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INCHIESTA

Sanificazione ripartiamo da qui?

Mentre scriviamo il mondo sta affrontando una pandemia, una prova dura ed estenuante, con un carico in termini di sofferenze e di perdite di vite umane insostenibile e che sta mettendo in ginocchio sistemi sanitari ed economie. Un’escalation impensata che ha colto impreparati tutti i paesi colpiti, quelli europei fra questi, nonostante l’epidemia si sia presentata dapprima in Cina e con un certo anticipo. Ma il mondo globale accorcia le distanze e costringe ad agire e a pensare molto velocemente. COVID-19 è la malattia causata da un agente patogeno della famiglia dei coronavirus denominato definitivamente SARS-CoV-2, dall’OMS dopo l’identificazione di un nuovo ceppo nell’uomo. Si tratta di un virus respiratorio, altamente infettivo, che si trasmette facilmente attraverso le goccioline di saliva. Eppure, se c’è un’informazione fra le prime rimbalzate dai media e mai più smentita in materia di diffusione e prevenzione del contagio è che l’infezione non si trasmette coi cibi, cioè il contagio non avviene per via alimentare. Per lo meno stando ai dati disponibili ad oggi – precisano le fonti ufficiali. Perché dunque si è temuta inizialmente la pericolosità degli alimenti? Qual è il nesso? I coronavirus vengono trasmessi tra animali e tra animali e persone umane. COVID-19 è di fatto una zoonosi. Il salto di specie questo virus lo avrebbe fatto passando dal pipistrello all’uomo (si ipotizza che il pangolino sia stato l’ospite intermedio), probabilmente per la promiscuità tra uomo e animali selvatici venduti vivi o macellati in tempo reale all’interno dei cosiddetti “mercati umidi”, molto diffusi in Cina per una tradizione alimentare radicata, ma ambienti di vendita dove la possibilità di contatto fra uomo e veicoli di infezione è elevatissima. L’epicentro sarebbe stato individuato proprio nel mercato di Whuan, città cinese nella regione dell’Hubei. Prima però di approfondire il nesso virusalimenti diamo un breve sguardo al con testo per capire come il settore è stato colpito. Il 99% delle imprese alimentari e delle bevande dell’UE sono piccole e me

Sanificare correttamente diventa un’esigenza e un’attenzione di tutti ma sarà necessaria una formazione adeguata

Gli effetti psicologici di una pandemia persistono più a lungo del virus che l’ha provocata

die imprese (PMI). L’emergenza sanitaria ha avuto impatti diversi a seconda dei set tori: provocato un calo significativo della domanda o in alcuni casi uno spostamen to e riassetto delle produzioni (diminuzione di prodotti per food service e aumento delle referenze per GDO), quando non il fermo totale dell’attività. Cosa, quest’ul tima, accaduta al comparto della ristorazione (privata e pubblica) che ha subito un repentino blocco. Il divieto di circolazione e assembramento sono infatti le princi pali forme di contenimento della malattia fra la popolazione. Anche se le aziende di produzione hanno continuato a produrre e ad assicurare la sussistenza, non man cano le preoccupazioni per la tenuta del sistema. Messi a tacere “i tentativi spesso maldestri di speculazione tra partner commerciali”, così ha definito la Ministra Teresa Bellanova la richiesta di certificati virusfree per i prodotti italiani da esportazione da parte di operatori esteri, la situazioni in Europa si fa via via più pesante. Mella Frewen, direttore generale di Food Drink Europe, in una nota del 23 marzo ha dichiarato che l’obiettivo del settore - 4,7 milioni di lavoratori dedicati e 294.000 aziende di tutte le dimensioni - è chiaramente quello di non interrompere le forniture. Tuttavia “questo sta diventando sempre più difficile”. FDE ha chiesto alla Commissione di agire con urgenza per emettere linee guida comuni a tutti i Paesi, che non lascino possibilità di interpretazione; una salvaguardia all’intera filiera della produzione compresa la logistica e una armonizzazione dei protocolli doganali per favorire il transito delle merci e, ovviamente aiuti e agevolazioni economiche. Anche la sicurezza igienica delle produzioni sembra oggi diventata una delle chiavi, non solo per rimanere aperti ma per ripartire bene, quando sarà possibile. E traccia i contorni di quel nesso fra ali menti e virus di cui dicevamo in apertura. Non c’è possibilità di trasmissione, ripe tono gli esperti, se si osservano in modo stringente le misure di sicurezza igienica che il comparto ben conosce, ora ancor più importanti per garantire l’incolumità dei lavoratori in servizio, ma anche la fiducia dei consumatori. Il punto è che sebbene il virus non si trasmetta col cibo, un luogo dove il cibo si consuma (e si prepara), deve essere percepito come sicuro. Ora, doma ni, più che mai. Perché gli effetti psicologici di una pandemia hanno persistenza maggiore del virus che l’ha provocata. L’uso di idonei dispositivi di protezione individuale, il mantenimento della distanza di sicurezza, disinfezione accurata e sistematica delle mani e superfici sono le misure di prevenzione urgenti che l’emer

genza ha richiesto di porre in essere. Questo virus è sensibile a sostanze di disinfezione di uso comune che vanno incluse in protocolli operativi di sanificazione degli ambienti in funzione della destinazione d’uso. Per rispondere alle richieste di tecnici e operatori che devono gestire i piani di sanificazione Anid, l’Associazione delle aziende di disinfestazione, ha pubblicato un documento (Buone Prassi igieniche nei confronti di SARS-CoV-2), elaborato partendo da un’analisi della bibliografia esistente. Il testo comprende anche una valutazione nello specifico dei vari formulati reperibili in commercio, abbinandoli alle diverse fasi applicative per le aree soggette al contagio da SARS-CoV-2 (sia in presenza di virus sia in forma preventiva), nel rispetto dell’ambiente e per la salvaguardia della salute pubblica; il tutto in accordo con le indicazioni del Ministero della Salute emesse in data 22 febbraio 2020 secondo cui i virus SARSCoV-2 “sono efficacemente inattivati da adeguate procedure di sanificazione che includano l’utilizzo dei comuni disinfettanti di uso ospedaliero, quali ipoclorito di sodio (0.1% -0,5%), etanolo (62-71%) o perossido di idrogeno (0.5%), per un tempo di contatto adeguato.” SARS-CoV-2 rimane tuttavia un virus dai comportamenti non ancora del tutto disvelati. Come per esempio la sua diffusione in aerosol e il comportamento di una contaminazione sulle superfici: per queste ultime uno studio preliminare pubblicato su Medrxiv.org (Aerosol and surface stability of HCoV-19 (SARSCoV-2) compared to SARS-CoV-1) ha valutato la persistenza della capacità infettante del virus su rame, cartone, acciaio inossidabile e plastica, a temperatura ambiente di 21-23°C e umidità relativa del 40%. La persistenza maggiore è stata osservata per la plastica, sulla quale la carica infettante impiegava circa 7 ore per dimezzarsi, mentre ne sono servite 72 per ridurla del tutto. Cosa ci sta insegnando quindi l’emergenza causata da Coronavirus in termini di gestione della sanificazione? “Se, da

Food Delivery: trend emergente in cerca di identità

Valerio Sarti

Abbiamo chiesto a Valerio Sarti, tecnologo alimentare e consulente aziendale per Viesse Consulting quali sono gli aspetti critici in ambito igieni-sanitario di una tendenza emergente: quella del food delivery, la consegna a domicilio di pasti preparati in ambiente di ristorazione

Il food delivery è una tendenza emergente: come si sta sviluppando?

A livello mondiale, il mercato è pari a 83 miliardi di euro (1% del mercato alimentare totale), con un tasso di crescita annuo complessivo stimato al 3,5% per i prossimi cinque anni. Nel 2019 in Italia l’online food delivery ha generato 590 milioni di euro per il settore della ristorazione, crescendo del 69% rispetto al 2018, confermando il tasso costante di crescita annuale del 68-70%. In Italia, si tratta di un mercato da più di 3 miliardi di euro complessivi, ma solo l’11% del food delivery è online. La restante parte riceve ancora gli ordini tramite sistemi tradizionali (telefono), gestendo le consegne in proprio. Questi dati riguardano il settore prima dell’emergenza Coronavirus. Senza dubbio, quando il settore della ristorazione ripartirà, troverà nel food delivery una sponda fondamentale per il rilancio. I ristoratori hanno ben compreso che è una strada imprescindibile, ma i problemi sono altri. La maggior parte delle aziende uscirà da questa crisi con pochissime risorse economiche e c’è il serio rischio che i pochi investimenti possibili saranno quelli finalizzati alla digitalizzazione per azioni di marketing destrutturato, per acquisire il “cliente ad ogni costo”. Il food delivery oggi deve essere impostato con altre logiche e approcci perché, come dicevo prima, anche il cliente è cambiato. La maggior parte dei ristoratori, per quanto ho potuto apprendere, pare intenzionata ad affrontare il food delivery con una propria struttura.

una parte, sono note a tutti le misure di prevenzione e contenimento del contagio, dall’altra emerge poca chiarezza nella gestione operativa – secondo Valerio Sarti, tecnologo alimentare (vedi box) e le aziende chiedono supporto. Sanificare correttamente diventerà un’esigenza e un’attenzione di tutti. Sarà necessaria una formazione adeguata e una competenza che consenta di valutare la scelta dei prodotti da utilizzare, la tipologia di sporco da eliminare e la corretta modalità di utilizzo dei prodotti specifici”. Una nuova competenza, insomma, per un nuovo pericolo. Molti commentatori scrivono che c’è stato un prima e ci sarà un dopo pan

Le aziende chiedono supporto e indicazioni chiare

demia. Che il mondo non sarà più lo stesso e che dovremo abituarci a nuo vi equilibri e probabilmente convivere per molto tempo con l’ennesimo Coro navirus. Se da un lato confidiamo nella salvezza di un vaccino, dall’altro per ricominciare dovremo da subito attua re comportamenti virtuosi e preventivi che aiutino anche ad abbattere la dif fidenza verso tutto ciò che può essere visto e vissuto come veicolo di un peri coloso contagio.

Quali sono le criticità e i rischi in termini di sicurezza sanitaria per il consumatore?

Il primo aspetto critico è rappresentato dalla capacità di rendere informazioni facilmente fruibili ai sensi del Reg. CE 1169/2011. Più precisamente, configurandosi il food delivery come un’attività di vendita a distanza, le in formazioni sugli allergeni devono essere fornite prima o contestualmente all’atto dell’acquisto. Altri aspetti, sem pre di natura igienico sanitaria, devono in qualche modo essere esplicitati in modo chiaro e trasparente, o quanto meno debitamente gestiti. Partendo dal presupposto che i piatti a base di sushi rappresentano il primo prodotto richiesto nelle attività di food delivery, mi limito anche in questo caso a porre l’accento sulle modalità attraverso cui sono fornite le informazioni riguardo alle attività di bonifica sanitaria o al tempo per cui è possibile conservare il prodotto se non se ne completa immediatamente il consumo. Insomma il tema è quello di formalizzare e prepa rare informazioni che orientino il cliente verso un consumo sicuro e su questo fronte credo che il mondo del food de livery abbia sensibili margini di miglioramento. Altre criticità riguardano la gestione delle temperature e l’ambito della prevenzione da atti di manomis sione intenzionale di varia natura tra cui il furtivo assaggio di un soggetto terzo oppure l’atto lesivo e fraudolento congegnato in modo deliberato.

Questa crisi ci ha reso tutti più sensibili ai concetti di igiene. Quali considerazioni in termini di risk Assessment deve fare l’operatore alimentare?

A parte l’azzardo di concentrare le poche risorse finanziarie su investimenti di digital marketing, i ristoratori devo no anche superare vecchi retaggi, sulla base dei quali ritengono che il vero processo, e i relativi rischi, siano la sola preparazione del prodotto in cucina, trascurando e minimizzando i rischi associati all’attività di delivery. Dovreb bero invece rendersi conto fin da subito che il cliente è cambiato, ognuno di noi è cambiato, e quello che ieri era con sentito e trascurato, domani, anzi già oggi, non lo sarà più. La prima grande sfida che ha di fronte chi vuol costrui re un food delivery vincente è quella di definire misure di igiene e di sicurezza alimentare in modo che siano figlie di un processo di risk assessment reale, efficace e convincente. Il vero motto dovrebbe essere “igiene vuol dire fi ducia”. È questo il punto di chiusura di tutto il cerchio rispetto al discorso che abbiamo fatto: chi comprenderà la vera dimensione del cambiamento socia le che stiamo vivendo, rispetto ai temi dell’igiene, potrà tornare a guardare al futuro con maggiore fiducia.

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