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Ravenna Festival Magazine

Ravenna Festival Magazine Edizione 2010 Supplemento gratuito a “Ravenna & Dintorni” nr. 396 del 3 giugno 2010

Redazione: 0544.271068 redazione@ravennaedintorni.it Pubblicità: 0544.408312 info@reclam.ra.it

Editore: Reclam srl - Ravenna www.reclam.ra.it In collaborazione con

l’eterno contrasto

nel buio, una luce

Danza L’iniziazione zen del Cloud Gate Dance Theatre of Taiwan

Teatro Stein racconta I demoni di Dostoevskij

Edizione 2010

All’interno Opera: Betulia liberata, “staffetta” fra Jommelli e Mozart/ Elettronica: dall’avanguardia colta al pop/Jarrett e un leggendario trio jazz/Cardo rosso, la tragedia va in scena al Tiro a Segno


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Ex tenebris ad lucem S’l’é nöt u s’farà dè

Meditazioni «Ella incede in bellezza come la notte»: riflessioni sul lato oscuro dell’uomo a partire da Cuore di tenebra di Conrad pag_11

Concerti Muti e Abbado, due grandi maestri rivolti al futuro ...dei giovani Ospiti del festival anche Dutoit, Termikanov e gli eclettici Philharmonics pag_16

Opera Betulia Liberata, azione sacra “di propaganda” da Jommelli a Mozart. Alla scoperta del ‘700 musicale napoletano pag_20

Antica e Sacra Liturgie e polifonie fra oscurità e splendori; dal medioevo alla contemporaneità pag_22

Musica e Natura Due passi al calar del sole fra le vestigia e la maestosa pineta di Classe accompagnati dai ritmi popolari di Ambrogio Sparagna pag_24

Avanguardie sonore Vecchi e nuovi pionieri dell’elettronica, rielaborati in Tempo Reale. Gli omaggi a Stockhausen, Kagel e le performance di David Moss. Le Tenebræ di Adriano Guarnieri e Cristina Muti pag_28

L’intervista Parola di Micha van Hoecke. Le tenebre tra il dolore individuale e il destino dell’Umanità. La nuova creazione in “chiaroscuro del coreografo pag_35

Il musical Evita, Peron e il “Che” per raccontare una storia di amore e potere, scritta da Rice e Lloyd Webber geni del teatro musicale moderno pag_38


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sommario 9 Ravenna Festival Magazine 2009

Danza La storia americana secondo Bill T. Jones pag_42 Dansgroep, un connubio per la ricerca pag_44 Quell’apollo del cubano Acosta pag_46 La mistica gestualità del Cloude Gate pag_48 L’omaggio al mito dei “balletti russi” pag_49 La passione notturna del Tango pag_50

Cartellone Il calendario di tutti gli appuntamenti del festival e degli eventi alle 7 della sera e dintorni pag_53

Contaminazioni sonore “Weird Tales”, da Murcof a Broadcast pag_64 Fennesz/Lillevan, il rito della creazione pag_66 “Black is beautiful”, dall’Africa al funky pag_72 Keith Jarret e lo “standard” della sintonia pag_74 Bande e fanfare dai Balcani alla Puglia pag_76

Prosa e ricerca I demoni di Peter Stein, dodici ore di sovversione, sentimento e libertà pag_80 Rileggere Schwab per racconare la ferocia pag_83 Un trittico delle Albe, un contagio nel limbo tra infanzia ed età adulta pag_84

Luoghi e immagini Caravaggio e la luce in un mondo sul crinale dell’oscurità pag_88 Un dramma in scena nel vecchio Tiro a Segno pag_92 L’emblema Eni che segnò la rinascita del Paese pag_98 Trieste: tre nazioni insieme nel nome della grande musica pag_104

Ravenna Festival Magazine Un supplemento di Ravenna & Dintorni, autorizzazione Tribunale di Ravenna n. 1172 del 17 Dicembre 2001 DIRETTORE RESPONSABILE: Fausto Piazza Hanno collaborato alla redazione: Federica Angelini, Alice Baldassarri (grafica), Alessandro Fogli, Serena Garzanti, Luca Manservisi Collaboratori: Tarcisio Balbo, Roberta Bezzi, Chiara Bissi, Paolo Bolzani, Lorenzo Donati, Elisabetta Gironi (grafica), Linda Landi, Marina Mannucci, Domenico Mollura, Marialivia Sciacca, Serena Simoni . Si ringrazia per la collaborazione la Direzione del Ravenna Festival, e in particolare Fabio Ricci e Stefano Bondi dell’Ufficio Stampa. Referenze fotografiche: Angela Anzalone, Holger Badekov, Alberto Giorgio Cassani, Andrea Boccalini, Marco Caselli Nirmal, Ross Anne Colavito, Roberto Deri , Lorenzo Franzi , Paolo Genovesi, Paul B. Goode, Silvia Lelli, Lee Ming-Hsun, Tommaso Le Pera, Elisabetta Macumelli, Maurizio Montanari, Stefano Schweiger, Angela Taylor, Sven Theilmann, Valentina Venturi, Leo Von Velzen, Mauro Zorzenoni, Karel Zwaneveld. NELLA FOTO DI COPERTINA, UNA SCENA DI SONGS OF THE WANDERERS DEL Cloud Gate Dance Theatre of Taiwan, PROTAGONISTA DI UNA SERATA DEL RAVENNA FESTIVAL 2010. Edizioni e Comunicazione srl - www.reclam.ra.it Editore: Viale della Lirica 43 - 48124 Ravenna. Tel. 0544 408312. DIREZIONE GENERALE: Claudia Cuppi AREA COMMERCIALE E MARKETING: Denise Cavina, Carlotta Comandini, Valentina Felletti, Nicola Neri DESIGN: www.delabo.it

ORGANIZZAZIONE E LOGISTICA: Teresa Ragazzini - AMMINISTRAZIONE: Michela Zama, Rossella Bacchilega STAMPA: Arbe industrie grafiche - www.arbegrafiche.it


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«Ella incede in bellezza come la notte» DI

MARINA MANNUCCI «Le religioni sono come le lucciole: per splendere hanno bisogno delle tenebre» Arthur Schopenhauer

«L’orizzonte era sbarrato da un nero banco di nuvole e quell’acqua, scorrendo scura sotto un cielo coperto, sembrava condurre dentro al cuore di un’immensa tenebra». Nel 1890 il Capitano Konrad Korzeniowsky, conosciuto con lo pseudonimo di Joseph Conrad, polacco di cittadinanza inglese, risale il Fiume Congo. Otto anni dopo esce la prima puntata di un racconto intitolato Hearth of Darkness, Cuore di Tenebra. Questo titolo, che rimanda alle zone dell’Africa non ancora esplorate, conduce il lettore attraverso un itinerario intimo di trasformazione che, attraverso l’esperienza di paura, di dubbio e d’incertezze che assale chi intraprende un viaggio, svela una complessità interiore, un orrore, che non sempre trapela dall’apparente normalità della vita. Il romanzo racconta del capitano di vaporetto Marlow, al quale viene affidato un incarico lungo un fiume nell’Africa Nera. Scopo dell’impresa è raggiungere Kurtz, un commerciante di avorio divenuto una sorta di divinità oscura, un percorso che attraversa luoghi in cui non esistono le istituzioni, “la civiltà”, ed in cui si può essere uomini e basta, perché i poteri strutturati non sono riconosciuti. l viaggio reale si intreccia infatti con un viaggio simbolico verso l’ignoto ed il pensiero è costretto a confrontarsi con gli albori della civiltà, un percorso a ritroso che ipnotizza e che obbliga a >>

Marlon Brando è il tenebroso colonnello Kurtz nel film capolavoro di Francis Ford Coppola Apocalypse Now, ispirato al Cuore di Tenebra di Joseph Conrad


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>> riscoprire le “remote parentele coi selvaggi”. Ma il Cuore di Tenebra narrato da Conrad non è il selvaggio, l’altro, l’esotico: Kurtz rappresenta il cuore demoniaco dell’Occidente. Il percorso di Marlow verso l’orrore è un itinerario che oltre a condurre alla conoscenza del sé, si propone anche come paradigma dell’imperialismo, del confronto dell’Occidente con la storia del colonialismo da cui trarrà ispirazione, nel 1979, il film Apocalypse Now di Francis Ford Coppola. Interpretato da Martin Sheen, Marlon Brando, Robert Duvall e Dennis Hopper il film è ambientato in Vietnam ed in questo caso è il capitano Benjamin Willard a ricevere istruzioni dai suoi superiori di localizzare ed eliminare definitivamente il colonnello Walter E. Kurtz, il quale sta conducendo con un gruppo armato di tribù montane, che lo venerano come un dio, una sua guerra spietata contro i Vietcong. Attraverso un’interpretazione metafisica della guerra, la camera da presa del regista svolge un’indagine psicologica sulla situazione dei soldati che si trovano ad affrontare situazioni spesso drammatiche, e che

Sopra: Parigi, Gargouille di Notre Dame; in basso a sinistra: Palermo, via dello Spasimo, graffito (foto di Alberto Giorgio Cassani); nella pagina a destra: Soeur Marie Keyrouz, canto notturno a San Vitale

lentamente sono travolti dalla follia. Kurtz, interpretato da Marlon Brando, rappresenta il lato oscuro, tenebroso, di chi, trovandosi a contatto stretto con il male, diventa, a sua volta,

incarnazione del male e la sua eliminazione rappresenta un ultimo tentativo di espiazione dei troppi errori commessi dall’esercito americano. Il film obbliga a riflettere

L’uomo ritrova la vera sostanza dell’intimità dell’essere nella notte. Le tenebre, in quanto simbolo del “fascinans” e del “tremendum” del nostro inconscio, sono luoghi privilegiati

sull’esaltazione degli invasori che spesso perdono di vista il limite delle proprie competenze, non rispettando i diritti degli indigeni; saranno, paradossalmente, proprio le tenebre in cui è avvolto Kurtz, a riscattarlo, perché, in ogni caso, è solo lui a provare ancora sentimenti di comprensione e di rispetto per l’avversario e ad apprezzarne i suoi metodi, se pur selvaggi. Anche il film girato da Stanley Kubrick nel 1987, Full Metal Jacket, tratta della violenza della guerra del Vietnam e della scomoda eredità tenebrosa che l’uomo si trascina dietro da sempre: la sua nascosta parte maligna. La pellicola è divisa in due parti: la prima narra l’addestramento, spesso sadico ed umiliante, delle reclute, durante il quale avviene la depersonalizzazione dell’individuo. La seconda parte vede gli stessi soldati combattere in Vietnam, con colpi di mortaio, raffiche di M60 e imboscate. La descrizione della guerra, nei suoi reali aspetti violenti e disumani, illustra la brutalità umana e l’effetto psicotico della moltitudine sul singolo, i cui valori sono travolti e scardinati dalla logica comportamentale del gruppo, adattandosi ed uniformandosi ad esso. Con strumenti narrativi diversi, nel testo Gomorra di Roberto


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Saviano vengono svelate realtà sommerse, per delineare, in questo caso, la complessa forma organizzativa dei sistemi criminali della camorra. Sono tutte narrazioni che, utilizzando la parafrasi dell’attraversamento delle tenebre, sfondano limiti ed oltrepassono gli sbarramenti della psiche, per accompagnare all’origine della mitologia, della religione, della violenza e per confrontarsi con la psicologia della follia e la psicoticità della natura umana. Roberto Saviano svela la realtà del silenzio, estrae la verità dalle tenebre della paura, ed informa sulla logica e sulle diramazioni dell’impero economico della camorra. Il suo è un resoconto dettagliato del funzionamento di un Sistema Criminale e della sua espansione, del Male elevato a Sistema e dei miti edificati nell’immaginario popolare, una narrazione anche questa deflagrante che parte da un secco resoconto di fatti. E del lato nascosto, oscuro, tenebroso, represso in ognuno di noi parla Sigmund Freud: «ogni uomo ha istinti aggressivi e passioni primitive che lo portano allo stupro, all’incesto e all’omicidio che sono tenute a freno, in maniera imperfetta, dalle istituzioni sociali e dai sensi di colpa». Le persone non sono quindi o buone o cattive, le persone sono sia buone che cattive, ed il prevalere dell’una o dell’altra componente dipende da

fattori psicologici ed occasionali che rendono il comportamento umano spesso imprevedibile. Nei conflitti bellici, uccidere non è più un comportamento vietato e si perde il controllo dei freni inibitori; allo stadio, in mezzo alla folla, si innescano spesso comportamenti violenti e distruttivi; così, anche in situazioni criminali collettive in cui entrano in gioco interessi e occasioni per trarre vantaggi personali, possono prevalere condotte antisociali che abbassano la soglia d’intervento dei freni inibitori. Il tema è affrontato anche da Umberto Galimberti in La terra senza il male. Jung: dall’inconscio al simbolo, in cui l’autore afferma che «Se il sacro si allontana troppo si rischia infatti di dimenticare le regole che gli uomini hanno appreso per proteggersi, e allora il sacro irrompe e la sua violenza produce quel vero e proprio dia-ballein (diavolo) che è la dissociazione: essere posseduti dall’inconscio significa appunto essere dilacerati». Attraverso lo sforzo millenario della cultura di «estrarre dal caos del cosmo [dalle tenebre] misure certe, coerenze geometriche, logiche ineludibili», l’uomo occidentale ha potuto «dispiegare la sua potenza progettuale, sottoponendo quanto della materia è dominabile alle >>

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>> rassicuranti coercizioni della tecnica». L’avanzare del pensiero logico-razionale ha però azzerato tutto ciò che eccede i suoi orizzonti, ponendo una distanza ormai incolmabile dalla “terra senza il male”. «Dopo la morte di Dio – dice Galimberti – dobbiamo uscire sia dalla visione oggettivistica che pensa l’uomo come una qualunque cosa tra le sue cose, sia dalla visione soggettivistica che riduce l’uomo alla sua egoicità». Per Elsa Morante, il Male, è La Storia, concepita dall’autrice come «uno scandalo che dura da diecimila anni». «È una Storia cieca, immutabile, che non si svolge secondo una legge superiore di progresso, né tantomeno secondo un piano provvidenziale, ma si sostanzia in gravi ingiustizie, odiose prevaricazioni e follie omicide, destinate a travolgere i deboli e gli indifesi». Secondo la narrativa di Elsa Morante, l’uomo può invertire la rotta tenebrosa della storia solo assecondando gli istinti primordiali sepolti e repressi in lui, tornando così al suo elemento primitivo «[...] Faust alzava gli occhi ai comignoli delle case che nella luce della luna sembravano punti interrogativi [...]» Dino Campana, Canti orfici

«Ma contro la forza del Destino, architetto supremo di tutti i mondi, cosa possono il Dio che creò questo mondo e un piccolo Diavolo di provincia come me, che negandolo lo sostengono? Ma com’è possibile sostenere qualcosa negandola? [...] Tutto vive perché si oppone a qualcosa. Io sono quello a cui tutto si oppone. Me se io non esistessi, non esisterebbe nulla». Nel testo L’ora del diavolo di Fernando Pessoa il diavolo si esprime attraverso riflessioni che esprimono un pensiero lucido e chiaro, che non incute paura, svelando al lettore una società attraversata da una profonda crisi perché troppo impegnata a disperdere le sue energie nel costruire figure sempre più precise entro cui ricondurre la distinzione tra il Bene e il Male. «Nei sotterranei d’insondabile tristezza dove il destino m’ha già relegato; dove mai entra un raggio roseo e gaio; dove, solo con la notte, ospite imbronciata io sono come un pittore

che un Dio beffardo condanna a dipingere, ahimé, sulle tenebre [...]» Charles Baudelaire, Le Tenebre

Folla nei giardini della basilica di San Vitale (2009) per l’evento “Voci nella Preghiera”, suggestiva e intensa occasione di ascolto e dialogo fra le tre grandi religioni del Libro: ebraica, cristiana e musulmana. Quest’anno l’incontro – ideato e diretto da Cristina Mazzavillani Muti – verrà riproposto con l’introduzione del filosofo Umberto Galimberti, venerdì 11 luglio, al tramonto, sempre nel complesso di San Vitale.

Tenebre e luce secondo Cacciari: riflessioni da Nietzsche a Heidegger Massimo Cacciari, torna a Ravenna con le sue conversazioni a sondare e commentare in profondità il tema del festival. Quest’anno il filosofo è più che mai sintonizzato sul rapporto “luce/tenebre”, visto che i suoi scritti sulla crisi della razionalità moderna e il pensiero negativo (nell’esplorazione di pensatori come Nietzsche, Heidegger, Wittgenstein, Trakl...) danno parola alla nuova opera di Adriano Guarnieri Tenebræ, prodotta in esclusiva per il Ravenna Festival con la regia di Cristina Mazzavillani Muti. Appuntamento con Massimo Cacciari, al teatro Alighieri, prima della “prima” di Tenebræ, il 18 giugno alle 19.

Dunque l’uomo ritrova la vera sostanza dell’intimità dell’essere nella notte, nelle tenebre, tema affrontato del resto anche da Novalis negli Inni alla Notte. Per il poeta, filosofo e scrittore tedesco la notte che segue il giorno, “regina del mondo”, eccelsa annunciatrice di mondi sacri”, diviene misura del mondo materiale ed è l’infinito dove l’io s’immerge superando i limiti di spazio e tempo. Per Jorges Luis Borges in L’altro, lo stesso, «Le notti son solite arrecare misteriosi doni e rifiuti, di oggetti per metà ceduti per metà trattenuti, di gioie con un emisfero oscuro [...] con che cosa potrei trattenerti? [...] Posso darti la mia solitudine, le mie tenebre, la fame del mio cuore: tento di allettarti con l’incertezza, col pericolo, con la sconfitta». Ed accompagnati dalle tenebre, a volte in gruppo, altre volte da soli, i writers realizzano i loro pezzi, si mettono in gioco, sfuggono ai controlli e spendono cifre considerevoli, con l’unico scopo di gridare le loro “verità” al mondo, o, più semplicemente, cercando una conferma al loro esistere attraverso “la creazione di segni”. Le tenebre, in conclusione, in quanto simbolo del “fascinans” e del “tremendum” del nostro inconscio, sono quindi luoghi privilegiati. H

«Era la Terra che dava la vita all’uomo; gli dava il nutrimento, il linguaggio e l’intelligenza, e quando moriva se lo riprendeva [...] ferire la Terra è ferire te stesso, e se altri feriscono la Terra, feriscono te. Il paese deve rimanere intatto com’era al tempo del Sogno, quando gli Antenati col loro canto crearono il mondo... ogni antenato, nel suo viaggio per tutto il paese, ha sparso sulle proprie orme una scia di parole e note musicali, rimaste come punti di comunicazione fra le tribù più lontane [...] di notte, mentre vegliavo sotto le stelle, le città dell’occidente mi sembravano tristi e aliene [...] Gli aborigeni credono che una terra non cantata sia una terra morta; se i canti vengono dimenticati, infatti, la terra ne morirà» Bruce Chatwin, Anatomia dell’irrequietezza


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“PER LA MUSICA� La Cassa e la Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna, da sempre promotrici di grandi iniziative, operano in armonia allo sviluppo economico-sociale ed alla tradizione artistica.


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Muti e Abbado, due grandi maestri rivolti al futuro ...dei giovani

DI

TARCISIO BALBO

Ne hanno parlato come di una una rivalità alla Callas e Tebaldi, di una competizione alla Coppi e Bartali o alla Mazzola e Rivera. Di sicuro, nell’antagonismo tra Claudio Abbado e Riccardo Muti c’è quel pizzico di leggenda buono per stimolare lo spirito di competizione musicale non tanto tra i due direttori, che hanno sempre smentito rivalità di sorta, quanto tra gli ascoltatori e gli appassionati. Di sicuro, dalla leggenda ci ha guadagnato la musica, che a Muti e Abbado deve fior d’incisioni, proposte e progetti soprattutto legati ai giovani. Il punto di svolta è un concerto del 2008 al Paladozza di Bologna, con Abbado alla testa di tre orchestre (la sua Mozart, la Cherubini fondata da Muti quattro anni prima, la Giovanile Italiana) in un programma che lasciava il segno col ciclopico Te Deum di Berlioz: una marea di violini, un’enorme massa di fiati, tre cori, dodici arpe... Dispiace allora che i problemi di salute impediscano ad Abbado di

inaugurare come previsto l’edizione 2010 di Ravenna Festival, benché, paradossalmente, l’assenza renda con ancora maggiore evidenza l’impegno del Maestro nel diffondere la cultura musicale per e coi giovani. Il 9 giugno sul podio ci sarà un ragazzo di venticinque anni: Diego Matheuz,

venezuelano, tra i frutti rigogliosi del “Sistema”, il programma di educazione musicale creato in Venezuela da José Antonio Abreu che da tempo Abbado sostiene con passione, e che in cifre si traduce in 150 orchestre giovanili, 140 infantili, un numero impressionante di cori, 250.000 giovanissimi e giovani studenti di musica. Assistente del Maestro, direttore ospite di alcuni tra i grandi teatri italiani e stranieri, Matheus dirigerà l’Orchestra Mozart nello stesso programma scelto da Abbado: un inno al vigore giovanile con l’esuberante Sinfonia Italiana di un Mendelssohn ventiquattrenne, fino alla mozartiana Sinfonia Jupiter, con in mezzo il Terzo Concerto per pianoforte che Sergej Prokof’ev compone a trent’anni nel 1921, e che vedrà protagonista la giovane e funambolica pianista cinese Yuja Wang, 23 anni lo scorso febbraio.

Da par suo, l’impegno di Riccardo Muti con l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini non conosce soste, e in un festival dedicato alle tenebre e alla luce il Maestro non poteva non riconfrontarsi, il 12 e 13 luglio, con uno dei capolavori che lui stesso ha contribuito a diffondere: il Requiem in do minore di Luigi Cherubini è del 1817, nato per commemorare Luigi XVI di Borbone morto ghigliottinato 24 anni prima; un Requiem ammirato persino da Beethoven, che considerava Cherubini il maggior musicista del proprio tempo, e che Muti ha inciso ormai 35 anni fa in un’edizione memorabile con Renata Scotto e Agnes Baltsa, con l’Ambrosian Chorus e la Philharmonia Orchestra. Col Requiem di Cherubini, Muti prosegue sulla strada inaugurata nello scorso concerto per “Le vie dell’Amicizia”, dove formazioni e solisti di rango suonavano fianco a fianco coi giovani. Quest’anno Muti va oltre, e in quel crocevia culturale che è da sempre la città di Trieste riunirà l’Orchestra >>


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>> Giovanile Luigi Cherubini e l’Orchestra Giovanile Italiana assieme al coro La Stagione Armonica, a numerosi cori italiani, sloveni e croati, e ai giovani musicisti dell’Accademia di Musica dell’Università di Lubiana e dell’Accademia di Musica dell’Università di Zagabria. A completare il polittico sinfonico, due colonne della direzione d’orchestra e due grandi compagini: il 20 maggio Charles Dutoit sarà alla testa della Royal Philharmonic Orchestra in un programma che rispecchia la sua passione per la musica francese e russa, con la Shéhérazade del “maestro” Rimskij-Korsakov e L’oiseau de feu dell’allievo Igor’ Stravinskij. Tutto russo sarà anche il concerto del 3 luglio, con Jurij Temirkanov a guidare la Philharmonia Orchestra tra i meandri delle ultime due sinfonie di Cajkovskij: la mastodontica Quinta del 1888 e la celeberrima Patetica del 1893. Variegata infine la serie delle proposte cameristiche: il 26 giugno i Solisti dell’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini si

Sul podio del festival anche i direttori Charles Dutoit e Jurij Termikanov. Nella cameristica spiccano i giovani ed eclettici Philharmonics

Nelle foto della pagina a sinistra Riccardo Muti e Claudio Abbado a contronto; in basso il giovanissimo direttore Diego Matheuz che ha sostituito l’indisposto Abbado; il alto i sette solisti dei Wiener, e i ritratti dei maestri Dutoit e Termikanov

ORARI DI APERTURA dalle 10 alle 13 dalle 16 alle 19.30 chiuso la domenica Via Ponte Marino 20 Tel. 348.1444893

cimenteranno, col direttore HansJörg Schellenberger e l’oboista Martin Gabriel, in un capolavoro della letteratura per fiati: la Gran Partita composta a Monaco nel 1781 da un Mozart venticinquenne impegnato con l’allestimento del proprio Idomeneo, e dedicata agli amici della celebre orchestra di Mannheim. Il 9 luglio Domenico Nordio al violino e Andrea Bacchetti al pianoforte proporranno un programma “notturno” che da Chopin approderà all’America di Aaron Copland e all’ironia dissacrante di Schnittke attraverso i virtuosismi di Kreisler, Ysaye, Szymanowski. In mezzo, ancora dei giovani di talento: il 1° luglio toccherà ai Philharmonics, i giovani membri dei Wiener Philharmoniker, in un programma che definire composito è poco, zeppo di evergreen di Ravel, Brahms e Rimskij-Korsakov, ma con anche brani di Johann Strauss, Piazzolla, John Williams (ricordate la colonna sonora di Guerre stellari?), fino al jazz di Richard Rodgers e Chick Corea. H


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Betulia liberata azione sacra “di propaganda” da Jommelli a Mozart DI

TARCISIO BALBO

Cominciamo con lo sgombrare il campo. La cosiddetta Scuola napoletana, più che una realtà, è un’idea: nel senso che non è mai esistita una “scuola” in senso stretto, con delle proprie linee guida, un unico albero genealogico di maestri e allievi, uno stile fortemente individuato. E neppure si può paragonare il cosiddetto stile “alla napoletana” a una sorta di koinè, ovvero a una precisa e perfezionata tipologia di linguaggio musicale: troppo ampio è l’arco temporale su cui la locuzione vanta il proprio dominio, e troppo diversi gli esiti musicali che sotto questa etichetta si vorrebbero raggruppare, cosicché, per esempio, esiste un vero e proprio abisso stilistico tra la musica di Alessandro Scarlatti (morto a Napoli nel 1725, ma nato a Palermo nel 1660) e quella di Johann Adolf Hasse, amburghese classe 1660, morto a Venezia nel 1783, ma che a Napoli trascorre almeno un settennio dal 1721. Ancora, è palpabile la differenza tra le composizioni di Niccolò Jommelli (1714-1774, nato ad Aversa, e quindi tra i pochi campani d.o.c. in questa rassegna) e quelle di Giovanni Paisiello (Taranto 1740 Napoli 1816;

nel 2009 Muti ha riproposto a Ravenna la sua Missa defunctorum), tra Nicola Zingarelli (napoletano verace, 1752-1837, maestro di Bellini e Mercadante) e Nicola Manfroce (calabrese di nascita, morto appena ventiduenne nel 1813). In mezzo ci sono nomi di tutto rispetto come Porpora, Pergolesi, Piccinni, Cimarosa. E allora, perché “scuola napoletana”? Perché tra la fine del Sei e l’inizio dell’Ottocento Napoli e la sua musica sono una sorta di marchio CE, una certificazione di qualità con cui si attesta la generale adesione del tale o talaltro musicista a una serie di abitudini didattiche, di principi formativi, di schemi formali, di pratiche compositive ed esecutive, riscontrabili nella messe sterminata di compositori, cantanti e strumentisti che si formano nei conservatori napoletani (i brefotrofi che avevano

nell’educazione musicale il nerbo del proprio programma educativo), e che da Napoli si spargono ai quattro venti in cerca di fortuna e gloria, formando a loro volta schiere di discepoli altrettanto numerose. Persino il quindicenne Wolfgang Amadé Mozart non sfugge al fascino di questo universo musicale così composito. Tra il 1769 e il 1771 il giovanotto austriaco visita per la prima volta l’Italia: soggiorna per un mese a Napoli dove conosce Niccolò Jommelli, mentre a Torino conoscerà Paisiello; si cimenta con i primi esperimenti operistici “alla napoletana” per Milano (Mitridate re di Ponto, 1770;

Ascanio in Alba l’anno dopo) e apprende i linguaggi dei “napoletani” con la prodigiosa e geniale rapidità che tutti conoscono. La leggenda vuole che il settantunenne Hasse commenti lapidario la musica del giovanotto: «Questo ragazzo ci farà dimenticare tutti». Tra i risultati di questo formidabile processo di assimilazione vi è anche un’azione sacra del grande Pietro Metastasio, il più “napoletano” tra i librettisti, benché nato a Roma, e benché poeta cesareo alla corte di Vienna per la maggior parte della vita. Betulia liberata era nata nel 1734 proprio per Vienna, come opera che oggi definiremmo “di propaganda”: infuriava la guerra di successione polacca, e servivano exempla capaci di spronare gli austriaci il cui esercito aveva subito in Italia una pesantissima disfatta a Bitonto; cadeva perciò a fagiolo la storia dell’eroina biblica Giuditta che libera la città di Betulia dall’assedio degli Assiri. Partendo dalla versione mozartiana della Betulia liberata, Riccardo Muti aggiunge un altro tassello alla propria esplorazione tra capolavori del patrimonio musicale “napoletano”, e mette a

Immagini della Betulia liberata, che ha debuttato al Festival di Pentecoste di Salisburgo; al Ravenna Festival è attesa per il 2, 4 e 6 luglio


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confronto la fatica giovanile del Salisburghese (2, 4 e 6 luglio) con una sua importante antenata, la Betulia liberata che Niccolò Jommelli aveva già intonato nel 1743 per Venezia, e che sarebbe stata eseguitissima nei decenni a venire (5 luglio; grazie a Muti Jommelli è un nome noto agli spettatori di Ravenna Festival, del Festival di Pentecoste a Salisburgo e di tanti altri teatri europei). «Corri a Napoli a sentire i capolavori di Leo, di Durante, di Jommelli e di Pergolesi», scriveva Rousseau a un amico. Si potrebbe dire che l’interesse di Muti per il repertorio napoletano sia contagioso: il 19 giugno Sergio Balestracci, presenza ormai consueta a Ravenna Festival, dirigerà

l’ensemble La Stagione Armonica in un suggestiva composizione di Alessandro Scarlatti: un Ufficio delle Tenebre, ovvero la sezione della Liturgia delle Ore celebrata durante le notti del triduo pasquale, composto probabilmente nel 1708 e conservato in un prezioso manoscritto oggi a Bologna. Il 21 giugno, la ravennate Elena Sartori guiderà i propri Melodi Cantores, assieme al gruppo Harmonicus Concentus e a una nutrita schiera di solisti, nella ricostruzione di un Vespro mariano di Pergolesi (nato a Iesi giusto tre secoli fa) eseguito per la prima volta nel 1732, al culmine di una serie di terremoti che avevano funestato Napoli sin dall’anno prima. H

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Liturgie e polifonie fra oscurità e splendori DI

TARCISIO BALBO

Non conosciamo più né il buio né silenzio: siamo uomini ormai urbanizzati, con l’iPod collegato alle orecchie, e sempre più increduli nel leggere che c’è stato un tempo in cui buio, freddo e silenzio erano entità palpabili. Lo aveva capito più di novant’anni fa Johan Huizinga in quel classico storiografico che è Autunno del Medioevo: «Se l’estate e l’inverno formavano allora un contrasto più forte che nella nostra esistenza, non minore era sunplanet - icoone.jpg

quello tra la luce e il buio, il silenzio e il rumore. La città moderna non conosce quasi più il buio perfetto o il vero silenzio, né l’effetto di un lumicino isolato nella notte o di un grido nella lontananza». Ex tenebris ad lucem. S’l’è nöt u s’farà dè, è il tema del Festival di quest’anno, e al tema della luce e delle tenebre, del bene e del male, dell’anima e del corpo, della parola e del silenzio, si rivolge uno dei gruppi di punta nell’attuale panorama della musica antica: l’ensemble LaReverdie, presenza ormai nota

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al pubblico ravennate, sarà il fil rouge di un percorso musicale che si snoderà tra i luoghi e gli appuntamenti dell’intero Festival. A cominciare dall’appuntamento del 12 giugno in cui LaReverdie accompagnerà Gérard Depardieu nella lettura delle Confessioni di sant’Agostino, in cui tenebre e luce simboleggiano l’iter spirituale di uno dei grandi autori cristiani: «il tuo volto,

Signore, ricercherò, perché lontani dal tuo volto si è nelle tenebre della passione» (I.18); e ancora «Quali meriti aveva nei tuoi confronti l’embrione della creatura spirituale per fluttuare, sia pure, tenebrosa e simile


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all’abisso, dissimile da te, finché … ad opera della sua illuminazione non fosse fatta luce, conforme, se non uguale, a una forma uguale a te?» (XIII.13). LaReverdie tornerà al tema della luce e delle tenebre non solo nella liturgia che il 13 giugno aprirà nella Basilica di san Vitale il consueto ciclo In templo Domini (in programma, preziose pagine dal quattrocentesco codice 16bis della cattedrale di Sainte Anne d’Apt), ma anche nel concerto che in serata percorrerà importanti pagine musicali dei secoli XI-XIV alternando gregoriano, polifonia e composizioni degli stessi musicisti, dalle tenebre del Dies irae di Tommaso da Celano agli splendori di Vergene bella, la chanson che Guillaume Dufay intona sul testo con cui si chiude il Canzoniere del Petrarca. Non meno variegato è il programma dell’altra grande gloria italiana della musica antica: l’ensemble Odhecaton, capitanato da Paolo Da Col, si produrrà il 17 giugno in un concerto nel quale le musiche dei contemporanei Arvo Pärt, Salvatore Sciarrino e Wolfgang

A sinistra, l’attore Gerard Depardieu – quest’anno insignito del “Premio Ravenna Festival 2010” – leggerà le Confessioni di Sant’Agostino accompagnato dalle musiche antiche dell’Ensemble La Reverdie. Sopra, il gruppo vocale Cantar Lontano che eseguirà Ad vesperas di Diego Ortiz e le Leçons des Ténèbres di Couperin nelle basiliche di San Vitale e S. Maria Maggiore Rihm si alterneranno alle intricate polifonie seicentesche di Gesualdo da Venosa e alle linee essenziali e cristalline di Giovanni Pierluigi da Palestrina: ancora tenebre e luce quindi, con al

centro il recente Responsorio delle Tenebre (2001) di Sciarrino incastonato tra le analoghe Tenebrae (1611), i Responsoria Sabbati Sancti di Gesualdo. Ad aprire e chiudere il concerto la

musica di Pärt: dall’oscurità del De profundis alla luce di Summa, sul testo del Credo cattolico. Ultima chicca della sezione antiqua del Festival è la proposta dell’ensemble Cantar Lontano diretto da Marco Mencoboni: un dittico concertistico che il 16 giugno si snoderà tra le basiliche di San Vitale e Santa Maria Maggiore: s’inizierà con un Vespro mariano costruito coi brani dal Musices Liber Primus (1565) di Diego Ortiz, con cui si verrà idealmente proiettati nella Napoli spagnola del secolo XVI, per poi proseguire nell’abbazia francese di Longchamp, ove nel 1714 risuonarono le Leçons des Ténèbres di François Couperin. L’esecuzione delle Leçons (sul testo delle Lamentazioni del profeta Geremia, recitate di solito durante il Mattutino del triduo pasquale) sarà riproposta seguendo il rito tradizionale, che prevede l’uso di un candelabro con quindici candele (gli undici apostoli fedeli, le tre Marie, Gesù stesso) che verranno man mano spente lasciando accesa solo la candela più alta, immagine di Cristo. H


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Due passi al calar del sole e a suon di musica fra vestigia e maestose

pinete

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CHIARA BISSI

Più volte declinato dal festival in ambienti urbani e industriali, il tema del cammino e del pellegrinaggio, per la prima volta trova un’ambientazione naturale di grande pregio. L’ascolto si unisce al movimento grazie al Concerto Trekking, promosso il 10 giugno da Ravenna Festival e da Trail Romagna con la partecipazione di Ambrogio Sparagna e l’orchestra Popolare italiana dell’Auditorium parco della musica di Roma. A piedi, dall’antico porto di Augusto alla pineta di Classe passando per la basilica di Sant’Apollinare l’archeologia, la storia, l’arte, incontrano al calar del sole la natura maestosa della pineta, cantata da Dante. A scandire le tappe del viaggio incontri musicali fra tradizione e festa. Organetti, ciaramelle, chitarre battenti e tamburelli accoglieranno i camminatori ascoltatori. Suoni di conchiglie e di corni segneranno l’inizio del percorso, al parco archeologico di Classe, alle 19 la basilica di Sant’Apollinare aprirà le porte al pubblico dei trekkers per il

concerto acustico dell’orchestra diretta da Ambrogio Sparagna, con il coro Amarcanto. La musica sacra popolare dell’Adriatico risuonerà fra gli ori bizantini. Nenie, ninne nanne, invocazioni apriranno la via verso la pineta di Classe. Sulla pista attrezzata e al limitare del grande bosco si alzeranno le melodie popolari del Dante cantato per finire con saltarelli, pizziche, serenate nel cuore della pineta dove i pellegrini del suono troveranno ristoro con la festa nell’aia. La breve “via dei canti” romagnola impone l’ambiente naturale come teatro, per lasciar spazio alla poesia e alla musica della festa popolare. Maestro di cerimonia Ambrogio Sparagna, etnomusicologo, già noto al pubblico del festival per il Dante cantato, la musica nelle saline e la Notte della Taranta a palazzo San Giacomo di Russi. Sparagna vanta collaborazioni con i maggiori interpreti della canzone italiana e prosegue la ricerca nei repertori tradizionali regionali. L’evento, patrocinato dalla soprintendenza per i Beni archeologici, dal parco del Delta


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L’itinerario naturalistico, archeologico e musicale farà tappa agli scavi dell’antico porto di Augusto, alla basilica di Sant’Apollinare e alla pineta di Classe, accompagnato dai ritmi e dalle melodie popolari dell’orchestra di Ambrogio Sparagna del Po e da RavennAntica nasce da un’idea di Trail Romagna. L’associazione ravennate nata nel 2008, promuove il rapporto fra la pratica sportiva e l’ambiente naturale. Correre e camminare nei parchi naturali della Romagna o anche nei parchi urbani, conoscere o riscoprire il proprio territorio, avvicinare lo sport a tutte le età, sono alcuni degli obiettivi indicati da Trail Romagna. «Siamo un movimento eco sportivo unico in Italia – spiegano Ciro Costa e Giovanni Trabalza, presidente e responsabile organizzativo – nell’anno internazionale della biodiversità abbiamo voluto promuovere una serie di appuntamenti nei parchi, racchiusi nella manifestazione Parks Romagna Life. L’attività in natura e il benessere fisico dalle pinete alle valli del parco del Delta, fino alle foreste Casentinesi diventano sentieri da esplorare, laboratori di osservazioni, teatri per

spettacoli musicali in itinere come nel caso del Concerto Trekking, evento clou, promosso con il festival. Per noi è fondamentale costruire relazioni virtuose e progetti con gli enti e le strutture operanti nel territorio, che speriamo nel tempo diventino sempre più fruttuose, ben consapevoli dell’apporto fondamentale degli sponsor privati. In soli due anni grazie alla passione di tanti volontari abbiamo promosso ecomaratone, il Trail delle foreste Casentinesi e l’ecorunning della Vena del Gesso, visite guidate a giardini botanici, passeggiate di ruolo e letture in pineta, birdwatching con un’incredibile risposta di pubblico». Il Concerto Trekking si avvia a diventare un appuntamento fisso per le prossime edizioni del festival, pronto a scoprire nuovi territori sonori e a percorre itinerari in natura. Per informazioni: www.trailromagna.eu H

A sinistra, un sentiero nella pineta di Classe; in alto , il maestro Ambrogio Sparagna con l’Orchestra Popolare Italiana dell’Auditorium Parco della Musica di Roma. Il Concerto Trekking si concluderà in tarda serata con una grande festa sull’aia all’insegna di canti, balli e un buon ristoro romagnolo


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Vecchi e nuovi pionieri della musica elettronica rielaborati in Tempo Reale DI

CHIARA BISSI

Se l’opera di Guarnieri, Tenebræ, diretta da Cristina Mazzavillani Muti rappresenta l’evento generatore di tutto il tema del festival, il progetto elaborato su commissione da Tempo Reale il centro di produzione musicale fiorentino fondato da Luciano Berio nel 1987, rappresenta una delle tante possibili declinazioni del tema stesso. Tre gli eventi inseriti nel progetto “Notturno elettronico”, tutti ospitati alle

Artificerie Almagià: il 13 giugno il pubblico ravennate potrà assistere alla Stockhausen Nacht, un omaggio in tre parti al grande compositore tedesco scomparso nel 2007. Innovatore, direttore d’orchestra, didatta, protagonista dagli anni Cinquanta della musica elettronica, ha incarnato il profilo del genio eccentrico capace di varcare ogni confine. Il programma della serata prevede l’esecuzione dell’ultimo capolavoro Cosmic

pulses, un ciclo dedicato alle 24 ore del giorno e l’interpretazione di Spiral (1968), opera storica realizzata in occasione dell’Expò di Osaka. Concludono gli Aidoru, giovane formazione cesenate, con una rilettura di Tierkreis, 12 canti in forma di Zodiaco elettrico. «Prosegue la collaborazione con Tempo Reale – assicura Franco Masotti, della direzione artistica del festival – il centro di ricerca di computer music fondato da Luciano Berio, molto vitale e da anni presente al festival.

Il progetto prevede tre serate nelle quali prevarrà, a dispetto di coloro che pensano alla musica elettronica come qualcosa di cupo e incomprensibile, uno spirito giocoso e dissacrante fra classici e riletture». Il 15 giugno il tributo andrà a Mauricio Kagel, compositore di origine argentina, scomparso nel 2008. Tempo Reale proporrà l’opera Acustica, per produttori di suono sperimentali e altoparlanti. «Mauricio Kagel – spiega Masotti – costruisce un


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vero paesaggio sonoro a partire dal suono degli oggetti con strumenti non convenzionali, fra teatro e improvvisazione. Dallo spirito ludico dell’argentino si passa poi all’ecologia di Davis Moss, figura di spicco della scena sperimentale newyorkese con una produzione dove si fa spazio il suono di materiali riciclati». L’ultimo appuntamento, il 17 giugno The Table of the Earth, voce e tavolo sensibile, nasce dalla collaborazione fra il performer e vocalist americano David Moss e Tempo Reale. «Solo fino a dieci anni fa – conclude Franco Masotti l’elettronica era legata alla sperimentazione dei decenni precedenti. Oggi c’è interesse per i pionieri e grande curiosità nel pubblico giovanile. Alla base dell’esperienza dei dj e vj c’è l’idea della musica come oceano sonoro di suoni e immagini. Si tratta di un fenomeno di consumo di cui pochi conoscono l’origine. Cage,

I “notturni” all’Almagià renderanno omaggio a compositori come Stockhausen, Cagel, Moss

A sinistra, il gruppo Aidoru chiamato ad eseguire Tierkreis, 12 canti sullo Zodiaco di Stockhausen; a fianco, il performer David Moss, vocalist e percussionista fra i più innovativi del nostro tempo. Nella pagina seguente, Francesco Giomi di Tempo Reale, il centro fondato da Luciano Berio e dedicato alla ricerca sulle nuove tecnologie musicali


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Tenebræ, il videoratorio creato da Adriano Guarnieri e Cristina Muti

Brian Eno, Berio, Stockhausen sono il riferimento culturale più alto a dimostrazione che esiste una contiguità fra un ambito colto e sperimentale e un ambito di più largo consumo della musica. Dagli esperimenti di musica per ambienti di Satie dei primi anni del Novecento c’è voluto buona parte del secolo per arrivare a una forma compiuta, nonostante ancora oggi in qualsiasi ambiente pubblico siamo costretti ad ascoltare musica casuale, e raramente si trova un repertorio adeguato, che eppure esiste». Un’oscurità, quelle delle notti ravennati, attraversata dalle

sperimentazioni sonore delle nuove tecnologie ma anche dalla spiritualità di antichi riti e liturgie oggi dimenticate. Così la musica medievali incontrerà nel corso del programma compositori contemporanei come Pärt, Sciarrino e Rihm, passando per Gesualdo da Venosa, Couperin, Alessandro Scarlatti e Pergolesi, mentre la Rocca Brancaleone ospiterà i Racconti del mistero nella rassegna Musica&Visioni”, ulteriore e autonoma proposta, nel solco tracciato dalla grande epopea dell’elettronica del Novecento. H

Dopo l’Apocalissi evocata in Pietra di diaspro, Cristina Mazzavillani Muti, torna alla regia con una produzione in prima assoluta, co-prodotta con il Teatro dell’Opera di Roma. Elemento generatore del tema dell’intero festival, lo spettacolo atteso all’Alighieri il 18 e 19 giugno, porta nel nome la summa delle tante suggestioni offerte dal programma 2010. Tenebræ, già definito “videoratorio”, prenderà la forma di una cantata video scenica per voci su nastro, con l’ensemble del Teatro dell’Opera di Roma e live electronics, su testi di Massimo Cacciari e musica di Adriano Guarnieri. In scena sono attesi le soprano Alda Caiello e Sonia Visentin, il controtenore Antonio Giovannini, la voce recitante di Elena Bucci e la danzatrice Catherine Pantigny. «Si tratta di uno spettacolo totale e totalizzante – spiega Franco Masotti della direzione artistica del festival – dopo l’approccio ai classici del repertorio operistico, il percorso

personale di Cristina, condiviso con il festival, ha trovato una prima espressione nel 2007 in Pietra di diaspro e ora approda con Tenebræ a un nuovo capitolo». Dall’esperienza estetica di Caravaggio e di Gesualdo da Venosa, si dipana attraverso la lettura di testi del filosofo Massimo Cacciari, una trama che vive nella continua mutazione della spazializzazione del suono e nella trasformazione dello spazio visivo, grazie all’utilizzo delle più aggiornate tecniche di sintesi ed elaborazione digitale dell’immagine. Ezio Antonelli alle scenografie virtuali, Luigi Ceccarelli alla regia del suono, Vincent Longuemare alle luci, completeranno l’architettura di Tenebræ. «La parte sonora – precisa Masotti – prevede l’elaborazione del suono con un tappeto di voci continuo e denso. L’antico ufficio delle tenebrae, inteso come veglia notturna, rivive nella ritualità popolare degli strepiti. Una modalità ancora viva fino a qualche decenni fa nel nostro Appennino. Durante le veglie notturne venivano infatti usate delle battole, strumenti in legno, che precedevano nell’oscurità l’arrivo della luce del giorno». Lo spettacolo propone una via sperimentale alle potenzialità della voce umana, delle tecniche di spazializzazione digitale del suono e di sintesi digitale dell’immagine; una via che muove dalla tradizione artistica e filosofica, ma anche dalla ritualità religiosa e popolare. «Attraverso una’atmosfera neomadrigalistica – conclude Franco Masotti – il pubblico potrà assistere all’attualizzazione di qualcosa di antico. Il tema delle tenebre infatti dalla prima ispirazione si irradierà davvero su tutto il festival». Nella foto un bozzetto della scena di Tenebræ


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Micha van Hoecke, le tenebre tra il dolore individuale e il destino dell’Umanità

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ROBERTA BEZZI

Mentre è impegnato con la regia e coreografia di Giulietta e Romeo con musiche di Riccardo Cocciante, il prossimo appuntamento di Micha van Hoecke ha un solo nome: Ravenna Festival. Da oltre vent’anni l’artista di origine belga rinverdisce la fertile collaborazione, con una nuova produzione. Quest’anno si tratta di Claire-Oscure, in cui il suo estro creativo si nutre grazie alla suggestione degli opposti: luce e buio, suono e silenzio, vita e morte. Lo spettacolo propone due brani: La fanciulla e la morte sulle musiche di Franz Schubert, orchestrate da Gustav Mahler, e

La notte trasfigurata sui brani di Arnold Schönberg. In scena al debutto il 24 giugno (ore 21) nella cornice del Teatro Alighieri, oltre al suo Ensemble, van Hoecke porta Luciana Savignano, con cui ha un legame di amicizia che risale a quando lavoravano insieme al fianco di Maurice Béjart. Come nasce l’idea di questa produzione? A cosa si è ispirato? «Cristina Mazzavillani mi ha proposto l’idea e ho accettato, come sempre, molto volentieri questo invito che è un grande riconoscimento nei miei confronti e che dimostra una totale armonia di pensiero fra di noi. Ho scelto due brani importanti e ambiziosi che >>


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>>corrispondono al magnifico tema dell’edizione 2010 del Ravenna Festival, il Buio e la notte, secondo varie declinazioni e accenti. Un percorso difficile ma molto legato ai problemi della nostra epoca perché riguarda l’umanità e il suo destino sulla terra. In un momento così confuso, caratterizzato dalla caduta delle ideologie e dal ritorno al bisogno di spiritualità, ho curato un allestimento che mi sta molto a cuore. Mi sono ispirato soprattutto al percorso dalle tenebre alla luce di una chiesa che ho avuto modo di visitare in Francia lo scorso anno». La Regina della Notte, Le V o y a g e , S a l o m é , Le Baccanti , solo per citare le sue produzioni di questi ultimi quattro anni e, ora, Claire Obscure. In questi oltre vent’anni di Ravenna Festival c’è un lavoro a cui è più affezionato? «Certamente quest’ultimo perché le motivazioni personali sopravanzano quelle artistiche. Dedico infatti lo spettacolo alla memoria della mia sorella gemella, Marina van Hoecke,

purtroppo scomparsa di recente. Credo nel destino e mi stupisco del fatto che, ancora una volta, Cristina Mazzavillani – da sempre in grado di precorrere i tempi – sia riuscita anche ad anticipare gli eventi della mia vita. Approfondire un tema così drammatico come quello di quest’anno al Festival è andato di pari passo con il mio grande dolore personale. Marina era una grande insegnante di danza che ha sempre seguito con attenzione il mio percorso professionale, sapendo all’occorrenza consigliarmi. Lei è sempre nei miei pensieri ed è lei che più di tutti mi ha guidato in quest’ultima creazione. Proprio Marina, per esempio, mi aveva segnalato una giovane danzatrice di dieci anni, Noemi, sua allieva, un vero fenomeno non solo per la buona tecnica ma anche per l’eccellente musicalità. Ballerà nella prima parte dello spettacolo». Il 2010 le ha riservato anche un’altra importante novità. Ha appena firmato un contratto di t r e m e s i c o m e c o ns u l e n t e a l l a

A pagina 34, due scatti all’ensemble di danzatori di Micha van Hoecke. In questa pagine, due celebri ritratti del poliedrico artista


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l’intervista i 37 Ravenna Festival Magazine 2010

«Questo spettacolo è dedicato a mia sorella gemella, Marina, scomparsa pochi mesi fa. È incredibile la sintonia con Cristina Muti che, chiedendomi di lavorare su questo tema, ha anticipato anche un dolore della mia vita personale» direzione artistica del corpo di ballo dell’Opera di Roma. Come si appresta ad affrontare questa n uo v a s f i d a ? «Certamente con entusiasmo. Questa opportunità è legata alla mia collaborazione con il maestro Riccardo Muti che conosco da ancor prima di iniziare il Ravenna Festival. L’obiettivo è di formare una équipe solida e di lavorare in un’unica direzione, facendo sì che la musica, il canto e la danza

si uniscano verso un destino comune in un continuo interscambio artistico. Vado lì per servire il teatro, per fare cultura e per cercare di invitare persone e far vedere ciò che accade nel mondo». H


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38 il musical Ravenna Festival Magazine 2010

Evita, Peron e il “Che” per raccontare una storia

di amore e potere DI

ROBERTA BEZZI

Nell’anno del Bicentenario della nascita dell’Argentina, il Ravenna Festival rende omaggio al mito di Eva Duarte de Perón, un nome che ha superato la propria storia, con cinque serate dal 22 al 26 giugno al Pala Credito di Romagna di Forlì. Il musical, scritto da Tim Rice e musicato da Andrew Lloyd Webber, ripercorre la vita della carismatica first-lady – moglie del presidente argentino Juan Domingo Perón – dagli anni giovanili della salita al potere al fianco del marito sino alla prematura scomparsa all’età di 33 anni per un cancro. In scena viene mostrato da un lato l’amore, spinto fin quasi alla venerazione da parte del popolo e, dall’altro, l’atteggiamento ironicamente disincantato di un narratore d’eccezione, Ernesto Guevara de la Serna, meglio noto come “Che Guevara”, altra icona senza tempo, interpretato da Mark Powell. Lo show si apre sullo spettacolare funerale di Eva, compianta dal suo popolo adorante. Inizia così un lungo percorso a ritroso nel quale si racconta la spregiudicata ascesa al potere di Eva e il suo incontro con il colonnello Perón. L’uomo diventa governatore dell’Argentina e, grazie soprattutto al carisma della moglie, ottiene uno straordinario successo popolare. Il musical mette in evidenza gli aspetti positivi e negativi di una figura femminile ambigua e controversa, con una serie di quadri musicali che seguono la strabiliante carriera di Eva e la sua tragica fine. Risale al 1978 il debutto, al Prince Edward Theatre di


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40 il musical Ravenna Festival Magazine 2010

Londra, della versione originale inglese del musical di Webber e Rice che fu uno degli spettacoli più visti nel Regno Unito, con quasi 3 mila repliche, con Elaine Page nel ruolo di Evita. Lo spettacolo fu portato anche a Broadway dove conquistò sette Awards al termine della sua prima stagione a New York. Quella proposta dai registi Bob Tomson e Bill Kenwright è una messa in scena originale in tutto e per tutto, proveniente dal West End londinese, che non ha nulla a che vedere con la versione cinematografica di Alan Parker del 1996 che vedeva la star internazionale Madonna nel ruolo di Evita e di Antonio Banderas in quello del Che. «L’originalità della mia versione – spiega il regista Tomson – sta nella parte umana di Evita a cui si lega la storia d’amore della donna con Peron. Questa è la prima versione per palcoscenico dove l’elemento della love story viene portato in rilievo, incluso il triangolo Peron, Eva e Che». A vestire i panni di Evita è Abigail Jaye, figlia d’arte di una cantante d’opera e un direttore

In scena viene mostrato da un lato l’amore, che arriva alla venerazione, da parte del popolo, dall’altro l’atteggiamento disincantato e ironico di un narratore d’eccezione: Ernesto Guevara de la Serna, meglio noto come il “Che”. d’orchestra con studi in una drama school, che canta alcune canzoni uniche, potenti e meravigliose, fra cui “Don’t Cry for Me Argentina”, dal balcone della Casa Rosada il giorno della proclamazione dell’elezione a presidente (17 ottobre del 1945) del marito, al

suo paese e alla sua gente. Ma lo spettacolo propone anche altre memorabili hit della storia del musical: “Another Suitcase in Another Hall”, “On This Night of a Thousand Stars”, “She is a Diamond”, “On What a Circus”

fino a “You Must Love Me”, scritta da Webber per Madonna (da lei ripresa anche nel suo recente tour mondiale), e ora inglobata nello spettacolo teatrale. Dopo gli straordinari successi di

Cats, Mamma Mia, West Side Story” e One Touch of Venus, il Ravenna Festival propone dunque un altro indiscusso e universalmente acclamato capolavoro della storia del musical. Lo spettacolo sarà interpretato da un cast di venti interpreti accompagnati da un’orchestra di dieci elementi. H


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42 danza Ravenna Festival Magazine 2010

il flagello dell’Aids, per approdare nel 2008 proprio a Serenade che apre una riflessione pluridirezionale e trasversale sulla figura di Abraham Lincoln. Mentre l’occhio abbraccia i virtuosismi tecnici dei ballerini, che si stagliano su fondali e arredi scenici evocativi di un’americanità visivamente richiamata attraverso le colonne di Pantheon, Casa Bianca ed austere sale da ballo di epoca

La storia

americana secondo la

Bill T. Jones Arnie Zane company

DI

LINDA LANDI

Un palinsesto di suggestioni dal sapore americano quello di Serenade/The Proposition, produzione della statunitense Bill T. Jones-Arnie Zane Dance Company, ensemble che fonde un impeccabile stile neoclassico d’avanguardia con una vocazione allo studio di temi estrapolati da storia e attualità obiettivamente non facili da trasporre sulla scena senza scivolare nella didascalia. Una storia coreografica che affronta coraggiosamente l’11 settembre, la guerra in Iraq, o

coloniale, musiche originali (composte ed eseguite da Jerome Begin, Lisa Komara e Christopher Antonio William Lancaster) si alternano a spartiti e testi che spaziano da Mozart, a Julia Ward Howe, a William Walker sino ad Alexander Means, lasciando spazio anche al folk tradizionale made in Usa e al verbo stesso di Lincoln. L’effetto è uno scorrimento lento e avvolgente in carezzevoli memorie del passato, un fermo immagine anticato, e allo stesso tempo recente, su cartoline ottocentesche dalla cifra cromatica in bianco e nero, stemperata da parche note di rosso cucite nelle trame degli splendidi costumi. I corpi stessi dei danzatori hanno colori e fisionomie dell’America multirazziale e portano sulla scena, senza fare esplicito riferimento al

Lo spettacolo Serenade, in scena al Festival, è del 2008 e apre una riflessione pluridirezionale e trasversale su Abraham Lincoln


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personaggio storico e letterario, e senza lasciar trasparire un giudizio critico, proprio le questioni morali, sociali e politiche sollevate dal presidente durante il suo mandato. Il leitmotiv del pezzo, “Si può dire che la storia è...”, viene reiterato per tutta la durata della coreografia e muove la riflessione sulla presenza (o sull’assenza) di un nostro legame con la storia, abbracciando melodie composite al suono di pianoforte, violoncello e soprano. Serenade ha esordito all’American Dance Festival ed è un saggio esemplificativo dell’altissima qualità artistica che contraddistingue le ventotto lune di produzione della Bill T. Jones-Arnie Zane Dance Company. Bill T. Jones e il suo partner Arnie Zane (1948 – 1988) hanno infatti cambiato il volto della danza americana fin dal 1983, anno del debutto con Intuitive Momentum che coinvolgeva una leggenda delle percussioni, il musicista Max

Roach. La compagnia di Harlem da allora ha solcato i palcoscenici di più di duecento città in tutto il mondo, forgiando la sua cifra stilistica su collaborazioni creative con artisti e

musicisti del calibro di Keith Haring, l’Orion String Quartet, Cassandra Wilson, il pianista jazz Fred Hersch, Ross Bleckner, Jenny Holzer, Robert Longo, Julius Hamphill e Peteris Vasks. H

Lo foto dello spettacolo Serenade sono di Paul B. Goode


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Dansgroep un connubio con propensione alla

ricerca

DI LINDA LANDI

Rigore e dinamismo, moti repentini d’energia, linee cangianti e contrapposizioni di solo e coralità. I cultori delle emozioni visive e del palcoscenico in fibrillazione non possono lasciarsi sfuggire il passaggio a Ravenna del Dansgroep Amsterdam, entusiasmante connubio tra le menti dei coreografi Itzik Galili e Krisztina de Châtel, che lo rendono indubbiamente una delle punte di diamante della danza contemporanea internazionale. La compagnia olandese metterà in scena tre lavori distinti, accomunati però da grande pulizia nello studio delle forme e della loro distribuzione nello spazio. A partire da Six, che porta la firma di Galili, eccellente coreografo nato a Tel Aviv che, sulle note di Six Marimbas del

compositore Steve Reich, drammatizza un incessante fermento di corpi e geometrie sul palco: dieci danzatori incrociano suggestioni legate allo spazio e al tempo in un continuum di anatomie umane e architettoniche, in cui cinque pannelli mobili in dialogo coi movimenti rapinosi dei corpi, ridisegnano il luogo scenico stravolgendo le percezioni prospettiche dello spettatore. Il secondo lavoro di Galili è SUB, otto danzatori, solo maschi, alle prese con la complessità ed il potere ritmico degli spartiti di Weather One di Michael Gordon. Celebrato dalla stampa internazionale come uno dei lavori più riusciti del coreografo israeliano, SUB si concentra sulle inesprimibili sensazioni che ci comunica il corpo: la pelle, i muscoli, i tendini, lo scorrere stesso del sangue. Le parole

falliscono, lo sguardo rincorre una messa a fuoco fuori tempo e le immagini fuggono via veloci. Un lavoro dalla grande potenza icastica, quello di Galili, che ha all’attivo più di cinquantacinque opere contraddistinte da una forte propensione alla ricerca. Non a caso proprio la rilettura della luce è uno dei capisaldi della sua poetica che lo porta a creare personalmente il light design degli spettacoli e ad ottenere importanti riconoscimenti. L’altra metà del cielo del Dansgroep è l’ungherese Krisztina de Châtel, eclettica coreografa che travalica i confini

della danza più sperimentale per entrare a pieno titolo nel campo dell’arte visiva tout court, con incursioni extrateatrali in musei e paesaggi naturali e collaborazioni con grandi artisti contemporanei (un nome tra tutti, Marina Abramoviç). Pulse nasce insieme alla collaborazione con Massimo Molinari e viene considerato un grande classico tra le sue produzioni. Sei danzatori seguono il ritmo pulsante dell’Études pour piano di György Ligeti, compositore austroungherese tra i maggiori dell’età contemporanea a cui la de Châtel si sente profondamente legata per via di quel “virtuosismo ungherese” che trasuda dalle sue note seppur lontane dal folk. E proprio quel cuore ungherese che pulsa nel petto di Ligeti si specchia nelle linee, nei vortici e nei solo appassionati che trascinano l’individuo fuori dal coro. H

Foto di Karel Zwaneveld e Leo Von Velzen


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Il gran galà con l’apollo di Acosta DI

ROBERTA BEZZI

Grande protagonista sul palcoscenico del Pala De André, domenica 4 luglio (ore 21), sarà Carlos Acosta con i solisti dell’English National Ballet e del Ballet Nacional de Cuba. Insieme daranno vita al “Carlos Acosta & Guests”, progetto che l’artista di origini cubane ha sviluppato con successo a partire dal 2005, basandosi su un repertorio di creazioni già esistenti o del tutto originali. Tutto in salita è stato il percorso che ha portato Acosta da un’infanzia difficile di povertà a una carriera di successo. Deve ringraziare la danza, sua vera passione che non ha mai più abbandonato dopo aver seguito le prime lezioni. Cresciuto alla National Ballet School of Cuba, si è


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Nel progetto, che l’artista cubano sviluppa dal 2005, coreografie di George Balanchine, Ben Stevenson, Ben VAn Cauwenberg e Georges Garcia aggiudicato la medaglia d’oro al Prix de Lausanne del 1990. Poi ha girato il mondo come ballerino lavorando in prestigiose compagnie internazionali, quali Nacional Ballet of Cuba, The Royal Ballet e Bolshoi Ballet. Tra il 2005 e il 2009 ha creato numerose produzione che hanno riportato un notevole riscontro di critica e di pubblico al Sadler’s Wells, al London Coliseum e al Manchester International Festival. Dall’inizio di quest’anno ha presentato un nuovo programma con il meglio del repertorio delle sue esibizioni londinesi in un lungo e coinvolgente galà, in cui si alternano coreografie di George Balanchine, Ben Stevenson, Ben Van Cauwenberg e Georges Garcia. Tra queste, da non perdere Apollo in cui il pas de deux di Apollo (interpretato dallo stesso Carlos Acosta) e Tersicore è un brillante esempio della chiarezza e della modernità che Balanchine ha apportato nel mondo della danza del XIX secolo. Creato per i Ballets Russes di

Diaghilev nel 1928, ha posto le basi del neo-classicismo. Nonostante la presenza delle tre Muse a educare il Dio Apollo, si tratta di un’opera senza trama. La sobrietà e l’eleganza della partitura di Igor Stravinskij per archi si sposa con la coreografia. Da non perdere inoltre un assolo femminile ballato sulla celebre canzone “Je ne regrette rien”, simbolo della vita tragica di Edith Piaf che ha lasciato un’indimenticabile interpretazione. H

Sopra, un ritratto di Johan Persson. A sinistra l’Apollo fotografato da Angela Taylor


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Un viaggio

iniziatico

nei pellegrinaggi

anima

dell’ DI LINDA LANDI

La sorte di chi sta fermo, non si muove; si alza quando quello si desta; dorme quando quello è nel sonno; si muove quando quello è in movimento. Pertanto, mettiti in viaggio!

Con questa delicata parabola buddista, in cui il dio Indra sprona il giovane Rohita ad intraprendere la vita del viandante nell’Aitareya Brahmana, il coreografo Lin Hwai-Min, anima del Cloud Gate Dance Theatre di Taiwan,

introduce il suo Songs of the Wanderers. Osannato dalla stampa di tutto il mondo come uno struggente viaggio iniziatico nei pellegrinaggi dell’anima, questo lavoro del 1994 è una danza epurativa immersa nel bianco perla dei chicchi di riso. L’idea nasce da un viaggio reale compiuto da Hwai-Min – ritenuto uno dei più importanti coreografi orientali viventi – nell’estate dello stesso anno a Bodhgaya, luogo in cui il Buddha ebbe l’illuminazione sotto un albero della bodhi. La quiete della

a tipica d n i c u i va c lle I fiocinini erano i pescatori di frodo delle anguille, piatto tipico del Ristorante che riscopre i sapori della tradizione comacchiese e propone solo pescato di giornata, dalla crudità alla brace. TUTTI I GIOVEDÌ D’ESTATE SERATA DEDICATA AL PESCE AZZURRO

di Monica Faggioli

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meditazione e La compagnia, composta da l’osservazione delle ventiquattro danzatori, ruba il placide acque di un fiume animano nome alla più antica danza l’aura di questa cinese di cui si abbia conoscenza, danza dal sapore zen: novanta minuti il Cloude Gate, pratica rituale di immersione in un risalente a circa 5mila anni fa mondo in cui la natura riporta l’uomo alla dimensione basica e pura dello occidentali, sia antiche che spirito, allontanando le entropie contemporanee. del quotidiano. I loro gesti in Songs of the Wanderers sono un percorso I ventiquattro danzatori della compagnia (che ruba il nome alla verso il Nirvana sulle note delle canzoni popolari della Georgia più antica danza cinese di cui si eseguite dal Coro Rustavi, e abbia conoscenza, il Cloude hanno portano il pubblico di Gate, pratica rituale risalente a tanti luoghi nel mondo a un circa cinquemila anni fa) dal livello di commozione tale da 1973 si sono nutriti di non voler più uscire da teatro. H meditazione, arti marziali e teatrali, tecniche Tai Chi Tao Yin, oltre che di studio delle arti Foto di Lee Ming-Hsun coreutiche orientali e


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Ballets Russes

Omaggio ai dal “coreografo senza tempo” DI

ROBERTA BEZZI

Arriva al Ravenna Festival, una storica compagnia tedesca dal prestigio indiscusso: l’Hamburg Ballett che, mercoledì 7 luglio (ore 21), presenta un Hommage aux Ballets Russes al Pala De André. Dal 1973 il corpo di ballo è diretto da uno dei più apprezzati coreografi del nostro tempo, l’americano John Neumeier che ha saputo – in tutti questi anni – infondere al meglio il suo talento creativo proponendo un ampio repertorio di lavori classici e contemporanei, aumentando gli allievi iscritti alla scuola di ballo e guadagnando nuovi spazi in cui esibirsi anche fuori dal teatro dell’opera. In particolare il Ballettzentrum Hamburg, aperto nel 1989, che dispone di varie sale a disposizione della compagnia, una scuola e un convitto. Il grande maestro porta a Ravenna un grande trittico interamente consacrato a Vaslaw Nijinsky e ai Ballets Russes. Si inizia con una anteprima assoluta per l’Italia: Vaslaw, su musica di Johann Sebastian Bach, è un balletto ispirato e incentrato sull’uomo e artista che ha rivoluzionato l’immagine del maschio che danza, promuovendo una concezione moderna della coreografia. A seguire Prélude à l’après-midi d’un Faune per chiudere poi con Le Sacre che ricordano e celebrano la straordinaria irruzione dei Ballets Russes di Diaghilev a Parigi e poi in tutta Europa un secolo fa. Un omaggio alla compagnia più influente del XX secolo, con tutta la forza innovativa delle sublimi invenzioni musicali firmate da geni assoluti come

Debussy e Stravinskij. Il pubblico potrà dunque ammirare una performance ricca di corpi armonici e vibranti. «Quando guardo la danza vedo delle immagini che parlano senza parole e… suscitano emozioni che rivelano la parte più nascosta di noi»: ecco come ama definire la danza il grande “coreografo senza tempo” Neumeier, noto per la capacità di saper compiere le scelte tecniche ed espressive più funzionali alle proprie esigenze creative e al bisogno di dare «un senso drammatico alla danza». H

Una scena dalla coreografia Le sacre, foto di Holger Badekow


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La trasgressiva forza nottura del Tango DI MARIALIVIA SCIACCA

Vi sono cose antiche in quegli accordi, la pergola intravista, l'altro patio. (Dietro, i suoi muri sospettosi il sud ha in serbo una chitarra e un pugnale). Quest'incantesimo, questa ventata, il tango, sfida gli anni affaccendati; di polvere e di tempo, l'uomo dura meno della leggera melodia, che è solo tempo. Il tango crea un torbido passato ch'è irreale e in parte vero, un assurdo ricordo d'esser morto in duello, a un cantone del sobborgo. Jorge Luis Borges El Tango

Ho sempre sentito storie dai toni accesi, ogni volta che di tango si parlava. C’era una mia amica che dopo lunghe notti insonni ha sentito di dover scegliere tra il tango e il suo innamorato, e così ha trovato anche un nuovo lavoro. Su cosa sia caduta la scelta s’intuisce. C’era un compagno di biblioteca all’università che non ha preso più l’abbonamento di fedelissimo allo stadio Meazza e anche la sua fidanzata ha dovuto scegliere: o imparare a ballare o

lasciare che lui stringesse qualcun’altra nella sensualità dei cerchi tangueri la domenica sera. E infine ho visto in un locale storico di un centro città un signore in papillon scuro, di ottanta anni solari schioccati, fumare a dispetto del ministro Sirchia mentre metteva su musicassette incise di tango in una serata interamente dedicata a questo ballo. Tango inizia con la stessa lettera di trasgressione, di trasformazione e di tenebre, una delle chiavi del Ravenna Festival 2010. Contiene tutte e tre, e le dispiegherà nella serata dedicata a quest’arte, se così si può definire: domenica 13 giugno il Palazzo San Giacomo, sull’argine del fiume Lamone a Russi, apre la sua corte a “La Notte del Tango”. Tenebre, perché non è solo le prime ore di buio, ma tutta una notte che il tango si prende al Festival, e tenebre perchè è dall’oscurità dei ritrovi e dei lupanari degli immigrati di Buenos Aires e Montevideo che il tango nasce. Il tango è trasgressione perché chi lo porta in

Il tango è una danza di estrema vicinanza e contemporaneamente di lontananza, quella che immigrati in Argentina sentivano dell’odore dei propri compaesani scena al Festival sono interpreti particolari, di un’autorevolezza nel campo assolutamente fuori dal comune. Vivono l’essenza del tango ma proprio quando la padroneggiano al massimo si permettono di immergervisi e di interpretarla. Così ne oltrepassano i parametri tradizionali. Sul palco l’argentino Javier Girotto con gli Aires Tango e la Grande Orchestra di Tango Juan Josè Mosalini. I primi sono quattro per cinque strumenti: Javier Girotto sax, baritono e flauti andini, Alessandro Gwis al pianoforte, Michele Rabbia

alle percussioni e Marco Siniscalco al basso. Nel terreno tradizionale degli stilemi della musica da tango seminano cristalli di jazz e li fanno vibrare dell’improvvisazione di cui questo genere si nutre. La Grande Orchestra di Tango Juan Josè Mosalini è formata da dodici musicisti, tutti rigorosamente argentini, come richiede la migliore tradizione dell’ “orquesta tipica” degli anni Quaranta e Cinquanta, formatasi quando il tango giungeva sulle coste europee e lì rapidamente si diffondeva. È composta precisamente da tre bandonèones


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Nella pagina accanto: Juan José Mosalini e la sua Grande Orchestra (in basso). Sopra: Aires Tango.

(fisarmoniche), quattro violini, viola, violoncello, pianoforte, contrabbasso, la cantante Sandra Rumolino e i ballerini Jorge Rodriguez e Maria Filali-Favqui, tutti rigorosamente argentini. Ai loro ritmi che si richiamano alle origini e le fanno ondeggiare nelle nuove frappe della musica contemporanea, anche il pubblico è invitato a ballare. Sia Girotto con gli Aires Tango che l’Orchestra di Mosalini hanno trasgredito e suoneranno la loro trasformazione del tango, infrangendo i limiti che il tempo e lo spazio possiedono, ma di cui la musica e le emozioni umane sono molto più carenti. Gli Aires Tango vivono da quindici anni un modo di suonare in continua evoluzione, con richiami espliciti e celebri, come quello ad Astor Piazzolla, e un continuo ricambio del proprio repertorio. Con l’ingresso di sonorità jazz vorrebbe forse lasciar cadere la profonda malinconia esistenziale intrisa nel tango, che ricorda le sue origini, ben oltre un secolo fa. Il tango è una danza di estrema vicinanza e contemporaneamente lontananza, quella che immigrati in Argentina

sentivano dell’odore dei propri compaesani. È uno di quei fenomeni nati nelle trasformazioni sociali, mentre le persone si adattano e sentono una nostalgia del vecchio che ancora non si riesce a dimenticare e stenta a morire dentro di loro. Come ogni volta che si attraversano i passaggi dalle tenebre alla luce, c’è il dazio della malinconia da lasciare sul bancone al confino. Dal primo passaggio della vita dalle tenebre alla luce, il più traumatico e violento, sino a tutti i successivi, si imparano a danzare le abitudini sui propri battiti e ritmi, stringendosi a chi si ha di più caro, un po’ come nel tango». H

Due ritratti di Juan José Mosalini, nella pagina accanto il suo ensemble. Sopra: gli Aires Tango.


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lunedì 7 giugno Teatro di Mirabilandia, ore 22

Al parco 1º Maggio (ore 21.30) “La festa nell’aia”, gran finale con musica e danze SERVIZIO A PAGINA 24

RAVENNA - MAZARA DEL VALLO

CERCATORI DI TRACCE riscrittura da Sofocle regia Marco Martinelli, Alessandro Renda spazio luci Vincent Longuemare con la partecipazione dei Fratelli Mancuso e con cinquanta adolescenti siciliani e tunisini Coproduzione Ravenna Festival, “Circuito del Mito” - Assessorato al Turismo della Regione Siciliana, in collaborazione con Ravenna Teatro - Teatro delle Albe, Diocesi di Mazara del Vallo

venerdì 11 giugno Basilica e Giardini di San Vitale ore 21

AD LUCEM Luce e Tenebre nella musica medievale fra l’XI e il XIV secolo LAREVERDIE

FIORISTA

musiche di Tommaso da Celano, Perotinus Magnus, Wipo von Burgund, Hildegard von Bingen, Guillame Du Fay e altri autori

Rosa Scarlatta

…c’è un luogo, incontriamoci là… (anno secondo)

VOCI NELLA PREGHIERA

Via Bovini, 30 - 48123 Ravenna Tel. 0544 771094 Cell. 349 2983111

ideazione e regia Cristina Mazzavillani Muti introduce Umberto Galimberti ENSEMBLE LAREVERDIE SERVIZIO A PAGINA 22

SERVIZIO A PAGINA 84

domenica 13 giugno

mercoledì 9 giugno

Palazzo San Giacomo (Russi) ore 21.30

Palazzo Mauro de André, ore 21

LA NOTTE DEL TANGO

ORCHESTRA MOZART

con Javier Girotto & Aires Tango e la Grande Orchestra di Tango di Juan José Mosalini

direttore DIEGO MATHEUZ pianoforte Yuja Wang musiche di W. A . Mozart, Sinfonia n. 41 K 551 Jupiter ; F. Mendelssohn Sinfonia n. 4 op. 90 Italiana; S. Prokof’ev, Concerto per pianoforte n. 3 op. 26 SERVIZIO A PAGINA 16

giovedì 10 giugno

CRISTINA MAZZAVILLANI MUTI SERVIZIO A PAGINA 14

sabato 12 giugno Basilica di Sant’Apollinare in Classe, ore 21 à partir du profond de mon âme

Parco Archeologico di Classe ore 18.30

GÉRARD DEPARDIEU LEGGE S. AGOSTINO

CONCERTO TREKKING

Al termine della serata Gerard Depardieu riceverà il “Premio Ravenna festival 2010”

A PIEDI DALL’ANTICO PORTO DI AUGUSTO ALLA PINETA DI CLASSE PASSANDO PER LA GRANDE BASILICA, TRA MUSICA, STORIA E NATURA con la partecipazione di Ambrogio Sparagna e l’Orchestra Popolare Italiana dell’Auditorium Parco della Musica di Roma

gastronomia e primizie

SERVIZIO A PAGINA 50

domenica 13 giugno

musiche di Mauricio Kagel: Acustica (1968 - 70) per produttori di suono sperimentali e altoparlanti SERVIZIO A PAGINA 28

mercoledì 16 giugno Basilica di San Vitale, ore 21 Basilica di Santa Maria Maggiore ore 23.30

AD VESPERAS Vespri solenni nella Napoli spagnola antifone, salmi e mottetti di Diego Ortiz

LEÇONS DES TÉNÈBRES

Artificerie Almagià, ore 23

di François Couperin

Notturno elettronico 1

con l’ensemble vocale CANTAR LONTANO viola d’arco Cristiano Contadin direttore Marco Mencoboni

TEMPO REALE e AIDORU

STOCKHAUSEN NACHT musiche di Karlheinz Stockhausen: Cosmic pulses (2007), Spiral (1968), Tierkreis (Zodiaco elettrico secondo Aidoru) SERVIZIO A PAGINA 28

SERVIZIO A PAGINA 22

sabato 12 giugno Palazzo San Giacomo (Russi) ore 21.30

S’l’è nöt u s’farà dè, grande festa di musica popolare

TRA SPONDE

tradizioni mediterranee

di Bandini Cristina

UN PONTE MUSICALE TRA I BALCANI E L’ITALIA La Kocani Orkestar incontra la Banda Municipale Balcanica, (Puglia) guest Roberto Ottaviano sax

martedì 15 giugno Palazzo Mauro de André, ore 21

BILL T. JONES ARNIE ZANE DANCE COMPANY

MARCO MENCOBONI / CANTAR LONTANO SERVIZIO A PAGINA 23

Serenade/The Proposition coreografie di Bill T. Jones SERVIZIO A PAGINA 42

martedì 15 giugno Artificerie Almagià, ore 23

giovedì 17 giugno Basilica di San Vitale, ore 21

TENEBRAE FACTAE SUNT

SERVIZIO A PAGINA 76

Vendita al dettaglio: V.le Alberti 38, Ravenna tel/fax 0544 194095

domenica 13 giugno Basilica di San Vitale ore 21

EX TENEBRIS

Notturno elettronico 2 TEMPO REALE

OMAGGIO A MAURICIO KAGEL

ODHECATON direttore Paolo Da Col musiche di Gesualdo da Venosa, Giovanni Pierluigi da Palestrina, Arvo Pärt, Wolfgang Rihm, Salvatore Sciarrino SERVIZIO A PAGINA 23


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giovedì 17 giugno Artificerie Almagià, ore 23

Notturno elettronico 3 TEMPO REALE e DAVID MOSS

THE TABLE OF EARTH performance di David Moss: The Table of the Heart (2010) per voce e tavolo sensibile SERVIZIO A PAGINA 29

venerdì 18 giugno sabato 19 giugno Teatro Alighieri, ore 21

TENEBRÆ cantata video-scenica per voci su nastro, ensemble di 14 esecutori e live electronics testi di Massimo Cacciari musica di Adriano Guarnieri

ballerino e coreografo Juha Marsalo Produzione Armunia Festival costa degli Etruschi di Castiglioncello, Regione Toscana, 3 bis f d’Aix en Provence, anteprima nazionale SERVIZIO A PAGINA 83

lunedì 21 giugno Basilica di Sant’Apollinare Nuovo ore 21 Omaggio a G.B. Pergolesi nel 300° anniversario della nascita

VESPRO DELLA BEATA VERGINE MELODI CANTORES ENSEMBLE HARMONICUS CONCENTUS organo Mirko Maltoni clavicembalo Francesca Bacchetta direttore Elena Sartori

(Edizioni RaiTrade)

direttore Pietro Borgonovo regia di Cristina Mazzavillani Muti Coproduzione Ravenna Festival, Teatro dell’Opera di Roma, prima rappresentazione assoluta SERVIZIO A PAGINA 30

sabato 19 giugno Basilica di San Vitale, ore 21 Omaggio ad Alessandro Scarlatti nel 350° anniversario della nascita

INNI DEL VENERDÌ SANTO E UFFICIO DELLE TENEBRE LA STAGIONE ARMONICA direttore Sergio Balestracci SERVIZIO A PAGINA 21

domenica 20 giugno Palazzo Mauro de André, ore 21

ELENA SARTORI SERVIZIO A PAGINA 21

martedì 22 giugno mercoledì 23 giugno giovedì24 giugno venerdì 25 giugno

ROYAL PHILHARMONIC sabato 26 giugno ORCHESTRA Pala Credito di Romagna, Forlì direttore CHARLES DUTOIT

musiche di Nikolaj RimskijKorsakov, Shéhérazade, suite sinfonica op. 35; Igor’ Stravinskij, L’oiseau de feu

ore 21

EVITA

SCHWAB

libretto di Tim Rice musica di Andrew Lloid Webber regia di Bob Tomson e Bill Kenwright scene di Matthew Wright coreografie di Bill Deamer light designer Mark Howett sound designer Ben Harrison orchestrazione Davide Cullen arrangiamenti e direzione musicale David Steadman

un progetto delle compagnie Nerval Teatro e Juha Marsalo drammaturgia di Lucia Calamaro regia di Maurizio Lupinelli

personaggi e interpreti: Eva Abigail Jaye Che Mark Powell

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lunedì 21 giugno Teatro Rasi, ore 21


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il cartellone 55 Ravenna Festival Magazine 2010 Peron Mark Heenehan Mistress Abigail Matthews SERVIZIO A PAGINA 38

mercoledì 23 giugno Rocca Brancaleone, ore 21.30 Musica&Visioni 1

Thurner; Quartetto KV 368b in fa maggiore per oboe, violino, viola e violoncello; Serenata per 12 s trumenti a fiato e contrabbasso KV 370a “La gran partita” SERVIZIO A PAGINA 18

domenica 27 giugno Palazzo Mauro de André, ore 21

WEIRD TALES

FENNESZ + LILLEVAN SERVIZIO A PAGINA 66

CLOUD GATE DANCE THEATRE OF TAIWAN SONGS OF THE WANDERERS

giovedì 24 giugno Teatro Alighieri, ore 21 ENSEMBLE DI MICHA VAN HOECKE

coreografie Lin Hwai-Min SERVIZIO A PAGINA 48

domenica 27 giugno

CLAIRE-OBSCURE

Rocca Brancaleone, ore 21.30

una nuova creazione di Micha Van Hoecke

Musica&Visioni 2

musiche di Arnold Schönberg, Franz Schubert, Gustav Mahler ORCHESTRA GIOVANILE LUIGI CHERUBINI direttore Hans-Jörg Schellenberger

WEIRD TALES

BROADCAST & THE FOCUS GROUP SERVIZIO A PAGINA 64

Una produzione Ravenna Festival SERVIZIO A PAGINA 34

lunedì 28 giugno sabato 26 giugno domenica 27 giugno Palazzetto dello Sport Angelo Costa, ore 11

I DEMÒNI dal romanzo di Fëdor Michajlovicˇ Dostoevskij adattamento e regia di PETER STEIN Produzione Tieffeteatro Teatro Milano e Wallenstein BetriebsGmbH Berlino, in collaborazione con Napoli Teatro Festival SERVIZIO A PAGINA 80

martedì 29 giugno Vecchio tiro a segno, Darsena di Città, ore 21.30

TEATRO DUBROVKA DI MOSCA 26 OTTOBRE 2002 “CARDO ROSSO” testo e drammaturgia di Maddalena Mazzocut-Mis regia e interpretazione Chiara Muti musiche di Giovanni Sollima violoncelli Giovanni Sollima, Monika Leskovar Produzione di Ravenna festival, prima nazionale

sabato 26 giugno Chiostri della Biblioteca Classense, ore 21.30

LA GRAN PARTITA SOLISTI DELL’ORCHESTRA GIOVANILE LUIGI CHERUBINI direttore e oboe Hans-Jörg Schellenberger oboe Martin Gabriel musiche di W. A. Mozart: Sonata in fa maggiore KV 374b per violino e pianoforte nella trascrizione per due oboi di Friedrich Eugen

CHIARA MUTI SERVIZIO A PAGINA 94


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mercoledì 30 giugno Rocca Brancaleone, ore 21.30 Musica&Visioni 3

dell’Africa con Mamah Diabaté ngoni Eric Lohrer chitarra Naba Traoré voce Christophe Minck basso Emiliano Turi batteria

WEIRD TALES

MURCOF + ANTIVJ SERVIZIO A PAGINA 64

giovedì 1 luglio Teatro Alighieri, ore 21

THE PHILHARMONICS DA JOHANN STRAUSS A CHICK COREA ROKIA TRAORÉ

violini Tibor Kovac, Shkelzen Doli viola Thilo Fechner violoncello Stephan Koncz contrabbasso Ödön Racz clarinetto Daniel Ottensamer pianoforte Frantisek Janoska SERVIZIO A PAGINA 18

venerdì 2 luglio domenica 4 luglio martedì 6 luglio Teatro Alighieri, ore 20.30

BETULIA LIBERATA azione sacra in due parti KV 118 libretto di Pietro Metastasio musica di W. A. Mozart (New Mozart Edition, Bärenreiter Kassel)

direttore Riccardo Muti regia Marco Gandini scene Italo Grassi costumi Gabriella Pescucci luci Marco Filibeck personaggi ed interpreti Ozia Michael Spyres Giuditta Alisa Kolosova Amital Anna Kasyan Achior Nahuel di Pierro Cabri Barbara Bargnesi Carmi Arianna Venditelli ORCHESTRA GIOVANILE LUIGI CHERUBINI VIENNA PHILHARMONIA CHOIR maestro del coro Walter Zeh SERVIZIO A PAGINA 20

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sabato 3 luglio Darsena dei Magazzini del Sale, Cervia, ore 21.30 BLACK IS BEAUTIFUL

A FUNKY CELEBRATION MACEO PARKER & BAND FRED WESLEY AND THE NEW JBS con Maceo Parker voce, sassofono, flauto Ron Tooley tromba Dennis Rollins trombone Will Boulware tastiere Bruno Speight chitarra Rodney “Skeet” Curtis basso Jamal Thomas batteria Corey Parker voce Neta Hall voce Fred Wesley trombone Bruce Cox percussioni Dwayne Dolphin basso Peter Madsen pianoforte e tastiere Reggie Ward chitarra Chris Andrews sassofono Gary Winters tromba SERVIZIO A PAGINA 72

sabato 3 luglio Palazzo Mauro de André, ore 21

PHILHARMONIA ORCHESTRA direttore YURI TEMIRKANOV

venerdì 2 luglio Darsena dei Magazzini del Sale, Cervia, ore 21.30 BLACK IS BEAUTIFUL

ROKIA TRAORÉ La più ammaliante delle nuove voci

musiche di Pëtr Il’ic Cajkowskij: Sinfonia n. 5 in mi minore op. 64; Sinfonia n. 6 in si minore, op 74 “Patetica” SERVIZIO A PAGINA 18

domenica 4 luglio Palazzo Mauro de André, ore 21


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CARLOS ACOSTA & GUESTS con CARLOS ACOSTA e i SOLISTI DELL’ENGLISH NATIONAL BALLET e del BALLET NACIONAL DE CUBA coreografie di George Balanchine, Ben Stevenson, Ben Van Cauwenberg, Georges Garcia musiche di Igor’ Stravinskij, Sergej Rachmaninov, Edith Piaf, Jaques Brel, Jules Massenet SERVIZIO A PAGINA 46

lunedì 5 luglio Basilica di Sant’Apollinare in Classe, ore 21

BETULIA LIBERATA Oratorio per 4 voci, coro e strumenti libretto di Pietro Metastasio musica di Niccolò Jommelli (Ut Orpheus Edizioni, Bologna)

giovedì 8 luglio Teatro Alighieri, ore 21 Per i 90 anni di Tonino Guerra

MIELE di Tonino Guerra TEATRO TAGANKA DI MOSCA regia di Jury Ljubimov musica di Al’fred Schnitke, Vladimir Martynov direttore del coro Tat’jana Zanova movimenti Andrej Melanin SERVIZIO A PAGINA 58

venerdì 9 luglio Chiostri della Biblioteca Classense, ore 21.30 Non solo Chopin

NOTTURNO

direttore Riccardo Muti

DOMENICO NORDIO violino ANDREA BACCHETTI pianoforte

personaggi e interpreti Giuditta Laura Polverelli Ozia Terry Wey Carmi Dimitri Korchak Achior Vito Priantev

musiche di F. Chopin, N. Milstein, A. Copland, G. Tartini, F. Kreisler, F. Mendelssonhn, J. Heifetz, E. Ysaye, A. Schnittke, K. Szymanowski

ORCHESTRA GIOVANILE LUIGI CHERUBINI VIENNA PHILHARMONIA CHOIR maestro del coro Walter Zeh SERVIZIO A PAGINA 20

mercoledì 7 luglio Palazzo Mauro de André, ore 21

ANDREA BACCHETTI SERVIZIO A PAGINA 18

Hommage aux Ballets Russes

HAMBURG BALLETT

venerdì 9 luglio

coreografie di John Neumeier

Rocca Brancaleone, ore 21.30

Prélude à l’après -midi d’un faune musiche di Claude Debussy Le Sacre musiche di Igor’ Stravinskij

Musica&Visioni 4 WEIRD TALES

LA CADUTA DELLA CASA DEGLI USHER La chute de la maison Usher regia Jean Epstein (1928) musicato dal vivo dai MASSIMO VOLUME

HAMBURG BALLET

MASSIMO VOLUME

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58 il cartellone Ravenna Festival Magazine 2010

sabato 10 luglio domenica 11 luglio

DANSGROEP AMSTERDAM DE CHÂTEL & GALILI

Teatro Rasi, ore 21 TEATRO DELLE ALBE

coreografie di Itzik Galili, Krisztina de Chatel, Massimo Molinari

RUMORE DI ACQUE

Six musica di Steve Reich SUB musica di Michael Gordon Pulse musica di György Ligeti

di MARCO MARTINELLI ideazione Marco Martinelli, Ermanna Montanari regia Marco Martinelli in scena Alessandro Renda musiche originali eseguite dal vivo Fratelli Mancuso luci e costumi Ermanna Montanari, Enrico Isola Coproduzione Ravenna Festival, Ravenna Teatro - Teatro delle Albe “Circuito del Mito” - Assessorato al Turismo della Regione Siciliana SERVIZIO A PAGINA 84

sabato 10 luglio Teatro Alighieri, ore 21

SERVIZIO A PAGINA 44

lunedì 12 luglio Palazzo Mauro de André, ore 21 LUIGI CHERUBINI

REQUIEM IN DO MINORE direttore RICCARDO MUTI ORCHESTRA GIOVANILE LUIGI CHERUBINI ORCHESTRA GIOVANILE ITALIANA Musicisti dell’Accademia di Musica dell’Università di Lubiana e dell’Accademiadi Musica

Il Miele di Tonino Guerra e Jurij Liubimov in scena all’Alighieri per i 90 anni del poeta In un certo senso è la storia artistica del Novecento stesso ad andare in scena sul palco dell’Alighieri con lo spettacolo Miele, che unisce due giganti indiscussi dell’arte poetica, teatrale, cinematografica. Il testo è infatti firmato dal grande Tonino Guerra, la rappresentazione diretta da Jurij Ljubimov, regista del leggendario e sovversivo Teatro Taganka di Mosca. Due grandi vecchi, il primo ha novant’anni (l’evento è il modo in cui il Festival celebra il suo novantesimo compleanno), il secondo addirittura novantatre, si ritrovano per la prima volta insieme per un lavoro incentrato proprio sulla memoria, sulle gioie della vita, sulle cose umane, in una sorta di “preghiera di ringraziamento” alla Vita per il solo fatto di esserci stata data. Un’occasione per scoprire l’inesauribile creatività del regista russo e assaporare la dolcezza quasi infantile della poetica di Guerra in uno scampio necessariamente proficuo e quanto mai coinvolgente.


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il cartellone 59 Ravenna Festival Magazine 2010 dell’Università di Zagabria La Stagione Armonica Cori italiani, sloveni, croati coordinati dall’Associazione Corale Goriziana “C. A. Seghizzi” maestro del coro Sergio Balestracci

La Stagione Armonica Cori italiani, sloveni, croati coordinati dall’Associazione Corale Goriziana “C. A. Seghizzi” maestro del coro Sergio Balestracci SERVIZIO A PAGINA 104

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martedì 13 luglio Trieste, Piazza dell’Unità d’Italia, ore 21 Le vie dell’Amicizia Italia - Slovenia -Croazia LUIGI CHERUBINI

REQUIEM IN DO MINORE

martedì 13 luglio Palazzo Mauro de André, ore 21 Un leggendario trio del jazz

KEITH JARRETT GARY PEACOCK JACK DE JOHNETTE

direttore RICCARDO MUTI ORCHESTRA GIOVANILE LUIGI CHERUBINI ORCHESTRA GIOVANILE ITALIANA Musicisti dell’Accademia di Musica dell’Università di Lubiana e dell’Accademiadi Musica dell’Università di Zagabria

STANDARDS TRIO SERVIZIO A PAGINA 74

Anche il Ravenna Festival ha un suo profilo su Facebook Anche Ravenna Festival non poteva non avere una sua pagina su Facebook, il celebre social network dove la storica manifestazione ravennate (quella di quest’anno è la XXI edizione) conta già oggi più di 2.000 fan. Nel profilo del Festival interviste, novità delle ultime ore e anche piccoli concorsi a premi, con in palio biglietti per gli eventi in programma. Sono presenti anche le foto degli artisti protagonisti e naturalmente un rimando al sito internet ufficiale (www.ravennafestival.org), che resta il punto di riferimento per chiunque cerchi informazioni dettagliate sul festival.

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Biglietteria del Festival On-line sul sito www.ravennafestival.org Cassa di Risparmio di Ravenna IAT Ravenna, via Salara 8 - Ravenna (tel. 0544 482838) • IAT Marina di Ravenna, via Dora Markus 8 (tel. 0544 531108) • IAT Punta Marina, via della Fontana 21 (tel. 0544 437312) • IAT Milano Marittima, via Matteotti 39 (tel. 0544 993445)

Informazioni generali Gli abbonamenti, i carnet e i singoli biglietti acquistati non possono essere rimborsati, non sono nominativi e possono essere ceduti

ad altre persone.Tariffe ridotte riservate a: Associazioni liriche, Cral Aziendali, insegnanti, pensionati, spettatori fino a 26 anni, enti convenzionati, possessori di carta bianca. Diritto di prevendita: il servizio di prevendita comporta la maggiorazione del 10% sui prezzi dei carnet e dei biglietti (maggiorazione che non sarà applicata ai biglietti acquistati al botteghino nel giorno di spettacolo).

Gruppi e associazioni Alle associazioni, alle agenzie specializzate in viaggi culturali e ai gruppi (minimo 15 persone) sono riservati specifici contingenti e condizioni agevolate per l’acquisto dei biglietti. Ufficio Gruppi: tel. 0544 249251 gruppi@ravennafestival.org.

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60 alle 7 della sera e dintorni Ravenna Festival Magazine 2010

Spettacoli e incontri ad ingresso gratuito, inizio ore 19 se non diversamente indicato

mercoledì 9 giugno Casa Circondariale, ore 19

CONCERTO ASSIEME AI CARCERATI Percorso realizzato da Luca Loreta Orchestra con Ambrogio Sparagna e l’O Popolare Italiana dell’Auditorium Parco della Musica di Roma Nel carcere della città, non solo per un concerto, ma per realizzare un percorso musicale che vede come protagonisti gli stessi reclusi.

REQUIEM CORO POLIFONICO LUDUS VOCALIS ENSEMBLE MOSAICI SONORI soliste Emilia Ferrari, Ida Nardi direttore Stefano Sintoni Composizione di John Rutter, musicista inglese vivente, nato a Londra nel 1945. Particolarmente popolare negli Stati Uniti, Rutter si dedica alla musica corale ricevendo spesso ispirazione dai testi sacri.

venerdì 18 giugno Teatro Alighieri, ore 19

domenica 13 giugno

EX TENEBRIS AD LUCEM

Basilica di San Vitale, ore 10.30

MASSIMO CACCIARI

In Templo Domini

conversazione sul tema del festival

LA NOTTE DELLA CHIESA una liturgia al tempo del Grande Scisma d’Occidente dal codice 16 bis della Cathédral Sainte-Anne d’Apt LAREVERDIE ENSEMBLE

Dai libri di Massimo Cacciari sono tratti i testi musicati da Adriano Guarnieri per la sua nuova opera, Tenebræ, che darà forma e consistenza visiva al tema di questa edizione di Ravenna Festival.

sabato 19 giugno lunedì 14 giugno Piazza del Popolo, ore 19

OMAGGIO A CHERUBINI Società Filarmonica “P. Mascagni” di Iolo; Filarmonica “G. Puccini” di Abbadia San Salvatore; Orchestra Italiana di Fiati “Accademia” di L’Aquila Associazione Corale “G. Verdi” di Arcidosso; Gruppo Corale Santa Felicita di Lucca soprano Silvia Pacini direttore Alessio Stabile Cherubini giunse a Parigi nel 1784. Nel periodo della Rivoluzione gli fu commissionata molta “musica militare”. Nel suo Hymne du Pantheon eseguito in onore di Marat c’è lo spirito dell’epoca ama cnhe tutta la genialità del compositore.

Anfiteatro Banca Popolare, ore 19

DAVE KAYE: IN VIAGGIO CON LA MUSICA Dave Kaye voce, chitarra, didgeridoo Marco Cavina violino, voce; Giacomo Sangiorgi basso Stefano Calvano, Stefano Fabbri percussioni Caterina Sangiorgi flauto, voce e con Raimondo Raimondi, chitarra Il musicista australiano unisce gli elementi acqua e aria, terra e fuoco evocando suoni a tratti ancestrali in modo unico e originale.

domenica 20 giugno Basilica di S. Apollinare Nuovo, ore 11

martedì 15 giugno Piazza S. Francesco, ore 19 La Banda Musicale fra tradizione e innovazione

BANDA CITTÀ DI RAVENNA con la partecipazione degli Allievi dei corsi per strumento a fiato della Scuola Media a indirizzo musicale “Don Minzoni” Doveroso omaggio alle bande musicali che hanno rappresentato il principale veicolo di diffusione della musica a livello popolare.

giovedì 17 giugno Basilica di S. Francesco, ore 19

In Templo Domini

L'ALBA DI UNA NUOVA LITURGIA La Messa dopo la Controriforma musiche di Thomas Luis De Victoria, Claudio Monteverdi, Francesco Bianciardi, Alessandro Salvolini, Leonardo Morelli LA STAGIONE ARMONICA direttore Sergio Balestracci

lunedì 21 giugno Teatro Alighieri, ore 19

LEZIONE DI DANZA CON MICHA VAN HOECKE


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62 alle 7 della sera e dintorni Ravenna Festival Magazine 2010

Ballerino e coreografo cresciuto accanto ad un mito del 900 quale Béjart terrà una propria lezione con gli allievi delle scuole di danza della città.

Integrale delle suites per cello di Johann Sebastian Bach (I parte) I violoncelli dell’0rchestra Cherubini si confrontano con un capolavoro bachiano.

fascino della notte nella poetica del raffinato compositore francese.

giovedì 1 luglio Anfiteatro Banca Popolare, ore 19

martedì 22 giugno

domenica 27 giugno

Chiostri della Classense, ore 19

Anfiteatro Banca Popolare, ore 19

LA MUSICA CELTICA DEI JIG RIG

GLI STRUMENTISTI DELLA CHERUBINI

con Alessandra Caponi, Alessio Montagnani, Andrea Gatti, Blerim Guri, Francesca Bianconi, Ilaria Landi, Grazia Novelli, Filippo Marcori

musiche di Mozart e Beethoven

Otto musicisti di formazione diversa uniti dalla voglia di suonare e divertirsi nel nome della musica celtica animano feste paesane e importanti manifestazioni.

mercoledì 23 giugno

Il quartetto op. 95 di Beethoven detto “Serioso” è accostato alla raffinatezza timbrica che scaturisce dall’intreccio della cantabilità del clarinetto con il quartetto d’archi nel Quintetto K 581 di Mozart.

domenica 27 giugno Basilica di S. Agata Maggiore, ore 11,30

Corte Mosaico, ore 19

TANGO TRES “GUARDIA VIEJA ” Donato D’Antonio chitarra classica Viittorio Veroli violino Silvio Zalambani sax soprano e arrangiamenti Rubén Andres Costanzo narratore Il trio propone il tango del primo periodo, noto come “Guardia Vieja” negli stili in voga tra il 1880 e il 1920 in America latina.

mercoledì 23 giugno

In Templo Domini

E LA LUCE VENNE NELLE TENEBRE Missa O magnum Mysterium di G.P. da Palestrina musiche di Andrea Gabrieli, Francisco Guerrero, G.M. Trabaci, Sebastian de Vivanco, Leonardo Morelli VOX LIBERA direttore Dario Tabbia

domenica 27 giugno

Rocca Brancaleone, ore 23

Giardini della Provincia, ore 23

TEODORICO, LA STORIA E LA LEGGENDA

GLI STRUMENTISTI DELLA CHERUBINI

regia Cristiano Bacchi ideazione Stelvio De Stefani audio & visual design Gianni Gaudenzi testi Paolo Panizza Il cortometraggio traccia un profilo del grande Re Ostrogoto avendo particolare cura nel narrare la parte della vita di Teodorico meno conosciuta ma forse più misteriosa

giovedì 24 giugno Chiostri della Classense, ore 19 Incontro con un celebre violinista ravennate

LUDOVICO SIRMEN Emanuela Marcante e Daniele Tonini narrazione e percorso musicale Alessandro Tampieri violino Un musicista ravennate da riscoprire dalla carriera ricca di contatti e umori, tra Parigi e San Pietroburgo, che vibra dello spirito del secondo Settecento europeo.

venerdì 25 giugno Basilica di S. Francesco, ore 19

GLI STRUMENTISTI DELLA CHERUBINI

Integrale delle suites per cello di Johann Sebastian Bach (I parte)

lunedì 28 giugno S. Giovanni Evangelista, ore 19

VIVALDI E IL SACRO Strumentisti del Conservatorio Bruno Maderna di Cesena con Paola Cigna soprano Brani strumentali e vocali del maestro veneziano ed in particolare il Mottetto In furore iustissimae irae ed il Salve Regina.

DUO SPIRITOSO Jeffrey McFadden chitarra classica Andrew Zohn hitarra classica Apprezzati solisti (l’uno canadese, l’altro statunitense), collaborano dal 2004 e incidono per la “Naxos” e pubblicano per “ Les Productions d’Oz”.

giovedì 1 luglio Basilica di S. Francesco, ore 23

GLI STRUMENTISTI DELLA CHERUBINI Integrale delle suites per cello di Johann Sebastian Bach (III parte)

domenica 4 luglio Basilica di San Vitale, ore 10,30 In Templo Domini

LA LUCE RIFLESSA Missa Ecce Ancilla Domini di Guillaume Dufay mottetti mariani di Heinrich Isaac, Josquin Desprez CANTICA SYMPHONIA Laura Fabris soprano, Giuseppe Maletto tenore e direzione, Fabio Furnari tenore, Marco Scavazza baritono

domenica 4 luglio

Anfiteatro Banca Popolare, ore 23

DANS L’AIR DU SOIR musiche di Claude Debussy FRESCOBALDI CONSORT con Francesca Accardi, Giacomo Cardelli, Matteo Cardelli, Giovanni Fabiani, Davide Finotti, Luigi Manaresi, Daniela Serafino, Filippo Terni I brani in programma richiamano l’intimo

musiche di Bottesini, Ravel e Dvorák Tre culture e tre modi di scrivere musica a confronto fra ‘800 e ‘900

giovedì 8 luglio Chiostri della Classense, ore 19

OMAGGIO A TONINO GUERRA tre grandi poeti in musica Raffaello Baldini, Tonino Guerra, Nino Pedretti con Daniela Piccari, Andrea Alessi, Gianni Perinelli, Diego Sapignoli, Dimitri Sillato, Simone Zanchini, Concerto in cui la tradizione popolare della Romagna, e in aprticolare il dialetto, si fonde con il jazz, la musica etnica e la malinconia della chanson francese.

venerdì 9 luglio Corte Mosaico, ore 23

DELICATE ATMOSFERE DUO KERYLOS Elisa Parodi flauto Michela La Fauci arpa Il Duo Kerylos è vivacità, calore ed espressività; le esecuzioni delle due interpreti sono sempre emotivamente coinvolgenti.

domenica 4 luglio

Giardini Provincia, ore 23

Basilica Metropolitana, ore 11,30

BUR (BUIO)

In Templo Domini

testi dialettali tratti dal poemetto Bur di Giuseppe Bellosi, letti dall’autore arpa celtica Phil Holand L’accostamento del dialetto romagnolo alla musica celtica è tutt’altro che bizzarro: la tribù dei Senoni occupò la nostra area intorno al 350 a.C. dando vita ad un insediamento i cui segni permangono nel dialetto romagnolo.

martedì 6 luglio Chiostri Biblioteca Classense,ore 19

mercoledì 30 giugno

GRUPPO DA CAMERA DELL’ORCHESTRA GIOVANILE CHERUBINI

GENE BAROCCO La sonata a tre in Germania musiche di G. P. Telemann, G. F. Händel, J. S. Bach La Trio Sonata è una delle più importanti forme strumentali barocche. Il concerto prevede l’utilizzo di strumenti originali.

mercoledì 7 luglio Giardino Casa Muti, ore 19

LUX PERPETUA In memoria delle vittime del terremoto Missa pro defunctis a quattro voci miste di Orlando di Lasso CORO POLIFONICO E SCHOLA GREGORIANA PAER direttore Ugo Rolli

domenica 11 luglio Anfiteatro Banca Popolare, ore 19

CONCERTO A-CAPPELLA DEI “MEZZOTONO” PICCOLA ORCHESTRA ITALIANA SENZA STRUMENTI con Daniela Desideri, Francesca Leone, Andrea Maurelli, Fabio Lepore, Marco Giuliani I Mezzotono cantano a-cappella brani in italiano. L’approccio con il pubblico e gli interessanti arrangiamenti rendono accattivante il loro spettacolo.


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64 contaminazioni sonore Ravenna Festival Magazine 2010

Suoni visionari tra elettronica e cinema muto da Murcof ai Broadcast DI

ALESSANDRO FOGLI

“Musica&Visioni”, l’usuale rassegna del Festival incentrata sul connubio tra suoni e immagini, si chiamerà quest’anno “Weird Tales” e, grazie all’inedita collaborazione con Bronson Produzioni, porterà alla Rocca Brancaleone quattro nomi di grande rilievo, soprattutto per gli amanti della musica elettronica sperimentale. Si inizia il 23 giugno con il genietto austriaco del glitch, Christian Fennesz (vedi intervista a pagina ),

Qui sopra i bolognesi Massimo Volume che saranno protagonisti alla Rocca Brancaleone nell’ultimo appuntamento della rassegna Werid Tales, quando “insonorizzeranno” il film muto La caduta della casa degli Usher . A destra, invece, una foto suggestiva di Trish Keenan, la cantante degli inglesi Broadcast, a Ravenna il 27 giugno

accompagnato dal video-artista tedesco Lillevan, al quale seguirà (27 giugno) il duo electropsichedelico di Birmingham Broadcast. I Broadcast – la fascinosa cantante Trish Keenan e il polistrumentista James Cargill – sono attivi da più di dieci anni sulla scena elettronica a cavallo tra il pop e lo sperimentale, con una ricerca sonora personalissima. Sin dalle origini, il loro sound affonda le radici nella musica americana degli anni Sessanta, mescolando l'elemento psichedelico a loop e


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contaminazioni sonore 65 Ravenna Festival Magazine 2010

La collaborazione con Bronson Produzioni porta alla Rocca Brancaleone la rassegna “Weird Tales” campionamenti che ne dilatano ed evidenziano la natura. Alla Rocca il gruppo presenterà parte del loro repertorio e il nuovo lavoro, Broadcast and The Focus Group Investigate Witch Cults of the Radio Age, un mini album realizzato con il Focus Group (ossia Julien House, loro amico di lunga data) uscito alla fine del 2009, e che la rivista The Wire (la “Bibbia del rock”) ha nominato miglior Lp dell’anno. Il disco unisce le atmosfere dei precedenti album dei Broadcast con il loro interesse per le

colonne sonore dei film anni Settanta e i brani contenuti nelle “music library”, cioè quelle canzoni non protette da diritti d’autore che possono essere utilizzati nelle trasmissioni televisive e radiofoniche. Recentemente protagonisti di uno show strepitoso al festival inglese

Atp, i Broadcast dal vivo sono un’esperienza unica. Imperdibile appare anche la data del 30 giugno, quando sul palco salirà Fernando Corona, in arte Murcof, insieme al collettivo di arti visive Anti Vj. Murcof è uno dei più innovativi e affermati esponenti della scena elettronica mondiale,

nonché tra i maggiormente originali. Ispirato da autori classici, in particolare Bach, e contemporanei, come Henryk Gorecki e Arvo Pärt, Murcof ha tentato con successo la strada di una difficile e felice sintesi tra i ritmi digitali della techno minimale e i suoni dell’esecuzione orchestrale, campionati e ricontestualizzati attraverso l’uso di macchine e software. Nella sua musica predomina la componente astratta, solcata da rumori di fondo ed echi indistinti, e anche l’uso dei silenzi diventa parte integrante della creazione. Diverse, infine, le atmosfere dell’ultimo appuntamento, il 9 luglio, con i bolognesi Massimo Volume impegnati nel creare dal vivo una colonna sonora “possibile” del film muto La caduta della casa degli Usher, film del 1928 con la regia di Jean Epstein. Tra immagini fantastiche e horror (al film collaborò il futuro maestro del cinema surrealista, Luis Buñuel) i suoni dei Massimo Volume disegnano gli scenari futuri di una realtà trasfigurata dai sogni. H

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66 contaminazioni sonore Ravenna Festival Magazine 2010

Dall’Austria Fennesz, il rito della creazione e tutti i colori della musica DI

ALESSANDRO FOGLI

L’austriaco Christian Fennesz è senza dubbio fra i più ironici e complessi autori della nuova generazione di compositori elettronici. Con un passato da chitarrista punk, Fennesz (come è semplicemente conosciuto) ha saputo unire il suono acido e distorto della chitarra elettrica con i glitch e i rumori generati dal suo laptop, con una cura maniacale per dettagli e prospettive, in chiave elegante e potente, ma sempre sensibilmente al confine tra sperimentazione e ammiccamenti elettrici. E l’interazione con il

video-artista tedesco Lillevan sarà la chiave di volta del concerto di Ravenna Festival di mercoledì 23 giugno (alla Rocca Brancaleone), un’unione di immagini in movimento all’emergere delle note, secondo quella contaminazione tra linguaggi che sempre più si pone come direzione imprescindibile delle avanguardie elettroniche mondiali. Fennesz, può spiegarci come è nata la collaborazione con Lillevan? E come la descriverebbe? «È da dieci anni che, a fasi alterne, in qualche modo lavoriamo insieme, ma da >>


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Andrea Manetti del Fandango (il secondo da destra) scherza con alcuni amici scrittori: l'italiano Pino Cacucci e i sudamericani Santiago Gamboa e Luis Sepulveda

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68 contaminazioni sonore

Diario Editoriale 2010

Ravenna Festival Magazine 2010

sette anni di

collaborazione con

al servizio della

cultura e della città di

Ravenna Appuntamento al

2011 con una nuova

edizione anche nazionale

>> quando lui ha lasciato il progetto “Rechenzentrum” è per forza di cose diventato più disponibile e abbiamo cominciato ad unire i nostri sforzi in modo più continuativo. Penso che sia uno dei più interessanti ed esperti visual artist che lavorano in ambito musicale. È in grado di ricreare in immagini le atmosfere della mia musica in modo grandioso». Per quanto riguarda proprio la sua musica, dal vivo i pezzi sono proposti in maniera molto diversa da quelli sui dischi. È un modo per dare qualcosa di unico al pubblico? «Cerco di intraprendere un approccio diverso ogni volta che suono. È molto importante per me. Non voglio riprodurre in maniera troppo fedele quello che ho già fatto sul disco, con la musica elettronica sarebbe

veramente noioso, e non sarebbe una sfida, perché troppo facile. Cerco allora di creare qualcosa di veramente speciale, quasi come un re-mix, un tentativo di ricreare i pezzi in modo nuovo». Quando sente l’ispirazione per un disco nuovo è perché ha qualcosa dentro di lei, un sentimento da esprimere, o più per provare nuovi suoni? Ossia, è più forte la sua espressione interiore o la ricerca di novità a livello sonoro? «Entrambe le ispirazioni vanno sicuramente insieme. Mi chiedono sempre perché ho bisogno di così tanto tempo per fare un disco nuovo: oltre al fatto che lavoro a tante cose contemporaneamente, il motivo per cui mi occorre parecchio tempo è perché il mio disco è una missione a cui tengo tantissimo. Devo comunicare qualcosa. Nel


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contaminazioni sonore 69 Ravenna Festival Magazine 2010

Non è una novità per me suonare in un festival di musica classica: ho lavorato con orchestre sinfoniche e da camera così come con artisti rock e nel campo della sperimentazione. Mi piace sentirmi “nel mezzo” mondo viene prodotta tantissima musica, ma molta di questa è fine a sè stessa, non dice nulla. Io invece sono convinto che occorra “dire” qualcosa, e se non mi sento di dire qualcosa, non faccio musica. È molto facile come concetto. È semplice. Quando sento che ho una “dichiarazione” pronta è anche totalmente connessa a nuove forme di espressione che ho trovato, nuovi suoni». Il fatto che sia stato invitato a suonare in una grande kermesse

orientata più verso la musica classica come il Ravenna Festival è secondo lei un segno che qualcosa sta cambiando per la musica elettronicosperimentale? «Nel mio caso a dire il vero non è una novità, ho suonato in un contesto del genere abbastanza spesso e lavoro con orchestre sinfoniche e da camera bene quanto mi riesce con musicisti elettronici, del campo dell’improvvisazione o del rock. Mi sono sentito più volte come “in mezzo” e questo mi è sempre piaciuto. In generale, invece, credo si possa dire che stiamo assistendo sempre più spesso a scambi tra generi diveri e questa non può che essere un’ottima cosa». >>

Appuntamento al

2011 con una nuova

edizione anche nazionale


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70 contaminazioni sonore Ravenna Festival Magazine 2010

>> Ho letto in un’intervista che è d’accordo con John Cage quando dice che non si può descrivere la musica, perché sarebbe come “ballare di architettura”. «Sì, adoro quell’espressione!» Quindi come ci si potrebbe fare un’idea della sua musica? «Beh, non lo so. Ti faccio un esempio: quando parlo con i registi dei film con cui ho lavorato per la colonna sonora, hanno tutti un modo molto diverso di esprimere quello che vogliono. Io confronto sempre la mia musica ai colori e così loro

capiscono. Quindi dico: “faccio qualcosa che è più marrone”, e loro ci arrivano! Forse attraverso i colori possiamo confrontare la musica qualche volta con la fotografia, i dipinti; forse il cromatismo potrebbe essere un legame». Lei fa parte di quella che potremmo definire la scena d’avanguardia, sperimentale. È una scena che cresce? «Mi sembra che la scena d’avanguardia cambi molto da Paese a Paese. Sto viaggiando molto, vado in tantissimi luoghi

diversi e ho l’impressione che in ogni posto sia diverso. Quando vado in Giappone potrei dire che la scena sperimentale sia colossale; là è musica conosciuta, mainstream, magari non popolare, ma molto più pop che in Europa, perché per loro è

solo di elettronica. Se dovessi farti qualche nome potrei dire Brian Eno, Sonic Youth, Stockhausen, Miles Davis». Ci sono state tantissime collaborazioni con i tuoi colleghi, ma una in particolare, quella con Ryuichi Sakamoto per

una cosa diversa. Però è vero che i suoni su cui lavoriamo da anni ormai sono stati accettati dal pubblico. Dieci anni fa era una cosa molto, molto speciale, avevi magari venti persone che si presentavano ai tuoi show. Nessuno la ascoltava, musica del genere, era così, una cosa strana. Adesso è molto più accettata». Nella sua musica è quasi impossibile individuare un’influenza, ma io credo che ci siano tracce del tuo passato. Ce n’è una in particolare? «Non una in particolare, ma dopo essere cresciuto con la musica rock degli anni Sessanta e Settanta, e aver suonato in un gruppo punk, qualcosa da lì è per forza venuto. Non ci sono solo influenze da musica elettronica, ma anche dal rock. Voglio dire che sicuramente non ho retaggi

una canzone, è rimasta molto impressa a tutti. Come è successo? Lo ha cercato lei o ha chiesto lui di far parte del suo progetto? «È andata così: quando ho iniziato a lavorare all’album Venice ero già da tanti anni un grandissimo fan di Sakamoto e ho cercato di convincerlo a fare una canzone con me. Poi è successo che io e David Sylvian abbiamo collaborato ai reciproci dischi, e così lui, che aveva già lavorato con Sakamoto, me l’ha presentato. Un giorno Sakamoto mi ha chiamato mentre ero in tour a New York e mi ha chiesto di andare da lui, a parlare, prenderci un caffè. Quindi non ho potuto fare altro che andare a casa sua, abbiamo improvvisato una jam session, ed è nata la collaborazione». H

Gli album di Fennesz, dall’esordio del ‘97 a Black sea L’austriaco Christian Fennesz con il suo album di esordio nel 1997 per la label Mego, Hotel Paral.lel, ha indicato il sentiero della musica glitch elettronica dell’ultimo decennio; percorso proseguito con i successivi Plus forty seven degrees 56’ 37” minus sixteen degrees 51’ 08” (Touch Records) e Field Recordings 1995:2002, senza dimenticare i lavori a sei mani, insieme ai compagni Jim O’ Rourke e Peter Rehberg, ancora per la Mego, di Magic Sound of Fenn O’ Berg e The Return of Fenn O’Berg. L’album considerato il suo capolavoro è però Endless Summer, del 2001, profonda riflessione in suoni sulla genuina e tramontata freschezza dei Beach Boys. Il sound di Fennesz è considerato il più visivo dell’elettronica contemporanea, quasi pittorico: così in Endless Summer la solare California sembra vista con gli occhi di un alieno, mentre nel successivo Venice (del 2004, album registrato in parte proprio a Venezia e che al Teatro Fondamenta Nuove ha avuto il suo debutto) il riverbero di canali e maestosi edifici riluce di grazia spaziale. La carriera del compositore austriaco prosegue con una collaborazione con mostri sacri come David Sylvian e Ryuichi Sakamoto (con quest’ultimo per l’album Cendre, del 2007) fino ad arrivare all’ultimo album, Black Sea (2008) , raccolta di musica atmosferica.


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I tanti volti della musica nera, dalle melodie dell’Africa al funky di James Brown DI

ALESSANDRO FOGLI

Sarà l’antica darsena di Cervia a fare da palcoscenico alle due serate di “Black is beautiful”, dedicate evidentemente alla musica nera. Si inizia il 2 luglio con la maliana Rokia Traoré, considerata unanimemente una delle stelle più fulgide del panorama africano. Cantautrice e chitarrista, la Traoré appartiene all'etnia dei Bamana, o Bambara, popolo di guerrieri, e data la professione del padre (diplomatico) è costretta a viaggiare molto durante la sua infanzia tra Africa, Arabia Saudita ed Europa, raccogliendo in questi paesi tante influenze che ha poi convogliato nella sua

produzione musicale. L’anno più importante per la sua crescita artistica è sicuramente il 1997, quando comincia a lavorare con Ali Farka Touré, vince il Radio France Internationale Prize e pubblica il suo primo album, Mouneïssa. Il disco è esemplificativo dello stile poi a venire di Rokia Traoré, mescolando sapientemente la musica tradizionale del paese d’origine con influssi musicali più moderni, che vanno dal pop internazionale al jazz. Ma anche l’amore per la tradizione della sua terra è testimoniato dall’uso di strumenti tipici del Mali. L'ultimo album della Traoré è Tchamatche, altra poetica e armoniosa

In alto Maceo Parker e, qui sopra, Rokia Traoré espressione della tradizione musicale africana da cui questa cantautrice proviene, e che ancora una volta incontra altri ritmi come il rock, il jazz e il blues.

Non occorrono invece molte parole per descrivere la serata del 3 luglio, fin dal titolo – A Funky Celebration – un evidente omaggio alla grande tradizione della musica “funky” e a James Brown, scomparso pochi anni or sono. Protagonisti, Maceo Parker e Fred Wesley, ossia due tra i più importanti musicisti che hanno militato nella storica band di James Brown, contribuendo in prima persona (è lo stesso Parker a essere accreditato come inventore del funky e diretto ispiratore dello stesso Brown) alla definizione e all’affermazione planetaria di questo stile, caratterizzato da riff ossessivi e da un ritmo incalzante.Entrambi i musicisti si presentano con le formazioni al completo. H


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Il leggendario Trio Standards con i “telepatici” Jarrett, Peacock e Dejohnette DI

ALESSANDRO FOGLI

Quando, nel 1983, nasceva il cosiddetto Trio Standards – ovvero l’incontro di Keith Jarrett con il contrabbassista Gary Peacock (un vero e proprio monumento, coinvolto in mille avventure del jazz più creativo e meno conservatore, da Bill Evans a Don Cherry, da Steve Lacy a Paul Bley) e il batterista Jack DeJohnette – le velleità sottese al progetto non erano maggiori di quelle che tre mostri sacri del jazz si aspettassero da una delle tante collaborazioni che molto spesso, nel loro ambito, venivano messe in atto. Molto semplicemente in quell’anno Jarrett propose a Peacock e a De Johnette (con i quali aveva collaborato nel 1977 allo splendido Tales of another) di registrare un album di standard jazz, intitolato semplicemente Standards, Vol. 1, al quale però fanno immediatamente seguito Standards, Vol. 2 e Changes (in cui compaiono invece composizioni originali), registrati nella medesima sessione (e tutti finiti su Ecm). Quello che, forse, il pianista e i suoi due soci in quest’avventura non si aspettavano – almeno in quei termini – fu il successo incredibile di questi album e quello, conseguente, del tour del gruppo. A quel punto, dopo poco più di dodici mesi dalla sua nascita, questo nuovo Standards Trio viene già consacrato nel novero delle formazioni jazz storiche. E in effetti il trio è un piccolo miracolo di equilibrio e creatività, di ispirazione, di intesa e di perfezione formale, il vero grande erede del Trio Bill Evans – ossia il trio pianistico per eccellenza – in grado di reinventare la maniera di interpretare gli standard, dando nuova linfa ai classici di sempre del songbook americano. Da allora il successo discografico e soprattutto dei concerti live dello “Standard Trio” lo hanno reso il più

conosciuto, prolifico e duraturo trio della storia del jazz, una formazione che ancora oggi continua a suonare e a registrare album e che ad ogni concerto riserva sorprese. Il trio Jarrett/Peacock/DeJohnette esegue e registra comunque anche musica originale: molti album contengono infatti sempre una track originale o due, quasi sempre improvvisazioni. E le registrazioni live Inside Out e Always Let Me Go, pubblicate nel 2001, testimoniano proprio l’interesse del trio verso la pura

improvvisazione libera. In buona sostanza, quella che ne risulta, nel corso di oltre venticinque anni, è una collezione di dischi superbi, la cui icona può essere il monumentale cofanetto di sei cd registrato nel 1994 al Blue Note, il tempio del jazz newyorkese. La comunicazione fra i tre artisti è praticamente telepatica e le improvvisazioni raggiungono una complessità tale che i tre strumenti si fondono in un’unica melodia. Naturalmente il Trio ha intrapreso diversi tour mondiali, sempre in sale da concerto, gli unici palchi, salvo sporadiche eccezioni, sui quali Jarrett, noto purista del

suono, intende esibirsi (e tra le eccezioni forse molti ricordano quella del 1996 al Ravenna Festival, quando il pianista si esibì nel giardino retrostante la Loggetta Lombardesca). Ascoltare insieme Jarrett, Peacock e DeJohnette significa assistere a una session musicale irripetibile, nel corso della quale i tre raggiungono un’intesa e una comunicazione unica, sia nel corso dell’interpretazione che nel momento dell’improvvisazione. L’ultimo disco del trio è Setting Standards: The New York Sessions, del 2008, edito ancora una volta dalla Ecm. H

Foto di Sven Theilmann e Rose Anne Colavito.


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Balcani e Puglia si incontrano sul palco grazie a musicisti “resistenti” DI LUCA

MANSERVISI

La suggestiva cornice di Palazzo San Giacomo, a Russi, ospiterà una sorta di ponte musicale tra i Balcani e l’Italia grazie a una serata – denominata esplicitamente “Tra sponde” e in programma il 12 giugno – nel corso della quale i macedoni della Kocani Orkestar incontreranno i pugliesi della Banda Municipale Balcanica. Una tra le più famose fanfare dell’est europeo, quindi, si unirà sul palco con la giovane, ma già affermata, banda nostrana,

per un progetto che si annuncia esplosivo in cui ogni ensemble arrangerà e interpreterà brani dell’altro. Parteciperà a quello che è già stato definito come una sorta di rito collettivo anche il grande sassofonista Roberto Ottaviano, al quale abbiamo rivolto qualche domanda. Ottaviano, ci può spiegare come è nato questo progetto? «Abbiamo suonato la prima volta tutti insieme lo scorso ottobre, anche se avevo già conosciuto la Kocani anni fa. L’idea è stata quella di coniugare il mio

Nelle serate del Festival, dal 7 Giugno al 13 Luglio, il ristorante rimarrà aperto fino all’’una di notte Ravenna, Via Antica Milizia, 50 - Tel. 0544.470444 - www.ristorantedribbling.it - chiuso il lunedì


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contaminazioni sonore 77 Ravenna Festival Magazine 2010

background di improvvisaotre jazz con le loro sonorità balcaniche, che per la loro forza potrebbero comunque richiamare le vecchie band arcaiche jazzistiche del New Orleans. La Banda Municipale ha invece il “compito” di trasferire in quei suoni un pizzico di modernità e trasgressione». Cosa l’ha sorpresa di più partecipando a questo insolito connubio? «Direi la loro grandissima resistenza. I membri delle due orchestre sono un tutt’uno con la

musica, non smettono mai: in albergo, in pullman, mentre si viaggia. Si esprimono sempre con la musica». E quali sono state invece le difficoltà? «La musica devo dire che è stata una “mediazione” molto utile, così come il fatto che anche loro si sono rivelati un po’ avventurieri come me. È stato importante poi il fatto che nella mia storia abbia

avuto la possibilità di collaborare con tanti musicisti provenienti da ogni parte del mondo, Asia e Africa in particolare, utilizzando linguaggi diversi fra loro. In questo caso la difficoltà è soprattutto legata all’idea ritmica che esprimono le due orchestre, molto composta e diversa da quella a cui sono sempre stato abituato».

Al sax, Roberto Ottaviano: «I nostri concerti come happening»

Che tipo di concerto sarà quello che proporrete al Ravenna Festival? «Difficile dirlo perché ogni volta è un po’ come se fosse un happening. All’interno della scaletta c’è sempre molto spazio per l’improvvisazione. Sicuramente proporremo comunque un paio di composizioni nuove a cui abbiamo lavorato. Entro l’anno, infatti, abbiamo intenzione di registrare qualcosa insieme che in parte sarà dal vivo e in parte lavorato in studio». H

RISTORANTE

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I demoni di Peter Stein dodici ore di sovversione, sentimento

e libertà DI LORENZO

DONATI

Giunge al Ravenna Festival l’atteso allestimento de I Demoni di Fëdor Dostoevskij con la regia Peter Stein, un’esperienza artistica di dodici ore consecutive e che non va assolutamente persa. Nell’opera di un maestro si leggono i tempi che l’hanno vista nascere, trasfigurati, raccontati, criticati. L’opera di un maestro è immersa negli anni in cui vive, conserva

memoria del passato e anticipa scenari del futuro, ma capita che non sia “contemporanea”, che non si adegui allo spirito imperante, e per questo venga messa in un angolo. Eppure è da questi angoli che possiamo provare a capire qualcosa del nostro presente. Stein è una delle figure che hanno rivoluzionato una certa idea di teatro del secondo Novecento. Per l’approccio filologico ai testi, per la consuetudine a viaggi

Peter Stein


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preparatori nei luoghi dell’autore prima di ogni messa in scena, per il radicale ripensamento dell’idea di spazio e tempo della rappresentazione. Fin qui alcuni dati della storia del teatro, che non bastano per dare conto della storia dell’artista. Una colletta a favore dei Vietcong chiudeva Discorso sul Vietnam nel 1968. Nove ore di durata abbracciavano coro e spettatori, tutti congiunti, in una rinnovata idea di democrazia proposta dall’Orestea nel 1980, a chiusura degli anni di piombo tedeschi. Oltre venti ore nel 2000 per Faust, trattato sui limiti dell’uomo un anno prima che con le torri crollasse la cieca fiducia nelle sorti progressive del mondo globale. Sono solo alcuni esempi di una

carriera lunghissima, che ha portato il regista tedesco a fondare e dirigere per dieci anni la Schaubühne di Berlino, circondandosi di attori come

Stein è una delle figure che hanno rivoluzionato una certa idea di teatro, per il radicale ripensamento dell’idea di spazio e tempo della rappresentazione Bruno Ganz e Edith Clever. De I Demoni che vedremo a Ravenna Festival si è già parlato molto. In programma nel 2009 allo Stabile di Torino, lo spettacolo venne “tagliato” per mancanza di fondi e cancellato dal cartellone. >>


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Lo spettacolo venne “tagliato” per mancanza di fondi e cancellato dal cartellone. Stein proseguì autonomamente la produzione invitando gli spettatori a una permanenza di dodici ore nella sua tenuta in Umbria >>Stein proseguì la produzione autonomamente, invitando gli spettatori a una permanenza di dodici ore nella sua tenuta in Umbria. Lo spettacolo è in programma il 26 e 27 giugno al Palazzetto dello Sport Angelo Costa, l’inizio è previsto alle 11 e la fine alle 23, comprese tre ore di pausa per pranzo, cena e cambi di scena. Il lavoro parla di sovversione, disincanto, libertà, religione, temi centrali nel romanzo di Dostoevskij, messo in scena quasi integralmente. Siamo al cospetto di un gruppo di giovani e meno giovani nella Russia zarista, diviso fra tensioni sovversive e pigri vuoti dell’anima. L’allestimento è minimale, con pochissimi oggetti scenici, e

una recitazione veloce mira ad avvicinare le biografie dei personaggi alla sensibilità di chi guarda. Stein afferma di avere optato per un registro recitativo “russo”, in cui si punta dritti al nocciolo emotivo del sentimento, e di avere tradotto la semplicità registica in secca visione spaziale. Fra i nomi di punta della scena europea, il settantatreenne di Berlino resta uno dei pochi “persuasi” del valore di conoscenza del teatro, e I Demoni testimonia di un tentativo di condivisione e divulgazione oggi sempre più raro. H La foto di questa pagina è di Tommaso La Pera, le foto nelle pagine precedenti, sempre relative allo spettacolo I demoni, sono di Andrea Boccalini


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Rileggere Schwab per raccontare la ferocia DI LORENZO

DONATI

Maurizio Lupinelli è un attore, e di attori a ben vedere non è pieno il teatro. Il cosiddetto “teatro di prosa” è infatti abitato da interpreti, persone che si limitano a timbrare un cartellino. Nel teatro di sperimentazione le cose si fanno più complesse, ma restano comunque in pochi a porsi domande d’attore. Per chi sta in scena la questione è diventata la disperante ricerca di verità: in un mondo in cui tutto è rappresentato, e in cui tutti siamo spettatori di tutto, come provare a essere “veri”, “plausibili”? Membro del Teatro delle Albe dagli anni ’90, “Lupo” intraprende un percorso personale e nel 2006 fonda Nerval Teatro. La “ricerca” dovrebbe essere un viaggio verso ciò che non si conosce, per mettere in discussione le tante etichette normalizzanti del nostro presente. Così è stato per Marat, allestito a Castiglioncello nel 2007 con un gruppo di attori disabili, ma anche per gli affondi drammaturgici su Antonio Moresco, come in Fuoco Nero, lavoro sull’orlo di una deflagrazione, quella della rappresentazione teatrale e dei suoi canoni. Al Ravenna Festival Lupinelli presenta il progetto Schwab, che nello spettacolo Appassionatamente incrocia le biografie degli attori con la vita del drammaturgo austriaco morto nel 1994 a 35 anni per overdose alcolica. Oltre a tre attori disabili, in scena Elisa Pol, Michele Bandini e lo stesso Lupinelli dialogano con Schwab, che registra la fine delle apparenze borghesi, mostra con disincanto e senza alcuno sconto “a che punto siamo della notte”. Eravamo negli anni ’90, il no future di ascendenza punk si era

realizzato da tempo, e irrimediabilmente ogni sua drammaturgia ne prendeva atto (Drammi Fecali è la raccolta di tre testi pubblicata da Ubulibri, unica traduzione di un corpus più ampio, della quale ricordiamo almeno Sterminio messo in scena dalle Albe nel 2006). «Durante le prime fasi del lavoro – racconta Lupinelli – ci siamo chiesti cosa fosse per ognuno di noi la ferocia, nel senso più banale del termine, cosa volesse dire essere cattivi o al contrario ricevere benessere. Poi ci siamo spostati sui temi indagati dai testi di Schwab: la famiglia, la politica, la chiesa, l’ossessione del potere, il cibo. Gli attori disabili presentano microstorie legate al loro quotidiano, che raccontano il modo in cui la banalità diventa ferocia, in uno spazio scenico oscuro, una “scatola nera” in cui si alternano frammenti veritieri, parole secche, piccolezze che colpiscono alla pancia». La regia è dello stesso Lupinelli, che firma anche la scrittura drammaturgica insieme a Eugenio Sideri. H

Maurizio Lupinelli, detto “Lupo”

FOTOR INGIOVANI MENTO CO N L U CE PU L S A T A E R A D I OF R E Q UE N Z A

C AV ITAZIONE L A L I PO S U ZI O N E N O N IN V A S I V A

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84 prosa Ravenna Festival Magazine 2010

Un trittico delle Albe, un contagio nel limbo tra infanzia ed età adulta DI LORENZO

DONATI

Del Teatro delle Albe stupisce l’incessante costruzione di comunità. Nel mondo di oggi, globale solo per merci e finanza, fondare cellule comunitarie significa costruire un linguaggio, e condividerlo con più persone possibile. Non si spiegherebbe altrimenti il “contagio” in atto da decenni, partito dalle sponde “africane” delle nostre spiagge, quando arrivarono i primi “vu’ cumprà”, e passato per tante

quando il cuore pulsa di propositi, di amori, di fratture. Si chiede al teatro un po’ di verità, e una tagliente e stupita visione. Da mesi Alessandro Renda e Marco Martinelli si sono divisi fra Ravenna e la Sicilia, progettando un trittico curato anche da Ermanna Montanari e sollecitato da Ravenna Festival. Con oltre cinquanta adolescenti siciliani e tunisini hanno condotto un laboratorio partendo da I Satiri alla caccia di Sofocle, che vedremo il 7 giugno alle 21.30

Nel mondo di oggi, globale solo per merci e finanza, fondare cellule comunitarie significa costruire un linguaggio e condividerlo con più persone possibile latitudini adolescenziali, da Chicago a Scampia. Di adolescenza si tratta in tutti questi casi e anche a Mazara del Vallo, di viaggi per mettere in crisi le proprie certezze sul mondo e sull’arte, per fare in modo che l’arte torni a parlare ai nostri anni. Spesso le Albe hanno tentato l’impresa abitando quel limbo fra l’infanzia e l’età adulta, quando tutto è ancora di là da venire,

alla Rocca Brancaleone col titolo Cercatori di Tracce. Le creature spaccone del teatro greco classico vivono nei corpi dei ragazzi di oggi, in cerca dell’ebbrezza di Dioniso e del lato “visionario” della vita quotidiana, che i grigi cieli dell’occidente organizzato scacciano senza indugio. Le Albe vanno in cerca dell’altro facendo salire sul palco tutto ciò che sta “fuori”, per allargare la cerchia di persone disposte a ritenere “vero” qualcosa. Qui siamo di fronte al canale di Sicilia, tragico limbo che sospende tanti aneliti a una vita migliore. Sono stati mesi di interviste, questi delle Albe, soprattutto a pescatori, a militari, immigrati. Storie da cui alimentarsi per provare a essere presenti al proprio tempo, e per scrivere il

monologo Rumore di Acque (10 e 11 luglio al Rasi), una drammaturgia originale di Martinelli. In scena c'è Alessandro Renda, uno strano guardiano che

accoglie le anime di chi si è preso il mare e ne racconta frammenti biografici, scavando nel lato oscuro dell’umana pietà. Le musiche del lavoro, come in Cercatori di Tracce, saranno >>


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>> eseguite dal vivo dai Fratelli Mancuso, straordinari interpreti della tradizione musicale isolana. Infine, come un punto di arrivo e di congiunzione, a gennaio 2011 è prevista l’uscita di Satiri Danzanti, documentario firmato

vederla bisogna girargli intorno, ed è come se il Satiro iniziasse a muoversi» ci racconta Alessandro Renda). Un satiro che danza sulle immemori tragedie dell’uomo, che balla come i tarantolati protetti da San Vito, “malati” perché fra sé e il mondo

Chiunque arrivi a Mazara sa che prima o poi dovrà andare a far visita al Satiro danzante. Bisogna girargli intorno ed è come se la statua iniziasse a muoversi

Vincenzo D’Anetra - GIOIELLI -

dallo stesso Renda, in cui Mazara diviene l’occasione per sondare i millenari rapporti fra le due coste, dalla merci all’arte, per allargarsi a tutti i “muri” che separano l’uomo. Navigando, le Albe hanno incontrato Capitan Ciccio, un pescatore semianalfabeta che segue le leggi del mare. Hanno insieme parlato del Satiro Danzante, magnificente scultura di bronzo ritrovata dal suo peschereccio sui fondali e ora esposta nel museo della città. Una statua che volteggia pur stando ferma, senza braccia ma con occhi che sfuggono e vorticano («Chiunque giunge a Mazara ne avverte la presenza, e sa che prima o poi dovrà recarsi a fargli visita. Per

avvertono una ferita, che sanguina e produce visioni. Quelle delle Albe, quelle del mondo. H

Nelle sequenze, lo spettacolo Cercatori di Tracce. In alto a destra, il satiro danzante di Mazara del Vallo. Nella foto in basso a sinistra, nella pagina precedente, Marco Martinelli

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Giovedì 24

22.00 Concerto Musica e Danze dai Balcani

Venerdì 25

21.00 Concerto Mente Clandestina 21.30 Concerto C.N.E. 22.00 Concerto Lato Oscuro della Costa + Lord Assen

Sabato 26

22.00 Concerto di Pizzica Danze del Sud, Paranza, Ammiscata

Domenica 27

22.15 Concerto Reggae Narconauti

Tutte le sere in modo itinerante per Lido Adriano, spettacoli di Musica, Danza, Teatro a partire dalle ore 18.00 fino alla conclusione della serata nel palco centrale alle ore 22.00 Viale Virgilio, Viale Petrarca, Viale Tasso, Viale Alfieri, Viale Puccini, Spiaggia Libera, Centro Commerciale Leonardo, Centro Commerciale Augusta MOSTRA DI PITTURA • CORTOMETRAGGI • TEATRO • AVANSPETTACOLO • DANZA • DJ • BALLBREAKERS • CONCERTI


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Caravaggio e la luce in un mondo sul crinale dell’oscurità DI

SERENA SIMONI

Nel 1610, il 18 luglio, muore nell’ospedale di Santa Maria Ausiliatrice di Porto Ercole, sulla costa grossetana, Michel Angelo Merisi da Caravaggio, abbattuto da una malattia che pone fine alla vita di uno dei pittori più famosi al mondo. Inquieto, turbolento, poco incline a sottostare a regole, condusse una vita fra la gloria e il fango: basta il racconto della sua vita – fra scommesse di gioco, partite di pallacorda e scontri di armi, denunce e incarcerazioni, ferimenti, evasioni, fughe, botte e un omicidio – per riconfermare quell’unione consolidata nel tempo fra genio e inquietudine. Nonostante gli storici dell’arte si affannino a dimostrare come il Caravaggio provenisse da una facoltosa famiglia lombarda al servizio degli Sforza e dei Colonna, che non ci siano prove a dimostrazione della sua omosessualità e che il furore e l’esperienza delle armi fossero caratteristiche consuete degli uomini di quei tempi, a cui non si sottrassero nemmeno gli artisti, è in buona parte su tutto ciò che si nutre la sua fama di artista maledetto, ancora lontana dal tramonto. Lo confermano le file lunghissime di persone che si formano ogni giorno davanti alle Scuderie del Quirinale di Roma, in un’attesa di ore per poter vedere la bella mostra a lui dedicata nel centenario della morte, basata su una quantità limitata di dipinti autografi e provenienti da collezioni di tutto il mondo. Maledetto o no, è certo che il fascino del suo lavoro sta meno nella sua biografia, quanto più nella sua ricerca inedita,


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Caravaggio aveva sempre privilegiato una parola di Dio rivolta alla gente umile e ai poveri, protagonisti principali dei suoi dipinti religiosi, secondo la visione pauperistica degli Oratoriani

Nella pagina accanto: La flagellazione, 1607, Napoli, Museo di Capodimonte. In questa pagina: in alto, Cattura di Cristo nell’orto, 1602. Dublino, National Gallery (1599-1600). Sotto, La conversione di Saulo, 1600-1601, Roma, collezione privata condotta fra un realismo apicale e un dosaggio sapientemente drammatico di contrasti di luce e ombra, che creò una maniera e seguaci in tutta Europa per una stagione temporalmente breve. Al suo linguaggio fu poi preferito il classicismo dei pittori bolognesi e poco più tardi gli artifici del Barocco, che meglio rispondevano al trionfalismo della Chiesa del ’600. Il suo realismo troppo ardito nel tratteggiare santi indecorosamente sporchi o manifestatamente illetterati, e Madonne scomposte nella morte e dal ventre gonfio, posizionavano il sacro in un hic et nunc pericolosamente troppo vicino alla terra. Secondo la versione più ortodossa, i poveri dovevano essere educati al verbo e sentirsi coinvolti nelle scene sacre, provare compassione ma in una distanza tale da non permettere alcuna identificazione dissacrante: Caravaggio invece aveva sempre privilegiato una parola di Dio rivolta alla gente umile e ai poveri, che si rivelavano i protagonisti principali dei suoi dipinti religiosi. La sua interpretazione pauperistica della Chiesa era la medesima appoggiata dall’ordine degli Oratoriani – i Filippini – e dal cardinale Federico Borromeo, entrambi committenti e fedeli ammiratori dell’artista. É sulla base quindi di una profonda conoscenza del testo sacro e di una partecipazione non superficiale alle spinte più radicali interne alla Chiesa che

va letto il realismo radicale di Caravaggio, così come la lettura drammatica dei contrasti chiaroscurali presenti nei dipinti della maturità. La luce è sinonimo della Grazia divina, così come all’opposto le tenebre rappresentano una vita deprivata spiritualmente, secondo un’opposizione individuata già dal neoplatonismo storico,

ripreso in una lettura cristiana dal fiorentino Marsilio Ficino, verso la fine del ’400. Era stato il medico e filosofo fiorentino dei Medici a riprendere il binomio oppositivo fra materia e spirito, da cui conseguiva una lotta estenuante fra il corpo – prigione dell’anima – e la parte più divina di ciascun essere umano. >>


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La luce divina diventa il tema dei dipinti maturi di Caravaggio: sempre proveniente da fonti esterne alle tele se non dalle figure sacre, è talmente intensa da rafforzare un senso teatrale alla rappresentazione >> Ficino aveva scritto su come operare un controllo rigoroso del corpo e delle sue funzioni proprio al fine di non lasciarlo in balia dei suoi istinti naturali, inclini a tornare a quella materia cieca da cui provengono. Le sue intuizioni si erano talmente divulgate da essere tradotte e arricchite da altri intellettuali, italiani e stranieri, ed erano trapassate nei cenacoli di una committenza internazionale raffinata: gli artisti più còlti, quali Botticelli e Tiziano, ne avevano descritto con successo gli esiti di pensiero in dipinti famosi. Michelangelo stesso aveva inscritto quella lotta fra spirito e materia, luce e

tenebra, nei suoi ignudi della Sistina e nella serie delle sculture dei prigioni, bozzoli spirituali che a stento faticano a uscire dal non-finito della materia. Il secolo successivo – quello del Merisi – non aveva smesso di riflettere sull’argomento in tutta Europa: l’esemplare Vocazione di Matteo, eseguita per la cappella Contarelli di San Luigi dei Francesi – chiesa simbolo della nazione a Roma –, allude alla discesa della Grazia sul futuro apostolo ma anche alla contemporanea conversione al cattolicesimo di Enrico IV. L’apostolo e il re francese per libero arbitrio – proprio uno dei principali temi dell’insanabile

Vocazione di San Matteo (1599-1600) Roma, Chiesa di San Luigi de' Francesi disputa fra protestanti e cattolici – scelgono la luce e la via della salvezza della vera fede. Caravaggio decide di sostanziare la conversione in un abbagliante fascio di luce che nasce da una finestra alle spalle di Cristo, in linea convergente al suo braccio teso alla chiamata: egli è il mezzo mandato dal Padre per la salvezza degli uomini. La luce diventa quindi il tema di

questo e dei dipinti maturi di Caravaggio: sempre proveniente da fonti esterne alle tele se non dalle figure sacre in esse raffigurate, è talmente intensa da rafforzare un senso teatrale alla rappresentazione, quasi a sottolineare la potenza dell’exemplum che le immagini dovevano possedere secondo i dettami tridentini. Il teatro possedeva e possiede

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infatti quella doppia valenza di realtà e di finzione, per cui lo spettatore può alternare immedesimazione e distanza, secondo un espediente probabilmente troppo sofisticato per essere accettato da tutta la committenza dell’artista. Come la metafora della luce ricorre nelle parole del Vangelo di Giovanni, così al suo opposto sono presenti le tenebre: nel testo più spirituale del Nuovo Testamento, Cristo è Luce, che «risplende fra le tenebre, ma le tenebre non l’hanno ricevuta». Così nei dipinti di Caravaggio sono spesso presenti visi in penombra o nella quasi totale oscurità, come di colui che camminando nelle tenebre «non sa dove andare» e non «avrà la luce della vita». Le opere mature di Caravaggio in mostra a Roma manifestano la presenza costante delle ombre spirituali, le stesse che tagliano i volti dei carnefici nella Flagellazione di Napoli, che smangiano i contorni dei visi dei curiosi nella Cattura di Cristo di Dublino. Al contrario, la luce della Conversione di Saulo è

talmente potente da accecare l’apostolo a terra, arso da un fascio luminoso che proviene da Cristo, senza che Egli ne sia la fonte visibile. Il testo di Giovanni è quindi una guida per comprendere questa lotta eterna fra il bene e il male, di cui Caravaggio è testimone. Per la sua stessa vita di peccatore, omicida e fuggiasco, l’artista comprende negli anni la complessità di uno scontro mai finito, che giustifica il popolo dei suoi personaggi minori – servi, vecchie, carcerati, aguzzini, astanti e comparse – investiti da tagli di luci ambigue e toccati da una Grazia che costantemente perdona ed è a disposizione di un mondo sul crinale dell’oscurità. H

Ritratto di Caravaggio eseguito a memoria da Ottavio Leoni nel 1621 Firenze, Biblioteca Marucelliana


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Una tragedia in scena dove si coltivava

l’esercizio del tiro DI

PAOLO BOLZANI

II Festival conquista a ogni edizioni nuovi suggestivi, inaspettati scorci di città. In questo 2010, a sorprenderci sarà uno spettacolo, produzione originale del Festival, che andrà in scena nello storico Tiro a segno, in zona Darsena. Come riporta Lorenzo Miserocchi nel suo Ravenna e Ravennati nel Secolo XIX, pubblicato in città nel 1927, con una serie di Decreti Reali del 1861 venivano istituiti «i tiri a segno provinciali, comunali e mandamentali» e veniva «regolata la costituzione delle società pel tiro, e fu stabilito che queste diverse società avessero una direzione unica data da persone perite in questi esercizi, ed informate a sentimenti patriottici e di devozione al Re». La prima conseguenza a Ravenna dell’emanazione di questi decreti avviene il 28 aprile 1862 con la costituzione dalla Società pel tiro a bersaglio, fondata e

promossa dai conti Giovanni Ghirardini e Francesco Corradini, dall’ingegnere Luigi Guaccimanni e da Francesco Cagnoni. Lo Statuto della Società viene approvato dall’Assemblea Generale dei soci il 18 febbraio 1866 e vi si sottoscrive l’obbligo di mantenere il funzionamento di un Poligono di tiro per le truppe del presidio di Ravenna, situato nella Pinarella, vale a dire la pineta che circa fino agli anni Cinquanta del secolo scorso si distendeva a nord del Cimitero >>

Nella storica struttura di via d’Alaggio andrà in scena una produzione originale del Ravenna Festival con Chiara Muti e Giovanni Sollima, basata su un terribile fatto di cronaca: la strage nel teatro di Dubrovka


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>> Municipale, tra il fosso Fagiolo e lo scolo Fiumetto e che quindi ora risulta quasi completamente sostituita dalla cittadella dell’Anic e dalle altre fabbriche ad ovest della via Baiona. In seguito venne promulgata la legge 2 luglio 1882, n. 883, che istituiva nel Regno il Tiro a Segno Nazionale con la finalità di «curare l’istruzione nell’impiego delle armi e di coltivare l’esercizio del tiro» e definiva scopi, norme e modalità del funzionamento del Poligono. A questa data fa riferimento Gaetano Savini, allorché segnala la presenza del «Tiro a segno» con affaccio sul Candiano, lungo la via d’Alaggio. Siamo allora nel 1908 e Savini scrive nel VI volume

della sue Piante Panoramiche, mostrando inoltre anche una foto dei due principali fabbricati rivolti al Candiano, dei quali oggi rimane soltanto quello orientale, posto a sinistra di chi entra nel Poligono e non privo di un certo fascino quasi modernista, con le lunghe cornici a sagomare le finestre e il cornicione di coronamento dentellato. In realtà, come ben spiegava Miserocchi nel 1927, questo campo di tiro a segno di via d’Alaggio risale soltanto al 1895, e fu il primo esclusivo di una «Società Mandamentale di Tiro a Segno», costituitasi nel febbraio 1888 come effetto della Legge del 1882, e che il 23 marzo 1890 inaugurava il Poligono della Pinarella.

Oggi, dei due principali fabbricati originari, resta solo quello orientale posto a sinistra di chi entra nel Poligono e non privo di un certo fascino modernista con le lunghe cornici a sagomare le finestre e il cornicione di coronamento dentellato

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Noi desideriamo morire più di quanto voi desideriate vivere Pubblichiamo di seguito un’autopresentazione dello spettacolo Cardo Rosso che andrà in scena al Tiro a segnoa firma di Maddalena Mazzocut-Mis, Chiara Muti, Giovanni Sollima. «La tragedia, che nasce da un’idea di Cristina Mazzavillani Muti, è ispirata ai fatti avvenuti nel teatro Dubrovka quando, il 23 ottobre 2002, un gruppo di ceceni sequestra spettatori, attori e musicisti durante la rappresentazione del musical Nord-Ost. La trasposizione teatrale tradisce la consequenzialità degli eventi, mantenendo l’ambientazione, l’esasperazione viscerale creata dalla situazione di stallo tensivo e di costrizione forzata. L’incursione avviene all’inizio del secondo atto. il tema della “festa interrotta”, che ritorna a ogni ripresa della canzone Cardo rosso, è utilizzato per esasperare la tragedia e mai edulcorarla. La sequenza temporale così come la musica si adattano ai ritmi, ai tempi e agli spazi del ricordo, attraverso la voce della donna cecena; la ricostruzione degli eventi e del “qui e ora” è lasciata alle parole e ai pensieri della donna russa; la stridente realtà umana di un militare russo è demandata agli sms; infine il coro si appropria della poesia tragica che è commento. Cardo rosso non è un testo politico. si raccontano fatti per decifrare fatti: vittima e carnefice sfumano, si confondono eppure riemergono nei racconti e nel “qui e ora” del dramma. Non si ha paura di morire solo nella disperazione, quando la propria individualità non conta più nulla e la vita è solo l’ultima carta da giocare. L’insensibilità è il frutto del dolore e l’agire è nient’altro che vendetta. Nessuna pietà dove non c’è perdono; nessun perdono dove non c’è comprensione. La donna cecena (B) e la donna russa (A) non hanno volutamente un nome; sono due madri che si riconoscono vicendevolmente come tali, ma che non sanno creare un varco tra paura e odio. Può, tra un morto vivente (B) e un vivo morente (A), tra la disperazione di chi è già morto come individuo e l’angoscia di chi sa di essere condannato, instaurarsi un legame, riaccendersi un sussulto di riconoscimento di una dimensione dell’umano? Quando la vittima A cerca il suo carnefice B, spera ancora in uno sguardo d’intesa, non per sé ma per la figlia, la giovane ballerina. spera, forse, solo fino a quando da fuori, da un altrove che nulla comprende, una nebbia (quella del gas) cancella tutto. Una nebbia che azzera ogni possibilità. La nebbia della rimozione dei corpi, delle colpe e di qualsiasi cardo rosso che, ancora radicato, vuole resistere; la nebbia della normalizzazione che addirittura costringe le vittime superstiti, rimossi i cadaveri, ripulito il teatro, ad assistere nuovamente alla “festa interrotta”.»


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Nel 1927 Miserocchi segnalava inoltre la presenza di un altro Poligono a Porto Corsini – allora quella che tre anni dopo si sarebbe intitolata «Marina di Ravenna» – per l’artiglieria del presidio ravennate. Il lotto del «Tiro a Segno Nazionale» ha inizio dal fronte rivolto all’ampia via d’Alaggio e si distende di fianco al canale Lama – lungo le cui rive non è raro trovare un bell’airone cenerino intento a presidiare le acque verdi e melmose – per circa cinquecento metri, fino a via Trieste, dove si erge un fabbricato anni CinquantaSessanta. Proveniendo dal “Lungo Candiano” si perviene a un piazzale, largo circa quaranta metri e bordato a sud da un fabbricato porticato in cemento armato, A pagina 92, la scultura dell’aquila che svetta sulla parte storica del Tiro a Segno. In questa pagina, sopra l’ingresso della struttura e in basso una veduta sul canale Lama. Nella pagina acccanto, il musicista Giovanni Sollima, protagonista dello spettacolo che il festival propone in un questo luogo fino a oggi mai impiegato prima per situazioni analoghe. Foto di Valentina Venturi e Paolo Genovesi.

costituito da una serie di pilastri con capitelli ornati e travi reticolari, ma soprattutto omaggiato al centro in sommità da un’imponente scultura in pietra artificiale, vagamente Decò, raffigurante una grande aquila coronata ad ali dispiegate e appollaiata con sguardo truce e postura regale sul rotondo bersaglio, sotto cui si trova, labente, la scritta in caratteri littorii «Tiro a segno nazionale». Attraverso il fabbricato porticato si giunge al Poligono vecchio e da questo, oltrepassato un alto muro rinforzato da speroni in cemento armato, ad un grande spazio libero, largo quasi cinquanta e lungo circa trecento metri, che termina in un grande terrapieno, nei pressi del quale si trova l’attuale «Galleria di Tiro

Belgio Mazzavillani». Disseminati nella vegetazione spontanea d’erbe di campo, tra acacie, roverelle e pioppi bianchi, si ergono dei grossi setti da bersaglio in muratura sagomata, mentre l’edera risale lungo i rossi mattoni dai giunti erosi. H


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Quel cane con una marcia in più che ha messo in moto l’Italia DI

DOMENICO MOLLURA

Un marchio, un simbolo, la storia di un’azienda e di un Paese lunga oltre mezzo secolo che rivive nella mostra “Il cane a sei zampe” allestita nell’ambito del Ravenna Festival presso la Biblioteca Classense dal 3 al 26 giugno. Il “segno” immaginato da Luigi Brogini nel 1952 ha attraversato la seconda metà del Novecento accompagnando gli italiani lungo la strada della modernizzazione, cambiando con tre restyling per adeguarsi ai tempi. E in occasione dell’ultima rivisitazione del proprio marchio, ancora fortemente incentrata sul “cane a sei zampe”, Eni ha deciso di raccogliere le immagini della propria storia e di raccontarla per la prima volta. La mostra ha carattere itinerante ed è stata allestita alla fine del 2009 presso Casa Depero-MART di Rovereto per rendere omaggio all’artista trentino Fortunato Depero, anche lui partecipante al concorso di idee indetto da Eni nel ’52. L'esposizione si è spostata poi a Roma, ampliandosi nei contenuti, per giungere a Ravenna, dove Eni arrivò nel 1954 in occasione dello scavo dei primi pozzi metaniferi presso Porto Corsini. Anche le prossime sedi della mostra saranno legate alla storia dell’azienda e a quella del suo primo Presidente Enrico Mattei: Milano, Stresa (che vide Mattei attivo come partigiano) e Venezia. Il concorso del 1952 nacque dalla precisa volontà di Eni, fino ad allora indicata dalla sola sigla societaria, di trasformarsi in una azienda moderna,

riconoscibile da un marchio accattivante, altamente simbolico e identitario. Il bando richiedeva la realizzazione dei marchi e dei cartelloni pubblicitari per due diverse >>

Eni ripercorre la propria storia in una mostra che espone l’evoluzione del suo marchio e il bando di concorso del ’52 che vide vincere il “cane a sei zampe”


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La competizione grafica, che metteva in palio ben 10 milioni, ebbe uno straordinario successo. In soli due mesi arrivarono 4mila proposte >>società del gruppo – Agipgas e Supercortemaggiore – rispettivamente impegnate nell’estrazione e distribuzione di gas e petrolio. Eni guardava ormai ai mercati internazionali aprendo propri impianti in molti paesi esteri e “unificando” l’Italia con la sua fitta rete di distributori di carburante. La competizione grafica, che metteva in palio un primo premio di 10 milioni di lire, ebbe uno straordinario successo. In soli due mesi, infatti, arrivarono 4000 proposte che

impegnarono in un lungo e intenso lavoro una giuria di prestigio composta, tra gli altri, da Mario Sironi, Gio Ponti e Mino Maccari. La scelta ricadde, per il marchio “Supercortemaggiore”, sulla proposta del grafico milanese Giuseppe Guzzi, dietro al quale c’era in realtà l’artista Luigi Brogini. La “paternità” del cane a sei zampe venne scoperta solo dopo la morte dello stesso Brogini avvenuta nel 1983 e costituisce solo una delle tante


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leggende nate attorno al marchio, scelto per rappresentare non solo la benzina Supercortemaggiore ma tutto il Gruppo Eni. Storie e leggende raccontate e sfatate dalla mostra, che ha ricostruito anche le vicende concorsuali attraverso i verbali delle riunioni di giuria (ben 14). Il cane, simbolo di fedeltà, viene stilizzato in forma araldica, profilo netto e colore uniforme, manifestando con le sue sei zampe – e la leggera inclinazione in avanti – la marcia in più, la spinta verso il progresso che Mattei voleva imprimere all’Italia attraverso l’energia, rappresentata dalla fiamma rossa che questo misterioso animale sprigiona dalla bocca, segno quasi “fiabesco” reso ancora più forte dallo sfondo giallo del marchio. Nel 1972 il grafico Bob Noorda e l’agenzia Unimark aggiornarono il cane di Broggini riducendone le dimensioni, alleggerendo le sue creste e “inventando” il carattere tipografico istituzionale formato dal classico Standard Bold nero, personalizzato da un filetto bianco, quasi a ricordare la linea spartitraffico al centro della strada; nel 1998 ancora Noorda accorpa sullo sfondo giallo il cane e la scritta Eni separati verticalmente da una

linea rossa. Il marchio del 2009 parte da quest’ultima versione spostando il cane verso l’alto, per metà fuori dal campo giallo, mentre la scritta Eni (ora tutta in minuscolo) è composta da un carattere che aggiorna quello del ‘72. I documenti in mostra provengono dall’archivio storico Eni e da collezioni private ed esprimono con la forza delle immagini il ruolo del marchio attraverso tutti gli strumenti che ne hanno veicolato il messaggio: fotografie, materiale pubblicitario, video (caroselli, filmati aziendali), vignette. Infine, una sezione arricchita da materiali originali è dedicata al concorso del 1952, quando nacque il cane che mise in moto l’Italia. H

A pagina 98: Deposito carburanti e lubrificanti, Vridj Abidjan, Costa d’Avorio, 1988. Nella pagina a fianco: operai egiziani al lavoro in un pozzo di perforazione della Saipem, Egitto, 1959; in basso, cartellone pubblicitario Supercortemaggiore, Via Aurelia, Roma, 1953. In questa pagina, sotto: Distributore Agip, Cortina D'Ampezzo, anni ’50. Le foto sono tutte tratte dall’archivio storico Eni.


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Trieste, tre paesi insieme nel nome dell’ambasciatrice somma:

la musica DI LUCA

MANSERVISI

«La musica è l’ambasciatrice somma, non porta con sé concetti, editti o proclami, ma è in grado di unire attraverso il comune “sentire”». Il significato intrinseco delle Vie dell’amicizia è ben riassunto dalla frase del maestro Riccardo Muti, che nel corso della presentazione dell’ormai tradizionale appuntamento del Ravenna Festival – che consiste nell'organizzare ogni anno un concerto in un luogo

particolarmente simbolico e bisognoso di “amicizia”, appunto – ha insistito molto sul concetto della musica come valore in grado di cancellare le differenze e superare le ostilità, molto meglio della politica. E questo è quello che si propone anche il viaggio di quest’anno che per la seconda volta in quattordici anni resta all’interno dei confini nazionali, andando a fare tappa a Trieste

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(il 13 luglio) e concludendo così interprovinciale del Friuli, diretti una sorta di ponte ideale tra il dal maestro Sergio Balestracci. Sud e il Nord della Penisola Al concerto parteciperanno in dopo il concerto di due anni fa a via straordinaria il Presidente Mazara del Vallo. Al cospetto di della Repubblica Giorgio uno splendido golfo dove si Napoletano e i presidenti di affacciano tre nazioni – Italia, Slovenia, Danilo Turk e di Slovenia e Croazia – risuonerà il Croazia, Ivo Josipovic. Evento grande, sontuoso requiem del nell’evento sarà poi il luogo del compositore più amato da Beethoven, il In piazza dell’Unità d’Italia Requiem in do minore di Luigi Cherubini, di ci saranno il Presidente cui quest’anno ricorre della Repubblica italiana, il 250° anniversario dalla nascita, «tra i più Giorgio Napolitano grandi della storia e i presidenti di Slovenia, Danilo eppure così presto dimenticato proprio Turk, e di Croazia, Ivo Josipovic, dalla sua Italia», ha ad ascoltare il requiem sottolineato il maestro Muti che a Cherubini in do minorie di Luigi Cherubini ha dedicato addirittura la “sua” orchestra giovanile, che lo accompagnerà in questo concerto, piazza dell’Unità concerto insieme alla Giovanile d’Italia, con oltre ottomila posti italiana. Saranno eseguiti inoltre a ingresso libero – vero omaggio brani delle due nazioni del Ravenna Festival a tre “gemelle” con Muti che sarà alla nazioni che desiderano respirare guida anche di musicisti e coristi insieme un nuovo clima di delle Accademie di musica delle fratellanza – e una scenografia università di Lubiana e Zagabria naturale che potrà contare sullo e del conservatorio Tartini di sfondo del golfo che per Trieste. Con loro, il coro l’occasione verrà solcato da Stagione Armonica, il coro centinaia di barche a vela. accademico France Preseren di Oltre al pubblico che potrà Kranj e l’ensemble corale partecipare all’evento, >>


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>>potranno goderne ancora una volta anchegli ascoltatori di Radio Rai Tre – lo trasmetterà in diretta – e i telespettatori di Rai Uno, visto che andrà poi in onda, registrato, il 29 luglio in seconda serata, preceduto da un approfondimento di Bruno Vespa che su questo

Viaggi dell’Amicizia L’albo d’oro 1997 - Sarajevo (Bosnia) 1998 - Beirut (Libano) 1999 - Gerusalemme (Israele) 2000 - Mosca (Russia) 2001 - Erevan e Istanbul (Armenia e Turchia) 2002 - New York (Usa) 2003 - Il Cairo (Egitto) 2004 - Damasco (Siria) 2005 - Tunisi e El Jem (Tunisia) 2006 - Meknes (Marocco) 2007 - Roma - Quirinale (Italia, per il Libano) 2008 - Mazara del Vallo e Atene (Italia, per il Nord Africa, e Grecia) 2009 - Sarajevo (Bosnia) 2010 - Trieste

appuntamento ha già speso parole importanti. «L’appuntamento di Trieste – ha detto il celebre giornalista televisivo – è forse il più importante tra quelli organizzati finora all’estero perché stiamo parlando della nostra pelle, della zona più tormentata della nostra storia moderna. Il concerto del maestro Muti rappresenta una sorta di conciliazione fisica, che arriva naturalmente dopo quella politica». Mentre l’ambasciatore croato in Italia ha sottolineato come l’evento potrebbe coincidere con la conclusione del negoziato con l’Unione Europea per abbattere finalmente anche i confini del Paese dell'ex Jugoslavia. Il maestro Muti ha voluto invece sottolineare l’eccezionalità della caratteristica principale di questi concerti, quella di coinvolgere musicisti del luogo prescelto per le Vie dell’amicizia, «al fine di provare tutti insieme le stesse sensazioni. La potenza della musica è anche questa e noi non vogliamo utilizzarla solo come

uno slogan ma andando direttamente sul posto e “sperimentando” questa sua potenzialità. La nostra non deve mai diventare una sorta di passeggiata turistica. Soprattutto nel caso di Trieste – ha concluso Muti – questa iniziativa si rivelerà importante solo se sarà in grado di comporre qualcosa che non sia stato ancora composto». H

A pagina 104, il maestro Muti con l’orchestra giovanile Cherubini (foto di Silvia Lelli). In questa pagina due immagini della suggestiva piazza Unità d’Italia, a Trieste (foto di Mauro Zorzenoni).


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Ravenna Festival Magazine Edizione 2010 Supplemento gratuito a “Ravenna & Dintorni” nr. 396 del 3 giugno 2010

Redazione: 0544.271068 redazione@ravennaedintorni.it Pubblicità: 0544.408312 info@reclam.ra.it

Editore: Reclam srl - Ravenna www.reclam.ra.it In collaborazione con

l’eterno contrasto

nel buio, una luce

Danza L’iniziazione zen del Cloud Gate Dance Theatre of Taiwan

Teatro Stein racconta I demoni di Dostoevskij

Edizione 2010

All’interno Opera: Betulia liberata, “staffetta” fra Jommelli e Mozart/ Elettronica: dall’avanguardia colta al pop/Jarrett e un leggendario trio jazz/Cardo rosso, la tragedia va in scena al Tiro a Segno


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