altro portabandiera della scena indie-pop, Cimini, e la produzione di Dade (Margherita Vicario). In questi anni Lorenzo Lombardi, voce e penna della band, si è inoltre dedicato all’attività di autore scrivendo tra gli altri per Luca Carboni, Marianne Mirage e Max Gazzè (due canzoni nel suo ultimo La Matematica dei rami). Kaufman traccia per traccia La prima traccia del disco è una relativamente giocosa Bart Simpson, che si alimenta di immagini pop (da Joker a Charles Manson, passando da Paolo Conte) per raccontare in modo semplice una storia d’amore non felicissima. Le sonorità sono altrettanto pop, con quell’inclinazione indie piuttosto tipica per la band. Trigonometria, con i Legno, rimane sui banchi di scuola e continua i temi della canzone precedente, comprese le immagini e le citazioni (Joker è presente anche qui). C’è Cimini, come detto, in Judo, che apre con dei fiati che fanno pensare un po’ proprio a un antico Luca Carbo-

ni. La canzone ha ritmi moderati, qualche apertura, un po’ di ironia (“è solo che pensavo a te mentre ero fuori a far pisciare il cane”). Ecco poi la quantità alcolica di 3 Gin Tonic, una ballata dolce e morbida che è anche un invito al ballo, un litigio fuori dall’Ikea, una serie di riferimenti asiatici piuttosto casuali. La ballatona Universo è già tra le più ascoltate del disco (seconda proprio a 3 Gin Tonic) con altri riferimenti pugilistici e un battito molto determinato e netto. Si riacquista ritmo con Lelaina, che torna ad affondare le notti nei cocktail e a raccontare una vita accelerata e fatta di amori sbagliati. Riferimento vintage a Sid e Nancy giusto per il finale. Non che non ci siano idee retrò anche all’interno di Aston Martin, a partire dall’auto del titolo, quella di 007. La canzone, accanto a Rossella Essence, è la più movimentata del disco, con sprazzi di fantasia pressoché continui, per un brano che risulta molto colorato. Il finale del disco è riservato a Babilonia, che rallenta di nuovo, si costruisce un percorso ritmato 6


delle band rappresenta anche un cambio di paradigma o di gusti del pubblico. In ogni caso la band bergamasco-bresciano-veronese si allinea in modo spontaneo, facendo anche in questo disco quello che le riesce meglio.

dagli handclap e disegna un panorama urbano anche piuttosto sognante. La gara per raccogliere l’eredità di TheGiornalisti, Canova, forse Ex Otago è aperta e i Kaufman ci sono in pieno. Certo bisogna capire se lo scioglimento 7


MILES SOUND BASS


l’intervista

“Everything’s Normal” è un concept album dedicato al mondo dei sogni, tematica che il producer Gianluca Suanno studia da oltre 15 anni Ci presenti il tuo progetto musicale? Il mio progetto musicale si connette strettamente al mio modo di vivere. Preferisco non fossilizzarmi sulle cose, mi piace piuttosto esplorare e sperimentare. Raramente comincio e finisco una traccia che possa essere descritta con un solo genere musicale. Pos-

so andare un weekend a un rave e quello dopo essere a un concerto di musica classica. Posso andare un giorno a ballare drum and bass e poi perdermi per ore in una serie di live idm-glitch. Posso sgabberare duro e poi ascoltare per giorni musica ambient. Nei miei dischi e nei miei live c’è tutto quello che mi piace oltre le cose che


ho scritto, senza preoccuparmi di come dovrebbero essere le cose in teoria. Il tuo nuovo album verte su uno dei tuoi campi d’interesse principali, il sogno. Che cosa ti attira così tanto nel reame di Morfeo? Tutto è nato una ventina di anni fa quando a causa di forte stress ho cominciato ad avere allucinazioni e paralisi notturne . Da quel momento ho cominciato a studiare e a sperimentare le diverse forme del sognare. In questi vent’anni ho sperimentato cose che non so neanche nominare, ho subito per tanti anni i falsi risvegli e le paralisi notturne/terrori notturni, ma ho anche ininterrottamente sperimentato attivamente come il cercare di aumentare sempre di più il grado di lucidità nei sogni lucidi e nel cercare di avere degli O.BE. (Out Of Body Experience), cioè i viaggi fuori dal tuo corpo, nello spazio e nel tempo. Su questo punto sono molto più scarso che nei sogni lucidi. Il disco è un concept album. Ci racconti da dove prende le mosse? 10

Ho voluto dedicare ogni traccia del disco a uno specifico momento che un onironauta come me potrebbe subire o ricercare nel suo viaggio onirico. Ho voluto descrivere ciò che conosco meglio e non ciò che conosco meno come gli Out of Body Experience. La mia idea era quella di creare una sorta di disco in stile libro/film a capitoli che – se ascoltato dall’inizio alla fine - partono dall’addormentarsi e finisce con il risveglio. Ovviamente ascoltare singole tracce o in random non inficia l’ascolto del disco. Chi sono i tuoi punti di riferimento nella musica elettronica? Chi da parecchio tempo non può assolutamente mancare in cuffia è/sono Aphex Twin, Boards of Canada, Autechre, Telefon Tel Aviv, Amon Tobin, The Black Dog, Burial, Daft Punk, U-ziq, Squarepusher, Massive Attack ma l’elenco non è esaustivo. Ho cominciato 20 anni fa ad ascoltare rap e facendo beats di conseguenza ascoltavo funk, soul, jazz, blues e musica classica. Poi c’è stato il grande periodo della drum and bass, dei


rave e della gabber hardcore. In seguito mi sono avvicinato all’ambient, all’idm e alla glitch. Poi c’è stato un susseguirsi di techno, house, acid, 80s, dub, reggae, post rock e svariate altre cose. Prediligo musica che abbia le radici nei 90 o primi 2000. Probabilmente ascolto quel periodo musicale perché i miei synth sono di quell’epoca e producono quel sound. Hai intenzione di proporre questo disco dal vivo? Sai già come

mettere in scena il tutto? Ovviamente sì. Ho già in mente di portare almeno il mac, almeno uno dei synth che ho usato per il disco e un paio di controller per gestire Ableton. Nei miei sogni c’è anche il coinvolgimento di un tastierista e un chitarrista (che hanno contribuito al disco) e con dei visual sognanti creati dal video maker che ha fatto il video del primo singolo (Are We Still Dreaming?). 11


VIBORAS


l’intervista

Disponibile in digital download, in streaming e in cd jewel box “Eternal” (Ammonia Records), il nuovo disco punk rock band La vostra band è passata attraverso varie fasi. In che momento vi vedete, oggi? Siamo una band molto determinata ma anche molto agitata e non crediamo di avere un vero e proprio momento, la nostra evoluzione è continua, dal cambio di elementi a tutto ciò che è successo

nell’ultimo periodo ci dà modo di poter dire che non abbiamo un vero e proprio momento ma una costante evoluzione. Per farti capire meglio, stiamo già lavorando a nuove composizioni e collaborazioni. Potremmo tranquillamente dire che il nostro momento tipico è riassumibile con una


scritta luminosa “Men at work”. Mi raccontate le ispirazioni alla base del nuovo disco? Le nostre ispirazioni sono principalmente legate alla quotidianità e a tutto ciò che ci colpisce e che di conseguenza deve essere tradotto per non essere solo interiorizzato. Nelle nostre canzoni i sentimenti sono il principale argomento, che si parli di società, di amicizia o di un lutto sentiamo di doverne parlare e suonare apertamente. Dal punto di vista prettamente musicale ciò che ci ispira fa parte del nostro bagaglio musicale lungo anni e che per fortuna continua ad allargarsi. C’è spazio per tutti, glam anni ‘80, punk ‘77 e anni ‘90, musica pop anni ‘80 e tutto quello che ci gira in testa al momento. Pubblicate il disco anche in un jewel box: un regalo per i fan? Ci teniamo molto ai nostri fans, l’idea che ci possano trovare in più formati ci fa frizzare il cervello. Il Vinile in particolare è un regalo che condividiamo con tutti perché lo abbiamo desiderato tanto ed è arrivato come appunto un regalo tanto atteso, abbiamo avuto il 14

nostro babbo natale punk sotto forma di Ammonia Records, Tufo Rock Records e Professional Punkers. Forse sono più simili a dei re magi visto che sono tre. “Eternal” vede la partecipazione di alcuni nomi leggendari: com’è nata l’operazione? Siamo diventati amici condividendo palchi come nel caso di Lester, oppure per quanto riguarda Metius e Sebi dei Senza Benza l’amicizia è nata perché ci siamo scoperti estimatori dei rispettivi gruppi (dire per noi estimatori è un po’ poco, noi siamo veri e propri fans delle loro bands) da lì collaborare è stato spontaneo e molto divertente. Il top è stato che Sebi dei Senza Benza ha scritto per noi Too Fast dicendo con nonchalance che l’ha scritta pensando a noi. Siamo svenuti! Immagino che per una band come la vostra la parte live sia fondamentale. Come vivete questi tempi difficili per i concerti? Ci possiamo dire fortunati perchè alla prima apertura eravamo già in giro e nonostante il periodo abbiamo girato l’italia non poco. La


che a chi “conta” non freghi proprio un cazzo. Basta leggere le ultime notizie. Noi non ci arrendiamo e speriamo che con noi non lo facciano i club e tutti quelli che si occupano di musica pur considerando e rispettando le loro grosse difficoltà.

fortuna di poter proporre un set elettroacustico già progettato prima della pandemia ci è stato molto d’aiuto. Preferiamo il live set elettrico, per fortuna ne abbiamo fatti ma se non ci bastavano prima figurati ora. La situazione deve cambiare in fretta anche se pare 15


AMUSIN’ PROJECTS

“Mistery in the Making, Vol.3”, è il nuovo ep del progetto solista/collettivo del rapper romano Arsen Palestini Hai deciso di proseguire nella linea dei tuoi “Mistery in the Making” anche con quest’ultimo ep. Quali altri misteri scopriremo nel tuo nuovo lavoro? Be’, nessun mistero, se è abbastanza misterioso, si può davvero scoprire. Quindi solo buona Musica,

o almeno spero che vi piaccia! Questa è una trilogia, di cui alla fine sono molto soddisfatto. Era un’importante fase di passaggio artistica, ora forse cambierò progetto e magari mi sposterò su altre sonorità, sempre sperimentali, naturalmente.


l’intervista


Ogni brano ha un produttore diverso: perché questa scelta? Perché mi piace e mi diverte lavorare con più producer anche molto diversi tra loro, ne esce fuori una maionese impazzita e gustosa. Il risultato è eterogeneo. Purtroppo non ho una mia band, al momento molto altro non riesco a fare. Comunque, io credo che ci siano tantissimi bravi beatmakers (e anche al femminile, in ogni ep c’è sempre una beatmaker donna, per mia scelta) che trovano pochissimo spazio sia nella produzione sia nelle serate dal vivo. E’ un gran peccato, e uno dei tanti problemi della Musica in Italia. Ci racconti qualcosa di The Last Mardi Gras Before the Lockdown? E’ il ricordo di una Festa di Carnevale a Offida, vicino al mio pa-

ese di origine, che era totalmente normale, si ballava, si beveva... Due settimane dopo sarebbe cominciato l’inferno che abbiamo vissuto: pandemia, lockdown, paranoia, coprifuoco, cosa inimmaginabili. E allora mi è rimasto il gusto di quel momento, l’ultimo momento spensierato. Fidel Kato mi ha fatto una gradevole base con dei sample di bossanova e ci ho scritto sopra il pezzo. Ne sono


molto soddisfatto. Che cosa ti piace della musica italiana oggi? Ti faccio un semplice elenco senza troppe spiegazioni: Salmo, Caparezza, Sequoyah Tiger, Nu Genea, Tha Supreme, C’mon Tigre, Calibro 35, Baustelle, Andrea Laszlo de Simone, Giovanni Lindo Ferretti (escludendo gli ultimi 10 anni), Liberato, Myss Keta, Antonella Ruggiero, Paolo Conte, Pao-

lo Fresu. Quali progetti hai in vista? Dato che ho una certa età, cerco di autodisciplinarmi: devo fare un pezzo al mese, semplicemente e convintamente. Poi faremo delle serate divulgative con Fidel Kato e altri amici sul blues, la bossanova, ecc, con dj set e discussione, sempre a Roma. Forse in futuro, se ci pagano, anche altrove. Vi aspettiamo!


JATA Esce per Seahorse Recordings il nuovo lavoro discografico dell’artista (attore e musicista) Gaetano Russo intitolato “Crazy Game of Phobias” Ci racconti qualcosa del tuo percorso musicale fin qui? Ho iniziato a cantare e suonare la chitarra a 14 anni; negli anni 80 Catania era un vero e proprio incubatore di musica inedita, come dico sempre a Catania a quell’epoca il 50 % della gente faceva la gente e l’altra metà faceva musica. Era una città in pieno fermento musicale, si sperimentava tantissimo e nei locali si ascoltava molta musica inedita e poche cover. Ecco questo è il contesto in cui ho iniziato a crescere come cantante e musicista. Per tutti gli anni delle superiori ho suonato in tante band locali alternandomi tra chitarra e canto, e barcamenandomi tra heavy, classic hard rock e rock 60’ , 70’. nel periodo universitario il mio primo strumento diventò il

basso, che mi conquistò completamente per la sua caratteristica unica di poter unire armonia e ritmo in un solo strumento. Durante il periodo universitario cominciai ad amare il blues, il funk e il reggae e per diversi anni militai come bassista in band blues e reg-


l’intervista gae girando tanti palchi in diverse regioni italiane... Stavo seminando tanto e stavo raccogliendo tante soddisfazioni, ma mi mancava qualcosa, suonavo soul come bassista ma ascoltavo tanto grunge, indie rock from UK... sentivo il bisogno di comporre e fu così che nel 2006 posi le basi per il mio progetto inedito Jata. Nel 2006 scrissi il mio primo ep L’Ultima mente un indie rock italiano pieno di disegni ritmici scomposti, tempi dispari e testi cervellotici, e riuscì a creare attorno al mio progetto l’interesse di alcuni bravissimi musicisti e produttori catanesi che arrangiarono il disco insieme a me e con alcuni dei quali poi si formò la band che mi ha sempre accompagnato. Nel 2008 uscì con un nuovo ep La mia sola follia un disco più ricercato nel sound e negli arrangiamenti e registrato


in studio completamente dal vivo e che risentiva ancora fortemente delle influenze indie italiane delle band di cui sopra.Nel frattempo mi laureai in Ingegneria e dopo poco tempo mi trasferì prima in UK (Brighton) e poi a Fabriano per lavoro. Nel 2012 tra Città di Castello e Fabriano mi unì a delle band locali (Le notti di masha) come bassista e (monkey shakers) come cantante e primo in quel periodo continuai a scrivere come JATA uscendo con i due singoli Monito Del Cambiamento e He Could Change The World che più si cominciavano ad avvicinare ad un pop rock più orecchiabile. Nel 2016 rientrai a Catania e qui scrissi Le Leggi Del Tempo pubblicato a giugno 2018, un disco decisamente più pop tutto in italiano. Nel 2020 in piena pandemia mi sono rimesso all’opera mirando sempre ad un nuovo cambiamento e cercando sempre una crescita compositiva e stilistica. è così che è nato il mio ultimo disco Crazy game of phobias. Un lavoro che mi vede abbandonare completamente gli strumenti acustici 22

per entrare con tutto il corpo nel mondo dell’elettronica ed esplorare un sound a cui non mi ero mai approcciato fino a ora. Un disco che rimanda all’elettronica ‘80 influenzato da Depeche mode, Daft punk, Planet Funk e molti altri. Hai scelto di realizzare questo ep in inglese nonostante numerosi tuoi precedenti in italiano. Ci spieghi perché? Non c’è una ragione particolare, parlo inglese per lavoro quotidianamente, ho vissuto in UK e sento un po’ naturale scrivere anche in inglese. in realtà durante la composizione le melodie stesse hanno richiamato alla mia mente un cantato in inglese. Hai anche cambiato qualcosa a livello sonoro. Sulla base di quali ispirazioni? La pandemia mi ha dato l’opportunità di restare molto solo con me stesse anche a livello musicale, e quindi ho avuto parecchio tempo per chiudermi nel mio studio e creare molto partendo da un midi controller e dei synth. Quindi ho colto la palla al balzo per approcciarmi a qualcosa di nuovo per


me cioè il mondo dell’elettronica e giocare con esso. Poi il mio produttore artistico ha affinato la magia dando ulteriore definizione ai miei arrangiamenti Nelle tue canzoni spesso si incrociano anche vicende riguardanti il tuo lavoro nell’ambito del coaching. Come nasce Don’t blame on yourself? Oltre al cantautore e musicista nella vita faccio diverse altre cose, come il manager aziendale, l’attore e il coach professionista. proprio nell’ambito di un percorso di co-

aching con cui ho seguito un mio cliente ho trovato ispirazione per scrivere Don’t blame on yourself... è stato un percorso intenso in cui il mio coache e da schiavo dei propri sensi di colpa è riuscito a consapevolizzare la propria chiave di lettura della vita e ad uscire con l’aiuto del coaching da certe trappole mentali e di autoinganni in cui era ingabbiato. aiutare le persone è una delle cose che amo di più e questa bella storia mi ha segnato particolarmente nato da volerla raccontare in una canzone. 23


LAIN

Dopo la pubblicazione dei singoli “Dust”, “Hourglass” e “Lifter” arriva “Line of Light“, il disco d’esordio del cantautore partenopeo


l’intervista

Ciao, ci racconti come sei arrivato a questo disco d’esordio? Ciao a tutti! Ci sono arrivato quasi per caso. Sono entrato in studio per registrare un singolo e, al termine della mattinata, il mio produttore mi ha proposto una collaborazione. Sono passati due anni e mezzo, l’album sta per uscire, ma



ancora stento a crederci. Di certo senza Jex difficilmente avrei avuto la possibilità e le disponibilità per esordire con un progetto del genere. Come nasce “Line of light”? Fotografia del momento o canzoni costruite nel tempo? Ho scelto le tracce più coerenti tra loro, tra i brani scritti nel corso degli anni. Quelli inclusi in quest’album sono tutti stati composti tra il 2013 e il 2018. Non c’è traccia di virus, potete ascoltarli anche senza green pass. Qual è stata la canzone più difficile da scrivere? Le più difficili credo siano quelle che rimangono lì, incomplete. Non riesco a capire come mai vada via quella sensazione che ti ha portato a scriverle e perché la maggior parte delle volte non torna più. Faccio ancora fatica ad accettarlo e continuo a sbatterci la testa per giorni prima di accantonarle e andare oltre. Quali sono i tuoi punti di riferimento musicali? Credo che Cobain e Rudolph Schenker abbiano più di tutti con-

dizionato il mio modo di suonare la chitarra grezzo ed essenziale. I miei miti sono Elliott Smith e Richie Sambora. Con un millesimo del loro genio sarei già un grande artista. Che cosa hai in progetto per i prossimi mesi? Non ne ho idea, mi piace farmi trasportare dagli eventi. Sono in una condizione mentale di totale flessibilità, pronto anche a lasciare l’Italia, eventualmente. Non ho smesso di creare e questa è la cosa più importante. Ho tante idee e nuove consapevolezze che mi lasciano ben sperare per i prossimi lavori discografici.


HEAT FANDANGO

Nove brani rock underground caratterizzati da acide e decadenti venature blues e da un piglio garage punk: l’esordio della band di Ancona


l’intervista

Ci raccontate come siete arrivati al disco d’esordio? Nell`autunno del 2018 abbiamo deciso di rimetterci in gioco, dopo l’esperienza dei Lush Rimbaud, mai ufficialmente conclusa, ma in stand by da qualche anno. Abbiamo iniziato a comporre pezzi, e dopo poco a fare i primi live. Un solo live, per essere precisi, al


le proprie parti a casa sua, poi Filippo Strang al VDSS Studio le ha mixate e masterizzate, e Salvatore Liberti ha curato le grafiche. Bloody sound e Araghost hanno creduto nel progetto e insieme abbiamo deciso di programmare un’uscita, sperando che le cose fossero migliorate. Così, con il prezioso lavoro di promozione di Peyote Press, il 1 ottobre è uscito “REBOOT SYSTEM”, preceduto dal video della title track realizzato da Alessandro Bracalente. Quanto hanno inciso pandemia e lockdown vari sui brani del vostro disco? Sicuramente hanno inciso. Reboot System, riavviare il sistema, è ciò che si fa quando il computer

C.S.A. TNT di Jesi all’interno del festival NOISEMOJESI, nel dicembre ‘19. Poi è arrivata la pandemia. Inizialmente è stata una mazzata, come un po’ per tutti: oltre ai live saltati, per mesi non abbiamo potuto neanche provare, ma da lì è nata l’idea di fissare su disco il materiale che avevamo. Come una fotografia che fissa un momento altrimenti destinato a perdersi col tempo. La tecnologia ha fatto il resto, con computer, scheda audio e qualche programma ciascuno di noi ha registrato 30


si blocca e non riesci ad andare avanti. Il covid ha fatto emergere in modo prepotente le debolezze di una società che vive al di sopra delle proprie possibilità, senza preoccuparsi del futuro. Per molti, noi compresi, inizia a essere chiaro che, se non si inverte questa tendenza queste cose capiteranno ancora. Stare chiuso in casa, leggere di ospedali pieni, e gente che muore, senza sapere se e quando si tornerà a una sorta di normalità, ti segna profondamente. Ma anche la voglia e la necessità di ripartire, di tornare a vivere hanno inciso, dandoci quella spinta che serviva a registrare in quelle condizioni. È un disco da “tempo di guerra”: aspro e scarno ma anche onesto e vitale. E’ stato difficile lavorare a distanza? In parte lo facevamo già per condividere idee o proposte in fase di scrittura dei pezzi. Farlo per registrare un disco è diverso, diciamo che ha i suoi pro e contro, ma essendo l’unico modo disponibile ce lo siamo fatti piacere. L’alternativa era aspettare la riapertura, ma sa-

rebbe stato un altro disco. Volevamo fissare un momento e alla fine siamo soddisfatti e anche un po’ orgogliosi del lavoro fatto. Come sono gli equilibri all’interno della band? Siamo molto coesi, ci conosciamo da una vita e ormai ognuno di noi sa in anticipo cosa pensano gli altri. Può capitare di discutere su determinate scelte da fare ma le coordinate stilistiche del progetto Heat Fandango sono ben chiare: andare dritti al punto, metterci intensità, volume e sudore. Il resto viene dopo. Che progetti avete in cantiere nei prossimi mesi? Speriamo si riesca a suonare un po’ in giro! Vederci sotto il palco, birra in mano a parlare di musica, farci due risate in compagnia come fino a qualche anno fa sembrava essere la cosa più normale del mondo: questo è il nostro obiettivo al momento. Stiamo scrivendo altri pezzi e abbiamo finalmente ricominciato a provare con continuità, per essere pronti dopo questo periodo di stop forzato. 31


ROSELUXX “Grand Hotel Abisso” è il terzo album della band romana: ricerca, sperimentazione, improvvisazionein rock cantato in italiano


l’intervista

Ciao, ci accompagnate dentro il vostro Grand Hotel Abisso? Da quali premesse nasce l’album? Grand hotel Abisso ha avuto un lungo processo di produzione durato quasi 4 anni prima di vedere la luce. Ci siamo rivolti indietro a guardare questi anni e quello che avevamo prodotto e ci è sembrato ci fosse un fil rouge che unisse i vari episodi musicali: su tutti incombeva un’aria decadente, come un tramonto, che secondo noi rifletteva lo stato della nostra civiltà. Abbiamo preso in prestito il titolo da un saggio filosofico di Lukacs, perché ci sembrava un’immagi-

ne potente per rappresentare una particolare sensazione: quella di stare confortevoli, come in un hotel di lusso, di fronte a una civiltà in crisi minacciata dalle diseguaglianze sociali, dai cambiamenti climatici, in una parola da un modello di sviluppo capitalista non sostenibile. Sebbene non sia un concept album, (i brani sono eterogenei sia musicalmente che nelle liriche) questa sensazione di decadenza è riflessa nei nostri pezzi sia quando sono rivolti al sociale (Scelta di campo, Netflixx, Suspiria) sia se declinati nella sfera più individuale (Carver, Ruota delle


meraviglie, Ragazza a Roma). Troviamo anche una certa continuità con l’album precedente Feritoia sebbene in questo ultimo lavoro abbiamo radicalizzato la nostra esplorazione in generi diversi e, d’altra parte, ci siamo concentrati sugli arrangiamenti più solidi e concisi. Come nasce e perché avete scelto come singolo “Netflixx”? Netflixx cronologicamente si pone tra l’album precedente e questo, come fosse un 45 giri alla vecchia maniera, abbiamo poi deciso di includerlo in Grand hotel Abisso. Nasce prima della pandemia, in una serata fresca d’autunno trascorsa in un centro sociale, in un underground vitale che è stato alimento per molti della nostra generazione. Invece di frequentare i luoghi di cultura oggi si va affermando uno stile di vita basato sulla fruizione di piattaforme streaming che dichiarano di portare la cultura a casa (Netflix è una delle tante che abbiamo preso ad esempio). Il rischio è la lobotimizzazione da divano sul quale si trascorre troppo tempo mentre le cose 34

intorno a noi si modificano non sempre per il meglio. Quando decidiamo di alzarci da quel divano a volte è troppo tardi, rischiamo di entrare in un mondo con punti di riferimento sovvertiti, con pezzi di cultura imbarbariti dal conformismo, e a farne le spese spesso sono le giovani generazioni. Tutto questo abbiamo tentato di raccontarlo con una storia emblematica in spoken word e con un sound violento ma non scontato, dove i riff metal-core lasciano il posto ad atmosfere jazzy. Da dove nasce la rilettura di Tim Buckley e della sua Song to the Siren? Sono passati più di tre anni prima di registrare Song to the Siren e includerla nel nostro Grand hotel Abisso. Ci sono stati altri tentativi di registrazione purtroppo naufragati perché poco ispirati e soddisfacenti. Non avevamo ancora la degna traduzione del testo. Di questo brano ne sono state fatte varie versioni, ma sempre interpretate nella lingua in cui è stata scritta. Questa è la prima volta che viene cantata in italiano, grazie


alla traduzione di Stefano Benni inserita nel suo romanzo Margherita Dolcevita. I Roseluxx amano molto questa canzone, ne siamo ammaliati per il suo stretto legame con i viaggi di Ulisse e le creature fantastiche dell’abisso. Che cosa vi ha colpito di più della musica italiana di recente? Da quello che ci è sembrato negli ultimi anni in Italia abbiamo assistito al rimescolamento dell’underground con il mainstream. Quello che però poteva sembrare un fenomeno rivitalizzante per il

mainstream ha provocato, al contrario, un deludente conformismo nell’underground. Tranne rare eccezioni, la scena in Italia è stata contraddistinta da una gigantesca polarizzazione su generi non vicini ai nostri gusti (indie pop, e trap su tutti) che sembrano aver monopolizzato i gusti delle nuove generazioni. I nostri ascolti in verità prescindono dai confini sia geografici che di genere, e così ci siamo ritrovati spesso ad ascoltare musica proveniente dall’estero più che dall’Italia. 35


CHROME SKY

Memorie di amori passati che tornano a farsi sentire, tormenti, emozioni del presente e l’imprevedibilità del futuro nel nuovo album della cantautrice, “Maledetti ritornelli” Ciao, dopo aver sospeso le attività nel 2018, siete ripartiti quest’anno. Com’è stato “riavviare il motore”? MF: Riavviare il motore? Ad album terminato direi quasi naturale. Ma all’inizio del progetto non parlavamo neanche di fare un album; invece si è rivelato un percorso di crescita sia personale sia in termini di band e di cosa pos-

siamo fare insieme. PM: In realtà l’album è nato quasi per caso. Avevamo l’esigenza di produrre una o due nuove canzoni quindi Mario mi ha mandato un paio di brani su cui aveva lavorato da recente. A me sono piaciuti tutti quindi quello che doveva essere un singolo è diventato un ep e poi, dato che l’appetito vien mangiando, un album intero. 36


Ci raccontate le fasi di costruzione del nuovo album? MF: A gennaio ci siamo cominciati a rimpallare un paio di pezzi, che poi sono diventati due singoli, il primo uscito a febbraio, Kleenex, e il secondo, Desert Sun, in estate. Poi un pezzo tira l’altro e siamo finiti con l’avere 8 pezzi che compongono Binary. PM: Tra noi funziona così: Mario mi manda degli strumentali completi. Io scelgo quelli che mi ispirano,mi occupo delle parti vocali e gliele mando. Poi lui lavora a integrare il tutto finché non siamo entrambi soddisfatti Che cosa sottintende il titolo, Binary? MF: Tutti i possibili significati della parola stessa. Binaria è la lingua del mezzo che usiamo per fare musica e del mezzo più usato per ascoltarla. Binaria è la nostra identità di gruppo con le due separate entità che lo compongono. Binary sono anche concetti come 0 e 1, vero e falso, sì e no, vita e morte, noi vs voi, eccetera. PM: Volevamo scegliere una parola che avesse a che fare con il

numero 2, dato che è il nostro secondo album. Poi, come diceva Mario, la nostra natura è duale, fatta da due elementi che apparentemente si contrappongono ma in realtà si integrano complementarmente. Se doveste scegliere una canzone da far ascoltare per far capire subito il vostro sound e il vostro approccio, quale consigliereste? MF: Non riesco a scegliere. Secondo me l’album fotografa meglio l’intento di un gruppo di una singola canzone. PM: In effetti Binary è un album ancora più eterogeneo di Artificial ma dovendo scegliere indicherei Death of A Hero, che è anche il brano più simile alle nostre vecchie cose Che progetti avete? MF: Rimanere vivo, tendenzialmente. PM: Intanto promuovere al massimo possibile Binary. Poi abbiamo già idee per i prossimi due album. Stavolta non ci vogliamo fermare. Io personalmente mi occuperò anche della produzione del mio nuovo disco da cantautore solista. 37


I MALATI IMMAGINARI Dopo “Non passa +”, “Bambola Parlante” è il nuovo singolo firmato dal duo abruzzese, in vista del nuovo ep


Chi sono i Malati Immaginari? I Malati Immaginari sono Dario (synth, chitarra, voce) e Laura (batteria e percussioni). Siamo di Vasto, in provincia di Chieti, e da qui abbiamo mosso i nostri primi passi. Il nostro sound è sempre in bilico e alla ricerca del perfetto equilibrio tra i suoni algidi delle tastiere e dei synth e il calore delle chitarre acustiche, il tutto sorretto dall’incedere cupo e claustrofobico dato dal set ibrido di Laura. Raccontiamo le nostre vite e le nostre canzoni sono tutte nate quasi come una “terapia” per l’ipocondria che fa sempre ha accompagnato le nostre vite. Ci siamo formati negli ultimi mesi del 2019, pochi mesi prima delle chiusure. Siamo una band figlia del lockdown, nel senso che abbiamo scritto le nostre prime canzoni in isolamento, via chat. Registravamo a distanza e pubblicavamo un pezzo a settimana sui social, che di fatto sono stati il nostro palcoscenico. Non ci siamo mai fermati, e al momento delle riaperture ci siamo fatti trovare pronti per i live. Nel 2021 abbiamo parteci-

l’intervista pato a “Ultimo Concerto”, il flash mob nazionale contro le chiusure dei live club, insieme a nomi quali Marlene Kuntz, Lacuna Coil, Manuel Agnelli, Marina Rei e tanti altri. A maggio 2021 è uscito il nostro primo singolo, “Non Passa +”, che tanta fortuna ci ha portato negli ultimi mesi. Siamo infatti reduci da 30 live, di cui 25 tra luglio e agosto, prima di dare alle stampe il nostro secondo singolo. A proposito, ci raccontate la genesi del vostro nuovo singolo? Bambola Parlante ha una genesi “antica”. È nata dalle ceneri di una vecchia canzone di Dario, di cui attualmente è rimasto solo il titolo. La abbiamo riscritta, poi riscritta, poi riarrangiata, e infine ci abbiamo scritto un testo nuovo di zecca. Come ogni nostra canzone, racconta la nostra vita e le relazioni tossiche di cui talvolta ci siamo circondati. Su Non Passa + abbiamo raccontato l’abisso, men-


tre Bambola Parlante è la rinascita, è il momento in cui l’individuo si riappropria della sua anima e ricomincia a volare alto. Musicalmente ripercorriamo la strada già tracciata dal precedente singolo. La batteria è marziale, cupa, con il rullante senza cordiera, su cui abbiamo appoggiato tre “strati” di synth. Lo abbiamo registrato all’Arte dei Rumori Studio di Napoli con il nostro produttore Silvio Dott. Hope Speranza, con il quale collaboriamo stabilmente. Che passi successivi avete pianificato? Il nostro mese di ottobre è bello ricco di impegni live, con 4 date in giro per l’Italia. Apriremo a Brescia per Olly degli Shandon il 23, mentre il 24 saremo nel veronese di spalla a Lorenzo Kruger dei Nobraino. Chiuderemo in bellezza il 30 a San Marino di supporto a Omar Pedrini. Non nascondiamo il fatto che siamo molto emozionati di tutto ciò, anche se lo abbiamo voluto fortemente. Esistiamo da 24 mesi, di cui 21 in pandemia. Eppure ci stiamo consolidando come realtà live in un momen40

to nerissimo per la musica live, e questo ci riempie di orgoglio. Suoneremo tanto sicuramente nel nostro amato Abruzzo, abbiamo già delle date per dicembre. Entro la fine dell’anno uscirà il nostro primo ep Schiena Contro Schiena, mentre da gennaio rientreremo in studio per registrare dei nuovi brani già pronti. Quali sono gli artisti che hanno influenzato di più il vostro percorso? Siamo figli della musica dei Novanta, periodo in cui abbiamo di fatto approcciato alla musica. Da un lato ci siamo sempre ispirati agli immortali del rock, come Radiohead, U2, Beatles, Depeche Mode, Patti Smith e The Cure. Siamo grandi appassionati di trip hop, amiamo i Massive Attack, i Groove Armada, e Portishead e tutta la scena street britannica dei Novanta. Venendo più ai giorni nostri, abbiamo apprezzato tantissimo e tantissimo ci hanno influenzato i di dischi dei Trust, dei Phosphotescent, Beach House e Zola Blood. In sostanza abbiamo sempre preferito un approccio


“cerebrale” o intellettuale alla musica all’approccio fisico. Anche se siamo due persone molto solari che amano divertirsi, nella musica ricerchiamo il lato più nostalgico, romantico o “scuro”, se si può dire così. La musica è stata la nostra

cura per gli attacchi di panico che quasi quotidianamente riempivano le nostre vite. La musica ci ha salvati, e questo è il nostro messaggio ultimo. La musica è salvezza.


PENELOPE ASPETTA L a band abruzzese ha appena pubblicato un nuovo ep omonimo, anticipato dal singolo “6 giorni su 7”,


l’intervista


Come nasce la vostra formazione? Nasciamo come duo, l’idea iniziale era quella di esplorare il nostro lato pop dopo aver passato qualche anno a suonare insieme e separatamente in varie rock band della provincia pescarese. Col tempo, abbiamo sentito la necessità di sperimentare nuove possibilità al livello sonoro e abbiamo deciso di allargare la lineup coinvolgendo nel progetto alcuni amici, grazie ai quali abbiamo trovato un’identità musicale più definita. Raccontateci qualcosa del’ep in uscita Penelope aspetta è il nostro primo ep e lo consideriamo una sorta di biglietto da visita della nostra musica. I quattro brani presenti nel disco, rispecchiano la direzione che abbiamo deciso di intraprendere con il nostro progetto, abbiamo scelto di dare all’ep il nostro nome proprio perché lo consideriamo una piccola sintesi di quello che ci piace scrivere e suonare. 6 giorni su 7 è il nuovo singolo: da che ispirazioni nasce? 6 giorni su 7 è una canzone che

parla di quanto sia importante rompere la routine e ritagliarsi dei momenti per se stessi, magari anche mandando al diavolo le persone e le situazioni che ci opprimono. Dal punto di vista musicale, in questa canzone si possono apprezzare le sonorità elettropop che ci piace esplorare. Ci raccontate anche del video? Il concept del video è del regista Valerio Friello, il protagonista è il nostro Simone Romasco, voce principale del brano, mentre l’attrice è Sarà Sidonio. Il video mette in scena lo stato mentale alla base del testo della canzone, alternando scene di ordinaria incomunicabilità a momenti live della band. Che progetti avete per i prossimi mesi? La nostra intenzione nel prossimo futuro è quella di suonare il più possibile in giro per club e locali e iniziare a registrare nuova musica.

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