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traks magazine Numero 45 - dicembre 2021
MARLENE KUNTZ ESPLORAZIONE CREATIVA
sommario
4 Marlene Kuntz 20 Nevica 24 Monié 28 Schiamazzi 32 Carsico 36 Fanoya 38 Lisandru 42 Lunar Dump 46 Bragaglia 50 Helle 54 Luciano Macchia 56 Aneurisma
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MARLENE KUNTZ ESPLORAZIONE CREATIVA
All’opera sull’undicesimo disco della propria storia, la band organizza la realizzazione del nuovo lavoro in modo da lanciare un messaggio chiaro: quello di “Karma Clima”, tre tappe di interazione con il territorio e di allarme per il pianeta La strada che porta a Piozzo si snoda fra le colline, un filo spoglie in questa stagione, ricche però di vigne che portano a vini dai nomi leggendari o comunque sempre piuttosto graditi, tipo Barolo, Bar-
baresco, Dolcetto e Barbera. Ma non siamo qui per parlare di vini, anche perché i Marlene Kuntz hanno deciso di installarsi per un paio di settimane in un birrificio artigianale, uno dei più antichi
Testo di Fabio Alcini, foto di Daniele Modaffari
d’Italia, il Baladin di Piozzo, appunto. È questa la seconda tappa di Karma Clima, progetto in tre fasi che porterà alla realizzazione dell’undicesimo disco della band piemontese. Anzi, della band nata
cover story
proprio nel Cuneese, la provincia che ha scelto anche per questa operazione di arte e di consapevolezza, per richiamare l’attenzione sui fenomeni climatici che non abbiamo più il lusso di ignorare.
Davide Arneodo (principalmente addetto alle tastiere ma capace di suonare svariati strumenti) e Riccardo Tesio, chitarrista e fondatore della band. Come è noto un altro dei fondatori, Luca Bergia, il batterista, si sta prendendo una pausa, perciò a sostituirlo al momento c’è Sergio Carnevale che tuttavia non partecipa alla nostra chiacchierata. Cominciamo da un’ovvia introduzione all’operazione: non mi pare che nessuno in precedenza abbia “aperto” così la lavorazione di un album. Perché l’avete fatto e perché avete scelto proprio queste location? Lagash L’idea sostanzialmente è quella di realizzare un’esplorazione creativa, chiamiamola così, attraverso tre luoghi della provincia di Cuneo di cui i Marlene sono parte. Questi tre luoghi sono Ostana, Piozzo, nello specifico il birrificio Baladin in cui ci troviamo adesso e Paraloup. Indagare con loro e creare una sinergia, una collaborazione con questi tre modelli con il quale sviluppare un album, l’undicesimo della band,
Karma Clima non sarà, molto probabilmente, il titolo del nuovo disco, in uscita nei primi mesi del 2022. Ma unisce le tre tappe di Ostana, Piozzo e Paraloup, che hanno visto incontri, scambi, interazioni, attività di vario genere, dal culturale al ludico (tipo le sfide di petanque, specialità delle bocce, con i vecchi del paese). Noi saliamo in collina proprio per la tappa intermedia, approfittando della guida e dell’ospitalità del Baladin, e cogliamo Cristiano Godano che sta ultimando qualche giro di chitarra elettrica in studio, prima dell’intervista. Così lo andiamo ad aspettare al bar, dove arriva, primo della band, con il cappello nero calcato in testa. Viene a prendere un caffè con noi, iniziando a parlare di traffico, stampa musicale (e Rockerilla in particolare) e di varie eventuali, compresi i Maneskin, di cui non sembrava aspettarsi il successo ma nei cui confronti manifesta rispetto. Quando andiamo poi a sederci al tavolo ci raggiungono in ordine sparso anche Lagash (Luca Saporiti, bassista nella band dal 2007), 6
che è l’attenzione alle varie fasi di produzione, affinché il valore delle risorse non sia mai inquinato per motivi evidentemente economici e di mercato. E poi Paraloup perché oltre a essere il luogo dove è nata la Resistenza, con il primo nucleo partigiano, è diventata poi un’altra esperienza in cui, alcune definizioni di impatti sull’impresa sociale stanno diventando molto importanti e sono anche lì oggetto di sviluppo e di ricerca. Quindi per noi raccontare queste realtà all’interno della provincia ci dà modo non soltanto di entrare in relazione ispirante con la creazione di questo disco, ma anche di provare a considerare come poter diffondere l’attenzione ai temi climatici, così distrattamente osservati, perché la comunità scientifica fa una fatica bestia a portarli alla luce, ma facendolo in modo che ci si possa confrontare con dei modelli concreti, che non siano solo parole. Ma noi confrontandoci con dei modelli concreti così importanti si possa anche imparare a capire come costruire dei modelli di cultura, arte e musica talmente con-
che potesse non soltanto raccontare queste tre esperienze speciali, magnifiche che nell’ultimo trentennio hanno caratterizzato la loro definizione, ma che fosse l’inizio di uno scambio con il quale poter parlare e cercare di confrontarci su un tema così importante come il cambiamento climatico. Perché questi tre luoghi? Ostana in questi ultimi trent’anni ha costruito un modello di riqualificazione architettonica che si è addirittura diffuso nel suo percorso attraverso tutta una serie di siti esteri che hanno analizzato e studiato il fenomeno. Naturalmente qui parliamo di un percorso di riqualificazione architettonica, poi sociale e poi ora culturale che pone alla base tutti gli impatti della sostenibilità, quindi impatti positivi. Stessa cosa possiamo dire per il Birrificio Baladin, che è un’esperienza in cui, oltre al capolavoro di riuscire a creare, in un territorio diciamo così dominato dalla qualità del vino, un’attenzione così particolare alla birra, c’è in realtà anche la volontà di raccontare tutta la filiera, tutto il rispetto di ciò 8
creti che possano veramente aver parola a livello sociale, amministrativo e di proposta, su un tema così importante e urgente come questo. Quindi la relazione con un modello così concreto ci aiuta a essere ancora più concreti nella nostra proposta. La lavorazione del disco è stata aperta a eventi e incontri: quali sono state le situazioni più stimolanti che sono emerse sia a Ostana sia qui? Cristiano Ma è stato tutto stimo-
lante in realtà. È chiaro ognuno di noi può avere avuto predilezione per un incontro o per un altro. Io per esempio sono rimasto molto incuriosito dall’esperienza della Biblioteca vivente, che è un esperimento nato in Danimarca, se non ricordo male, e che è stato mutuato qui in Italia da chi poi ce l’ha proposto lì a Ostana. Mi pare che abbia anche creato molta curiosità nei nostri social questa realtà che prevede come discriminante importante il confronto 9
vis-à-vis. Adesso il tema di noi persi qui dentro (indica il cellulare, Ndr) come umanità un po’ allo sbando è abbastanza “di questi tempi”. Io ho notato molte reazioni sui nostri social: questa cosa del confronto tra due persone che si ascoltano e hanno le cose da dire. Anziché entrare in una biblioteca dove scegliere dei libri, entri in una biblioteca in cui scegli delle persone che sono i libri. Quindi tu parli con un libro, che è la persona che te lo racconta. Questo è stato sicuramente un esperimento che ho notato più di altri. Ma anche
qui a Piozzo siamo stati ad assistere alle chiacchierate di un ragazzo che corre in giro per il mondo a testimoniare dei cambiamenti climatici e delle reazioni che provocano sul pianeta; gli scioglimenti dei ghiacciai, per esempio. Questo ragazzo poi ci raccontava che quando fa queste cose corre per quaranta ore di fila! Senza dormire! Davide Una volta si è dimenticato di bere per otto ore! Cioè non è che non ha voluto: si è dimenticato! Cristiano Poi incontri con un 10
liutaio molto bravo, ieri sera con una persona che fa suonare le zucche… Insomma gli eventi tutti insieme ci hanno fatto capire che stiamo facendo una cosa figa. Una delle keywords nostre è favorire la partecipazione, l’incontro. E queste situazioni le hanno favorite. Poi voi (giornalisti) ne parlate, sono raccontate alle persone, anche noi nella nostra newsletter lo facciamo, ci sembra che possa essere un buon esempio per andare incontro a un approccio di vita green, sostenibile. È una goccia in un mare immenso ma se noi riusciamo anche soltanto come obiettivo a far riflettere qualcuno sulla necessità di non più procrastinare, di non fare finta che il problema non ci sia già la nostra parte di artisti che provano a fare qualcosa l’abbiamo fatta. So che il titolo del disco non sarà Karma Clima, ma l’avete già deciso e non ce lo dite o state ancora riflettendo? Cristiano Sappiamo già qual è ma non te lo diciamo. Poi chi lo sa, magari Karma Clima ci piace e ce lo teniamo, però non è la nostra
intenzione. Come sono andate la sessioni di prove aperte? Riccardo Le sessioni aperte sono proprio momenti di studio di registrazione. Non abbiamo preparato “uno spettacolo”, quindi in base a quello che dovevamo fare quel giorno lì, ovviamente con un minimo di tempistica, abbiamo aspettato che il pubblico entrasse. Però la prima sessione ero io principalmente che dovevo fare delle parti di chitarra acustica, e abbiamo dato la possibilità di ascoltare quello che succedeva in cuffia. Non per tutti ovviamente perché non c’erano cuffie abbastanza, ma se le passavano. Quindi chi aveva le cuffie ascoltava il brano per com’era in quel momento lì ovviamente, non sarà la versione definitiva, mancavano le voci eccetera; però il work in progress. Invece fuori si sentiva soltanto la mia chitarra. Poi alla fine abbiamo fatto sentire a tutti tramite le casse. L’altro giorno abbiamo fatto una cosa simile ma si sentiva già anche dalle casse, quindi chi era lì sentiva una parte di tastiera fatte 11
da Davide e una parte di chitarra fatta da me. Però si vedeva proprio esattamente così com’è: c’è un processo quindi si parte dall’intuizione, da quello che manca in quel momento. Ricerca del suono, ricerca della parte, registrazione, vari tentativi finché non si è soddisfatti. Cristiano Parlando con due ragazzi usciti ho notato che erano molto stupiti di come si fa un disco. Dicevano: “Ah io pensavo che suonaste e si registra”. Invece è come un set cinematografico. Non è che la scena che poi vedremo al cinema viene fuori per magia coincidente a ciò che poi sarà. Sono milioni di prove, di ciak, di riprese. La stessa cosa qua: sono take sempre uguali finché non si trova quello che si cerca. La gente però vede che non è esattamente quello che si aspettava, però allo stesso tempo ammira e capisce quello che vuol dire fare un processo artistico, che non è mai spontaneo. Cioè: ogni tanto può anche venir fuori qualcosa di spontaneo, e piace alla gente che sia spontaneo. Ma in realtà il
processo artistico è l’opposto della spontaneità. Da quando lo pensi a quando lo realizzi è tutta una faccenda di correzioni, di prove e riprove. Anch’io con i testi accumulo fogli di tentativi finché a un certo punto ottiengo la forma che preferisco. E loro hanno questo privilegio di assistere a questo frangente, a questo frammento. Davide Nelle due ore di prove che abbiamo fatto, una l’ho fatta io alle tastiere e una Ricky alla chitarra. In quell’ora ho deciso di far vedere come si costruisce un suono con un synth analogico. Quindi sono partito da un oscillatore e sono finito al suono finale. Il processo è durato un’ora. Potrebbe anche durare di più, fossimo da soli. Mi è arrivato questo feedback di uno che mi ha detto: “I primi dieci minuti pensavo di non farcela…” Io ho voluto far capire apposta, potevo fare un suono e partire da lì. Li ho messi alla prova… Lagash C’è un’analogia abbastanza curiosa: come noi siamo entrati anche ospiti in alcuni laboratori in cui ci sono proprio delle fasi di costruzione e di conoscenza 12
grazie alle quali noi abbiamo potuto capire come si sono costruiti questi processi di cui parlavamo prima, allo stesso modo noi abbiamo aperto una parte della nostra intimità creativa affinché si potesse “analogicamente” contribuire a questo scambio di informazioni. (Parte un piccolo dibattito con Riccardo su quell’ “analogicamente” che in realtà dovrebbe essere un “analogamente” ma che tutto sommato sta bene anche così com’è). Davide Abbiamo deciso di usare esclusivamente strumenti o elettrici o acustici o analogici. Tutta l’elettronica è suonata. Ho letto in un’intervista di Cristiano al Corriere della Sera che parla di “svolta elettronica”. Adesso che tutti vanno verso le chitarre… Cristiano O siamo precursori o siamo ritardatari… Mai sull’onda, quella giusta. È un fatto: abbiamo voluto provare a ribaltare l’approccio compositivo proprio. Le partenze dei nostri pezzi sono sempre state le chitarre, sia per motivi di suono sia per motivi di songwriting, di creazione del pezzo. Chia-
ramente se tu componi con le chitarre hai un percorso che ti porta in luoghi che dei musicisti sanno molto bene. Se parti invece con le tastiere vai in altro tipo di luoghi. Sostanzialmente volevamo provare, all’undicesimo disco, a non partire dalle chitarre. Quindi gli spunti sonori che arrivavano da Davide principalmente che avevano questo sapore elettronico, ma suonati, fanno sì che quello che si sta per ascoltare e che la gente ascoltare non è il tipico sound dei Marlene ma nello stesso tempo tutte le caratteristiche del nostro approccio musicale ci sono tutte. Io penso sia un disco molto intenso, molto ispirato. Questo era quello che più ci interessava. Sono cinque anni o sei che il nostro disco precedente è uscito (“Lunga attesa” è uscito il 29 gennaio 2016, Ndr) e se c’è un leit motiv sul quale io ho insistito molto con tutti sempre per approdare prima o poi alla realizzazione del disco nuovo era: cerchiamo di essere ispirati, prendiamoci tutto il tempo che ci serve per arrivare alla realizzazione del disco con tanta voglia di 14
avere delle cose da dire e non una routine. La routine non è negativa a tutti i costi, è cercare di fare il tuo lavoro al meglio, però piuttosto aspettare un attimo, ma quando si arriva in sala prove essere al top dell’ispirazione. Credo che siamo da quelle parti. Riccardo Aggiungo anche questa cosa: io sono nato chitarrista
e anch’io negli ultimi tre anni mi sono interessato ai sintetizzatori analogici, modulari eccetera e quindi era già partito anche da me questo spunto. Non sono un pianista quindi non so bene mettere le mani sulla tastiera però mi diletto molto sui suoni e sui pattern. Quindi ci siamo messi insieme io e Davide e abbiamo fatto un po’ di 15
suoni. Mentre quando parti dalle chitarre, se ti piace quel suono lì, ti affezioni e gli altri ingredienti diventano correzioni e sapori che aggiungi, se invece parti dall’elettronica sono le chitarre che poi si aggiungono. Davide Il mondo dell’elettronica crea scompiglio. È come dire rock, ma nel rock c’è di tutto, c’è anche il metal. Dicendo elettronica uno pensa a sequenze o a roba per forza pop, digitale. Alla fine però sono strumenti come le chitarre, proprio anche nell’accordatura, non è che hai dei preset digitali che schiacci. Io ho un accordatore, al posto delle corde hai degli oscillatori, ma l’approccio è lo stesso. Anche le ritmiche elettroniche non sono sequenze o vst, è tutto suonato dal moog. È molto “poco preciso”, non è una batteria elettronica, sono tutti strumenti, trattati come strumenti. Quindi nel disco ci sono soltanto strumenti reali. Per Cristiano: com’è stato rientrare nel ventre della band dopo l’esperienza da solista? Cristiano Sono consapevole di
che cosa vuol dire creare con i Marlene e che cosa vuol dire fare canzoni senza doverle poi “mediare” con loro. Uno conto è portare le canzoni dove desidero io e un conto è fare una cosa che ho fatto per tutto il percorso artistico della mia esistenza. Sono talmente abituato a suonare con loro che è stata quella una parentesi. Al limite è stato più anomalo entrare in quella ma tornare in questa è per me niente di anomalo. Che cosa vi piace della musica italiana di oggi? Cristiano C’è sempre un po’ il discorso di che cos’è la musica al giorno d’oggi. Credo che ormai le classificazioni siano mainstream o non mainstream. In quel mondo là io noto più che altro che tutti stanno alzando il tiro. A me sembra che le produzioni e le band stanno dando il massimo per ottenere qualità ben sapendo che il business non c’è più. Quindi si fa di tutto per dire: ok, vaffanculo, faccio qualcosa di magnifico. Non so quanto possa durare perché è una forma di eroismo e di resistenza, però mi sembra che sia 16
ma anche Brunori Sas, per esempio. Dove c’è una precisa attenzione verso un certo tipo di contenuti e come sono stati capaci di esprimerli. Davide Io ho un problema atavico con la musica italiana. Ho seguito moltissimo Battiato che secondo me è stato uno dei pochi artisti capaci di fondere il sound con la scrittura. Mi piacerebbe riuscire a vedere questa scrittura calata in un sound importante, e spesso purtroppo non accade. E per contro chi produce un sound interessante, tipo Iosonouncane che ha fatto un disco pazzesco, però non riesce ad arrivare all’attenzione mediatica. Abbiamo delle teste di serie pazzesche in Italia, nell’elettronica abbiamo musicisti internazionali come Alessandro Cortini, Caterina Barbieri, Lorenzo Senni: sono musicisti idolatrati ma qui nessuno sa chi siano. Vedo una divisione tra cantautorato o un certo tipo di pop, di cui purtroppo non riesco a capire il sound, e dall’altra parte musicisti pazzeschi che non sfondano da noi.
quello che sta accadendo. Io sento uno sforzo di fare anche fottendosene dell’andare a cercare un disco che tanto non ti porterà niente, perché per ottenere qualcosa devi fare milioni e milioni di stream. In questo momento mentre parlo penso a Iosonouncane, che ha fatto un disco che è un viaggio pazzesco. E si punta a quella roba lì, immaginando che la qualità a lungo andare paga sempre. Mi sembra che in questo momento la musica italiana sia in questa fase qua. Vedremo se dura o se non dura. Questo è quello che posso dire. Lagash Sottoscrivo tutto quello che ha appena finito di dire Cris in questo momento. In questo scenario mi attrae molto la profondità di scrittura, sto proprio parlando della narrativa, dei testi. In questi anni mi hanno appassionato molto coloro i quali hanno potuto approfondire moltissimo alcuni contenuti grazie a una lingua, quella italiana, che è evidentemente complicata per certi versi ma ti permette di approfondire molto. E mi viene da citare Francesco Bianconi con l’ultimo lavoro 17
Riccardo Confermo quanto detto da loro, mi sembra che il livello qualitativo ultimamente sia migliorato. Io non seguo la scena
rap o trap, perché non è proprio il mio mondo, però mi sembra che ci sia un upgrade. Poniamo che ora entri qui un 18
sono questi. Che pezzi scegliete? Cristiano Io e me. Davide Anch’io Io e me. Secondo me è uno dei pezzi dei Marlene “ultimi” che sono riusciti ad ammodernarsi in qualche modo ma mantenendo il sound delle origini. Lagash Io per controbilanciare indicherei Musa oppure Osja, amore mio. Riccardo Lieve. Finita l’intervista facciamo qualche foto, ci accomodiamo a tavola con la band prima di congedarci e riprendere la strada di casa. Un paio di giorni più tardi si saprà che i Marlene, che erano tra i papabili, non sono fra i Big scelti da Amadeus per la prossima edizione del Festival Sanremo, dove contavano di andare anche per allargare ulteriormente il messaggio e l’impatto del progetto di Karma Clima. Non c’è dubbio sul fatto che avrebbero anche nettamente innalzato la media qualitativa del cast. Ma le esplorazioni creative dei Marlene troveranno, come sempre, altre strade, altri modi e altre espressioni.
adolescente che non abbia mai sentito niente di vostro. Avete una canzone a testa da consigliargli per dire: i Marlene Kuntz 19
NEVICA
Una perdita dolorosissima e un modo di affrontarla facendo uso anche della musica: il produttore, musicista e cantautore Gianluca Lo Presti racconta “Quanti”, il suo nuovo lavoro Domanda difficile e risposta immagino anche più difficile: come si riesce a riversare il lutto per la morte di un padre nella musica? La musica avendo una componente spirituale molto elevata è un mezzo per mantenere una connessione tra mondi energeticamente differenti. Questo contatto fatto di ricordi ed emozioni ci aiuta e conforta a proseguire. Per me è normale trasformare in musica
l’intervista
la vita perché sono nato con una certa attitudine. Hai deciso di scrivere il disco nel pieno del dolore e ne è emerso un sentimento di accettazione anziché di struggimento. Soltanto il valore catartico della musica oppure hai altre spiegazioni? La musica è un mezzo come tanti altri.Ognuno ha il suo modo di elaborare la realtà per accettarla meglio e anche per comprenderla. Penso sia senza dubbio il suo valore catartico almeno per me. Di solito questi traumi inevitabili rappresentano dei “passaggi” evolutivi. Bisogna soltanto assecondarli e saperli cogliere. L’accetta-
zione aiuta a questo. Perché hai deciso di chiudere il disco con la cover di Fragile dei Nine Inch Nails? Perché causalmente da questo brano è nato tutto il disco. Questa cover mi era stata commissionata per una compilation proprio nel periodo che mio padre stava male. Mi ero bloccato. Non riuscivo più a portarla avanti e non so questo blocco quanto sarebbe durato. Una domenica dopo il suo funerale all’improvviso ho sentito l’esigenza di lavorarci e da li sono nati poi tutti gli altri pezzi in pochissimo tempo. Un flusso continuo naturale. Sono i misteri della vita e della nostra mente. Quanti (la canzone) a mio parere ha un sapore alla Battiato molto potente. Quanto c’è di consapevole e quanto di involontario in questa influenza nobile? Battiato è l’artista che mi ha spinto a fare il musicista. Avevo 13 anni quando ascoltai 22
Bandiera Bianca per la prima volta in radio e ne rimasi folgorato. In un certo senso, non fraintendetemi per carità, mi sentivo affine al suo percorso. Come se lui mi avesse indicato una strada chiara da seguire come artista. Da lì non ho più smesso di suonare e comporre. Voglio raccontare un aneddoto a tal proposito: nel 1998 vinsi il premio città di Recanati. Battiato era in giuria. Gli telefonai pe ringraziarlo e lui che ricordava benissimo mi disse: “Con un brano del genere era impossibile non farti vincere”. Meraviglioso.
Hai viaggiato per “trilogie” nella tua produzione: hai intenzione di aprirne altre oppure hai idee diverse per i prossimi lavori? Si penso che potrei aprirne altre. La mia musica è spesso legata a concetti che si evolvono tra un disco e l’altro e mi piace l’idea di questo collegamento dove magari accenni a una cosa che riprendi e sviluppi successivamente in modo diverso. Però potrei anche fare diversamente. Ora avevo bisogno di chiudere un cerchio e andare oltre. E’ importante chiudere i cerchi. 23
MONIE’
“That’s my soul” è l’ep d’esordio, ricco di influenze internazionali e di collaborazioni prestigiose, dell’artista originaria di Sansepolcro
Sei molto giovane ma il tuo progetto musicale è già piuttosto articolato. Ce lo racconti un po’? Moniè nasce dalla voglia e il bisogno di confrontarsi con il Mondo. Sono una persona molto chiusa ma quando salgo sopra un palco riesco letteralmente a staccarmi dalla realtà e a essere Moniè. Moniè la ritrovo nella vita di tutti i giorni, ma quando scrivo e compongo melodie riesco a esprimere e a farmi conoscere. Credo che, durante un percorso artistico arriva un momento in cui vuoi racchiudere tutto in un album unico. Per tutto intendo le emozioni vissute, le storie della nostra vita. Voglio che le persone si ritrovino in ciò che canto e che cantino con me ogni singola parola. Ero molto piccola quando ho iniziato a scrivere e studiare canto e già sapevo di voler far questo nella vita. La musica è stata una cura , una liberazione. Devo tutto alla mia voce. Come devo tutto a Mitraglia Rec. coloro che hanno permesso che il progetto Moniè prendesse vita. Mi supportano e sopportano ogni giorno, e sono chi sono oggi an-
l’intervista che grazie a loro. Il tuo nuovo ep, That’s my Soul, è ispirato ai quattro elementi. Ci spieghi l’ispirazione che sta alla sua base? Amo la filosofia e ho una passione per l’alchimia. Sono uno spirito libero legato al fuoco alla terra ai fiumi e all’ aria. Credo nei punti energetici, sono una persona che assorbe tanta energia, positiva e negativa. Il mio ep è composto da quattro brani. Quattro elementi che compongono un elemento unico, l’album. Fuoco, terra, acqua e aria. Quattro brani che raccontano la mia storia, il mio vissuto. That’s my Soul è Moniè, in ogni sua forma. Ci racconti qualcosa dei featuring del nuovo ep? Questo è stato un passo importante della mia vita. Collaborare con due artisti come Puritano e Brusco è stato qualcosa di unico per me. Entrambi mi hanno preso sot25
to la loro ala per farmi volare. Con Puritano in TTM&B (to the Moon and back) raccontiamo le mie radici, l’evoluzione, la crescita. Seguendo il Tevere come una strada d’acqua giungo a Roma. Con Brusco in Ocean cantiamo la sensibilità di un’anima che è stata amore e abbandono, una eppure divisa. The Eve è anche il tuo compagno di vita: come funzionano i rap-
tutto più magico. The Eve è musica. È la base, il mio sostegno. Che progetti hai per il futuro? Sicuramente portare la mia voce sopra ogni palco d’Italia. Nuove collaborazioni e tanta nuova musica. Questo è solo l’inizio, è una promessa. See you soon!
porti quando lavorate sulla musica? È bello lavorare insieme, anche se a volte ci scontriamo e discutiamo arriviamo sempre a creare quel qualcosa di unico. L’ Amore e il lavoro sono due cose a se ma se possono fruttare insieme allora è 27
SCHIAMAZZI
Medico psichiatra e cantautore, ma mascherato da un paio di occhiali “tecnici”: ecco l’omonimo ep d’esordio dell’artista genovese
Leggo dalla tua presentazione che è stata forse anche la tua professione di psichiatra a portarti a fare anche il cantautore. Ci spieghi come e perché? In un certo senso sì. Ho iniziato a scrivere canzoni durante gli anni della specialità in Psichiatria, l’idea di definire un progetto musicale più solido e con una sua identità è arrivata solo in seguito. Dopo la registrazione del mio primo pezzo, Distruzione di Marta, ho avuto un momento in cui mi sono chiesto cosa significasse per me iniziare qualcosa di mio in ambito musicale. La risposta è stata che poteva essere un modo per stare meglio, per conoscere una parte di me che avevo trascurato e per raccontare qualcosa agli altri. Penso che il lavoro di medico, e nel mio caso di psichiatra, possa esporre a grandi sofferenze; a volte anche le cose semplici diventano difficili: capire gli altri, lavorare bene, essere empatici senza essere travolti, tutti aspetti con cui ci si trova a fare i conti e che possono generare frustrazione. Per me fare musica ha rappresentato un modo
l’intervista per prendere da un’altra prospettiva tanti di questi aspetti, un’altra via di metabolizzazione insomma. Immagino che le dinamiche della pandemia abbiano influito molto sul tuo lavoro medico. Hanno lasciato tracce anche sulle tue composizioni oppure si tratta di canzoni nate prima? La maggior parte delle canzoni sono state registrate in piena pandemia. Tra le difficoltà per gli spostamenti per arrivare in studio di registrazione fuori città, le sessioni di riprese per i video rimandate e quelle in studio con altri musicisti cancellate, posso dire che indubbiamente il lavoro è stato molto condizionato. Però ora che mi trovo a rifletterci sopra, penso che il fatto che si sia concluso nonostante tutte queste difficoltà sia piuttosto significativo. E’ 29
stata un’esigenza impellente, quasi prioritaria. Vorrei sapere come nasce Distruzione di Marta Distruzione di Marta nasce come canzone autobiografica, non tanto per quello che racconta ma per gli aspetti di me a cui si rivolge. Il “non sei speciale” del ritornello viene interpretato come rivolto a un’ipotetica Marta, e il titolo del pezzo gioca su questo dubbio. In realtà non c’è nessuna Marta, è un memorandum rivolto a me stesso. Non essere speciali non significa non essere importanti. Ma per essere importanti non si deve per forza essere meglio degli altri, più interessanti o straordinari. Speciali appunto. Si può semplicemente essere se stessi. Tre tuoi punti di riferimento musicali Se non dico Fabrizio De André esplodo. Vorrei non dirlo perché a volte mi chiedo: sì, ma chi è che fa cantautorato e non ha De André come riferimento musicale? Però bisogna anche essere scontati. Per citare un grande contemporaneo in Italia dico Vinicio Capossela,
all’estero invece Tom Waits. Che cosa hai in programma ora? Mi piacerebbe molto portare su un palco queste canzoni, quando e come riuscirò, con tutti i limiti che questa doppia vita si porta appresso.
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CARSICO Esce per Alter Erebus Press & Label il nuovo lavoro di Francesco Cavecchi dal titolo “Terra\Cielo”, disco di esordio composto da nove brani
Ciao, ci presenti il tuo progetto? E’ nato circa tre anni fa quando iniziammo a mettere mano all’arrangiamento di Itaca, brano che aveva una forza, almeno in potenza, che dovevamo riuscire a veicolare al meglio. Conclusa Itaca
l’intervista
il resto dei brani arrivò nel giro di pochi mesi; si era innescato un processo virtuoso, sapevamo avremmo prodotto un buon disco. Maturò, quindi, in Manuel Volpe ed in me, il desiderio di tentare di rendere omaggio ai modelli musicali di riferimento di entrambi cesellando i testi nel modo più accurato possibile, parola per parola, verso per verso. Mi sembra un disco molto pensoso e “pensato”: è frutto di canzoni accumulate negli anni oppure figlie di un passato recente? Può definirsi un disco pensoso e pensato, in effetti, perché i testi sono frutto di elucubrazioni lunghe e dal percorso arzigogolato e gli arrangiamenti, il vestito finale , sono sono stati decisamente “pensati”, nei più piccoli dettagli. Alcuni brani sono figli del recupero di materiale soltanto abbozzato in anni precedenti, altri sono arrivati in fretta e subito registrati, inizialmente, nella versione più scarna possibile. L’album è influenzato anche di una serie di letture: ce ne vuoi parlare?
Grande influenza hanno avuto alcune intense letture, da Il re e il cadavere di Zimmer, che concede uno spiraglio di luce al fondo di ogni disamina, pure spietata, a Rayuela di Cortazar, al quale s’ispira il concept grafico dell’album, e che, mirabilmente, racconta dei rapporti tra uomo e donna, padri e figli, nel suo mondo permeato di poesia. Poi senza dubbio Arden las perdidas di Antonio Gamoneda che ha influenzato il “colore” di alcuni brani. Ci sono invece coordinate musicali molto precise: quali sono i tuoi punti fermi da questo punto di vista? Principalmente i grandi folksinger americani, da Guthrie a Seeger, da Dylan a Springsteen. Poi i miei cantautori preferiti, dunque, pure per motivi diversi, Guccini, Fossati e Silvestri. Che cosa hai in programma per i prossimi mesi? Spero che la promozione vada bene, vorrei che il disco avesse la possibilità di arrivare a più ascoltatori possibile, naturalmente...poi suonarlo, suonarlo tanto. 34
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FANOYA Anticipato dal singolo “Aloe vera”, “Previsioni del tempo” è il nuovo lavoro del duo, attualmente impegnato in un tour in tutta Italia
Partiamo dalle cose semplici: mi spiegate copertina e titolo del disco? La foto di copertina non ha alcun significato in particolare, ci molto piacevano questi scatti in analogico di Ilaria Ieie (attualmente in tour con i Maneskin) e l’abbiamo scelta come copertina del disco. Per quanto riguarda il titolo del disco è che spesso abbiamo bisogno di appellarci a qualcosa di esterno come una previsione meteorologica per motivare una rinuncia. Il meteo diventa una via di fuga dalle nostre ansie, un modo per ridurre le nostri azioni. Leggo nella vostra presentazione questo “Consiglio di ascolto: di mattina, con il sonno ancora incollato agli occhi e le lenzuola fresche che avvolgono come un abbraccio”. A che sensazioni puntavate scrivendo queste canzoni? Le nostre canzoni parlano per immagini e quel che vogliono raccontare lo fanno attraverso una sequenza di fotogrammi. E’ bello quando chi le ascolta riesce a riconoscersi in alcuni di essi. In gene-
l’intervista rale, però, il fil rouge è quella dolce malinconia che ci permette di guardare con un sorriso al passato e di vivere con curiosità il presente e il futuro. Perché avete scelto Aloe Vera come ultimo singolo? Aloe vera è il pezzo a cui forse teniamo di più del disco siamo molto soddisfatti sia come scrittura che come arrangiamento e ci piaceva l’idea che fosse ad anticipare l’uscita del disco. Tre nomi che stimate particolarmente nella musica italiana di oggi Amalfitano, Bonetti e Nuvolari. Che cosa attende i Fanoya ora? Adesso ci attende un tour nei club per portare in giro il nostro secondo disco, il 6/11 abbiamo suonato all’Arci Bellezza di Milano ed è stato fantastico, poi il 20/11 a Taranto, 26/11 Roma, 18/12 San Severo, 19/12 Foggia e abbiamo altre date in aggiornamento. 37
LISANDRU “IN” è l’ep d’esordio di del musicista e cantautore sardo Alessandro Sanna
Ciao, ci racconti come sei arrivato a questo ep di debutto? Nasco come bassista all’età di 14 anni, ho iniziato a suonare quasi in maniera naturale, dato che a casa mia si ascoltava musica in continuazione, grazie ai miei genitori che avevano gusti musicali differenti, da Piero Ciampi a Bruce Springsteen, e da De André ai Rolling Stones. Dopo aver militato per anni in vari progetti rock e gruppi sperimentali cittadini, ho deciso di iniziare a scrivere canzoni mie. Mi sono fermato per un periodo della mia vita, e ho sentito forte la necessità di far uscire da dentro la verità , quello che avevo profondamente nel cuore, così sono nati i primi brani. Per caso ho fatto sentire le mie cose a un amico, che mi spinse a parte-
cipare a un concorso che fanno a Sassari (premio festival “A Squarcigola”), era il 2018. E per la prima volta nella mia vita, cantai i miei brani davanti a un pubblico. In quell’edizione vinsi sia il premio della giuria sia quello del pubblico, fu un trionfo. Naturalmente la
l’intervista
scelta di registrare la mia musica è stata immediata, così iniziai a lavorare ai miei brani e tra l’autunno 2020 e la primavera 2021 ho registrato il mio primo disco solista dal titolo IN. Sei tracce che compongono un momento della mia vita, mettersi a nudo e scavare dentro la propria profondità interiore. Credo che titolo e copertina meritino una spiegazione dettagliata Ho scelto IN come titolo del mio disco, perché volevo che fosse una
parola corta , semplice e diretta. IN può avere molteplici significati, ma in questo contesto appunto, vuol dire, da dentro verso fuori, cioè: “IN fuori” per potersi liberare. La scelta della copertina è stato un colpo di fulmine. Ho visto i lavori del fotografo siciliano Giuseppe Picciotto (PC8) e sono rimasto folgorato dai suoi scatti. La foto di copertina è un’istantanea di una mareggiata a Santa Teresa di Riva a Messina, e credo che rappresenti perfettamente lo stato d’animo del disco, “rimanere in 40
piedi davanti a qualsiasi difficoltà della vita”. Qual è stato il brano più difficile da scrivere? In realtà non c’è stato un brano difficile da scrivere, più che altro parlerei di un brano difficile da arrangiare, che senza dubbio è stato Naufragio. Inizialmente aveva un tiro rock/blues con una linea di basso portante alla quale ho aggiunto una distorsione, ci sono state diverse le prove, ma il brano sembrava non girare. Alla fine abbiamo inserito dei synth e una base elettronica che ha cambiato completamente atmosfera e ci ha soddisfatto da subito. Comunque ci siamo divertiti molto ad arrangiare le canzoni e cercare i suoni giusti, un lavoro lungo che abbiamo fatto con molta attenzione, continuamente contagiati dalle vibrazioni sonore. Come vedi la scena musicale sarda in questo momento storico? Considerato il periodo storico nel quale stiamo vivendo, e considerato il fatto che per noi musicisti è sempre più difficile suonare dal vivo, perché ormai l’assenza
di spazi è considerevole, la scena musicale sarda oggi è rigogliosa di proposte diverse e molto interessanti. Dal rock all’elettronica, dall’hiphop alla musica tradizionale gli artisti sardi stanno realizzando lavori di grande pregio. Oggi la musica ha subìto un vero e proprio colpo, così come tutto il mondo dell’arte in generale, io credo che ci sia sempre stato in Italia, e in questi ultimi anni in maniera più evidente, un problema. Come se fossero ambiti inesistenti e abbandonati a stessi, senza alcun aiuto o considerazione. Un settore che hanno abbandonato, e che invece, in realtà, può avere una connotazione economica importante per il paese, e anche un valore di identificazione propria, esportabile in tutto il mondo. La cultura e l’arte andrebbero salvaguardate e non abbandonate. Hai in programma eventi live prossimamente? Farò a dicembre nella mia città Sassari un live di presentazione disco. Ora spero e mi auguro dopo l’uscita di questo mio lavoro, di suonare dal vivo un po’ in giro. 41
LUNAR DUMP Lo space duo veronese, composto dai fratelli Paolo e Zeno Camponogara, pubblica il proprio terzo ep, “Lipo”, mettendo insieme influenze disparate
Ci raccontate a che punto è il vostro progetto musicale? È sempre in evoluzione, abbiamo già assemblato un po’ di brani per il prossimo ep smanettando con nuovi giocattoli... E’ una cosa che ci stimola parecchio, nel frattempo stiamo preparando il live per le prime date. Lipo è il vostro terzo ep: intanto vorrei capire come mai siete così affezionati alla forma dell’ep, e poi mi piacereb-
l’intervista
be anche che spiegaste il titolo A dire il vero ci sarebbe piaciuto pubblicare un lavoro completo con una decina di pezzi (anzi 13), ma visto che a oggi gli ascolti avvengono sui social e le varie piattaforme, abbiamo pensato di pubblicare meno materiale ma più frequentemente. Nel momento in cui ci fermiamo per produrre nuovi brani, avviene un cambiamento: abbiamo nuovi ascolti e nuovi riferimenti, nuovi stimoli e ci evolviamo. È quindi probabile che il prossimo ep non rispecchi
completamente quello precedente ma che sia un’evoluzione (nel bene o nel male). Il titolo dell’ep è un mash-up di più generi musicali, l’acronimo del nome indica “L” come linear wave, “i” come indie groove, “p” come psychedelic pop, “o” come oniric trip. Che ispirazioni ci sono alla base di questo nuovo lavoro? Sicuramente ci sono i nostri ascolti musicali, e l’istinto fa gran parte del lavoro. Le cose spontanee, quelle che ci vengono di getto, a nostro avviso sono le più sincere. 44
Quali sono i vostri punti di riferimento? Non ne abbiamo uno in particolare ma se dobbiamo dire qualche nome, per esempio Die Verboten, Froth, Kraftwerk, Air quindi tutto questo “mondo” kraut electronic french psychedelic new wave...
Che cosa avete in programma per i prossimi mesi? Suoneremo in giro dal vivo. L’idea è quella di proporre dal vivo il nuovo ep quindi fare un bel po’ di date. Allo stesso tempo continuare a sviluppare le nuove idee.
PAOLO F. BRAGAGLIA
Insieme ai Ganzfeld Frequency Test, il compositore elettronico marchigiano torna a pubblicare da solista con “The Man from the Lab”
l’intervista
Quindici anni dopo Mystere du Printemps torni a pubblicare come solista... Sì, hai ragione, è un tempo davvero lunghissimo. A onor del vero 10 anni fa ho pubblicato Yug di Synusonde, un duo composto da me e dall’amico pianista Matteo Ramon Arevalos. Fu una lavoro dalla gestazione molto lunga e impegnativa. Poi, naturalmente,
sono andato sempre avanti con collaborazioni, performance, diversi progetti musicali e teatrali lavori di sonorizzazione. Ma la scelta di fare un nuovo album “personale”, “solista” è stata impellente, a un certo punto, dettata dal fatto che un album è lo specchio del tuo pensiero e della tua sensibilità in un determinato momento della vita e farne uno è una cosa che mi mancava terribilmente. Per cui ho approfittato del lockdown dell’anno scorso per mettermi all’opera e a scrivere dei nuovi brani che si sono avvicinati a una specie di new wave elettronica molto diversa dalle cose che ho fatto negli ultimi 20 anni... Ci presenti questo nuovo lavoro? Come dicevo è un disco nato nella condizione di sospensione temporale e spaziale del primo lockdown, durante il quale ho cercato di mettere ordine ai miei pensieri attraverso un filtro narrativo che
mi aiutasse a leggere ed affrontare il periodo tragico e bizzarro che stavamo vivendo. E così è nata questa idea: una finta colonna sonora di una serie TV di fantascienza girata 40 anni fa, in un’altra dimensione. Probabilmente per esprimere ed esorcizzare quel senso di smarrimento distopico spazio-temporale che si stava impadronendo delle nostre vite. A livello stilistico sono stato quindi misteriosamente risucchiato del passato remoto, la musica elettronica che ascoltavo quando ero giovanissimo, la prima new wave dei primi anni 80. Però cercando comunque di rimodularla e ripensarla secondo la mia sensibilità attuale e con tutte le evoluzioni del caso, nei suoni e nelle modalità di produzione. Cercando insomma di fare attenzione che non fosse un esercizio di “retromania”, ma che suonasse come una cosa pienamente, legittimamente appartenente ai nostri giorni. Come nasce la collaborazione con i Ganzfeld FrequencyTest? Me li sono trovati in studio all’improvviso... Chiaramente scherzo...
Anche loro fanno parte di questa proiezione, della costruzione di questa realtà alternativa dove si situa The Man from the Lab, sono una forma di alter ego produttivo che mi ha permesso di ritrovare un certo modus operandi appropriato, nella mia idea, allo spirito del progetto. Che cosa ti stimola di più nel mondo dell’elettronica di oggi? Mi stimola il fatto di poter immaginare dei suoni nuovi completamente nuovi che sono il mix di tante tipologie diverse di sintesi ed anche che si può essere molto produttivi anche con mezzi davvero molto limitati, ovunque si voglia. Poi in realtà le cose semplici non mi piacciono mai del tutto e finisco sempre per circondarmi di una grande quantità di sintetizzatori vintage e spesso anche a usare grossi mixer analogici. Mi piace molto l’attrito che si crea con la tecnologia obsoleta, che grazie alle moderne DAW può essere domata molto più facilmente. Oggi lo scarto tra immaginare qualcosa e poterla realizzare si è fatto davvero davvero molto molto ridotto, 48
soprattutto nell’ambito della produzione “In the box”, virtualizzata al computer. È bellissimo ma è diventato talmente semplice, immediato ed economico creare musica che vengono create e pubblicate troppe cose fatte senza la sempre salutare selezione e attenzione. Scartare qualche brano dalla scaletta prima dalla release è sempre salutare.... Che cosa hai in programma per il prossimo futuro? Un altro album Europa che ha avuto una gestazione di alcuni
anni (il contrario del mio ultimo, che è nato in pochissimo tempo) e la cui uscita è stata rimandata molte volte. L’ho appena finito di mixare e non vedo l’ora di farlo uscire, magari la prossima primavera. Poi c’è anche un progetto assai bizzarro: un duo che si basa su una rielaborazione del tutto singolare della musica medievale, basato sull’elettronica e l’organo portativo medioevale. Anche in questo caso è un progetto che esiste da un po’ di anni e non vediamo l’ora di far uscire l’album di debutto. 49
HELLE
“Rispetto” è il titolo del nuovo singolo della cantautrice di Bologna
l’intervista
Ciao, ci racconti qualcosa del tuo progetto musicale? Sono una cantautrice di Bologna, mi chiamo Lisa. Non ho un progetto musicale nello specifico, però suono, produco, canto, scrivo, sperimento. “Rispetto” è il tuo nuovo singolo, da che ispirazioni arriva? Rispetto in origine doveva chiamarsi Pantegane, tu pensa. I ragazzi della mia casa discografica
hanno letto il titolo e si sono un po’ spaventati, m’ hanno consigliato di cambiarlo e così ho accettato (in effetti era alquanto inquietante). La canzone è più frutto di considerazioni personali, sensi di colpa, paura, che da un’ispirazione vera e propria. Nel brano parli di una duplicità di fondo: ti senti così “duplice”? L’esagerazione artistica non mi affascina più di tanto, se viene utilizzata solo per impressionare l’ascoltatore. Partiamo con una semplice osservazione: in Rispetto non si parla di qualcosa d’ammirabile. Il cuore di questa canzone è sporchissimo, ne trarrei ben poco di cui vantarmi - per cui l’esagerazione servirebbe ad uno scopo che non condividerei nemmeno. Qualche volta mi è capitato di buttare giù un pezzo che, una volta riletto a mente fredda, poi, non condividevo appieno, e ogni volta l’ho cancellato e riscritto. Il motivo di questa scelta è che a causa della mancanza di verità personale queste strutture (ben fatte o approssimate che siano) si affloscino di fronte ai miei occhi, insomma,
quando qualcosa serve solo a vantarsi lo trovo assolutamente inutile, perché alla fine dei conti non comunica nulla. Nella canzone ho “romanzato” un qualcosa di personale, questo sì. Se quello che vivo sia vero o meno, o se sia diagnosticabile o no, allora invece i discorsi potrebbero cambiare. Perdona la risposta prolissa. Raccontaci qualcosa anche del video Il video l’hanno girato due ragazze molto talentuose di nome Eva Lacroix e Silvia Bordin. Sono brave, davvero brave. Che programmi futuri hai? Sicuramente ci saranno dei live, ma dobbiamo ancora definirli: non vedo l’ora di poter portare queste canzoni su un palco…
LUCIANO MACCHIA “L’estate che va” è il nuovo album del crooner lucano, ma milanese d’adozione Che tracce ha lasciato il lockdown sulla tua musica? Certamente ha lasciato tracce… di malinconia sicuramente e forse anche un po’ di solitudine. Mi racconti la genesi della title track? E’ nata in una notte di agosto 2020 in Basilicata, scritta quasi comple-
tamente di getto, sia il testo che la musica… un po’ come tutti i brani dell’album. Al ritorno in Lombardia, ho dato un’aggiustata, una stirata e una registrata :-) ed ecco pronta L’Estate che va. Ci racconti del video? Taccone è un luogo di passaggio, un borgo di confine. Ci passavo 54
l’intervista
da ragazzo quando andavo a suonare in Puglia…era il luogo ideale per descrivere “L’estate che va”! Invito tutti a fare un tuffo in questo borgo semi disabitato che è anche censito dal FAI come “Luogo del cuore”. Cosa ti piace della musica italiana di oggi?
Mi piacciono gli artisti che si pongono in maniera sincera, e ce ne sono tantissimi. Hai già date in programma per portare in giro il tuo nuovo disco? Sicuramente, invito tutti gli interessati a seguirmi sui social, dove comunicherò tutte le date dei live. 55
ANEURISMA Il trio di Pescara, con all’attivo tre singoli, ha rilasciato da poco il nuovo album “Inside My Rage”
Ci raccontate qualcosa sulla storia della vostra band? Gli Aneurisma nascono nel 2011. Abbiamo iniziato suonando cover di band come Nirvana, Pearl Jam, Radiohead, Afterhours ed in generale rock anni ‘90. Sono stati anni preziosi per la nostra crescita
musicale. Poi, in maniera del tutto naturale, abbiamo iniziato a scrivere le nostre canzoni creando musica nel modo più semplice e sincero che conosciamo, prendendo ispirazione dalle nostre esperienze, dalle sensazioni che ci circonda-
no e da ciò che ci piace ascoltare. Finalmente nel 2020, dopo tanti sacrifici, c’è stato il nostro esordio discografico con la pubblicazione del primo singolo Never Say seguiti da altri due singoli che sono Insanity e Come Undone. Nel 2021 è uscito l’album Inside My Rage in
promozione e distribuzione con l’etichetta Ghost Label Record. Inside my rage: da dove nasce la vostra rabbia? Il nostro album parla di emozioni e argomenti che ci hanno segnato nel profondo. Ci sono problematiche che non trovano ancora soluzioni e queste ci fanno letteralmente arrabbiare, così nasce Inside My Rage. Ogni canzone tratta tematiche differenti ma legate dallo stesso filo conduttore. La nostra musica è completamente sincera: anche in studio registriamo come se suonassimo dal vivo, al massimo 1 o 2 take…cerchiamo di catturare la stessa energia. Come mai avete collaborato con i Rotten Apple per Come Undone? La collaborazione è nata in maniera casuale, tramite alcuni like scambiati sui social. Era appena uscito il nostro secondo singolo Insanity e loro hanno commentato scrivendo che il pezzo gli era piaciuto. Da lì sono iniziati una serie di messaggi e ci siamo trovati subito sia a livello musicale che per-
sonale. Avevamo scritto un pezzo che si prestava molto bene a questa iniziativa e gli abbiamo chiesto se volevano aggiungere qualche verso: così è nata Come Undone. I social, se usati nella giusta maniera, possono essere un ottimo strumento per ampliare la propria arte e connettersi con il mondo, basta un semplice click per oltrepassare oceani. In questa stagione così difficile per i live, riuscite a suonare dal vivo regolarmente? Dove vi possiamo vedere prossimamente? Questa è una nota dolente…ci manca tantissimo il contatto con il pubblico! E’ la nostra energia vitale e, purtroppo, la pandemia ha portato un forte rallentamento in tutti i settori, quello musicale è sicuramente tra i più colpiti. Con questa situazione di incertezza è molto difficile suonare dal vivo. Speriamo che la situazione si sblocchi il prima possibile perché non vediamo l’ora di tornare a sentire le vibrazioni dei nostri strumenti nel petto e poter presentare il nostro album finalmente dal vivo. 58