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L’interdipendenza tra suolo e filiera latte
Le politiche di “quartiere” rischiano di fare a pezzi la sostenibilità. Urge una visione integrata nella quale il suolo non sia una lavatrice e in cui le attività siano condotte in armonia dal suolo alla tazza di latte, al pezzo di formaggio
Vincenzo Bozzetti
Il professore Ettore Capri è titolare della cattedra di Chimica Agraria all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, nella Facoltà di Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali e dirige il Centro di Ricerca del DiSTAS (Dipartimento di Scienze e Tecnologie Alimentari per una filiera agroalimentare Sostenibile). Al suo attivo ha oltre un centinaio di pubblicazione scientifiche internazionali, dagli anni 80 svolge ricerche e didattica sugli impatti dei contaminanti nell’ambiente e nei prodotti alimentari, sugli organismi animali e sull’uomo. In breve, un apprezzato esperto internazionale della sostenibilità agraria e lattiero casearia in particolare. La circolarità della filiera latte (credits: Bernardi, Pulina e Capri, The sustainability of meat and cured meat, FrancoAngeli editore)
Sicuramente il termine “sostenibilità” è stato usato in modo ridondante, talvolta a proposito, talaltra a sproposito. Professor Ettore Capri cosa pensa al riguardo? quali sono le principali declinazioni da considerare?
La comprensione globale dello sviluppo sociale ed economico dei settori produttivi e dell’agricoltura è cambiata nel corso degli anni e ora si è giunti alla conclusione che lo sviluppo sostenibile – ovvero lo sviluppo che promuove la prosperità e le opportunità economiche nel rispetto dell’uomo e dell’ambiente – offre il percorso più opportuno per migliorare la vita delle persone ovunque nel mondo. Al fine di costruire una società più equa, sana e armoniosa volta al perseguimento del miglioramento continuo, lo sviluppo sostenibile deve occuparsi della tutela dell’ambiente, al quale viene associato solitamente per primo, ma anche della sfera economica, sociale e più recentemente culturale (che include le tra-
dizioni e la nutrizione). Questi quattro pilastri sono interconnessi: senza crescita economica non ci può essere sviluppo umano e sociale, o una migliore qualità di vita, incluso lo stato di salute del pianeta. Attualmente ci troviamo in uno stato di crisi globale, diversamente percepita a livello locale. Diversi imprenditori agricoli, soprattutto coloro che hanno il polso sui mercati stanno prendendo sempre più coscienza del fatto che se da un lato non si può più continuare a seguire lo stile di vita ad alto impatto ambientale che sta portando il nostro pianeta a un punto di non ritorno, d’altro canto si aprono frontiere di opportunità per il settore grazie a cambiamenti di tendenze collettive. Movimenti di attivisti, come quello capitanato dalla giovane svedese Greta Thunberg, conosciuto come Fridays for Future, ne è un esempio. Altro esempio proviene dalle Nazioni Unite: l’Agenda 2030, nota anche come Sustainable Development Goals, SDGs (Obiettivi di Sviluppo Sostenibile - OSS). L’Agenda 2030 è un programma politico di cambiamento, dove si stabiliscono 17 obiettivi e 169 target, i quali ruotano attorno agli stessi concetti: persone, pianeta, prosperità, pace e partnership. Tali obiettivi e target devono essere raggiunti da ogni Paese attraverso programmi e atti legislativi. Ed è su questo che si fonda anche il nostro Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).
Focalizzando la nostra attenzione sulla “filiera latte”, troviamo indubbiamente una serie di portatori d’interessi, quali sono secondo Lei le riflessioni principali al riguardo?
La prima riflessione è che cambiata la strategia di fare impresa. La seconda è che dobbiamo al più presto valutare se allo stato attuale siamo sostenibili davvero o pensiamo solo di esserlo. Se non superiamo questa autovalutazione allora siamo fuori dai giochi dell’economia di sviluppo del futuro. La terza riflessione è che in questo contesto la filiera del latte presenta punti di forza e di debolezza. Il ciclo di vita del latte è un modello di economia circolare dove applicare in modo completo i programmi di sviluppo sostenibile con una veloce valorizzazione del capitale naturale, umano, ed economico aziendale; d’altra parte l’inesistenza di un approccio integrato di sostenibilità lungo tutta la filiera, realizzato senza una visione globale della sostenibilità, rende vano qualsiasi investimento a tal punto da essere anche controproducente. In altre parole, politiche di “quartiere” rischiano di fare a pezzi la sostenibilità perché la si frammenta, ecco cosa succede. Le iniziative dei singoli, ad esempio investimenti tecnologici, sono vane o inutili sull’intera resilienza della filiera quanto quelle che cadono dall’alto dell’organizzazione senza un metodo verificabili in termini di sostenibilità, si veda per esempio regole gestionali non condivise, possono essere anche controproducenti. Oggi però disponiamo di informazioni e dati della filiera che ci permettono di lavorare con coerenza. Per esempio, solo per argomentare sugli effetti in termini di impatto ambientale, recenti studi condotti proprio nella mia università (LIFE TTGG http://www.lifettgg. eu/) indicano che sono ampi i margini di miglioramento; le attività vanno condotte in modo integrato su tutta la filiera – dal suolo alla tazza di latte o all formaggio – dalla gestione dei suoli, alla produzione dei mangimi, alla gestione dell’allevamento, alla distribuzione, al confezionamento, al consumo. È talmente urgente affrontare l’argomento in modo corretto che abbiamo bisogno di nuove figure professionali. L’Università Cattolica del Sacro
ETTORE CAPRI
Cuore si appresta ad avviare nel nuovissimo campus di Cremona il primo ciclo di studi magistrali interamente dedicato al settore zootecnico, denominato Livestock and Agrogreen Innovation.
Se non ho capito male, dobbiamo fare molta attenzione alla sostenibilità dei suoli agrari. Potrebbe approfondire il Suo pensiero?
Noi siamo terrestri, quindi è il suolo della nostra Terra a creare il bene comune. Troppo spesso lo sottovalutiamo. Tutte le produzioni agrarie e soprattutto quelle zootecniche, anche quelle ittiche, passano dal suolo perché produce foraggi e riceve le biomasse di risulta delle produzioni zootecniche e agro-industriali. In termini di sostenibilità la gestione del suolo e degli allevamenti è sempre stato un obiettivo ecologico. Ogni unità tridimensionale di suolo fornisce nutrimento a un corrispettivo ecologico animale e vegetale. È un dare e ricevere vicendevole e continuo, alla base della vita del suolo – la macchina del nutrimento – e dei suoi ospiti che grazie a quanto ricevono si accrescono. Questo succede anche se una parte dei foraggi e dei mangimi sono acquistati altrove, perché il suolo regola la qualità dell’acqua, dell’aria, protegge dalle malattie, fornisce il benessere agli agricoltori e a coloro che si prendono cura degli animali. Per fare solo alcuni esempi dei benefici del suolo che tecnicamente si definiscono servizi ecosistemici. Il suolo per vivere ha però bisogno degli animali e delle piante, quanto dei benefici del clima e degli interventi agronomici. Ecco perché suolo e filiera del latte sono interdipendenti. Rompere questi equilibri, per esempio eccedendo con il carico vegetale (pensiamo ad esempio a una monocoltura intensiva non in rotazione) o l’assenza degli animali (pensiamo ad esempio alla perdita delle biomasse da effluenti zootecnici) determina la degradazione talvolta permanente del suolo. no molto diversi da quelli dell’uomo, e la cura non è molto diversa da quanto ci prescrive il nostro medico di famiglia. Ecco perché dobbiamo pensare a coltivare il suolo in modo sostenibile pensando all’allevamento, alla produzione del latte e alla sua qualità. Non pensiamo al suolo come una camera stagna e inerte, a una lavatrice. In esso vive più dell’80% della biodiversità globale. Una sorta di macrorganismo, di gigante delicato. Queste caratteristiche del suolo e della sua interdipendenza con l’intera filiera ci deve far riflettere ulteriormente sull’importanza di una nuova gestione imprenditoriale basata sullo sviluppo sostenibile. Ogni pratica, ogni processo, ogni organizzazione deve essere valutata qualitativamente per i benefici e i costi che si ottengono in termini di sostenibilità economica, sociale e ambientale lungo tutta la filiera. Se lo facessimo davvero non cadremo nella trappola delle bufale mediatiche o delle polemiche sterili a cui assistiamo in questi giorni sull’uso dei fanghi biologici e sull’agricoltura biodinamica.
Il suolo, quindi non è una semplice area tridimensionale, ma anche un complesso sistema di interazioni umane e ambientali con risvolti fisici, chimici e microbiologici?
Certo! E la sua vita è legata a questi fattori in modo analogo a quanto accade al nostro organismo. I principi di salute del suolo non soComplimenti, i messaggi sono molto chiari, auguriamoci di saperli implementare.