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L’ANNO CHE VERRÀ

L’inizio di ogni anno è tradizionalmente occasione di bilanci e buoni propositi. Lo è particolarmente quando si manda in archivio un periodo complicato come quello che stiamo vivendo. Tra la pandemia del Covid, la guerra in Ucraina, la crisi energetica e l’inflazione all’11,8% (dato di novembre 2022, una cifra che non si vedeva dal lontanissimo 1984) il triennio appena trascorso è certamente una di quelle pagine che si girano molto volentieri.

È bene quindi provare ad immaginare quali possano essere le ricette per sollevare il comparto birra artigianale, che si è scoperto essere molto fragile, forse più fragile di quello che si potesse pensare. Anche perché gli ultimi tre anni sono stati particolarmente crudeli: hanno prima compromesso gli sbocchi commer- ciali tipici (con le chiusure Covid di pub, bar, ristoranti), per poi alzare i prezzi su praticamente tutto (dalle materie prime alle bottiglie, dai cartoni alle lattine) e infine imponendo costi energetici assolutamente improponibili.

Luci e ombre della crescita del mercato italiano

I birrifici sono quindi obbligati - oggi più che mai - a impegnarsi per cercare di raggiungere una buona sostenibilità aziendale, per poter avere un futuro meno cupo. Anche perché l’impressione è che si stia davvero perdendo un treno. Le birre artigianali stentano a decollare, la loro quota di mercato è pressoché stabile da anni, a fronte di un numero di aziende che continua a salire e - soprattutto - di un mercato che registra un’importante crescita. I dati Assobirra dicono che nel 2021 (anno, va ricordato, ancora fortemente segnato da limitazioni Covid, Green pass, limiti ai tavoli, mascherine ecc.) in Italia si sono consumati 20,8 milioni di hl di birra. Nel 2011 il totale dei consumi era fermo a 17,7 milioni: equivale ad una crescita - in 10 anni - del 17,6%. In termini di consumi pro capite, siamo passati da 29,8 a 35,2 litri. Un dato molto confortante, perché uno dei pochissimi col segno positivo in Europa. Per fornire qualche dato esemplificativo, nello stesso periodo (gli ultimi dieci anni) la Slovenia ha perso consumi per 10 litri pro capite, la Germania per 12, la Finlandia per 17, l’Irlanda per 30, il Lussemburgo per 35. I dati non sono sempre semplicissimi da analizzare - non tutte le fonti riportano cifre identiche - ma dicono chiaramente che l’Italia sta vivendo un periodo di crescita nei consumi della bevanda di Cerere. Crescita che però non sembra essere sufficientemente cavalcata dai birrifici artigianali se è vero che (stando alle statistiche Assobirra) la quota di mercato di Heineken è passata dal 29,8% del 2011 al 33,7% del 2021. Cioè in dieci anni il gruppo è passato da 5,3 milioni di hl a 7 milioni di hl. Una crescita di 1,7 milioni di hl, l’equivalente di 1.700 hl per ciascuno dei mille birrifici artigianali attivi nel nostro Paese! Qualcosa, quindi, non funziona. In questi ultimi 10 anni il numero complessivo dei birrifici artigianali è cresciuto di 715 unità (dati Microbirrifici.org: erano 249 nel 2011, diventati 1.064 alla fine del 2021), la cultura della birra di qualità si è certamente diffusa molto, anche la stampa generalista si occupa - non sempre in modo impeccabile, va detto - della divulgazione del nostro amato fermentato, ma l’impressione è che il mondo dei birrifici artigianali non riesca a esplodere e si impone quindi una riflessione molto profonda. Si tratta di una sfida (forse) senza precedenti, ma personalmente credo possa essere vinta, lavorando sulle debolezze del comparto e su quegli aspetti che possono essere migliorati senza stravolgere l’impostazione generale dell’azienda.

Taproom e sai cosa bevi!

Una tendenza fortunatamente già in forte crescita, ma che mi auguro possa prendere ancora maggiore quota. Non c’è nulla di più bello di andare a bere direttamente nella taproom del birrificio, che può anche essere rustica e spartana, può anche non avere un’offerta gastronomica, ma certamente ha il fascino della mescita diretta. Al di là della maggiore marginalità, l’importanza della taproom sta nel rafforzare il legame tra il birrificio e il suo territorio, nel creare un collegamento - fondamentale - tra produttore e consumatore e nel fidelizzare i clienti, molto più e molto meglio di qualsiasi azione marketing.

Devono esserci orari certi (e non aperture sporadiche, mal comunicate e poco chiare) e un servizio accettabile (non basta mettere una spina al muro, bisogna che ci sia qualcuno che accoglie i clienti), ma osservate alcune piccole at- tenzioni, la taproom può avere un ruolo importantissimo nell’economia e nella salute del birrificio. Inoltre, non c’è nulla di più triste di un birrificio chiuso al pubblico, senza la possibilità di poter entrare, dare un’occhiata all’impianto (anche solo da dietro i vetri), assaggiare le birre, comprare qualche bottiglia o lattina da portare a casa. I birrifici dovrebbero essere più accessibili, più facili da trovare. Ancora pochi fanno la vendita direttaalmeno con degli orari strutturati - e ancora meno fanno mescita, è un aspetto invece molto importante. È ovviamente tutto un altro contesto, ma il birrificio Zehendner di Mönchsambach, Germania, produce circa 6000 hl, serve circa 400 hl nella gaststätte (locale di mescita molto semplice, con un suggestivo cortile esterno) ma soprattutto vende la bellezza di 4500 hl direttamente alla porta del birrificio. Equivale ai tre quarti della produzione totale, un dato che mi ha sempre fatto pensare.

Visite guidate per conoscere il birrificio e i suoi prodotti

Un altro elemento rilevante - strettamente connesso con il precedente - è quello delle visite in birrificio. Tra le sue debolezze, la birra artigianale ha certa- mente quella del prezzo, che per molti è un ostacolo e che la allontana decisamente dai prezzi ridicoli non solo delle birre da discount, ma anche dei marchi più blasonati, sostenuti, tra le altre cose, da sponsorizzazioni milionarie (penso alla visibilità di Heineken con la Formula 1, ad esempio). Ma i birrifici artigianali hanno un enorme vantaggio, rispetto alle multinazionali: possono fare vedere la loro azienda, mostrare come a fronte

Mercato Locale E Mercato Globale

L’apertura verso il pubblico, sulla quale personalmente insisto sempre molto, si lega ovviamente al tema di questo primo numero dell’anno. Va ovviamente benissimo il mercato dei locali specializzati, è un onore e un merito se una birra prodotta da uno sperduto birrificio in una provincia periferica trova un suo spazio tra le spine di un pub di Roma, di Londra o di Copenaghen, ma quello che trovo inammissibile è che la birra non sia presente nel bar del paese o comunque nel territorio limitrofo. Un prodotto artigianale è parte integrante della propria terra, dovrebbe essere un vanto e un orgoglio poter bere una birra prodotta nella zona in cui si vive.

Non è solo una questione di microeconomia (comprando una birra locale i soldi rimangono nel mio territorio), ma anche di sostenibilità ambientale; perché la birra dovrebbe viaggiare per migliaia di km? Già lo fanno - quasi sempre - le materie prime, perché deve farlo anche il prodotto finito? Senza contare, ovviamente, la freschezza del prodotto: più la birra è locale e meno c’è il rischio che si sia danneggiata nel trasporto e/o nella conservazione. Il concetto è riassunto ottimamente da uno slogan della americana Brewers Association, che trovo splendido: support your local brewery. Ovviamente però non basta la buona volontà dei bevitori, bisogna che i birrifici investano e credano nel proprio territorio. Può non essere semplice, ma è assolutamente necessario, se si vuole crescere nelle vendite e nelle quote di mercato. Per molti consumatori la reperibilità di alcune apparecchiature che possono sembrare “industriali”, ancora molto del processo sia fatto - appunto - artigianalmente e una visita in birrificio può essere un modo decisamente forte di “capire” e di “entrare dentro” al prodotto. Entrando in birrificio si percepiscono i profumi, si intuiscono la difficoltà e la delicatezza della produzione, si visualizza un processo che - per la maggior parte dei consumatori - è del tutto sconosciuto. E se è vero che la birra artigianale ha bisogno di un po’ di racconto in più, allora la visita guidata potrebbe essere davvero un ottimo strumento, anche remunerativo. Per fare un esempio, il birrificio Maltus Faber organizza visite guidate (con degustazione) al sabato pomeriggio: forse anche grazie a questo, lo spaccio interno al birrificio è diventato il primo cliente per fatturato. Pur non essendo affatto in un luogo centrale (chi si è arrampicato almeno una volta per la val Polcevera sa cosa intendo) il birrificio è diventato un luogo molto impor- delle artigianali è un problema: se non le trovano vanno al supermercato e si rivolgono all’industria. tante per la comunità locale, un punto di riferimento, un centro di aggregazionequello che dovrebbe essere.

Tanta varietà equivale a qualità?

Per estendere il mercato e cercare di mettere la testa fuori dalla famosa “nicchia”, bisogna naturalmente avere il prodotto giusto. Per gli appassionati sono sicuramente molto interessanti le one-shot, le collaboration, le “bombette freschissime” (espressione che detesto fieramente), ma siamo sicuri che la stessa cosa valga anche per i consumatori “normali”? Non si corre il rischio - con costanti novità - di disorientare il consumatore non particolarmente attento?

Sulla piattaforma web Untappd il birrificio Crak ha in elenco la bellezza di 277 birre. È un birrificio nato nel 2015, quindi vuol dire una media di 35 birre nuove all’anno, quasi tre al mese… Non ho nulla contro i ragazzi di Crak - che anzi per tanti aspetti stimo molto e che hanno una taproom che dovrebbe essere presa a modello da tutti i colleghi - ma mi chiedo sinceramente quanto possa essere in difficoltà il consumatore, nella scelta. Anche perché spesso le proposte dei birrifici artigianali sono tutt’altro che facili da bere o da comprendere. Servono birre più semplici, fatte bene ma senza troppi fronzoli, non possiamo pensare di convincere il grande pubblico a colpi di West Coast Ipa o di Pastry Stout.

Comunicare la birra (soprattutto) agli analfabeti birrari

La birra artigianale non deve solo imparare a essere più stabile e più costante da cotta a cotta (alzi la mano chi non ha mai trovato un lotto non in ordine, anche di birre molto blasonate), ma deve anche fare lo sforzo di essere meno spocchiosa, altezzosa, difficile da capire. Se continuiamo a descrivere le birre come “DDH Neipa” è ovvio che i consumatori in grado di capirci qualcosa saranno pochissimi. Il mondo è pieno di gente che non ha la minima idea non solo di che cosa sia una Neipa, ma nemmeno di cosa siano gli stili più diffusi. Pensiamo che chiunque sappia cos’è una Blanche o una Tripel. Non è così!

Recentemente ho partecipato alla commissione d’esame di un corso di degustazione. La maggioranza degli esaminandi non ha saputo dire né le spezie tipiche della Blanche (per alcuni aveva i chiodi di garofano), né il colore della Tripel (per molti era scura). Evidentemente il racconto chi ha fatto la lezione sul Belgio non è stato così avvincente…, ma era un corso di secondo livello! Avrebbero dovuto essere consumatori avanzati! Dovremmo quindi fare tutti un bel passo indietro e cercare di metterci nei panni di un consumatore che in media è quasi all’analfabetismo (birrario). Nell’ultima edizione della Guida alle birre d’Italia abbiamo provato a inserire alcuni descrittori - molto semplici - accanto al nome di ogni birra: dolce, amara, complessa, facile da bere, acida ecc. È un tentativo, non so se sia la strada giusta, ma bisogna assolutamente fare qualcosa per cercare di essere più comprensibili per il grande pubblico.

Anche l’occhio vuole la sua parte

Le migliori birre italiane sono tra le più buone al mondo. Non è solo parere mio, i nostri birrai sono bravissimi e alcune nostre birre sono anche bellissime da vedere, originali nelle loro bottiglie particolari, oppure molto efficaci nelle moderne grafiche delle lattine. Non tutti i birrifici però sono a un livello sufficiente. Alcuni fanno ottime birre, ma le “vestono” in modo pessimo e certamente questo non aiuta. In più, pochissimi birrifici hanno un archivio digitale con le immagini dei loro prodotti. Mi è capitato, più di una volta, di chiedere a un birraio una foto di una sua birra e di sentirmi rispondere «scusa, non ce l’ho, ma te la faccio» per poi ricevere poco dopo una foto fatta con il cellulare, storta e sfocata. Non va bene. I birrifici vendono birre, dovrebbero avere un archivio pronto, con tutte le foto e - ovviamente - un sito internet all’altezza, dove le birre devono essere presenti, aggiornate, presentate con tutti i dettagli necessari.

I nostri birrifici hanno enormi potenzialità. Alcuni producono birre splendide, tutti possono essere una valida alternativa alle birre delle multinazionali. In Italia ci sono circa 150 mila bar. Se uno su due consumasse un fusto da 30 litri alla settimana di birra artigianale, sarebbero un milione 170 mila hl all’anno, più di 1000 hl per ogni birrificio esistente (per molti sarebbe raddoppiare la produzione). Molta strada è stata fatta, molto terreno è stato seminato, ma ora è giunto davvero il momento di fare di più e meglio.★

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