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Ravenna Festival Magazine

Ravenna Festival Magazine Edizione 2013 Supplemento gratuito a “Ravenna & Dintorni” nr. 536 del 23 maggio 2013

Redazione: 0544.271068 redazione@ravennaedintorni.it Pubblicità: 0544.408312 info@reclam.ra.it

Editore: Reclam srl - Ravenna www.reclam.ra.it In collaborazione con

Volti, gesti e passioni

La festa e il ballo

della

Danza Un fiabesco Matthew Bourne, un “Lago dei cigni” in nero e il tango di Sidi Larbi Cherkaoui

musica popolare

Pop

Classica

Colonne sonore, riff di chitarra, nuova psichedelia: Burt Bacharach Steve Vai e Tame Impala

Muti e l’omaggio a Verdi Grandi solisti in scena: Bahrami Yo-Yo Ma, Argerich & friends

Edizione 2013

All’interno Una balera ai giardini: tutte le declinazioni del liscio / Tre giorni di “Romagna Ballkanica” a Russi / Enrico Rava interpreta Michael Jackson / Concerti trekking, dalla pineta alla città d’acque / La nuova trilogia Verdi - Shakespeare


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sommario 3 Ravenna Festival Magazine 2013

Alchimie popolari “una balera ai giardini” 2013

Tradizioni popolari Valzer, polche e mazurche In Romagna l’avventurosa parabola di un genere _pag_7 Narrazioni: Cristiano Cavina e l’epopea di una musica che nasce bastarda_pag_12 Nel padiglione ai giardini il ballo è bello in tutte le declinazioni del folk_pag_14 A Palazzo S. Giacomo di Russi, fra bande e fanfare tanti ritmi per ballare_pag_16 A proposito del folclore da Gramsci a Pasolini, da De Martino alla Scuola di Francoforte_pag_18 Teatro di vita: quegli attori speciali che riescono a toccare le nuvole_pag_24 Immaginario fotografico: il gioco delle apparenze nel rituale del ballo_pag_26

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Opera e sinfonica Intervista a Cristina Muti: «La musica e l’umanità di Verdi sono universali...»_pag_29 Shakespeare e Verdi, due geni a confronto sulle passioni dell’uomo_pag_30 Muti e il “Nabucco”, per un gesto di fratellanza all’Emilia colpita dal terremoto_pag_36 Dal Verdi Web alla scoperta dei luoghi storici del Maestro di Busseto_pag_40

Concerti classica Ramin Bahrami, Yo-Yo Ma e Marta Argerich, tre fuoriclasse in assolo_pag_42

Musica antica e contemporanea Danze ungheresi e polifonia sacra e profana, poi l’omaggio a Berio, Mina Piazzolla_pag_46

Cartellone Il calendario di tutti gli appuntamenti del festival delle liturgie “In templo domini” e le notizie utili di biglietteria_pag_50

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sommario 5 Ravenna Festival Magazine 2013

Danza e Balletto Anteprima Momix: quell’aureo equilibrio di “Alchemy”, a Ravenna in prima mondiale_pag_64 Un Matthew Bourne da favola va in scena con “Sleeping Beauty”_pag_66 Il dinamismo di una stella: Ivan Putrov è “Man in motion”_pag_69 Ricostruzioni coreografiche: con il progetto Ric.Ci. tornano in scena tre opere anni ‘80_pag_70 Mark Morris orchestrale armonia di suoni, forme e movimento_pag_72 Razza di tangueri, la milonga secondo il coreografo Sidi Larbi Cherkaoui_pag_75 Il Lago dei Cigni in bianco e nero della sudafricana Dada Masilo_pag_76 “Feeling & Voices”, i segreti rituali del popolo africano Maasai_pag_78

Jazz e pop Così complesso e così popolare, ecco a voi Burt Bacharach_pag_81 Enrico Rava, fiato alla tromba sui ritmi di Michael Jackson_pag_84 Alla scoperta degi australiani Tame Impala, quando il pop diventa psichedelico_pag_86

Passeggiate in musica Trekking fra pineta e città, per ritrovare un rumor d’acque_pag_90

Genius Loci I luoghi del festival: Giardini Pubblici fra verde e architetture, antiche e moderne_pag_92

Un supplemento di Ravenna & Dintorni, autorizzazione Tribunale di Ravenna n. 1172 del 17 Dicembre 2001 DIRETTORE RESPONSABILE: Fausto Piazza In redazione: Andrea Alberizia, Federica Angelini, Serena Garzanti, Maria Cristina Giovannini (grafica), Luca Manservisi Collaboratori: Tarcisio Balbo, Roberta Bezzi, Chiara Bissi, Paolo Bolzani, Matteo Cavezzali, Anna De Lutiis, Matteo Fabbri, Linda Landi, Marina Mannucci, Serena Simoni, Roberto Valentino. Si ringrazia per la collaborazione la Direzione del Ravenna Festival, e in particolare Fabio Ricci e Stefano Bondi dell’Ufficio Stampa.

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Referenze fotografiche: Simon Annand, Andrea Arena, Stephanie Berger, Viola Berlanda, Marco Caselli Nirmal, Alessandra Dragoni, Flavors.me-Aaphotography, Diego Franssens, E. Gross, Romano Grozichbig, Hogg, Silvia Lelli, Roberto Masotti, Erik Messori, Matt Saville, Brian Snyder, Vestris Si ringraziano la famiglia di Secondo Casadei e l’archivio delle Edizioni Musicali Casadei Sonora NELLA FOTO DI COPERTINA DI ERIK MESSORI, UN'ORCHESTRA DI LISCIO Editore: Edizioni e Comunicazione srl - www.reclam.ra.it Viale della Lirica 43 - 48121 Ravenna. Tel. 0544 408312. DIREZIONE GENERALE: Claudia Cuppi STAMPA: Industrie Grafiche Galeati - Imola (BO)

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tradizioni popolari 7 Ravenna Festival Magazine 2013

Valzer, polche e mazurche in Romagna l’avventurosa parabola di un genere

DI

CHIARA BISSI

Lontano dalle convenzioni ma disponibile all’ascolto delle sonorità del mondo il festival offre quest’anno un approdo inconsueto al mondo della musica da ballo romagnola. Per conoscerne i tratti distintivi, storia ed evoluzione è bene seguire le preziose indicazioni di un esperto. Franco Dell’Amore, dopo gli studi di specializzazione in musicologia e ricerche di carattere storico-musicale sul repertorio classico ed etnico, approda alla musica da ballo romagnola 25 anni fa, grazie alla catalogazione delle raccolte di musiche di Carlo Brighi, del fondo Piancastelli di Forlì. Ha pubblicato alcuni testi fra i quali si segnala la Storia della musica da ballo romagnola, pubblicata da Pazzini. Lontano dall’aneddotica e dai toni celebrativi Dell’Amore si dice convinto di aver contribuito a spazzar via falsità storiche e ingenue credenze. Il Ravenna festival da tempo propone l’ascolto di molteplici linguaggi musicali fra classico, contemporaneo, ed etnico per approdare quest’anno alle tradizioni popolari. Nel cartellone

appaiono tante serate, dedicate alla musica da ballo romagnola. Cosa pensa di questa scelta, la sorprende? «Sono sorpreso favorevolmente. La considero una scelta giusta e coraggiosa da parte del prestigioso Ravenna Festival. Una scelta che va nella direzione di uno "sdoganamento" di un genere musicale da sempre abbandonato dalla critica musicale. Chi si occupava di musica colta non lo considerava degno di interesse, chi studiava la musica popolare non lo considerava frutto della tradizione. Abbandonato a se stesso, ha vissuto, per più di un secolo, raccogliendo i frutti provenienti dal semplice intrattenimento, senza porsi questioni di analisi musicale». Nel programma trovano posto due concerti sinfonici Un classico giro di valzer e Secondo a nessuno, duranti i quali verranno eseguiti brani di Secondo Casadei, ma anche di

Schubert, Strauss e Sibelius. Come spiegherebbe al pubblico il valore di questa commistione? «La spiegazione è molto facile. I valzer, le polche e le mazurche, costituenti il repertorio musicale cosiddetto romagnolo,

provengono da un’elaborazione di brani di autori classici. Da costoro presero spunto i primi compositori romagnoli, fra cui Carlo Brighi». Vitalità e ritmi frenetici sono i caratteri identitari della >>

Secondo Casadei


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8 tradizioni popolari Ravenna Festival Magazine 2013

>> musica romagnola? «Questi caratteri li assocerei più al ballo che alla musica romagnola, sebbene quest'ultima sia stata intesa con l'univoco scopo di far

ballare. Sono esistiti anche valzer lenti, come ad esempio il "Boston", caro anche a Strauss figlio. La mazurca era eseguita, in origine, in modo assai lento.

Purtroppo, il ballo in Romagna è per lo più inteso come attività fisica ed è emblematico che sia stato associato alla federazione italiana Danza sportiva,

riconosciuta dal Coni. Sarebbe risibile se qualcuno proponesse di considerare il tango e il flamenco come attività olimpioniche. Che dire della proposta far ritornare il ballo di coppia romagnolo nell'ambito dell'arte della danza?». La musica da ballo quanto deve a Secondo Casadei e a Carlo Brighi, padri innovatori del genere? «Considero la storia della musica da ballo romagnola come una splendida avventura dal carattere corale, come un'opera verdiana, cui hanno contribuito centinaia di compositori e migliaia di musicisti. Carlo Brighi (Zaclèn) ne è giustamente considerato l'iniziatore, ma non bisogna dimenticare che non fu il solo. Di lui non si è persa memoria perché è stato il più amato e perché è tuttora conservata buona parte dei suoi brani musicali. La sua orchestrina, basata sugli archi (tre violini, un clarinetto in Do e un contrabbasso), era più vicina a quelle formazioni che si esibivano al Prater di Vienna, rispetto a quelle che noi conosciamo. Secondo Casadei è stato colui che ha fatto del valzer, della polca


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tradizioni popolari 9 Ravenna Festival Magazine 2013

e della mazurca romagnola un genere musicale riconoscibile e vendibile, senza poterne godere nel momento del massimo successo». Le giovani generazioni vivono un distacco nei confronti del liscio, mentre spopolano sonorità balcaniche, klezmer o tradizioni italiane come le tarante salentine. Come si riduce questa distanza culturale? «Negli Anni Sessanta e Settanta, ovvero gli anni d'oro della musica

da ballo romagnola, la mia generazione coltivava il rock e i suoi derivati. Non ha preso in considerazione quella che era chiamata "musica folkloristica romagnola" per due fondamentali ragioni. Per prima cosa, non accettava l'inganno che sottintendeva la stessa denominazione, con la compiacenza di tutte le forze politiche, le quali si sono nutrite del fenomeno attraverso le feste di partito. Ciò che veniva

spacciato per folklore non era percepito come autentico da gran parte dei giovani. Il folklore musicale di tradizione orale era stato abbandonato in Romagna già ai tempi di Carlo Brighi, anche se qualche trescone, saltarello o manfrina erano rimasti nel suo repertorio. La seconda ragione, più profonda, nasceva dalla consapevolezza che la musica romagnola non interpretava l'anima innovatrice del tempo, bensì coltivava un'ipotetica

(falsa) idea di ritorno ai "genuini" valori campestri, cui nemmeno gli interpreti credevano. Il successo delle tarante salentine negli ultimi due lustri, va collegato ai motivi del successo che ebbe la canzone napoletana agli inizi del secolo scorso. La nuova canzone dialettale di allora, come le nuove composizioni di oggi del Sud Italia, hanno un larghissimo seguito, perché si innestano su un'autentica tradizione. La nostra tradizione è >>


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10 tradizioni popolari Ravenna Festival Magazine 2013

>> stata completamente inventata durante il Ventennio, anche se poi è riuscita a conquistarsi uno spazio divenuto, infine, popolare. Il processo di identificazione in Romagna mia può considerarsi un esempio. Così le musiche klezmer e quelle balcaniche vengono percepite come autentiche, anche se poi

sono completamente rifatte e adattate ai gusti contemporanei. Insomma, non c'è stato un inganno iniziale». Impazzano le musiche e i balli di coppia del centro e sud America, cosa serve al liscio per riconquistare pubblico e popolarità? «La storia del tango, simile a quella dei balli nostrani, può

essere presa come esempio per dare una plausibile risposta a quest'ultima ardua domanda. La celebrità e l'internazionalità del tango sono conseguenza dell'attività e dei risultati di compositori, come Astor Piazzolla, che non hanno scritto brani per essere ballati, ma per essere ascoltati. La musica di qualità

sopporta anche il semplice ascolto, anzi lo pretende. Occorre ricominciare a comporre valzer, polche e mazurche finalizzate al semplice ascolto, rinnovando il genere e immettendo quel genio creativo che sappia fare della composizione qualcosa capace di andare oltre il semplice brano d'intrattenimento». ❍

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12 narrazioni Ravenna Festival Magazine 2013

L’epopea di una musica che nasce bastarda DI FEDERICA ANGELINI

Liscio uguale identità romagnola? O liscio uguale luogo comune di un’allegria spensierata un po’ patinata e superficiale comoda da vendere ai turisti? Il rapporto con il liscio è per molti romagnoli conflittuale, inutile negarlo. A offrire una chiave di lettura in qualche modo epica e che offre più di uno spunto per ritrovare l’orgoglio dei valzer e delle polke da balera ci ha pensato uno scrittore romagnolo che viene dalle colline, molto molto lontano dalla Riviera. Questo scrittore è Cristiano Cavina, noto in tutta Italia per i suoi racconti un po’ stralunati, tra il nostalgico e l’ironico, di una Casola Valsenio quanto mai sanguigna. A lui fu chiesto da Laterza di scrivere un libro che parlasse della Romagna, uscito lo scorso anno. Quello che ne venne fuori fu un racconto tra lo storico e l’autobiografico, tra l’aneddoto raccontato con il gusto dell’esagerazione e il dato bibliografico. E, neanche a dirlo, il libro si intitola Romagna Mia!, come l’inno della Romagna che Cavina stesso, spiega, ha imparato prima di quello italiano. E proprio al liscio, lo scrittore quarantenne dedica un capitolo particolarmente riuscito della sua personalissima guida. Ne “La sua musica, Taca, Zaclèn” Cavina ripercorre l’epopea della nascita del liscio da Carlo Brighi fino a Secondo Casadei. Una musica che, un po’ come il jazz in quegli stessi anni, nasce dalla miseria, dalla povertà, da una terra difficile ma ferocemente vitale. Ma se il jazz avrà un percorso elitario e diventerà la musica degli intellettuali, scrive Cavina: «Il liscio invece nasce bastardo, ha progenitori nobili, i valzer e le polke dell’impero

Cristiano Cavina nel suo Romagna Mia! racconta come, a differenza del jazz, il liscio dai palazzi stuccati sia sceso nelle balere asburgico, ma dai saloni dorati e stuccati dell’impero scenderà dritta fino alle balere». Allo scrittore chiediamo oggi allora se questo destino sia segnato, se il liscio potrà mai avere un destino nobile o se questo potrebbe rischiare di comprometterne la natura e il senso stesso. «Essendo legato al ballo – ci risponde – credo che non potrà mai diventare un genere intellettuale. Ha uno spirito troppo frizzante per diventare elitario, quindi non credo che farà sicuramente la strada del jazz. Il posto del liscio è il dancing ed è giusto così. Anzi, in un certo senso me lo auguro». Dunque l’idendità romagnola è quella popolare, del dancing. «Le opinioni sul liscio sono duplici, c’è chi crede che in

realtà sia finto e che sia stato un maremoto che abbia spazzato via tutta la musica tradizionale precedente, ma io mi sono divertito a raccontare come è nato e ancora oggi mi diverto moltissimo a guardare la gente che lo balla e che lo ama. Che piaccia o no fa parte di una riscossa romagnola ed è un’ottima cartolina di tornasole per mostrare la voglia di vivere di questa terra». Sul possibile futuro di questo genere musicale, non certo apprezzato da molti giovani (lui stesso nel libro confessa che da ragazzo lo odiava), Cavina tocca una corda profonda della “romagnolità”, ammesso che esista. «Spero, anzi sono quasi sicuro, che il liscio saprà reinventarsi. Certo il rischio esiste soprattutto per i cambiamenti demografici, per il fatto che in campagna abitano sempre meno persone, ma ci sono sacche di resistenze. Non credo che si possa comunque

pensare di insegnarlo a scuola ai ragazzi o salvarlo artificiosamente. Di certo, sono sicuro che se dovesse scomparire, ne sentiremmo la mancanza. Come tutte le cose a cui non si dà troppa importanza, ma che poi quando non ci sono più ti ricordi che c’erano». La nostalgia del passato, come recita sempre Secondo Casadei. «Sì, perché noi siamo così. Il romagnolo è molto vitale ma anche ombroso. Siamo gente schietta e appassionata, ma molto legata al passato e le due cose convivono benissimo». La domanda di rito a questo punto è: perché il folk irlandese è diventato una moda così dilagante e il liscio è rimasto nelle balere? «Non lo so, forse per gli strumenti che impiega il folk irlandese. O forse per quel certo modo anche di proporre il liscio non proprio appetibile per tanti pubblici, con gli abiti dai colori sgargianti e i colletti a punta. Se ti trovi a un concerto di liscio ti sembra di essere sempre a un vecchio concerto di Little Tony. O forse, perché l’erba del vicino è sempre più verde. E figuriamo se non lo è quella irlandese». ❍


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concerti balera RFM:Rafest mastro 20/05/13 15:23 Pagina 14

14 musica popolare Ravenna Festival Magazine 2013

Ballo è bello

in tutte le declinazioni del

folk

In una balera ai Giardini Pubblici le varie anime del liscio si intrecciano con il rock, il blues, la milonga, il jazz e l’opera E la Romagna incontro la Puglia e i Balcani Bandervish

DI

ROBERTO VALENTINO

Scorsese si è immerso nelle profondità poetiche del blues, Wenders si è fatto trascinare dai ritmi contagiosi della musica cubana. E se fosse

ancora vivo a quale musica volgerebbe il suo sguardo Fellini? Beh, la risposta non richiede sforzi di grande fantasia. Ma grazie al suo genio visionario, si può star certi che di

liscio si (ri)innamorerebbero sicuramente un po’ tutti, grandi e piccini, uomini di cultura “alta” e “bassa”. E magari lo si suonerebbe e ballerebbe anche alla Scala: sì, il potere del cinema

sarebbe anche capace di catapultarlo dalle balere al tempio della lirica! Fantasticherie a parte, col liscio dobbiamo fare i conti un po’ tutti: è nel nostro vissuto, nelle nostre memorie, specialmente in

Gianluigi Trovesi e Gianni Coscia

ana

ir Fanfara T

Vince Va

llicelli


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musica popolare 15 Ravenna Festival Magazine 2013

Equ

quelle rimosse. Una manifestazione come Ravenna Festival non poteva quindi ignorarlo. Anzi ha fatto molto di più: lo ha eletto a tutti gli effetti a tratto distintivo di questa edizione 2013, trasformando per la speciale occasione i Giardini Pubblici in una autentica balera, ovviamente fornita di pista da ballo.

Riccardo

Tesi

La Balera del Ravenna Festival si inaugura ufficialmente il 18 giugno con una vera e propria festa del liscio animata da varie titolate orchestre: una sorta di abbraccio corale a tutti quanti vorranno cimentarsi in vorticose danze a suon e a ritmo di polke, tanghi, valzer e tutto quanto fa muovere gambe e piedi. Musica da ballare ma anche da ascoltare: la serie di concerti si preannuncia infatti come un viaggio, interessante e stimolante, fra proposte musicali che in un modo o nell’altro si confrontano col liscio, azzardando anche inedite commistioni. Ecco che allora la Banditaliana dell’organettista Riccardo Tesi, il primo ad essersi

avventurato in questo mondo da una prospettiva di rivalutazione artistica, si accoppierà alla Fanfara Tirana, tipica brass band balcanica. E i romagnoli Equ proveranno a coniugare il liscio persino col progressive rock, mentre il batterista Vince Vallicelli farà la stessa cosa col blues, coinvolgendo anche un’orchestra sinfonica. Più collaudata è la formula clarinettifisarmonica di Gianluigi Trovesi e Gianni Coscia, entrambi con un passato nelle sale da ballo prima di combinare profumi popolari e improvvisazione jazz. Ma in cartellone ci sono anche l’omaggio al mitico Secondo Casadei ad opera del vulcanico fisarmonicista Simone Zanchini, i concerti della Banda di Ruvo di Puglia e dei Bandervish (in ambedue i casi con il jazzista Livio Minafra al piano), ovvero la fusione fra i Radiodervish e la Banda di Sannicandro di Bari. Mischiati a questi, altri momenti più tradizionali o apparentemente tali: il giro di valzer dell’Orchestra Cherubini, le milonghe di El Cachivache, il ballo antico montanaro alla “Filuzzi”, i Violini di Santa Vittoria e le ocarine dell’Ensemble Novecento che rivisita Verdi. Il liscio in tutte le sue possibili declinazioni, dunque. L’indagine del Ravenna Festival tra le pieghe di uno dei simboli della cultura romagnola sconfina volutamente, mescola tradizione e modernità, segue un criterio filologico e nel contempo lo tradisce scopertamente, converte il liscio in musica non solo per gambe e piedi. Anche la testa e il cuore servono per entrare in un mondo “minore” ormai solo per convenzione. ❍

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Romagna Balcani RFM2:Rafest mastro 20/05/13 16:53 Pagina 16

16 etno pop Ravenna Festival Magazine 2013

Fra bande e fanfare

tanti ritmi per ballare

Boban I Marko Markovic Orkestar

DI

ROBERTO VALENTINO

Tre concerti nel solco di musiche provenienti dall’altra sponda dell’Adriatico (ma anche dell’Atlantico). A Russi, dal 12 al 14 luglio, nella splendida cornice del cortile di palazzo San Giacomo, si getta un ponte ideale fra Romagna e i Balcani – anzi i Ballkani, per riecheggiare il titolo dato a questa sezione del Ravenna Festival – e fra tradizione e modernità. La musica dei Balcani è già di per sé un miscuglio di suoni e culture, specchio di quella varietà di etnie, e di conseguenza lingue, che popolano la penisola. Ecco, allora, che la tradizione rom coabita con la tradizione ebraica, con la musica klezmer. C’è quindi oggi chi a questi alberi genealogici si rifà per tramandarne lo spirito; chi invece si prende la libertà di mescolare ulteriormente le carte, magari con l’aggiunta di dosi massicce di elettronica. Boban i Marko Markovic Orkestra arrivano dalla Serbia e sono una

The Klezmatics

delle più conosciute gipsy brass band balcaniche. Le origini dei due leader, padre e figlio, entrambi trombettisti, e dei loro compagni sono rom. Tutti insieme hanno vinto la maggior parte dei premi ai quali un musicista serbo può ambire; a consolidarne la popolarità oltre i confini nazionali ci hanno invece pensato i film di Kusturica (Underground, Arizona Dream). Boban Markovic si è anche esibito al fianco del nostro Roy Paci e dell’americano Frank London (Klezmatics), coinvolti a pari merito nel progetto “Il terrone, l’ebreo e lo zingaro”. Della Fanfara Tirana si dice che faccia “ballare anche i morti”. Dalle altre brass band slave si distingue per un linguaggio musicale ben articolato su un percorso melodico e ritmico trascinante e incalzante. La melodia, affidata a sax alto, clarinetto, tromba e sax tenore, esprime i caratteristici chiaroscuri di pura improvvisazione chiamati kaba, gazel e taksim (il primo è un canto tipico del Sud


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etno pop 17 Ravenna Festival Magazine 2013

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Un festival nel festival di tre giorni a Palazzo San Giacomo di Russi per l’incontro fra la Romagna e i Balcani con Boban I Marko Marcovic Orkestar, Fanfara Tirana, Transglobal Underground e Klezmatics dell’Albania, mentre gli altri due provengono dall’area di Tirana). A dare vitalità al tutto ci pensano intricatissimi tempi dispari in 7/8 e 9/8 nel ritmo. A Russi la Fanfara Tirana si presenta assieme ai Transglobal Underground, collettivo con base a Londra da dove sin dai primi anni Novanta diffonde un meticciato sonoro nel quale albergano dub, reggae, influssi etnici di provenienza orientale, elettronica e molto altro ancora. Il progetto che sancisce l’unione fra la Fanfara Tirana e i Transglobal Underground si chiama “Kabatronics” e prende le mosse proprio dal tipo di improvvisazione chiamata kaba. Come dire, il passato, il presente e il futuro della musica in una botta sola. Guidati dal trombettista Frank London, i newyorkesi Klezmatics sono uno dei simboli dell’attuale

rinascita della musica klezmer. Nell’arco della propria intensa attività discografica e concertistica, il gruppo statunitense ha condotto un lavoro di approfondimento della musica tradizionale delle feste ebraiche dell’Est Europa, al punto da potersene impadronire apportandovi sensibilità contemporanee, combinando identità e misticismo ebraico con lo spirito del nostro tempo. L’apertura dei Klezmatics verso musicalità differenti li ha portati a collaborare con artisti diversissimi tra loro come Itzhak Perlman, Chava Alberstein, Allen Ginsberg, Robin Williams, John Zorn, Marc Ribot, Robert Plant e Jimmy Page dei Led Zeppelin, Peter Gabriel, Lester Bowie, La Monte Young e David Byrne. In altre parole: folk + jazz + un pizzico di energia rock = Klezmatics. ❍

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18 23 Folklore RFM:Rafest mastro 20/05/13 16:40 Pagina 18

18 meditazioni Ravenna Festival Magazine 2013

Il folclore come

alternativa democratica? Breve excursus sulle tradizioni popolari a partire da Gramsci, passando da De Martino e la Scuola di Francoforte, fino a Pasolini DI

MARINA MANNUCCI

Un’importante linea guida per il tema che riguarda le “tradizioni popolari” sono gli scritti di Antonio Gramsci che riguardano Osservazioni sul folclore; riflessioni che offrono un ampio panorama della storia italiana mettendo a fuoco la complessità degli apparati culturali attraverso i quali le classi dominanti esercitano il loro potere. «Nella sua visione, ogni aspetto della cultura – dalla letteratura all’arte, dalle avanguardie più colte alla cultura popolare e di massa – si apre a un’analisi storico-politica; e, al tempo stesso, l’emancipazione delle classi subalterne può apparire come un progetto in certa misura culturale ed educativo. [...] Gramsci parte da una netta seppur rispettosa critica alla tradizione di studi erudita e classificatoria, che “raccoglie” il folklore come “materiale pittoresco” sulla base di un ambiguo e indifferenziato concetto di popolo. Occorrerebbe invece studiarlo, egli afferma, come “concezione del mondo e della vita”, implicita in grande misura, di determinati strati (determinati nel tempo e nello spazio) della società, in contrapposizione (anch’essa per lo più implicita,

meccanica, oggettiva) con le concezioni del mondo «ufficiali» […] che si sono succedute nello sviluppo storico» (Fabio Dei, Fortuna e declino della categoria di cultura popolare negli studi antropologici italiani, in Id., Introduzione all’antropologia culturale: strumenti, metodi, campi di ricerca, Dispensa didattica, Università di Pisa,

Facoltà di Lettere e Filosofia, Anno accademico, 2010-2011). La cultura popolare si configura come un insieme di frammenti di tutte le concezioni del mondo e della vita che si sono succedute nella storia, della maggior parte delle quali, solo nel folklore se ne trova documentazione. Antonio Gramsci scrive che il folclore si costituisce per “caduta” di

elementi residuali e talvolta fossilizzati della cultura alta. Una caratterizzazione che potrebbe sembrare negativa, ma il folclore è anche in grado di esprimere una serie di innovazioni, spesso creative e progressiste, determinate spontaneamente da forme e condizioni di vita in processo di sviluppo e che sono in contraddizione, o semplicemente diverse, dalla morale degli strati dominanti. La cultura popolare è dunque importante perché esprime una differenza irriducibile rispetto al progetto culturale egemonico: ne rappresenta il limite, ne segnala la parzialità e introduce se non altro la potenzialità di un’alternativa. Nelle Lettere dal carcere, Gramsci insiste sull’importanza del dialetto e sulla funzione espressiva dei canti e del teatro popolare. «Si può ipotizzare che egli intendesse distinguere una cultura popolare viva, dinamica e storicamente presente da quella pittoresca, arcaica e residuale raccolta (o meglio “prodotta”) dagli stessi studi folklorici» (ibid.). Studiare e valorizzare la cultura popolare diventa allora pratica progressista, contestativa, un modo di “dar voce” a un folclore contestativo e rivoluzionario, implicitamente socialista, da non


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«Io penso che la storia ti piace, come piaceva a me quando avevo la tua età, perché riguarda gli uomini viventi e tutto ciò che riguarda gli uomini, quanti più uomini è possibile, tutti gli uomini del mondo in quanto si riuniscono tra loro in società e lavorano e lottano e migliorano se stessi non può non piacerti più di ogni altra cosa» Antonio Gramsci, Lettera al figlio Delio, Roma, 1936 Rosa Balistreri

confondere con quel folclore conservatore, volto ad esaltare i valori fascisti della guerra, della razza e della sottomissione della donna. «Ernesto de Martino – scrive ancora Dei – uno dei fondatori dell’antropologia italiana del dopoguerra, ha applicato questa prospettiva nel suo tentativo di scrivere una storia religiosa del Mezzogiorno a partire dall’attualità di fenomeni folklorici quali il pianto rituale, la magia, e il complesso miticorituale del tarantismo pugliese. Tali pratiche culturali non sono affatto l’espressione di una sorta di “mentalità primitiva”: al contrario, il loro senso va inteso

nel quadro dei complessi rapporti tra livello egemonico e subalterno che caratterizzano la storia contemporanea di quelle regioni» (Fabio Drei, Dove si nasconde la cultura popolare, in Bulgaria-Italia: Dibattiti, culture locali, tradizioni, a cura di Mila Santova e Mariano Pavanello, Sofia, Accademia delle Scienze, 2006). Il vero problema è comprendere la demarcazione fra la cultura popolare e la cultura di massa, fra quella prodotta dal popolo e quella prodotta per il popolo, tra folclore e folclorismo, tra autentiche elaborazioni delle classi subalterne e prodotti fittiziamente “popolari” degli

apparati ideologici dello Stato (e dei gruppi egemonici che esso rappresenta): una contrapposizione al tempo stesso estetica, morale e politica. «La cultura di massa è artificiosa, plastificata, di cattivo gusto; ha effetti alienanti e di ottundimento della coscienza di classe; è politicamente regressiva e trasmette un messaggio di repressione, di mutilazione intellettuale e istintuale; è l’oppio che rende accettabile l’oppressione» (ibid.). La cultura popolare, a differenza della cultura di massa, ha un aspetto che si può definire naturale e semplice. Questa

NCCP (Nuova Compagnia di Canto Popolare), Helsinki, 1975

contrapposizione tra folk e popular è affrontata anche dalla scuola di Francoforte; ma sono in particolare gli studi di Roland Barthes che evidenziano l’importanza dell’“industria culturale” per le società a capitalismo avanzato. «La radio e la televisione, la musica jazz e pop, i rotocalchi con la loro posta del cuore o le loro rubriche astrologiche, lo sport, i fumetti e la letteratura di genere, la pubblicità, la moda; tutto questo viene preso in esame come “sintomo” della modernità, in un quadro interpretativo fortemente critico. [...] Per Adorno e Horkheimer, ad esempio, l’industria culturale è l’antitesi della vera cultura, e funziona come strumento di forzato adattamento a una realtà socioeconomica inumana per soggetti sempre più repressi e monodimensionali, ormai mutilati delle loro facoltà intellettuali ed emozionali» (ibid.). È indispensabile chiarire che nella tradizione antropologica, la nozione di popolare si riferisce al folclore e soprattutto a quello contadino tradizionale; cioè a forme culturali pre-moderne non contaminate dall’industria, dai mass-media e dal mercato. Questa precisazione ci permette di individuare nel folclore un’alternativa democratica ed antielitaria, portatrice di valori politicamente oppositivi, in contrapposizione alle banalizzazioni dei mass-media. In questo scenario si può collocare anche la poetica di Pier Paolo Pasolini ed il suo sguardo sulle campagne che via via si stavano urbanizzando. Va detto che, una volta valorizzate, le forme folkloriche vengono spesso assorbite dai meccanismi del


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meditazioni 23 Ravenna Festival Magazine 2013

mercato e diventano parte di quel sistema della cultura di massa cui pretendevano contrapporsi: il rischio è, a questo punto, che il processo socio-culturale della cultura popolare diventi a sua volta una strategica distinzione borghese. Di fatto una produzione culturale subalterna, autonoma rispetto al consumo dei prodotti dell’industria culturale, non può svilupparsi nell’epoca della “comunicazione generalizzata”. Gli studi demologici debbono fare i conti con la realtà socio-culturale contemporanea: studiare la “tradizione” e studiare la “modernità” non sono alternative. “Tradizione” è concetto che emerge sempre all’interno «di una consapevole modernità: tant’è vero che i suoi confini mutano costantemente, con il mutare dello spazio di quello che potremmo chiamare il nostro progetto esistenziale di modernità. È la modernità che in un certo senso produce la tradizione, e non possiamo pensare le due separatamente” (ibid.). Voglio concludere questi “appunti” sul senso del folclore con le parole di Rosa Balistreri, cantante popolare nata a Licata, in provincia di Agrigento, il 21 marzo del 1927, che affermava di essere un’attivista più che una cantante. Ascoltare le canzoni di Rosa appassiona sia per il come canta che per il cosa canta, cose che non vanno mai distinte. Anche la sua ninna nanna è contestataria: «La ninna nanna

non la canta certo la donna borghese che può permettersi la balia, ma la mamma proletaria che l’indomani deve svegliarsi alle quattro di mattina per andare a lavorare, e si sente disperata perché il bambino non vuole dormire». Rosa aveva la capacità di trasmettere la disperazione, di rendere compartecipi. Ed anche questo è fare politica. «Ho imparato a leggere a 32 anni. Dall’età di sedici anni vivo da sola. Ho fatto molti mestieri faticosi per dare da mangiare a mia figlia. Conosco il mondo e le sue ingiustizie meglio di qualunque laureato. E sono certa che prima o poi anche i poveri, gli indifesi, gli onesti avranno un po’ di pace terrena [...]. Le mie storie di miseria provocheranno guai a molti pezzi grossi il giorno in cui l’opinione pubblica sarà più sensibile ad argomenti come la fame, la disoccupazione, le donne madri, l’emigrazione, il razzismo dei ceti borghesi... Finora ho cantato nelle piazze, nei teatri, nelle università, ma sempre per poche migliaia di persone. Adesso ho deciso di gridare le mie proteste, le mie accuse, il dolore della mia terra, dei poveri che la abitano, di quelli che l’abbandonano, dei compagni operai, dei braccianti, dei disoccupati, delle donne siciliane che vivono come bestie [...] alcuni compreranno i miei dischi, altri verranno ai miei concerti e sono sicura che rifletteranno su ciò che canto» (Qui Giovani, 22 marzo 1973, in www.rosabalistreri.it). ❍


TEATRO RFM2012:Rafest mastro 20/05/13 19:10 Pagina 24

24 teatro di vita Ravenna Festival Magazine 2013

Quegli attori speciali

che riescono a toccare le nuvole DI

MATTEO CAVEZZALI

«Quanto sono belle! Che cosa sono?», «Sono le nuvole. Ah, straziante meravigliosa bellezza del creato!». Nel mediometraggio Che cosa sono le nuvole? del 1967 Pier Paolo Pasolini rilesse l’Otello in un teatrino vivente di burattini, che mai erano usciti alla luce del sole e mai avevano visto il cielo del mondo. Pasolini aveva tirato giù dal piedistallo della tradizione il capolavoro di Shakespeare e lo aveva fatto interpretare da Totò e Ninetto Davoli, incarnazioni delle maschere della commedia popolare. La semplicità di volti e parole delle persone comuni come summa poetica di un artista che, pur essendo un intellettuale,

rifiutava l’intellettualismo. Mette mano a questo delicato testo Maurizio Lupinelli, exattore del Teatro delle Albe, oggi regista di Nerval Teatro. Da sei anni il ravennate Lupinelli lavora con un gruppo di disabili nella Bassa Val di Cecina, in Toscana, e con il Festival di Armunia ha prodotto già diversi spettacoli che superano il limite dell’importanza sociologica del progetto e acquisiscono un riconosciuto valore artistico. «Il mio modo di tenere questo laboratorio è vicino alla non-scuola. –

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spiega Lupinelli – ovvero parto dai ragazzi che ho davanti a me per pensare uno spettacolo che sia il loro spettacolo. Che indirettamente parli di loro, perché in quello spettacolo posso essere quello che vogliono. Non mi sono posto l’obbiettivo di mettere in scena ogni anno un testo, ma il lavoro è costante e quando il gruppo è pronto nasce un debutto. Con Che cosa sono le nuvole abbiamo raggiunto l’apice di un percorso. Nei primi spettacoli io ero in scena, e guidavo il gruppo di ragazzi condividendo il palco con loro. Qui sono loro sedici a essere in scena da soli, ognuno con la “maschera recitativa” che ha voluto creare per il suo personaggio. Se Pippo Delbono (regista noto per il lavoro con i diversamente abili ndr.) crea uno spettacolo su una sua visione, in cui fa recitare attori disabili, qui il lavoro è il contrario. Io mi sono fatto guidare da loro, in quello che loro vedevano dentro questo testo. Lo spettacolo che ne è nato è una riscrittura, ma mantiene diversi tratti del testo pasoliniano e anche di altre sue opere come La ricotta. Alla base di questa esperienza c’è prima di tutto la consapevolezza del valore artistico del lavoro con queste persone speciali. La nostra

compagnia intreccia il proprio percorso con la diversità in rapporto alle persone e ai luoghi; Il confronto con i molteplici aspetti del disagio ha il duplice obiettivo di dar vita a una piccola comunità aperta al mondo circostante e al contempo di realizzare un percorso artistico, ancor prima che sociale, sotto il segno dell’autenticità e della verità». Lupinelli lavora con i disabili esattamente nello stesso modo in cui lavora con gli adolescenti e anche con gli attori professionisti: trattandoli con grande rispetto, ma anche con severità. Richiedendo a loro un rigore sulla scena che li ha aiutati a raggiungere grandi obbiettivi, riconosciuti dalla critica nazionale. «I ragazzi hanno avuto grande spazio per improvvisare e creare, per mostrare al pubblico la loro visione del mondo. Il percorso con loro è partito nel 2007 e ogni anno sono cresciuti». Con questo lavoro i ragazzi stanno ora girando in Italia per teatri e festival, e qualcuno del pubblico ha scoperto che fuori dal teatrino dei burattini, alto nel cielo, ci sono nuvole che non aveva mai visto, e sono “meravigliose bellezze del creato”. ❍


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26 immaginario Ravenna Festival Magazine 2013

Il gioco delle apparenze nel rituale del ballo Gli sguardi di Alessandra Dragoni sui protagonisti di una mitologia nazional-popolare DI

SERENA SIMONI

Diversamente dalla memoria, le fotografie in sè non conservano il significato di un evento. Offrono apparenze, estrapolate dal loro significato: rubo le parole a John Berger, uno di quei vecchi saggi che dell'azione del guardare ha fatto una specie di perno centrale nella sua riflessione. D'accordo con lui, è abbastanza facile rintracciare quella linea di demarcazione che separa la vita – intessuta di un'incerta ricchezza di pelle, emozioni, pensieri, corpi, parole – e la sua rappresentazione, fermata in una fotografia di posa oppure in uno scatto preso al volo. Solo ciò che narra può farci comprendere: le fotografie per se stesse non narrano, ma trattengono apparizioni. Viene da concedere un principio di realtà anche a questa affermazione: se si rintraccia un racconto entro una fotografia o in una serie, è probabile che questo sia frutto delle proiezioni della persona che ha catturato le immagini o di chi le “guarda” semplicemente. Lo spettatore potrà infatti tradire a sua volta l'infedele narrazione del fotografo, in un vorticoso giro che comunque si distacca sempre di più dagli accadimenti reali, come apparenze di apparenze. Sono queste riflessioni ad aprire una personale lettura delle immagini fotografiche realizzate da Alessandra Dragoni per il programma e il catalogo di Ravenna Festival 2013, incentrato per questa edizione sul tema della musica popolare. Fra le varie declinazioni proposte, una parte degli spettacoli si concentra sulla tradizione romagnola, quella del “liscio” cresciuto all'ombra del maestro Secondo Casadei e della sua orchestra ed è proprio su questa che si è articolato il progetto della fotografa ravennate. Per la realizzazione delle

immagini è stato quindi necessario un'immersione nei locali dove bambini e giovani di entrambi i sessi imparano a ballare polka, mazurka e valzer, in questo caso la scuola del maestro Bruno Malpassi a San Marco, vicino a Ravenna. Dopo di che, Alessandra ha indagato i

luoghi consacrati al culto del repertorio del ballo romagnolo, quei locali – come la Cà del Liscio o i locali dell'associazione "Amare Ravenna" – frequentati anche due-tre volte la settimana da gruppi numerosi di uomini e donne di seconda e terza età. Alcune delle fotografie del

progetto riprendono questi scenari, ancora vuoti della presenza delle persone, rendendo evidente lo sviluppo delle balere di una volta in locali fluorescenti, oggi più vicini alle discoteche degli anni '70. Oltre agli spazi, l'indagine è stata condotta anche sulle persone,


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immaginario 27 Ravenna Festival Magazine 2013

immortalate in una serie di scatti incisivi, suddivisi fra ritratti di giovani e giovanissimi in posa nei costumi di scena e una serie di dettagli presi all'interno dei locali: intrecci di mani laccate, scarpe da ballo, acconciature e décolleté, tessuti e calze lucenti, pizzi, ancora mani maschili che trattengono schiene fasciate. Tornando alle riflessioni di Berger, queste due belle serie di immagini non conservano il significato degli incontri nei locali, non raccontano la vivacità delle persone, l'entusiasmo della danza o le relazioni intrecciate, così come non riportano le motivazioni personali o ciò che è accaduto. Anzi, il rispetto per le vite altrui e la consapevolezza di portare a compimento una traduzione/tradimento, ha spinto la fotografa a tagliare i volti delle persone fuori campo, lasciando protagonisti solo gli oggetti o le parti dei corpi. È il rituale ad essere protagonista dell'apparizione con tutti gli accessori di corredo, non le vite o il loro narrato. Il rito della danza riporta agli incontri di uomini e donne, che si propongono nel gioco delle apparenze, secondo un mansionario collaudato da generazioni: la scarpa col tacco, lo stivaletto appuntito per lei, il mocassino per lui, le calze a rete, di pizzo o lucide, i gioielli per le donne o il braccialetto maschile, l'acconciatura fresca di parrucchiere, la giacca di pizzo nero, i tessuti di pajettes, tigrati o a fiori, il nero, l'oro, l'argento e l'intramontabile rosso. In ciascuno di questi dettagli si

dipana il gioco del maschile e del femminile, del gioco della seduzione dei generi nell'ambito di un immaginario nazionalpopolare, il medesimo di cui parlano i testi delle canzoni più famose del liscio romagnolo. Se quindi lo sguardo di chi fotografa non ci consegna la vita dei protagonisti delle immagini, riesce però a fermare quello scambio di apparenze su cui si articola da sempre (e sempre diversamente) la reciproca seduzione dei generi. Ancora più chiaro è il messaggio nelle immagini eseguite nella scuola di danza, dove in virtù della giovane età dei ballerini, lo scarto con le vite è più evidente: tessuti plissettati per le ragazze, morbidi, talvolta cortissimi, pieni di volants e sbuffi, in un rendiconto proprio agli anni '50, dove i maschi accordano il colore di fusciacche, cinture e colletti, sul tono dell'abito della propria partner. Tutti dritti come fusi, con le mani ai fianchi o con un lembo della gonna rialzato, ad imitazione di una grazia da statuina di ceramica, che l'immaginario collettivo non ha mai abbandonato. La tensione della ricerca di Alesandra affonda sull'oggetto a cui è affidato un ruolo preciso, sul corpo o sulla posa che si piega e si predispone al rituale collettivo, seguendo un manuale non scritto. Le sue immagini dimostrano che solo con la fotografia, e lasciando fuori campo le vite, è possibile immortalare il gioco delle apparenze senza tradire nè il senso del mezzo, nè le vite stesse.❍


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INTERVISTA RFM2013:Rafest mastro 20/05/13 17:06 Pagina 29

l’intervista 29 Ravenna Festival Magazine 2013

«La musica e l’umanità di Verdi sono universali di una universalità come è la preghierà» Cristina Mazzavillani Muti rievoca il tema “popolare” di questa edizione del Ravenna Festival, a partire dal grande genio dell’opera italiana, e si sofferma sulle radici romagnole: «Certi ritmi, certe musiche, te le ritrovi dentro, quasi una carezza che parte dalla memoria» DI ANNA DE LUTIIS

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Il programma della XXIV edizione di Ravenna Festival annuncia "Alchimie popolari" e aggiunge approfondendo maggiormente l'aggancio alla realtà musicale della Romagna "Una balera ai Giardini". Dopo il grande entusiasmo del pubblico in occasione della presentazione, in un momento di riflessione, ora che ci si avvicina alla data di inaugurazione, viene spontaneo chiedere a colei che da anni rappresenta la mente e l'anima del Festival, Cristina Mazzavillani Muti, come sta andando l'attuazione del programma. L'idea, prodotto della sua intuizione, è fantastica. Pensa, a questo punto, che il Festival risulterà come l'aveva pensato, vale a dire riuscirà ad amalgamare temi tanto diversi, almeno all'apparenza? «Abbastanza, sì, può sembrare che ci sia una certa confusione ma a guardare il programma con attenzione tutto risulterà collegato, molto fluido nel senso che questo input che Verdi ci ha suggerito darà vita ad un programma coinvolgente e soddisfacente. Ricordiamo che questo è l'anno verdiano, l'anno in cui la scelta è andata per amore sul grande compositore per eccellenza popolare, cantato e decantato da tutti in quanto "pianse d'amor per tutti", nel senso che è capace di parlare in tutte le lingue e a tutte le civiltà, cosa che abbiamo potuto costatare sia in Oman che in Barhein, soprattutto in quest'ultimo paese che non aveva mai avuto modo di conoscere l'Opera, ma neppure aveva mai avuto un teatro, quello che noi abbiamo inaugurato, eppure è stato facile per la musica raggiungere la loro sensibilità, commuoverli e coinvolgerli tutti, come fossimo stati in Italia. È vero, infatti, che la musica e l'umanità di Verdi sono universali di una universalità come è la preghiera... Tutto ciò ci ha portati al tema popolare e noi abbiamo voluto scendere alle

nostre radici per andare a incontrare quelle cose che con umiltà, con semplicità ma anche con grande verità ci riconduce all'opera di Verdi». Lei gira tutto il mondo, eppure torna sempre a parlare delle sue radici. Quanto sono radicati in lei i temi che rappresentano la romagnolità? È bello scoprirlo, e lo sto scoprendo: questa è una cosa impressionante, perché più indaghi la materia e più scopri di averle in te e ci si chiede il perché amiamo certe

musiche, certi ritmi poi scopriamo che erano cantati dalla nonna, dal nonno. Personalmente ricordo che gli spettacoli dei burattini, quando seguivo mio padre, erano intervallati da valzer, polke, mazurche e saltarelli, cose che ritrovi dentro di te e ti rendi conto di essere pronta per ricordarle e passarle agli altri, quasi una carezza che parte dalla memoria». La musica romagnola si mescolerà a quella proveniente dai Balcani, dai

paesi dell'Est, da altri ancora, pensa che abbiano molto in comune? «Sicuramente. Abbiamo un filo comune formato da ninne nanne, da filastrocche. Pensa che Bartolomey, violoncello storico dei Wiener Philharmoniker, che verrà a suonare con la Cherubini in una serata dedicata ai valzer di Strauss, “Un classico giro di valzer”, quando ha ricevuto la musica dei nostri valzer di Casadei ha detto “siamo a casa!” d'altronde perché è diventa-

ta un'abitudine ascoltare il concerto di Capodanno, tradizione prettamente viennese? Perché è nelle nostre corde»! In questi ultimi anni ha riscoperto e valorizzato alcuni luoghi della città proponendoli come luoghi per concerti e spettacoli. In questa edizione ha messo in primo piano i Giardini Pubblici di Ravenna dove sarà allestita una balera. Perché ci tiene così tanto? «Nei primi anni della mia vita ho vissuto con un terrazzo che dava

sui giardini, di lì vedevo le feste che li animavano, a volte potevo andarvi con le mie sorelle a giocare. Ho sempre ammirato l'architettura che li delimita, la Loggetta Lombardesca deliziosa, poi ricordo che i saggi di educazione fisica, fino al Liceo, li facevamo ai giardini, intorno alla fontana. Ho perfino scoperto che i primi incontri di calcio avvenivano lì, proprio dove c'è la fontana delimitata da gradinate, cosa che non sapevo. In questa edizione di Ravenna Festival i giardini diventeranno il vero cuore della musica e del ballo romagnolo e spero che in seguito continueranno ad esserci spettacoli per mantenerli vivi». Il concerto dell'Amicizia ha come meta Mirandola. Cosa porterà il Festival a questa città martoriata dal terremoto? «A parte qualche borsa di studio che vada a recuperare alcuni strumenti che sono andati distrutti, aule che necessitano di risistemazione, il Concerto porterà un abbraccio di solidarietà perché non si sentano, i cittadini, abbandonati, in questo momento in cui il Paese deve risolvere tanti problemi; il nostro sarà davvero un abbraccio perché insieme alla Cherubini e all'Orchestra Giovanile di Fiesole ci saranno le scuole di musica delle città terremotate, Modena compresa. Sul palco saranno più di quattrocento e penso che sarà una bella soddisfazione artistica per i giovani musicisti essere diretti dal maestro Muti. A questo proposito devo dire che il maestro è sempre disponibile, come ha fatto in tanti luoghi perché, in certe circostanze è importante il significato che la musica acquista e in questi casi le motivazioni sono molto più alte di quanto possa essere il risultato artistico. In Jugoslavia, in Africa, a Trieste, la musica ha abbracciato le differenze e ha comunicato affetto e vicinanza. Questo è lo scopo del Concerto dell'Amicizia della XXIV edizione di Ravenna Festival». ❍


30 34 ShakeVerdi RFM:Rafest mastro 20/05/13 21:16 Pagina 30

30 geni a confronto Ravenna Festival Magazine 2013

Shakespeare e Verdi: le passioni universali dell'uomo dappertutto potrebbero avvertirsi prefigurazioni o echi di lui, nel quale convergono come in una maestosa confluenza le acque di molti fiumi. La sua personalità certo eclissa chiunque le stia vicino; [...] E per diverse che siano le tempre dei drammaturghi elisabettiani, Marlowe e Chepman e Messinger e Webster e Ford, non si tesse l'elogio di una virtù

DI

ANNA DE LUTIIS

Non accade spesso che due autori vissuti a distanza di secoli, in luoghi diversi, possano incontrarsi nell'esprimere le stesse passioni umane:amore, odio, invidia, sete di potere, le forze che governano il mondo. È accaduto al Bardo di Stratfordupon Avon e al Cigno di Busseto, il più grande autore di teatro e il grande genio della musica italiana. Verdi aveva da sempre sul suo comodino tutte le opere di Shakespeare ben consapevole che il suo teatro aveva avvicinato il popolo al gusto di 'vedere' la parola resa viva attraverso il gesto, la recitazione, portando sul palcoscenico, spesso improvvisato, il dramma della vita in tutte le sue sfaccettature proprio come lui, Verdi, ha sempre inteso fare coinvolgendo il popolo nelle vite appassionate dei suoi personaggi, comprendendo in molte occasioni quali fossero le sue speranze di popolo oppresso che anelava alla libertà. «Tutta la letteratura inglese – scrive Mario Praz – potrebbe interpretarsi in chiave di questo Sommo, (Shakespeare) e

sottrarsi al fascino di questi stimoli, gli stessi che lui sentiva in sé, proprio lui, il musicista poeta che come Pirandello percepiva attorno a sé i personaggi che volevano vivere nella sua musica, volevano esprimere attraverso la musica le passioni che neppur sempre la sola parola riesce a fare? È così che si verifica un trasferimento, spesso modificato in alcuni aspetti ma autentico nel contenuto e nella forza espressiva, da Shakespeare a Verdi, tramite i libretti su cui si basano le opere. «Verdi è il musicista della Vita – dice Riccardo Muti nel libro Verdi l'Italiano – e certo è stato il musicista della mia vita. È un compositore talmente capace di mettere a nudo e trattare le nostre passioni e i nostri dolori, i nostri pregi e i nostri difetti, che noi ci riconosciamo tutti in essi, e questo è uno dei motivi della sua universalità:sarà sempre attuale». E ancora: «Verdi, infatti, non ti stravolge mai:ti fa sempre sentire che ti è vicino e ti comprende. Entrando in contatto con la sua musica e il suo teatro, hai la sensazione di un musicista che parla all'uomo dell'uomo, vivendo tutti i sentimenti in prima persona. Studiando sempre più di questo autore, sono convinto

d'ognuno di essi, che quella virtù, o di solenne eloquio o di vibrante accento umano, non si ritrovi d'assai potenziata in Shakespeare». È proprio l'accento umano la chiave che affascinava, e affascina oggi, il pubblico che accorreva per assistere alle rappresentazioni: cortigiani, benestanti, artigiani, popolo minuto, le folle, tutti con pari passione. Ognuno trovava il personaggio o la vicenda in cui immedesimarsi, evadere e vivere diversamente per la durata dello spettacolo: di qui la necessità di offrire al pubblico quella mescolanza di sublime e di grottesco, di raffinatezza e di volgarità, di profondi significati e di esteriore buffoneria, una impareggiabile varietà di motivi che Nelle immagini, i ritratti e le rappresentano gli aspetti rispettive case natale di William Shakespeare palesi e nascosti e Giuseppe Verdi dell'animo umano. Come poteva Giuseppe Verdi

infatti che i personaggi siano per lui un mezzo per esprimere molti dei suoi stati d'animo e in ogni opera ce n'è almeno uno che rappresenta una trasposizione del compositore». I suoi personaggi, dunque, finiscono per diventare prototipo di un modo di essere universale, come Desdemona che, per esempio, diventa l'emblema della donna dolce, comprensiva, scevra da ogni pregiudizio, paziente, innamorata. E tutti sappiamo la triste e ingiusta conclusione. Dramma di ieri? no, purtroppo ancora attuale e non sulla scena ma nella realtà. Verdi è compreso da tutti, da cinesi, australiani, peruviani, arabi... perché il suo messaggio arriva dal profondo del cuore, di un cuore grande capace di dare calore alle passioni attraverso la musica. Aveva ben ragion D'Annunzio che nelle poche parole di saluto, alla morte del grande compositore scrisse «Diede una voce alla speranza e ai lutti./Pianse ed amò per tutti». Dal connubio Verdi Shakespeare nascono tre grandi opere:


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geni a confronto 31 Ravenna Festival Magazine 2013

Macbeth, Otello e Falstaff e saranno queste le protagoniste del prossimo autunno, una trilogia che vedrà Cristina Mazzavillani Muti impegnata nella regia. Per la seconda volta la presidente di Ravenna Festival rende omaggio al grande Maestro a duecento anni dalla sua nascita con una trilogia che la vede già coinvolta nella ricerca di un modo sempre personale ma allo stesso tempo vicino alla stesura originale del grande Maestro. «Mi sembra un salto non nel buio ma nel vuoto perché sento la grande responsabilità, e anche per la grande emozione che provo addentrandomi in questi capolavori meravigliosi. Ma le motivazioni sono talmente belle, talmente alte e ormai ho toccato con mano i risultati che penso ne valga la pena, a partire dalla promozione di giovani che vado ascoltando e che da soli non troverebbero la via per emergere, in un momento come questo dove i teatri sono in una tale grandissima difficoltà che per far cassa si rivolgono ai grandi nomi. La nostra è un'operazione all'incontrario, è un grande laboratorio i cui risultati sono visibili: bravissimi cantanti che adesso non riesco ad avere neppure io in quanto sono impegnati altrove perché i giovani che scopriamo sono tenuti d'occhio, seguiti e richiesti. Questo ci fa onore perché ci prendiamo delle grandi responsabilità, affrontiamo grandi temi, continuiamo a servirci delle più moderne tecnologie che a volte non sono condivise ma io vado avanti per la mia strada perché sono convinta che i giovani tecnici esperti hanno così l'opportunità di gestire le grandi opere con i loro mezzi sofisticati, sia visivi che audio. Inoltre, in questo modo è più facile portare l'opera in giro per il mondo e far conoscere la nostra musica. Si ha la possibilità di costruire un palcoscenico elastico che permette, con cambiamenti di luci, di modificarlo e adattarlo a situazioni molto diverse. Questa volta, con la nuova trilogia, sarà davvero un unico palcoscenico perché pensato fin dall'inizio all'adattamento delle tre opere. Intendo dire architettura della scena, proiezioni e luci». Per il Trovatore si era ispirata ai luoghi di Ravenna, questa volta dove pensa di attingere le

immagini? «Tutto il gruppo “web”, formato da giovani che avevano seguito l'allestimento della prima trilogia e avevano prodotto i migliori risultati, è attualmente nelle terre verdiane e sta producendo immagini che saranno perfette per Falstaff in quanto questa opera credo abbia proprio i colori di villa Sant'Agata, luogo dove Verdi la scrisse, tenne a dire, quasi solo per se stesso, per ascoltarla proprio nell'intimità della sua villa. I giovani hanno fotografato tutto, dall'acquitrinio, ai viali alberati, ai cancelli, alle carrozze, ai pizzi del suo tavolino, al comodino sul quale Verdi ha sempre tenuto tutta l'opera di Shakespeare, il suo cuscino; inoltre hanno fotografato il teatro di Busseto, e a Roncole la casa dove è nato. Così, come il Trovatore ha vissuto delle immagini di Ravenna, Falstaff vivrà di tutto il mondo verdiano». Otello credo ponga meno problemi ma Macbeth? Come farà a trovare le immagini cupe che suggeriscono intrighi notturni? «Ho scoperto un pittore fantastico, simbolico e visionario, Alberto Giacomo Spiridione Martini, protagonista di una splendida pubblicazione che illustra la Divina Commedia, ecco quelle immagini cupe, buie mi sono venute incontro e hanno incrociato la mia strada proprio quando cercavo nella mia mente, senza volere ricalcare percorsi già fatti attingendo ai Preraffaelliti o a Füssli. Ecco l'autore che fa per me, ho pensato, l'evocatore delle mie immagini per Macbeth. Shakespeare e Verdi sono i due grandi che hanno saputo trascinare il popolo avvicinandolo al teatro il primo, il secondo alla musica perché hanno saputo parlare il linguaggio delle emozioni e delle loro passioni universali: la parola resa viva dal gesto, le note che attraverso gli strumenti e il canto raggiungono i luoghi più reconditi dell'anima». Ed ecco Macbeth, rivisitato nel libretto di Francesco Maria Piave, dramma del potere preannunciato da una profezia,

Dall’alto immagini di “Falstaff” e “Otello” e, qui a fianco, “Macbeth” illustrato da Alberto Martini


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34 geni a confronto Ravenna Festival Magazine 2013

Le streghe del Macbeth dipinte da Fussli.

perciò inseguibile ad ogni costo, spazzando ogni ostacolo che si presenti sulla via: il protagonista sorretto da Lady Macbeth entrambi offuscati dall'ambizione. La partitura di Macbeth ha qualcosa di insolito che va al di là dei confini della convenzione e della routine. Lo sforzo di rendere giustizia al suo modello drammatico spinse Verdi ad affrontare percorsi fino ad allora inesplorati. Ne sono prova le innovazioni formali e lo stesso linguaggio musicale: sviluppi armonici audaci, sorprendenti, la scoperta di nuovi timbri, l'uso

delle tonalità. I crocchi di streghe sono realizzati con coro femminile a tre voci, quelle strane creature che Verdi considerava terzo protagonista dell'opera insieme a Macbeth e Lady Macbeth. Nel dramma shakespeariano il popolo non ha un ruolo rilevante ma Verdi, nel decennio cruciale del Risorgimento volle inserire almeno una grande scena corale. Segue Otello, anzi Othello, su libretto di Arrigo Boito. "Un grande sentimento d'amore, di purezza, di nobiltà, di mansuetudine, d'ingenuità, di rassegnazione deve apparire in questa castissima ed armonica figura di Desdemona – annotava Arrigo Boito – più le sue movenze saranno semplici e miti, più desterà la commozione nello

spettatore, la grazia della gioventù e della bellezza completeranno codesta impressione». Infatti musicalmente Desdemona è descritta con una bellezza e una nobiltà insuperabili, di cui non gode nessun altro personaggio verdiano. A concludere la trilogia sarà Falstaff, su libretto di Arrigo Boito, tratto dalla commedia The Merry Wives of Windsor e dal dramma Henry the Fourth(Part One and Part Two) ma sarà anche l'ultima opera di Verdi. Il grasso signore protagonista, Falstaff, acquista rilievo grazie soprattutto ai suoi monologhi che derivano da alcune parti dell'Enrico IV mentre la storia d'amore fra Annetta e Fentone è un amore allegro, felice, duettante, privo di elementi tragici, anche se pervaso da un'ombra di nostalgia in quanto si tratta dello sguardo di un artista anziano sulla giovinezza e sull'amore. C'è un altro momento che porta l'opera di Verdi e Boito a un livello poetico: l'evocazione del magico e del fantastico. Quello che

mancava alla scena del parco di Windsor nelle Merry Wives of Windsor, qui si avvicina al meraviglioso, apparentandosi piuttosto all'atmosfera fiabesca del shakespeariano A Midsummer Nignt's Dream. Musica e scena, insieme, creano un mondo veramente magico. Falstaff è il vertice assoluto del talento artistico di Verdi e dal punto di vista della tecnica compositiva rappresenta il culmine della sua produzione. L'autoironia di Falstaff è anche quella di Verdi, il grande mago del teatro che, al termine della monumentale opera di tutta una vita, si congeda dal mondo con una fragorosa risata. Anche l'autore ne è consapevole e se ne compiace:«Fino all'Otello ho scritto per il pubblico, con il Falstaff alla fine ho scritto qualche cosa per me». «È il Verdi della maturità – scrive Muti nell'opera citata – un lungo percorso che parte dal bel canto e poi, piano piano, va avanti in una maniera sempre più complessa, fino ad arrivare alla sublimazione del Falstaff». ❍

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36 sinfonica Ravenna Festival Magazine 2013

Muti e Verdi, per un gesto di fratellanza

all’Emilia colpita dal terremoto

L’orchestra dell’Opera di Roma

DI TARCISIO BALBO

Esprimersi in prima persona mentre si scrive l’articolo per una rivista è un errore da matita rossa; ed è quasi da censura se

Riccardo Muti

all’autore salta il ticchio di raccontare le proprie vicende personali. Ma stavolta è diverso. Insegno Storia della musica in conservatorio, a Modena, dove vivo. Lo scorso maggio svolgevo

le mie attività di sempre. Routine: facevo lezione ai miei ragazzi, studiavo, pianificavo l’imminente sessione d’esami. Poi, d’improvviso, accade ciò che mai avresti immaginato: passato il terrore provocato dall’indescrivibile rumore del terremoto, dalla casa che sobbalza e ondeggia, corri dai tuoi cari nella stanza accanto; fuggi il più velocemente possibile; e riacquistata la calma cerchi di telefonare ai tuoi studenti sparsi per la Bassa, ai colleghi che sai abitare nelle zone più colpite… I miei ragazzi li ho incontrati nei giorni successivi al terremoto: all’aperto, un po’ perché l’Istituto non aveva ancora potuto riaprire i battenti, un po’ perché si aveva paura a entrarci; li ho rivisti durante gli esami, svolti il più lontano possibile dalla zona

dell’epicentro. Il prossimo 4 luglio, i miei ragazzi del “Vecchi Tonelli” di Modena e Carpi suoneranno sotto la direzione di Riccardo Muti, a Mirandola, dopo essersi esibiti il giorno prima a Ravenna. Suoneranno assieme ai loro compagni della Scuola di musica “Andreoli” di Mirandola, assieme ai loro fratelli maggiori dell’Orchestra Giovanile Cherubini e dell’Orchestra Giovanile Italiana, al Coro del Teatro Municipale di Piacenza e ai membri delle tante e tante corali sparse per tutta la Bassa modenese. Assieme a Monica Tarone, Anna Malavasi, Francesco Meli, Nicola Alaimo, Luca Dall’Amico, eseguiranno Verdi, non tanto – mi piace pensarlo – perché nel 2013 cade il bicentenario della sua nascita, quanto perché Verdi è quasi un compaesano, un vicino di casa (a


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38 sinfonica Ravenna Festival Magazine 2011 Modena la sede del “Vecchi Tonelli” sorge giusto accanto al Teatro Comunale “Pavarotti”) e perché la sua immagine e la sua musica sono una testimonianza tangibile di quella forza e di quella tenacia emiliana che tanto ha dato prova di sé in quest’ultimo anno. I miei ragazzi si cimenteranno con La forza del Destino, Il trovatore, Un ballo in maschera, La traviata, Macbeth, Nabucco. Soprattutto Nabucco. Perché è l’opera di chi non si piega di fronte alle sventure e lotta per i propri ideali, per le proprie cose. È roba da melomani, magari qualcuno non lo ricorda; perciò vale la pena ricordare cosa succede in Nabucco dopo il celebre “Va’ pensiero”: Zaccaria irrompe in scena e apostrofa gli Ebrei dolenti: “Oh chi piange? di femmine imbelli | chi solleva lamenti all’Eterno? | Oh sorgete, angosciati fratelli, | sul mio labbro favella il Signor! || Del futuro nel buio discerno…”. La risposta degli Ebrei alla fine della scena è categorica: “Sì, fia rotta l’indegna catena, | già si scuote di Giuda il

valor!”. Ecco: che si cantino queste parole nel cuore dell’Emilia, a un anno dal terremoto, per il bicentenario di Verdi, ha del singolare e del commovente insieme. Non è forse un caso se il 13 luglio Riccardo Muti eseguirà informa di concerto proprio Nabucco: l’opera che per Verdi rappresentava il primo vero grande successo di una lunghissima carriera. Assieme al Maestro Muti, sul palco del Palazzo Mauro De Andrè ci saranno l’Orchestra e il Coro del Teatro dell’Opera di Roma, di cui Riccardo Muti è direttore musicale dal 2009; solisti, Luca Salsi (Nabucco), Francesco Meli (Ismaele), Riccardo Zanellato (Zaccaria), un’ospite ormai regolare di Ravenna Festival come Tatiana Serjan (Abigaille), e ancora Sonia Ganassi (Fenena), Saverio Fiore (Abdallo), Simge Büyükedes (Anna) e Luca Dall’Amico (Il gran sacerdote di Belo). A contornare tali poderosi pilastri della serie sinfonica di Ravenna Festival, due insoliti e

interessantissimi appuntamenti. Il 15 giugno, l’Evolution Tempo Orchestra diretta da George Natsis accompagnerà uno tra i maggiori chitarristi elettrici (verrebbe da dire: il più grande) di tutti i tempi. Steve Vai: il Paganini delle sei corde rock, che in un bellissimo film del 1986, Mississipi Adventure, compariva nei panni di un chitarrista elettrico blues che aveva venduto l’anima al diavolo. A Ravenna Vai riproporrà le proprie String Theories (il titolo del suo tour del 2007, parallelo al quasi omonimo album Sound Theories), sostenuto da un’intera orchestra sinfonica anziché dal piccolo ensemble acusticoelettrico della versione originale. Il 23 giugno sarà la volta dell’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini guidata dal Konzertmeister Franz Bartolomey (membro di prima grandezza

Il konzertmeister dei Wiener Philharmoniker Franz Bartolomey

degli immortali Wiener Philharmoniker) a condurre gli spettatori del Festival in un percorso che dal celebre Invito alla danza di Carl Maria von Weber (nella versione orchestrale di Hector Berlioz) arriva al ballo liscio del romagnolo Secondo Casadei, passando per le composizioni di Johann Strauss figlio e per un gioiello d’ispirazione mozartiana come la Quinta sinfonia del viennese Franz Schubert. ❍

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40 la ricerca Ravenna Festival Magazine 2013

A tu per tu con i giovani “ingaggiati” dal Festival per raccogliere suggestioni e materiali utili all’allestimento del Falstaff per la nuova trilogia verdiana diretta da Cristina Muti

Dal Verdi Web alla scoperta

dei luoghi del Maestro

DI MATTEO CAVEZZALI

Corpulento seduttore, privo di morale, Falstaff è il personaggio comico con cui Verdi prende congedo dalle scene dell’opera. Il compositore ormai anziano spiazza per l’ultima volta il pubblico della lirica tornando, dopo il successo del tragico Otello, alla commedia, non senza far arricciare il naso di molti seriosi melomani turbati dalle novità e dalle bizzarrie che quest’opera comportava, come l' assenza di tradizionali pezzi chiusi e l' uso nuovo del declamato. Dopo aver aperto il centenario verdiano con la trilogia popolare, Cristina Mazzavillani Muti e il Ravenna Festival fanno il bis con la trilogia che vede Verdi, assieme al librettista Arrigo Boito, rileggere testi e personaggi di Shakespeare. Il Falstaff, ispirato al personaggio che compare ne Le allegre comari di Windsor e nell’Enrico IV, per morire nell’Enrico V, chiuderà la seconda Trilogia d’autunno dopo Macbeth e Otello. Per fare la regia dell’ultima opera di Verdi, composta da un musicista al culmine del successo, ma anche da un uomo ormai stanco e deluso, a tratti cinico, Cristina Mazzavillani ha scelto di accompagnarsi agli sguardi vergini di sei ragazzi tra i 16 e i 28 anni. Il gruppo si è formato in seguito al lavoro, denominato “Verdi Web”, fatto sulla trilogia popolare presentata al Ravenna Festival del 2012, che fu seguita da diciotto ragazzi che avevano il compito di raccontare la loro visione di quel grande progetto. Questa volta invece il gruppo è composto da tre fotografi: Luca Concas, Martina Zanzani e Miriam Anconelli, due scrittori: Anna Bonazza e Mirko Dadich e il videomaker Matteo Bevilacqua. I sei hanno avuto la possibilità di lavorare alla realizzazione dell’o-

pera stessa. Le scenografie, le immagini e i materiali relativi allo spettacolo nasceranno infatti da un lavoro di ricerca fatto dai ragazzi su Verdi e sulla figura di Falstaff. Il loro percorso nel Falstaff è iniziato da un viaggio fisico nei luoghi verdiani, a Roncole di Busseto, nella casa dove nacque e nella villa dove trascorse molti anni della sua vita. Lì hanno trovato idee, suggestioni e hanno incontrato i discendenti del compositore. «Non ero partita con una idea

precostituita di che foto scattare – spiega Martina Zanzani, una delle ragazze del progetto –. Mi sono lasciata condurre dai sentimenti del momento, da quello che mi comunicava il luogo. Mi ha colpito la figura del bibliotecario di Roncole, che pareva quasi aver conosciuto Verdi personalmente da quante cose ci ha raccontato su di lui. Mi ha affascinato il giardino della sua casa con una specie di grotta, e i mobili, scelti molto accuratamente da Verdi. Ho fotografato dei dettagli,

in cui mi sembrava di rivederlo, come ad esempio una botte liscia che era per me come Falstaff: grosso e amante del vino». Davide Dadich invece era partito per scrivere, ma alla fine ha cambiato idea: «Stavo cercando una storia da raccontare, visto che ero nel gruppo di scrittura. Alla fine invece sono stato colpito da un busto di Verdi eseguito da Vincenzo Gemito nel 1873 e ho fatto un disegno. Ho ritratto Verdi non come un grande maestro da venerare, ma come me l’ho immagino io: un anziano, stanco e burbero, attaccato ai soldi. Un personaggio che potrebbe risultare poco simpatico, ma che celava dietro questo suo aspetto refrattario una genialità e anche grande ironia». «Abbiamo lasciato ai ragazzi un grande grado di libertà – spiega Franco Masotti, co-direttore artistico del Ravenna Festival che ha seguito il progetto Verdi Web –. Ognuno è stato libero di interpretare come voleva le suggestioni emerse dai luoghi verdiani e dal Falstaff. Le nuove generazioni, diversamente da quel che si pensa, non sono affatto passive, hanno molti interessi ed è bastato uno stimolo per generare in loro forti passioni per temi che potevano essere considerati obsoleti. Mentre anni fa nei giovani prevaleva la voglia di allontanarsi del passato e irridere la tradizione, oggi c’è voglia di riscoprirla. Non è un desiderio di trovare dei maestri, ma di incontrare figure da rivisitare e rileggere in chiavi contemporanee. I ragazzi di oggi sembrano dire: “riprendiamoci Verdi, rendendolo nostro contemporaneo”». ❍

Due scatti di Martina Zanzani nei luoghi verdiani dove compaiono i compagni di viaggio e di lavoro, Matteo, Miriam e Luca


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42 grandi solisti Ravenna Festival Magazine 2013

Bahrami, Yo-Yo Ma, Argerich, tre fuoriclasse in assolo

Nella foto in alto: Ramin Bahrami

DI TARCISIO BALBO

Qui sopra: Marta Argerich

A voler fare una battuta, il parterre dei solisti a Ravenna Festival 2013 è un po’ il festival dei bambini prodigio. Perché se c’è qualcosa che accomuna tre

artisti che sono nati più o meno a una generazione di distanza l’uno dall’altro, è l’avere iniziato la propria carriera musicale in tenerissima età, come quasi ogni buon genio che si rispetti. È il caso di Ramin Bahrami, classe 1976, folgorato a cinque anni dalla musica di Bach nella propria casa di Teheran, complice la Partita in mi minore nell’incisione discografica di Glenn Gould. Nel 1979, in Iran (ma Bahrami parla sempre di sé come un Persiano) scoppia la rivoluzione che porterà al potere gli Ayatollah; dopo qualche anno Bahrami fugge in Italia, dove potrà dedicarsi agli studi musicali e dove debutterà, nel 1998 a Catania (il successo è tale che gli viene conferita la cittadinanza onoraria). Dalla Persia all’Italia e poi alla

Germania, sempre con Bach nel cuore: è questo l’itinerario reale di Ramin Bahrami, ed è anche l’itinerario ideale del suo concerto per Ravenna Festival, il 23 maggio, nel quale la musica d’ispirazione italiana di Johann Sebastian Bach (tra tutte, la giovanile Aria variata nello stile italiano e il celeberrimo Concerto italiano), mai uscito dai confini della natìa Turingia, si unisce e a quella di un grande italiano, anzi napoletano di origini siciliane come Domenico Scarlatti, che con Bach e con un altro italiano d’adozione, Georg Friedrich Händel, condivide persino l’anno di nascita: il 1685. Il cosmopolita Yo-Yo Ma – nato a Parigi, da genitori cinesi, e cittadino statunitense – è persino più giovane di Bahrami quando


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grandi solisti 43 Ravenna Festival Magazine 2013

comincia a cimentarsi col violoncello nel 1959, all’età di quattro anni. Allievo della celebre Juilliard School of Music di New York, discepolo del grande Pablo Casals, a otto anni si esibisce accanto a un titano come Leonard Bernstein e da quel momento non smette di girare il mondo, da un certo momento in poi sempre assieme a Petunia (è il nome del suo violoncello: un Domenico Montagnana del 1733 valutato due milioni e mezzo di dollari; ma Yo-Yo Ma ha in uso anche lo Stradivari Davidov appartenuto alla grande Jaqueline Du Pré, e possiede un insolito violoncello in fibra di carbonio made in USA). Sarà una sorta giro del mondo in miniatura quello che Yo-Yo Ma proporrà agli spettatori di Ravenna Festival, il prossimo 14 giugno al Palazzo Mauro De André: dall’Italia pseudosettecentesca della Suite italienne di Igor’ Stravinskij (tratta e arrangiata dal celebre balletto Pulcinella) alla Francia musicale contemporanea con un estratto dal Quatour pour le fin du temps di Olivier Messiaen;

dalla Germania tardoromantica della Sonata in re minore op. 108 di Johannes Brahms, al Sudamerica dell’Alma Brasileira di Heitor Villa-Lobos, dell’immortale Oblivion di Astor Piazzolla e della Dansa Negra del pianista, poeta e compositore brasiliano – nomen omen – Mozart Camargo Guarnieri. Quanto alla settantunenne Marta Argerich, tra le grandi dame del pianismo contemporaneo, parlare di bambina prodigio è quasi eufemistico: a cinque anni comincia a studiare in Argentina, col crotonese Vincenzo Scaramuzza (allievo di Florestano Rossomandi, tra i più grandi pianisti didatti del Novecento); a quindici si perfeziona in Europa con maestri del calibro di Friedrich Gulda e Arturo Benedetti Michelangeli; a sedici anni, nel giro di qualche settimana, vince il Concorso “Busoni” di Bolzano e il Concorso pianistico di Ginevra (gli amanti del pianoforte sanno – mi si perdoni il paragone calcistico – che è come vincere in un colpo solo i campionati mondiali e gli

europei); qualche anno dopo la Argerich aggiungerà al palmarès anche lo “Chopin” di Varsavia. Si possono aggiungere altre gemme a una carriera lunga e disseminata di successi? Di sicuro, visto che oltre a fare la ‘pianista-pianista’ (le sue incisioni di Chopin, Rachmaninov, Ravel, Prokof’ev sono leggenda) Martha Argerich coltiva da anni un mai esausto interesse per le nuove generazioni (il progetto che porta il suo nome ha lanciato numerosi giovani pianisti che faranno sicuramente parlare di sé), e non trascura il gioioso piacere del far musica d’assieme nei numerosi concerti “con gli amici” che

Il violoncellista Yo-Yo Ma e la pianista Kathryn Stott

costituiscono sempre occasioni preziose per accostare linguaggi e stili diversi, e far convivere, come a Ravenna Festival il prossimo 8 luglio, la musica tradizionale ebraica e Messiaen, Debussy e Piazzolla, Schumann e il tango. ❍


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44 simposio internazionale Ravenna Festival Magazine 2013

Salute e malattia

gli esperti Il Comitato scientifico

nella vita della pòlis Dal 22 al 24 maggio a Ravenna si tiene il simposio internazionale dal titolo “Salute malattia - paradigma della polis” con numerosi ospiti provenienti da oltreoceano. Per capire il senso dell’indagine del simposio, citiamo le parole dell’organizzatore Manfredo Pace: «Il titolo del Simposio nasce dalla persuasione che malattia e dolore siano radicati nella persona e che l’accompagnino durante tutta l’esistenza. Bisogna anche riconoscere che salute e malattia non appartengono esclusivamente al corpus delle attività mediche, ma che si intersecano con l’economia e con l’etica. Il concetto di salute non può non fare i conti con l’ambiente culturale, sociale ed economico entro cui si colloca e la medicina non può limitarsi

esclusivamente alla pratica clinica, ma deve affrontare anche i valori e perciò si interseca con la sfera delle scienze

umane». Nella prestigiosa cornice del ridotto del teatro Alighieri, si susseguiranno così personalità del mondo scientifico, interventi e lectio magistralis di giuristi, guide religiose, storici, antropologi, teologi ed economisti per un approccio quanto mai multidisciplinare al tema. All’apertura ci saranno i saluti delle autorità locali, compreso il Presidente della Regione Vasco Errani, e i lavori prenderanno ufficialmente il via alle 17 di mercoledì 22 maggio con la lectio magistralis del professor Byron Good della Harvard University in tema di “Antropologia Medica”. A tutti i partecipanti, per cui è obbligatoria l’iscrizione, sarà offerta la possibilità di assistere al concerto del Ravenna Festival del 23 maggio del grande

Prof. Luigi Bolondi Scuola di Medicina e Chirurgia Alma Mater Studiorum-Università di Bologna Prof. Ugo Luigi Aparo Direttore Sanitario IDI - IRCCS - Roma Dr. Fabrizio Rasi Direttore Dipartimento Medicina Interna Presidio Ospedaliero di Ravenna Prof. Luca Lambertini Direttore Dipartimento di Scienze Economiche, Alma Mater Studiorum-Università di Bologna Dott.ssa Raffaella Lamberti Orlando Associazione di Donne Bologna Prof. Pietro Biancardi Insegnante di Filosofia, Bologna

pianista Ramin Bahrami, nel concerto dedicato a Bach e Scarlatti per altro sponsorizzato da Reclam. Il simposio è promosso dall’associazione Nazionale dei Medici e delle Direzioni Ospedaliere. www.simposiosalutemalattia.it. ❍

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46 antico e contemporaneo Ravenna Festival Magazine 2013

Martina Filjak

Il Coro Sant’Efrem

Danze ungheresi e polifonia poi l’omaggio a Berio, Mina e Piazzolla

DI TARCISIO

BALBO

In Che cos’è la musica?, un bel libro uscito in Italia quindici anni or sono, Carl Dahlhaus, tra i massimi musicologi del secolo ventesimo, scrive: «in tedesco è grammaticalmente scorretto volgere al plurale la parola “musica”». È un problema, quello della frattura tra i generi musicali, della divisione tra musica “alta” e musica “bassa”, originatosi già nell’Ottocento e divenuto sempre più ingombrante col passare dei decenni. Eppure i nostri antenati musicali e alcuni compositori del secolo scorso sapevano benissimo che la Musica, con la maiuscola, è una sola. Lo sapeva persino Georg Philipp Telemann allorché attingeva al patrimonio danzereccio europeo per raffigurare in musica Les nations anciennes et modernes. A riproporre il suo piccolo capolavoro penseranno, il 16 giugno, nell’anno culturale Italia Ungheria, Zsolt Kalló e la Capella Savaria: l’ensemble ungherese specializzato nel repertorio settecentesco, che con una storia più che trentennale ha pian piano conquistato un posto di riguardo nel panorama della historically

informed performance. Senza mai trascurare i legami con la propria terra d’origine, come testimonierà l’esecuzione a Ravenna di alcune danze ungheresi dei secoli XVIII e XIX trasmesse da rari manoscritti dell’Est europeo, assieme alle composizioni di Márk Rózsavölgyi: compositore e violinista ungherese ammirato persino da Liszt. Il terreno su cui si muove la Capella Savaria è, tutto sommato, quello su cui si muove la pianista croata Martina Filjak, che il 12

Luciano Berio

luglio illustrerà l’idea del “popolare” in musica visto dal lato “colto” di compositori quali Chopin, Liszt e Brahms, e dei pionieri della riscoperta “oggettiva” dei grandi patrimoni musicali nazionali quali il russo Balakirev, che rievoca un Caucaso fantastico nella propria Islamey, o

l’ungherese Bartók che mette a frutto il proprio lavoro di etnomusicologo nelle celeberrime Danze popolari rumene. Il legame tra Ravenna Festival e l’Ungheria sarà riconfermato ancora il 28 giugno col concerto del Coro Sant’Efrem, che prende il nome dal santo siriaco dottore della Chiesa e primo grande innografo del IV secolo. Il Coro, diretto da Tamás Bubnó, si produrrà in una vera e propria antologia della musica d’autore che tra Otto e Novecento ha affondato le proprie radici nel terreno fertile della musica tradizionale. I nomi di massimo risalto sono quelli che ogni buon musicofilo dovrebbe conoscere: da Glinka a Liszt, da Rachmaninov a Musorgskij, da Bartók a Kodály. Non occorre, ad ogni modo, rivolgersi all’altra metà dell’Europa per mettere in relazione quelle che i più considerano “le due musiche”. Il 7 luglio l’ensemble Odhecaton, tra i gruppi più importanti nel panorama odierno della musica antica, presenterà i frutti di un suggestivo progetto che accosta


Concerti antica RFM2013:Rafest mastro 21/05/13 22:47 Pagina 47

antico e contemporaneo 47 Ravenna Festival Magazine 2013

la polifonia medievale e rinascimentale alla polivocalità tradizionale sarda interpretata da Su Cuncordu ‘e su Rosariu di Santu Lussurgiu (il “cuncordu” è il tradizionale quartetto vocale depositario, in Sardegna, di una millenaria pratica esecutiva). È una felice coincidenza che proprio la Sardegna, assieme alla Sicilia, sia la regione italiana rappresentata nei Folk Songs, l’opera forse più nota di Luciano Berio, di cui quest’anno cade il decennale della scomparsa. Il 18 giugno, il Nextime Ensemble, L’Homme Armé, Tempo Reale, e una pattuglia di solisti d’eccezione, renderanno omaggio al grande compositore con un programma che si snoda da Calmo (composto nel 1972 in memoria di un altro grande compositore italiano: Bruno Maderna, scomparso giusto quarant’anni fa) a un classico di Berio come Laborintus II su testo di Edoardo Sanguineti, passando per i Cries of London basati sulle grida dei venditori londinesi d’inizio Ottocento, e per Naturale (1985), su melodie tradizionali siciliane, in cui compare la voce del grande

L’Homme Armé

“cuntista” palermitano Peppino Celano. Non tutti sanno che il catalogo compositivo di Berio comprende anche gli arrangiamenti di due classici beatlesiani come Michelle e Ticket to Ride. A dimostrare che gli steccati tra le musiche cosiddette non hanno senso penseranno, il 2 luglio, l’ensemble Soqquadro Italiano e la voce di Vincenzo

Capezzuto, che riuniranno i madrigali e le canzonette di Claudio Monteverdi (nato nel 1567) e le più celebri canzoni di Mina (classe 1940), assieme alle musiche della cantante e compositrice Barbara Strozzi (vera e propria cantautrice del secolo XVII), da ascoltare assieme al Luigi Tenco di “Vedrai, vedrai”. Il “basso” e l’”alto”, il “colto” e il

“popolare”. Forse nessuno come Astor Piazzolla ha portato a notorietà universale una musica nata tra il popolino e subito nobilitata nei salotti buoni dell’aristocrazia argentina. Alla sua figura e alla sua opera è dedicato il concerto del 10 luglio, col Sestetto Novitango a interpretare i capolavori di uno tra i grandi compositori del ‘900. ❍


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50 il cartellone Ravenna Festival Magazine 2013

giovedì 23 maggio Teatro Alighieri, ore 21

scene e costumi Lez Brotherston sound design Paul Groothius luci Neil Austin

CALORE (1982-2012) Occhèsc / Compagnia Enzo Cosimi regia e coreografia Enzo Cosimi

In esclusiva per l’Italia

martedì 4 giugno Teatro Alighieri ore 18.30 presentazione progetto a cura di Marinella Guatterini

mercoledì 5 giugno Pineta San Vitale, Ca Vecia, ore 18

Flora Papadopoulos arpa doppia

giovedì 13 giugno Teatro Alighieri, ore 21

INGRESSO LIBERO

domenica 9 giugno Teatro Alighieri, ore 21 L’INNO DELL’ULTIMO IMPERATORE D’AFRICA

REGARD SUR LE PASSÉ Epica musicale in tre movimenti diretta da Marco Zanotti Fatoumata Diawara voce solista Baba Sissoko voce narrante, kamalen’goni, tamani

RAMIN BAHRAMI

NELL’AMBITO DEL SIMPOSIO INTERNAZIONALE “SALUTE MALATTIA PARADIGMA DELLA PÒLIS

Classica Orchestra Afrobeat Canto tradizionale “Keme Bourema”

RAMIN BAHRAMI PIANOFORTE Concerto Italiano Viaggio in Italia con J.S. Bach Musiche di Johann Sebastian Bach, Domenico Scarlatti

CONCERTO TREKKING

NELLA GIORNATA MONDIALE PER L’AMBIENTE

CONCERTO TREKKING

Prima assoluta

mercoledì 12 giugno Teatro Rasi, ore 21

a domenica 2 giugno Teatro Alighieri, ore 21 (sab. e dom. anche ore 15.30)

con Michele Carnevali ocarina Primo Montanari fisarmonica e i ballerini del Gruppo Folk Italiano alla Casadei e la partecipazione del fulesta Sergio Diotti

venerdì 14 giugno

Teatro Rasi, ore 21

Palazzo Mauro De André, ore 21

PROGETTO RIC.CI

SLEEPING BEAUTY

MATTHEW BOURNE’S SLEEPING BEAUTY A GOTHIC ROMANCE musiche Pëtr Il’icˇ Cˇajkovskij ideazione, regia e coreografia Matthew Bourne

venerdì 7 giugno LA BOULE DE NEIGE (1985-2013) Baltica / Balletto di Toscana Junior Liberamente tratto da Les enfants terribles di Jean Cocteau regia e coreografia Fabrizio Monteverde sabato 8 giugno

FEELINGS & VOICES

In esclusiva per l’Italia

a sabato 8 giugno

giovedì 6 giugno DUETTO (1989-2011) Parco Butterfly / Fattoria Vittadini coreografia Virgilio Sieni e Alessandro Certini

ANUANG’A AND MAASAÏ VOCALS

prodotto da Mizizi Arts in collaborazione con Just in Time

da giovedì 6

(RECONSTRUCTION ITALIAN CONTEMPORARY CHOREOGRAPHY ’80-’90) METTIAMO IN MOTO LA MEMORIA

LA NUOVA DANZA AFRICANA

coreografia, ideazione e danza Fernando Anuang’A musica live le voci Maasaï interpreti Benson Shompoo Katitia, Teto Lemaiduk, Nakulapan Ole Lonkoi, Kawuet Ole Muatata Naipenyu, Eric Konee Sakaya, Losotua Shukuru

ALLA RICERCA DEL MAZAPÉGUL

da giovedì 30 maggio

ANUANG’A AND MAASAÏ VOCALS

YO-YO MA SIMONA BERTOZZI E MANFREDI PEREGO

(VIOLONCELLO)

KATHRYN STOTT OMAGGIO AD ARCANGELO CORELLI NEL TERZO CENTENARIO DELLA MORTE

ELOGIO DE “LA FOLIA” coreografia Simona Bertozzi interpreti Simona Bertozzi, Manfredi Perego progetto luci e scene Antonio Rinaldi Arcangelo Corelli Sonate per violino e continuo op. V Delfico Ensemble Andrea Vassalle violino barocco Federica Bianchi clavicembalo Valeria Brunelli violoncello barocco

(PIANOFORTE)

musiche di Stravinskij, Villa-Lobos, Piazzolla, Guarnieri, De Falla, Messiaen, Brahms In esclusiva per l’Italia

sabato 15 giugno Palazzo Mauro De André, ore 21

STEVE VAI & EVOLUTION TEMPO


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52 il cartellone Ravenna Festival Magazine 2013

ILLUSTRAZIONE DI FORTUNA TODISCO, SPECIAL THANKS TO IED, MILANO

ORCHESTRA direttore George Natsis Steve Vai’s String Theories

tamburi e voce

martedì 18 giugno Giardini Pubblici, ore 21.30

domenica 16 giugno Teatro Alighieri, ore 21

CAPELLA SAVARIA maestro concertatore Zsolt Kalló musiche George Philipp Telemann, Márk Rózsavölgyi e danze ungheresi del XVIII e XIX secolo

lunedì 17 giugno Giardini Pubblici, ore 19 LA GRANDE ORCHESTRA DELLA ROMAGNA

LA BALERA AI GIARDINI - SERATA DANZANTE

POLKA DAY con la “Grande Orchestra della Romagna” con la partecipazione dei solisti delle orchestre di Romagna Orchestra Luca Bergamini Orchestra Edmondo Comandini Orchestra Roberta Cappelletti Orchestra Patrizia Ceccarelli Orchestra Castellina Pasi Orchestra Storia di Romagna Orchestra Gabriele & Milva Orchestra Alberto e Gianpiero Vincenzi Orchestra Musica e Parole Orchestra Bucci Band RESTI DELL’ACQUEDOTTO ROMANO NEL DUOMO DI RAVENNA

NELL’ANNO INTERNAZIONALE PER LA COOPERAZIONE IDRICA

è uno stile di vita:

RAVENNA CITTÀ D’ACQUE TREKKING URBANO

FIGURELLA RAVENNA Viale Sergio Cavina 25 - 48123 RAVENNA (Centro Comm. San Biagio) Tel. 0544 38045

con la collaborazione di Gian Franco Andraghetti e Pietro Barberini installazioni site specific Luigi Berardi archeo-guide a cura di RavennAntica

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con la partecipazione di Napolincanto Gianni Aversano voce, chitarra e recitazione Domenico De Luca chitarra e percussione Michele De Martino mandolino Valentina Ferraiuolo

conducono la serata Fulvio Bertolini, Moreno Conficconi e Anna Maria Allegretti

mercoledì 19 giugno Teatro Alighieri, ore 21

OMAGGIO A LUCIANO BERIO con Nextime Ensemble, L’Homme Armé, Tempo Reale direttore Danilo Grassi voce solista Monica Bacelli voce recitante Marco Cavalcoli viola Klaus Manfrini percussioni Lisa Bartolini CALMO (1974, anno di revisione 1989) In memoriam Bruno Maderna Per mezzosoprano e 22 strumenti Fonti del testo: Omero, Edoardo Sanguineti, Saadi, Cantico dei Cantici, lirici greci


il cartellone 53 Ravenna Festival Magazine 2013

NEW OPENING Ravenna - via Le Corbusier 12 cell.366 3040411 tel. 0544 1697822 fax 0544 1930815 info@immobiliaremc.com www.immobiliaremc.com SI RICEVE SU APPUNTAMENTO LUCIANO BERIO

Produzione Ravenna Festival

venerdì 21 giugno CRIES OF LONDON (1974; rielaborazione 1976) Per otto voci Fonti del testo: grida dei venditori nelle strade della vecchia Londra

Palazzo Mauro De André, ore 21.30 GRANDI RUOLI MASCHILI NEL BALLETTO CLASSICO E MODERNO

NATURALE (1985) su melodie siciliane Per viola, percussioni e voci registrate

IVAN PUTROV MEN IN MOTION

LABORINTUS II (1965) Per voci, strumenti e nastro magnetico Testo di Edoardo Sanguineti

étoiles ospiti Andrej Ivanov Elena Kuzmina Simon Williams Clyde Harcher Andrej Merkur’iev Andrew Bowman Igor’ Kolb In esclusiva per l’Italia

giovedì 20 giugno Giardini Pubblici, ore 21.30

sabato 22 giugno Palazzo Mauro De André, ore 21

AN EVENING WITH BURT BACHARACH & ORCHESTRA GIOVANILE DEL TEATRO DELL’OPERA DI ROMA

Breakfast Wine Bar American Bar Live Music

Roberta Bacciolo, Elena Bacciolo, Paolo Mosele, Fulvio Albertin voci Luca Rigazio batteria Saverio Miele contrabbasso Fulvio Di Nunzio pianoforte

domenica 23 giugno Palazzo Mauro De André, ore 21 DA WEBER A CASADEI PASSANDO PER STRAUSS FANFARA TIRANA

LA BALERA AI GIARDINI

BANDITALIANA & FANFARA TIRANA A EST DEL LISCIO

UN CLASSICO GIRO DI VALZER ORCHESTRA GIOVANILE LUIGI CHERUBINI KONZERTMEISTER FRANZ BARTOLOMEY Franz Schubert Sinfonia n. 5 Carl Maria von Weber

Via Quattro Novembre, 51 Ravenna, RA Tel. 0544 217023 chiuso la domenica barorientespresso.wordpress.com


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54 il cartellone Ravenna Festival Magazine 2013

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Invito alla danza op. 65 (orchestrazione di Hector Berlioz) Johann Strauss figlio “Voci di primavera” Valzer op. 410 Romanza per violoncello e orchestra in re minore op. 24 “Dolci pianti” per violoncello e orchestra in sol maggiore op. postuma Romanza per violoncello e orchestra in sol minore op. 255 Jean Sibelius Valse triste op. 44

dal 1954

Professionalità e Competenza

MILONGA CON EL CACHIVACHE Victorio Venturino chitarra Pablo Montanelli pianoforte Alejandro Szabo bandoneon Carolina Paterson Marco violino Sergio Veloso voce in collaborazione con Verdemilonga Tango Club

martedì 25 giugno Giardini Pubblici, ore 21.30 LA BALERA AI GIARDINI - QUANDO

Fritz Kleiser Liebesleid per violoncello e orchestra

IL PROGRESSIVE ROCK INCONTRA IL VALZER

Johann Strauss figlio “Pizzicato” Polka op. 234 “Cuor leggero” Polka op. 319

DAL TRAMONTO ALL’ALBA TRE QUARTI DEL NOSTRO CAMMINO

Secondo Casadei Dolore Produzione Ravenna Festival

lunedì 24 giugno Giardini Pubblici, ore 21.30

EQU Gabriele Graziani voce Vanni Crociani pianoforte, sintetizzatori Alessandro Fabbri batteria, spirali, molle Michele Barbagli chitarre, basso chiusura con le cante romagnole interpretate dai Bluesburdel negli arrangiamenti originali di Giuseppe Zanca

mercoledì 26 giugno Giardini Pubblici, ore 21.30 LA BALERA AI GIARDINI

GIANLUIGI TROVESI & GIANNI COSCIA

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Gianluigi Trovesi clarinetti Gianni Coscia fisarmonica

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giovedì 27 giugno Giardini Pubblici, ore 19 EL CACHIVACHE

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COMPAGNIA NERVAL TEATRO LA BALERA AI GIARDINI - SERATA DANZANTE

CHE COSA SONO


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il cartellone 55 Ravenna Festival Magazine 2013

RAVENNA via Ravegnana 481 cel. 0544 406978 info@villamimosa.ra.it www.villamimosa.ra.it IL CORO SANT’EFREM

SANT’EFREM (UNGHERIA)

COMPAGNIA NERVAL TEATRO

LE NUVOLE Liberamente tratto dall’omonimo cortometraggio di Pier Paolo Pasolini con Simone Bernardoni, Ilaria Giari, Marco Lambardi, Gianluca Mannari, Federica Rinaldi, Valentina Scarpellini, Diana Spadoni, Cesare Tedesco, Elena Tomaino, Vincenzo Viola, Paolo Faccenda, Lucy Statelli, Roberto Capaldi

IL CANTO CORALE DALLE RADICI BIZANTINE AL CUORE D’EUROPA musiche di Márk Bubnó, György Philipp, Mikhail Glinka, Ferenc Liszt, Lesya Dichko, Sergei Rachmaninov, Modest Mussorgsky, Tamás Bubnó, Béla Bartók, Zoltán Kodály in collaborazione con il Consolato Generale di Ungheria nell’anno culturale Italia-Ungheria

venerdì 28 giugno Giardini Pubblici, ore 21.30

regia di Maurizio Lupinelli produzione Nerval Teatro, Armunia Festival Inequilibrio, Regione Toscana in collaborazione con Consorzio Nuovo Futuro

giovedì 27 giugno Palazzo Mauro De André, ore 21 OMAGGIO A SECONDO CASADEI

SECONDO A NESSUNO Il liscio delle origini Sestetto 1928 Moreno “il Biondo” & Orchestra Grande Evento Orchestra Giovanile Luigi Cherubini direzione e arrangiamenti originali Giorgio Babbini con la partecipazione di Gianluigi Trovesi, Gianni Coscia e Simone Zanchini e il Coro “Terra a terra” degli studenti dell’Istituto Tecnico Agrario “Luigi Perdisa” di Ravenna Produzione Ravenna Festival

venerdì 28 giugno

VINCE VALLICELLI

LA BALERA AI GIARDINI - QUANDO IL BLUES INCONTRA IL DIALETTO ROMAGNOLO

VINCE VALLICELLI & STRINGS CÔM’UN CÂN SÔTA LA LÔNA

domenica 30 giugno Palazzo Mauro De André, ore 21

Basilica di San Vitale, ore 21

OMAGGIO A MICHAEL JACKSON

CORO MASCHILE

ENRICO RAVA


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56 il cartellone Ravenna Festival Magazine 2013

ON THE DANCE FLOOR martedì 2 luglio WE WANT MICHAEL Enrico Rava tromba PM Jazz Lab Mauro Ottolini trombone e tuba Andrea Tofanelli tromba Claudio Corvini tp Daniele Tittarelli sax alto Dan Kinzelman sax tenore Marcello Giannini chitarra Franz Bazzani tastiere Giovanni Guidi pianoforte Dario Deidda basso elettrico Zeno De Rossi batteria Ernesto Lopez Maturell percussioni produzione Fondazione Musica per Roma

Palazzo Mauro De André, ore 21.30 THE DANCE FACTORY (SUDAFRICA)

DADA MASILO’S SWAN LAKE coreografie di Dada Masilo musiche di Pëtr Il’icˇ Cˇajkovskij, Steve Reich, René Avenant, Camille Saint-Saëns, Arvo Pärt In esclusiva per l’Italia

martedì 2 luglio Giardini Pubblici, ore 21.30

ENRICO RAVA CLAUDIO BORGIANNI E VINCENZO CAPEZZUTO

lunedì 1 luglio Giardini Pubblici, ore 21.30

DA MONTEVERDI A MINA

LA BALERA AI GIARDINI - QUANDO IL FOLKLORE ROMAGNOLO INCONTRA IL JAZZ E IL BLUES

IL LUNGO VIAGGIO DELLA MUSICA ITALIANA DAL ’600 FINO AGLI ANNI ’60

SIMONE ZANCHINI OPEN QUARTET

CASADEI SECONDO ME Simone Zanchini fisarmonica, liveelectronics Stefano Bedetti sassofoni, flauto Stefano Senni contrabbasso Zeno De Rossi batteria Giardini Pubblici, ore 23

Soqquadro Italiano Vincenzo Capezzuto voce Davide Castellari sax Rossella Esposito violino barocco Simone Vallerotonda chitarra barocca Giovanni Bellini tiorba Ludovico Minasi violoncello barocco Gabriele Miracle percussioni Claudio Borgianni direttore artistico

SACRI CUORI

LEE-SHOW

mercoledì 3 luglio

TRADIZIONI&TRADIMENTI

Palazzo Mauro De André, ore 21

Antonio Gramentieri chitarre Diego Sapignoli batteria, percussioni Francesco Giampaoli basso Denis Valentini percussioni, ottoni, voci Francesco Valtieri sax baritono, percussioni

OMAGGIO A GIUSEPPE VERDI

e con la partecipazione di Michele Carnevali ocarina, sax e clarinetto Primo Montanari fisarmonica

direttore RICCARDO MUTI Monica Tarone soprano Anna Malavasi mezzosoprano Francesco Meli tenore Nicola Alaimo baritono Luca Dall’Amico basso Orchestra Giovanile


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il cartellone 57 Ravenna Festival Magazine 2013 Luigi Cherubini, Orchestra Giovanile Italiana con gli allievi dell’Istituto Superiore di Studi Musicali “Orazio Vecchi” di Modena, “Antonio Tonelli” di Carpi e della Scuola di Musica “Carlo e Guglielmo Andreoli” di Mirandola Coro Lirico Terre Verdiane di Piacenza e corali dell’area colpita dal terremoto maestro del coro Corrado Casati arie, cori e sinfonie da “La Forza del Destino”, “Il Trovatore”, “Un Ballo in Maschera”, “La Traviata”, “Macbeth”, “Nabucco”

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giovedì 4 luglio Piazza della Costituente, Mirandola (Mo), ore 21.30 CONCERTO DELL’AMICIZIA PER LE ZONE TERREMOTATE DELL’EMILIA

OMAGGIO A GIUSEPPE VERDI direttore RICCARDO MUTI Monica Tarone soprano Anna Malavasi mezzosoprano Francesco Meli tenore Nicola Alaimo baritono Luca Dall’Amico basso Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, Orchestra Giovanile Italiana con gli allievi dell’Istituto Superiore di Studi Musicali “Orazio Vecchi” di Modena, “Antonio Tonelli” di Carpi e della Scuola di Musica “Carlo e Guglielmo Andreoli” di Mirandola Coro Lirico Terre Verdiane di Piacenza e corali dell’area colpita dal terremoto maestro del coro Corrado Casati arie, cori e sinfonie da “La Forza del Destino”, “Il Trovatore”, “Un Ballo in Maschera”, “La Traviata”, “Macbeth”, “Nabucco”

I SUONATORI DELLA VALLE DEL SAVENA

I suonatori della Valle del Savena quattro violini, voce, chitarra bolognese, contrabbasso, violoncello, fisarmonica cromatica, batteria con Marco e Paolo Marcheselli organetto bolognese, chitarra I ballerini della “Filuzzi” con Antonio Clemente e Loris Brini

venerdì 5 luglio Giardini Pubblici, ore 21.30

In collaborazione con Unione Comuni Modenesi Area Nord (Camposanto, Cavezzo, Concordia, Finale Emilia, Medolla, Mirandola, San Felice, San Possidonio, San Prospero)

giovedì 4 luglio Giardini Pubblici, ore 21.30 LA BALERA AI GIARDINI - SERATA DANZANTE

GRAN BALLO BOLOGNESE ALLA “FILUZZI” Dal ballo antico montanaro alla “Filuzzi”

PB UNDERGROUND

“LA BAND REGINA DEL FUNK REVIVAL!” LONDON JAZZ

PB UNDERGROUND


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58 il cartellone Ravenna Festival Magazine 2013 Pete Ray Biggin batteria Ben Epstein basso Ben Jones chitarra Daniel Bingham tastiere Christopher Storr tromba Winston Rollins trombone Sean Freeman sax tenore Richard Beesley sax baritono Brendan Reilly voce solista Holly Petrie, Kirsten Joy Child voci In esclusiva per l’Italia

sabato 6 luglio Palazzo Mauro De André, ore 21.30

LA BANDA DI RUVO DI PUGLIA

e compositori (per la parte musicale contemporanea) musiche di Willem Breuker, Livio Minafra, Pino Minafra, Gabriella Schiavone, Domenico Iannuzzi

MILONGA

SIDI LARBI CHERKAOUI MILONGA

Gioielleria Laboratorio Orafo Fabbricazione, riparazione, restauro gioielli

coreografia Sidi Larbi Cherkaoui consulente per il tango Nelida Rodriguez de Aure scene e video Eugenio Szwarcer musiche Fernando Marzan, Szymon Brzóska costumi Tim Van Steenbergen luci Adam Carree suono Gaston Briski

domenica 7 luglio Basilica di San Vitale, ore 21

sabato 6 luglio Giardini Pubblici, ore 21.30 LA BALERA AI GIARDINI - LA PUGLIA IN ROMAGNA

LA BANDA

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Banda di Ruvo di Puglia con la partecipazione di Quartetto Vocale Faraualla Livio Minafra pianoforte Michele Di Puppo direttore (per la parte musicale operistica tradizionale)

ODHECATON

musiche di Adolfo Di Zenzo, Giuseppe Verdi, Vincenzo Bellini, Gioachino Rossini

PREGHIERE POLIFONICHE

Pino e Livio Minafra direttori

DA NÔTRE DAME


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il cartellone 59 Ravenna Festival Magazine 2013

AL MONTIFERRU ODHECATON direttore Paolo Da Col Organico richiesto 8/04 con Su Cuncordu ‘e su Rosariu di Santu Lussurgiu Giovanni Ardu bassu Mario Corona contra Antonio Migheli oghe Roberto Iriu contraltu

domenica 7 luglio Giardini Pubblici, ore 21.30

L’Eternitè de Jesus - dal Quatuor pour la fin du temps, Claude Debussy, Sonata per violino e pianoforte Robert Schumann, Quintetto in mi bemolle maggiore op. 44 II Parte Astor Piazzolla: (“Escualo” o qualche tango di quelli di un tempo ) Piazzolla, Libertango e Oblivion Nestor Marconi, Moda Tango Piazzolla, Milonga del Angel Improvvisazione con Ivry Gitlis (violino, bandoneon e contrabbasso)? E. Hubert, Martulango, Romanza del Diablo (o Vayamos al Diablo), Piazzolla, Kicho Piazzolla, 3 Minutos con la realidad In esclusiva per l’Italia

martedì 9 luglio Rocca Brancaleone, ore 21.30 WEIRD TALES (IN COLLABORAZIONE CON BRONSON PRODUZIONI)

TAME IMPALA LA NUOVA PSICHEDELIA DALL’AUSTRALIA BANDERVISH

martedì 9 luglio LA BALERA AI GIARDINI - LA PUGLIA IN ROMAGNA

BANDERVISH

RADIODERVISH CON LIVIO MINAFRA & LA BANDA DI SANNICANDRO DI BARI Radiodervish Nabil Salameh voce Michele Lobaccaro chitarre, basso Alessandro Pipino tastiere, fisarmonica Banda di Sannicandro di Bari direttore Francesco Loiacono

lunedì 8 luglio Palazzo Mauro De André, ore 21

MARTHA ARGERICH & FRIENDS TANGO PROJECT Martha Argerich pianoforte Ivry Gitlis violino Eduardo Hubert direttore e pianoforte Michael Guttman violino Anton Martynov violino Lyda Chen Argerich viola Jorge Bosso violoncello Enrico Fagone contrabbasso Marcelo Nissinman bandoneon Programma I Parte Improvvisazioni su temi arabo-ebraici Olivier Messiaen, Louange a

Giardini Pubblici, ore 21.30

“Le persone e i mestieri, come strumenti musicali, compongono una melodia che diventa Impresa. I mestieri sono forme d’arte che hanno bisogno di persone di talento. Svelarle è il nostro compito. Per affiancare ad ogni arte il suo talento, ad ogni mestiere il suo strumento, ad ogni impresa la sua persona.”

LA BALERA AI GIARDINI - LA MUSICA POPOLARE DELLA BASSA EMILIANA

VIOLINI DI SANTA VITTORIA CONCERTO BAGNOLI - I MUSICISTI BRACCIANTI DI SANTA VITTORIA Orfeo Bossini secondo violino e narrazione Davide Bizzarri primo violino Roberto Mattioli terzo violino Ciro Chiapponi viola Filippo Pedol contrabbasso Stefano Melone fonica

mercoledì 10 luglio Chiostro della Biblioteca Classense, ore 21.30

RICORDANDO ASTOR RECITAL DI TANGO E MUSICA ARGENTINA Sestetto Novitango Ana J. Badia Feria violino Aloisa Aisemberg violino Juan Lucas Aisemberg viola Leonardo Sapere violoncello Carlo A. Pucci contrabbasso Hugo Aisemberg pianoforte

mercoledì 10 luglio Giardini Pubblici, ore 21.30

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60 il cartellone Ravenna Festival Magazine 2013 Concerto Italiano Musica di Johann Sebastian Bach:

LA BALERA AI GIARDINI

MELODRAMMA BALLABILE

BWV 971 Candleflowerdance Music: Igor Stravinsky – Serenade in A Jenn and Spencer Music: Henry Cowell – Suite for Violin and Piano Grand Duo Music: Lou Harrison - Grand Duo for Violin and Piano

PERCORSI SEMI SERI TRA LA MUSICA DA BALLO E LE OPERE DI VERDI dialogo e concerto condotti da Arturo Stalteri e Michele Suozzo musiche eseguite da Ensemble Novecento (settimino di ocarine)

venerdì 12 luglio Chiostro della Biblioteca Classense, ore 21.30

TEMI E BALLATE POPOLARI Martina Filjak pianoforte MARK MORRIS

musiche di Johannes Brahms, Fryderyck Chopin, Franz Liszt, Sergej Prokof’ev, Béla Bartók, Milij Alekseevicˇ Balakirev

MARK MORRIS DANCE GROUP ENSEMBLE NOVECENTO

giovedì 11 luglio Palazzo Mauro De André, ore 21.30

coreografie di Mark Morris musiche eseguite dal vivo da MMDG Music Ensemble Colin Fowler pianoforte Owen Dalby violino

MARTINA FILJAK

da venerdì 12 a domenica 14 luglio

Concerto Italiano in fa maggiore

Palazzo San Giacomo - Russi, ore 21.30

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il cartellone 61 Ravenna Festival Magazine 2013

ROMAGNA BALLKANICA

FANFARA TIRANA (UK - ALBANIA) MEETS TRANSGLOBAL UNDERGROUND KABATRONICS domenica 14 luglio THE KLEZMATICS (USA)

sabato 13 luglio Palazzo Mauro De André, ore 21 GIUSEPPE VERDI

NABUCCO (IN FORMA DI CONCERTO)

direttore RICCARDO MUTI Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma maestro del coro Roberto Gabbiani Nabucco Luca Salsi Ismaele Francesco Meli Zaccaria Riccardo Zanellato Abigaille Tatiana Serjan Fenena Sonia Ganassi Abdallo Saverio Fiore Anna Simge Büyükedes Il Gran Sacerdote di Belo Luca Dall’Amico

THE KLEZMATICS

venerdì 12 luglio BOBAN I MARKO MARKOVIC ORKESTAR (SERBIA)

da venerdì 8 novembre

sabato 13 luglio

Teatro Alighieri, ore 20.30

a domenica 17 novembre

Nuovo EMURA.

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domenica ore 15.30

TRILOGIA D’AUTUNNO “VERDI & SHAKESPEARE” per il bicentenario della nascita di Giuseppe Verdi (1813-2013) direttore Nicola Paszkovski regia e ideazione scenica Cristina Mazzavillani Muti light design Vincent Longuemare scene Ezio Antonelli costumi Alessandro Lai Orchestra Giovanile Luigi Cherubini Coro del Teatro Municipale di Piacenza maestro del coro Corrado Casati una produzione Ravenna Festival 8, 15 novembre

MACBETH 9, 16 novembre

OTELLO 10, 17 novembre

FALSTAFF

Il festival aggiornato in tempo reale sui social network Il Ravenna Festival è presente anche sui social network, con aggiornamenti e approfondimenti sugli spettacoli della XXIV edizione. La pagina Facebook conta quasi 6mila follower, mentre il profilo Twitter, aggiornato in tempo reale dagli utenti, fornisce notizie ancora prima dei siti di informazione. Su Youtube invece sono presenti i video di estratti degli spettacoli, mentre il profilo Flickr permette di condividere le foto degli eventi in cartellone.


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62 in templo domini Ravenna Festival Magazine 2013

Spettacoli a ingresso gratuito, inizio ore 11.30

domenica 16 giugno Basilica di Sant’Agata Maggiore In Templo Domini

LAUDI E CANZONETTE SPIRITUALI NELL’ORATORIO DI SAN FILIPPO NERI CORO LUDUS VOCALIS direttore Stefano Sintoni

domenica 23 giugno

Biglietteria: modalità e orari

Basilica Metropolitana In Templo Domini

MISSA LUBA CORO DELLA COMUNITÀ NIGERIANA DI RAVENNA CORO SANTA MARIA DEGLI ANGELI direttore Franca Bettoli CORO DI VOCI BIANCHE “LUDUS VOCALIS” direttore Elisabetta Agostini

domenica 7 luglio

Basilica di Sant’Apollinare Nuovo Basilica di San Francesco

Prevendite • www.ravennafestival.org • Cassa di Risparmio di Ravenna • IAT Cervia via Evangelisti 4, tel. 0544 974400 • IAT Marina di Ravenna piazzale Marinai dʼItalia 17, tel. 0544 531108 • IAT Milano Marittima piazzale Napoli 30, tel. 0544 993435 • IAT Punta Marina Terme via della Fontana 2, tel. 0544 437312 • IAT Ravenna via Salara 8/12, tel. 0544 482838 • IAT Ravenna Teodorico via delle Industrie 14, tel. 0544 451539 • Vivaticket Circuit www.vivaticket.it Informazioni generali Gli abbonamenti, i carnet e i singoli biglietti acquistati non possono essere

rimborsati, non sono nominativi e possono essere ceduti ad altre persone. Tariffe ridotte riservate a: Associazioni liriche, Cral, insegnanti, under 26, over 65, enti convenzionati, possessori di carta bianca. Servizio di prevendita: il servizio di prevendita comporta la maggiorazione del 10% sui prezzi dei carnet e dei biglietti (maggiorazione che non sarà applicata ai biglietti acquistati al botteghino nel giorno di spettacolo). Gruppi e associazioni Alle agenzie e ai gruppi (minimo 15 persone) sono riservati specifici contingenti e condizioni agevolate per lʼacquisto dei biglietti. Ufficio Gruppi: tel. 0544 249251 Mariarosaria Valente, Paola Notturni gruppi@ravennafestival.org

In Templo Domini

MISA CRIOLLA CORO COSTANZO PORTA direttore Antonio Greco GRUPPO DEL BARRIO

domenica 30 giugno

In Templo Domini

CANTI LITURGICI POLIFONICI DELLA TRADIZIONE POPOLARE SARDA

BIGLIETTERIA / BOX OFFICE Teatro Alighieri via Mariani 2, Ravenna Tel. +39 0544 249244 - Fax +39 0544 215840 tickets@ravennafestival.org

Orari: dal lunedì al sabato dalle 10 alle 13, giovedì dalle 16 alle 18. Da lunedì 27 maggio a domenica 14 luglio, dal lunedì al sabato dalle 10 alle 13 e dalle 16 alle 18; domenica dalle 10 alle 13.

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18-05-2013

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Danza Momix RFM:Rafest mastro 21/05/13 00:09 Pagina 64

64 l’anteprima Ravenna Festival Magazine 2013

Quell’aureo equilibrio di Alchemy Sullo straordinario debutto mondiale a Ravenna del nuovo spettacolo dei Momix di Moses Pendleton DI LINDA LANDI

Esistono artisti che riescono a regalare un’empatia immediata, a ricreare mondi emotivamente intelligibili al di là del linguaggio che usano. Non importa se riempiono di colori una tela, se generano forme dal marmo grezzo o se trasformano il movimento in un’orchestrale armonia degli elementi: chi ha la fortuna di incontrarli, non lo dimenticherà facilmente. Moses Pendleton, l’inesauribile coreografo dei Momix, appartiene a questa specie preziosa, con una carriera costruita con estro, innovazione e nessuna paura di spingere i propri passi oltre i supposti confini della danza. Dalla campagna sconfinata del Vermont, quella Madre Terra generatrice del suo amore viscerale e simbiotico per la natura, fino ai “puntini luminosi” siderali declamati da Yeats per inseguire «la nascita di quella raffinata bellezza spirituale che sola potrebbe sollevare e rapire anime gravate di tanti sogni», anima della compagnia statunitense forse più nota anche tra i non addetti ai lavori, accende di alchimie sovrannaturali i suoi rutilanti quadri scenici. Dopo più di trent’anni di produzioni rap-

presentate in cinquantacinque Paesi, scivola dalle quattro stagioni di Bothanica (del 2009) ai principi fondanti dell’alchimia, quegli elementi naturali ricchi di mistero che ci svela nelle travolgenti sequenze di Alchemy attraverso evocazioni gestuali, sceniche e cromatiche, riuscendo ora più che mai a raggiungere l’equilibrio davvero aureo fra altissimo livello tecnico del suo incantevole ensamble di giovanissimi artisti e scenografie al limite dell’effetto speciale, che però non sovrastano mai, come a volte in passato, i corpi danzanti. Una sinestesia da Big bang che, partendo da un’apnea subacquea, abbraccia danza, musica, immagine e colore sulla scia dell’oro ricercato dagli antichi alchimisti e ritrovato nei mosaici di Ravenna – senza retorica, dallo sguardo ingenuo dello straniero – attraverso le trasformazioni catalizzate da tante fiamme ardenti: squarci rossi sospesi nell’aria, solidi geometrici maneggiati come grandi molecole mutanti, figure muliebri da quadro rinascimentale in una danza aerea delicata come un soffio, incursioni di pietre antropomorfe pervase di energia virile che fagocitano spose come icone erotiche subli-

mate. Una metamorfosi fertile e sinuosa che, senza soluzione di continuità, trasfigura l’eterna dialettica maschile-femminile tra veli carezzevoli, rifrazioni, spigoli pungenti, geometrie e forme umane che si alternano in una strabiliante metafora della vita. Incalzanti anche le alternanze dei brani musicali, fuse in una partitura ritmica unica, da pellicola cinematografica giocata tutta sul “qui e ora”. D’altronde questo “tutto” era già in nuce nel momento stesso in cui il regista è entrato in contatto con l’anima della nostra città, durante il suo primo soggiorno risalente a qualche anno fa: quella Ravenna che è stata per lui, prima di tutto, l’alba ammirata nelle paludi dopo una notte di vagabondaggi a caccia di natura. La Ravenna degli aironi dormienti e dei girasoli dalle corolle inclinate. La Ravenna memore delle visioni junghiane ispirate dal Battistero Neoniano, in cui anche lo storico psicanalista, come gli alchimisti, seppe vedere “quello che non c’è ancora” nella sua personale prefigurazione del futuro. Quindi proprio la Ravenna degli elementi alchemici: la città dell’acqua, della chimica, del fuoco; quella di Michelangelo Antonioni che, in Deserto rosso, ha saputo rendere celebre il suo skyline. Quest’alchimia sovrana si riflette anche nel processo di creazione dello spettacolo, perchè «è stato un work in progress fin dall’inizio. – racconta Pendleton prima del debutto – Nessuno può raccontare prima cosa succederà esattamente, perchè nessuno lo sa, nemmeno noi. Anche il pubblico svelerà a noi stessi una parte di

quel che stiamo creando. Il lavoro si sviluppa prendendo gli oggetti inanimati e dando loro la nostra energia attraverso evocazioni dell’immaginario, senza raccontare una storia. Il ritmo è fondamentale sia per l’ispirazione, che per trasportare lo spettatore: per questo abbiamo unito trentotto differenti selezioni musicali e in questa continuità abbiamo seguito l’idea newtoniana di trasformare i corpi in luce e, viceversa, dare corpo all’energia. Imprescindibile anche l’immersione diretta nella natura: non smetterò mai di sentirmi prima di tutto un giardiniere e un buono spirito». Così Alchemy prende forma, in uno spettacolo totale di danza oltre la danza, che non scende mai di tono, nonostante la mutevolezza continua del suo fraseggio. Una trasformazione che cattura nelle spirali avvincenti della Materia, (in)seguendo il metallo più prezioso come metafora della crescita materiale e spirituale, dell’approssimarsi a un Dio possibile. Un’esperienza di epurazione dal piombo – le nostre pesantezze, le brutture della vita – attraverso la luce e la forza infusa dalla natura. L’arte coreutica che ritorna rito ed evocazione di magie ancestrali per trasformarsi in oro puro. ❍


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19-05-2013

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Balletto Bourne RFM:Rafest mastro 20/05/13 14:52 Pagina 74

66 fiaba in ballo Ravenna Festival Magazine 2013

Un Matthew Bourne da favola va in scena con Sleeping Beauty Il visionario coreografo chiude in bellezza l’omaggio al genio musicale di Tchaikovskij DI LINDA LANDI

Un amore immortale, di carne e di sogni, cullato dalle note rapinose del musicista che ha saputo donare un’anima al balletto. Una lussureggiante favola gotica che si apre nel 1890, anno del balletto di Tchaikovskij coreografato dal genio di Marius Petipa e, danzando tra torvi incantesimi, eteree fate e grotteschi vampiri, ci trasporta fino ai giorni nostri. Sleeping Beauty conclude magnificamente la trilogia dedicata da Matthew Bourne al compositore russo, aperta dalla sublime traslitterazione al maschile dello Swan Lake. Da

Perrault a Disney, l’estroso coreografo britannico incanta il pubblico con le sue sorprendenti macchine sceniche firmate da Lez Brotherson, con le luci di Paule Constable e il suono surround di Paul Groothuis. Uno spettacolo grandioso, che vedrà a Ravenna la prima tappa dell’Europa continentale dopo oltre 100 repliche sold out in tutta la Gran Bretagna. Fondamentale per il balletto è proprio la partitura musicale che, come spiega il coreografo, aggiunge al lavoro quel che alla fiaba mancava: «il motivo per danzare, le idee per la danza: le variazioni delle fate, una lunga scena visionaria, una scena di caccia e diversi pas de deux, trois e quatre! È la musica a detta-

re l'azione, ad aggiungere emozione, dramma e carattere. E, a tutti gli effetti, è la musica a farsi copione». Bourne è inoltre, come sempre, estrosissimo nell’ibridare con con-

taminazioni diacroniche e sincroniche i suoi racconti danzati e sceglie come punto di partenza per la storia la frustrante situazione (anche contemporanea) di una coppia reale che “non era stata benedetta dalla nascita di un erede”, dando alla fata cattiva Carabosse un motivo ancor più valido per voler fare del male ad Aurora bambina: «forse la coppia reale è passata al Lato Oscuro per poter avere un figlio? Questa idea, a sua volta, ha generato un sacco di ipotesi sulla stessa Aurora: era forse figlia di una famiglia comune piuttosto che una principessa reale? O magari una zingarella? Nella mia mente ha così preso forma un personaggio interessante: un'esuberante selvaggia, amante della natura, più felice ad attraversare la foresta a piedi nudi che a vivere la vita soffocante di una principessa. In termini di movimento,

poteva la ragazzina forse essere una sorta di Isadora Duncan, un nuovo tipo di giovane donna emancipata e volta al futuro». Ma la storia è anche piena di rimandi ben più profondi: la puntura del dito e la perdita di sangue sono simboli della maturazione fisica della ragazzina, così come il “bacio di vero amore” alla fine della favola, da parte del Principe, alludono all’amore adulto e fisico, mentre «il sonno sembra simboleggiare quel periodo di letargo nella vita di un adolescente in cui non ci si vuole impegnare con il mondo e in cui i genitori spesso tendono a proteggere i figli impedendo loro di crescere troppo in fretta». Di motivi per tornare a teatro, per vedere le craezioni di Bourne, ce ne sono sempre tanti: non a caso, la sua New Adventures è la compagnia di danza che, nel corso degli ultimi 25 anni, più ha avvicinato fasce di pubblico neofite dell’arte coreutica. ❍


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Danza Putrov RFM:Rafest mastro 20/05/13 17:12 Pagina 33

balletto 69 Ravenna Festival Magazine 2013

Dinamismo di una Con “Man in motion” Ivan Putrov ripercorre con originale talento i grandi ruoli maschili della danza classica e moderna

DI

ROBERTA BEZZI

Ripercorrere i grandi ruoli maschili nel balletto classico e moderno è il filo conduttore dello spettacolo Men in Motion, di cui l’ex primo ballerino del Royal Ballet, Ivan Putrov, è protagonista indiscusso. Si tratta del primo appuntamento danzante del Ravenna Festival, dopo la prima italiana di Sleeping Beauty, in cartellone per venerdì 21 giugno (ore 21.30), al Palazzo Mauro De André di Ravenna. Al pari dell’ultima creazione di Mattheu Bourne, anche questa è una produzione firmata Sadler’s Wells, tempio della danza londinese. Per il pubblico sarà l’occasione di ammirare un vero e proprio galà di brani coreografici che esplorano la bellezza della forma maschile in movimento. Si tratta di una sorta di manifesto programmatico per il danzatore ucraino che, nel luglio 2010, a soli trent’anni, ha deciso improvvisamente di lasciare il Royal Ballet senza spiegazioni. Una notizia che non è passata inosservata, perché è raro che un artista scelta la via della ‘libera professione’ per potersi dedicare al meglio a nuovi progetti. D’altra parte la sua stessa visione della danza non è certamente ordinaria. «La danza non è una lingua esatta – ama ripetete –. I ballerini creano emozione attraverso i passi e la musica e la trasferiscono al pubblico. C’è un

proverbio cinese che non ricordo alla perfezione, ma che dice più o meno questo: un movimento descrive un migliaio di emozioni». Nato a Kiev nel 1980, Putrov cresce con la passione per la danza nel sangue, dato che entrambi i genitori – Natalia

stella Berezina-Putrova e Oleksandr Putrov – erano ballerini dell’Ukranian National Opera and Ballet Theatre. La sua prima apparizione in scena è alquanto precoce, a dieci anni, nell’ambito del balletto The Forest Song. Cresciuto sotto il profilo tecnico e artistico alla scuola di ballo di Kiev, a soli 15 anni – dimostrando dunque di continuare a bruciare le tappe – ha vinto il Prix de Lausanne 1996. Tra i giurati del concorso spicca il direttore della Royal Ballet School, Merle Park, che non se lo lascia scappare e lo porta con sé, per diciotto mesi. Dopo il diploma nel 1998, Putrov riceve l’invito ufficiale da parte del direttore del Royal Ballet, sir Anthony Dowell, di entrare a far parte della compagnia. Così è diventato primo ballerino nel 2002, vincendo nello stesso anno il Premio Nazionale di Danza come miglior giovane artista maschile

(classico). Il 2006 è stato il suo annus horribilis, a causa di un infortunio provocato da una caduta dal palco che lo obbliga a un lungo congedo dalla danza. Nel corso della sua carriera, Putrov danza anche con le compagnie nazionali di danza in Ungheria, Lituania e Ucraina, oltre che con la Staatsoper di Vienna. Nel 2011 interpreta il ruolo di Karl in The Most Incredible Thing, con coreografia di Javier De Fruto creata appositamente per lui che, dopo aver ascoltato la partitura del film La corazzata di Potemkin eseguita dai Pet Shop Boys, suggerisce di farne un balletto. Nel 2012, Putrov presenta lo spettacolo Men in Motion, al Sadler’s Wells. Di temperamento solitario e riflessivo, mette in scena opere rese memorabili dal grande Nižjinskij, irrequieta étoile e conterraneo ucraino, d altre coreografie d’autore più recenti in cui porta alla quintessenza un ferreo equilibrio e il nitore formale delle linee che sembrano rubate alle tele rinascimentali. Il danzatore maschio diviene così fulcro assoluto della scena, abbandonando ogni ruolo accessorio rispetto alla ballerina. Sul palcoscenico, insieme a Putrov, diverse étoile ospiti: Andrej Ivanov, Elena Kuzmina, Simon Williams, Clyde Harcher, Andrej Merkur’iev, Andrew Bowman, Igor’ Kolb.


Danza Ricci:Rafest mastro 21/05/13 00:12 Pagina 70

70 danza contemporanea Ravenna Festival Magazine 2013

“Duetto” di Virgilio Sieni e Alessandro Certini in una foto del primo allestimento (1989) A destra, la nuova messa in scena di Fattoria Vittadini

Ricostruzioni coreografiche DI LINDA LANDI

Un acronimo, RIC.CI, per un progetto che intende ricostruire la coreografia contemporanea italiana degli Anni Ottanta e Novanta, a cura di Marinella Guatterini, con la collaborazione di Myriam Dolce, che prende le mosse dalla recente tendenza internazionale al recupero di lavori di particolare successo, «un atto dovuto alla storia della danza in sé, alla sua tradizione e soprattutto a un pubblico sempre cangiante e nuovo. – spiega la critica – Non possedere un repertorio, estasiante utopia, professata con ostinato rigore da taluni artisti non solo odierni, preclude alle giovani generazioni il piacere di assistere a taluni evergreen del contemporaneo, ma nega anche all’artista quello “sguardo allo specchio” necessario Due scene da “Calore” (1982) per trovare o ritrovare di Enzo Cosimi nel nuovo allestimento 2012 se stessi, anche se proiettati in rotte diverse e sempre in fieri. Inoltre, per alcuni artisti maggiori sulla scena internazionale, ricostruire il proprio repertorio d’esordio equivale anche a un passaggio di consegne ai loro giovani adepti “di scuola”». RIC.CI. prende le mosse da una riflessione della Guatterini sull’odierna situazione italiana,

tesa a dare risalto a un passato dimenticato, e in cui si riscontrano sensibili differenze tra autori nati tra i ’50 e i ’60 e la generazione dei trentenni di oggi. Se i primi hanno ottenuto riconoscimenti tardivi e sudatissimi, pur proveniendo da una situazione culturale arretrata rispetto agli altri Paesi, i secondi hanno una rete di visibilità e circuitazione (come Anticorpi) che li agevola di più, ma mancano ancora scuole presso cui imparare, ad esempio, composizione coreografica e tutto quello che va oltre le competenze tecniche, per divenire creativo e culturale. Tra le coreografie “ricostruite” figurano opere «emblematiche di fusione tra danza e teatro che hanno contribuito a creare il sapore e il gusto di una italianità coreografica diffusa ben al di là dello specifico coreutico», come le tre presentate a Ravenna. Duetto di Virgilio Sieni e Alessandro Certini, una produzione del 1989 per il non più esistente gruppo Parco Butterfly, affidata alla Compagnia Fattoria Vittadini, si rinnova in un racconto gestuale dove i danzatori, in abiti di foggia indiana, suggeriscono con le mani, l’ironica lotta di due


Danza Ricci:Rafest mastro 21/05/13 00:12 Pagina 71

danza contemporanea 71 Ravenna Festival Magazine 2013

Due immagini de “La boule de neige” (1985) di Fabrizio Monteverde riportata in scena dal Balletto di Toscana Junior

Con il progetto RIC. CI. curato da Marinella Guatterini, direttamente dagli ‘80 e ‘90, la nuova messa in scena di tre opere dell’avanguardia italiana create da autori come Virgilio Sieni, Vittorio Certini, Enzo Cosimi e Fabrizio Monteverde improbabili guerrieri del Bhagavadgîtâ, in cui la danza si sposa al folklore, guardando al teatro-danza indiano. Calore di Enzo Cosimi, del 1982, dell’allora compagnia del coreografo, Occhèsc, affidata alla

Compagnia Enzo Cosimi, è invece la ricostruzione di uno sbalorditivo viaggio nell’infanzia della danza contemporanea italiana, pieno di sole e atmosfera mediterranea, in cui si rimaterializza un nuovo viaggio

interiore dall’età puerile verso l’adolescenza. Infine, La Boule de neige di Fabrizio Monteverde, creazione che risale al 1985, una produzione allestita dalla compagnia Baltica, affidata al Balletto di Toscana

Junior, liberamente ispirato a Les Enfants terribles di Jean Cocteau e prima taliana, tratta ancora l’adolescenza, ma con sconcertante “rigore e leggiadria”, toccando il filone della danza in rapporto con la letteratura. ❍


Danza Morris RFM:Rafest mastro 20/05/13 17:11 Pagina 72

72 danza moderna Ravenna Festival Magazine 2013

Mark Morris orchestrale armonia di suoni, forme e movimento DI LINDA LANDI

Finalmente torna in Italia Mark Morris, con il suo Dance Group, dopo un’assenza di molti anni. Un coreografo che sa incantare con la raffinatezza delle sue creazioni, sbocciate su melodie rigorosamente eseguite dal vivo. Noto per la sua devozione alla musica, Morris si distingue infatti come autore particolarmente attento all'analisi delle partiture musicali e non a caso lavora molto per l’opera, dirigendo e coreografando produzioni per Metropolitan Opera, New York City

DIVA LADY

Opera, Gotham Chamber Opera, English National Opera, The Royal Opera e Covent Garden. Sa cingere col suo fantasioso stile modern capolavori di Bach, Stravinskij, Cowell e Harrison, restituendo alle note un ruolo comprimario: la danza diviene così orchestrale armonia di forme, movimento e suoni, per risvegliare emozioni forti e contrastanti anche nel programma presentato a Ravenna, dall’energia feroce e viscerale di Grand Duo, alla tenera elegia di Candleflowerdance, ottime dimostrazioni di come, in vent’anni di produzioni, il

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Danza Morris RFM:Rafest mastro 20/05/13 17:11 Pagina 73

danza moderna 73 Ravenna Festival Magazine 2013

coreografo di Seattle abbia saputo mostrare al grande pubblico, in una trionfale e godibile esaltazione, tutta la gioia, la malizia, e la sensualità accoccolate nelle pieghe degli spartiti musicali. La fondazione della Mark Morris Dance Group risale infatti al 1980, anno in cui debutta con il suo primo spettacolo a

New York. Con il passare del tempo, la crescente notorietà della compagnia traghetta il suo successo sui più prestigiosi palcoscenici degli Stati uniti ed esteri, ma il balzo di qualità si prepara otto anni dopo, quando, insieme al fondatore, trasferisce la sua residenza artistica per tre anni presso il Théâtre Royal de la

Monnaie di Bruxelles. Al suo ritorno negli Stati Uniti è considerata una delle compagnie più importanti al mondo e da quel momento si esibisce in tutti i più importanti teatri e festival internazionali. Peculiarità della formazione, riflesso anche del dna artistico dei progetti di Morris, è il suo

affiancamento, dal 1996, con la MMDG Music Ensemble, che diviene parte integrante della vita creativa della compagnia, una presenza fissa in tutte le esibizioni, sia a New York che in tournée. Il gruppo principale dei musicisti professionisti è regolarmente arricchito in rotazione da un grande numero di ospiti, tra cui il violoncellista Yo-Yo Ma e il pianista Emanuel Ax e, nella sede di Brooklyn, i membri dell’ensemble fanno anche parte del filantropico Mark Morris Dance Music and Literacy Project a sostegno della scuola pubblica di New York. Definito dal Time Magazine «il coreografo più straordinariamente dotato dell’era post-Balanchine» e dal Washington Post «il Mozart della modern dance» perchè «Piacevole “enfant terrible”, vi è in lui lo stesso senso di disinvolta creatività, assoluta brillantezza e ricchezza nella creazione coreografica», Morris può a ben diritto promettere incanti a tutti coloro che sanno abbandonarsi al piacere musicale e della forma, oltrepassandone quasi con deliquio ogni limite. ❍

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Danza Sidi Larbi RFM:Rafest mastro 20/05/13 17:08 Pagina 75

danza popolare 75 Ravenna Festival Magazine 2013

Razza di tangueri DI

ROBERTA BEZZI

Nell’anno in cui il Ravenna Festival ha un’anima antica e tradizionale, e in cui passato e modernità s’incontrano in “alchimie popolari”, non poteva mancare una celebrazione del tango, con Sidi Larbi Cherkaoui che, insieme a un cast selezionato tra i migliori danzatori e musicisti argentini, propone Milonga – A Tango Project. Per gustarsi l’atmosfera e l’essenza della milonga, l’appuntamento è per sabato 6 luglio (ore 21.30), al Palazzo Mauro De André di Ravenna. «Quel che più mi attrae del tango è l’eterno abbraccio dei ballerini»: così l’artista descrive il suo amore per il contatto fusionale e ipnotico della danza argentina. «Quando una coppia balla il tango – afferma –, si avverte quel dialogo ipnotico fra due corpi che si cercano istintivamente, fondendosi. Se c’è qualcosa che può definire il mio stile di danza, ha a che fare proprio con il contatto fisico che è insito nel tango». A soli trentasette anni, il coreografo belga di origini maghrebine ha saputo imporsi come una delle voci contemporanee più attive e apprezzate a livello internazionale. Poeta delle mescolanze stilistiche e culturali, Cherkaoui ama la sensualità, il potere e la fascinazione estetica con cui il tango ha conquistato il mondo e, forte di un nutrito cast di danzatori e musicista argentini, affronta da pioniere – come primo coreografo non argentino – l’impresa di una grande produzione internazionale sul

tema. Le atmosfere intime e notturne delle milonghe di Buenos Aires si fondono così col tocco contemporaneo della tango fusion dance, sotto lo sguardo creativo e appassionato di uno straniero. Milonga si sviluppa sulle note di una nuova musica del compositore argentino Fernando Marzan e di Szymon Brzòska, collaboratore di lungo termine dell’artista belga, mentre video e scenografia sono a cura di Eugenio Szwarcer, i costumi del rinomato stilista Tim Van Steenbergen, l’illuminazione di Adam Carrée e il suono di Gaston Briski. Lo spettacolo è eseguito da un gruppo di dieci ballerini di tango di Buenos Aires, due artisti di danza contemporanea e una band di cinque musicisti di tango. Si tratta della terza produzione del Sadler’s Wells al Ravenna Festival che, dopo aver debuttato lo scorso 23 maggio al Théâtre du Jorat in Svizzera, è ora in tour europeo. Noto a livello internazionale per le collaborazioni con artisti del calibro di Akram Khan e Maria Pagès, e per i premi vinti con lavori quali Sutra e Babel, Cherkaoui ha creato più di venti produzioni e ora è considerato come uno dei più straordinari coreografi europei di danza contemporanea. Ne ha fatta di strada quel bambino il cui primo amore non era la danza, ma il disegno. «Volevo disegnare la realtà e tutte le immagini che ad essa associavo – ricorda -. Per esempio le nuvole e quello che ho potuto vedere in loro, e le persone e le ombre che

proiettano. Per lungo tempo i miei disegni realistici erano il mio modo di interpretare il mondo intorno a me. Poi ho cominciato a spazientirmi e a volere di più. Così, ho iniziato a danzare. La cosa bella della danza è che occorre danzare di continuo per

Con “Milonga A Tango Project”, il coreografo Sidi Larbi Cherkaoui propone un sontuoso omaggio al tango con un cast selezionato di eccellenti musicisti e danzatori argentini. «Quel che più mi attrae del tango è l’eterno abbraccio dei ballerini»

vedere il disegno, si è al contempo matita e disegnatore. La danza è sempre un disegno temporaneo che scompare appena il movimento termina. Quindi il disegno può essere scritto sopra o riscritto in qualsiasi momento». ❍


Balletto africano RFM2013:Rafest mastro 21/05/13 01:16 Pagina 76

76 balletto Ravenna Festival Magazine 2013

Lago dei Cigni

Il

in bianco e nero di Dada Masilo

Ravenna Festival e l’Africa: il Network for African Talents L’attenzione rivolta dal Ravenna Festival all’Africa non data da ieri: dall’esibizione dei Farafina nel 1995 è stato infatti un susseguirsi di gruppi e protagonisti della scena musicale e teatrale di questo continente, da sempre generoso di grandi talenti e straordinarie proposte. Un’attenzione che prosegue anche quest’anno nel progetto triennale N.A.T. Network for African Talents, finanziato dalla Comunità Europea, che nel 2012 era stato ben rappresentato dalla terza serie di “Black is beautiful”. Il N.A.T. PROJECT è un progetto internazionale basato su un network formato da Ravenna Festival (Italia), Kulungwana (Mozambico), Takku Ligey (Senegal) e Theatre du Chocolat (Camerun) con l’obiettivo di promuovere lo sviluppo del teatro e della musica e per sostenere giovani artisti nell’area ACP (AfricaCaraibi-Pacifico) con particolare attenzione alla relazione fra le grandi tradizioni africane e i linguaggi contemporanei con lo scopo di sviluppare la trasmissione di esperienze, tecniche e repertori dai grandi maestri ai giovani artisti. Il progetto è cofinanziato dalla UE attraverso il programma EuropeAid Support Programme to ACP Cultural Sector. Tra gli obiettivi, quello di migliorare l’offerta culturale e quindi la qualità della vita nei territori ACP attraverso la creazione di un network integrato di operatori culturali che promuova eventi, laboratori, seminari, nuove produzioni e che possa creare nuove occasioni per la diffusione e la distribuzione di creazioni culturali, musicali, teatrali. Il progetto inoltre include la promozione in Italia e in Europa degli artisti e dei talenti africani emergenti attraverso una reale condivisione di progetti, festival, eventi e attività formative. Promuovere una nuova generazione di giovani artisti attraverso occasioni formative e la loro presentazione ai festival realizzati dai partner del progetto. Consentire infine un migliore accesso agli eventi musicali, teatrali, culturali in genere delle popolazioni africane coinvolte nel progetto.

DI ROBERTA BEZZI

Quello di Dada Masilo è un Lago black and white che mescola classico e danza afro, con tutù per tutti, maschi e femmine, pronti a far ondeggiare con forza le anche per scatenare un’irrefrenabile vibrazione. Questo è solo uno dei buoni motivi per assistere al “Dada Masilo’s Swan Lake”, martedì 2 luglio (ore 21.30) al Palazzo Mauro De André, un’esclusiva per l’Italia nel cartellone di danza del Ravenna Festival. Quasi sconosciuta al pubblico, la sudafricana Dada Masilo (27 anni) firma uno spettacolo allegro, un momento esaltante di pura danza, che rivisita con intelligenza e passione il repertorio classico. Aveva appena 11 anni quando si innamora del Lago dei Cigni e si ripromette di crearne una versione personale. Vi si dedica per ben 16 anni, facendo andare in frantumi tutti i codici e i canoni del balletto romantico. Ed è così che, dopo aver vestito i panni di Carmen e di Giulietta, e con all’attivo già dieci creazioni, Masilo si impone come figura inclassificabile della danza sudafricana. Rivisita Il lago dei cigni facendo di Siegfried un principe dagli amori omosessuali, fa incontrare alla musica di Ciajkovskij altre sonorità, riuscendo così a parlare della società

Dal Sudafrica lo spettacolo di danza che intreccia classico e afro e mette il tutù a tutti, femmine e maschi in cui vive, delle questioni della tolleranza e dei sentimenti, per una danza senza frontiere. Il suo balletto è un’energica pulsione alla vita e umorismo, ma con affondi in temi come l’omofobia e le relazioni fra i due sessi sugli echi di un continente difficile e segnato dall’Aids. Dada Masilo è la straordinaria danzatrice, protagonista, e coreografa della sua ultima creazione, accompagnata in scena da ballerini africani della compagnia The Dance Factory. Il suo amore per la danza rimonta all’infanzia. “Il mio primo paio di scarpette – afferma l’artista – è il mio primo ricordo di danza. Ne ero talmente eccitata e le amavo a tal punto che ho dormito con loro per


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diversi giorni. Attraverso la danza e la regia ho appreso molto su me stessa». Nata a Johannesburg, studia alla Dance Factory, per poi proseguire gli studi a Bruxelles, alla Parts – Performing Arts Research e Training Studios, creata da Anne Teresa de Keersmaeker. In breve tempo diventa una delle danzatici e coreografe più famose in Sudafrica. Partecipa a numerosi concorsi e festival, tra i quali il Dance Umbrella, ottenendo vari riconoscimenti, e forma a sua volta giovani danzatori, tiene regolarmente workshop negli Stati Uniti. È una coreografa innovativa e una danzatrice grintosa, tant’è che i suoi Romeo e Giulietta del 2008 e Carmen del 2009, presentati in Tanzania, Mali, Messico e Israele, elaborano a suo modo il balletto classico. Nel 2011 partecipa al Festival Anticodes di Brest e al Festival Fragile Danse al Teatro des Bouffes du Nord con il solo The Bitter end of Rosemary, sulla figura di Ophélie dell’Amleto di Shakespeare, donando alla follia del personaggio una nuova forma espressiva che ne rivela la sua estrema vulnerabilità. Firma inoltre lo spettacolo Refuse the hour insieme all’artista e regista William Kentridge e il passo a due In Creation con Gregory Maqoma. “Swan Lake” è la sua ultima creazione.

Canti epici L’inno dell’ultimo imperatore d’Africa con il Regard sur le Passé Domenica 9 giugno, alle 21, in prima assoluta al teatro Alighieri sarà presentato Regard sur le Passé, epica musicale in tre movimenti diretta da Marco Zanotti, con la Classica Orchestra Afrobeat e le voci di Sekouba Bambino e Baba Sissoko. Nella secolare tradizione orale dei canti epici africani, l’inno dell’Almamy Samori Toure racchiude in sé la sofferenza dell’invasione coloniale subìta e la splendida poesia della musica popolare. La Classica Orchestra Afrobeat rilegge questa pietra miliare della cultura africana grazie all’orchestrazione che ne fece l’ensemble guineano Bembeya Jazz National nel ’69 e ad un nuovo arrangiamento che per la prima volta avvicina gli strumenti “colti” europei ai canti orali di quelle terre. Un ensemble bizzarro ma con una tavolozza timbrica unica, a cavallo tra il barocco

ed il popolare, tra l’Europa e l’Africa, impreziosito dalle voci della cantante maliana Fatoumata Diawara e del griot Baba Sissoko, entrambe figure di spicco nell’attuale panorama musicale internazionale.


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78 danza africana Ravenna Festival Magazine 2013

Feelings & Voices i segreti rituali del popolo Maasaï Data al 1990 il debutto di Fernando Anuang'A con il trio Rare Watts, scioltosi dopo alcuni anni, in cui tradizionali stili di danza Maasaï si mescolavano con frenetici ritmi techno: nelle sue radici – quelle del popolo che vive sugli altopiani al confine tra il Kenia e la Tanzania – trova la fede e la forza proprie dei riti iniziatici per canalizzarle e amplificarle in una gestualità e in una vocalità di grande potenza primitiva. Feelings & Voices – al teatro Alighieri giovedì 13 giugno alle 21 – vuole dare esempio di come la tradizione più remota e radicata possa trasformarsi e incarnare la contemporaneità. La proiezione verso il futuro è infatti una costante

della cultura Maasaï. E così Anuang’A degli antichi canti fa il motore essenziale di una trasformazione che reclama il dialogo con la propria epoca. In scena lo stesso coreografodanzatore e sei vocalist che intonano canti di nascita e di morte, di iniziazione e di guerra, di lavoro e di gioco: senza accompagnamento musicale, il coro prende il via dall’oloaranyani, il cantante principale, mentre il corpo dipinto di Anuang’A si contrae e si tende nei caratteristici salti verticali incatenando forza e agilità sulla ritmica vocale, motore del movimento. È l’espressione autentica della sua danza, è il racconto dei segreti rituali

del suo popolo. Energia verticale, emozione cruda, gesti amplificati: Fernando Anuang’A danza le emozioni profonde del suo Kenia. Il potere delle preghiere degli anziani, le storie narrate dalle donne,

i riti, le canzoni d’amore e di guerra della cultura Maasai vengono assorbiti e restituiti fondendo così movenze rituali dal sapore primitivo alla destrutturazione gestuale contemporanea. ❍

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iperpop 81 Ravenna Festival Magazine 2013

Così complesso e così popolare,

Burt Bacharach

ecco a voi DI MATTEO FABBRI

New York. Ottobre 1957. Un ragazzo belloccio e determinato frequenta il “Brill Building” (una scuola di musica con connotati più vicini a quelli di una cinica azienda piuttosto che di un college). Al suo ingresso gli addetti si rivolgono a lui: «Senti, ti diamo una stanza con un comodino, un telefono e un pianoforte a coda. Sai come comporre, quindi componi e vediamo cosa combini». In poco tempo quel giovane diviene una delle massime espressioni della cultura popolare del secolo scorso, permeando tutto il pop degli ultimi 40-50 anni e diventando oggetto di culto per le generazioni successive che hanno tratto spunto dal suo stile e lo hanno omaggiato con migliaia di cover. Quel ragazzo si chiama Burt Bacharach e questa estate, a quasi 60 anni dai primi successi (e con 85 primavere alle spalle), sarà uno dei protagonisti della ventiquattresima edizione del Ravenna Festival con un prestigioso concerto. Ma facciamo un passo indietro: Burt Bacharach, chi era costui? Parlare di lui ormai è operazione davvero complicata perché, con artisti del suo calibro, il rischio di essere banali è sempre dietro l’angolo. Quest’uomo attraversa le nostre vite dagli anni Cinquanta ad oggi, sfornando dischi, realizzando colonne sonore, musical, progetti cinematografici e teatrali: forme d’arte che, pur nei diversi ambiti, mantengono tutte quelle caratteristiche riconoscibili e riconducibili a lui. Si tratta del classico artista per il quale, probabilmente, faremmo fatica a nominare un paio di titoli di canzoni ma, se lo ascoltassimo per caso in radio, esclameremmo subito la tipica frase «ahhh... ma questa è famosissima». Già, perché pezzi come “Magic Moments”, “The Look Of Love”, “What The World Needs Now Is Love”, “Bond Street”, “Always Something There To Remind Me”,

l’evento

Il funk rivive ai giardini con i PB Underground Guidati da Pete Ray Biggin alla batteria, i PB Underground sono una delle funk band inglesi più chiacchierate del momento. Nel giro di pochi anni sono riusciti a costruire uno zoccolo duro di fan grazie all’energia della loro musica e al talento di alcuni dei migliori sessionmen della scena londinese che si alternano sul palco con la band. Biggin, leader e primo autore, collabora regolarmente con Level 42, Incognito, Chaka Khan e Mark Ronson. La PB Underground viene ormai considerata da critica e

pubblico come la band regina del funk revival. Un revival che in questo caso andrà in scena il 5 luglio ai giardini pubblici di Ravenna, sorta di “balera” ideata per questa edizione del Festival. Sul palco insieme a Biggin ci saranno Ben Epstein al basso, Ben Jones alla chitarra, Daniel Bingham alle tastiere, Christopher Storr alla tromba, Winston Rollins al trombone, Sean Freeman al sax tenore, Richard Beesley al sax baritono, Brendan Reilly alla voce solista, Holly Petrie e Kirsten Joy Child alle voci.


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82 iperpop Ravenna Festival Magazine 2013

“Walk On By”, “Raindrops Keep Falling On My Head” probabilmente non ci dicono nulla scritti così. Ma vi sfido: ascoltatele e vedrete se la vostra reazione non sarà «ah sì, questa la conoscevo!». La peculiarità principale delle sue composizioni è quella di riuscire a creare melodie clamorosamente orecchiabili e semplicissime da ricordare, tramite un lavoro in cabina di regia in realtà estremamente complesso, fatto di fraseggi irregolari, improvvise mutazioni di accordi e metriche che cambiano in continuazione. Mescolando elementi della tradizione jazz con richiami alla bossanova sudamericana, e portando il tutto al rango di “popolare”. Faceva, in pratica, apparire facile ciò che non lo era affatto. La sua è una musica suadente, morbida, raffinata, profonda, avvolgente ed elegante: d’atmosfera, insomma. Musica che riesce a toccare stagioni e sensazioni agli antipodi: perfetta con un bicchiere di vino in mano davanti al fuoco del camino, ma allo stesso tempo anche classica musica “da aperitivo” (come diremmo noi oggi) magari in riva al mare, con una leggera brezza che ti scompiglia i

«Se non convinci una donna a venire a letto con te dopo averle fatto ascoltare Burt Bacharach significa che non ne valeva la pena». Noel Gallagher

Un ritratto del compositore Burt Bacharach, atteso in concerto a Ravenna, al Pala De André, sabato22 giugno, alle 21

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capelli e ti accenna un sorriso. Oppure ancora da appuntamento galante e serata intima. Del resto, come dice volgarmente uno dei suoi fan più famosi (Noel Gallagher): «se non riesci ad andare a letto con una donna dopo averle fatto ascoltare una canzone di Burt Bacharach, significa che non ne valeva la pena...». ❍


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84 jazz pop Ravenna Festival Magazine 2013

Fiato alla tromba sui ritmi di Michael Jackson DI ROBERTO VALENTINO

Uno dei più quotati trombettisti al mondo che rende omaggio a una delle icone della pop music: di primo acchito potrebbe sembrare una di quelle stranezze che possono venire in mente a un jazzista in cerca di avventure “esotiche”; in realtà, l’idea si è rivelata alla prova dei fatti tutt’altro che malsana. «Un genio»: così Enrico Rava definisce senza mezze misure l’oggetto della sua attenzione, ovvero Michael Jackson, il bambino prodigio che insieme ai suoi quattro fratellini scalò negli anni Sessanta le classifiche della musica nera e non solo, l’artista maturo che, sotto l’ala protettrice di un tipo scafato come Quincy Jones, ha lasciato un’impronta indelebile del suo passaggio nelle “musiche di consumo”. Rava si è accorto del “re del pop” non nel momento del suo maggiore fulgore creativo, ma quando qualcuno se l’è portato via per sempre. Era il 25 giugno del 2009: la notizia della scomparsa di Michael Jackson fece immediatamente il giro del mondo cogliendo di sorpresa anche Enrico Rava, al termine di un suo concerto nella Cavea dell’Auditorium di Roma. Da quell’istante è nata nel più internazionale dei jazzisti italiani un’inedita curiosità, la voglia di addentrarsi in un mondo a lui prima di allora sconosciuto. «Forse a darmi il colpo di grazia è stato il riff contagioso di “Smooth Criminal” – racconta oggi il trombettista triestino – sta di fatto che da un certo momento in poi Michael Jackson ha invaso la mia vita. Lunghi viaggi in macchina che avrebbero potuto essere d’una noia mortale si sono trasformati in entusiasmanti sedute d’ascolto. Insieme a mia moglie Lidia ci siamo procurati tutti i suoi dischi e tutti i video che siamo riusciti a trovare. Mi sono

reso conto di aver ignorato per anni uno dei grandi protagonisti della musica e della danza del ‘900. La visione del film This Is It, che documenta le prove di quello straordinario spettacolo che la sua morte ha impedito di realizzare, mi ha colpito profondamente. Vedere questo Peter Pan cinquantenne, così fragile e vulnerabile, trasformarsi in palcoscenico in un dominatore benevolo ma assoluto, in controllo del più piccolo particolare, da una luce troppo debole a una nota di basso non abbastanza enfatizzata, dal passo imperfetto di un ballerino a una pausa musicale troppo breve. Un artista completo, assoluto, un perfezionista». Dalla folgorazione alla messa in opera di un omaggio musicale il passo è stato naturale. Così come l’individuazione dei complici: i musicisti del Parco della Musica Jazz Lab, che Rava dirige autorevolmente da alcuni anni, e l’estroso Mauro Ottolini come responsabile degli arrangiamenti. Il progetto è quindi rapidamente decollato incontrando anche i favori di Manfred Eicher della ECM, che a metà del 2012 ha dato alle stampe On The Dance Floor, album che si sofferma su pagine un po’ defilate del songbook di Michael Jackson, senza tuttavia trascurare un hit epocale come “Thriller”. La scelta riflette infatti i gusti

non di un fan ma di un attento osservatore di cose musicali, di un jazzman che utilizza materiale altrui per reinventarlo, per imprimergli la propria poetica. Ecco allora che la scaletta include pezzi come “Speechless”, “Privacy”, “Blood On The Dance Floor” e lo stesso “Smooth Criminal”. E c’è pure spazio per “Smile” di Charlie Chaplin, che Michael Jackson inserì nel doppio album History. In questo viaggio fra canzoni che profumano di soul e di funk Rava è ben coadiuvato da una manciata di solisti che sanno il fatto loro: dai trombettisti Andrea Tofanelli e Claudio Corvini

Enrico Rava, uno dei più quotati jazzisti del mondo, rende omaggio a una fra le più amate icone del pop: «Era un genio...» ai sassofonisti Dan Kinzelman e Daniele Titarelli, da Mauro Ottolini, che si divide fra trombone e tuba, al pianista Giovanni Guidi. Insomma, il 30 giugno al Pala De André non vedremo Enrico Rava imitare i robotici passi di danza di Michael Jackson, ma ascolteremo sicuramente della bella musica. ❍


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86 rock show Ravenna Festival Magazine 2013

Alla scoperta dei Tame Impala quando il pop diventa psichedelico DI LUCA MANSERVISI

immergersi completamente (come una droga, appunto), e dai chiari riferimenti, che non sono solo i Pink Floyd. Nel caso di cui stiamo parlando sono certi Beatles, e qualche chitarra dei Cream, per esempio. Ma si arriva quasi fino all’epoca del glam tutto riflettori e lustrini luccicanti. Stiamo parlando infatti della classica band che piace e vuole piacere alla gente, almeno questa è l’impressione. Di un gruppo che non ha reso più leggera la psichedelia, ma che (come ha scritto qualcuno) ha invece

Venne chiamato rock psichedelico perché in teoria veniva concepito sotto l'influsso di sostanze stupefacenti, e nella stessa condizione doveva essere ascoltato. Ora la droga non c’entra invece quasi più nulla, e di quegli anni Sessanta e Settanta ci siamo tenuti stretti la musica. Un mix di blues elettrico e hard rock, spesso caratterizzato da suite strumentali ed effetti vari che donavano al suono quell’aria così démodé che lo rende ancora affascinante. Da qualche anno si sono moltiplicate le band che stanno riportando in auge tutto questo, tanto da parlare di neopsichedelia. Musica dalle melodie sognanti, in cui

il concerto

Da Frank Zappa alla musica classica: Steve Vai arriva con chitarra e orchestra Chitarrista, autore e produttore americano, di origini italiane, ha venduto in tutto il mondo oltre 15 milioni di album e vinto 3 Grammy Awards. Allievo di Joe Satriani, prima di iniziare a metà anni Ottanta la sua carriera solista, ha esordito come chitarrista di Frank Zappa, nella cui band ha militato per due anni, dal 1980 al 1982. Ora, trent’anni dopo, Steva Vai torna in Italia – il 15 giugno al Pala De André nell’ambito del Ravenna Festival – con il progetto straordinario per rock band e orchestra “Steve Vai & Evolution Tempo Orchestra”. Artista eclettico e virtuoso, universalmente riconosciuto come uno dei migliori chitarristi nella storia del rock, Vai proporrà al pubblico i suoi pezzi più famosi completamente rivisitati in chiave classica, accompagnato dai 50 strumentisti della Evolution Tempo Orchestra diretta da George Natsis. Non si tratta di un semplice riarrangiamento di brani rock con una base d'orchestra: Vai scrive e compone usualmente su spartito, sin dai tempi in cui metteva sul pentagramma le follie del suo mentore Zappa, ed è abituato a concepire i propri brani pensando ai movimenti esatti per ogni singolo strumento. La consistenza ritmica della rock band fornisce la base ad una serie di arie che paradossalmente erano già insite nei brani stessi, attendendo solo il momento di essere evidenziate all'interno di un contesto adeguato. Circa due ore di concerto in cui saranno eseguiti cavalli di battaglia come "For The Love of God”, “Velorum”, “Whispering a Prayer”, “The Attitude Song”, "Racing the World", "The Murder",

e la suite "Fire Garden". La Evolution Tempo Orchestra è l'orchestra sinfonica nazionale della televisione di stato della Romania Tvr1. Il tour italiano si svolge in collaborazione con Radio 2 Rai che trasmetterà il concerto del 15 giugno dal Ravenna Festival. Tornando alla sterminata carriera di Vai, dopo gli esordi con Zappa ha collaborato nel corso degli anni con artisti hard & heavy tra i quali David Lee Roth, Alcatrazz e Whitesnake e ha inoltre partecipato all'esecuzione della colonna sonora del film “Fantasmi da Marte” di John Carpenter insieme agli Anthrax e a Buckethead. Mentre il contributo di Vai al materiale di altri è stato limitato dallo stile rock o heavy-rock dei gruppi per cui ha suonato, la sua musica di tanto in tanto sembra richiamare l'esoterismo. Vai è inoltre un apprezzato produttore musicale: possiede due studi, "The mother ship" e "The harmony hut", e le sue registrazioni combinano la sua distintiva abilità nelle nuove composizioni con un considerevole utilizzo di effetti in fase di registrazione. È poi titolare della Favored Nations, una compagnia di registrazione e pubblicazione specializzata nel prendersi cura di nuovi talenti o di artisti di alto profilo di tutto il mondo. L’anno scorso ha pubblicato “The Story of Light”, suo settimo album in studio.


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rock show 87 Ravenna Festival Magazine 2013

psichedelizzato il pop. Partendo da lì, soprattutto con il loro secondo disco, da canzoni popular (il leader provocatoriamente parla addirittura di Britney Spears), che vengono lavorate all’insegna della psichedelia. Non sono un gruppo che forse entrerà nella storia della musica rock, ma sono una delle band del momento. Di quelle che tra il popolo indie ha fatto quasi inaspettatamente presa. Tanto che l’esordio è finito nella top five del loro continente (l’Australia) e il secondo album dell’anno scorso è entrato in classifica pure in Italia. Loro si chiamano Tame Impala, curioso nome che deriva anche da quello di un’antilope africana, vengono da Perth, e saranno in concerto il 9 luglio alla Rocca Brancaleone nell’ambito della rassegna che ormai da qualche anno Ravenna Festival organizza con l’associazione Bronson Produzioni, in una sempre interessante commistione nel programma tra musica classica e contemporanea. Tornando ai Tame Impala, la loro

avventura inizia ufficialmente nel 2008 quando la band firma un contratto con l'etichetta indipendente Modular Recordings, a cui segue la pubblicazione dell'ep omonimo, di cui si parlò più che altro per la copertina, che era quasi una lezione di astronomia, omaggio alla musica cosmica, un’altra delle loro influenze. Il leader, Kevin Parker, riconoscibile su disco dalla voce lontana e quasi distratta, a quei tempi era poco più che ventenne. Nel 2010 il gruppo pubblica l'album d'esordio, “Innerspeaker”, vero caso nel mondo alternative, più legato a sonorità anni Sessanta e Settanta rispetto al seguito dell’anno scorso, Lonerism, più “nuovo” e orientato alla musica pop, come detto. Tendenzialmente anche più bello, forse, ma ancora solo parte di un percorso che in futuro dovrà dimostrare di poter restare scolpito. Chissà. Al momento non si può che essere però curiosi di ascoltare dal vivo una band così chiacchierata. ❍


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88 passeggiate in musica Ravenna Festival Magazine 2013

Trekking fra pineta e città per ritrovare un rumor d’acque In programma un percorso urbano fra giardini e fiumi nascosti con le istallazioni sonifere di Luigi Berardi, una corsa non competitiva e un concerto itinerante fra i pini sulle tracce del Mazapégul, il tutto organizzato da Trail Romagna

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spettacoli e laboratori itineranti. Quest’anno due sono gli appuntamenti in cartellone, il tradizionale concerto Trekking e l’avventuroso programma fra storia e arte “Ravenna città d’acque”, composto da un urban trail, ovvero una corsa non competitiva di 15 chilometri e da un trekking urbano, percorso nel cuore della città di 6,5 chilometri. Nella giornata mondiale per l’ambiente, il 5 giugno, il festival andrà alla ricerca del Mazapégul, il folletto delle fiabe popolari nella grande pineta San Vitale, con tappa a Ca Vecia, Bassa del Pirottolo, Pialassa Baiona, Buca del Cavedone, Fossatone. Lungo l’itinerario ad anello, le guide saranno il fulesta Sergio

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90 passeggiate in musica Ravenna Festival Magazine 2013

Diotti, accompagnato dai suoni dell’ocarina di Michele Carnevali e della fisarmonica di Primo Montanari. Nell’aia della Ca Vecia, la grande festa con la musica e i balli della tradizione romagnola e il ristoro. Inedito l’appuntamento

diviso in due giornate alla scoperta della città che rimane sottotraccia, quella nata della civiltà delle acque. Negata e temuta nei secoli l’acqua è definitivamente scomparsa dalla città, lasciando tracce nella morfologia urbana e

nella toponomastica. Tema quello delle acque affrontato dal geografo ravennate Paolo Fabbri nel libro “Il Padenna” già nel 1975, Edizioni del Girasole. Ripreso nel 2005 da Paolo Bolzani nel volume Idea di Ravenna realizzato con Claudio

Notturni, ed. Airplane, nel quale si parla di urbanistica fluviale, di viabilità primaria con l’individuazione della grande Y data dal tombamento del Padenna (via Girolamo Rossi, via IV Novembre) e Flumisellum (via


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luoghi dello spirito 91 Ravenna Festival Magazine 2013

Cavour) all’altezza di piazza Costa. «Per comprendere questa città quindi – scrive Bolzani - si deve attivare la memoria della cultura dell’acqua, nel suo oscillare tra fatti storici ed evoluzioni geomorfologiche, cui risultano soggiacere i principali segni di struttura urbana e chi narra di un progressivo allontanamento e offuscamento di ogni segno d’acqua». Il programma prevede per domenica 16 giugno alle 6 la partenza dallo Chalet dei giardini pubblici della corsa non competitiva che unisce le aree verdi ai luoghi nell’antichità segnati dalla presenza dell’acqua dai porti della città, ai fiumi al mare. Lunedì 17 il trekking urbano dalle 19 proporrà un viaggio che farà emergere le stratificazioni idrografiche che si sono succedute nei secoli dalla Ravenna romana, a quella bizantina poi medievale fino alla città dei giorni nostri, dal Candiano, al ponte Nuovo fino al porto di Classe. Nell’anno internazionale della cooperazione idrica i partecipanti al trekking si

muoveranno alla ricerca di scomparse reti idrografiche sulla base di ricerche condotte da Gianfranco Andraghetti. Molte le tappe dove le archeo guide di RavennAntica e Pietro Barberini racconteranno di luoghi scomparsi, mentre l’artista Luigi Berardi condurrà il pubblico alla scoperta di istallazioni interattive “sonifere”: grandi opere in legno che aiuteranno nella rete urbana contemporanea a sentire il rumore delle acque di siti dimenticati, come mulini, fonti abbandonate, antichi lavatoi, pozzi. Saranno tanti i punti d’acqua toccati, dall’acquedotto romano che solcava il fiume Ronco fino all’antica torre dell’Episcopio con il vicino Battistero che probabilmente ospitava le terme, al Padenna che in piazza Costa lambiva la basilica di San Michele in Africisco di cui oggi rimangono solo il campanile e parte dell’abside nascosta in un negozio, al pozzo dei chiostri della Classense un tempo collocato in piazza del Popolo. Animerà il trekking la musica e l’allegria della formazione Napolincanto. ❍

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92 genius loci Ravenna Festival Magazine 2013

Giardini Pubblici

fra verde e architetture

antiche e moderne DI PAOLO BOLZANI

Nel nostro peregrinare nei luoghi di Ravenna Festival, oggi ci imbattiamo nei Giardini Pubblici, realizzati tra il 1931 ed il 1934 su progetto dell’architetto Giulio Ulisse Arata di Piacenza, di cui l’anno scorso gli Ordini degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori delle province di Ravenna, Bologna, Parma e Piacenza hanno ricordato i cinquant’anni della

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morte con una pubblicazione celebrativa collettiva (Giulio Ulisse Arata. 1881-1962. Architettura in Emilia Romagna). Indirettamente Arata è all’origine dello spostamento stesso dei Giardini Pubblici. Al 1930 risale la realizzazione

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della Casa del Balilla, su progetto di Arata, che giunge ad occupare una area verde, fino ad allora adibita a Giardino Pubblico, situata davanti alla Stazione ferroviaria. La costruzione in mattoni a vista, in cui si fonde il ricordo della plastica muraria dei monumenti ravennati tardoantichi con un gusto già Novecento, verrà poi distrutta a seguito dei bombardamenti del 1944. La necessità di reperire una nuova area da adibire a verde attrezzato, con inserimento di un piccolo fabbricato per ristoro dei frequentatori, porta alla individuazione dell'ex sede dell'Ippodromo, che a sua volta era stato collocato nel 1886 nel vecchio Prato di Porto, già orto e giardino del Monastero di S. Maria in Porto. A causa della forma ovale del galoppatoio il luogo verrà chiamato comunemente “é Tond”. Tra il 1903 e il 1904 avviene il restauro della Loggetta Lombardesca e l’intera area diviene luogo di

aggregazione e ritrovo per manifestazioni sportive, militari e civili, come l’Esposizione Regionale Romagnola del maggio-giugno 1904. Nel 1930 dunque i Giardini Pubblici devono spostarsi dal piazzale della Stazione alla sede del vecchio Ippodromo, che a propria volta viene trasferito nell'ex Piazza d'Armi, già primo campo di atterraggio aereo ravennate, e che si trasferirà nelle campagne a sud della città con la realizzazione dell'aeroporto La Spreta. Purtroppo il complesso e articolato progetto di Arata non verrà eseguito fedelmente, anche se si manterrà l’idea di un parterre centrale segnato da filari di lecci (Quercus Ilex) e fronteggiante in posizione ribassata la facciata della Loggetta Lombardesca, concepita questa come quinta di pregio per


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tutti gli scorci prospettici. Il parterre centrale era allora trattato a giardino all’italiana e bordato da basse siepi, così come i principali settori del parco; il passaggio della guerra ne ridusse il ruolo a grande prato. Tra marzo e aprile 1933 vennero realizzati i lavori di piantumazione, poi ci si occupò della costruzione della fontana, progettata da Arata, che venne ultimata all’inizio del 1934 e di un «fabbricato ad uso caffè», detto «Chalet», il cui progetto fu redatto dall’ufficio tecnico comunale su delibera dell’8 luglio 1933 e realizzato secondo il gusto dell’epoca. Nella fontana presente al centro del parterre si può rinvenire un disegno simile a quella che si trova tuttora nel giardino dell’Eremo di Sant’Antonino, dimora di Arata nel centro storico di Piacenza. Già il 28 ottobre 1933 il settimanale «Santa Milizia» ricordava il «nuovo giardino pubblico» come un’opera ben gradita e ne citava il progettista nella figura di Arata. A quei tempi le aiuole erano recintate da staccionate rustiche

di legno ornate da rose rampicanti, mentre attorno allo Chalet vennero formati quattro settori con andamento curvilineo, omaggiati dalla presenza di Magnolie Grandiflora disposte a quinconce. Ancora negli anni Sessanta del XX secolo i Giardini erano attraversati da un asse alberato carrabile che transitava davanti alla Loggetta proveniendo da via Padre Genocchi in direzione di viale

Santi Baldini e che ora rimane nel toponimo viale dei Canadesi. L’eliminazione dell’attraversamento trasversale si ebbe alla fine degli anni Ottanta, quando fu realizzata la cancellata intorno ai Giardini e i proprietari delle ville di via Genocchi e via S. Pier Damiano persero la servitù di passaggio. Via Genocchi divenne di fatto una strada a fondo chiuso, anche se rimase un cancello che tuttora

concede l’accesso al giardino pubblico, utilizzato di rado. Arata continuò nella sua opera di progettista a Ravenna ancora per qualche anno. Risale al biennio 1934-1936, ma con ben altro controllo dei lavori, la realizzazione di villa Cagnoni, proprio all’attuale termine di via Genocchi, sita in fregio al fianco nord della basilica mariana e alla cancellata di ingresso nord nei Giardini. In questa architettura abitativa Arata mostra una sostanziale evoluzione linguistica, che si depura delle istanze storiciste messe in mostra nel Palazzo della Provincia di Ravenna (1928) o nel quartiere medievale S.A.R.E. di Bologna (1925-32) o ancora nella stessa Torre Maratona (1925) dello stadio felsineo, per esibire l’adesione ad un razionalismo dalla matrice fortemente organica, messo in mostra nell’insistita modellazione del paramento murario in mattoni a vista. Il salto dallo Stile Arata tardoliberty delle realizzazioni milanesi e napoletane di qualche decennio prima è notevole.

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Se il racconto dei Giardini Pubblici non può prescindere della segnalazione del suo primo ideatore, non possiamo peraltro non ripercorrere brevemente le tappe della storia pregressa del luogo, soprattutto per quanto riguarda la presenza architettonica principale, vale a dire la Loggia del Giardino, costruita con armoniche proporzioni tra il 1503 e il 1518: le date sono scolpite nei timpani dei corpi laterali. Oggi costituisce insieme al chiostro quadrato il momento monumentale e di eccellenza architettonica del complesso del Museo d’Arte della Città di Ravenna. La Loggia, dall’aspetto di casa-fondaco (come quello dei Turchi, già Cà Pesaro sul Canal Grande) viene comunemente chiamata Loggetta Lombardesca per l’attribuzione dell’opera a Pietro e Tullio Lombardo, il primo legato anche alle colonne di piazza del Popolo (1483), il secondo alla “taumaturgica” lastra tombale di Guidarello Guidarelli, il giovane capitano ravennate al servizio di Cesare Borgia morto a Imola nel marzo 1501. Il lascito del settantennio di governo della Serenissima Repubblica di Venezia (1441-1509) alla città di Ravenna trova nel complesso della chiesa di Santa Maria in Porto il suo apice di maggior valore architettonico. Come già scriveva Vincenzo Fontana nel bel volume curato da Dante Bolognesi nel 1986 per Longo editore (Ravenna in età veneziana), «il convento di Porto è per grandezza e qualità la migliore architettura veneziana a Ravenna, nonostante le molte vicissitudini e i restauri arbitrari, tanto che la loggetta del giardino e il chiostro quadrato possono paragonarsi a pochi esempi in laguna e altrove». Un’altra piccola emergenza architettonica che si affaccia sui Giardini è costituita dalla Porta originaria del Monastero, che ora si trova murata a fianco dell’abside della basilica e che in origine si apriva sul piazzale antistante la basilica di S. Maria in Porto. Era collocato nel fronte meridionale dell’ala nord del chiostro piccolo del

Uno scorcio di Casa Cagnoni, dietro l’abside di S. Maria in Porto

monastero, demolito nel 1885 dopo la sua trasformazione in Caserma; Caserma Garibaldi che scomparirà solo alla fine degli anni Cinquanta del XX secolo. Da allora è rimasto solamente quello maggiore. Alcuni capitelli e colonne del chiostro minore vennero rimontati nel 1933-36 nella Galleria della Biblioteca Oriani, nel momento in cui si pose fine alla complessa Sistemazione della Zona Dantesca. La Porta venne inizialmente risistemata nel Museo di allora, vale a dire il complesso Classense di via Baccarini, poi venne murata, e tuttora ivi si trova, a fianco dell’abside della basilica. Nel corso degli anni altri oggetti architettonici sono venuti a sommarsi alle preesistenze. Il primo è il Planetario, una costruzione dall’aspetto razionalista, inaugurato il 1° giugno 1985 in via dei Neozelandesi n. 4 e progettato dall’architetto Stefano Dall’Olio, dall’ingegnere Mauro Mezzini e dal geometra Augusto Testoni, dipendenti comunali. All’interno si trova una sala proiezioni capace di accogliere 52 visitatori, che possono ammirare la volta celeste in una calotta in scagliola di 8 metri di diametro. Nel 1997 è stato ornato da un orologio solare dall’artista e gnomonista Mario Arnaldi. Infine, un anno fa, lo Chalet è stato ampliato con una bella serra progettata dall’architetto Leonardo Rossi, in servizio all’ufficio di Piano del Comune di Ravenna. . ❍


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