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Enzimi coagulanti per il settore lattiero-caseario

Enzimi coagulanti

per il settore lattiero-caseario

Vincenzo Bozzetti, Direttore tecnico di Scienza e Tecnica Lattiero Casearia, e Vittorio Zambrini, professore a contratto dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, approfondiscono le tematiche affrontate nel corso del webinar tenutosi lo scorso 10 giugno rispondendo alle domande dei partecipanti. Tra gli argomenti trattati: evoluzione della coagulazione del latte, produzione industriale dei cagli da fermentazione e applicazioni delle diverse tipologie di caglio.

I coagulanti possono comportare la perdita delle caratteristiche sensoriali dei formaggi?

VB: “Se è vero che le caratteristiche sensoriali del formaggio sono il risultato della trasformazione fisico chimica e microbiologica del latte, appare subito evidente quanti e quali varianti possano entrare in gioco nella caseificazione e ovviamente l’enzima di coagulazione è una di queste. Per completare al meglio la risposta, bisognerebbe specificare ulteriormente a quali caratteristiche sensoriali stiamo facendo riferimento, e nel caso della struttura, quale caratteristica fisica o meccanica ne sia interessata. Lo stesso dicasi per i quattro sapori base, per le sensazioni trigeminali e gli aromi. Di certo ai coagulanti è facile imputare di tutto e di più, spesso senza nulla chiederci in merito alla qualità del latte in lavorazione”.

Forza del latte: cos’è e come aumentarla?

VZ: “Credo che per ‘forza del latte’ si voglia intendere la sua predisposizione e prestazione alla coagulazione presamica, anche se solitamente si parla più di forza del caglio che di forza del latte. La misura di questa attitudine viene effettuata con un lattodinamometro tipo Formagraph: dalla curva risultante si ricavano parametri di giudizio importanti quali il tempo di presa, la velocità di organizzazione del coagulo e la sua consistenza massima dopo 30 minuti dall’aggiunta del caglio. Per aumentare la ‘forza del latte’ si può per esempio incrementarne il tenore proteico (ad esempio concentrandolo per ultrafiltrazione), come conseguenza si ha un incremento di tutti tre i parametri dinamometrici. Così pure l’aggiunta al latte (entro certi limiti) di sali minerali strutturanti (CaCl2) diminuisce il tempo di presa e aumenta gli altri due parametri”.

I coagulanti impiegati devono essere indicati sull’etichetta del formaggio?

VB: “Il caglio animale, come gli altri enzimi coagulanti in uso in caseificio, essendo coadiuvanti tecnologici, sono esentati dalla dichiarazione sull’etichetta del formaggio”.

Il cloruro di calcio e l’acido lattico da dove vengono estratti?

VZ: “Il cloruro di calcio (E509) viene ottenuto chimicamente come sottoprodotto del processo di produzione del carbonato di sodio oppure anche per attacco con acido cloridrico del carbonato di calcio. L’acido lattico (E270) viene ottenuto per fermentazione di substrati zuccherini da parte di batteri lattici”.

Perché scegliere di aggiungere in caldaia caglio diluito invece di quello non diluito?

VB: “Perché diluire? Secondo gli studi di ACM van Hooydonk, il rapporto dimensionale tra una molecola di enzima coagulante e micelle di caseina, sarebbe di 1:36 e, ciò suggerisce di facilitare la dispersione dell’enzima nel recipiente di coagulazione. Esperienze empiriche in caseificio hanno dimostrato che meglio è diluito il coagulante, meglio inizia la coagulazione, per la quale è anche importante l’arresto dell’agitazione del latte, altrimenti la flocculazione potrebbe iniziare con il latte in movimento e danneggiare la formazione iniziale del gel. Quanto diluire? Versare il coagulante in caldaia a titolo 1000 circa; ovviamente diluire l’enzima con acqua pura e a temperatura ambiente perché l’acqua clorata come anche la temperatura superiore a 45°C potrebbe destabilizzare l’enzima”.

Durante la prima fase di coagulazione è possibile intrappolare anche sieroproteine?

VB: “In generale, per le loro dimensioni e caratteristiche, le siero proteine non sono aggregate o coagulate dai coagulanti autorizzati e utilizzati in caseificio. Esistono però delle lavorazioni tecnologiche tradizionali del mezzogiorno italiano che prevedono la coagulazione termico-presamica che provoca la coagulazione delle sieroproteine (cacioricotta)”.

Nel coagulo a coagulazione presamica oltre alle caseine e grasso riesco a intrappolare anche sieroproteine o queste si allontanano tutte con il siero?

VZ: “Nella coagulazione presamica, a parte le piccole quantità che vengono trattenute all’interno della cagliata in quanto solubili nella fase acquosa, le sieroproteine vengono allontanate con il siero. Per trattenere in tutto o in parte le sieroproteine nella cagliata esistono due modi: 1. applicare il processo MMV, ovvero spingere l’ultrafiltrazione del latte fino a far raggiungere al retentato la composizione del formaggio finito (il preformaggio liquido). La coagulazione del preformaggio non comporterà spurgo di siero e le sieroproteine resteranno totalmente nel prodotto finito; 2. pastorizzare ad alta temperatura parte del latte da caseificare (20-25%) in modo da far reagire le sieroproteine, e in particolare la -lattoglobulina, con la caseina. Miscelando questo latte al resto del latte pastorizzato si riesce a ottenere una coagulazione presamica ancora accettabile per un formaggio a pasta molle ottenendo un apprezzabile aumento di resa”.

Quali applicazioni hanno i coagulanti di suino nell’industria casearia?

VB: “Oltre al Pecorino di Farindola, oggi altre tecnologie casearie non ne prevedano l’utilizzo che invece era più o meno palese durante la Seconda Guerra Mondiale a causa della scarsità di enzimi coagulanti. In conclusione chi scrive ritiene che oggi non venga utilizzato”.

L’utilizzo di un caglio microbico rispetto a uno animale può determinare una perdita di resa durante la maturazione della pasta?

VZ: “L’attività proteolitica varia col tipo di agente coagulante e può avere un impatto importante sulla resa di trasformazione. L’estratto enzimatico prodotto da R.mihei ha caratteristiche di specificità simili a quelle del caglio bovino. Va tenuta inoltre presente la ripartizione dell’enzima coagulante fra cagliata e siero. L’attività residua presente nella cagliata è più elevata per il caglio bovino rispetto ai coagulanti microbici ed è, sempre per il caglio bovino, fortemente dipendente dal pH al momento della separazione del siero. Separando il siero, ad esempio, a pH 6,4 si trattiene nella cagliata, nel caso del caglio bovino, il 47% dell’attività enzimatica iniziale, a fronte del 30% a pH 6,6. Per R.mihei i valori sono rispettivamente del 18 e 19%”.

Caglio animale 75/25 o chimosina da fermentazione per le paste filate?

VZ: “Non va innanzi tutto dimenticato che la chimosina da fermentazione è un enzima puro, mentre il caglio animale è un estratto complesso di vari enzimi. La prima avrà una attività proteolitica aspecifica molto limitata, a differenza del secondo, anche in funzione del suo contenuto di pepsina. Va fatta una doverosa distinzione fra formaggi freschi e formaggi stagionati: per i duri a lunga stagionatura si richiede una bassa proteolisi aspecifica a differenza dei formaggi a media stagionatura. Per i formaggi freschi l’impatto della proteolisi aspecifica sulle caratteristiche di struttura e gusto è spesso poco importante, anche se ovviamente le caratteristiche del coagulante possono avere un impatto sulla resa. Nel caso delle paste filate fresche, fatte salve le prescrizioni derivanti da disciplinari DOP, IGP e STG, sono largamente utilizzati i coagulanti microbici e in minor misura la chimosina da fermentazione. Il caglio di vitello viene per lo più riservato a prodotti di tipo tradizionale”.

Come controllare se la coagulazione sta avvenendo correttamente?

VZ: “Occorre distinguere fra controllo diretto e controllo indiretto, dove il primo può essere oggettivo o soggettivo e riguarda le caratteristiche del coagulo, mentre il secondo, meno sensibile e comunque da effettuare a posteriori, misura in qualche modo l’efficienza dell’intero processo che va dalla coagulazione alla separazione del siero e all’estrazione della cagliata. Fa parte del controllo indiretto, ad esempio, il calcolo della percentuale di recupero della caseina, ovvero quanta caseina è rimasta nella cagliata rispetto a quella messa in opera nel latte da caseificare, oppure la percentuale di azoto solubile o la quantità di CMP liberate dalle caseine dall’azione del coagulante enzimatico in condizioni standardizzate. Tra gli strumenti in grado di effettuare misure oggettive occorre menzionare tromboelastografi quali il Formagraph o il Formoptic che consentono di determinare l’attitudine alla coagulazione presamica delle diverse partite di latte. Sono pure disponibili sensori che consentono di misurare la variazione di viscosità del latte in coagulazione nelle polivalenti, mediante misure conduttimetriche, termiche, ottiche o reologiche”.

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Sanificazione nelle produzioni alimentari

Introduzione a cura di Vincenzo Bozzetti

Direttore tecnico di Scienza

Relatore Prof. Vittorio Zambrini

Professore a contratto, Università Cattolica del Sacro Cuore, Piacenza

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