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HOMEBREWING ieri e oggi

La produzione casalinga di birra in Italia ha ormai raggiunto i 28 anni di piena liceità legislativa: è infatti del 1995 il “Testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative” che, all’articolo 34 comma 3 recita: “è esente da accisa la birra prodotta da un privato e consumata dallo stesso produttore, dai suoi familiari e dai suoi ospiti”. In realtà, anche prima del 1995 esistevano birrificatori casalinghi che, nell’ombra, si dedicavano a questa attività, pur con grandi difficoltà per il reperimento delle materie prime. I più fortunati abitavano in prossimità dei pochi impianti industriali di produzione birraria presenti nel nostro paese, e da un amico o parente riuscivano in qualche modo a ottenere qualche pugno di malto o una bottiglietta di slurry di lievito. Altri si rivolgevano ai rivenditori di estratto di malto per panificazione e alle erboristerie per ot- tenere luppoli dalle improbabili qualità amaricanti e organolettiche. Eliano Zanier (successivamente fondatore della PAB Mr Malt) rivendeva sin dal 1991 kit di importazione per “creare in casa la bionda spumeggiante”, inevitabile giro di parole per non inserire in etichetta e nei listini il termine “birra”, a quel tempo illecito.

Personalmente, nel 2023 giungo al quarto di secolo di brassazioni casalinghe e vorrei condividere alcune riflessioni sullo stato dell’hobby con i lettori di Birra Nostra Magazine. Tante cose sono cambiare rispetto al 1998, anno in cui la nascita del newsgroup it.hobby.birra creò la prima comunità virtuale di homebrewer. Erano gli albori di internet e sulle piattaforme unicamente testuali venivano scambiati consigli tecnici, ma si organizzavano anche incontri reali di assaggio delle proprie produzioni casalinghe. I primi concorsi per appassionati sarebbero partiti un paio d’anni dopo, nel 2000.

Come cominciava a brassare in quegli anni l’homebrewer principiante? Già l’essere a conoscenza della possibilità di realizzare birra autoprodotta era una conquista: i pochissimi appassionati pensavano spesso di essere gli unici tra tutti i propri conoscenti, se non nella propria città, a praticare l’hobby. Qualche negozio brico e fai-da-te iniziava a proporre i kit di estratto luppolato, posizionati (quasi nascosti) tra gli accessori di vinificazione e le attrezzature per la passata di pomodoro. La scoperta di altri homebrewer avveniva spesso grazie alle prime chat e newsgroup di internet: io stesso ero a venuto a conoscenza della birrificazione casalinga grazie a un viaggio di fine anni ’80 nel Regno Unito e alla rivelazione del reparto dedicato all’homebrewing in un supermercato, ma è solo grazie a it.hobby.birra che nel 1998 ho scoperto che anche in Italia esisteva un fornitore di attrezzature e materie prime. Altri centri di aggregazione erano i primi birrifici artigianali che non di rado erano disponibili a offrire i

Fonti E Libri

Agli albori della birrificazione casalinga le informazioni tecniche erano molto limitate: il passaparola era il modo più usato per avere qualche suggerimento sulle procedure e i libri sull’argomento si potevano contare sulle dita di una mano, considerando anche quelli di lingua inglese. Il primo manuale testuale è stato scritto da alcuni homebrewer e messo a disposizione su it.hobby.birra (le “megafaq”). In 25 anni è cambiato tanto su questo aspetto: molti brassatori casalinghi della prima ora (io tra questi) si sono impegnati a fare divulgazione attraverso blog e siti internet, e molte informazioni tecniche sono state messe a disposizione con questa modalità, aiutando a incrementare il numero di appassionati. Il numero di libri sull’argomento è stato in costante crescita, giungendo oggi ad avere una disponibilità di almeno una trentina di titoli di alto livello in lingua italiana dedicati alla birrificazione casalinga, tra traduzioni di testi stranieri e volumi originali. Anche i contenuti sono progressivamente mutati, passando da manuali generalisti a specializzazioni tecniche elevate, con contenuti di potenziale interesse anche per birrai professionisti. Oggi, di fatto, l’homebrewer italiano ha facile accesso a un know-how particolarmente evoluto, oserei dire il completo e attuale stato dell’arte brassicola. propri locali per eventi a tema: in fondo si trattava di impegnarsi per fare conoscere a tutti l’altra birra, non filtrata e non pastorizzata e quella prodotta nella propria cucina era quasi paragonabile, concettualmente, a quella brassata in un brewpub.

Attrezzature e materie prime Tanti homebrewer hanno iniziato il proprio percorso con i noti estratti luppolati, barattoli di estratto di malto che consentivano (e consentono) di limita- re lo sforzo produttivo alle sole fasi di fermentazione e di imbottigliamento: l’attrezzatura necessaria si poteva limitare quindi a un paio di fermentatori in plastica e qualche accessorio, come tubi per travasi e tappabottiglie. Qualcuno manteneva questo approccio facilitato nel corso dell’intera carriera di homebrewer, ma la maggior parte di quelli che si appassionavano alla fine giungevano alla conclusione che era sicuramente più stimolante prendere in mano le redini di ulteriori variabili produttive per personalizzare le proprie creazioni. Spesso, dopo un periodo di test produttivi nella modalità “estratto di malto più grani”, in cui l’equipaggiamento veniva implementato da una semplice pentola o poco più, si giungeva al procedimento completo “all grain”.

In questo caso, il fai-da-te era la modalità più utilizzata: pentole usate su fornelli di cucina o, per i più ardimentosi, su fornelloni da salsa di pomodoro, filtrazioni in secchi di plastica forati o per mezzo di maglie di acciaio (bazooka). Il pHmetro era la dotazione tecnologica più avanzata a disposizione. Nel corso degli anni la disponibilità di attrezzature è progressivamente aumentata, anche a costi maggiormente accessibili, ma ritengo che il punto di svolta per la crescita del numero di appassionati sia avvenuto a partire, approssimativamente, dal 2010 con l’apparizione dei macchinari all-in-one, dapprima abbastanza costosi ma successivamente con versioni sufficientemente economiche per attrarre chi voleva realizzare il procedimento produttivo completo con una modalità semplice e rapida. Non amo particolarmente questi impianti per ragioni squisitamente tecniche, ma ammetto che è una soluzione particolarmente comoda per chi desidera utilizzare l’elettricità (e non il gas) e non dispone di spazi adeguati a pentole e tini di filtrazione. A parte l’aspetto produttivo, alcuni sviluppi legati al servizio della birra non erano nemmeno immaginabili pochi anni fa: oggi sono disponibili sistemi di inlattinamento in contropressione per homebrewer! Mi chiedo tuttavia se ha senso effettuare investimenti così cospicui per pochi litri prodotti in casa.

Per le materie prime, PAB Mr Malt, l’unico rivenditore italiano sino ai primi anni 2000, inizialmente offriva una discreta varietà tra malti, luppoli e lieviti ma nulla di paragonabile alle disponibilità di un odierno homebrewer: sono vertiginosamente aumentate le varietà coltivate di luppolo e disponibili ai birrificatori casalinghi; nuovi rivenditori offrono oggi cereali di ogni tipo da malterie sparse per il globo e il numero di ceppi di lievito utilizzabili è a tripla cifra. Anche lo sviluppo della logistica ha contribuito a fare arrivare all’homebrewer prodotti sempre più “freschi” e qualitativamente rilevanti.

Costi

L’incremento quantitativo della platea dei birrificatori casalinghi (diverse deci- ne di migliaia oggi in Italia) e l’ingresso di nuovi operatori commerciali ha consentito di rendere il mercato maggiormente competitivo e di ridurre i prezzi di attrezzature e materie prime. Se consideriamo l’attuale congiuntura economica come meramente transitoria (almeno speriamo lo siano pandemia, guerre e pressioni sull’energia) è indubbio che, a parità di potere d’acquisto, costerebbe oggi meno farsi la birra in casa rispetto a 25 anni fa. La questione è forse che oggi quasi nessun homebrewer produce più birra nelle pentole con attrezzatura minimale e tutti si affidano a impianti semiautomatici con un certo investimento iniziale; probabilmente il costo/litro di autoproduzione è di fatto incrementato, anche in considerazione della enorme diffusione di approcci produttivi che includono luppolature elevatissime: forse il luppolo è diventato oggi il costo variabile maggiormente incisivo in un boccale.

Motivazioni

In quasi 30 anni di homebrewing in Italia le aspirazioni del birrificatore casalingo medio sono rimaste sostanzialmente le stesse oppure sono cambiate? È interessante soffermarsi su questo aspetto perché, secondo me, può dare qualche indicazione sul possibile futuro dell’hobby. Sino ad alcuni anni fa le motivazioni per impegnarsi nella produzione birraria domestica erano probabilmente abbastan- za differenziate, ma ritengo che quella più diffusa fosse quella di sopperire a un mercato commerciale relativamente limitato: le disponibilità di etichette diverse dalle classiche mass-market lager da supermercato erano minime e il consumatore che avesse desiderio di degustare stili birrari meno diffusi era quasi costretto all’autoproduzione. L’hobbista si rendeva immediatamente conto del fatto che – soprattutto per certi stili – la filtrazione, la pastorizzazione e la minor freschezza della gran parte delle birre commerciali limitava l’impatto organolettico nel bicchiere e che una birra casalinga, pur con tutte le limitazioni in know how e attrezzatura, risultasse migliore rispetto a molte bottiglie acquistate. La sperimentazione era poi un elemento fondamentale: ricreare stili non distribuiti in Italia oppure estinti se non addirittura inventare nuove ricette era un punto fermo nel bagaglio esperienziale di ogni homebrewer della prima ora. La nascita dei birrifici artigianali ha, da un certo punto di vista, smorzato queste due motivazioni: l’ampia diffusione di brewpub e tap room permette oggi all’appassionato di apprezzare birre non pastorizzate, fresche, quasi a km zero e l’autoproduzione alla ricerca della qualità del prodotto non è ormai più così strettamente necessaria.

L’approccio sperimentativo è stato progressivamente acquisito da tantis- simi birrifici artigianali nati negli anni e, anzi, il “famolo strano” è stato elemento distintivo di molti marchi birrari artigianali, al punto che si può affermare che “è stato provato quasi tutto” nell’approccio inusuale alla birra: con oltre 1600 birrifici in Italia (tra quelli con impianto proprio e beer firm), la ricetta birraria “strana” è sempre stata elemento di marketing cavalcato in funzione di un aumento di visibilità nel mercato, pur se, purtroppo e non di rado, con risultati qualitativi poco apprezzabili.

Guardando alle singole esperienze dei birrifici artigianali in Italia, soprattutto negli anni dell’esplosione dell’incremento numerico del settore (2006-2016), è evidente come l’homebrewing abbia rappresentato un motore di crescita fondamentale: tanti birrificatori casalinghi, ispirati dai primissimi birrifici e brewpub, hanno fatto di quest’hobby una vera e propria palestra e trampolino di lancio professionale per l’apertura di un proprio birrificio. Il passaggio dalle pentole agli impianti, in un paese come il nostro, senza scuole birrarie storiche e centri di formazione universitari, era probabilmente l’unica soluzione attuabile negli anni sopra citati. Ovviamente ci sono state eccezioni: alcuni aspiranti birrai italiani sono andati all’estero (Germania e Regno Unito principalmente) per conseguire diplomi nei noti centri di formazione birraria, ma hanno rappresentato una minoranza nell’esperienza formativa del nostro paese.

Probabilmente oggi, in un mercato birrario divenuto altamente competitivo, questo approccio non è più vincente: per emergere sono necessari investimenti molto rilevanti ed economie di scala sufficienti a generare un giro di affari adeguato e la gestione degli impianti, della cantina e di altri aspetti tecnici e commerciali diventano elementi parimenti fondamentali rispetto alle conoscenze di materie prime e processo che l’esperienza di homebrewing può fornire a un birraio. Chi aspira alla professione dovrebbe, a mio parere, perseguire una seria e completa formazione accademica: non è più tempo per autodidatti.

Quindi, in considerazione di quanto sopra, ha ancora senso l’homebrewing oggi? Certamente sì: per personalizzazione di approccio, per soddisfazione personale, come occupazione solitaria o di gruppo continua a essere una delle migliori attività casalinghe. Ma immaginandolo esattamente come attività di hobby, inteso letteralmente citando il dizionario Treccani: “occupazione, diversa da quella a cui si è tenuti professionalmente, alla quale ci si dedica nelle ore libere, per svago ma con impegno e passione”. ★

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