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L’INTERVISTA
FABIANO TOFFOLI e il luppolo a Km O!
Se si pensa alle coltivazioni tipiche della campagna italiana si pensa ai vigneti, agli alberi da frutto ai più disparati cereali ma non certo al luppolo... questo almeno fino ad una decina di anni fa. Da qualche anno infatti alcune aziende agricole si sono convertite passando dalla coltivazione o dall’allevamento, al luppolo! Una scelta strategica che ha permesso di diversificare la produzione e di ritagliarsi un posto di tutto rispetto in un settore considerato innovativo. Fabiano Toffoli, responsabile della produzione di 32 Via dei Birrai dal 2014 coordina la coltivazione di luppolo nei colli Asolani in provincia di Treviso; il birrificio, forte dell’esperienza, finanzia un piccolo centro di trasformazione nell’azienda agricola di Roberto De Paoli che è passato dalla cura e dall’allevamento delle vacche da latte alla produzione di luppolo. «Roberto ha creduto da subito nel progetto» dichiara Toffoli «un progetto sicuramente ambizioso iniziato insieme nel 2013 e che all’inizio ha viaggiato in parallelo con l’allevamento delle vacche da latte la cui stalla però, nel giro di un paio d’anni, è stata allestita per la lavorazione del luppolo; l’ottimo raccolto del 2019 ha confermato la lungimiranza di Roberto che oggi affianca a pieno titolo il luppolo ad altri tipi di coltivazione». Oggi il luppolo di Monfumo, coltivato nelle colline trevigiane, ha permesso a 32 Via dei Birrai di accorciare ulteriormente la filiera e di usarlo nella produzione di tre tra le birre prodotte, a conferma della scelta di collaborare con gli agricoltori locali per consolidare il legame con il territorio.
Fabiano Toffoli, mastro birraio responsabile della produzione per 32 Via dei Birrai
«La nascita di quello che viene definito il “distretto del luppolo e del farro” che ha sede proprio a Monfumo» continua Toffoli «è stata sicuramente condizionata dal fatto che le quote di territorio da dedicare ai vigneti erano finite e che quindi bisognava trovare il modo di diversificare la produzione. La coltivazione del luppolo è simile a quella dell’uva, gli investimenti analoghi e i ricavi paragonabili così come anche le ore lavoro per ettaro; è stato quindi logico, per un territorio come quello trevigiano, vedere nel luppolo il naturale sviluppo e un modo per non perdere un know how di conoscenze e tecniche che da generazioni permettono alla marca trevigiana di mantenere la sua forte identità agricola.
100% Italiana anche nella grafica. Ambita è l’ultima nata in casa di 32 Via dei Birrai prodotta con prodotti tutti italiani
Nella gestione delle piante la conoscenza del terreno, di malattie come la peronospera, dei tempi di maturazione che gli agricoltori della zona hanno sempre dedicato alle viti sono risultati vincenti per ottenere l’ottimo raccolto del 2019 in attesa di vedere quello di quest’anno. Del resto il luppolo come la vite soffre le malattie fungine, non ama l’umidità, ha bisogno di una leggera ventilazione notturna e di un ambiente privo di ristagno come ad esempio quello collinare. Qui nell’asolano abbiamo tutti questi elementi motivo per il quale il luppolo è diventato davvero una valida alternativa alla coltivazione dell’uva». Se è vero che l’accordo tra 32 Via dei Birrai e contadini per la produzione di luppolo esisteva prima della nascita del “distretto del luppolo e del farro” bisogna anche dire che nel tempo il progetto si è allargato ed oggi raccoglie giovani del territorio, alcuni figli d’arte cresciuti coltivando la terra, altri che invece hanno
CONSORZIO BIRRA ITALIANA PER IL LUPPOLO Carlo Schizzerotto è il direttore generale del Consorzio Birra Italiana per la tutela e la promozione della birra artigianale italiana. Diretta emanazione di Coldiretti il Consorzio ha lo scopo di raccontare e promuovere la qualità delle materie prime e delle birre artigianali italiane, vero elemento di distinzione e di legame con il territorio italiano, favorendo la coltivazione di orzo, dal quale si ricava il malto e del luppolo, principali materie di base per la preparazione della birra. «Il Consorzio» ci spiega Schizzerotto «pone l’accento sulla filiera nazionale, dobbiamo recuperare le nostre specificità con una produzione di cereali e di luppolo italiani. Con i cereali siamo a buon punto, disponiamo di due malterie e siamo in grado di tracciare la produzione; con il luppolo la strada è ancora lunga. Oggi in Italia sono 60 gli ettari coltivati a luppolo, 964 le aziende italiane e i micro birrifici sparsi sul territorio nazionale tra cui 100 produttori di luppolo. Poco per fare quel salto culturale che la birra artigianale richiede e che potrebbe promuovere; pensiamo ad esempio al settore dell’indotto o alla possibilità per i birrifici di avere accesso a materie prime su quantità utili. Investire sulle materie prime, sul luppolo in particolar modo significa investire sulla caratterizzazione italiana della birra. Il legame vero della birra con il territorio è il terroir della birra; ma si tratta di una filiera che va costruita sia nella sua parte scientifica sia in quella produttiva. Sul mercato oggi ci sono buoni esempi ma ancora molto lavoro da fare!»
Roberto De Paoli nel suo luppoleto
trovato nel luppolo e nella birra artigianale una passione ed anche un secondo lavoro o un modo diverso per investire valorizzando la propria identità territoriale e magari anche le conoscenze di marketing acquisite. Produrre luppolo non basta; un’azienda che intende perseguire questo tipo di coltivazione deve innanzitutto garantirsi un contratto di filiera contadino/birrificio che permetta di garantire al prodotto una destinazione certa, avere una visione strategica e soprattutto un piano marketing e social che permetta di valorizzare il prodotto. Non serve produrre luppolo se non si ha a chi venderlo e se non lo si fa sapere!». Diversificare è quindi la parola chiave che riguarda non solo la produzione ma anche il gusto. «L’aroma del luppolo dipende anche dalla temperatura durante il raccolto» spiega Toffoli «l’ambiente mediterraneo italiano permette quindi di raggiungere aromi più intensi e allo stesso tempo offre la possibilità di coltivare molteplici varietà di luppolo. Il
nostro Paese, date le sue particolarità territoriali, rappresenta un’opportunità per questo tipo di coltivazione; la scelta dei luppoli contribuisce a caratterizzare la birra di un birrificio artigianale sia da un punto di vista di origine geografica sia sensoriale, infondendo ai prodotti personalità e aromi caratteristici». Se è vero che nomen omen un progetto ambizioso non poteva che determinare la nascita di una birra dal nome altrettanto evocativo. Ambita è l’ultima nata di 32 Via dei Birrai, lanciata sul mercato a giugno rappresenta un prodotto completamente italiano, dal concept ai prodotti utilizzati per la produzione: l’orzo è veneziano, il luppolo non poteva che essere asolano così come le mani che l’hanno lavorato, il lievito è anch’esso trevigiano e la bottiglia arriva invece dalla provincia di Mantova... ma soprattutto, orgoglio italiano, il luppolo utilizzato è stato analizzato dal CERB (Centro di Eccellenza per la Ricerca sulla Birra) ed è risultato migliore rispetto alla stessa varietà coltivata in Belgio! Una birra genuina creata nel rispetto delle materie prime come testimoniano le prove cristallografiche che hanno determinato “un insieme armonioso e dinamico di forze vitali che testimonia la cura nelle lavorazioni eseguite, il rispetto delle qualità iniziali delle materie prime”. ★
LUPPOLO E TERRITORIO. I DATI UFFICIALI AL 31.12.2018 DI CREA Per meglio conoscere i dati relativi alla produzione annua di luppolo ci siamo rivolti a Katia Carbone, ricercatrice CREA (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria) che ci ha spiegato della difficoltà di disporre di dati certi per il fatto che la coltivazione del luppolo gode di più codici, tra loro diversi, rendendo praticamente impossibile riuscire a tracciarne in maniera obiettiva la filiera. I dati più aggiornati in mano all’Ente collegato al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali sono quelli relativi al 31 dicembre 2018 che hanno portato al censimento di 88 luppoleti commerciali corrispondenti a circa 56 ettari di superficie coltivata, localizzati prevalentemente in Emilia Romagna, Lombardia, Veneto e Lazio.
Attualmente sono stati censiti 88 luppoleti commerciali, corrispondenti a quasi 56 ettari di superficie coltivata
Dei luppoleti censiti, più della metà sono stati verificati mediante questionario e sopralluoghi aziendali
La superficie nazionale media stimata coltivata a luppolo è risultata essere pari a 6351 mq
Mappa dei luppoleti italiani con superficie superiore o pari a 1000 metri quadrati aggiornata a dicembre 2018