Birra Nostra Magazine 5_2023

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BIRRA NOSTRA

NOVITÀ, DEGUSTAZIONI, PRODUZIONI, ITINERARI NEL MONDO BIRRARIO

BIRRE E INCLUSIONE SOCIALE

UNA REALTÀ SEMPRE PIÙ CONCRETA

di

Lorenzo “Kuaska” Dabove

LA BIRRA ARTIGIANALE FA SCHIFO!

di

Norberto Capriata

BERGAMO BRESCIA 2023 CAPITALE

DELLA CULTURA… BIRRARIA

di

Erika Goffi

FOCUS

Birre Sour

a cura di Giorgia Bertan N.5| OTTOBRE 2023 MAGAZINE
PROVOCAZIONI TERRITORIO

L’ACCOGLIENZA in un bicchiere (di birra!)

Che la birra, artigianale, potesse rappresentare un modello di inclusività lo si era capito già dalle prime cotte quando, pur non riuscendone mai una uguale all’altra, tutte venivano accolte, studiate, assaggiate e degustate dai consumatori. Se è vero però che, con il tempo, alcuni stili si sono uniformati è altrettanto vero che ancora oggi ci sono birre per tutti i gusti: quella più dolce, quella più amara, quella più alcolica e via dicendo in una moltitudine di colori e gusti che include e accoglie sempre di più. In questo numero grazie a Lorenzo Dabove, alias Kuaska e ad Eleni Pisano, andiamo alla scoperta dell’aspetto “sociale” della birra, della sua manifesta capacità di includere e di essere aggregante non solo attorno ad un tavolo con il bicchiere in mano ma soprattutto nelle fasi di lavorazione, o ancora nella nascita di progetti che mettono al centro lavoratori considerati svantaggiati facendoci così comprendere come una possibilità debba essere data soprattutto a chi pensa di non farcela, a chi ha sbagliato o a chi non è riuscito a trovare il suo posto nel mondo. La testimonianza di don Davide Riboldi, cappellano del carcere di Busto Arsizio è preziosa perché ci restituisce la consapevolezza che tutti hanno bisogno di qualcuno che creda in loro o che, quantomeno, gli prepari una buona ricetta per ottenere una ottima birra da commercializzare! A Eleni Pisano il compito invece di prendere in considerazione gli aspetti più strettamente legislativi e di gettare uno sguardo alle già presenti

realtà che coinvolgono lavoratori svantaggiati che, grazie alla loro presenza, riescono a dare valore aggiunto a progetti che mettono la qualità (anche delle relazioni) al centro del processo produttivo! Meno gentile il contributo di Norberto Capriata, centrato su un titolo provocatorio che vuole fare chiarezza in un settore spesso denigrato perché… poco conosciuto. L’analisi di Matteo Malacaria nel mondo del marketing birrario continua all’insegna del connubio con il turismo mentre spetta ad un lavoro a tre mani firmato da Mario Cariello, Francesco Licciardo e Katya Carbone, fare il punto sul posizionamento web della birra artigianale con una ricerca fresca delle ultime tendenze 2023. I contributi più tecnici legati all’homebrewing sono di Giorgia Bertan con un focus sulle birre sour e di Andrea Camaschella che, dopo aver ricostruito l’identikit della Tipopils, propone una ricetta per una produzione casalinga. Roberto Muzi prosegue la sua narrazione gastronomica concentrandosi in questo numero sulla selvaggina. Infine ad Erika Goffi e a me il compito di stuzzicare i nostri lettori con le proposte di viaggi e gite fuori porta alla scoperta delle vicine città di Bergamo e Brescia, viste come un’unica capitale non solo della cultura tout court ma anche di quella birraria e la presentazione di un breve itinerario ospitato nel volume Nord Est di Turismo birrario - Guida per viaggiatori in fermento curato da Luca Grandi con il contributo di Pierluigi Bruzzo e Gabriele Navoni edito da Edizioni LSWR.

Buona lettura e buona bevuta!

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 1 ottobre 2023 Editoriale
MIRKA TOLINI Professionista della scrittura e della comunicazione, collaboro da dieci anni al progetto Birra Nostra
2 BIRRA NOSTRA MAGAZINE ottobre 2023 SEGUICI SU facebook.com/BirraNostraMagazine IN QUESTO NUMERO... EDITORIALE L’accoglienza in un bicchiere (di birra!) 1 INCLUSIVITÀ Birra e inclusione sociale 4 di Lorenzo “Kuaska” Dabove INCLUSIVITÀ/2 Il lato gentile della birra artigianale 10 di Eleni Pisano PROVOCAZIONI La birra artigianale fa schifo! 16 di Norberto Capriata MARKETING Uno, nessuno, centomila turismi (seconda parte) 24 di Matteo Malacaria HOMEBREWING Scorciatoie per la produzione di birre sour 30 di Giorgia Bertan 4 24 16 10 NOVITÀ,
MAGAZINE
DEGUSTAZIONI,
PRODUZIONI, ITINERARI NEL MONDO BIRRARIO
BIRRA NOSTRA

Birra Nostra Magazine - Bimestrale

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Hanno contribuito a questo numero Giorgia Bertan, Andrea Camaschella, Norberto Capriata, Katya Carbone, Mario Cariello, Lorenzo “Kuaska”

Dabove, Erika Goffi, Francesco Licciardo, Matteo Malacaria, Roberto Muzi, Eleni Pisano, Mirka Tolini

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BIRRA NOSTRA MAGAZINE 3 ottobre 2023 MERCATO Birra artigianale e ricerche on-line 36 Tendenze e posizionamento web di Mario Cariello, Francesco Licciardo, Katya Carbone TERRITORIO Bergamo Brescia 2023 42 Capitale della cultura… birraria di Erika Goffi GASTRONOMIA Oltre il concetto di selvaggina 50 di Roberto Muzi BIRRE E BIRRIFICI Artigianali e iconiche: Tipopils di Birrificio Italiano 56 di Andrea Camaschella TURISMO BIRRARIO Tour nelle colline del Prosecco tra Conegliano e Valdobbiadene 62 di Mirka Tolini
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BIRRE E INCLUSIONE SOCIALE Una realtà sempre più concreta

Da sempre affermo e ripeto in pubblico come la birra sia la bevanda più socializzante del pianeta, su questo non credo ci possano essere dubbi, ma la consapevolezza di poterlo affermare con ancor più convinzione avvenne a inizio secondo millennio parlando con il mio carissimo amico JeanMarie Rock, il geniale, iperpolemico e iconico birraio della Brasserie d’Orval! Mi raccontò di aver accettato, con entusiasmo e un pizzico d’incoscienza, di

aiutare l’amico Christian Robert che nel piccolo villaggio di Casteau, nei pressi della foresta di Soignies, voleva dar vita al birrificio Augrenoise, figlio di un encomiabile progetto di inclusione di persone con disabilità intellettiva, ospiti dell’adiacente istituto Saint-Alfred.

Jean-Marie non solo svolgeva il ruolo, una volta al mese, di mastro-birraio ma forniva anche il prezioso lievito d’Orval. Avevo bevuto anni prima una birra del Nord della Francia, se non sbaglio, che

di nome faceva Orient-Express, di un birrificio che impiegava persone disabili, come era riportato in etichetta, ma toccare con mano, in un’indimenticabile visita con Jean-Marie, la realtà di Augrenoise mi segnò aprendomi un nuovo mondo. Di questo e di altro in relazione ai cosiddetti birrifici sociali, con una completa mappatura di quelli presenti nel nostro paese, parlerò approfonditamente in un prossimo articolo di Birra Nostra Magazine, ma in questa sede vor-

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Dabove
di Lorenzo “Kuaska”

rei citare due meravigliose storie, fulgidi esempi d’inclusione sociale. Dagli albori ai giorni nostri: la prima storia è quella dei ragazzi della Vecchia Orsa, veri e propri pionieri e la seconda, recentissima, quella del Progetto Prison Beer, fortemente e caparbiamente voluto da un “prete di galera”, come lui ama definirsi.

Vecchia Orsa

Conobbi Enrico Govoni e i suoi amici all’inizio della loro avventura. Tutto partì dalla cooperativa sociale FattoriaAbilità, una fattoria didattica creata per avere un laboratorio protetto per lavoratori diversamente abili. Quando Enrico, con Roberto Poppi, scoprì il progetto, per caso, propose di fare birra artigianale. Con qualche anno di homebrewing alle

spalle Enrico e Roberto iniziarono, in un casolare di campagna messo a disposizione dalla cooperativa, lo sviluppo dell’impresa sociale: la cucina era la sala cotta, il soggiorno la zona imbottigliamento e lo sgabuzzino la cella dove rifermentare la birra. Lo stabile si trovava nel podere Orsetta Vecchia, in via degli Orsi di Beni Comunali di Crevalcore (BO), da cui fu tratto il nome del birrificio.

Mi portavano le prime produzioni che io quasi sempre bocciavo, per amore, ma le bocciavo. Ricordo una saison infetta assaggiata nel cortile di Casa Baladin con relative amorevoli “frustate”

al birraio. Ma poi le cose radicalmente cambiarono e fu proprio una speziata e rustica saison (chiamata poi Utopia) che mi fece intuire come fosse stato fatto un grande passo in avanti.

Il terremoto del 2012 fu uno spartiacque: distrusse la vecchia sede del birrificio a Crevalcore. La notizia fu spunto di una immediata gara di solidarietà e in meno di un mese le scorte di magazzino furono vendute ad appassionati e sostenitori. C’era, sulla carta, un progetto di espansione, ma ancora nulla di concreto e così, nel giro di tre mesi fu identificata una nuova sede. Per un breve periodo le birre furono realizzate presso altri birrifici “amici” e dopo appena un anno Vecchia Orsa aprì un nuovo stabilimento a San Giovanni in Persiceto, grazie anche all’apporto di tanti volontari e persino di altri birrifici (Lambrate, Birrificio Emiliano, Statale Nove e altri) che supportarono la rinascita.

Da allora, fattori fondamentali come la costanza e riconducibilità legati alla personale interpretazione degli stili rappresentano, a mio avviso, l’arma vincente (suffragata dai numerosi premi ricevuti) di questo affiatatissimo gruppo con i due simpaticissimi “inclusi” Mimmo e Valerio.

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Enrico Govoni, birraio di Vecchia Orsa

? Ciao Don, ti presenti ai nostri lettori e ci parli della tua attività come cappellano del carcere di Busto Arsizio e del progetto Valle di Ezechiele?

Ciao Lorenzo, ciao a tutti! Sono molto lieto dello spazio in cui mi ospiti e dell’opportunità di dare voce a chi non ha voce. O meglio... a chi ha una voce, soffocata dai propri sbagli e quindi, spesso, non ascoltata. Sono un “prete di galera” da cinque anni e quando si entra in carcere si viene sommersi da tanta umanità sofferente, da tanta solitudine e... da tanta incapacità di immaginare un futuro, diverso dal passato che ti ha trascinato dentro. Mi sono detto: da dove posso cominciare? Da quale pezzo di vita, per provare a rimettere insieme cocci di esistenze talvolta così slabbrate da far cadere le braccia e far perdere ogni speranza in partenza? Cominciamo dal lavoro! Del resto, l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro: questo l’incipit della nostra Costituzione, no? Anche la Genesi dice che il lavoro è parte dell’uomo, creato e pensato da Dio. Con alcuni amici ho dato vita alla Cooperativa Sociale La Valle di Ezechiele: riprende una epica profezia, al libro 37 del profeta Ezechiele, nella Bibbia: una valle piena di ossa inaridite, la voce

Non perdetevi questo link: https://vecchiaorsa.it/staff/

Prison Beer

Circa quattro anni fa mi chiamò Don David Riboldi, cappellano del carcere di Busto Arsizio, per propormi di collaborare e supportare un progetto legato alla sua genuina passione per le birre. Già al nostro primo incontro, per visitare un rudere che nella nostra fantasia avrebbe dovuto diventare un birrificio totalmente gestito da ex detenuti, fui colpito dalla sua energia e dal suo entusiasmo contagioso. Abbandonata poi l’idea di

tonante di Dio, che risuona sulle labbra del profeta, le ossa che si rimettono in sesto; la carne, i nervi, lo spirito. Tutti in piedi, per una vita nuova! Abbiamo avviato l’attività in un capannone a pochi chilometri dal carcere di Busto Arsizio. Era il novembre 2020. Inizialmente ci occupavamo di sbavatura della gomma, poi gli assemblaggi, quindi la digitalizzazione degli archivi cartacei. In quasi tre anni sono state 22 le persone scarcerate, venute a lavorare da noi o presso nostri partner sul territorio e nessuno di loro ha commesso nuovi reati. Aggiungiamo ad oggi, per umiltà e scaramanzia, ma questi sono fatti, non parole. E io, di parole, ne dico tante... per quanto anche il buon Kuaska sia un predicatore, per nulla avaro di parole..!

aprire un birrificio, ne nacque una più praticabile, ossia farsi fare le birre da produttori che impiegassero un detenuto. Dopo varie vicissitudini (raccontate più sotto dallo stesso Don David) ha da pochi mesi visto la luce una hoppy ale nata, come espressamente richiesto da lui, da una ricetta (udite udite) mia! Avevo messo lo zampino, come tutti sanno, nella Mummia del grande Riccardino Franzosi (Birrificio Montegioco) e altre volte dato dei suggerimenti sugli ingredienti poi applicati dai birrai ma una ricetta interamente mia, questo non è mai accaduto.

?

Superare pregiudizi è sempre stato difficile ma tu ce l’hai fatta! Quali sono stati gli ostacoli maggiori che hai dovuto affrontare?

“Ce l’hai fatta a far superare i pregiudizi”: magari! Direi che è un’affermazione audace e onirica. Sapete che per trovare un capannone ci ho impiegato un anno? Ne abbiamo girati parecchi e quando mi chiedevano chi ci avrei messo dentro a lavorare, la risposta era, immancabilmente: no beh, se si

tratta di carcerati, allora no. Io insistevo e assicuravo che le rate dell’affitto fossero garantite. Ma quei soldi non piacevano. Gesù dice: “Non giudicate, per non essere giudicati” ma non è che sia molto ascoltato... anche Lui. Tuttavia qualcosa si muove. Devo dir la verità: il progetto birra, in particolare, regala emozioni impreviste. Quando racconto che ho dato lavoro ai carcerati, tutti commentano: “è giusto”. Quando dico che ci faccio la birra, dicono: “che bello!”. Non solo. L’idea di fare i cesti di Natale con prodotti alimentari dalle carceri di tutt’Italia - in sacchi di juta, a mo’ di refurtiva - ci ha fatto venire la voglia di generare qualche prodotto a marchio La Valle di Ezechiele. Non abbiamo una pasticceria, ma ci siamo detti: se un laboratorio del territorio prendesse uno dei nostri a lavoro, potrebbe produrre i panettoni per noi. Questa è stata l’idea ed è una sfida fantastica: portare in casa altrui braccia galeotte. E funziona! L’azienda Colombo 1933 che produce i panettoni, la CalloniTex i sacchi in juta, il birrificio The Wall la birra: aziende che hanno superato i pregiudizi accogliendo a lavoro persone che abbiamo potuto scarcerare e avviare a una vita nuova, grazie a loro. E anche un po’ alla mia testa dura. Ma i pregiudizi sono ben

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INCLUSIVITÀ

Qualità

la progettiamo, la costruiamo, la imbottigliamo

E la coltiviamo dal 1946, con la stessa passione e l’instancabile spirito d’innovazione con cui costruiamo ogni singolo pezzo. È la stessa qualità che inizia nella scelta delle materie prime e viene mantenuta fino al riempimento delle lattine e delle bottiglie. Perché Gai nasce a fianco dei più importanti e ambiziosi birrifici artigianali, garantendo un supporto costante grazie agli oltre 100 rivenditori e centri assistenza nel mondo. Da oltre 75 anni condividiamo con voi la ricerca della qualità.

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INCLUSIVITÀ

radicati nel nostro contesto culturale. Basti pensare che nella cosiddetta Prima Repubblica ci furono 23 provvedimenti di clemenza: più o meno un indulto o un’amnistia ogni 2/3 anni. Poi dal ‘94, silenzio. Indulto nel 2006, che nessun politico pareva aver votato, perché dichiararono tutti “io no”. Da lì in poi, anche solo pronunciare la parola clemenza in Parlamento è diventato quasi una bestemmia. Dichiarare invece castrazione chimica, buttare la chiave della cella, punire i quattordicenni come cinquantenni: ecco, queste cose si possono dire. E i rappresentanti delle istituzioni sono tali, perché rispecchiano un Paese, che sembra aver bisogno di “cattivi pubblici”, per sentirsi a posto con la propria coscienza. Del resto, scriveva Christian Mounier, parafrasando Nietzsche: “si convive meglio con una cattiva coscienza, che con una cattiva reputazione”. Se poi ci sono coscienze platealmente più abbruttite delle mie, potrò ben perdonarmi la mia.

? Come è nata l’idea, che trovo geniale, del “Progetto Prison Beer” nel quale mi hai gentilmente coinvolto? Dicci tutto della prima birra e delle prospettive future…

Disse Benjamin Franklin: “La Birra è la prova che Dio ci ama e ci vuole felici”. Valeva la pena dar retta allo zio Benjamin... e permettere al Si-

gnore di renderci felici! Sai bene, caro Lorenzo, che il progetto della cooperativa nacque con il sogno di costruire un birrificio tutto nostro. Era il 2019 e ti chiamai per ragionare su un’idea che da subito hai sentito tua. Poi la vita si è complicata, come sempre, e siamo partiti facendo altri lavori. L’idea di collaborare con birrifici presenti sul territorio si avviò con Orso Verde: vera autorità, qui a Busto Arsizio. Abbiamo poi continuato con The Wall e con loro si è generata un’alchimia quasi magica. Ero nella cella di Antonio e non mi aspettavo mi chiedesse un lavoro, perché non aveva mai lavorato in vita sua: è un duro e puro che non deve chiedere mai, perché potrebbe risultare umiliante davanti al parterre criminale della cui stima si gode in galera... e invece quella volta me lo chiese. “A te non lo do il lavoro... tanto ricominci. Conviene investa su chi vuole davvero cambiare, non credi?”. “E... se per una volta volessi cambiare davvero?”. Ci allunghiamo la mano - che vale più di mille contratti - e comincia un’avventura, che non poteva non portare il suo nome. I fratelli Barone, titolari di The Wall, ci hanno creduto con me. E con i soci de La Valle di Ezechiele. Antonio è stato scarcerato per lavorare nel birrificio. Non ha ancora finito di scontare la sua pena, ma visto l’ottimo comportamento intramurario, un domicilio adeguato e un lavoro, il magistrato ha firmato. A quel punto, Lorenzo, ti ho chiamato. Era giunta l’ora di creare una birra nostra, della nostra cooperativa. La prima Prison Beer: la birra che detiene la bontà. Ci siamo visti presso The Wall e insieme al birraio Daniele si è partorita la nostra Hoppy Blonde, a 4,8%, tenuta a battesimo proprio dal mitico Kuaska, che ordinariamente le birre non le ricetta, perché le giudica. Ma qui ha fatto un’eccezione! Ecco, c’è anche un punto di amaro che ho

voluto io... perché è inutile negarlo e non è neanche un peccato: a me la birra piace! Beh, la prima Prison Beer è stata battezzata Antonio: vogliamo che la nostra birra abbia il nome e il gusto delle libertà che ha sprigionato dal carcere. Pensate che Antonio ha degli orari da rispettare, ma a un certo punto ha cominciato a uscire di casa prima del dovuto: “al birrificio abbiamo tanto da lavorare”. Ha poi chiesto al magistrato di ampliare gli orari, per poter lavorare di più. Potere del luppolo! E abbiamo fatto una promessa: per ogni persona che libereremo dal carcere, per lavorare nella filiera brassicola (come racconta il packaging della lattina, creato gratuitamente da GreenHub di Milano) faremo una birra nuova, con il suo nome. Qui, dalle pagine di Birra Nostra Magazine, lanciamo un appello a tutti i birrifici d’Italia: chi volesse fare dei suoi fermentatori delle vere e proprie fenici da resurrezione, non ha che da chiamarmi. Diamo lavoro e vita a una persona, ricettando una nuova Prison Beer! Non è meraviglioso? Vi aspetto!

Per intanto, se volete assaggiare la nostra neonata Belgian, basta scrivere a prisonbeer@lavallediezechiele.org ★

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Don David Riboldi

Il lato gentile della BIRRA ARTIGIANALE

Il mondo della birra artigianale è a tutti gli effetti uno dei settori produttivi italiani di sempre maggiore interesse non solo per quanto riguarda la varietà e qualità dei prodotti offerti ma anche per il giro di economie che muove mettendo in connessione lo specifico territorio al contesto italiano e non solo.

Secondo i dati raccolti da Assobirra, nel 2022 la produzione di birra ha raggiunto i 18,4 milioni di ettolitri, superando il 2021 con circa un milione di ettolitri in più. In crescita risultano anche i consumi che raggiungono i 22,3 milioni di ettolitri, ma soprattutto il fuori casa, che ora ricopre il 35,8 per cento dei consumi nazionali, tornando a livelli pre-covid. Il giro d’affari annuale è di tutto rispetto e si attesta su un valore condiviso di 9,4 miliardi di euro. Per l’export, la quota si attesta a 3,8 milioni di ettolitri, di poco sotto rispetto al record del 2019, con consumi in crescita prevalentemente verso Regno Unito, Stati Uniti, Francia, Paesi Bassi e Albania. Tuttavia, a crescere sono anche le importazioni che arrivano a 7,8 milioni di ettolitri.

In questo panorama di crescita, che non esclude anche le ampie difficoltà di un settore comunque giovane che si deve scontrare con flussi e dinamiche di un mercato aggressivo e di massa e con i recenti anni di nuova e profonda crisi economica, resta importante continuare a sperimentare, migliorare e aprirsi anche a modelli che possono essere definiti alternativi L’economia e la necessità di ritagliarsi un posto nel mercato insegna che per

10 BIRRA NOSTRA MAGAZINE ottobre 2023 INCLUSIVITÀ di Eleni Pisano

potersi radicare sul proprio territorio e svilupparsi anche in altri contesti geografici è sempre più importante che il prodotto abbia caratteristiche non solo di qualità di produzione ma anche di modalità in cui lo stesso viene prodotto e realizzato. Tra questi elementi l’approccio all’inclusione e alla diversità sono importanti. Mentre il mercato delle birre artigianali cresce in maniera costante, con un pubblico sempre più ampio e diversificato, sta emergendo un nuovo paradigma: l’inclusione sociale come leva per la crescita. Questo concetto va oltre il tradizionale aspetto commerciale e resta più vicino alle regole dell’economia circolare e sostenibile, portando a considerare la birra artigianale non solo come un prodotto di alta qualità ma anche come un mezzo per costruire concrete opportunità tra persone di diverse abilità e che provengono da situazioni di marginalità e fragilità.

Una bevanda sociale fin dalle origini

La birra è una bevanda che si accosta facilmente allo stare insieme e alla condivisione: non solo da oggi, ma da almeno 2.600 anni prima di Cristo. La birra ha «qualcosa di sacro che la accompagna da sempre e la rende speciale, legandola a momenti di gioia, di festa, di condivisione» racconta Marino Niola, Antropologo della contemporaneità, condirettore di MedEatResearch, Università degli studi Suor Orsola Benincasa di Napoli, commentando la settima ricerca dell’Osservatorio Birra sulla nuova socialità degli italiani: «Non a caso, gli antichi dei della birra erano anche dei dell’ospitalità». Se torniamo indietro nei millenni e arriviamo nell’antico Medio Oriente, Gilgamesh civilizza Enkidu, «un essere selvaggio e asociale, proprio facendogli conoscere la birra, e siamo nel 2600 avanti Cristo». La produzione della birra «molto probabilmente è stata addirittura fattore che ha determinato il passaggio di noi umani alla sedentarietà» commenta Niola «e dalla caccia

all’agricoltura. Perché solo stando fermi era possibile coltivare i cereali necessari alla produzione della bevanda». Con la modernità invece la birra è diventata la bevanda democratica, «quella dei lavoratori, degli amici, dei compagni che condividono la fatica ma anche il riposo, lo svago, la festa». Arrivando ad oggi la birra «si conferma un lievito della socialità, dello stare in compagnia» ed è sempre più protagonista degli eventi di scambio, cultura, socialità in generale nell’ambito non solo privato ma anche pubblico e lavorativo.

Birra “gentile”

Inserire all’interno di un settore economico il concetto di inclusività non è solo un atto gentile ed etico ma soprattutto un approccio allo sviluppo imprenditoriale ed economico lungimirante che, nel consentire anche a persone con passati difficili e drammatici o situazioni fisiche e psicologiche “diverse”, consente di allargare la visione di chi può lavorare, di modelli e gestione del lavoro diversi che spesso, direi quasi sempre, si arricchiscono di nuovi punti di vista e tempistiche che fanno della qualità e della cura la nuova formula vincente. Le iniziative inclusive nel mondo brassicolo italiano stanno dimostrando che la birra può avere un impatto positivo ben oltre la sfera del consumo. Progetti che coinvolgono persone con disabilità o fragilità,

dall’impiego nella produzione alla partecipazione ad eventi e attività, stanno trasformando il modo in cui concepiamo la birra. Queste iniziative non solo creano opportunità di lavoro, ma anche spazi di socializzazione e condivisione.

Introdurre il concetto di inclusione nel mondo della produzione brassicola può tradursi in azioni concrete come:

• Creare birre speciali il cui ricavato viene devoluto a cause sociali o organizzazioni no profit che si occupano di temi inclusivi, come l’assistenza alle persone con disabilità, la promozione dell’uguaglianza di genere o la lotta alla discriminazione.

• Sviluppare programmi di formazione o occupazione dedicati a gruppi svantaggiati, offrendo opportunità lavorative o formative a persone che altrimenti avrebbero difficoltà ad accedere al mercato del lavoro.

• Collaborare con organizzazioni di volontariato o associazioni locali per sviluppare progetti condivisi che promuovono l’inclusione, come eventi benefici o campagne di sensibilizzazione.

• Lavorare con artisti o designer con disabilità per creare etichette speciali o packaging innovativi, promuovendo al contempo il talento artistico e l’uguaglianza.

• Organizzare eventi o iniziative che promuovano la consapevolezza e l’importanza dell’inclusione.

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 11 ottobre 2023 INCLUSIVITÀ

INCLUSIVITÀ

• Ideare birre tematiche o in edizione speciale in occasione di eventi dedicati a temi inclusivi, come la Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità o il Pride Month.

• Costruire un ambiente di lavoro inclusivo, adottando politiche di assunzione e di uguaglianza di opportunità che riflettano i valori della diversità. Si tratta in realtà di un tema in evoluzione attualmente in via di formalizzazione a livello europeo e nazionale.

Legislazione e sostegno all’inclusione

Le leggi relative all’assunzione di lavoro in un contesto inclusivo variano da paese a paese e sono spesso progettate per garantire l’uguaglianza di opportunità per le persone con disabilità o altri gruppi svantaggiati.

Lavoro e inclusione in Italia: la norma

Legge n.68/1999: questa legge stabilisce le misure per la promozione dell’occupazione delle persone con disabilità. Introduce l’obbligo per le aziende con più di 15 dipendenti di assumere persone

con disabilità in una percentuale che varia in base alla dimensione dell’azienda. Accomodamenti fiscali: In Italia, le aziende sono tenute a fornire accomodamenti ragionevoli alle persone con disabilità, al fine di consentire loro di partecipare pienamente al mondo del lavoro. Gli accomodamenti possono includere modifiche alle attrezzature, al posto di lavoro o agli orari.

Legge 22 maggio 2017 n 81: introduce misure per la promozione dell’inclusione lavorativa delle persone con disabilità e rafforza le misure di contrasto alla discriminazione.

Lavoro protetto: in Italia, esistono Centri per l’Impiego e Cooperative Sociali che offrono opportunità lavorative a persone con disabilità che possono così svolgere attività produttive in un ambiente adattato.

Contratti agevolati: sono previsti contratti di lavoro agevolati per persone svantaggiate, come i contratti di apprendistato professionalizzante o i contratti di lavoro flessibile. Alcuni contratti di lavoro offrono maggiore flessibilità oraria per consentire alle persone con disabilità di conciliare meglio le esigenze di salute e di lavoro.

Politiche di diversità e inclusione: alcune aziende e organizzazioni possono adottare politiche di diversità e inclusione per creare un ambiente di lavoro aperto e accogliente che accolga persone di diversi background e capacità. In generale, le leggi sull’assunzione di persone appartenenti alle categorie protette dovrebbero includere i seguenti aspetti:

• Vietare la discriminazione basata su razza, genere, età, disabilità, orientamento sessuale. I datori di lavoro dovrebbero fare scelte di assunzione basate sulle competenze e le qualifiche dei candidati anziché su caratteristiche personali protette.

• I processi di reclutamento e selezione siano accessibili a tutti, comprese le persone con disabilità. Ciò potrebbe implicare la fornitura di informazioni in formati alternativi, l’accesso a interviste e colloqui in luoghi accessibili e altre misure mirate all’inclusività.

• Le aziende sono tenute ad offrire formazione ai dipendenti su questioni di diversità, inclusione e prevenzione della discriminazione. Questa tendenza si sta lentamente diffondendo anche in Italia. Tra i vari esempi quello del Bilancio di genere è uno dei più rappresentativi e diffusi sul tema lavoro ed inclusione.

Questi aspetti non solo possono contribuire a creare un ambiente lavorativo più variegato e rispettoso ma contribuiscono anche a promuovere l’immagine di un settore brassicolo moderno e sensibile alle sfide sociali.

Verso un settore (brassicolo) ancora più inclusivo

Le prospettive per il futuro della birra artigianale italiana abbracciano l’inclusione sociale come uno dei suoi pilastri fondamentali. L’espansione del mercato e la crescente consapevolezza sociale stanno aprendo nuove strade per progetti inclusivi sempre più ambiziosi e coinvolgenti. Ci troviamo di fronte a un

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futuro in cui il bicchiere di birra diventa un simbolo di condivisione, dialogo e rispetto reciproco.

La birra artigianale italiana sta vivendo una nuova rinascita che va oltre la produzione di bevande di alta qualità. L’inclusione sociale sta dando vita a un settore più ricco e sfaccettato, in cui il piacere di un sorso di birra si fonde con la gratificazione di contribuire a un mondo più aperto e solidale. Ecco alcuni esempi di esperienze brassicole finalizzate all’inclusione sociale in Italia e nel mondo:

• Rete Tikitaka e Birrificio Alma a Monza. La rete Tikitaka è un progetto sostenuto dal 2017 dalla Fondazione Comunità Monza e Brianza che raggruppa più di 250 realtà sul territorio Monza e Brianza che si occupano di disabilità e inclusione a 360 gradi, tra i molti progetti quello di una linea di birre artigianali che partono da ricette con un approccio innovativo.

Le etichette sono realizzate grazie al contributo di diverse cooperative e parlano di donne che nella storia non hanno temuto di esprimere punti di vista diversi. qui foto etichette

• Il birrificio Baladin in Piemonte ha lanciato il progetto “Open Baladin”, che mira a coinvolgere persone con disabilità nel processo di produzione e distribuzione della birra. Questo progetto offre opportunità di lavoro e formazione a individui con diverse abilità, promuovendo l’inclusione sociale attraverso la collaborazione e l’esperienza brassicola condivisa.

• Birra Social Club è un’iniziativa che nasce dalla collaborazione tra diversi birrifici artigianali italiani che si sono uniti per creare opportunità di lavoro e formazione per giovani con disturbi dello spettro autistico (DSA). Gli “apprendisti birrai” con DSA lavorano fianco a fianco con esperti del settore per apprendere le tecniche di produzione e le competenze necessarie per lavorare nel mondo brassicolo.

• Il birrificio scozzese 71 Brewing ha avviato il progetto “71 Liberation”,

che coinvolge persone con disabilità intellettive nello sviluppo e nella produzione di birre uniche. Questo progetto non solo offre opportunità di lavoro, ma crea anche una piattaforma per la libera espressione creativa attraverso l’arte e l’etichettatura delle bottiglie.

• Birrificio Brewability Lab, situato negli Stati Uniti, è interamente gestito da persone con disabilità intellettive e di sviluppo. Oltre a produrre birre ar-

tigianali di alta qualità, il birrificio fornisce un ambiente di lavoro inclusivo e formativo, dimostrando che l’inclusione può avere un impatto positivo sia sul prodotto che sulla comunità.

• Il birrificio toscano L’Olmaia ha lanciato l’iniziativa “Birra Sociale” che coinvolge giovani con disabilità in attività di imbottigliamento e distribuzione delle birre. Questa collaborazione offre loro una preziosa opportunità di lavoro e socializzazione,

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 13 ottobre 2023 INCLUSIVITÀ

contribuendo a rompere le barriere tra individui con diverse abilità.

• Il birrificio Bruno Ribadi in Sicilia ha coinvolto nella produzione della birra un gruppo di giovani con la sindrome di down. Le ragazze e i ragazzi protagonisti dell’importante iniziativa dal valore etico-sociale fanno parte dell’associazione sportiva dilettantistica “SporT21 Sicilia” (la T maiuscola sta per Trisomia 21, Sindrome di Down) di Palermo.

• Il birrificio Pontino, situato in provincia di Latina, ha un programma di riabilitazione lavorativa per persone con disabilità psichiche.

• Il birrificio toscano Amiata ha creato la linea di birre “White Friends” per sostenere l’associazione Noi Con Voi,

che offre opportunità lavorative a persone con disabilità. Le birre White Friends sono state create appositamente per promuovere l’inclusione.

• Situato a Livorno, il birrificio Il Calandrino produce birre artigianali e promuove l’inclusione lavorativa di persone con disabilità. Collabora con associazioni locali e organizza eventi per sensibilizzare la comunità.

Esistono moltissimi altri esempi e altri sicuramente stanno nascendo dato che il legame tra il mondo della birra e l’inclusione è in continua evoluzione. Merita di essere citato anche anche il lavoro da sempre attento del microbirrificio

La Spilleria di Cassina de Pecchi (Mi), l’impegno per il movimento LGBT del

birrificio LaBrewery di Vimercate e il Birrificio Wall, nel varesotto, che su iniziativa di un’associazione che si occupa di detenuti nel carcere di Busto Arsizio ha creato la nuova “Prison beer”. Questi esempi dimostrano che l’inclusione sociale nel settore brassicolo va ben oltre il marketing e si traduce in progetti concreti che creano valore per l’azienda e per la comunità. Ogni esperienza riflette l’importanza di aprire le porte a persone con diverse abilità e contribuisce a creare un modello produttivo capace di mantenere la coerenza tra l’attenzione alla selezione delle materie prime, le fasi di produzione, le modalità in cui la birra si produce e si mesce senza dimenticare uno spirito inclusivo che ingloba ed accoglie… anche in birrificio! ★

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La birra artigianale FA SCHIFO!

ATTENZIONE. Questo articolo potrebbe contenere tracce di spocchia, supponenza, arroganza, invidia e superbia (e anche accidia, perlomeno per quanto riguarda i tempi di produzione del suddetto).

Prima parte: il verdetto

Alessandro: Mamma mia

Carlo: Come sarebbe mamma mia?

Alessandro: Mamma Mia, assaggia

Carlo: È buona

Alessandro: Buona?

Carlo: Beh, particolare, diciamo

Alessandro: Avevi ragione tu Barbara

Barbara: Su cosa?

Alessandro: Sul fatto che questa birra non vale quello che costa, neanche un po’

Carlo: Ma che gli hai detto così a Loris?

Barbara: Eh eh certo

Carlo: Ah glielo hai detto, vabbè, ecco perché era incazzato!

Alessandro: Ah era pure incazzato Loris, hai sentito? Incredibile...assaggia bene per favore, dimmi se è potabile questa bevanda

Carlo: Fa schifo

Alessandro: Fa schifo, eh

Carlo: Cazzo però, gli ho promesso un bell’ordine a Loris, come facciamo?

Barbara: Ma tu prima come facevi con Loris?

Carlo: Prima aveva tutte birre normali, quelle che si trovano, poi si è buttato sulle birre artigianali, vatti a fidà!!

Questo pregevole dialogo, degno delle migliori sceneggiature di Neil Simon o di Blake Edwards, ricorre invece, sorprendentemente, in una fiction italiana dal titolo “Tutto può succedere”, trasmessa su RAI1, in prima

serata, nell’ormai lontano 2017. Se il nome non vi dice niente non preoccupatevi, non fu certo un successone. Malgrado la benaugurante presenza, nel cast, di due dei protagonisti della migliore serie TV italiana di sempre,

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di Norberto Capriata
Se ne sconsiglia l’assunzione a puri di spirito birrario e anime candide del settore, se non sotto stretto controllo medico/psichiatrico.

Boris - recuperatela se non l’avete ancora vista - si trattava invece del classico prodotto medio RAI, il solito remake alla carbonara di un già non esaltante show americano per famiglie, destinato ai pochi spettatori nostrani superstiti del nuovo millennio, appassionati di Imma Tataranni, Lolita Lobosco, Fosca Innocenti (che fantasia i nostri sceneggiatori!), presumibilmente persone di una certa età, ancora affezionate al media e all’emittente nazionale, più che altro per questioni di abitudine, pigrizia o scarsa attitudine alle alternative on demand.

Purtroppo, tra questa sparuta audience, iper-onnivora e distratta, caratterizzata perlopiù da fisiologici limiti della prostata e della memoria a breve termine, che avrebbe quindi immediatamente rimosso ogni traccia del già non indimenticabile plot televisivo, si annidava un vigile e implacabile APPASSIONATO. Mi immagino questo indefesso paladino del verbo craft, intento probabilmente a ripassare i processi di trasformazione degli amidi in zuccheri su qualche tomo di chimica molecolare e a sorseggiare una gose di Lipsia, non completamente soddisfatto dalla sapidità (“il sale dell’Himalaya è decisamente troppo calcareo per lo stile”), quando ad un tratto, dalla sala adiacente, dove gli anziani genitori stanno concludendo la serata dormicchiando davanti a programmi mainstream ad un volume troppo alto, si ode il termine “birra artigianale”. Me lo vedo sobbalzare sulla poltrona, coi peli irti e un colorito via via sempre più purpureo, scapicollarsi nel tinello, incredulo e speranzoso, spaventando a morte i consanguinei, del tutto impreparati a tali manifestazioni di vigore fisico da parte del bamboccione, generalmente narcolettico, giusto in tempo per assistere all’infame dialogo. E successivamente, con pulsazioni ormai pericolosamente vicine alla fibrillazione atrio-ventricolare, ri-scapicollarsi nello studiolo, aprire 27 browser sul PC (un MAC) e, senten-

dosi una specie di Paul Revere cibernetico, lanciare, per primo, un digitale grido d’allarme. “Allerta rossa, passare a Defcon 1! È in atto un attacco da parte delle istituzioni e delle multinazionali contro il pacifico e indifeso mondo della birra artigianale! Diffondete! Tutti ai posti di combattimento!” Ok, forse non è andata esattamente così e immagino che la mia ironia possa risultare fin troppo acre… ma del resto vi avevo avvisato! Voglio però sottolineare che, esagerazioni a parte,

il beer-nerd che ho descritto potrebbe essere uno qualunque tra noi grandi appassionati del settore (io stesso magari, perché no) e una tale ipotetica reazione, non sarebbe, comunque, del tutto sproporzionata, considerando che in TV, di birra artigianale, non si parla praticamente mai, men che meno sui canali RAI. Resta il fatto che il giorno dopo, sul web, qualcosa accadde. Ovviamente la stragrande maggioranza degli utenti social continuò ad occuparsi di questioni di ben altra rilevanza:

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 17 ottobre 2023 PROVOCAZIONI

gli esercizi per ottenere gli addominali di Ronaldo, i video dei gattini spaventati dai cetrioli, i flash mob coi balletti Gangnam Style, etc. ma effettivamente, tra gli sparuti gruppuscoli di appassionati di birra artigianale (quattro gatti assai meno adorabili di quelli dei cetrioli), la notizia si diffuse. E generò reazioni piuttosto intense: preoccupazione, panico, rabbia, isteria, manie di persecuzione, eruzioni cutanee, dispnea, secchezza delle fauci.

Per comprendere

Inquadriamo un po’ meglio il momento storico. Nel 2017 il mondo della birra artigianale italiana stava ancora attraversando i postumi da dopo-sbornia dovuti alla famosa ac-

quisizione di Birra Del Borgo da parte del gruppo AbInBev (e di qualche altra sparuta intrusione dell’industria nell’ambiente). Per farla breve, perché il tema meriterebbe un articolo a sé stante (che un giorno pubblicherò, col titolo: “Io l’avevo detto”), sintetizzerò la situazione dicendo che si captava ancora, piuttosto evidente, una certa sindrome da accerchiamento. Più che il reale pericolo di un’invasione aliena, furono probabilmente certe questioni personali di alcuni importanti addetti ai lavori e la volontà di qualche birraio un po’ più furbo degli altri di atteggiarsi a capopopolo per ovvi interessi di immagine, a fomentare una mini-crociata anti industria, basata su risibili previsioni catastrofiche e su una ben

più sgradevole caccia a fantomatici collaborazionisti.

Ci cascarono un po’ tutti: gli addetti ai lavori in primis, terrorizzati dal potersi trovare a dover chiudere baracca definitivamente entro un paio di mesi, ma anche e soprattutto i semplici appassionati che, da bonari e pacifici nerd della birra, il cui massimo livello di aggressività si era finora espresso in qualche raro giudizio severo su Untappd, si tramutarono, da un momento all’altro, in ferocissimi pasdaran del mondo craft, schierati contro gli invasori industriali (e pazienza poi, se molti di essi, nella vita reale, lavorassero proprio per grandi aziende e multinazionali).

In questo clima di tensione ancora vibrante, la questione, tutto sommato

18 BIRRA NOSTRA MAGAZINE ottobre 2023 PROVOCAZIONI

Craft Beer Range

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risibile, di questo telefilm, dove brevissimamente venivano sbeffeggiate le birre artigianali, fu subito identificata come un’ulteriore mossa dei poteri forti per annichilire i poveri birrai agricoli e sferrare loro il colpo di grazia, e per un paio di giorni le polemiche e piagnistei in vigore fino a qualche mese prima, vissero un breve e repentino ritorno di fiamma.

L’intervento di Unionbirrai Poteva finire così, come una nota a piè di pagina nella storia della televisione italiana e della birra artigianale, se non fosse stato per Unionbirrai. L’associazione di categoria - che era parsa navigasse un po’ a vista durante il periodo delle acquisizioni, più attenta a mostrare una cauta e inane indignazione, tanto per non irritare ulteriormente i guerriglieri del web, piuttosto che valutare azioni di qualsiasi natura per contribuire ad indirizzare la situazione - in questo caso intervenne invece prontamente, schierandosi in prima persona contro la presunta aggressione ai suoi rappresentanti, tramite un’azione legale nei confronti della televisione di stato, in quanto (cito): “le espressioni utilizzate avevano contenuto diffamatorio fondato sulla non veritiera rappresentazione della scarsa qualità della birra artigianale e sull’uso di espressioni eccedenti il limite della continenza formale, con danno alla reputazione professionale e commerciale dei numerosi piccoli birrifici rappresentati dall’associazione”.

Bene, bravi. Applausi e consensi. Finalmente si reagisce.

Stacco. Giugno 2023. Citando REPORT: “com’è andata a finire?”

Siamo arrivati fino alla Cassazione, ci credereste? Nel frattempo abbiamo avuto il Covid, è scoppiata la guerra, è persino morta la Regina Elisabetta... e per questa roba si è arrivati fino alla Cassazione. E...? Assoluzione completa per il telefilm e per la RAI. Ovviamente, aggiungerei.

Ma va bene, non importa, se davvero se ne voleva fare una questione di principio, anche solo per lanciare un segnale al mondo, interno ed esterno al settore, allora è stato giusto provarci. Peccato però che, già all’epoca, le motivazioni della causa sembrassero decisamente labili e figlie di un momento di confusione generalizzata. E soprattutto peccato che ora, quando ormai all’incombere dei tecnocrati dell’industria sul mondo artigianale continuano a credere soltanto i più ingenui tra i complottisti, i vecchi entusiasti si siano ormai tirati tutti indietro e il commento tipo, davanti alla conclusione del processo, sia lo sfottò verso l’Associazione, rea di aver intentato una causa persa in partenza.

E intanto fuori piove. Anzi, Biove.

Seconda parte: Biove, governo ladro

Birra dell’Anno. Sono ormai tantissimi - troppi? - i concorsi birrari che, negli ultimi decenni, abbiamo osservato nascere, talvolta per estinguersi immediatamente, talvolta capaci invece di imporsi e guadagnarsi un certo seguito (spesso anche immeritato... ma questa è un’altra storia). Il concorso di Rimini, a cura di Unionbirrai, rimane però, nel 2023, il più valido, affidabile e, giustamente, prestigioso. Tra i vari eventi che accompagnano la manifestazione, uno in particolare, quest’anno, è riuscito ad attirare la mia lasciva attenzione. La (riporto) “chiamata all’azione contro lo spreco alimentare” stipulata tra Unionbirrai e tal “Biova Project”, un birrificio (o beerfirm?) che si distingue per l’utilizzo di pane raffermo di recupero, tra gli ingredienti delle sue produzioni. In pratica, nel corso di un piccolo evento pubblico, l’associazione ha ufficializzato, tramite la firma di una specie di documento (privo di alcun valore legale, suppongo), una sorta di “apprezzamento/condivisione” dei presupposti sui quali si basa la produzione di codesto Biova Project, come a

vidimare, in forma scritta, la comunione di intenti tra le due entità giuridiche. In realtà non si è capito nulla di cosa intendessero fare né del motivo che li abbia spinti, anche se forse i più maliziosi tra di voi potrebbero sospettare che si sia trattato semplicemente di un riempitivo in una giornata fiacca o di un innocente tentativo di farsi promozione a vicenda o ancora, più probabilmente, di entrambe le cose.

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L’evento, alla fine, è comunque passato abbastanza inosservato. C’ho fatto caso giusto io, perché, combinazione, nei mesi precedenti, ero incappato piuttosto spesso in post e news social, abbastanza trionfalistiche, riguardanti questo fantomatico Biova Project e la sua encomiabile missione. Molteplici articoli e interviste, rilanciate da vari siti e testate online, approfondimenti sul riciclo e sul tema della sostenibili-

tà, conferenze e dibattiti pubblici e su invito, e alla fine questo fantomatico “accordo”.

Insomma, pur in un ambito sempre abbastanza minuscolo, grazie a questa idea del pane raffermo, per qualche breve momento e per una smunta fettina di interessati, la birra Biova è assunta ad immagine simbolo di quel prodotto che chiamiamo “artigianale”, tutto ciò senza che una parola venisse

spesa sulla bontà o meno della birra, come se questo aspetto fosse del tutto irrilevante. La questione mi è parsa abbastanza interessante e rivelatoria e degna di questo approfondimento critico. Tralasciamo anche noi, per ora, il tema della qualità gustativa della birra, e proviamo a riflettere momentaneamente sul solo aspetto sociale del progetto. Merita davvero tutto questo entusiasmo?

Premetto che la mia notevole ignoranza in materia mi porta a pensare, magari sbagliando, che la decisione di utilizzare del pane raffermo per fare birra possa inquadrarsi soprattutto in una mossa promozionale, o perlomeno in un modo per incuriosire la clientela. E, sempre la mia enorme ignoranza in materia, mi porta anche a pensare, magari sbagliando, che non è con l’utilizzo di qualche quintalata una-tantum di pane raffermo che si salva l’ambiente... magari, volendo essere ottimisti, si manda un segnale, ma concretamente non si sposta di un millimetro, temo, alcun equilibrio. E ancora, la mia gigantesca ignoranza in materia mi porta infine a pensare, magari sbagliando, che il pane raffermo lo si possa riutilizzare anche in molti altri modi, altrettanto o più virtuosi.

Sembro spocchioso, vero? Lo accetto; ma sono ormai anni che assisto, inerme ma sempre più infastidito, a manifestazioni di altruismo ambientale/culinario di questo genere, che si rivelano poi quasi sempre, tempo zero, semplici mosse di marketing, nemmeno troppo originali. Detto questo, mi dichiaro però, davanti a Dio e agli uomini, pronto a rivedere, in qualsiasi istante, questa, probabilmente troppo cinica, opinione dell’iniziativa e a rivalutarla positivamente, qualora chiunque, dati alla mano, volesse prendersi la briga di dimostrarne l’effettiva e concreta efficacia. Anzi, sarei addirittura disponibile a tralasciare tutti i miei dubbi e ad avallarla a priori, fidandomi di quanti ne hanno ben parlato finora, anche per-

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 21 ottobre 2023 PROVOCAZIONI

ché di motivi concreti per incoraggiare questo tipo di progetti, riflettendoci, ce ne sarebbero.

Sostenibile… ma anche buona?

Che una birra artigianale presenti, infatti, nel ciclo produttivo, oltre alle materie prime tipiche dello stile, alcuni ingredienti “extra” che possano differenziarla, caratterizzarla e, perché no, attrarre l’attenzione della clientela, è sicuramente scelta lecita e anche, tutto sommato, stimolante per il settore, in quanto permette di sottolineare la versatilità del prodotto e la creatività del mastro birraio. Che poi una birra artigianale possa provare anche a proporsi come prodotto (Dio mi perdoni)

“sostenibile”, invece di optare per altre scelte altrettanto vagamente ecologiche che denotino comunque interesse per l’ambiente e attenzione per il “pianeta”, è anche questo un approccio che, almeno idealmente, non può che fare piacere un po’ a tutti. E se infine queste scelte virtuose ottengono anche l’effetto di aumentare l’interesse per la birra specifica ma anche per il settore tutto, ebbene, si tratta senz’altro di un valore aggiunto del quale non possiamo che essere tutti ben lieti.

Se però poi, giunti finalmente al momento fatidico della bevuta (che, ricordo ancora, dovrebbe teoricamente rappresentare il fulcro dell’esperienza per la quale queste bevande esistono), la birra in questione dovesse rivelarsi… deludente… tutto questo castello di carte crollerebbe miseramente, tutte le premesse di potenziali benefici che avevo generosamente provato ad immaginare si ribalterebbero e l’effetto rischierebbe di ritorcersi, miseramente, contro l’immagine e la reputazione della birra artigianale.

Ormai da troppo tempo, infatti, per colpa di molti e soprattutto degli stessi birrai (sigh), il prodotto birra artigianale viene associato a tutta una pletora di temi tutto sommato del tutto late -

rali e quasi sempre fuorvianti rispetto a quella che dovrebbe essere, di gran lunga, la sua ragione di esistere: la qualità organolettica gustativa. In soldoni: il fatto che sia BUONA. Tutto molto bello, tutto molto commovente: il birrificio agricolo, l’artista dei fornelli, Davide contro Golia, il territorio, la cultura, etc. etc.

Ma se la birra non è davvero BUONA, molto più buona delle varie classiche birre industriali, allora crolla tutto. Il rapporto qualità/prezzo pone il prodotto in una fascia di mercato assai distante dalla classica birra industriale da baretto di provincia e la mette in competizione diretta con avversari di ben altra caratura: vino, cocktail, superalcolici: e in questo campionato il gioco si fa duro.

Riassumendo, ok il pane riciclato e tutto il resto ma alla fine non si può assolutamente prescindere dall’eccellenza dell’assaggio, altrimenti ci troviamo di fronte a un boomerang che potrebbe fare molti danni.

Ebbene, approfittando della sua presenza nella GDO, io l’ho assaggiata, la Biova, ben due volte: una ale poco caratterizzata ma senza particolari difetti, aroma e gusto corretti, sebbene di limitata intensità, un po’ di ossidazione, qualche ricordo di cereale presumibilmente rimandabile all’uso del pane. Convincente quindi? Secondo me no, non abbastanza. Un appassionato conoscitore del settore la acquisterebbe, credo, una sola volta e passerebbe poi quasi sicuramente oltre, troppe le alternative locali e internazionali enormemente più interessanti presenti sul mercato. Anche un bevitore meno edotto, ritengo, gironzolando nel supermercato, potrebbe decidere di infilarne una bottiglia nel carrello e darle un’opportunità, magari stuzzicato dal tema del riciclo, per poi berla distrattamente tra birre mainstream, senza rilevarne, presumo, differenze tali da convincerlo a inserirla nella lista della spesa una seconda volta (e

infatti le sparute bottiglie presenti sullo scaffale le ho osservate permanerci a lungo, mentre le industriali a fianco venivano acquistate a getto continuo).

Conclusioni

Insomma: auguro sinceramente il meglio a Biova Project, anche se mi pare un’iniziativa un po’ furba e fuorviante per la potenziale clientela del mondo artigianale, ma anche lecita, e tutto sommato meno dannosa di vere e proprio circonvenzioni di incapaci tipo le “non filtrata” o “N luppoli”.

Mi sentirei però di dare un piccolo suggerimento a Unionbirrai.

Se davvero interessa preservare la buona reputazione della birra artigianale e tutelarsi affinché non si diffonda l’opinione che si tratti di un prodotto sopravvalutato, invece di correre ai ripari quando è ormai troppo tardi, cimentandosi in fantasiose battaglie giuridiche contro i dialoghi di sciagurate produzioni televisive di cui comunque non frega nulla a nessuno, sarebbe forse più saggio provare a scremare in anticipo qualche marchio tra i tantissimi non all’altezza di quelli che dovrebbero essere gli standard qualitativi della bevanda o, perlomeno, mantenersi a distanza di sicurezza, invece di esporsi in prima persona per vidimarne ufficialmente la validità, dedicandovi addirittura degli eventi pubblici. E sì, perché magari saranno anche pochi, tra i bevitori, coloro che possono sfoggiare un naso da UBT, ma, in generale, in materia di cibo e bevande, gli italiani difficilmente li freghi: quando una roba è scadente, o anche semplicemente anonima - cosa che forse, in questi ambiti, è ancora peggio - se ne accorgono immediatamente. E se la prima volta li avevi attirati con la scusa dell’ambiente, la seconda non ci cascano più: ti mettono un Like, al limite, ma i soldi se li tengono. E magari, a lungo andare, finisce davvero per passare il concetto (falso) che la birra artigianale faccia schifo. ★

22 BIRRA NOSTRA MAGAZINE ottobre 2023 PROVOCAZIONI

Uno, nessuno, CENTOMILA TURISMI

La birra artigianale è sempre più destinazione (e non solo) delle vacanze.

Seconda parte dell’articolo pubblicato su BNM 4/23

Caro lettore, cara lettrice, torniamo nuovamente a parlare di turismo birrario proseguendo con un argomento talmente importante e delicato che un solo articolo non gli avreb-

be reso giustizia. Se te lo sei perso, corri a recuperare il precedente su Birra Nostra Magazine numero 4/23, intanto qui approfondisco il discorso aggiungendo nuovi tasselli al già complesso puzzle.

Partiamo dal secondo aspetto del turismo birrario, ovvero l’oggetto dell’offerta, l’itinerario, che rappresenta il cuore pulsante dell’attività. Se la volta scorsa ho spaccato in due la domanda, ovve-

24 BIRRA NOSTRA MAGAZINE ottobre 2023 MARKETING
di Matteo Malacaria

ro la clientela, faccio lo stesso stavolta: la proposta turistica può rimanere circoscritta al tour del birrificio oppure uscire dalle mura del singolo edificio e coinvolgere diversi punti di interesse, come accade nel pub crawl o durante un viaggio nei Paesi a vocazione birraria come Belgio, Germania, Repubblica Ceca e Regno Unito. Oppure, ancora meglio, si tratta di creare un’esperienza a tutto tondo capace, nel limite delle disponibilità di tempo e di denaro, di condire la parte più squisitamente turistica con quella gastronomica, in cui la birra si inserisce come sontuoso accompagnamento. Da appassionato di escursionismo, e se lo sei anche tu mi darai ragione, già prima di partire pregusto il sorso defaticante di birra che mi concederò, dopo un’intensa scarpinata, una volta giunto al rifugio. Per non parlare dell’assaggio delle produzioni locali dopo una giornata trascorsa tra musei e luoghi d’interesse culturale, perché chi viaggia sa che è necessario trovare il giusto compromesso tra i propri desideri e quelli dei propri compagni di viaggio. Mia moglie, per esempio, è un ottimo compagno di viaggio, ma dopo la terza visita in birrificio, per quanto le faccia piacere bere buona birra, ritiene giustamente che esista un modo migliore per trascorrere il tempo durante una vacanza. Si può parlare di turismo birrario anche di fronte ai festival. In questo caso, contrariamente alle aspettative, in Italia caschiamo in piedi. Sicuramente i festival nostrani non sono numericamente paragonabili all’Oktoberfest di Monaco, il Great British Beer Festival di Londra oppure San Patrick’s Day di Dublino, tuttavia anche il Belpaese può vantare un notevole flusso migratorio, da Nord a Sud dello Stivale, in corrispondenza dei più importanti eventi tematici nazionali.

Questi appuntamenti, ormai diventati un rito annuale, vedono riversarsi in alcune ben note località orde di appassionati, per i quali ore di viaggio sono il minimo indispensabile per avere la

possibilità di esserci, per dimostrare ad altri di esserci stati ma soprattutto per bere. Permettimi di aggiungere che, grazie ad alcune intelligenti strategie di marketing vecchio stampo, ovvero la scelta di pochi ma buoni ospiti di spessore internazionale, questi eventi hanno iniziato ad avere la loro discreta attrattiva anche per il pubblico estero. Il limite, già evidenziato in altri contesti birrari italiani, e che a questo punto si manifesta come male diffuso, è una proposta ingessata, tematica ma senza sinergie. Questo si traduce nella difficoltà ad attirare un pubblico più vasto rispetto ai soliti addetti ai lavori, che per quanto possano essere numerosi non sono mai abbastanza per una macchina organizzativa così complessa quale l’organizzazione di un evento. Nuovamente, l’Oktoberfest è uno standard che non ha neppure senso considerare, ma tra la festa a casa di amici e il festival c’è in mezzo un mondo. Talvolta, al netto delle presenze che si diluiscono lungo l’intero arco della giornata e per più giornate consecutive, mi sembra di ravvisare che un sabato sera in discoteca sia più gremito di persone.

L’ennesimo errore di targeting

L’offerta si rivolge quindi a chi la birra artigianale la conosce già abbastanza bene, non a qualunque curioso che vorrebbe magari scoprirne di più e approfittare dell’occasione per una piacevole deviazione dalla solita routine in compagnia di amici. Va bene il concetto di nicchia, dove l’interesse è giocoforza circoscritto; tuttavia, ritengo che una proposta del genere subisca uno dei tanti bias discussi nel numero precedente (BNM 4/23). Alla fine dei giochi si scoprirà che noi famigerati appassionati abbiamo fatto più danni che altro al settore.

La stessa formula più diffusa, quella dell’ingresso a pagamento e dell’acquisto di gettoni, non offre alcun incentivo a partecipare al pubblico occasionale. Sicuramente fare cassetto è un modo intelligente per tutelare l’organizzazione e l’esborso economico sostenuto; tuttavia, riduce drasticamente la propensione di chi si farebbe volentieri un assaggio, pure due, ma a parità di spesa continua a rimanere nella sua comfort-zone. E poi, diciamolo, nella

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 25 ottobre 2023 MARKETING

proposta manca il divertimento, sebbene ammetto che bere birra possa essere estremamente divertente. Cosa meglio dell’intrattenimento ludico è in grado di smuovere le masse? Ho poc’anzi menzionato le discoteche ma di esempi ve ne sono a iosa: dagli stadi gremiti di fan di una rock band ai teatri straripanti di fronte all’esibizione di un grande artista o di un’intera kermesse. Arte e musica. Non mi pare che i migliori festival birrari italiani propongano un palinsesto di intrattenimento, che possa rappresentare il tema principale dell’evento oppure solo la sosta riposo tra una bevuta e l’altra. E poi, visto che si beve tanto, anche il cibo vuole la sua parte; pertanto, un festival che voglia definirsi tale non può esimersi dall’offrire una proposta gastronomica accattivante, che dovrebbe essere di qualità tanto quanto la birra. Fortunatamente su quest’ultimo aspetto abbiamo fatto passi da gigante, prendendo le debite distanze dalle sagre popolari.

L’importanza del food pairing

Passiamo infine alla parte che personalmente ritengo essere la più interessante, e anche la più succulenta; del resto, il

boccone più prelibato va servito per ultimo. Mi riferisco alla complementarità tra cibo e birra. Qui si sfonda una porta aperta, quella aperta dal vino nella fattispecie, che ha reso evidente agli occhi di tutto il mondo quando sia buono inframezzare il sorseggio della propria bevanda preferita con qualcosa da mettere sotto i denti. Vale nei contesti formativi come nell’ambito degli aperitivi: il food pairing è un tema caldo e la birra, tanto quanto il vino, tiene vivo l’interesse. Stavolta la conferma arriva dai piani alti, nel senso che posso citare una fonte più autorevole del sottoscritto: fresco fresco di anteprima, mi riferisco al Rapporto 2023 sul Turismo Enogastronomico Italiano a cura dell’Associazione Italiana Turismo Enogastronomico. In attesa della versione completa sappiamo che statisticamente – i dati potranno anche non dire tutto ma certamente non mentono – il 20% dei viaggiatori italiani ha visitato un birrificio negli ultimi tre anni – pandemia inclusa – oppure ha partecipato a un evento legato alla birra. Il 20%, praticamente un quinto del turismo nazionale. Mica bruscolini! C’è inoltre il quasi ex aequo di genere, visto che nonostante la leggera maggioranza maschile (21%), la presenza femmini-

le segue a ruota (17%), dimostrando il definitivo tramonto del vetusto preconcetto circa la presunta virilità legata al consumo di alcolici. Diciamoci la verità: era ora!

Un’altra statistica, che perora la mia opinione secondo cui le famiglie rappresentano la vacca grassa di chi dispensa turismo birrario, è l’età media del turista, che per il 22% si trova nella fascia di età tra 45 e 54 anni. Una forbice che quasi certamente corrisponde a persone con un impiego stabile, un futuro abbastanza definito e probabilmente uno o più figli. Capisco bene anche il loro desiderio di fare turismo birrario, perché nonostante i miei 34 anni mi sento già proiettato negli “anta”: in quei giorni bere sarà l’unica gratificazione di chi porta avanti il duro mestiere del genitore. E adesso occhio perché arriva il bello. Pressoché la stessa fascia di età (45-64 anni), per una percentuale persino superiore alla metà del campione (60%), avrebbe piacere di tornare dalle vacanze con almeno un’esperienza a tema “birra artigianale”.

Questo cosa significa?

Significa che, a quanto pare, il turista birrario ha una spiccata passione per il food

26 BIRRA NOSTRA MAGAZINE ottobre 2023 MARKETING

pairing. Leggendo tra le righe o, meglio, tra i numeri, abbiamo a che fare con un turista che è ben disposto a spendere per regalarsi un’esperienza da leccarsi i baffi. Fortunatamente anche in questo campo l’Italia ha la possibilità di offrire un’esperienza di prim’ordine, che ben si presta a soddisfare le intenzioni e i palati dei turisti di tutto il mondo. Secondo la stessa indagine menzionata precedentemente, infatti, il 65% degli intervistati dichiara di aspettarsi, alla fine del tour in birrificio, un assaggio delle birre della casa abbinate a piatti locali. Unire utile e dilettevole per assaggiare in un sol colpo tante specialità, visto e considerato che quando si è in vacanza il tempo è una risorsa preziosa. Una cosa scontata, insomma. Ebbene, sulla scorta della mia esperienza posso affermare che l’80% delle volte lo stesso turista birrario rimarrebbe deluso.

Sono rare le occasioni in cui ci si trova di fronte ad una accoglienza strutturata. Tralasciando i brewpub, che sono un discorso a parte, le rare volte che mi è capitato di visitare un birrificio e poter contemporaneamente affondare i denti in formaggi e salumi del territorio, è accaduto per frutto della diretta conoscenza col birraio di turno, che ha pensato bene di dare qualcosa da mangiare ai poveri affamati in visita. Mentre è scontato offrire tarallucci e vino, altrettanto non sembra per birra e cacio. Gli ingredienti ci sono e sono pure di ottima qualità, sulla ricetta però c’è ancora qualcosa da rivedere. Se proprio vogliamo trovare il pelo nell’uovo un limite c’è e questa volta è puramente psicologico: il timore che dall’incontro tra birra e cibo la birra stessa ne possa uscire compromessa. Che l’imprenditore birrario tema inconsciamente (ma anche consciamente) la perdita di interesse nei confronti del suo prodotto di punta? A me pare piuttosto la mancanza di una visione d’insieme, ennesima falla della piccola e media impresa italiana: la mancanza di una formazione accademica è pastoia dell’impresa, che diventa

succube di una filosofia miope e conservatrice, incapace di guardare in prospettiva e di vedere oltre il tornaconto di breve termine.

La cultura del viaggio

Nato e cresciuto in Calabria, fino a qualche anno fa ero convinto che tale miopia fosse tipicamente calabrese, al più meridionale. Dopo aver viaggiato e dopo essermi adesso trasferito al Nord, in Veneto, dove attualmente risiedo, a malincuore mi sono reso conto che si tratta di un preconcetto diffuso lungo tutto lo Stivale. E siccome stiamo parlando di turismo birrario direi che l’origine del problema, insieme alla cultura, scaturisce dall’assenza di viaggi. Il colmo: proporre viaggi senza mai averne fatto uno. Il viaggio, quello autentico, fatto lasciando a casa se stessi e le proprie convinzioni, è l’unico mentore in grado di indicarci la strada, più di ogni altro percorso formativo: toccare con mano le più importanti case histories, lasciarsi ispirare dai grandi imprenditori, farne tesoro e tornare a casa con un bagaglio arricchito e pronto all’uso è il miglior re-

galo che si possa fare il giovane imprenditore in erba. Non è neppure necessario volare fino all’altro capo del mondo per rendersi conto dell’enorme tesoro che abbiamo a portata di mano, anche sotto casa. Un esempio sono le pizzerie italiane, che più di tutte le realtà ristorative sono il luogo dove si consuma l’amore tra cibo e birra. Da un matrimonio del genere vedo solo lunga vita e prosperità per entrambi i coniugi, alla faccia di chi poche righe fa sembrava voler osteggiare la collaborazione e il beneficio reciproco. Se poi anche tu hai avuto la fortuna, come il sottoscritto, di lavorare in una pizzeria, saprai di certo che l’alta l’idratazione serve non solo a competere su chi ce l’ha più idratato, ma anche ad abbattere il food cost – non è l’unica ragione, per carità, ma certamente è quella mascherata dalla digeribilità. La pizzeria è il regno del cibo salato, che come nessuno invita alla bevuta.

“Salare” le pietanze è un po’ come luppolare la birra: un modo intelligente per rendere tutto facilmente saporito e mettere ancora più appetito. In questo l’imprenditore ristorativo potrà anche esse-

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 27 ottobre 2023 MARKETING

re miope ma è anche molto, molto furbo quando si tratta di trovare escamotage per arrivare a fine mese.

Occhio al prezzo

Adesso che finalmente vedo la fine di questo articolo, di cui ti ringrazio per la lettura, dopo l’inno al viaggio provo a terminare in bellezza tirando in ballo l’ennesimo scenario possibile frutto del sodalizio tra birra e cibo in campo turistico. Uno fra tutti è il virtuoso effetto cross selling (letteralmente vendita incrociata, ovvero la vendita contestuale di uno o più prodotti o servizi complementari a un cliente già acquisito). Stavolta l’esempio più eloquente è quello dei musei o dei siti turistici a pagamento. Ci hai fatto caso? Iniziano e finiscono sempre nello stesso punto: il negozio di gadget e merchandising. I turisti, prima del tour e

soprattutto dopo, si lasciano ammaliare dalla mole di fantasiose interpretazioni sul tema della visita, lasciando da parte il dubbio giudizio estetico di alcuni pur di portarsi a casa un prezioso ricordo. E se funziona per i musei, chi sono io per dire che non funzionerebbe altrettanto bene per un birrificio che organizza delle visite guidate?

Spazio allora alle vendite di-tutto-unpo’: non solo le birre, magari nella forma di box di degustazione con referenze diverse, da regalare a chi voleva esserci ma non c’è stato, oppure come antidoto da bere contro la nostalgia da viaggio; ma anche magliette, felpe, gadget e qualunque altra cosa possa consentire all’acquirente di serbare un ricordo, un buon ricordo, di una bella giornata. Occhio, però perché, se l’imprenditore è intelligente il consumatore non è stupi-

do: basta poco, magari una connessione internet, per rendersi conto se i prezzi dello spaccio aziendale sono ritoccati. È tristemente noto che il turista venga ripetutamente spolpato quando si trova dalle nostre parti. Ora, credo sia logico aspettarsi che, quando acquistate direttamente alla fonte, i prezzi delle birre siano inferiori rispetto al resto del mercato. Invero è pratica corrente lucrare sul turista, sia esso italiano o straniero, nella convinzione che un euro in più oggi sia molto meglio di un turista in meno domani. Evidentemente non si mette in conto il danno all’immagine. O forse sì, ma si raggiunge comunque la conclusione che alla fine, intangibile e impalpabile com’è, non valga niente. Ma allora, per tutto questo tempo e questo prolisso articolo, di che marketing ho parlato a fare? ★

28 BIRRA NOSTRA MAGAZINE ottobre 2023
MARKETING

Un punto d’incontro per chi PRODUCE BIRRA

BrauBeviale (28-30 novembre 2023) è una delle principali fiere di beni strumentali per l’industria beverage e, nel quartiere fieristico di Norimberga (Germania), riunisce tutte le soluzioni per la produzione e la commercializzazione delle bevande. La manifestazione presenta una gamma completa di prodotti per tutto il mondo beverage, dall’approvvigionamento di materie prime e attrezzature per la produzione di bevande al confezionamento e alla commercializzazione dei prodotti nei settori della vendita al dettaglio e della ristorazione. In nove padiglioni

circa 1.000 espositori provenienti da 138 Paesi presentano un’offerta legata in maniera dominante alla birra. Birrifici e specialisti di birra artigianale in visita si troveranno davanti una panoramica completa di materie prime, attrezzature di processo e impianti per la produzione di birra. Inoltre, tutte le tecnologie per il riempimento e l’etichettatura di alta qualità e le diverse tipologie di bottiglie e casse consentono al birraio di trovare in fiera risposte a tutte le sue necessità quotidiane. Ma non è finita qui! BrauBeviale offre infatti una gamma completa di attrezzature per pub e birrerie.

Un luogo perfetto per gli intenditori di birra e per coloro che vogliono diventarlo è l’European Beer Star, quest’anno alla sua 20ª edizione. Circa 500 birrifici provenienti da 44 Paesi affronteranno anche quest’anno il palato critico della giuria, che premierà 73 categorie di birra. La presentazione dei trofei avrà luogo il 29 novembre 2023, a partire dalle ore 15.40, presso il BrauBeviale Forum nel Padiglione 1.

La lista espositori con il programma completo è già online, visita www.braubeviale.de

BrauBeviale makes Nuremberg THE meeting place for brewers worldwide in November. The Who‘s Who of the brewing scene meets here – from established brewers to newcomers.

Be there and shape the future of the industry together with the international brewing community.

Sounds exciting? Find out more:

INFORMAZIONE PUBBLICITARIA
28 – 30 November 2023
www.braubeviale.de/en
Nuremberg, Germany

Scorciatoie per la produzione di BIRRE SOUR

L’interesse sempre più crescente verso le fermentazioni alternative e la ricerca continua di nuovi sapori e profumi autentici hanno spinto molti birrai e homebrewer a cimentarsi nella creazione di nuove ricette e a sperimentare nuove tecniche di produzione. Sulla scia di questa tendenza e a darle man forte negli ultimi anni c’è stato il lancio sul mercato di nuovi ceppi di lievito non convenzionali pensati per creare con facilità e in modo sicuro le birre sour

Da sempre, la preferenza di gusti e sapori nell’essere umano ha subito una lenta e continua evoluzione. In Italia, solo recentemente, in campo brassicolo si è verificata un’inversione di marcia con un crescente interesse verso il gusto acido. Se qualche anno fa, infatti, non si sarebbe accettata una birra acida perché considerata infetta, oggi è un prodotto ricercato che ha acquisito un posto importante nei bicchieri degli italiani. Non si può dire che lo sia per tutti ovviamente. C’è chi come me preferisce

una buona Pils o una qualsiasi birra da bere facilmente, ma la novità è sempre accattivante e l’acidità di una Berliner Weisse o di una Gose riesce a rinfrescare le torride giornate estive. Allora perché non scoprire di più su come crearne una su misura per noi?

Esistono svariate modalità per creare una birra acida e l’intento di questo articolo è proprio quello di delineare le peculiarità e gli effetti sulla birra finita di due metodi scorciatoia. Mi limiterò ad analizzare infatti i metodi più mo-

HOMEBREWING
di Giorgia Bertan

derni: il cosiddetto kettle souring o sour kettle e la fermentazione condotta con i lieviti lattacidi. Il tradizionale metodo di fermentazione mista a carico di batteri lattici e altri lieviti/batteri con successiva lunga maturazione non verrà qui trattato nello specifico per mancanza di dati empirici e per la molteplicità di risultati ottenibili.

Un altro metodo semplicissimo, che non verrà analizzato più a fondo per la sua semplicità di applicazione, è l’acidificazione tramite aggiunta di acido lattico fino a raggiungere il pH desiderato. Non è un metodo che personalmente utilizzerei come unica risorsa perché è ottimo e pratico per raggiungere l’acidità richiesta ma non lo è altrettanto se si desiderano ricreare sapori e aromi tipici della fermentazione lattica. Nonostante ciò, può sicuramente rivelarsi molto utile per venire incontro ad esigenze produttive. Può capitare infatti che a seguito di un kettle souring non sia stato raggiunto il livello di pH desiderato ma che ci sia la necessità di procedere con la cotta in quella giornata. Non avendo il tempo necessario per lasciare che i batteri facciano il loro lavoro, il caro vecchio acido lattico può correggere in pochi secondi il livello di pH.

Kettle Souring

Un metodo più sicuro e rapido rispetto a quello tradizionale di creazione di birre sour è il kettle souring che prevede il raggiungimento dell’acidità tramite inoculo di batteri lattici in caldaia in un mosto saccarificato e raffreddato a circa 35 - 40°C. La permanenza dei batteri all’interno del mosto per circa 24 ore alla loro temperatura di fermentazione ideale fa sì che il pH si abbassi notevolmente fino a raggiungere 3,2 - 3,7 pH e che si creino aromi e sapori caratteristici. A pH desiderato si procede con la bollitura e la luppolatura del mosto in modo che i batteri inoculati vengano eliminati e non permangano nella birra finita. Si tratta di un metodo abbastan-

za semplice, ma questa poca complessità si riflette anche nell’evoluzione del prodotto nel tempo. Con l’eliminazione dei batteri lattici, infatti, il risultato di acidificazione e il sentore lattico resteranno pressoché invariati dal momento del condizionamento in poi. Perciò se si desidera creare un prodotto stabile e controllato è sicuramente un ottimo metodo.

A volte si consiglia una bollitura breve prima di raffreddare il mosto per l’inoculo dei batteri lattici o una preacidificazione fino a 4,0 - 4,3 pH per prevenire la contaminazione con altri microrganismi che potrebbero disturbare la fermentazione, ma ciò non è indispensabile. I lattobacilli producono acido lattico dagli zuccheri presenti nel mosto causando l’abbattimento rapido del pH e assicurando ai batteri la sopravvivenza a discapito di tutti i microrganismi che non tollerano livelli così bassi di pH.

Sopra i 40°C la fermentazione lattica è molto rallentata, fino a diventare praticamente nulla sopra i 50°C. Per questo si consiglia di inoculare a 35 - 37°C. Giu-

sto per dare un’idea delle tempistiche e premesso che il range di temperatura ideale di fermentazione lattica è tra i 30 e i 40°C, con l’inoculo di batteri lattici a 36°C in 17 ore il pH scende da 5,2 a 3,2. Facendoli lavorare a 32°C per 14 ore invece da 5,4 si arriva circa a pH 4. Trascorse le 24 - 48 ore di fermentazione lattica si procede con la normale bollitura, luppolatura e raffreddamento del mosto con inoculo di Saccharomyces Cerevisiae che condurrà la fermentazione primaria. È importante per questo motivo tenere sotto controllo il livello di pH per evitare che un’eccessiva acidità inibisca l’attività fermentativa desiderata. Quest’ultima risulterà sicuramente disturbata e si dovrà considerare una diminuzione delle prestazioni del lievito fino al 20%.

I Lactobacillus e i Pediococcus sono i principali produttori di acido lattico nelle birre sour. Tra i Lactobacillus è importante citare il Lactobacillus plantarum, brevis e delbrueckii che abbassano il pH della birra fino a circa 3.2 - 3.4 pH. Sono tendenzialmente sensibili agli α e

KETTLE SOURING: ALCUNI PRODOTTI IN COMMERCIO

❱ SafSourTM LP 652 di Fermentis che lavora tra i 16°P e gli 8°P iniziali con un pitching rate da 10 g/hl fino a 100 g/hl e che rilascia note fruttate, tropicali e citriche. Un pitching rate più alto incrementa la concentrazione di acido lattico soprattutto in mosti con densità iniziale più alta;

❱ LP100 di Bioagro, una coltura di Lactobacillus plantarum, che apporta freschezza e aromi di yogurt e latte. L’acidità creata è molto lieve;

❱ PP100 di Bioagro, una coltura di Pediococcus pentosaceus che crea un’acidità più forte che ricorda gli agrumi;

❱ LP70PP30 di Bioagro che nasce da un blend di Lactobacillus plantarum al 70% e Pediococcus pentosaceus al 30% ed è un buon compromesso tra gli altri due prodotti appena citati;

❱ WildBrewⓇ Sour Pitch di Lallemand che è un Lactobacillus plantarum e produce 0,5 - 0,8% di acido lattico al termine delle 48 ore di kettle souring;

❱ WildBrewⓇ Helveticus Pitch di Lallemand che dona un carattere citrico e produce 0,6 - 1,2% di acido lattico, apportando più acidità rispetto al Sour Pitch.

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 31 ottobre 2023 HOMEBREWING

β-acidi del luppolo ma possono sviluppare resistenze ad essi nel tempo. Tra tutti, il più resistente è il Lactobacillus brevis, principale responsabile di fermentazione lattica non voluta in birre non acide. Importante è non luppolare il mosto prima del loro inoculo perché, come anticipato, questi lattobacilli non hanno resistenza al luppolo. Si consiglia perciò un dry-hopping e a fine utilizzo una buona pulizia.

Quale lievito utilizzare dopo il Kettle Souring?

Sono sicuramente svariate le possibilità di scelta del lievito e la tendenza è quella di sceglierne uno ad alta fermentazione e abbastanza neutro, in quanto i sapori e gli aromi ricercati sono quelli derivanti dalla fermentazione lattica. Le schede tecniche dei lieviti riportano la loro tolleranza all’alcol ma tendenzialmente non citano la loro resistenza in ambiente più acido. Una domanda sorge spontanea quindi: quale lievito tra quelli in commercio sopporta meglio un pH acido? È noto che sotto il livello di pH 4 il Saccharomyces cerevisiae è disturbato e l’attività fermentativa può essere in parte inibita; perciò, non resta che fare delle prove. Ecco che entra in gioco un interessante esperimento condotto dal mio collega Brian Boaro, birraio presso il birrificio Serra Storta, in merito all’utilizzo di lieviti in un mosto che ha subito una

fermentazione lattica. Il suo è stato uno studio empirico effettuato su un mosto di Gose da 11°P, composto per il 60% di malto Pils e il 40% di frumento maltato, acidificato con il metodo del kettle souring. Da questo ricavò quattro lotti nei quali inoculò quattro diversi lieviti. Lo scopo primario fu quello di verificare la capacità di fermentazione e la resistenza del lievito in un mosto nel quale una parte di zuccheri semplici era già stata consumata dai batteri lattici. Le pause enzimatiche rispettate durante l’ammostamento furono di 10’ a 45°C, 10’ a 52°C, 15’ a 62°C e una lunga pausa a 68°C fino a raggiungere la saccarificazione per poi concludere con il mashout a 78°C.

I lieviti utilizzati furono i SafAle US05, S33, il SafLager S23 di Fermentis e un lievito comune da vino. Ecco i risultati:

❱ Con il lievito US05, nonostante sia uno tra i più consigliati per queste fermentazioni, si verificò una scarsa flocculazione con il risultato di una birra lievemente torbida e un’attenuazione del 76% con una densità finale di 2,6°P;

❱ Anche il lievito S33 attenuò meno del previsto e chiuse a 3,0°P;

❱ Il lievito S23, provato nonostante sia un lievito Lager, incredibilmente lavorò bene attenuando fino ai 2,2°P;

❱ Il lievito da vino, anche se non pensato per creare una Gose canonica,

probabilmente per la sua capacità di lavorare in ambiente più acido, condusse con facilità la fermentazione arrivando a 2,0°P.

Lieviti lattacidi

Come è ben noto durante le prime fasi di una normale fermentazione primaria, quando i livelli di etanolo sono ancora bassi, il pH del mosto di birra diminuisce da circa 5,1 - 5,5 a 4,2 - 4,6 e questo è dovuto al metabolismo del lievito che produce acidi organici a seguito della scomposizione degli ami-

32 BIRRA NOSTRA MAGAZINE ottobre 2023 HOMEBREWING
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noacidi. Si può dire che tutti i lieviti hanno la capacità di produrre acido, ma un po’ diverso è il comportamento di alcuni ceppi che sono in grado di condurre una fermentazione lattica insieme alla fermentazione alcolica, la cosiddetta fermentazione eterolattica. Molti di voi li conosceranno già: sono i lieviti lattacidi. Questi lieviti consumano una percentuale di zuccheri semplici del mosto e creano acido lattico abbattendo nelle prime 24 - 48 ore il pH del mosto e procedono poi con la fermentazione alcolica. Ciò permette di ottenere una birra finita caratte -

rizzata da un’acidità spinta senza attendere mesi di maturazione e senza il problema di introdurre in birrificio batteri lattici con il timore di possibili contaminazioni.

Tra questi non si può non citare il lievito WildBrew Philly Sour di Lallemand che, isolato dall’università di Philadelphia, fa parte della specie Lachancea spp. e possiede il gene della resistenza al luppolo, che lo rende perfetto anche per la creazione di IPA, o più in generale birre luppolate e sour. Essendo incapace di ridurre il maltotriosio è possibile che in mosti ricchi di destrine si venga incontro a fermentazioni bloccate e che si riveli necessario concludere la fermentazione inoculando un altro lievito. È fondamentale quindi operare in modo corretto durante la fase di ammostamento preferendo una lunga pausa a 65°C in cui la creazione di zuccheri semplici da parte delle β-amilasi è favorita. Tra tutti i metodi di acidificazione, è quello che si può governare con maggiore difficoltà sebbene la modulazione degli zuccheri semplici possa incrementare o meno la creazione di acido lattico permettendo di pilotare leggermente il risultato finale, che si attesterà comunque tra i 3,2 e i 3,6 pH.

Dati alla mano

Per comprendere al meglio gli effetti e le peculiarità di questi due metodi “scorciatoia” ho messo a confronto alcuni campioni di Berliner Weisse e Gose prodotti nei birrifici in cui lavoro. Nella tabella riporto i dati di quattro birre prese ad esempio:

Nel caso della Berliner Weisse al mango, la Mengo di Serra Storta prodotta in collaborazione con Bionoċ, sono stati impiegati i batteri LP70PP30 di Bioagro inoculati alla fine dell’ammostamento alla loro temperatura ottimale di 37,5°C e mantenuti a temperatura per 18 ore. Essendo sensibili al luppolo è sufficiente procedere con la luppolatura durante la bollitura, ma in questo caso è stato effettuato anche un leggero dry-hopping nel momento dell’introduzione della purea di mango. Durante la produzione della Berliner Weisse ai lamponi, la Berlin Kuss di Birrificio Castagnero abbiamo invece potuto constatare che le condizioni ottimali di sviluppo e attività del lievito Philly Sour siano la disponibilità di zuccheri semplici e le alte temperature. Fatto fermentare tra i 25 - 28°C questo ceppo sviluppa un profilo aromatico molto interessante che ricorda lo yogurt alla frutta e la frutta tropicale. Osservando la fermentazione del lievito Philly Sour abbiamo potuto notare una forte attività fermentativa nel caso di mosto con aggiunta di purea di frutta. Non si può affermare la stessa cosa per la fermentazione di mosti senza l’aggiunta di frutta, come nel caso della Gose alla menta e di quella al coriandolo. Si è notato che, nonostante l’attenuazione sia stata buona, la fermentazione non è mai stata vigorosa quanto quella del mosto di Berliner Weisse ai lamponi.

A questo punto non mi resta che lasciare a voi lo scettro del potere per scegliere come creare la vostra prossima birra sour! ★

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STILE BIRRA METODO UTILIZZATO °P INIZIALE PH INIZIALE °P FINALE PH FINALE ATTENUAZIONE APPARENTE RIDUZIONE DI PH Berliner Weisse ai lamponi Philly Sour 10,0°P 5,41 pH 2,3°P 3,20 pH 77% 2,21 Gose alla menta Philly Sour 9,6°P 5,44 pH 2,3°P 3,53 pH 76% 1,91 Berliner Weisse al mango Kettle souring 8,2°P 5,35 pH 1,2°P 3,49 pH 85% 1,86 Gose al coriandolo Philly Sour 11,2°P 5,46 pH 3,1°P 3,25 pH 72% 2,21

BRLO, la Birra con Berlino dentro

ne di oltre 38 container dove oltre alla sede produttiva vera e propria si trova il Biergarten. Le birre di Brlo hanno una spiccata vocazione gastronomica e Brlo Brwhouse è stato il primo pub di un birrificio in Germania con una proposta quasi esclusivamente vegetariana. È ovviamente presente della carne in menù, selezionata tra i migliori piccoli produttori locali.

Chi visita Berlino, troverà inoltre un corner Brlo anche all’interno del celebre Kaufhaus des Westens (KaDeWe). Qui le sue birre vengono servite in abbinamento al pollo alla griglia e arrosto.

Produrre birre di qualità che si adattino ai migliori momenti conviviali è parte della filosofia del birrificio.

Le birre

BRLO produce a partire da materie prime molto ricercate come i malti di Rhön Malz provenienti dalla bassa Franconia e i luppoli di Barth Haas situato nei pressi di Norimberga.

Brlo è l’antico nome slavo della città di Berlino, ed è anche il nome di uno dei birrifici che incarna maggiormente lo stile della città. Fondato da Katharina Kurz, Christian Laase e dal birraio Michael Lembke, Brlo è un birrificio che lavora per superare ogni tipo di stereotipo, nel settore della birra artigianale e nella società.

È un brand attivo socialmente che si impegna per la propria comunità a più livelli e lavora sempre con un occhio di riguardo alla sostenibilità ambientale.

BRLO Gastronomy Concept

Il birrificio nasce nel cuore di Berlino, a Kreuzberg. Una location che si compo-

Ha un range piuttosto ampio di birre prodotte tutto l’anno come Berliner Weisse, German IPA e Happy Pils Dagli stili tradizionali tedeschi, rivisitati in chiave moderna e luppolati a produzioni stagionali e one-shot in cui i birrai sperimentano con ingredienti speciali e ricette uniche, spesso in collaborazione con altri birrifici, anche internazionali.

Brlo in Italia

I prodotti di Brlo, in bottiglia, lattina e fusto sono disponibili in Italia dal 2021, importati e distribuiti da Ales&Co. Le sue birre hanno raggiunto tutta Italia e sono state scelte dal Padiglione Germania della Biennale di Venezia per la serata di inaugurazione a luglio 2023. Inoltre Brlo ha partecipato al progetto Be Grapeful del Birrificio della Granda producendo a quattro mani una Imperial Berliner Weisse arricchita dall’aggiunta di mosto di uva Moscato.

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 35 ottobre 2023 INFORMAZIONE PUBBLICITARIA
www.alesandco.it

BIRRA ARTIGIANALE E RICERCHE ON-LINE Tendenze e posizionamento web

L’Italia si configura come un paese con una produzione birraria di dimensioni medie, collocandosi al settimo posto tra i produttori europei. Nel solo anno 2021, è stata realizzata una quantità superiore ai 17 milioni di ettolitri di birra (The Brewers of Europe, 2022), con proiezioni in aumento per il 2022 (Barth-Haas, 2023).

Al di là dei livelli produttivi, sostenuti dalla spinta dei consumi, il settore si distingue per la sua diversificazione produttiva, in cui riveste un ruolo significativo il segmento delle birre artigianali. Queste birre rappresentano un aspetto importante nel variegato panorama dei microbirrifici, un settore che, secondo le

statistiche di The Brewers of Europe, ha continuato a crescere anche nel 2020, raggiungendo un totale di 6.305 unità nel 2021. In diverse nazioni europee si sta assistendo a un consolidamento di questo segmento, con particolare rilevanza in Francia (2.300), seguita da Germania (890), Italia (814) e Repubblica Ceca (506). Tale fenomeno non solo testimonia la fiducia degli operatori nel potenziale di crescita del settore, ma è anche un segno tangibile dell’entusiasmo dei consumatori per la diversità e l’artigianalità del prodotto.

Anche per il 2022, nonostante le incertezze economiche, il settore brassicolo italiano sembra essere un’eccezione

positiva, con un percorso di sviluppo in costante consolidamento. Unionbirrai (2023) fotografa la presenza di oltre 1.300 birrifici attivi, con 9.600 addetti diretti. Inoltre, si registra un ulteriore rafforzamento nel settore delle birre agricole (in ottemperanza al D.M. n. 212/2010), che, nel corso degli ultimi sei anni, ha quasi quadruplicato il numero di produttori. In particolare, tra il 2019 e il 2022, si è verificato un incremento superiore al 43%, portando questa categoria a costituire il 22% del totale dei birrifici nazionali (fonte: Unionbirrai-ObiArt). Tuttavia, negli anni recenti il mercato birrario è stato scosso da grossi mutamenti, con la conquista di segmenti importanti da parte di nuovi prodotti come cocktail pronti da bere, hard seltzer e altre bevande alternative, che stanno guadagnando spazio a discapito della birra artigianale tradizionale e non solo. Ciò implica un ripensamento delle strategie di vendita e di posizionamento del prodotto che si esprime nello sviluppo di un mix comunicativo che, per forza di cose, deve tener conto delle nuove forme di informazione e comunicazione.

La dieta mediatica degli italiani

La triangolazione di fattori negativi (COVID-19, conflitto Ucraina e Russia, caro energia) che ha contraddistinto il 2022, non ha dispensato il modo di informarsi degli italiani e di conseguenza gli strumenti utilizzati. Il consolidato Rapporto

36 BIRRA NOSTRA MAGAZINE ottobre 2023 MERCATO
di Mario Cariello (CREA PB), Francesco Licciardo (CREA PB), Katya Carbone (CREA OFA)

Censis sulla comunicazione, giunto alla XVIII edizione nel 2022, ha fotografato, infatti, la rimodulazione del cruscotto dei consumi mediatici consacrando il passaggio dall’informazione tradizionale mainstream a quella del mondo digitale. Un caleidoscopio sempre più personalizzato, governato da big data e algoritmi per una comunicazione tailor fit, come testimonia il forte aumento dell’impiego di internet da parte degli italiani (88% dell’utenza), che mostra una perfetta sovrapposizione con quanti utilizzano gli smartphone (88%: +4,7% rispetto al 2021), mentre lievitano gli utenti dei social network che raggiungono il tetto dell’82,4% (+5,8%) (Censis, 2022).

Se internet mantiene la sua posizione di rilievo per la ricerca di informazioni, sul versante social è evidente il predominio di Whatsapp, Facebook, Instagram e TikTok, che testimoniano il contesto sociale di disintermediazione digitale in cui viviamo. Per molti prodotti è ormai acquisito il superamento dei tradizionali canali di distribuzione e vendita, scavalcati grazie all’utilizzo dei social media e alla presenza crescente di soggetti come gli influencer che possono determinare o meno il successo di un prodotto. Tuttavia, è interessante osservare come la ricerca di prodotti e brand su internet raggiunga il 44% mentre sui social si attesti al 21,8% (We Are Social, 2023).

Oltre ad un progressivo scardinamento dei sistemi tradizionali di comunicazione attraverso una forte personalizzazione dell’impiego dei social media, il 2022 segna altresì un progressivo aumento dell’impiego di internet sia nell’ambito della pubblica amministrazione che in ambito aziendale.

I risultati di uno studio preliminare

Nel recente report “Birra Artigianale filiere e mercati” (Unionbirrai-ObiArt, 2023), viene indicato che un opificio su tre (il campione di indagine è pari a 130 soggetti) ha deciso di modificare la propria

NB: i dati in tabella sono normalizzati e presentati su una scala da 0 a 100, per cui i numeri non rappresentano dei valori assoluti nel volume di ricerche. Ogni punto sul grafico è diviso per il punto massimo e i numeri vicino ai termini di ricerca sono i dati aggregati.

strategia comunicativa post-pandemia.

Nello specifico, si è accentuata la presenza di birrifici sui social network e, più in generale, si è incrementata la quota di investimenti in strumenti di comunicazione digitale. È stata altresì segnalata l’assunzione di personale con specifiche competenze su tali strumenti. L’attività di e-commerce diretta, tuttavia, è ancora piuttosto limitata veicolando appena l’1,32% dell’intera produzione. Di converso, risulta evidente la preferenza degli opifici artigianali verso strumenti che consentano di comunicare direttamente con i clienti, come fiere e manifestazioni B2B e B2C.

Se per l’offerta di birre artigianali il ricorso agli strumenti web è un canale di comunicazione ancora poco sfruttato, il settore registra un forte appeal dal lato della domanda. A tal proposito, utilizzando lo strumento Google Trends è possibile valutare l’interesse degli utenti sul web, in termini di volumi di ricerche effettuate, e la sua evoluzione nel corso del tempo. La Figura 1, nello specifico, riporta il trend delle ricerche svolte online sul motore di ricerca Google che hanno avuto ad oggetto la keyword “birra artigianale” in Italia. Nell’arco temporale compreso tra aprile 2019 ed agosto 2023 le tendenze sulle ricerche a livello nazionale rivelano un andamento piuttosto altalenante, caratterizzandosi per un costante “stop & go” in parte ascrivibile alla stagionalità dei consumi. In

prima analisi, si osservano solo due picchi di segno inverso: il primo, di ordine negativo, e che identifica un calo di popolarità del termine di ricerca, fa riferimento a settembre 2019, mentre all’opposto l’interesse più consistente (picco positivo) lo si legge in corrispondenza del mese di maggio del 2020, anche se a ben vedere un incremento delle ricerche è rintracciabile nell’intero periodo estivo dell’anno in concomitanza con la fine del lockdown. In generale, quest’ultima tendenza si apprezza lungo l’intero periodo considerato. È evidente, infatti, una crescita di popolarità del termine “birra artigianale” nelle ricerche degli utenti nei mesi che vanno da maggio a settembre e in quelli a cavallo tra dicembre e gennaio.

Nell’arco temporale in esame, tra le prime 10 query di ricerca associate al termine birra artigianale maggiormente cercate dagli utenti (Figura 2), il punteggio più alto è assegnato al termine birra, cui fa eco birra artigianale e, di seguito, le loro diverse declinazioni (in ordine di importanza: birre, birre artigianali, birrificio e birrificio artigianale). Cambiando metrica di riferimento e considerando le query in aumento tra gli utenti, è stato possibile osservare una crescita nei volumi di ricerca per i seguenti termini: birre artigianali doppio malto dorato, orzo fermentato per birra artigianale, 1001 birre, birra non filtrata e box birra artigianale.

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Fig. 1 - Andamento delle ricerche sul web con keyword birra artigianale (2019-2023) Google Trends (data consultazione 18 agosto 2023)

Questa parte dell’analisi relativa ai volumi di ricerca compiuti dagli utenti e alla rilevanza delle query, intesa come capacità di soddisfare l’intento di ricerca (query intent), mette in luce un aspetto di particolare interesse: nonostante sia possibile scrivere i migliori contenuti per descrivere un prodotto e/o servizio, può risultare arduo comparire nei risultati web se non si comprendono le autentiche necessità degli utenti. Diventa, pertanto, cruciale comprendere con quali termini gli utenti cerchino il prodotto, così come il linguaggio più appropriato da utilizzare per essere facilmente intercettati sul web.

Posizionamento sul web

Una volta esaminato il trend che interessa la keyword birra artigianale nelle ricerche degli utenti, si è ritenuto utile approfondire il posizionamento sul web del termine.

Per questa fase, è stato impiegato lo strumento di business intelligence SEOZoom, un’applicazione sviluppata per supportare le strategie di ottimizzazione per i motori di ricerca (Search Engine Optimization - SEO). Queste ultime rappresentano l’insieme di attività volte a potenziare la visibilità on-line, incrementare il flusso di traffico organico verso i siti web e conseguire una posizione

più vantaggiosa nei risultati dei motori di ricerca, come ad esempio Google. Anche in questo caso è stata impiegata la medesima keyword. Tuttavia, al fine di mitigare le naturali variazioni connesse ad analisi di tipo longitudinale e considerando l’impatto di shock esogeni che potrebbero influenzare le decisioni di consumo, si è circoscritto il periodo di osservazione ad un intervallo temporale inferiore.

Nel periodo compreso tra il 14 aprile 2022 e il 13 aprile 2023, SEOZoom ha esaminato un totale di quasi 6 milioni e mezzo di pagine web indicizzate in merito alla tematica “birra artigianale” . Le percezioni associate all’argomento, ricercato attraverso il motore di Google, vengono elaborate dall’applicazione attraverso il seguente insieme di risultanti:

❱ le domande poste dagli utenti (Figura 3);

❱ i verbi utilizzati nella formulazione delle ricerche (Figura 4);

❱ le preposizioni più frequentemente adoperate nelle ricerche (Figura 5). Sebbene questa tipologia di analisi non abbia l’ambizione di riassumere l’intera gamma di interessi degli utenti on-line riguardo alla birra artigianale, risulta abbastanza chiaro il search intent degli utenti nei confronti del settore craft beer italiano. Nello specifico, l’analisi condotta tramite SEOZoom ha rivelato che i due argomenti maggiormente cercati in relazione alla query “birra artigianale” su Google sono l’homebrewing (ad esempio, quesiti su quando filtrare la birra artigianale, come produrre bir-

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Fig. 2 - Query di ricerca associate alla keyword birra artigianale (top 10 del periodo 2019-2023) Fig. 3 - Le principali domande poste dagli utenti Nostre elaborazioni Google Trends (data consultazione 18 agosto 2023) Fonte: www.seozoom.it NB: il punteggio in tabella è in scala relativa, per cui 100 indica la query più cercata, 50 indica una query con la metà delle ricerche rispetto alla query più cercata e così via.

ra artigianale, scelta delle bottiglie per birra artigianale, ecc.) e l’acquisto online (dove trovare birra artigianale in vendita, come acquistare birra artigianale on-line, ecc.).

Il report ottenuto tramite l’analisi su SEOZoom mette in risalto un ulteriore elemento degno di attenzione: la stagionalità nell’andamento delle ricerche degli utenti. Questo conferma quanto precedentemente identificato tramite Google Trends. In generale, si osserva che i periodi di maggiore interesse, sia in termini di volume di ricerche su Google, sia per quanto riguarda la produzione di nuovi e aggiornati contenuti on-line, sono la primavera e il periodo delle festività natalizie.

Nel corso del 2022 (come mostrato nella Figura 6), emergono delle variazioni significative. Si passa da una media di 8.100 ricerche a 12.100 nel bimestre marzo-aprile, fino a raggiungere il picco di 14.800 ricerche nel mese di maggio. Nondimeno, si registra un calo nel mese di novembre, con solamente 6.600 ricerche, seguito da un immediato incremento a 9.900 ricerche. Di interesse è l’osservazione delle dinamiche analoghe a quelle dell’anno precedente, in cui il massimo si verifica nel primo semestre (marzo: 12.100 ricerche), mentre il minimo si tocca nel mese di novembre (4.400). In altre parole, nonostante vi siano differenze nei volumi totali, i flussi di ricerche mantengono una notevole stabilità in termini di popolarità.

Conoscere la periodicità delle ricerche effettuate dagli utenti si rivela uno strumento prezioso per identificare i momenti ottimali in cui pubblicare o aggiornare i contenuti del proprio sito web. Questa conoscenza si estende inoltre alla capacità di migliorare il proprio ranking e, in ultima istanza, di guadagnare posizione all’interno delle classifiche dei risultati di ricerca di Google. Nel quadro dell’analisi condotta, l’utilizzo di SEOZoom ha permesso di ottenere una panoramica dettagliata riguardante

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Fig. 4 - I verbi utilizzati nella formulazione delle ricerche degli utenti Fig. 5 - Le più frequentemente adoperate nelle ricerche Fonte: www.seozoom.it Fonte: www.seozoom.it

i posizionamenti dei siti web all’interno dei risultati di ricerca correlati alla query “birra artigianale”. Il periodo preso in considerazione abbraccia un arco temporale di 12 mesi, dal mese di aprile 2022 all’aprile 2023.

L’algoritmo di Google conta più di 200 variabili, le quali subiscono aggiornamenti costanti nel tempo: si riscontra una notevole volatilità nell’elenco dei siti web presenti nella pagina dei risultati dei motori di ricerca (Search Engine Results Page - SERP) di Google. Parallelamente, si registra un notevole avvicendamento tra tali siti. Per esempio, nel medesimo periodo, il sito birrab31. com guadagna 25 posizioni, mentre beerewine.it ne perde 18; Inoltre, il sito birratari.it scala le classifiche, passando dalla posizione 37 alla top ten (+27 posizioni).

Questo stato delle cose testimonia un evidente interesse da parte degli utenti

nei confronti dell’argomento “birra artigianale”. Tuttavia, come avuto modo di evidenziare, tale interesse è soggetto a cambiamenti repentini. Di conseguenza, emerge chiaramente la difficoltà che gli attori del comparto birrario incontrano nel competere con altri siti che trattano temi analoghi all’interno dei risultati di Google.

Ripensare gli strumenti di comunicazione

In conclusione, è possibile ritenere che nessun sito web possa considerarsi immune dalle fluttuazioni nel posizionamento su Google. Pertanto, si rivela di fondamentale importanza pianificare con cura la creazione di contenuti e definire con precisione il proprio target di utenza, al fine di evitare le brusche variazioni di posizione nella SERP, noto anche come effetto roller coaster . Questo obiettivo richie -

de l’impiego di strategie e tecniche di ottimizzazione per i motori di ricerca (SEO), volte ad aumentare la visibilità del sito e a migliorarne la posizione nei risultati di ricerca.

Tutto ciò delinea un quadro in cui si conferma che la regola fondamentale per ottenere, e mantenere nel tempo, posizioni di rilievo nelle classifiche di Google è la produzione costante di contenuti di alta qualità. Questo approccio è fondamentale per evitare penalizzazioni da parte dell’algoritmo di Google e per evitare un calo repentino di posizioni.

Con il settore della birra artigianale in stallo ormai da qualche anno e con i birrifici alla ricerca di margini di efficienza, le prospettive di ulteriori sviluppi potrebbero non concretizzarsi. Risulta quindi fondamentale crescere in visibilità e incrementare le proprie quote di mercato. ★

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Fig. 6 - Volume medio mensile delle ricerche sul web che includono la keyword birra artigianale
Fonte: www.seozoom.it
Preme fare osservare che un andamento verso il basso indica la diminuzione di popolarità del termine della ricerca, ma non necessariamente la riduzione del numero totale di ricerche di quel termine. La diminuzione va letta rispetto ad altre ricerche.

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PER MAGGIORI INFORMAZIONI

BERGAMO BRESCIA 2023 Capitale della cultura… birraria

Per la prima volta da quando il titolo “Capitale Italiana della Cultura” è stato istituito (correva l’anno 2014), due città, unite nella volontà di “Crescere Insieme”, danno vita a una sola Capitale. Nato come segno di speranza, orgoglio e rilancio, Il progetto Bergamo Brescia Capitale Italiana della Cultura 2023 si presenta come un necessario momento di bellezza dopo la drammatica esperienza pandemica da COVID-19. Un proposito di altissimo profilo per indicare le possibili risposte alle grandi sfide del nostro tempo che Bergamo e Brescia hanno individuato e

sviluppato attingendo da una comune linfa culturale. “Bergamo Brescia Capitale Italiana della Cultura 2023” è la testimonianza di una possibile rinascita attraverso la scelta consapevole della cultura, come elemento centrale per la formazione civile, la creazione delle competenze, il lavoro e la tenuta sociale ed economica.

Il tema portante, “La città illuminata”, intenzionalmente singolare e non plurale, è una prima testimonianza della decisione che Bergamo e Brescia hanno preso nel progettare assieme questo anno speciale. Le due città, le

istituzioni culturali, le associazioni, la società civile hanno attinto alle radici comuni, vedendo emergere espressioni artistiche inaspettate, dando merito reciproco a patrimoni culturali di straordinaria rilevanza su cui costruire gli appuntamenti annuali. La cultura vista come occasione per crescere insieme, per testimoniare la tradizione di lavoro, solidarietà, innovazione industriale in un territorio dalla bellezza inaspettata, tutto da scoprire. Il ricco palinsesto di eventi inaugurato alla fine di gennaio, in contemporanea al Teatro Grande di Brescia e al Teatro Donizetti di Berga-

TERRITORIO
di Erika Goffi

mo, proseguirà ufficialmente fino alla fine dell’anno in corso ma, specificano dal Comune di Brescia, potrebbe protrarsi più a lungo qualora ci fossero adesioni per progetti che durino oltre il 31 Dicembre 2023.

Il viaggio nella Capitale Italiana della Cultura 2023 è un percorso nuovo, che non nasce dalla semplice somma algebrica delle due città, ma che si esprime in una proposta inedita, che unisce cinque patrimoni mondiali UNESCO, due delle principali pinacoteche italiane, gallerie contemporanee che ospitano artisti internazionali, le tradizioni di alcuni dei prodotti più esportati al mondo, meravigliosi teatri all’italiana dal prestigio internazionale, centinaia di chiese e di piazze, testimoni ed espressioni della storia culturale del territorio, e molto altro ancora. Ci sono inoltre programmi “family friendly” come il progetto “Che spettacolo il 2023” (un’offerta creata su misura per tutti i bambini e le bambine in età scolare, gli adolescenti, le famiglie e le scuole) ed eventi legati alla scoperta del territorio come “La Via delle Sorelle”, un cammino lento, tra natura e luoghi da scoprire lungo un’arteria di 130 chilometri, a tappe (mappa e dettagli completi di punti ristoro ed ospitalità, disponibili sul sito ufficiale laviadellesorelle.it), che collega Brescia a Bergamo, attraversando oltre 30 Comuni. Un’eredità slow e sostenibile per tutti. Davanti ad una così grande occasione di unione la comunità brassicola bergamasca-bresciana non poteva rimanere indifferente. Pur non rientrando nel palinsesto ufficiale sono svariati i progetti che le diverse realtà birrarie della zona hanno deciso di realizzare diffondendo in questo modo un chiaro e forte messaggio sull’importanza del comparto della birra artigianale sull’economia del territorio e su quella nazionale.

Birrificio Otus - Seriate (BG)

Il birrificio bergamasco con sede a Seriate ha deciso di realizzare una birra

che rende omaggio al territorio orobico pur avendo un’anima bresciana! Ha infatti origini brescianissime Alessandro Reali, attuale birraio di casa Otus che ha deciso di brassare per l’occasione Arlecchino, una kellerbier da 5.1%.

Chiaro il riferimento alla celebre maschera bergamasca, anche se di stravagante questa birra ha ben poco: è anzi un inno alla semplicità intesa come capacità di dare risalto alle materie prime, tutte italiane, nell’intento di sviluppare una filiera corta in cui si fortifica il sodalizio con gli agricoltori che coltivano l’orzo, a pochi chilometri dall’impianto produttivo. Realizzata secondo la tradizionale ricetta tedesca, “Arlecchino” è una bassa fermentazione che rimane a maturare al freddo per un paio di mesi e prevede l’impiego di due luppoli italiani, Aemilia e Futura, della Italian Hops Company.

Un prodotto che celebra la birra per quello che originariamente dovrebbe essere: bevanda da bevuta, di consumo popolare, con un profilo aromatico pulito, che richiama le tipiche note di panificato del malto d’orzo. Una birra che nasce da un meticoloso e lungo lavoro, rustica e schietta… un po’ come noi bresciani e bergamaschi. Per l’occasione è stata realizzata un’etichetta ad hoc, dall’agenzia grafica Mete, in cui il gufo, marchio del birrificio, indossa la maschera di Arlecchino. Il design è va-

lorizzato dalla lamina d’oro che rende il packaging elegante.

Birrificio Porta BruciataRodengo Saiano (BS)

Spine Pub-Brescia & Beer

Garage - Bergamo

Nasce dall’unione delle forze di Birrificio Porta Bruciata ed i pub Beer Garage e Spine Terraferma, la birra che celebra “Bergamo e Brescia Capitale della Cultura”. Il comunicato stampa ufficiale parla di un’idea concretizzatasi a pochi giorni dalla presentazione di “Battito”, il dolce nato da un progetto del Consorzio Pasticceri Artigiani di Brescia e Capab Bergamo, che vede l’abbinamento dei due dolci tipici di Brescia e Bergamo: il Bossolà bresciano e il Donizetti bergamasco. A celebrare la cultura in campo brassicolo-gastronomico sono questa volta tre diverse realtà birrarie delle due province. Lo scorso aprile, nel corso di un evento, il pub Beer Garage di Bergamo e la birreria Spine del Carmine a Brescia hanno servito in anteprima la nuova Festbier Terraferma creata dal Birrificio Porta Bruciata di Rodengo Saiano. Terraferma è una birra di ispirazione tedesca appartenente alla categoria delle Festbier e la sua ricetta prevede il sapiente impiego di un’antica varietà di luppolo, il Rottenburger, insieme ad un pregiato luppolo in coni, il Saaz, aggiunti alla cotta

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 43 ottobre 2023 TERRITORIO

in momenti diversi. Alla vista si presenta con un bel colore dorato carico, mentre al naso si distinguono profumi di crosta di pane, cracker, miele, con in sottofondo un delicato aroma floreale ad ottenere una bevuta equilibrata, piacevole, fresca, facile e scorrevole. “Il nostro birrificio è in Franciacorta: una sorta di ‘terra di mezzo’ tra Brescia e Bergamo: due città che amiamo e alle quali siamo molto legati”, esordisce Marco Sabatti, mastro birraio e proprietario, con la moglie Chiara, del Birrificio Porta Bruciata: “Con Terraferma vogliamo interpretare il desiderio di serenità, convivialità e condivisione che nasce dai nostri territori, tanto provati dalle recenti vicissitudini. Una bir-

ra artigianale elegante e semplice, delicata ma decisa, ricercata ma al tempo stesso popolare”. La volontà di unire è rappresentata anche dal nome scelto per la birra, che attinge alla storia delle due città richiamando i Domini di Terraferma, ovvero i territori dell’entroterra padano-veneto della Repubblica di Venezia, alla quale Bergamo e Brescia sono state annesse nella prima metà del 1400 e che ha visto le città prosperare e condividere il medesimo destino per più di tre secoli. L’etichetta vede riassunti gli elementi iconici che accomunano Bergamo e Brescia, con un leone che richiama contemporaneamente il Leone Alato di Bergamo e quello azzurro sullo stemma di Brescia,

e le due piazze - Piazza della Loggia e Piazza Vecchia - sullo sfondo.

L’ideazione di Terraferma, che oltre ad essere servita alla spina verrà confezionata anche in lattina, rappresenta per i tre artefici il coronamento di un lungo percorso di collaborazione, fondato sulla forte stima reciproca, derivata da una comprovata competenza in campo brassicolo: “Abbiamo scelto una birra a bassa fermentazione in stile tedesco per l’amore che proviamo per il mondo birrario francone e bavarese ma anche per ricordare la storia brassicola di Bergamo e Brescia, fortemente segnata da birrifici fondati da famiglie germanofone nel XIX secolo, e soprattutto perché vogliamo trasmettere il messaggio che la birra artigianale, così come la cultura, può essere facile e alla portata di tutti se si sceglie il modo giusto per parlarne”, prosegue Simonmattia Riva, titolare del Beer Garage in Borgo Santa Caterina a Bergamo.

La definizione della ricetta ed il suo perfezionamento sono frutto del confronto tra Marco Sabatti, guida del Birrificio Porta Bruciata, Simonmattia Riva, biersommelier di fama internazionale, e Francesco De Maldè, birraio e publican già in forze a prestigiosi birrifici: “Terraferma è l’esempio concreto e tangibile di una collaborazione tra le due città e rappresenta il nostro personale modo di fare e divulgare Cultura nel campo della birra artigianale”, concludono Francesco De Maldè e Simone Roversi, gestori delle Spine. Terraferma è disponibile in lattina, nel formato 0,44 cl ed in fusto nei pub selezionati.

Birrificio CurtenseMonterotondo (BS)

I ragazzi del Curtense non sono nuovi a collaborazioni e non potevano di certo esimersi dal realizzare una birra in onore di “Bergamo Brescia Capitale della Cultura 2023”. Nasce così il progetto che vede coinvolto il birrificio franciacortino al fianco di Amaro ZeroTrenta, (azienda produttrice di amari e gin ar-

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Simone Roversi, Marco Sabatti, Francesco De Maldè e Simonmattia Riva
BIRRA ARTIGIANALE ITALIANA DI QUALITÀ

tigianali nel cuore di Brescia) e l’Agri birrificio Sguaraunda (dal dialetto bergamasco indica l’invito a celebrare, a divertirsi, a condividere) di Pagazzano (BG), dove parecchi anni fa facevano le prime cotte i ragazzi di Monterotondo. “Quello che abbiamo realizzato è un reale omaggio alla provincia di Bergamo e Brescia”, tiene a precisare Matteo Marenghi, titolare di Curtense: “abbiamo infatti selezionato erbe e spezie locali e ci siamo messi a lavorare al fianco di Sami, birraio del birrificio Sguaraunda, sul nostro impianto a Monterotondo”. La birra, una chiara ad alta fermenta-

zione ribattezzata 2023 birra bionda artigianale alle erbe officinali è stata realizzata con materie prime provenienti dalle due province: il malto d’orzo ed il luppolo delle aziende bergamasche mentre le spezie sono le medesime in parte presenti nel bresciano Zerotrenta, ovvero l’achillea, l’assenzio, il ginepro e l’echinacea.

Il risultato? Una birra equilibrata ed armoniosa, frutto di un minuzioso lavoro di selezione delle materie prime per comprendere al meglio come raggiungere equilibrio tra le varie erbe officinali. La bevuta è caratterizzata in apertura

dal sapore delicato della crosta di pane del malto d’orzo, si conclude invece con le note più aromatiche donate dall’achillea e dall’assenzio, la bevuta è resa scorrevole dalla contenuta gradazione alcolica che non supera i 5°. Una curiosità legata a questa birra celebrativa è che l’etichetta che rappresenta la Vittoria alata, simbolo di Brescia e la statua equestre di Bartolomeo Colleoni, condottiero bergamasco, è stata realizzata con grafica 3D.

Birrificio Micro - Coccaglio (BS)

Cosa succede quando un bergamasco ed un bresciano si incontrano a metà strada? Danno vita ad un birrificio! Potrebbe sembrare una barzelletta, ma è tutto vero! È esattamente quello che hanno fatto Matteo Sanati (il socio bergamasco) e Roberto Venturelli (bresciano): trasformare il sogno della birrificazione casalinga, in una concreta possibilità di produzione in un ambiente dedicato. Aperto in piena pandemia da Covid 19 a Coccaglio, (località franciacortina ad una ventina di chilometri da Brescia ed a meno di trenta da Bergamo) il Birrificio Micro non ha di certo avuto vita facile nel farsi conoscere sul mercato. Sette le birre in produzione ad oggi in linea fissa, tutte ad alta fermentazione, tra le quali spiccano stili non così popolari (per lo meno nel panorama birrario locale) quali una smoky beer con malti chiari ed una fruit beer, ribattezzata “aperibeer” caratterizzata da una piacevole nota acidula/fruttata che ben si presta come prima bevuta di una sessione degustativa. “Avendo scelto di aprire il birrificio a metà strada tra Bergamo e Brescia”, dice Matteo, “non potevamo di certo esimerci dal produrre una birra dedicata alle due città”. Nasce così N’amur de blansch, “un nome che scherza con il dialetto della nostra terra, con un gioco di parole che sta a significare quanta cura il birrificio artigianale Micro infonde nella creazione dei suoi prodotti” precisa il socio

46 BIRRA NOSTRA MAGAZINE ottobre 2023 TERRITORIO

bresciano, Roberto. “Una birra artigianale che presenta decise note speziate e profumi di agrumi grazie alla buccia d’arancia e ai semi di coriandolo utilizzati in questa ricetta unica. Conclude il profilo aromatico un pizzico di zenzero. I fiocchi di avena e mais le donano dolcezza, ma la chiusura leggermente acidula ne esalta le proprietà dissetanti, rendendola quindi una bevanda particolarmente indicata per essere assaporata nelle calde giornate estive”, così descrive Matteo l’ultima nata in casa Micro. Questa blanche atipica, in cui spicca la nota acidula, tanto da ricordare vagamente una berliner weisse è stata protagonista nella sesta edizione del Festival dei Sapori, annuale appuntamento organizzato dall’Assessorato al Turismo del Comune di Brescia con lo scopo di dare a cittadini e turisti la possibilità di incontrare le eccellenze enogastronomiche di città e provincia, tenutosi agli inizi di Luglio nel Castello di Brescia.

TAB Talkaboutbeer - Brescia

La neonata associazione di promozione della cultura birraria TAB, acronimo

di Talkaboutbeer, ha reso omaggio alla città di origine (Brescia) con un insolito beer tour, tra indizi e pinte. Si è svolto infatti a maggio, a zonzo per la città il primo Brescia Beer Express: i partecipanti sono stati invitati a scoprire le bellezze storico/culturali della città, attraverso indizi e prove da superare, un modo alternativo per visitare e vivere la Brescia più autentica, grazie all’interazione di chi ci vive e la vive ogni giorno. Tra un monumento e l’altro, tra aneddoti e curiosità storiche, non sono certamente mancate le tappe birrarie: grazie, infatti, alla collaborazione con Spine Pub, Birrificio Pool as Tree e Birralab & Pastrameria, l’alternativo itinerario è stato abbondantemente annaffiato con birra artigianale bresciana e non. Sicuramente una versione cre-

ativa ed originale per scoprire la città, conoscendo nuove persone e condividendo il piacere della buona birra artigianale! L’appuntamento verrà ripetuto in autunno nella città di Bergamo… ma non è escluso un bis ai piedi “della vittoria alata”.

Antica Birreria WührerBrescia

Al primo piano della storica birreria bresciana, nonché primissima realtà birraria italiana, la Wührer, è stata inaugurata a maggio un’esclusiva raccolta di preziose testimonianze legate allo storico marchio. In occasione delle celebrazioni di “Bergamo Brescia capitale della Cultura 2023” il salone Pietro Wührer Junior ospita infatti antichi cartelli pubblicitari di fine ‘800 (quando

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La 2023 di Birrificio Curtense

la birra Wührer fu insignita di uno dei riconoscimenti più ambiti dell’epoca: “Prodotto della Real Casa”); oggetti antichi e tanta storia bresciana per raccontare l’attività birraria anche degli avi austriaci del fondatore di una stirpe che tramandava la tradizione di padre

in figlio già dal 1001. Sono presenti, inoltre, un acquerello dell’illustratore bresciano Capra del 1908 raffigurante una serata mondana in una birreria con la scritta Wührer sullo sfondo, preziose etichette, lamierini, carte intestate, cartoline postali-pubblicitarie e tante

altre testimonianze che rappresentano quanto la birra Wührer sia, da quasi 200 anni, profondamente parte di Brescia e dei bresciani. La storica Birreria Wührer non poteva che essere il posto più adatto ad ospitare questa mostra visto che essa stessa ha festeggiato i 60 anni di attività e ha guadagna di gran diritto il titolo di “Storico tempio bresciano della birra”.

I partecipanti all’inaugurazione hanno potuto degustare un raffinato piatto unico della tradizione tirolese in abbinamento alla birra Cesar 1949: una birra chiara a bassa fermentazione che rivive oggi la tradizione birraria di famiglia grazie alla produzione di Federico Wührer, che omaggia la storica ricetta inventata dal nonno Pietro nella fabbrica della Bornata a Brescia nel 1949. ★

48 BIRRA NOSTRA MAGAZINE ottobre 2023 TERRITORIO

TURISMO BIRRARIO

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OLTRE IL CONCETTO DI SELVAGGINA

Degustazione, accompagnata dalla birra, della cucina di Brado

Ideato e gestito dai tre fratelli Catania, Brado è un bistrot apprezzato e affermato nella realtà gastronomica romana. A giusta ragione, poiché è un luogo dove si celebrano la bellezza e la varietà della cucina rurale. Mirko, Christian e Manuel, riportati in ordine di età decrescente, sono sinceramente appas-

sionati di caccia e di paesaggi di campagna. Grazie agli stimoli parentali hanno respirato fin da piccoli l’aria delle selve, vissuto in prima persona le scene di macellazione e di festa legate a un successo, imparato a riconoscere le erbe e i segnali del bosco. E così, dotati anche di sensibilità ed empatia, qualche anno fa

hanno deciso di far confluire esperienze e propensioni in un progetto ristorativo originale e personale, che si sta guadagnando i giusti successi.

La proposta è certamente fuori dal comune, rappresenta un invito a riscoprire radici e senso di appartenenza alla nostra gastronomia e alla nostra storia

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di Roberto Muzi

secolare, quella di gente di campagna. Elementi che hanno forgiato il nostro modo di pensare lo spazio, il lavoro, il rapporto tra contado e città, il nostro modo di essere umani: non solo una cucina di selvaggina, dunque, ma la traduzione antropologica in piatto di un preciso concetto di ruralità.

Cibo e natura

Ho avuto la fortuna di seguire fin dall’inizio le evoluzioni e la crescita di questo progetto, la presa di consapevolezza, la voglia di migliorare costantemente servizio, menù, proposta alcolica. A questo proposito, per esempio, è ora presente anche un’interessantissima carta dei vini, scritta e raccontata dal competente sommelier Luca Fileri, che completa l’ampia e qualitativa linea di spine artigianali.

Ho conosciuto Christian tanti anni fa, al bancone (quando entrambi eravamo in erba, io come aspirante publican e lui come appassionato di birre) e quando vado a trovarlo, se ce n’è la possibilità, ci regaliamo delle stimolanti chiacchierate. Il suo modo di parlare delle uscite nei boschi e della loro preparazione, la purezza di sentimento con cui vive ogni volta questa esperienza e la gioia con cui la affronta mi ha ricordato Bruno, uno dei due protagonisti del romanzo Le otto montagne di Paolo Cognetti interpretato, nella versione cinematografica, dal bravissimo Alessandro Borghi. Bruno è un montanaro nell’anima, che ci prova, ma non riesce ad adattarsi alla vita moderna, fatta di rapidità, soldi e rapporti sociali effimeri. In una scena, mentre parla con dei ragazzi venuti da Torino e uno di loro magnifica la bellezza della natura, Bruno spiega che questa è una parola che nessuno usa dalle sue parti: in montagna si usa il nome proprio di ogni elemento che la compone, boschi, sentieri, neve, alberi, perché in questo modo si dona la concretezza a termini che altrimenti diventano materia intangibile e idealizzata, perché parliamo di oggetti, animali e cose che vivono, mu-

tano, muoiono, che ogni giorno bisogna utilizzare, fronteggiare, avvicinare. Ecco, questo atteggiamento è perfettamente rispondente a quello che accade qui, dove c’è qualcuno che crede in quello che fa, che ama profondamente la connessione ecologica e culinaria tra la vita nei boschi e le sue possibilità gastronomiche, che sa e si aggiorna, che si muove con idee precise e molto chiare. L’impatto estetico, all’ingresso, è quello di una baita di montagna moderna, dotata anche di ampio spazio esterno. L’ambiente è rilassato, la proposta di cucina è capace di muoversi in un perimetro certo, con tanta sostanza, basata sulla particolarità e le certezze della materia prima. Ad aumentare la qualità del pacchetto, l’ausilio di una squadra di collaboratori affiatata, in grado di portare avanti il lavoro in maniera corale: come ospiti, una delle cose più soddisfacenti sta nel sentirsi raccontare il menù in maniera professionale e garbata e ricevere risposta a richieste di spiegazioni e curiosità.

Ecco perché da Brado non c’è un piatto simbolo e non può esserci: ci si adatta a quello che la stagione, i boschi, i campi sono in grado di offrire nei vari momenti dell’anno ed è partendo da qui che si pensano i piatti della minuta a cui contribuisce una brigata di cucina giovane, entusiasta e disponibile, guidata da Edoardo Sbaraglia. Classe 1994, romano, inizia a cucinare perché gli piace mangiare, ma in breve si ritrova catapultato nella vita da ristorante, con significative esperienze in cucine di alto livello, tra cui quella presso lo stellato Martin Wishart, di Edimburgo: è lì che comincia a familiarizzare con le carni da selvaggina e da cortile. Un giovane dalla mano certamente felice, accompagnata da voglia di imparare e cercare strade non battute: concezione, strutturazione e realizzazione del menù ne sono la piena dimostrazione.

A tavola!

Per fare le cose bene, si parte sempre dal principio e noi, infatti, siamo partiti

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 51 ottobre 2023 GASTRONOMIA
Roberto Muzi con lo chef di Brado Edoardo Sbaraglia e Christian Catania

da due degli antipasti presenti nel menu di agosto.

Il primo di essi è un carpaccio di pecora di montagna, emulsione di pecora, rapa rossa e aneto.

Gli animali da cui si ottiene pascolano sulle alture del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, nella zona del lago di Campotosto, frequentando splendidi prati stabili, pascolando tra una grande varietà di erbe, a differenti altitudini, respirando aria di alta montagna: non conoscono forzature nei bioritmi e nell’alimentazione e vengono macellate entro l’anno di età. Per tutte queste ragioni, terminata la frollatura non troveremo gli odori forti dei tagli ovini adulti, ma una carne delicata, profumata ed elegante. Tanto che, appunto, si è pensato di farci un carpaccio. Scelta che valorizza perfettamente la testura scioglievole e i tanti profumi di fiori di campo, entrambi favoriti da allettanti e sottili venature di grasso. Un piatto che basta a se stesso, una splendida sorpresa, un incipit coi fiocchi per iniziare questo viaggio nella “cucina di campagna”. Per l’abbinamento abbiamo scelto la Zoe, fantastica keller pils di Birra dell’e-

remo (Assisi, PG), caratterizzata da beva, carbonazione delicatamente presente, amaro opportunamente dosato: i malti lavorano perfettamente come “appoggio” cerealicolo per la carne e per la vegetale tendenza dolce della rapa rossa. L’aneto aggiunge freschezza

e balsamicità, si unisce ai luppoli erbacei, che concedono anche zaffate vagamente citriche, con il risultato finale di valorizzare l’interazione tra il piatto e la birra. L’accostamento è una vera sciccheria, perché la delicatezza e la spensieratezza della pils sono perfetti per un piatto così carezzevole.

Padellaccia rivisitata

Il secondo antipasto è la padellaccia di cinghiale e maiale, servita su pan brioche, con panna acida, pesche al vino e carote alla brace. Tradizionalmente la padellaccia è il modo di cucinare i ritagli della macellazione del maiale, con un soffritto di olio e odori. Si tratta perciò nel nostro caso di una rivisitazione, poiché qui sono presenti anche tagli cosiddetti nobili, di entrambi gli animali. “Non sono mai contento di parlare di tagli nobili e poveri, non trovo che abbia senso: ogni pezzo dell’animale è buono, basta saperlo trattare e cucinare”. Annuisco convintamente alle parole di Christian: si tratta di storica terminologia commerciale, ma forse sarebbe il caso di ridiscuterne modalità e ragioni, alla luce dei risvolti ecologici e culturali

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Carpaccio di pecora abbinato a Zoe di Eremo Padellaccia di cinghiale e maiale con la bitter Bcubo di Bibibir

che finalmente, opportunamente, vengono riconosciuti alla cucina. Il pan brioche, fatto in casa, è di una morbidezza incantevole e fa da base d’appoggio per il companatico, rappresentato da carne di maiali semi-bradi (da allevamenti di fiducia) e cinghiali (da selezionatissimi bacini di caccia appenninici, nel centro Italia): la ciccia viene bollita, sfilacciata, ripassata in padella e tagliata a tocchetti.

Anche in questo caso, chi pensa di trovarsi di fronte a forti odori testosteronici è fuori strada: la carne risulta gustosa e tenera, profumata e decisa. Resa ancora più interessante dall’idea di accoppiarla con le pesche al vino: normalmente questo piatto è presente in menù accompagnato dalle fragole sottaceto, ma data la stagione è stato adattato (splendidamente), lasciando in chi mangia la suggestione gusto-olfattiva di una preparazione alla cacciatora.

Durante l’assaggio discorriamo sul rapporto culinario tra frutta e selvaggina e Christian mi racconta che qui si usa di frequente perché sono cibi capaci di accompagnarsi e valorizzarsi a vicenda: un connubio che gli piace sfruttare, svariando e prendendo il meglio di ciò che offre la stagione.

Centriamo un grande abbinamento grazie alla Bcubo, best bitter del poco celebrato Bibibir (Castellalto, TE), 4%, servita on pump e in forma straordinaria: una birra dalla “classe inglese”, con evidente beva, ma allo stesso tempo con una grande capacità di farsi ricordare, evidenziare e valorizzare il profilo magnifico dei malti utilizzati, il soffio finale biscottato. Essi infatti riescono a dialogare e giocare con la fisicità proteica della carne: se il piatto è equilibrato e sorprendente, l’abbinamento appaga perché la birra riesce trovare appoggi, medesima rotondità e le tostature spingono ai piani alti della soddisfazione le note umami del cucinato, suggerisce affinità di colori caldi e intimi e mette in luce le note mielate e floreali. Una scoperta, fatta di bellezza e soddisfazione.

Un primo intrigante

Dopo questo interessantissimo avvio, passiamo al primo: ravioli di cervo, serviti in un brodo freddo fatto con lemongrass ed emulsione di pecora, spolverato di erba cipollina.

Il cervo proviene da branchi liberi della Valtellina; l’erba cipollina è un importante elemento del piatto e proviene direttamente dall’orto di famiglia, gestito da papà Nunzio, che permette alla cucina di Brado di avere a disposizione anche pomodori di varie cultivar (la vera passione vegetale di casa Catania), cetrioli, cipolle, insalate, fichi d’India e variegate erbe aromatiche. L’idea del piatto ricorda una fausta rivisitazione dei classici gyoza giapponesi.

Il piatto ha un bell’impatto visivo e intriganti spunti gusto-olfattivi: la nota proteica, dolce e scura del cervo viene rinfrescata dalla “freschezza verticale” dell’erba cipollina, mentre il brodo, gentile e profumato, aggiunge consistenza e aromaticità. La Guldenberg, originale e straordinaria tripel di De Ranke, dialoga egregiamente col piatto, completandolo, valorizzando i toni floreali, detergendo le lievi note untuose del brodo; i malti fanno il loro e complessivamente si percepisce una buona eleganza, l’amaro è deciso, ma progressivo, la secchezza asciugante riesce a ripulire la bocca, mentre si susseguono le suggestioni di frutta a polpa bianca e fiore di giglio, un ensemble creativo di alto livello, di grande valore.

Carni selezionate

La tagliata di daino, accompagnata da un chutney fatto con prugne, cipolla, senape, zucchero e aceto è la scelta fatta per il secondo.

Selezionato tra i branchi che animano l’Appennino tosco-emiliano, il daino è un animale alloctono, una specie adattiva, resistente e che tende a prevalere su altre famiglie di cervidi (come il capriolo), perciò la sua riproduzione e le sue dinamiche sociali devono essere governate con attenzione e “a diminu-

zione”, come direbbero i gestori delle riserve di caccia.

Sono animali caratterizzati da una carne delicata, la più fine tra quelle dell’ampio gruppo degli ungulati, che proviene da abbattimenti selettivi prelevati secondo un piano redatto da tecnici e abbattuti al pascolo o di prima mattina oppure al tramonto: aspetto, quest’ultimo, molto importante perché gli animali in quel momento della giornata sono tranquilli, uscendo al pascolo dopo la giornata trascorsa al riparo nel bosco.

Gli abbattimenti selettivi così gestiti rappresentano l’inizio perfetto di una filiera seria e il miglior modo per portare in tavola un risultato virtuoso del rapporto tra animale e territorio: i branchi vengono controllati, in salute e in numero, e i cacciatori sono in grado di operare correttamente le prime opera-

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 53 ottobre 2023 GASTRONOMIA
Ravioli di cervo con Guldenberg De Ranke

zioni di eviscerazione, guadagnando in freschezza delle carni ed evitando qualsivoglia tipo di deterioramento prima della macellazione.

Il secondo passaggio essenziale è la frollatura: sulla selvaggina è corta (non si possono raggiungere le estensioni temporali del manzo), in questo caso si parla di una settimana, ma rimane una tappa fondamentale, da eseguire con perizia. Grazie a tutte queste attenzioni, la carne nel piatto risulta delicata, saporita, succosa. La tendenza dolce del tessuto muscolare è perfettamente “stuzzicata” dall’acidità della salsa: un piatto com-

posto splendidamente e cucinato in maniera superba.

L’abbinamento è stato fatto con la Spoiler sorry realizzata da Rebel’s (Roma), interessante scotch ale con 6.66% di alcol, brassata per celebrare Il santo bevitore, storico pub romano.

La funzionalità dell’accostamento è basata sulla piena disponibilità della birra: la ciccia si appoggia mollemente e felicemente sulla morbidezza dei malti, sulla cremosità della CO₂, sulla sua capacità di essere accogliente e collaborativa. Ecco perché l’abbinamento risulta molto attraente, con refoli aro-

matici di vermouth, artemisia, fiori di campo, che suggestionano, invogliano, completano.

Un abbinamento vincente

La chiosa dolce è affidata a un sablè con caffè, caramello salato, panna acida e more. La suadenza, la grassa e lubrica rotondità generano gioia: l’insieme delle percezioni è un intreccio tra cremosità, sapidità e acidità gentile delle more e della panna acida.

Abbiamo trovato grande soddisfazione nell’abbinamento con la Maxima culpa, quadrupel con visciole, 11%, di Eastside Brewing (Latina). Una birra autorevole, potente, ispirante, di cui si percepiscono radici, rabarbaro, tostature, caffè, liquoroso e un apprezzabile equilibrio dolce-amaro nella fase gustativa. È una coppia che funziona con agilità, in cui l’elemento sapido (del dessert) è il perno del gioco, mentre grassezza e rotondità sfidano le tostature del malto. La birra tiene il passo gustativo e completa l’offerta aromatica col suo ricco contributo, dando al sorso un pacifico senso di risolutezza e virtù. Una chiusura appagante e maestosa. ★

Le fotografie utilizzate nell’articolo sono state realizzate da Manuel Catania

54 BIRRA NOSTRA MAGAZINE ottobre 2023
GASTRONOMIA
Tagliata di daino con Spoiler Sorry di Rebel’s Sablè con caffè, caramello salato, panna acida e more abbinato a Maxima Culpa di Eastside

BIRRE ARTIGIANALI ICONICHE: Tipopils di Birrificio Italiano

Toccatemi tutto ma non la Tipopils! Il 3 aprile 1996 a Lurago Marinone, un manipolo di visionari inaugura il Birrificio Italiano. Da quel giorno esiste la Tipopils, croce e delizia di publican e bevitori. Delizia per chi poteva servirla, croce per chi vedeva entrare nel locale Agostino Arioli o chi per lui a controllare la presenza della cella refrigerata e, nel caso non tutto fosse a posto, si trovava con l’ordine rifiutato. Esagerazioni per alcuni, duro ma necessario pragmatismo per altri: vuoi bere una buona birra artigianale come il birraio l’ha pensata? Questo è ancora oggi il modo secondo il Birrificio, con scadenze brevissime, per berla sempre al top delle sue possibilità aromatiche.

C’è chi sostiene che il mondo artigianale non dovrebbe produrre Lager, perché è dannoso e controproducente sfidare l’industria nel suo campo prediletto. A parte il fatto che esistono anche birre industriali ad alta fermentazione e pure piuttosto iconiche come ad esempio Leffe, questa considerazione può valere, al massimo, per Helles, Dortmunder e dintorni: quelle birre che in effetti si avvicinano pericolosamente al panorama delle multinazionali, fatto di aromi blandi se non assenti, da bere ghiacciate perché altrimenti non vanno giù. E in ogni caso la considerazione vale sul mercato, non nell’ambito di un brewpub. Ma poi, a titolo personale, perché mi volete togliere il piacere di bere una Helles

– a una temperatura decente, che non dia l’impressione di perdere i denti al primo sorso – fatta bene, pulita, delicata, semplice e al tempo stesso appagante, in un bel pub?!

La Tipopils, in ogni caso, non rientra in questo discorso. Non ci rientra perché gioca in un altro campionato. È decisamente artigianale, di nicchia ma adatta a molti se non a tutti; racconta che anche una Lager può essere emozionante proponendo aromi e sapori sconosciuti al mondo delle multinazionali, ancor più sul finire dello scorso millennio. Negli anni è cambiata, certamente. Di tanto in tanto cambiano i luppoli, secondo la disponibilità, la qualità, ma soprattutto il gusto personale di Agostino,

56 BIRRA NOSTRA MAGAZINE ottobre 2023 BIRRE E BIRRIFICI
di Andrea Camaschella

Maurizio e del team che quella birra la produce e la coccola, letteralmente, da sempre.

Identikit della Tipopils

Eppure, questa birra è come una Porsche 911: ogni nuovo modello è assolutamente attuale, innovativo ma se paragonato ai precedenti ne è indiscutibilmente simile e riconducibile, tanto che la descrizione è più o meno la stessa da sempre. Forse nell’aspetto, giallo paglierino, limpido, con schiuma bianca e generosa, è cambiata di più rispetto agli albori.

I profumi erbacei, floreali, lievi fruttati, talvolta tendenti all’agrume, delicati sentori di crosta di pane a fine lievitazione e miele di acacia, stuzzicano il naso e la fantasia: sono profumi tenui rispetto a una American Pale Ale o una IPA ma dirompenti in confronto a ogni altra Pils, ceca, boema o tedesca che dir si voglia! In ogni caso freschi, ben armonizzati, invitanti.

L’assaggio è subito convincente: entra con una dolcezza ben dosata che si amalgama con una nota amara, a sua volta dosatissima, che firma il finale. Il bilanciamento tra corpo, sapori, secchezza, retrogusto, frizzantezza e ogni altro elemento è perfetto, chirurgico: il sorso non ha sbavature, ogni cambiamento è armonico, perfetta conseguenza della sensazione precedente.

Descritta così potrebbe sembrare una birra artefatta, troppo cerebrale, studiata a tavolino per convincere. Niente di più lontano dalla realtà della bevuta: la Tipopils è emozione pura, a ogni sorso, persino adesso dopo 27 anni di assaggi più o meno assidui.

Soprattutto è più pulita e più stabile. Il Birrificio Italiano ha cambiato impianti, ha aggiunto fermentatori, maturatori, macchinari vari, ha implementato tecnologia e sistemi di controllo che permettono di vendere, in generale, prodotti più stabili, più puliti, con l’ossi-

dazione perfettamente sotto controllo. Sono migliorate anche le linee di imbottigliamento e di infustamento. Non è mai cambiata la filosofia di base: niente centrifuga, filtro, né pastorizzazione, flash o meno, niente uso disinvolto di chiarificanti o antiossidanti. Il tempo e il miglioramento dei processi, l’ottimizzazione di ogni singolo passo, sono gli elementi cardine, perseguiti negli anni e applicati per altro a ogni produzione. Dunque, la Tipopils è cambiata, in meglio, ma in linea di massima resta quella birra che ancora oggi spiazza mol-

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Agostino Arioli Agostino Arioli e Maurizio Folli

ti tedeschi, che non si capacitano di “ascoltare” i loro luppoli in quel modo, con quei sentori così freschi, pungenti, con profumi nuovi che non si sentono se aggiunti (solamente) nel mosto ancora caldo. Perché oggi come allora il segreto (di Pulcinella) della Tipopils è il dry hopping, l’aggiunta di luppolo alla birra, dunque dopo la fermentazione. Il segreto vero è invece la capacità di accaparrarsi i luppoli di grande qualità, di dosarli, di usarli al momento giusto e nel modo giusto. Cosa davvero difficile in quel 1996, quando un italiano andò a bussare alla porta dell’azienda della famiglia Locher, nell’area di Tettnang, la zona a nord del lago di Costanza dove si trovano i più pregiati luppoli tedeschi. Oggi Agostino è praticamente di casa, all’epoca era considerato un eccentrico. È cambiato il modo di fare il dry hopping, che poi è il punto focale di questa birra, quello che rompe con la tradizio-

ne teutonica, che la eleva a nuove vette. Mentre altri nei primi anni di birra artigianale si arrabattavano come potevano, Agostino, dopo gli studi universitari e un periodo in Germania, applicava metodologie da birraio più che da alchimista. La creatività non gli difettava ma l’ha applicata in modo scientifico, logico, attento.

Oggi i birrai tedeschi iniziano a parlare di questa modalità per migliorare la parte aromatica delle loro birre. Spesso fingendo di dimenticare che è stato un italiano a pensare una Pils così rivoluzionaria. Ha passato indenne l’epopea del famolo strano con uso spesso smodato di ingredienti locali e

spezie esotiche, l’eccesso della creatività dei nostri birrai, convive con ogni tipo di declinazione di American IPA, limpide o juicy, chiare o scure. Al massimo è passata dall’essere una birra troppo amara per alcuni a non abbastanza amara. Paradossi di un mercato che è cresciuto, pure grazie a questa birra, perché proprio la Tipopils è stata la base, la scintilla che ha dato il via a quella che abbiamo spesso definito la scuola lombarda della birra artigianale, dove l’amaro non faceva paura e anzi si faceva sentire spesso e volentieri, in netta contrapposizione con la scuola piemontese, più neutra o vocata al dolce, meno coraggiosa per certi versi.

Ha anticipato l’avvento delle birre della Franconia e delle tantissime birre italiane a bassa fermentazione di ispirazione mitteleuropea. Non solo resiste ma ancora indica e traccia la strada.

logo spina tipopils

Pils ed eventi

Partecipare al Pils Pride, la festa che il Birrificio organizza ogni primavera, è un punto di orgoglio per ogni birraio italiano che produca una Pils. E non solo italiani, tanto che si è arrivati a partecipare all’organizzazione di un evento gemello negli Stati Uniti, ulteriore segno che la fama della Tipopils e di Agostino Arioli è andata oltre i confini nazionali. Per i suoi fan è nato anche il Tipopils Day, una giornata in cui nei pub selezionati viene aperta una botticella a caduta (di Tipopils, ma con un ulteriore dry hopping direttamente in botte) e spillata un’altra versione di Tipo, la keg dryhopped, cioè luppolata in fusto, almeno questa è stata la scelta per l’ultima edizione di marzo 2023. I birrai d’oltreoceano parlano di Italian Pils, inten-

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dendo la Tipopils come capostipite. Una German Pils con solo luppoli continentali tedeschi usati anche a freddo. Benché non riconosciuto dal BJCP è uno stile a tutti gli effetti, codificato da Birra dell’Anno con la categoria 2 che è decisamente partecipata.

A livello personale fu la prima birra italiana a sorprendermi, a farmi pensare che anche in Italia avremmo potuto produrre birre di alto livello, che c’erano i presupposti perché si sviluppasse un mercato (fui comunque un po’ ottimista guardando la realtà attuale e la percentuale che l’artigianale occupa del mercato birra, ma ero giovane…). Una birra che coniugava rigore e precisione teutoniche e gusto, aromi e fantasia italiche. Con quella birra, o meglio con quella mentalità, il Birrificio Italiano ha iniziato la sua silenziosa e pacifica rivoluzione.

Se non è una birra iconica la Tipopils…

… non saprei quale altra birra possa esserlo. Attorno alla Tipopils, dal 1996 a oggi, il Birrificio Italiano è cresciuto e si è spostato, lasciando la storica sede di Lurago Marinone, per spostarsi a pochi chilometri, a Limido Comasco, dove resta il pub. La nuova sede non è gigantesca, è però accogliente, con il primo piano dedicato agli uffici, al laboratorio, alla sala degustazione. Un ambiente informale, dove si può lavorare comodamente, con gli spazi giusti. Anche l’esterno è stato sfruttato per aggiungere tini e altre parti. Ci si poteva aspettare una crescita ben più importante, le scelte dei soci sono invece sempre state molto ponderate: piccoli passi, sicuri e concreti; e anzi, rispetto a qualche anno fa, in termine di volumi produttivi, c’è stata una decrescita e ora che la produzione si è attestata attorno ai 7.000

ettolitri annui, la loro misura ideale, gli investimenti non si sono fermati ma hanno cambiato destinazione. Se prima la corsa era a ingrandirsi e poi a migliorare i processi, ora è tesa a semplificare e migliorare la vita, in generale. La linea di imbottigliamento è più performante e più automatizzata, meno manuale – e quindi meno faticosa – grazie al macchinario che si occupa di prendere le bottiglie dal pallet e inserirle in linea. Nuovi il mulino e il sistema per portare i grani macinati al tino di ammostamento, più comodi. Si guarda anche al futuro e all’ambiente: i pannelli fotovoltaici sono operativi già da un bel po’ e sono un bell’aiuto dal punto di vista energetico. Il sistema di recupero di CO2 è invece in fase di realizzazione o meglio di finalizzazione: è già installato ma non è ancora operativo. Aiuterà forse poco la produzione perché su questi volumi produttivi non raggiunge grandi performance – le valutazioni andranno comunque fatte quando sarà in attività e ci saranno dei dati concreti da analizzare – ma in ogni caso è il massimo che un birrificio può fare per essere sostenibile, per inquinare di meno. Un passo importante, visto che i birrifici artigianali, tra consumi di acqua e altro, non sono esattamente ecologici.

Ovviamente non si resta seduti sugli allori per quanto riguarda gli altri aspetti di un birrificio, il controllo di qualità è costante e porta a continui sviluppi e miglioramenti. Le materie prime sono sempre scelte per qualità e non per convenienza o provenienza, il che non vuol dire che non saranno italiane, prima o poi, ma per ora solo alcuni luppoli provengono da coltivazioni italiane, un progetto, quello del luppolo italiano, che Agostino segue – e sostiene – con grande interesse da parecchi anni. Dopo aver dato vita a Klanbarrique, nella provincia di Trento e con Matteo

Marzari e Andrea Moser come soci, oggi il progetto prosegue a Limido Comasco, con Agostino unico socio. L’esperienza trentina non è stata cancellata, anzi, è stato un laboratorio fondamentale in cui sperimentare, studiare, talvolta anche improvvisare e arrivare a quello che offre oggi Klanbarrique, una gamma concreta e intrigante di birre.

Anche sul fronte dei distillati il Birrificio Italiano non è rimasto al palo. Archiviata la non facile convivenza in Strada Ferrata (Agostino e il Birrificio non hanno più quote societarie né partecipano in alcun modo), il Birrificio Italiano ha già pronto il proprio progetto, per mettere in pista le proprie idee ed esperienze, è già stato scelto il logo – non faccio spoiler ma sarà semplice, elegante e senza fronzoli, come nello stile in generale del Birrificio. Nell’attesa ingannate il tempo con qualche boccale di Tipopils, che non stanca mai! ★

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 59 ottobre 2023 BIRRE E BIRRIFICI

Indirizzi (dove la Tipopils non manca mai):

Birrificio Italiano Lurago Marinone Via Castello, 51 22070 Lurago Marinone CO

Birrificio Italiano Milano

Via Ferrante Aporti, 12 20124 Milano MI

Produrre Tipopils a casa propria

Ricetta per 23 litri

IBU: 35

Colore: 8 EBC

OG: 12°P (1.048)

FG: 2,3°P (1.009)

Grado alcolico: 5,2

Bicchiere consigliato: calice pils

Temperatura di servizio consigliata: 6°C

Malto Pilsner 5 kg

Rapporto acqua/malto 3:1 pH: 5,3

Produzione e spaccio (visite guidate su appuntamento):

Via Marconi 27

22070 Limido Comasco CO

Telefono: 031 5481162

Email: info@birrificio.it Sito web: www.birrificio.it

Lievito: W 34/70.

Fermentazione: 6 giorni a 11°C, poi lagerizzazione per 28 giorni a 2°C.

Dry Hopping: a fine fermentazione primaria dopo recupero lievito 15 g Spalter Select

Confezionamento isobarico

Luppoli – Bollitura 90 minuti

Da

60 BIRRA NOSTRA MAGAZINE ottobre 2023
E BIRRIFICI
BIRRE
Protein rest 50°C 15 min Beta amilasi 64°C 20 min Alfa amilasi 72°C 20 min Mash
77°C
out
Sparge
16 g 10 AA 75 min
g 8,2 AA 45 min
Select 22 g 5 AA 0 min
13 g 5 AA 0 min
amaro secondo disponibilità: varietà da Germania o Slovenia
Perle 9,5
Spalter
Saphir

Tour nelle colline del Prosecco tra CONEGLIANO E VALDOBBIADENE

Se è vero che ormai le ferie estive sono un ricordo, nulla ci impedisce di programmare una gita fuori porta per un fine settimana che ci possa offrire un po’ di svago ed anche l’occasione per una buona degustazione birraria.

L’itinerario che vi presento è inserito nel volume dedicato al Nord Est di Turismo birrario - Guida per viaggiatori in fermento curato da Luca Grandi con il contributo di Pierluigi Bruzzo e Gabriele Navoni e pubblicato, poco prima dell’estate, da Edizioni LSWR. Il percorso, che si snoda

attraverso territori dove il legame con la cultura brassicola potrebbe sembrare inesistente, ci rivela un paesaggio entrato nel 2019 nel Patrimonio mondiale Unesco e caratterizzato da vigneti dove la produzione di Prosecco Superiore DOCG la fa da padrone.

Da Conegliano ai laghi di Revine

Il punto di partenza del percorso è la città di Conegliano e soprattutto il suo castello con le mura merlate e l’alta torre denominata “Campana”. All’interno del

castello si trova il Museo Civico composto dalla pinacoteca, dal lapidario e da

TURISMO BIRRARIO
di Mirka Tolini
Luca Grandi

una sezione archeologica che racconta il passato della città. Dal castello, costeggiando le mura, si scende verso il centro storico superando il convento di San Francesco e la chiesa della Madonna della Neve.

Giunti in piazza Cima è visibile il Teatro dell’Accademia e, a pochi passi, il duomo di Conegliano la cui facciata è nascosta dalla Sala dei Battuti, costituita da nove archi a sesto acuto affrescata da Ludovico Toeput alla fine del Cinquecento. Proseguendo dopo il Duomo è visibile porta Dante e pochi metri dopo la fontana di Nettuno inaugurata nel 1838 in occasione del passaggio a Conegliano di Ferdinando I d’Austria.

Il viaggio prosegue verso San Pietro di Feletto dove è possibile visitare la Pieve e i suoi affreschi per proseguire quindi verso Refrontolo, piccolo paese famoso per il suo vino, dove è visibile il Molinetto della Croda, antico mulino costruito nel 1600 rimasto in funzione fino al 1957 e recentemente restaurato. Passando per Rolle, dove la scenografia naturale tra colline e vigneti merita qualche foto ricordo, ci si dirige verso i laghi di Revine che fanno da sfondo al Cansiglio, Pian delle Femene e Col Visentin.

Cison di Valmarino, Follina e il Santuario di Collagù

L’itinerario prosegue fino a Cison di Valmarino, nel cuore delle Colline del Prosecco dove una funicolare vi potrà portare alla scoperta di vie e strade in mattino fino all’inizio della via Dell’Acqua, una strada che attraversa l’antica via dei mulini.

L’abbazia di Follina si trova ad appena pochi chilometri e permette, attraversato il bellissimo chiostro, di ritrovarsi in piena atmosfera medievale. Da Follina, per chi è alla ricerca di pace e silenzio si può salire alla chiesetta di Collagù; un santuario in mezzo al verde!

Da Combai a Valdobbiadene

Proseguendo il viaggio si arriva a Combai dove, per tutti i fine settimana di ottobre, è possibile partecipare alla Festa dei Maroni di Combai. Arrivati a Valdobbiadene in piazza Marconi è possibile ammirare i due protagonisti assoluti di questo scorcio: il campanile e il duomo di Santa Maria Assunta. A pochi passi Villa dei Cedri, edificio in stile liberty costruito a fine Ottocento.

Birrificio di Quero

E se pensavate che avremmo solo parlato di colline e di vino vi siete sbagliati! Inevitabile a questo punto la presentazione del birrificio di Adriani ed Eris che dal 2010 nel paese di Quero producono una birra con l’acqua che arriva direttamente dalle sorgenti della Valle di Schievenin. Le prime birre erano a bassa fermentazione di ispirazione tedesca ma con il tempo hanno sperimentato stili più mitteleuropei e nordamericani e da poco hanno aperto, a qualche chilometro di distanza nella vicina Busche, l’Osteria della Birra dove dalla colazione a notte fonda, vicino ai piatti della tradizione e ai prodotti stagionali è possibile degustare le loro buonissime birre. ★

Birrificio

di Quero

via Feltre, 16 Quero (BL)

L’itinerario completo lo trovate su “Turismo birrario - Guida per viaggiatori in fermento”

Nord Est di Pierluigi Bruzzo, Gabriele Navoni e Luca Grandi. Edizioni LSWR.

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 63 ottobre 2023 TURISMO BIRRARIO

HANNO SCRITTO PER NOI

Giorgia Bertan

Laureata in Mediazione linguistica e culturale, con un passato nella logistica e una grande passione per la birra artigianale. Nel 2020 ho mollato tutto per tornare sui banchi di scuola e diventare birraia. Oggi mi divido tra Piemonte e Lombardia lavorando in produzione da Birrificio Castagnero e Serra Storta.

Andrea Camaschella

Appassionato di birra da svariati anni, sono coautore dell’Atlante dei Birrifici Italiani, docente ITS Agroalimentare per il Piemonte e in svariati altri corsi.

Norberto Capriata

Scienziato, filosofo, artista, pornografo, viaggiatore del tempo, mi divido tra la florida attività di arrotino-ombrellaio e la passione per la birra artigianale. Ho collaborato con le principali riviste del settore, a loro insaputa, e insegnato in vari corsi di cultura birraria, che nessuno ricorda.

Katya Carbone

Ricercatore presso CREA Centro di ricerca Olivicoltura, Frutticoltura, Agrumicoltura. Responsabile del laboratorio di “Chimica e Biotecnologie degli Alimenti”, sono da anni impegnata nel settore brassicolo e in quello luppolicolo in particolare. Coordinatrice di diversi progetti nazionali sulla filiera, sono autrice di numerose pubblicazioni ed esperto tecnico al Tavolo di settore presso il Masaf, dove coordino il GdL “Ricerca e Sperimentazione”. Sono membro dello Steering Committee per la stesura del Piano di settore del luppolo.

Mario Cariello

Esperto in attività di comunicazione digitale e social media strategy presso il CREA - Politiche e bioeconomia. Sono specializzato in comunicazione pubblica e d’impresa, con una particolare attenzione ai nuovi media e alle tecniche di comunicazione digitale.

Lorenzo “Kuaska” Dabove

Degustatore, esperto, docente, giudice e scrittore di birra. Pioniere nel supportare il movimento artigianale italiano. Dal mese di aprile 2021 ho assunto la carica di Presidente del Comitato Tecnico Scientifico dell’Accademia delle Professioni di Padova. Ho pubblicato “La birra non esiste”, “Le Birre” e “Il Manuale della Birra” con contributi e capitoli di libri di Michael Jackson, Tim Hampson, Garrett Oliver, Randy Mosher, Tim Webb e Stephen Beaumont.

Erika Goffi

Operatrice turistica per vocazione, craft beer enthusiast per passione! Ho coronato uno dei miei sogni trasferendomi in Belgio prima, passando per Olanda e Germania poi, vivendo così in prima persona tre importanti paradisi brassicoli europei.

Francesco Licciardo

Economista agrario impegnato in attività di analisi e ricerca presso il CREA - Politiche e bioeconomia. I miei studi comprendono, fra gli altri, gli effetti delle politiche di sviluppo rurale, i processi di aggregazione nel settore agroalimentare e le analisi di filiera, tra cui quelle minori come il luppolo.

Matteo Malacaria

Giudice qualificato BJCP e beer sommelier, autore del blog Birramoriamoci.it e del libro “Viaggio al centro della birra”. Mi occupo di comunicazione e marketing applicati al settore birro gastronomico e sono docente presso la NAD di Verona.

Roberto Muzi

Formatore, sommelier, assaggiatore ONAF e consulente di settore. Laureato in Scienze Politiche, sono stato responsabile regionale per la Guida alle birre d’Italia di Slow Food Editore dal 2014 al 2021 e giurato in diversi concorsi birrari nazionali.

Eleni Pisano

Scrivo, fotografo, insegno e racconto di cibo. Esperta di turismo esperienziale in ambito brassicolo, beerchef, food stylist e beernauta in cerca di eccellenze in ambito brassicolo. Ho lavorato per grandi marchi del mondo birrario italiano e poi mi sono avvicinata al mondo brassicolo artigianale. Lavoro come consulente e beerchef in diversi locali tra Milano e Monza. Collaborazione su beer pairing.

Mirka Tolini

Professionista della scrittura, sono arrivata alla birra artigianale per amicizia. In dieci anni entrambi i legami sono fermentati!

64 BIRRA NOSTRA MAGAZINE ottobre 2023
Giorgia Bertan Eleni Pisano Andrea Camaschella Francesco Licciardo Erika Goffi Katya Carbone Lorenzo “Kuaska” Dabove Mario Cariello Matteo Malacaria Norberto Capriata Mirka Tolini Roberto Muzi

T i p o d i c a m p i o n e :

M o s t o

M o s t o i n f e r m e n t a z i o n e B i r r a f i n i t a

P a r a m e t r i :

A l c o l , S G , d e n s i t à , p H , R D F , e s t r a t t i ( g r a d o P ° ) e c a l o r i e

B e e r F o s s ™ F T G o

D A T I E S S E N Z I A L I S U L P R O C E S S O

D I B I R R I F I C A Z I O N E

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