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Latte e formaggi della Roma imperiale
Bassorilievo (credits: Museo Nazionale Romano)
VINCENZO BOZZETTI
Duemila anni fa, a Roma, la capitale dell’Impero romano, il quale aveva una popolazione stimata tra un milione e un milione e mezzo, giungevano derrate alimentari da tutto l’Impero. Tra esse non mancavano specialità lattiero casearie, in grado di affrontare lunghi viaggi e, già in quei giorni, denominate con “indicazioni geografiche” della loro provenienza. Nel contesto economico e sociale romano l’allevamento ovi-caprino era importante per latte, formaggi, lana e carne, mentre l’allevamento bovino, nel podere romano era finalizzato solo alla produzione dei buoi [Malossini F. 2011]. Nei brani proposti di L. Columella (scrittore di agricoltura ) e di Plinio il Vecchio (scrittore e filosofo naturalista), il lettore potrà constatare, che lo stato dell’arte di quei tempi, benché basato su una sorta di ricerca empirica ante litteram, evidenziava già concetti ancora oggi in fase evolutiva. Con l’augurio di buona lettura, mi chiedo: cosa penseranno i posteri, tra due secoli, delle attuali tecnologie lattiero casearie?
DE RE RUSTICA, LUCIUS JUNIUS MODERATUS COLUMELLA (Gades 4, Tarento 70) L’arte dell’agricoltura e libro sugli alberi, Traduzione di Rosa Calzecchi Onesti, Introduzione e note di Carlo Carena Giulio Einaudi editore, Torino, 1977.
LIBRO SETTIMO, 8 La fabbricazione del cacio
Non bisognerà certo lasciar da parte la fabbricazione del cacio, specialmente nelle regioni lontane dove non è conveniente trasportare il latte munto. Se il cacio si fa con latte leggero, bisogna venderlo al più presto possibile, mentre ritiene ancora il succo fresco; se invece si fa con latte ricco e grasso, si può conservare più a lungo. Ma deve sempre essere fatto con latte sincero e freschissimo. Infatti, quello che è rimasto a riposo per molto tempo dopo la mungitura e quello che è stato mescolato con acqua, ben presto inacidisce. Conviene coagulare il latte con caglio di agnello o di capretto, quantunque si possa anche rapprendere anche col fiore di cardo silvestre o coi semi del cartamo e col latte di fico, che l’albero emette se si ferisce la sua corteccia verde. In ogni modo il cacio migliore è quello che è stato fatto col minimo possibile di medicamento; e il minimo di caglio che una coppa di latte può ricevere è il peso di un denaro d’argento [1]. Non c’è dubbio che il cacio rappreso con rametti di fico abbia ottimo sapore. Il secchio della mungitura, quando è stato riempito di latte, deve essere tenuto a un certo tepore, ma non deve essere esposto alla fiamma come ritiene qualcuno; si ponga invece non lontano dal fuoco, e appena il latte si sarà cagliato, subito si versi in cestelle di giungo o in paniere di vimini, o nelle forme, perché è molto importante lasciar scolare il siero fin dal primo momento, e separare la materia coagulata. Per questo i campagnoli non aspettano che coli da solo a poco a poco, ma appena il cacio ha acquistato una certa consistenza, vi si pongono sopra dei pesi che facciano uscire il siero; poi, quando lo hanno tolto dalle forme o dai panieri, lo collocano in luogo scuro e fresco perché non vada a male, su tavole pulitissime, lo cospargono di sale in polvere perché trasudi ogni umore acidulo; quando si è maggiormente indurito, si preme con grande forza, perché assuma compattezza, e di nuovo si spolverizza di sale fino e si fa addensare, mettendovi sopra dei pesi. Quando questo è stato fatto per nove giorni, si lava con acqua dolce e si mette in un luogo ombroso su tralicci fatti a questo scopo, disponendolo in modo che una forma non tocchi l’altra, e si lascia seccare moderatamente. Poi, perché rimanga più tenero, si ammucchia in luogo chiuso e non esposto al vento, su diversi tavolati. Così non riesce né pieno di buchi, né salato, né secco; dei quali difetti il primo suole verificarsi se il cacio è stato poco pressato, il secondo se è stato troppo salato, il terzo se è stato inaridito dal sole. Questo tipo di cacio può anche mandarsi al di là del mare; quello invece che si deve consumare fresco pochi giorni dopo che è stato fatto, si fabbrica con meno impegno. Tolto dalle fiscelle, si mette in un bagno di sale o di salamoia e poi si lascia asciugare un poco al sole. Alcuni, prima di cingere il bestie al collare [2], mettono nel secchio della mungitura delle pigne verdi e poi mungono sopra di esse e non le tolgono se non quando travasano nelle forme il latte rappreso. Altri pestano i pignoli verdi e li mescolano al latte, e così lo fanno rapprendere, Ci sono anche di quelli che fanno rapprendere insieme col latte del timo triturato e passato al setaccio. E similmente tu potresti dare al cacio il sapore che vuoi, aggiungendovi il condimento preferito. Conosciutissima è poi la maniera di fare il cacio che diciamo “pressato a mano”. Infatti il latte leggermente rappreso nel secchio di mungitura, fin che è tiepido, si separa dal siero e, gettandovi sopra dell’acqua bollente, si foggia a mano oppure si preme in forme di bosso [3]. Viene di sapore gradevole se si fa indurire nella salamoia e poi si colora con legno di melo o fumo di paglia…
Lucio Moderatus Columella (credits: wikimedia)
NOTE:
[1] Cfr. VI 38, nota 3. [2] Una numella analoga a quella descritta a VI 19.2 è usata per impedire movimenti imbarazzanti dell’animale durante la mungitura. [3] Nota fuori testo: tale pratica è in uso ancora oggi e viene definita “frugatura”.
NATURALIS HISTORIA, GAIUS PLINIUS SECUNDUS (Como 23, Stabia 79) Storia naturale II, Antropologia e Zoologia, Libri 7-11 Traduzioni e note di Alberto Borghini, Elena Giannarelli, Arnaldo Marcone, Giuliano Ranucci Giulio Einaudi editore, Torino, 1983.
LIBRO UNDICESIMO: Le parti del corpo
& 232 (95) L’uomo è il solo tra i maschi che abbia le mammelle; gli altri animali ne recano soltanto il segno. Ma anche tra le femmine hanno mammelle sul petto solo quelle che sono capaci di prendere in braccio i loro piccoli. Nessuna specie ovipara ha mammelle; solo i vivipari hanno latte. Tra gli animali che volano, ha latte solo il pipistrello: ritengo infatti che sia una invenzione la storia delle strigi [1], che lasciano cadere il latte nella bocca dei piccoli dal loro seno. È fuor di dubbio che la strige era già in antico un essere maledetto, ma non credo che si possa determinare di quale uccello si tratti. & 233 Nelle asine le mammelle sono dolenti dopo il parto, per cui svezzano i figli fin dal sesto mese; le cavalle, invece, allattano quasi per un anno intero. I solipedi e quelli che non partoriscono più di due piccoli alla volta hanno due mammelle, sempre situate tra le cosce. Esse si trovano sempre qui nei bisulchi e nelle bestie dotate di corna; le vacche ne hanno quattro, le pecore e le capre due. Gli animali che hanno parti plurigemellari e i digitati ne hanno di più; esse sono allora disposte in una duplice serie, che si estende su tutta la superficie del ventre, come nelle scrofe, tra cui quelle di razza scelta ne hanno dodici e quelle comuni due di meno; lo stesso dicasi delle cagne. Altri animali hanno quattro mammelle nella regione mediana del ventre, altri due come le leonesse. L’elefante non ne ha che due, poste sotto le spalle, non sul petto bensì al di qua, nascoste nella cavità delle ascelle. Nessun digitato le ha tra le cosce. & 234 Ai primi nati di ciascun parto le scrofe offrono le loro prime mammelle (quelle più vicine alla gola) e ogni piccolo conosce la propria secondo l’ordine in cui è nato: prende il latte là e non altrove. Se si stacca dalla mammella il piccolo che da essa prende il latte, questa diventa subito secca e si restringe; se resta uno solo dei piccoli, soltanto la mammella che gli era stata attribuita continua a dare latte e a pendere. & 235 Le orse hanno quattro mammelle: i delfini hanno solo due capezzoli situati nella parte bassa del ventre, poco visibili e disposti un po’ obliquamente. Sono il solo animale che allatti in movimento. Anche le balene e i vitelli marini allattano i loro piccoli. & 236 (96) Nella donna il latte prodotto prima del settimo mese non vale nulla: è buono a partire dal mese in cui il parto è vitale. Nella maggior parte dei casi sgorga da tutte le mammelle e anche dall’incavo delle ascelle [2]. Le femmine dei cammelli hanno latte fino a che non tornano a essere gravide. Si ritiene che il latte di cammella sia squisito, se si allunga con tre parti di acqua. La vacca non ha latte prima del parto, e quello che è prodotto subito dopo è il colostro, che diventa duro come la pietra pomice se non vi si aggiunge dell’acqua [3]. Le asine, appena gravide, hanno subito il latte. Quando il loro pascolo è grasso, il latte materno è letale per i piccoli se ne bevono i primi due giorni dopo la nascita: il genere di malattia che si produce è detto colostrazione. & 237 Non si fa il formaggio con il latte che hanno i denti su entrambe le mascelle, perché questo non si caglia. Il latte più leggero è quello delle cammelle, seguito da quello delle cavalle; il più denso è il latte d’asina, al punto che si usa come caglio.
Plinio il Vecchio Sabina Poppea, Scuola di Fontainebleau, 1570 circa (credits: wikimedia)
& 238 Si ritiene che il latte contribuisca in qualche modo al candore della pelle delle donne. È certo che Poppea, la moglie di Domizio Nerone, portava dappertutto al suo seguito cinquecento asine allattanti e immergeva tutto il corpo in una tinozza da bagno colma di quel latte, credendo di ammorbidire la pelle [4]. Tutto il latte si condensa al fuoco e diventa siero con l’umidità. Il latte di vacca fa più formaggio di quello di capra: da una quantità uguale se ne ricava quasi il doppio. Quello degli animali che hanno più di quattro mammelle è inutilizzabile a fare il formaggio; il migliore è il latte di quelli che ne hanno due. & 239 Si apprezzano il caglio del cerbiatto, della lepre e del capretto, ma soprattutto quello del dasipode (ndr. armadillo), che ha la proprietà di curare la dissenteria, unico tra gli animali forniti di due mascelle. È sorprendente come popoli barbarici, che vivono di latte, ignorino o disdegnino dopo tanti secoli i pregi del formaggio, benché sappiano far indurire il latte in una misura di gradevole acidità e in un burro grasso. Il burro, più denso e più vischioso del cosiddetto siero, è la schiuma del latte [5]. Non dimentichiamo che ha le proprietà dell’olio e che tutti i barbari e anche noi ne ungiamo i bambini. & 240 (97) Il formaggio più apprezzato a Roma, ove si giudicano di prima mano i prodotti di tutti i Paesi, è quello della regione di Nîmes, della Lozère e dei villaggi del Gévaudan [6], ma il suo pregio dura poco e deve essere consumato fresco. I pascoli delle Alpi si fanno apprezzare per due tipi: le Alpi Dalmate mandano il docleate [7] e le Ceutronie il vatusico [8]. & 241 L’Appennino è più ricco di formaggi: invia dalla Liguria il formaggio di Ceva, fatto soprattutto con il latte di pecora, e dall’Umbria il sarsinate: dalla frontiera Etruria e Liguria il formaggio di Luni, notevole per la sua grossezza, dal momento che ciascuna forma arriva a pesare mille libre; dalle vicinanze di Roma viene il vestino, di cui il più apprezzato è quello della campagna di Cedicio [9]. Anche le capre danno un formaggio apprezzato e, soprattutto nel caso di formaggio fresco, l’affumicarlo ne aumenta il sapore, come si prepara a Roma, dove lo si preferisce a tutti gli altri: infatti il formaggio di Gallia ha un gusto medicinale. Tra i formaggi d’oltre mare è piuttosto famoso quello di Bitinia. & 242 Che i pascoli contengano sale, anche dove non è visibile [10], lo si capisce soprattutto dal fatto che ogni formaggio, come invecchia, diventa salato, proprio come i formaggi immersi nell’aceto e nel timo riprendono il sapore di quando erano freschi. Si racconta che Zoroastro [11] sia vissuto vent’anni nel deserto cibandosi di un formaggio preparato in modo tale da non essere corrotto dalla vecchiaia.
NOTE:
[1] Gli antichi si immaginavano le strigi sotto la forma sia di animali notturni sia di streghe che potevano volare nelle tenebre e penetrare nelle case per commettere ogni sorta di delitti, soprattutto per soffocare i bambini. Cfr. Petronio, Satirycon 63. [2] Plinio probabilmente fraintende Aristotele. [3] Sul colostro cfr XXVIII. 123. [4] Cfr. XXVIII. 183. Cassio Dione LXII 28.1; Giovenale 6.260. Poppea è la famosa moglie di Nerone. Prima sposò Rufrio Crispino, poi Marco Salvio Otone. Nerone la sposò togliendola a quest’ultimo, una volta ripudiata la moglie Ottavia (62 d.C.). [5] La preparazione del burro è spiegata da Plinio in XXVIII.133. Il burro era impiegato dai Latini solo come unguento e come medicamento; nell’alimentazione era sostituito dall’olio. [6] Si tratta di una regione della Gallia meridionale, a nord-ovest delle Cevenne. [7] Doclea era il nome di una città della Dalmazia meridionale. [8] I Ceutroni erano una popolazione delle Alpi Occidentali, sul versante occidentale delle Alpi Graie. [9] Cfr. XVI. 62. [10] Cfr. XXXI. 88. [11] Zoroastro o Zarathustra, vissuto probabilmente tra il VII-VI secolo a.C. è il famoso fondatore della religione mazdaica, che fu la religione nazionale dell’Iran dall’età degli Achemenidi sino alla conquista araba. Per gli antichi fu soprattutto un mago.
NOTA INTRODUZIONE:
Malossini F., Gli allevamenti animali nel fondo rustico dell’antica Roma, Atti Acc. Rov. Agiati, a. 261 (2011), ser. IX, Vol. I, B.