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Editore Reclam Edizioni & Comunicazione srl . viale della Lirica 43 . 48124 Ravenna . Iscrizione al Tribunale di Ravenna n. 1240 del 8/11/2004 . Redazione 0544.271068 . redazione@trovacasa.ra.it . Pubblicità 0544.408312 . info@trovacasa.ra.it
n. 79 GENNAIO-FEBBRAIO 2013
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RAVENNA n. 79 gennaio febbraio
2013
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GENNAIO - FEBBRAIO 2013
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contenuti
gennaio febbraio 2013
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casa bella casa
topografia e storia
città e tempo
stato dell’arte
La villa “bolidista” di Alfonsine, dinamismo e molteplicità nell’architettura di Guido Venturini di Paolo Bolzani
Le “tre acque “ di Ravenna all’insegna dei sacri edifici dedicati ai Santi Giovanni di Pietro Barberini Orologi solari, un viaggio nel tempo che non si è ancora interrotto di Mario Arnaldi
Il ruolo dell’architettura contemporanea in otto incontri con i protagonisti
Pensare la città futura: dalle città giardino alla smart city, strategie dell’abitare a confronto
teorie urbanistiche
pentole e provette
città e società
di A. G. Cassani e P. Nobili
Il tartufo, inebriante ingrediente, secondo l’esperienze di chef Faccini di Chiara Bissi
Una visceralità “dicibile”, incontro con il pensiero antiautoritario di Lea Melandri di Marina Mannucci
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Universo Immobiliare . Case d’Autore 12 . Assocase . Romagna 13 . Francesca Leonzi 21 . Mazzini . La Dimora di Magdala 22 . Scor . Fratelli Savorani 23 . Futura . Eurocase 24 . Idea Casa 25 . La Rocca . Gesticasa 33 . Eurocapital . Moderna 36 . Baccarini 37 . Eurobusiness 47 .
fotografie GENNAIO-FEBBRAIO
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MEDIOLANUM TC:Layout 1 18/02/13 18:14 Pagina 2
CREDITO L'analisi di Bain & Company
La banca del futuro sarà così: filiali leggere e tutto sul web Spostando le operazioni su Internet, gli istituti risparmierebbero il 75 % dei costi ora assorbito dagli sportelli e parte degli esuberi sarebbe ricollocato. Il caso Citi Gian Maria De Francesco
■ Tornare indietro non si può.
L’attività bancaria in Europa e, soprattutto, in Italia ha evidenziato criticità che richiedono soluzioni drastiche. La «vecchia» filiale con casse, sportellisti e fila di clienti è destinata a riempire qualche pagina dell'album dei ricordi. Il futuro è rappresentato dalla digitalizzazione. L'immobilismo, infatti, rischia di aggravare la crisi. A ricordarlo è Bain & Company sottolineando che la percentuale di vendite effettuata nelle filiali entro il 2015 è destinata a scendere al 60% del totale (era il 90% nel 2000), mentre il restante 40% sarà appannaggio di Internet. Le visite di ogni singolo cliente allo sportello sono destinate a ridursi a una al mese (erano due nel 2000) entro il 2015, quando il 90% delle operazioni (come pagamenti, bonifici e acquisto di titoli) sarà realizzato online. Anzi, c'è di più, la società di consulenza ha elaborato un’analisi intitolata La sfida digitale nelle banche commerciali che disegna già la filiale del futuro.
RIDONDANZE Secondo alcuni analisti, il 30% dei dipendenti del settore è in eccesso Negli Usa il 36% dei clienti con reddito sopra i 100mila dollari comunica con la banca via smartphone o tablet, il 70% degli utenti degli istituti si informa via Internet e l'unica professionalità irrinunciabile per il 72% di loro è il consulente finanziario. La soluzione è investire nello sviluppo delle piattaforme tecnologiche. Il modello è il «Project Rainbow» di Citigroup che ha investito 350 milioni di dollari per creare un sistema unificato che assembla tutte le informazioni di contatto della clientela (conto in banca, carte di credito, portafoglio titoli e interazioni sui social network). In questa nuova prospettiva le «antiche» filiali si trasformeranno in boutique dove concludere una transazione oppure ricevere maggiori informazioni sulle
proposte che la banca ha inviato via Internet. La soluzione è investire nello sviluppo delle piattaforme tecnologiche. Il modello è il «project rainbow» di Citti Group che ha investito 350milioni di dollari per creare un sistema unificato che assembla tutte le informazioni di contatto della clientela (conto in banca, carte di credito, portafoglio titoli e interazioni sui social network). In questa nuova prospettiva le «antiche filiali» si trasformeranno in boutique dove concludere una transazione oppure ricevere maggiori informazioni sulle proposte che la banca ha inviato via internet. Il cambiamento contiene in sé un risparmio notevole: il canale
34mila 50%
In Italia ci sono circa 34mila sportelli bancari. Secondo alcune stime un terzo sarebbe in eccesso
La metà dei costi bancari è oggi assorbita dalle spese necessarie per il mantenimento delle filiali
IN GUARDIA Il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco (Ansa)
tradizionale oggi assorbe il 50% dei costi delle banche, mentre Internet ridurrebbe del 75% le spese. Si tratta di un'esigenza irrinunciabile per un settore colpito dalla crisi economica. Come ha evidenziato R&S Mediobanca, infatti, nel 2012 i profitti dei 20 principali istituti di credito europei sono diminuiti in media del 30% su base annua. Le ragioni sono note: i ricavi da interessi sono in costante flessione (-3,4%) a causa del taglio dei tassi della Bce. La recessione ha frenato la vendita di prodotti (mutui, finanziamenti, fondi, ecc.) facendola sprofondare del 15% circa. Il modello ad alta intensità di lavoro (incidenza del 60% dei costi sui ricavi) non è più sostenibile, come ha ricordato il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco. Le banche italiane, per cui si stimano altri 35mila esuberi su una popolazione complessiva di 330mila dipendenti, potrebbero ridurre ancora il personale? La risposta non è necessariamente affermativa. Occorre tuttavia ricordare che alcuni analisti ritengono ridondante il 30% della forza lavoro e che Ennio Doris, presidente di Banca Mediolanum (istituto che nel 2012 ha ottenuto risultati record), ha recentemente ribadito che «in Italia 56 sportelli ogni 100mila abitanti sono troppi e un sistema efficiente potrebbe fare le stesse cose con 160mila dipendenti». Esternalizzare gli esuberi in una società terza, infatti, comporta due rischi: i dipendenti non accettano di abbandonare il favorevole contratto bancario e, in molti casi (ultimo quello di Mps), il sindacato chiede il «paracadute», cioè la riassunzione in banca nel caso la nuova proprietà voglia ridurre il personale. Un buon compromesso potrebbe essere invece lo spostamento degli esuberi (previa formazione interna) verso altre operazioni che in alcuni casi sono appaltate all'esterno, come l'elaborazione delle pratiche di credito.
Il Giornale, 10 dicembre 2012
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Controcopertina Nel Bolidismo – di cui l’architetto alfonsinese Guido Venturini è stato uno dei fondatori – convergono i concetti di comunicazione, movimento, leggerezza, molteplicità, divenire e azione. Il movimento, attivo fino all’inizio degli anni Novanta, mostrerà le proprie peculiarità maggiormente nel design, con l’invenzione di oggetti per la casa dalle forme a volte esilaranti, come Firebird, Merdolino, e il Mangiauovo, illustrato qui sopra...
Autorizzazione Tribunale di Ravenna n. 1240 del 8 novembre 2004 Direttore responsabile: Fausto Piazza Consulenza redazionale: Paolo Bolzani Collaborano alla redazione: Andrea Alberizia, Federica Angelini, Pietro Barberini, Roberta Bezzi, Chiara Bissi, Alberto Giorgio Cassani, Serena Garzanti (segreteria), Maria Cristina Giovannini (grafica), Linda Landi, Marina Mannucci, Luca Manservisi, Domenico Mollura, Serena Simoni. Progetto grafico: Quadrastudio - www.quadrastudio.info Referenze fotografiche: Maurizio Montanari, Paolo Genovesi, Fabrizio Zani Redazione: tel. 0544.271068 redazione@trovacasa.ra.it - www.trovacasa.ra.it
Editore: Reclam Edizioni e Comunicazione srl viale della Lirica 43 - 48124 Ravenna - tel. 0544.408312 info@reclam.ra.it - www.reclam.ra.it Direttore generale: Claudia Cuppi
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La Villa bolidista di Alfonsine Comunicazione, movimento e molteplicità nell’architettura di Guido Venturini
CASA BELLA CASA
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Alcuni scorci dell’abitazione progettata da Guido Venturini. A sinistra, il particolare della singolare bussola di ingresso a forma di botte.
Complice la presentazione di Cronache e racconti di architettura a Lugo nella sede di Edilpiù, in gennaio abbiamo scoperto la sorprendente villa, costruita nei primi anni ‘90 nella tranquilla periferia di Alfonsine da un architetto che ora si dedica prevalentemente alla pittura di soggetto sovente religioso
di Paolo Bolzani
Il 31 gennaio, insieme a due vecchi compagni di studi a Venezia - gli architetti Emilio Rambelli e Gabriele Montanari – ci siamo trovati a Lugo nella sede di Edilpiù, realizzata su felice progetto dell’architetto Lamberto Rossi tra il 1992 e il 1995. Architettura caratterizzata da un gesto in facciata risolto da una grande parete curva, segnata da un efficace trattamento in doghe metalliche è stata citata in occasione dell’ultima Biennale di Architettura di Venezia nella sezione Architetture della Fabbrica. Nel corso del suo intervento l’architetto Montanari ha illustrato una
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Nella villa di Alfonsine l’architetto Guido Venturini mette in mostra le complesse e fascinose tematiche del Bolidismo, un movimento di pensiero culturale e azione artistica fondato nel 1986 a Bologna da alcuni architetti neolaureati che si erano incontrati nel corso di Arredamento tenuto da Remo Buti alla Facoltà di Architettura di Firenze
Particolari dell’esterno della villa: il giardino, il vialetto d’ingresso e il pannello-scultura sul terrazzo: un grande disco metallico a doppio taglio, «un gesto quasi esoterico, dal gaio sapore anni Sessanta».
CASA BELLA CASA
villa del tutto particolare, costruita ad Alfonsine nel medesimo periodo (1992-1996) su progetto dell’architetto Guido Venturini, dove è nato nel 1957. La villa non passa di certo inosservata, anche se si inserisce nell’omogenea maglia urbana di periferia, rispettando le prescrizioni delle norme urbanistiche. Quello che colpisce è il linguaggio fortemente espressivo, basato sull’uso insistito di forme curve a volte inusuali, soprattutto se si confronta questo edificio con quelli che gli stanno a fianco e che compongono quasi con monotonia l’intorno urbano. Entrando dal cancello di fronte a noi si dispiega un dialogo tra un corpo molto compatto e squadrato, posto a sinistra, e a destra una serie di gesti formali privi di ogni inibizione, a partire da una singolare bussola di ingresso a forma di botte, inserita all’interno di un portico molto allungato, descritto da una linea orizzontale molto netta e forte originata dallo spigolo destro del fabbricato. La linea di cui stiamo parlando rappresenta i ¾ del parapetto di una terrazza collocata sopra il portico, e che, in prossimità del corpo squadrato, per gemmazione produce un grande disco metallico a doppio taglio, un gesto quasi esoterico, dal gaio sapore anni Sessanta. La linea orizzontale del parapetto è un segno dalla struttura forte, che gira sul fianco della villa fino allo spigolo opposto e, nell’altro senso prosegue oltre il disco di metallo all’interno corpo squadrato, per emergere a mensola nel lato successivo, come alla fine di una intersezione di segni e sagome particolarmente marcate. Inoltre, per sottolineare il gioco compositivo, Venturini tratta l’intonaco a pelle con due diverse colorazioni, che nel portico e nella bussola di ingresso si riveste di
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un tono verdino, acqua marina. L’intreccio di corpi retti e curvi prosegue anche al primo piano sulla terrazza, su cui si affaccia in posizione un po’ arretrata un volume risolto da una sorprendente forma curvilinea, che sembra farsi memore della migliore architettura espressionista e che celerà lo sbarco di una sontuosa scala al primo piano. Il divertito spaesamento che sorge a chi guarda può avere spiegazioni di vario genere, ma sostanzialmente si risolve nella risposta ad una semplice domanda: perché questa soluzione? Si tratta di un semplice trucco compositivo o rappresenta qualcosa di più profondo? È un artificioso gioco di facciata o impernia della propria ansia formale e della inesausta vitalità del curvilineo anche gli interni? Dagli scatti di Montanari degli esterni ma soprattutto degli interni di questa villa deriva la sensazione che a guidare il progetto non ci sia un semplice sfizio formale, bensì una precisa adesione ad una corrente di pensiero. Non appena siamo entrati in casa attraverso la bussola – a metà strada tra oggetto di un cartone animato e capsula spaziale – ci troviamo in uno spazio fortemente plasmato da altre linee curve, dal tratto fortemente espressivo, dalla spessa resa plastica. Oltrepassato l’arco che separa la bussola dal soggiorno, ecco uno spazio osmotico aprirsi davanti a noi mentre si riveste nel pavimento in parquet a listoni scuri e di un intonaco verde acqua marina. L’ambiente in cui ci troviamo si dimostra articolato su due livelli lievemente sfalsati, sorti su un confine curvo, lungo il quale si dispone un divano in pelle scamosciato blu aviatore che ha origine da un dolmen stile Flintstones, morbidamente adagiato sul terreno, pronto a trasformarsi in una scultura dal sapore plastico che sembra avvertire un irresistibile fascino per composizioni scultoree di Henry Moore, emergente dal parquet come la dorsale di un animale preistorico. Alla nostra sinistra è collocato il tavolo da pranzo in cristallo, su cui si apre la cucina, mentre proseguendo dritto verso il primo piano, il percorso si trasforma in una grande scala dal parapetto in cristallo, che ci conduce al disimpegno da cui si accede alla terrazza. Sensazioni: stupore e meraviglia, come se la casa fosse concepita come una vasta Wundercammer. Che altro potrebbe suscitarci questa sequenza insistita di forme dinamiche e curve? Ma, allora, chi è Guido Venturini? Forse un mago che ha rivelato al proprio committente l’essenza del principio vitale delle forme sulla terra? Forse. Sicuramente è stato uno dei fondatori del Bolidismo, vale a dire un movimento di pensiero culturale e azione artistica che «viene fondato nel 1986 a Bologna da 16 architetti neolaureati alla Facoltà di Architettura di Firenze, gravitanti attorno al corso di Arredamento di Remo Buti», come si può leggere in Wikipedia. In architettura e nell’ambito del design il Movimento Bolidista si distin-
Alcuni scorci degli interni della villa, dal soggiorno alle scale, caratterizzati da elementi costruttivi morbidi e curvilinei, che nella loro sinuosità esprimono quel senso di dinamismo tipico dell’estetica bolidista.
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In architettura e nell’ambito del design il Movimento Bolidista si distingue per un uso accentuato di forme curvilinee e dinamiche, che prende spunto dal Futurismo, dal mondo dei fumetti e dallo Streamline Moderne, sull’onda del successo di Alchimia e Memphis
gue per un uso accentuato di forme curvilinee e dinamiche, che prende spunto dal futurismo, dal mondo dei fumetti e dallo Streamline Moderne, uno stile a sua volta sorto negli Stati Uniti negli anni Trenta come evoluzione dell’Art Decò e che prospera fino agli anni Cinquanta. Un tipico esempio di questo stile si manifesta nel The Normandie Hotel, costruito a San Juan di Porto Rico nel 1942. Ancora prima, alle origini dello Streamline Moderne si colloca l’espressionismo tedesco, che ha uno dei propri punti di riferimento nella Mossehaus, realizzata su progetto di Erich Mendelsohn con Richard Neutra nel 1921–1923. Mendelsohn è l’autore della straordinaria Einsteinturm di Potsdam e da qui il racconto degli echi ci porterebbe dritto fino a Antoni Gaudi a Barcellona. Il Bolidismo sorge cronologicamente sull’onda del successo di altri movimenti fondati da architetti e designer, su cui emerge Alchimia e Memphis, fondato a sua volta da Ettore Sottsass, nel grande alveo del Postmodernismo a Milano l'11 dicembre 1980, movimento che non vedrà la fine di quel decennio. Nel Bolidismo convergono i concetti di comunicazione, movimento, leggerezza, molteplicità, divenire e azione. Per questo motivo il movimento, che durerà fino all’inizio degli anni Novanta, mostrerà forse la proprie peculiarità maggiormente nel design, con l’invenzione di oggetti dalle forme a volte esilaranti, come Firebird (1993) e Merdolino (1993).
Piante e prospetti della villa di Alfonsine ideata dall’architetto Guido Venturini.
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Tre architetti fra progetti d’autore
Architetto, grafico, designer, recentemente anche pittore. L’eclettismo creativo dell’alfonsinese Guido Venturini comprende oggi anche il dipingere. Nell’ultima produzione si tratta di soggetti religiosi.
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Tre architetti per un incontro molto piacevole nella sede di Edilpiù in via del Piratello a Lugo la sera del 31 di gennaio. Tre architetti e tre antichi compagni di studi all’Istituto Universitario di Architettura di Venezia. Sono Paolo Bolzani, Gabriele Montanari ed Emilio Rambelli. Il primo ha presentato per la prima volta a Lugo il volume Cronache e racconti di architettura, edito l’anno scorso da Reclam Edizioni, che raccoglie gli articoli da lui scritti dal 1998 al 2011 su argomenti di architettura e urbanistica nelle città di Ravenna, Faenza, Bagnacavallo, Alfonsine, Milano Marittima, Cesena e Santarcangelo di Romagna per i settimanali Ravenna & Ravenna, Ravenna & Dintorni e il mensile Trova Casa, in quest’ultimo caso con un’attenzione particolare al mondo dell’abitare. Come scrive Beppe Errani, consigliere dell’Ordine nazionale dei giornalisti, nell’introduzione al volume, l’autore «guarda con l’occhio del fotografo, scrive con l’esperienza della professione e abbellisce con la conoscenza dello storico»; ne deriva un «libro ricco e grasso di citazioni, rimandi, ricostruzioni e descrizioni che valgono una cornucopia di riflessioni». Montanari ha svolto il proprio contributo dal titolo Cronache racconti di architettura a Ravenna e in Romagna sulle regole urbanistiche e la bellezza dell’architettura raccontando di aver scoperto la segnalazione della sede di Edilpiù all’interno dell’ultima edizione della Biennale di Architettura di Venezia, dal titolo Common Ground. Nella sezione Architetture della Fabbrica del Padiglione Italia ha ritrovato la sede di Edilpiù, realizzata per Gian Paolo Bacchini su progetto dell’architetto Lamberto Rossi, classe 1954, autore dei famosi laboratori urbani di Cervia (1985) e di Fusignano (1989), da cui è uscita la felice sistemazione della piazza della città natale di Arcangelo Corelli, uno dei massimi compositori di musica in età barocca, di cui quest’anno si celebrano i trecento anni dalla morte. Montanari ha mostrato le vicende non note del fabbricato edili, dagli ottimi rapporti tra committente e progettista e quelli con le norme urbanistiche ed edilizie e con la Commissione edilizia. Successivamente ha mostrato la villa bolidista costruita su progetto di Guido Venturini nei primi anni Novanta ad Alfonsine, illustrata nell’articolo a fianco. Emilio Rambelli ha invece illustrato alcune realizzazioni portate a termine da Nuovostudio, lo Studio professionale del progettista ravennate composto da ingegneri e architetti, all’interno del centro storico ravennate, che si trovano recensite all’interno del volume di Bolzani. Nell’occasione Rambelli ha esposto il suo pensiero sulla necessità che gli interventi in centro storico non debbano essere improntati alla sola conservazione, che spesso si traduce in una immobilità progettuale. Rivolgendosi in particolare ai giovani architetti presenti in sala Rambelli ha rivelato alcuni “trucchi del mestiere”, ideati per poter riuscire a realizzare dei progetti moderni utilizzando un linguaggio dichiaratamente moderno, senza alcun infingimento e atteggiamento mimetico o storicista. Ha inoltre sottolineato il problema del rapporto con gli uffici tecnici comunali, in cui a volte si trova il tecnico sensibile e aperto, a volte invece una persona che si attiene rigidamente alle norme scritte nei regolamenti edilizi.
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Le “tre acque” di Ravenna all’insegna dei
Santi Giovanni
Flussi di marea entrano in città e “rendono salubre l'aere”: il Po Eridano alimenta il sistema portuale mescolando acque dolci a quelle salmastre. L'acqua potabile dell'acquedotto di Traiano corre alta sulle arcate in laterizio arrivando in città da mezzogiorno. Il mare, i fiumi e la “fonte” costituiscono, per Ravenna, una “trinità” simbolica e indispensabile al vivere.
di Pietro Barberini È molto probabile che l'evoluzione territoriale di Ravenna sia stata rallentata, se non bloccata, dalle opere di difesa marittima adottate per proteggere l'efficienza portuale di Ravenna. A quel periodo risale la descrizione di una città attraversata da canali, dove la corrente di marea “alza” le barche e ripulisce le sponde melmose... Le acque dei fiumi meridionali sono trattenute da arginature e casse di colmata, per evitare che le torbide compromettano i fondali del porto di Classe. La Fossa Augusta grande collegamento navigabile porta acque che “scendono” pigre dal Po Eridano. Il canale si divide a nord di Ravenna in due rami; il primo entra in città da nord aprendosi un varco nel litorale sabbioso fra la Rocca Brancaleone e l'attuale stazione ferroviaria: in questo punto non troppo distante da piazza Mameli è localizzato il porto commerciale della città. Sull'asse della via di Roma corre la “fossa” interna e attraverso il sobborgo “mili-
San Giovanni Evangelista. Galla Placidia dedica all'Evangelista Giovanni la basilica costruita non lontano dal mare sul quale sorge il sole: luce simbolica di un nuovo culto. All'interno i mosaici della quarta crociata, testimoniano dell'avvenuta evangelizzazione.
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Il Battistero degli Ortodossi o Neoniano. L'edificio sacro è dedicato a San Giovanni Battista “in Fonte”, poichè l'acqua per lunghi periodi affluiva limpida e copiosa. La vicina torre Salustra (poi inglobata nel complesso episcopale) era il probabile punto d'arrivo dell'acquedotto di Traiano (112 d.C.) poi restaurato da Re Teoderico e attivo fin oltre il IX Sec. Il Battistero fu eretto sul nascere del V Sec. dal vescovo Orso, forse sui resti di un precedente ninfeo termale.
Così si presentava la zona attorno a Ravenna prima che iniziassero i grandi lavori per dotarla di un terminale portuale collegato al Po dalla Fossa Augusta. Probabile raffigurazione del territorio nel I Sec. a.C. Sono ben evidenti le bocche “vallive” e, più a sud la foce della Padusa, che verrà trasformta nell'ingresso del porto di Classe. (disegno dell'autore)
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tare-portuale” di Cesarea arriva al golfo classicano, un vasto bacino capace di contenere ben 250 navi. La linea di costa, seguendo l'attuale percorso ferroviario fino al ponte dei Fiumi Uniti, è protetta da una barriera difensiva costruita con blocchi di tufo e pozzolana attorno ad una palificazione continua per la quale si utilizzarono tronchi di pino. Una barriera radente molto efficace e particolarmente leggera, tanto da non affondare velocemente nella sabbia. Studi e ricerche di Arnaldo Roncuzzi confermano quest'ipotesi, ormai condivisa dalla maggior parte dei ricercatori. Per più di tre secoli il delicato equilibrio idraulico non viene alterato e i canali interni alla città sono regolati; le loro acque, sempre meno influenzate dalle maree, continuando ad attraversare Ravenna da nord a sud. Con l'abbandono delle attività portuali le opere di difesa non riuscirono ad impedire che i fiumi riversassero ingenti quantitativi di detriti alluvionali i cui depositi trasformeranno un grande porto in un frutteto! Così scrive Jordanes: Qui nunc quod alinquando portus fuerat spatiosissimo arboribus plenos verum de quibus non pendeant vela sed poma. («Dove
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San Giovanni Battista “della cipolla”. La chiesa inizialmente era chiamata San Giovanni “ad naviculam” poi delle “catene”, dal momento che queste ultime congiungevano i fittoni a chiudere il sagrato. Da una sagra assumerà il popolaresco nome di San Giovanni della cipolla, tuttora ampiamente utilizzato. L'antico nome “ad naviculam” per modificazioni linguistiche diventa Zanzanigola: il nome di una via cittadina che termina proprio dove c'era un traghetto sul Padenna, la “navicella”.
prima c'erano alberi dai quali pendevano vele, ora ci sono alberi dai quali pendono frutti!»). La Fossa Augusta è perduta, sprofondata e confusa nelle valli nord occidentali. Dentro la città molti canali si interrano e soltanto il Flumisellum e il Padenna permangono, ma la circolazione dell'acqua non è più così decisa, indirizzata da settentrione a mezzogiorno. Aquae condunt urbes, non soltanto come elemento costitutivo: le acque protessero e favorirono la prosperità di Ravenna. Fra terra e mare, si spargono, esauste, in forma di torbide le piogge di capricciose primavere; così si formano i dossi litoranei che disegnano la città. Scorrimenti fluviali hanno scavato fra una duna e l'altra e quell'impronta resta a distanza di duemila anni. Si va continuamente da una “bassa” a un “colmo” in quella fascia cittadina vicina al tracciato del Padenna. Più ad oriente su dune lito-
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ranee parallele sorgono le chiese di San Giovanni Evangelista e San Giovanni Battista. San Giovanni Evangelista viene costruita quasi sul lido “Adriano”, di fianco al bacino portuale cittadino d'epoca imperiale. Nasce da una preghiera di Galla Placidia, imperatrice per “reggenza”, ma instancabile tessitrice d'equilibri politici che abbracciano l'intero Mediterraneo. La tempesta al ritorno da Costantinopoli spinge la barca sulle rive della capitale e proprio in quel luogo viene fondata la grande basilica, che volge le spalle ad oriente, illuminata nell'abside dal sole nascente. Grande metafora di un nuovo corso della storia: la luce di Dio attraversa le acque e approda sulla terra. Accadrà ancora, in altri modi e non troppo lontano, nel tempo e nello spazio: il segno di un cristianesimo ricco di significative interpretazioni. In questa città attraversta da “fiumicelli” e interessata da flussi e correnti di marea, fin dal 112 d.C. viene distribuita acqua potabile. Il terminale dell'acquedotto costruito da Traiano, si può ipotizzare coincida con la Torre Salustra, poi inglobata nel complesso dell'Episcopio; a un centinaio di passi sorge il Battistero della basilica Ursiana, San Giovanni in Fonte. Verso la fine del IV Sec. il paganesimo è ormai in declino: i templi sono abbandonati e si edificano nuovi luoghi di culto. Il vescovo Orso fa costruire la “sua” basilica, forse al posto del tempio di Giove Capitolio, in asse con la rete viaria dell'oppidum, con il lato a mezzogiorno sul quale si apre la maestosa Port'Aurea. La porta, a due fornici conduceva allo scalo interno sulla Fossa Augusta, un grande porto-canale in collegamento con il Po Eridano. Ben riparata e protetta da una grande flotta acquartierata attorno al golfo classicano, Ravenna è caposaldo strategico, commerciale e militare dall'età augustea all'impero di Costantino. Con la decadenza si spengono i richiami di marinai siri e dalmati, cretesi ed alessandrini che avevano animato gli scali e gli approdi sono ormai deserti e diruti, invasi da canne palustri. Un inevitabile declino segnato dalla subsidenza e da torbide alluvio-
La carta raffigura Ravenna ed i suoi porti nel II-III Sec.: ben visibile il tracciato dell'acquedotto e le casse di colmata che proteggevano la Fossa Augusta e il grande bacino classicano da eventi alluvionali che avrebbero compromesso i fondali. Fra l'imboccatura dei due porti una linea di murazzi proteggeva la città e l'abitato di Cesarea. (disegno dell'autore)
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Nella mappa sopra sono evidenziati i tre porti e le tre città: Ravenna, Cesarea e Classe, II - III sec. (disegno dell’autore). La mappa in basso raffigura il territorio nel VI Sec. Il porto imperiale è ridotto ad un modesto approdo fluviale. Porto commerciale e derivazione cittadina della Fossa Augusta sono ormai interrate, mentre la subsidenza ha trasformato in paludi il grande canale banchinato che circondava Ravenna a occidente. È visibile il nuovo porto alla foce del Badareno, canale navigabile fatto costruire da Teoderico (disegno dell'autore). In basso a destra, i frangiflutti costruiti dai romani in un disegno dell’ingegnere Arnaldo Roncuzzi.
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nali. Anche l'acquedotto di Traiano stenta ad apportare acque limpide al castellum e da lì ai ninfei termali ripieni di marmi. Un nuovo culto al “dio d'oriente”, che riluce di riflessi e bagliori giovanili, si affaccia sulle nobili rovine. Il Battistero della basilica a cinque navate, alta sulla strada principale, rappresenta un “bagno” iniziatico per i cristiani: una fonte di nuova vita. In questo spazio avviene il passaggio, nel IV Sec., fra le stanche divinità pagane e la forza di un diouomo bagnato dall'acqua che i romani, fino a pochi anni prima, consideravano segno di civilitas. Altra è la natura delle acque del Padenna, che attraversava tutta la città, da nord a mezzogiorno. Molti presidi civili e religiosi andranno via via concentrandosi sulle sue sponde, ma quello che maggiormente ci interessa è la chiesa di San Giovanni Battista ad naviculam perchè posta di fronte ad un piccolo traghetto che collegava le opposte rive del corso d'acqua. Dalle dimensioni del “ponte di Augusto” (sotto la parte iniziale di via Salara) possiamo dedurre che il Flumisellum fosse molto più stretto del Padenna, capace di garantire il passaggio a barche da trasporto anche dopo la fine del periodo bizantino. Da Sansvan a Navigula la corruzione dialettale transita a Sanzvanigula, per divenire poi Zanzanigola: questo toponimo appartiene alla via che corre sull'antico argine occidentale del Padenna. La strada, all'incrocio con via Pietro Alighieri, fornisce un buon punto d'osservazione: oltre ad una vista d'assieme sulla chiesa con il sagrato, un tempo protetto da fittoni collegati da catene (da cui il nome di San Giovanni delle Catene) si può valutare quanto il Padenna fosse largo. Chiesa di fondazione antica, ma quasi certamente post bizantina e costruita sulla duna parallela alla derivazione cittadina della Fossa Augusta, ormai interrata, non lontana dalla spiaggia marina che spingeva i venti salmastri nel quartiere dei pescatori che abitavano nella strada dei calcinelli (dal nome dei molluschi commestibili che venivano consumati in abbondanza). «Calcinello: crostaceo delle nostre paludi, ab antico raccolto e venduto dagli abitanti di questa strada...» (così si legge nello stradario comunale del 1889). Con la sagra della cipolla, anche questo cibo per poveretti, la chiesa dedicata al Battista scopre una valenza mercantile che la accomuna ad altri luoghi lungo il Padenna, ricco di mercati come quello davanti a San Michele in Africisco. La “cipolla” prende così il posto delle “catene” nella parlata popolare, tuttora in uso a Ravenna: San Giovanni della Cipolla.
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Orologi solari, un viaggio nel tempo che non si è ancora interrotto La “meridiana”, arcaico strumento di misurazione quasi dimenticato, recentemente è tornata al centro di interesse e curiosità. Solo in Italia ne sono state censite 7.000 ma potrebbero essere molte di più. Gli aspetti storici, scientifici ed estetici
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di Mario Arnaldi Circa un ventennio fa gli orologi solari (comunemente chiamati “meridiane”) erano manufatti quasi invisibili e dimenticati, mentre oggi sono più che mai vivi in molti Paesi del mondo. L’interesse verso questi curiosi oggetti è cresciuto e solo in Italia ne sono stati catalogati circa 7.000. La cifra, però, è ben lontana dall’essere veritiera, perché ancora molti di loro mancano all’appello ed altri ne vengono costruiti ogni giorno. È ovvio, non mi sto riferendo a quegli orologi solari fatti in serie, di terracotta o altro materiale, che troviamo facilmente presso molti rivenditori di arredi per giardino; quelli sono solo carini, ma non hanno alcun valore scientifico. “Scientifico”? Eh sì, il termine non è esagerato, perché un vero orologio solare non solo è preciso, ma la sua costruzione si regge su ferree leggi astronomiche e matematiche. Per molte ragioni che difficilmente si possono indagare, gli orologi solari, dipinti o incisi nel marmo o in altro materiale lapideo, sono ancora visti come piacevoli e curiosi elementi decorativi, abbellimenti per i muri di case e palazzi. In un tempo non molto lontano, però, essi erano gli unici segnatempo affidabili che una persona di buon senso potesse consultare. Quando, nella metà del Trecento, le torri campanarie e i campanili delle chiese si
Nella pagina a sinistra un bozzetto a colori per il grande orologio solare del Planetario di Ravenna (autore Mario Arnaldi) e un disegno diagramma delle ore antiche durante i Solstizi e gli Equinozi. In questa pagina, meridiane realizzate da Mario Arnaldi (dall’alto): insegna del ristorante Lazaroun a Sant’Arcangelo di Romagna; l’orologio dei frutti di stagione a Gambettola; orologio solare a Roncalceci.
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CITTÀ E E TEMPO TEMPO CITTÀ
munirono dei primi orologi meccanici, era sempre l’orologio solare che serviva a dare il segnale corretto per l’aggiustamento (temperatura) periodico del meccanismo. In tempi più recenti, perfino le stazioni ferroviarie erano munite di “meridiane” di precisione, costruite dalla Zeiss, per regolare sistematicamente gli orari dei treni. Il computo del tempo, però, non è sempre stato lo stesso; il sistema odierno, diffuso ormai in tutto il mondo, è soltanto di recente concezione. Poco più di cento anni fa, in Italia, si misurava il tempo in un altro modo, e prima del secolo XIV in un altro ancora, ed in epoca Greco-Romana ancora in un altro. I Greci ed i Romani contavano 12 ore di giorno ed altrettante di notte;
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San Sebastiano a Pennabilli. Rielaborazione da Antonello da Messina ((autore Mario Arnaldi)
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noto come «ore italiche» o «all’italiana». Grandi studiosi del passato hanno indagato la matematica e la geometria intrinseche nelle leggi astronomiche che sono di fondamento alla costruzione di un orologio solare. In moltissimi casi essi stessi ne furono gli ideatori ed i costruttori: a partire dai più noti scienziati ellenistici, passando agli astronomi e matematici arabi, fino a quelli del Rinascimento e dell’età moderna. La prima misura accettabile del tempo fu ideata dagli astronomi babilonesi. Da Babilonia questa scienza giunse in Egitto, dove si mescolò a necessità sacerdotali che portarono ad un nuovo modo, un po’ complicato, di misurare il tempo. i Greci, che ne impararono le basi dai Caldei e dagli Egizi, furono i primi ad ottenere dei veri risultati scientifici attorno al 350 avanti Cristo. I Romani, poi, impararono la misurazione del tempo e la costruzione degli orologi solari dai Greci. L’architetto Marco Vitruvio Pollione (sec. I a. C.), nel nono libro del suo De Architectura, riporta una lista (l’unica che ci sia pervenuta dall’antichità) di ben 13 modelli conosciuti al suo tempo; alcuni di questi sono facilmente riconoscibili negli esemplari rinvenuti ad Aquileia che, anticamente, ne era un fervido centro di produzione. Secondo Vitruvio e Cetio Faventino (architetto vissuto nel secolo IV) era fondamentale che un architetto di allora conoscesse a fondo (o, almeno, che ne avesse una certa ‘infarinatura’) le leggi dell’astronomia e della gnomonica, che è la scienza della costruzione degli orologi solari. Queste conoscenze gli erano utili sia per il suo sapere personale quanto per la corretta costruzione degli edifici. Non dimentichiamo che il “gromatico”, prima ancora dell’architetto, era una figura indispensabile tanto nella costruzione di un campo militare quanto nella costruzione di una città. Egli era colui che con la “groma” – da qui il suo titolo – stabiliva le quattro direzioni cardinali di un luogo, cioè le direzioni su cui far passare il cardo e il decumano: le due strade fondamentali dell’impianto urbanistico. La tradizione, iniziata con Vitruvio e seguita poi da Cetio Faventino, di unire agli studi di architettura anche
In alto, orologio solare a Classe (autore Mario Arnaldi). A sinistra, orologio solare nella piazza della frazione di Cadriano a Granarolo dell’Emilia (autore Giovanni Paltrinieri). Nella pagina a destra: orologio solare monumentale in Piazza della Pace di Abano Terme (autore Giovanni Paltrinieri).
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Secondo Vitruvio e Cetio Faventino (architetto vissuto nel secolo IV) era fondamentale che un architetto di allora conoscesse a fondo (o almeno che ne avesse una certa “infarinatura”) le leggi dell’astronomia e della gnomonica, che è la scienza della costruzione degli orologi solari
quelli dell’astronomia e della gnomonica continuerà almeno fino al secolo XVII. Ricordo fra tanti gli scritti e gli studi di Fra’ Giocondo da Verona (1433 - 1515), architetto di grande fama che fu, fra l’altro, il primo a commentare, illustrare e pubblicare, nel 1511, l’intera opera di Vitruvio. Medesimo interesse si trova nel Trattato di Architettura di Fra’ Carlo Mattia, frate minore del terzo ordine francescano a Cesena (manoscritto secentesco mai pubblicato, custodito presso la Biblioteca Malatestiana di Cesena – ms. 167-72). In una intera sezione del trattato, fra le tante nozioni architettoniche e di cantiere, egli insegna un facile metodo per costruire
orologi solari «in piano» e «sopra i muri» alle nostre latitudini (esattamente 45° Nord). Architettura e gnomonica si fondono, inoltre, nei numerosi interessi del conte, e architetto ravennate, Camillo Morigia (1743 – 1795). Il suo interesse per la misurazione del tempo è testimoniato dalla quantità di libri di gnomonica contenuti nella sua vasta biblioteca e dai suoi strumenti di lavoro (entrambi donati, dopo la sua morte, alla Biblioteca Classense di Ravenna), fra i quali emergono ben 5 orologi solari portatili rari. Ma l’attenzione alle leggi della gnomonica, o almeno ad alcune di esse, torna ad essere presente anche negli ar-
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Chi penserebbe mai che la semplice, sottile ed incorporea, ombra di uno stilo ferreo sia in grado di fornirci un’innumerevole serie di dati?
chitetti contemporanei, grazie al crescente interesse per la bioarchitettura. Chi penserebbe mai che la semplice, sottile ed incorporea ombra di uno stilo ferreo sia in grado di fornirci un’innumerevole serie di dati? Eppure, questa, non solo ci mostra l’ora esatta in qualunque sistema orario (comprese le ore siderali e le vere planetarie), ma sa anche darci tutti i valori astronomici del Sole (data, declinazione, ascensione retta, altezza sull’orizzonte, azimut, ora della levata e del tramonto). Sa dirci, inoltre, quale costellazione si trova all’orizzonte in un preciso momento, sa darci i valori di irradianza sulla parete in cui si trova, ecc. Scriveva Cassiodoro a Severino Boezio: «Se gli astri potessero sapere che la sottile ombra dello stilo è in grado di mostrare il movimento del Sole, senza addirittura conoscerlo, si opporrebbero fortemente e cambierebbero la loro orbita pur di evitarlo. Dove è il singolare miracolo delle ore indicate dalla luce, se una semplice ombra è in grado di mostrarle? Dove è il segreto della tanto declamata rotazione costante se un pezzo di metallo immobile è in grado di mostrarlo? O artificio di inestimabile valore (l’orologio solare) che, mentre dice di scherzare, si distingue divulgando i segreti della natura!»
Nelle foto, due orologi solari creati da Renzo Righi a Reggio Emilia. In alto, Villa Rosa thea; a fianco, Villa Donelli.
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AZIENDE INFORMANO
Nella casa domotica la tecnologia è al servizio di comfort e sicurezza Nello show room ideato da Ap Tende e Infissi, Special Impianti e 08 Arredo, – inaugurato nel dicembre scorso – la casa domotica prende corpo grazie una formula innovativa di assistenza al cliente. In mostra l’evoluzione dell'automazione e delle tecnologie impiantistiche negli spazi dell’abitare. Funzionalità, sicurezza, comfort sono elementi essenziali nel rapporto con il proprio spazio domestico. Oggi per ricercare la loro piena applicazione occorre rivolgersi alla domotica. Così il sogno di avere una casa amica, plasmabile nel tempo a seconda delle mutate esigenze del proprietario, può diventare realtà. Così come la possibilità di eliminare gli sprechi e raggiunge alte prestazioni in termini di sostenibilità ambientale. L’evoluzione dell'automazione e delle tecnologie impiantistiche negli spazi dell’abitare ha convinto un gruppo di aziende ravennati a credere nelle infinite applicazioni della domotica, inserita in contesti abitativi ma anche nelle attività produttive, nel direzionale e nel terziario. Insieme, Ap Tende e Infissi, Special Impianti e 08 Arredo hanno deciso di proporre una formula innovativa di assistenza al cliente nelle fasi di ideazione, progettazione, in ambito di cantiere, nella scelta dei prodotti, fino alle soluzioni di interior design. Una passione e cura per il lavoro che trova piena esemplificazione nello show room, inaugurato a Forlì nello scorso mese di dicembre. Lo spazio allestito accoglie al proprio interno una vera e propria casa domotica, nella quale ogni elemento può nascondere prestazioni inaspettate, gratificanti sorprese, utili comandi. «Il nostro è un progetto che mira alla concertazione delle maestranze in cantiere per consentire uno scambio di idee volto a soddisfare al meglio le esigenze del cliente – spiega Massimo Agnoletti di Ap Tende e Infissi - nella giornata inaugurale abbiamo colto reazioni positive da parte dei clienti e dei professionisti. Hanno capito che c’è un modo nuovo di
TECNOLOGIE DELLʼABITARE
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operare che rifiuta l’appiattimento della qualità. La crisi non può essere un alibi per lavori fatti male. Nel nostro show room si può vivere uno spazio nel quale l’unico limite è la nostra fantasia. Spesso ripeto che noi abbiamo quello che hanno gli altri, ma gli altri non hanno ciò che abbiamo noi». Nella casa domotica un unico touch screen o una serie di interruttori regolano funzioni e sistemi: dagli elettrodomestici, ai serramenti, agli impianti audio video fino alla climatizzazione e all’irrigazione del giardino. L’accesso remoto inoltre via tablet o cellulare assicura il controllo a distanza. E qui entrano in gioco prestazione senza prezzo, in termini di sicurezza, elencate così da Agnoletti: dalla gestione degli accessi, alla protezione antintrusione, antincendio, all’inserimento di rilevatori di fumo o fughe di gas fino, al videocontrollo locale e a distanza e al telesoccorso e teleassistenza di persone sole, anziane, disabili o ammalate. «Poter vedere tramite monitor la culla del bambino, andare al cinema e controllare la baby sitter o semplicemente spegnere una luce con il cellulare, permette un monitoraggio attivo e passivo. È possibile disinserire l’allarme, aprire la porta a un familiare che così potrà dare da mangiare al gatto o al cane, senza la preoccupazione delle chiavi. Sollevare le tapparelle, aprire le persiane, accendere la Tv quando si è fuori per dimostrare che la casa non è disabitata. Questo sono solo alcune delle opzioni della casa domotica. La casa è al centro della famiglia è un nido nel quale tornare per rilassarsi e per proteggere i propri cari e le cose». Benché poco conosciuta in Italia rispetto ad altri paesi europei, la domotica si applica in abitazioni di nuova costruzioni, nell’edilizia ristrutturata, ma anche nelle dimore storiche e può facilmente integrarsi con tutte le scelte di stile, e di materiali, dal minimalismo, alla tradizione, dal tutto su misura, al classico senza tempo. «I nostri interventi nelle nuove edificazioni come nelle ristrutturazioni sono accurati e mirano a non traumatizzare le strutture con scassi e poche sono le tracce necessarie. Per gli infissi, la nostra presenza è limitata all’estrazione del vecchio e alla posa del nuovo, senza polvere e opere invasive. Il nostro progetto rientra quindi perfettamente in tutti quegli interventi sottoposti fino al 30 giugno a una detrazione, spalmabile in 10 anni, del 55% per opere volte al risparmio energetico, e del 50% per la messa in sicurezza della casa con sistemi di allarme, inferriate, blindature». E sulle installazioni, seguite tutte da tecnici specializzati, siano legate all’impiantistica, ai serramenti o alla progettazione di elementi di arredo su misura, Agnoletti conclude con una riflessione. «La casa è un bene durevole, sul quale viene fatto un investimento a lungo termine, come l’impianto elettrico, infissi e arredamento. Per esempio l’impianto elettrico più evoluto può avere costi di poco superiori rispetto ai sistemi tradizionali, ma questi sono ben presto assorbiti grazie a maggiori prestazioni, a un elevato controllo dei consumi, nonchè alla possibilità di implementarli ogni qualvolta che sorge la necessità (sicurezza, monitoraggio, ecc..)».
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FEBBRAIO
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Ecco l'architettura contemporanea come non si era mai vista – e sentita raccontare – a Ravenna. È l'obiettivo di confronto e divulgazione di un ciclo di otto incontri con qualificati progettisti ed esperti di rilievo nazionale e internazionale che si terrà a partire dal 21 febbraio fino a novembre 2013. La serie di conferenze, dal carattere non accademico, è promossa e organizzata dal Gruppo Ravimm e dalla rivista dell'abitare Trovacasa Premium, con il patrocinio del Comune di Ravenna e il marchio Ravenna 2019. L'ideazione e la cura degli incontri è dell'architetto Emilio Rambelli di Nuovostudio. Gli appuntamenti, che vedranno protagonisti architetti e ingegneri di prestigiosi studi di progettazione che hanno sede
In alto, il Museo Nazionale di Archeologia Subacquea di Cartagena (2008) e, nella pagina a destra, una maquette del progetto per il concorso per nuovo ingresso dell’Alhambra a Granada, entrambi firmati dallo Studio Consuegra di Siviglia. Qui a sinistra, le Cantine di Palazzo Rava a Ravenna (via di Roma) dove si svolgerà il ciclo di conferenze sul ruolo dell’architettura contemporanea.
STATO DELLʼARTE
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Il ruolo dell’architettura
contemporanea
a Ravenna e Faenza come a Siviglia, a Venezia ma anche a Madrid e Londra, si terranno, sempre alle ore 21, negli spazi suggestivi delle Cantine di Palazzo Rava in via di Roma a Ravenna. Dati i temi e i relatori, si tratta di una occasione per riflettere non solo del ruolo oggi dell'architettura contemporanea, ma anche delle sue prerogative e prospettive, in una fase di crisi acuta del settore edilizio e dei lavori pubblici, colpito da mancanza di risorse e forse anche di idee. Quando invece sarebbe necessario rispondere ad una emergente domanda di sostenibilità ambientale e urbana e dove occorre ripensare al consumo di territorio e a nuovi modi del costruire e stili dell'abitare. Gli incontri rappresentano così un'opportunità di confronto e condivisione sul "fare bene", sulla qualità e l'innovazione, non solo per professionisti, operatori e tecnici del mondo immobiliare che intendono riqualificare e tracciare un futuro alla propria attività, ma anche per un vasto pubblico più sempre più interessato a tali questioni.
Otto incontri con protagonisti della progettazione di rilievo nazionale e internazionale, a cura di Emilio Rambelli. Appuntamenti alle Cantine di Palazzo Rava a Ravenna promossi dal Gruppo Ravimm e dalla rivista Tovacasa Premium. Esordio con Filippo Pambianco, che collabora come architetto coordinatore nello studio di Guillermo Vázquez Consuegra a Siviglia
L’esperienza del giovane architetto romagnolo Filippo Pambianco in Spagna, nel celebre Studio Consuegra Il primo ospite delle Cantine di Pazzo Rava sarà il giovane architetto Filippo Pambianco (Faenza 1980) laureato in architettura alll'Università di Bologna nel 2006 con una tesi progettuale sulla darsena di Ravenna. Nel 2004 partecipa al workshop “Guesthouse Eurasia” organizzato dalla Faculty of Built Environment, Universiti Tecnologi Malaysia, Johor Baru, in collaborazione con la Facoltà di Architettura “Aldo Rossi” di Cesena. Nel 2005 è beneficiario di una borsa di studio di mobilità internazionale “Leonardo da Vinci” che svolge presso lo studio di Guillermo Vazquez Consuegra Arquitecto a Siviglia (Spagna). Dal 2007 collabora stabilmente con lo studio di Guillermo Vazquez Consuegra in qualità di Architetto Coordinatore. Nei 5 anni trascorsi all'interno dello studio partecipa a numerosi progetti impegnandosi maggiormente nello sviluppo di Concorsi di Progettazione, ricevendo numerosi premi: Terzo Premio al concorso per l’attuazione del porto città di Arrecife, Isole Canarie, Spagna. Terzo Premio al concorso per il nuovo palazzo di giustizia di Trento. Secondo Premio al concorso per il nuovo waterfront di La Spezia. Primo Premio al concorso per la sistemazione del sedime ferroviario e stazione di Puerto Real, Spagna. Primo Premio al concorso per un nuovo edificio di uffici per la regione Andalusia, Cordoba, Spagna. Secondo Premio al concorso per la nuova
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facoltà di economia del campus universitario di Vienna, Austria. Terzo premio al concorso per il museo nazionale dell’energia, Ponferrada, Spagna. Primo Premio al concorso per il centro culturale caixa forum di Siviglia, Spagna. Primo Premio al concorso per la riforma del museo archeologico di Siviglia, Spagna. Secondo Premio al concorso per la riqualificazione dell’ex area ferroviaria di Benicassim, Spagna. Terzo Premio al concorso per il nuovo terminal navi da crociera di Lisbona, Portogallo. Primo Premio al concorso per il recupero dell’antico palazzo di giustizia come sede del ministero degli esteri di Lussemburgo. Secondo Premio al concorso per nuovo ingresso dell’Alhambra, Granada, Spagna. Dal 2011 inizia la propria attività come libero professionista collaborando stabilmente con gli architetti Alessandro Pretolani e Alessandro Piraccini. Attualmente concentra la propria attività ad un'attenta ricerca verso quelli che sono i caratteri contemporanei dell'architettura partecipando a Concorsi di Idee e di Progettazione. Per il suo lavoro ha ricevuto diversi riconoscimenti: Primo premio al concorso per una casa a misura di bambino, Trento, 2011. Menzione d’onore al concorso per la riqualificazione di 3 Piazze a Cesena, 2012. Secondo Premio al concorso per un centro rurale d’arte, Avigliano Umbro, Terni, 2012. Nel 2012 Filippo Pambianco è co-fondatore e presidente dell'Associazione culturale no profit Archibiotico, Associazione giovani architetti della Provincia di Forli-Cesena. Questa nuova realtà nasce dalla volontà di trasmattere e condividere la passione per l'architettura favorendo e sostenendo ogni iniziativa che valorizzi l'immagine e la professionalità del giovane architetto e di tutti coloro interessati ad un dibattito costruttivo sull'architettura del nostro territorio.
Nelle foto, altri progetti dello Studio Consuegra. Dall’alto, i modelli per i concorsi per il centro culturale Caixa, forum di Siviglia e per il nuovo nuovo terminal navi da crociera di Lisbona. In basso, il Museo del Mare di Palazzo Galata a Genova, ristrutturato da Consuegra nei primi anni 2000.
Guillermo Vázquez Consuegra architetto di Siviglia famoso in Spagna e nel mondo Guillermo Vázquez Consuegra nasce a Siviglia nel 1945. Si laurea nel 1972 presso la Scuola di Architettura di Siviglia dove ha insegnato progettazione fino al 1987. È stato visiting professor nelle università di Buenos Aires, Losanna, Syracuse, Bologna, Venezia, Mendrisio e visiting scholar al Getty Center a Los Angeles. Direttore dei corsi di architettura dell'Università Complutense. Professore onorario dell'università di Siviglia dal 2005. Ha partecipato a numerose esposizioni nazionali ed internazionali. Le sue opere e progetti sono stati pubblicati nelle principali riviste di settore. Ha partecipato a numerosi seminari e conferenze in Europa, Sud America e Stati Uniti. È stato insignito di numerosi premi nazionali ed internazionali e nel 2005 ha ricevuto il Premio Nazionale di Architettura Spagnola. Tra le sue opere più importanti si segnalano gli edifici di case popolari a Siviglia, Cadice e Rota, il Padiglione della Navigazione Expo '92, il Muvim di Valencia, il Museo del Mare di Genova, il riordino del lungomare di Vigo, il Municipio di Tomares, l'archivio di Castiglia La Mancha a Toledo e il Palazzo di Giustizia di Ciudad Real (biografia tratta dal portale italliano di Wikipedia).
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Comune di Ravenna
Il ruolo dell’Architettura contemporanea Panbianco
Ciclo di conferenze organizzate e promosse dal Gruppo Ravimm - Le Cantine di Palazzo Rava in collaborazione con la rivista dell’abitare TrovaCasa Premium (edizioni Reclam), con il patrocinio del Comune di Ravenna e Ravenna 2019 Coordinatore Emilio Rambelli
Tarroni
Calendario 2013 Tutti gli incontri si terranno presso Le Cantine di Palazzo Rava Via di Roma 117 - Ravenna. Inizio alle ore 21
Giovedì 21 febbraio
Filippo Pambianco parlerà di Studio G.V. Consuegra - Siviglia
Giovedì 21 marzo
Michele Tarroni parlerà di Studio Stanton Williams - Londra
Giovedì 18 aprile
Gabriele Lelli parlerà di Studio Lelli e Associati - Faenza
Lelli
Borghi
Nonni
Giovedì 16 maggio
Alfredo Borghi parlerà di Studio Estudio Sic - Madrid
Giovedì 20 giugno
Ennio Nonni parlerà di Una nuova urbanistica è possibile? Bonini
Giovedì 3 ottobre
Gianluca Bonini parlerà di Nuovostudio - Ravenna
Giovedì 31 ottobre
Antonella Ranaldi parlerà di Restauro contemporaneo
Giovedì 21 novembre
Ranaldi
Daniela Moderini parlerà di Paesaggio Urbano - Venezia
Info: Ilaria Siboni - siboni.ilaria@gmail.com - Cell. 338 1584910
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Pensare la città futura Teorie e strategie in campo analizzate in quattro incontri con esperti di architettura e urbanistica promossi a Ravenna dall’Università per la formazione degli adulti “Bosi Maramotti”.
di Alberto Giorgio Cassani e Piera Nobili Com’è noto, c’è stato nei mesi scorsi, ed è ancora attivo a Ravenna, un percorso di partecipazione che ha portato, oltre alle riflessioni sulla “Darsena che vorrei”, alla nascita, nella nostra città, di attività analoghe organizzate direttamente dai cittadini (vedi il movimento riguardante l’ex-caserma di via Nino Bixio). A questa necessità di protagonismo attivo nella trasformazione della città, servono però momenti di riflessione teorica e di approfondimento che si focalizzino sulle trasformazioni urbanistico-architettoniche che stanno avvenendo nella realtà italiana ed europea. Abbiamo pensato, perciò, di invitare un esperto di architettura italiana, Marco Biraghi, docente di Storia dell’architettura contemporanea alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, attivo anche con un importante sito web (http://www.gizmoweb.org/), che in questi anni, con numerose pubblicazioni (per Electa e per Einaudi), si è dedicato, con uno sguardo originale, alle tematiche legate ai problemi della città. Anche in questo caso, Biraghi, ha proposto nella sua recente conferenza introduttiva una lettura diversa per indagare e conoscere la città: nel corso del Novecento le città italiane si sono trasformate in modo consistente, a volte addirittura radicale. Tali trasformazioni, che in alcuni casi ne hanno modificato anche l’identità, sono state variamente analizzate, commentate e interpretate da “addetti ai lavori” come architetti, urbanisti, storici e critici di architettura, ma pure da osservatori estranei al settore come scrittori, giornalisti, viaggiatori, comuni cittadini. Un
punto di vista in genere poco considerato è quello della musica: con una puntualità raramente riscontrabile in altri campi, le canzoni italiane hanno accompagnato l’evoluzione delle nostre città reali, ma anche quella dell’idea di città in generale così come si è andata modificando nel tempo. E se fino a tutti gli anni cinquanta le canzoni dedicate alle città presentano un carattere prevalentemente campanilistico e celebrativo, o al più nostalgico, a partire dagli anni sessanta esse assumono piuttosto una connotazione pessimistica e critica. È dunque nello specchio apparentemente secondario e privo di spessore delle canzoni popolari, destinate a occupare uno spazio e un tempo per antonomasia effimeri, che si lasciano osservare con piena evidenza i riflessi di una crisi cui spesso la cultura “alta” e disciplinare stenta a dare voce e senso. Seguiranno tre incontri che affronteranno tre tematiche differenti, ma fra loro connesse. Il primo (giovedì 7 marzo, ore 17), relatore l’architetto Massimiliano Casavecchia, direttore della Scuola Superiore di Studi sulla Città e il Territorio dell’Università di Bologna, parlerà del tema della Den City. La situazione attuale ci pone davanti alla necessità di elaborare un nuovo concetto di città partendo da un modello che leghi lo sviluppo urbano all’accrescimento del valore paesaggistico del contesto, anche attraverso l’implementazione della dotazione vegetale e l’attenzione all’utilizzo delle risorse ambientali. La sostenibilità edilizia non è limitabile al solo risparmio energetico, va piuttosto basata sulla capacità di rigenerazione
A sinistra: Ebenezer Howard, Garden City n° 2, 1902 A destra, dall’alto: Le Corbusier, Plan Voisin, 1925. Ludwig Hilberseimer, Großstadtarchitektur, 1927. F. L. Wright, Broadacre City, 1934-1935.
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delle risorse ambientali non riproducibili, sulla riduzione del consumo indiscriminato di suolo, sulla compatibilità ambientale del sistema infrastrutturale e della mobilità. Occorre ridefinire l'organizzazione tra le varie reti infrastrutturali e dei servizi, con particolare attenzione alla rete della mobilità che garantisce le possibilità di sviluppo della città in rapporto alla dimensione della rete ecologica che limita e rende compatibili e sostenibili quelle possibilità. La città compatta Den City, che ripropone i modelli di stratificazione funzionale della città antica, pare essere la risposta alla limitazione del consumo del territorio, alla riduzione dell'inquinamento, ad un ragionevole utilizzo delle risorse energetiche e alla riscoperta dei rapporti sociali che, nella città specializzata, risultano depressi dalla distanza tra residenza, lavoro e servizi. Il secondo incontro (sabato 16 marzo, ore 10), tenuto dal professore Alberto Giorgio Cassani (Accademia di Belle Arti di Venezia e Ravenna), ripercorrerà storicamente le teorie urbanistiche sulla città a partire dalla metà dell’Ottocento ad oggi, sottolineando, in particolare, gli aspetti utopici e quelli più realistici. Tutto ha inizio nella contrapposizione stabilita dalla sociologia tedesca di fine XIX secolo tra Comunità (Gemeinschaft) e Società (Gesellscahaft), cioè, sostanzialmente, tra Città-Villaggio e Metropoli. Alla prima categoria si rifà, ad esempio, il progetto delle Città Giardino di Ebenezer Howard degli inizi del Novecento; alla seconda, i disegni della Großstadt di Ludwig Hilberseimer del 1927. Ma forse gli esempi più emblematici di queste due opposte concezioni urbane sono la Ville contemporaine di Le Corbusier, una città compatta caratterizzata da un nucleo ordinato di grattacieli immersi nel verde, e la Broadacre City di Frank Lloyd Wright, che invece privilegia il modello della città diffusa, dell’ideale americano dell’uomo isolato. Il terzo incontro (giovedì 21 marzo, ore 17), sarà tenuto dall’architetta Piera Nobili che affronterà il tema del vivere in comunità e città cosiddette intelligenti, ossia connesse, cablate e comunicative, che dovranno facilitare la vita singola e di relazione, soprattutto nei confronti delle categorie più fragili, oltre a promuovere una maggiore sostenibilità ambientale. Quello delle città e comunità intelligenti e dialoganti è un tentativo di affrontare in modo integrato tematiche complesse, quali: consumo energetico, sostenibilità ambientale, mobilità e trasporti, qualità della vita, inclusione sociale, partecipazione dei e delle cittadine. Gli incontri, a ingresso libero, si tengono alla Sala D’Attorre di Casa Melandri.
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L’inebriante diamante nero: I prelibati consigli dello chef Stefano Faccini per conoscere ingredienti, cotture, attrezzature, caratteristiche degli alimenti e vivere appieno uno dei momenti più appaganti dell’abitare
Riprende la riflessione sull’arte culinaria domestica oggi alla ribalta grazie all’impegno di operatori del settore, critici, cuochi, gourmet, impegnati fra piatti della tradizione, proposte classiche ed esperimenti avanzati. Tecnica, equilibrio, creatività albergano stabilmente nelle cucine di tanti appassionati, alle prese con le materie offerte dal territorio o con prodotti di terre lontane. Per conoscere ciò che accade in cucina prima dell’impiattamento finale, dell’assaggio, della messa in opera di ricette, per distinguere ingredienti, cotture, attrezzature, per dominare l’organizzazione degli spazi di lavoro, la fisica e la chimica degli alimenti continua il viaggio in più puntate con una guida di esperienza. In compagnia dello chef Stefano Faccini troveranno soluzione i tanti quesiti insoluti per apprezzare insieme uno dei momenti più appaganti dell’abitare: cucinare. Nel rispetto della stagionalità lo chef Faccini apre il primo numero di Trovacasa Premium affrontando un tema caro ai gourmet: il tartufo. Il prezioso tubero, o meglio il pregiato fungo ipogeo, re della cucina capace di dividere l’umanità in una maggioranza adorante e in una minoranza ostile e refrattaria al tipico aroma penetrante e persistente non è soggetto al capriccio ai diktat dei guru salutisti. «Ci avviciniamo alla stagione dei tartufi – ricorda Faccini - infatti questo è il momento in cui i tartufai della nostra provincia e non solo cominciano a trovare il "bianchetto", specie di tartufo meno nobile, ma senz'altro di più facile acquisizione visto il prezzo abbordabile. I tartufi nel passato venivano descritti con superlativi importanti come: diamante della cucina, mela fiabesca, gemma della terra, pepita odorosa. Come regola i tartufi dovrebbero essere consumati sempre freschi o comunque possibilmente il prima possibile. Se non si può fare diversamente teniamoli chiusi in un vasetto di vetro con carta assorbente che dovrà essere cambiata
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il tartufo almeno una volta al giorno. Non vanno mai mantenuti nel riso, infatti i tartufi sono ricchi di sali minerali e acqua e il riso assorbe parte delle sostanze olfattive. In alternativa si possono spazzolare, asciugare, affettare sottilmente, e poi ricoprire di burro fuso tiepido. Dopo di che vanno si mantengono per alcuni giorni in un vasetto di vetro. Altra possibilità è quella di frullarli con il grana e surgelarli, oppure porli sotto vaso con cognac o marsala secco e pastorizzarli per alcuni minuti. Certamente questi sono ripieghi, il tartufo (fatta eccezione per lo scorzone) deve essere consumato fresco, affettato a crudo sopra la preparazione, mai a contatto con il calore eccessivo. Attualmente il valore al chilogrammo può anche superare i 4 mila euro». Lo chef Faccini racconta che «nell'antichità il medico Galeno considerava il consumo di tartufi una cosa lodevole solo se finalizzata alla coniugale procreazione, in età moderna Brillant Savarin politico e gastronomo francese affermava che i tartufi rendono le donne più tenere e gli uomini più amabili. Lo scrittore Prunier de Longchamps pensava che il potere eccitante dei tartufi dipendesse dai sali alcalini volatili che i tartufi possedevano e pensò bene di sconsigliarli al clero. Studi e ricerche hanno stabilito che i tartufi contengono uno steroide, prodotto anche dagli uomini in maggior quantità durante la fase del corteggiamento, nonché dai verri durante l'accoppiamento. Da qui l'utilizzo del maiale per cercare tartufi praticato fino a qualche decennio fa». Fra le curiosità riportate dall’aneddotica, assicura Faccini, c’è il tartufo da 25 chilogrammi trovato ad Acqualagna da Filippo Cortesi nel 1668. Il prezioso ritrovamento venne donato al cardinale Cesare Rasponi e da questi al Cardinale Flavio Ghigi, lo stesso Cortesi fu recuperò un altro tartufo ma di “soli” 13 chilogrammi. Infine, a proposito di abbinamenti, il nostro esperto rivela che i tartufi “adorano” abbinamenti con cibi dove sono presenti sostanze grasse, quali burro, panna, olii, burro di cacao e quindi anche la cioccolata, un ottimo abbinamento e uova e tartufi ( ma il tuorlo dell'uovo contiene grassi e di solito si cuoce nel burro). «Sconsiglio di unire tartufi al pomodoro e preparazioni molto speziate – ammonisce Faccini ¬ è già profumato di suo. L'abbinamento dei vini con il tartufo è estremamente complesso, alcuni consigliano vini rossi morbidi, maturi e poco tannici, altri, invece propendono per vini bianchi aromatici, eleganti. Una cosa importante da non tralasciare è: con cosa sposiamo i tartufi? Carni rosse, cacciagione, paste, antipasti, e quali cotture prediligiamo per questi piatti? Anche queste scelte possono determinare e non poco l'accostamento vino tartufo.
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I quesiti dei lettori Salve chef, a breve devo scegliere la cappa per la mia cucina quindi le chiedo: è meglio inserirne una a sistema aspirante oppure una con dispositivo filtrante, e al di là dell’estetica, la forma della cappa influisce sulla capacità di eliminare fumi e vapori? Riccardo «I modelli aspiranti sono più efficaci, ma l'istallazione è più laboriosa. Infatti occorre praticare un foro di scarico nel muro. L'aspirazione in genere è meno efficace quanto più la cappa è distante dal piano cottura. Se montata troppo in basso rischia di prendere fuoco, perché il filtro si impregna rapidamente di particelle di grasso. La distanza minima è di 70 - 80 centimetri. Attenzione l’installazione deve essere eseguiti secondo norma e da tecnici abilitati. La cappa a riciclaggio (con filtri) in cui l'aria aspirata passa attraverso un filtro a carbone attivo è meno efficace, ma sicuramente estremamente semplice da montare. La cappa per dimensioni non deve essere inferiore al piano di cottura, la portata dell'aspirazione deve garantire almeno 5 ricambi d'aria nel locale cucina in un’ora, e naturalmente non è da sottovalutare la silenziosità e il corpo illuminante. Il marchio Imq apposto anche sulle cappe certifica che il materiale ha superato le verifiche costruttive e di funzionamento. Quindi caro Riccardo Buona Cucina».
più rapidamente si può ricorrere anche all'uso del microonde (seguire le istruzioni dell'apparecchio). Nei casi dove si deve scongelare velocemente si può mettere l'alimento all'interno di un sacchetto da freezer chiuso e porlo sotto l'acqua fredda (mai calda), ma certamente non è la soluzione ottimale».
Per rispondere alle domande più comuni in cucina: Perché succede? Dove sbaglio? Cosa mi manca? Quale utensile usare, quale attrezzatura? E per consulenze professionali, lo chef Faccini è a disposizione dei lettori all’indirizzo e-mail: faccini_stefano@libero.it
Caro Faccini, spesso ho dei dubbi sul modo corretto di scongelare i cibi freschi, che poi devono andare in cottura, dalla verdura, alla pasta all’uovo, alle carni. Per mantenere le caratteristiche degli alimenti quali sono i tempi migliori? Caterina «Il metodo più corretto per scongelare gli alimenti è quello di toglierli per tempo dal freezer, riporli in uno scolapasta, poi posizionarli in un recipiente chiuso e metterlo in frigorifero. Con questo sistema si permette al cibo di scongelare lentamente diminuendo al minimo la proliferazione batterica e di conseguenza manteniamo salubre il cibo. Inoltre il calo in peso è estremamente limitato. Le paste surgelate vanno cotte direttamente in acqua a ebollizione senza scongelarle, identica soluzione per le verdure surgelate. Per scongelare
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Diviso fra l’insegnamento all’istituto professionale di Stato Servizi per l’enogastronomia e l’ospitalità alberghiera di Cervia, i corsi di alta formazione, le consulenze per alberghi, ristoranti e aziende alimentari, Faccini, si è fatto promotore di una nuova cultura gastronomica. Attualmente consulente dell’hotel Michelangelo di Milano Marittima, vanta esperienze nella cucina di Paul Bocuse, di Fredy Girardet in Svizzera, ed è Chef Eurotoque, Commandeur de la Commeanderie des Cordons Blues de France e discepolo di August Escoffier.
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Complesso residenziale di pregio, in contesto piacevole, rilassante e riservato. Tutte le unità sono dotate di garage e giardino privato, impianto di riscaldamento ad alto rendimento con pannelli a pavimento e caldaia a condensazione, cappotto termico, aspirazione centralizzata, vasca idromassaggio digitale, box doccia in cristallo, pavimenti in legno rovere naturale spazzolato. CLASSE ENERGETICA “B”
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Carloforte (Isola di San Pietro, Sardegna), La Conca, interno di una delle grotte. Foto di Gabriella Buora.
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Una visceralità “dicibile” di Marina Mannucci Ogni articolo che scrivo mi serve per capire qualcosa e le persone che intervisto mi aiutano in questa ricerca: un lavoro che richiede tempo, il piacevole tempo dell’incontro e dell’ascolto. Un ascolto di qualità richiede attenzione e quando si riesce a praticarlo l’interlocutrice o l’interlocutore lo capisce e dà tutto di sé: nascono così amicizie. L’intervista a Lea Melandri è un inaspettato dono che aggiungo al percorso delle mie conoscenze: la lettura dei suoi libri e l’ascolto delle sue conferenze mi hanno permesso di avviare uno studio serio ed approfondito sulla storia del femminismo italiano. Un passaggio indispensabile che rende necessario rivisitare i “saperi” al fine di procedere verso una definizione sempre più attendibile della storia delle singole discipline cognitive. Uno dei meriti della critica femminista è senz’altro quello di aver rilevato che, pur essendo la differenza sessuale un significante di primaria importanza per la cultura umana, esistono una storia ed una storiografia fatte da uomini che hanno potuto ignorare tutto o quasi dell’altro sesso: tale è la storia che si studia a scuola e all’università. Un’asimmetria ancora da sistemare perché in gran parte degli attuali sviluppi della storiografia – dalla storia politica a quella economica, alla storia della cultura e della vita quotidiana – non c’è traccia, se non in misura molto ridotta, né delle donne come oggetto di studio, né delle donne che si occupano professionalmente di storia, né delle femministe impegnate nella storia delle donne. Questa situazione, ovviamente, dovrà cambiare in futuro e sarà necessario farlo partendo proprio dai mezzi di comunicazione perché è evidente che il loro linguaggio e i loro interessi rispecchiano una diffusa resistenza maschile ad abbandonare il centro della scena. Questo vale per il linguaggio in generale in tutti i campi, anche quelli della cultura, dell’istruzione, della religione: «nasce talvolta il sospetto di una nascosta ma perdurante misoginia; lo fa nascere una rappresentazione offensiva delle donne che continua a proporsi sotto il pretesto della pubblicità e dell’intrattenimento» (da un intervento di Luisa Muraro a Reggio Emilia). «I contadini d’estate non vanno al mare, anche quando ce l’hanno vicino. Io, che ho piedi induriti per aver camminato a lungo scalza sulla terra arata e sull’erba, ho scoperto tardivamente che nelle acque limpide di quest’isola possono diventare ali per un corpo indolenzito dalle abitudini cittadine e fattosi all’improvviso meravigliosamente leggero». Manuela Fraire, Rossana Rossanda, La perdita, a cura di Lea Melandri, Bollati Boringhieri, 2008
Incontro con il pensiero di Lea Melandri Lea Melandri è nata in una cascina di Fusignano, una casa rurale dalla tipologia costruttiva tipica della bassa Romagna simbolo di tradizioni. Alexander Chayanov ha elaborato una teoria riguardo all’economia rurale premoderna in cui mette in rilievo come nelle case rurali a gestione familiare la produzione e il consumo fossero regolati da proprie leggi economiche; la produzione non era finalizzata al profitto, bensì principalmente a garantire la sussistenza della famiglia. Tra la produzione e il consumo, tra l’ammontare del reddito da lavoro e il livello dei consumi, sussisteva, secondo Chayanov, un sostanziale equilibrio. Si perseguivano obiettivi economici piuttosto limitati; prima che alla produzione di surplus, essa mirava al soddisfacimento dei bisogni tradizionali della forma di vita rurale (una teoria della decrescita e del non spreco ante litteram). Nella pianura bassa, purtroppo assistiamo spesso al misconoscimento del valore tipologico di gran parte dell’edilizia rurale più povera, quella di formazione bracciantile del tardo Ottocento e del primo Novecento; sicuramente meno pregiata di quella mezzadrile, ma non di meno partecipe, nei suoi micro-agglomerati, della costruzione del paesaggio di pianura. Mi sono permessa questa divagazione perché credo che l’infanzia e l’adolescenza di Lea, trascorse in un ambiente rurale in cui il lavoro era inteso come attività legata al soddisfacimento di bisogni primari, siano un substrato intimo importante, che obbliga al rigore di un attento ascolto degli elementi naturali e delle umane vicende. Un genius loci, una saggezza dell’ambiente, che Lea ha saputo trasformare in forza: la forza per avviare cambiamenti storici e sociali. Il suo incrollabile spirito ha ispirato generazioni di donne a resistere ad ataviche oppressioni patriarcali, suscitando cambiamenti che le hanno rese libere da situazioni di dominio. Dopo aver frequentato il Liceo Classico di Lugo, Lea vince il concorso per entrare alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Superato il biennio, decide che la Normale non fa per lei e si laurea in Lettere e Filosofia all’Università di Bologna con una tesi di storia moderna. Superato il concorso-abilitazione, entra di ruolo al Liceo Scientifico di Lugo, ma, dopo solo due mesi di insegnamento, decide improvvisamente di abbandonare tutto: la scuola, il paese, la famiglia d’origine, un matrimonio contratto alcuni mesi prima dietro la spinta dei genitori. Nell’ottobre del 1966 parte per Milano, e riprende a insegnare entrando di ruolo nella Scuola media inferiore di Melegnano. Nella primavera del
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1969, avviene l’incontro con Elvio Fachinelli, psicanalista imdalla famiglia, alla scuola, alla società, mettendo in discuspegnato insieme ad altri insegnanti, psicologi, studenti, nella sione tutti i sistemi che creano esclusione, competizione, dipreparazione di un convegno sulla pratica non autoritaria suguaglianza. Un contributo fondamentale all’unitarietà nella scuola. Nei primi mesi del 1971, l’editore Einaudi pubcomplessiva della proposta teorica e politica della rivista blica il libro L’erba voglio a cura di Fachinelli, Luisa Muraro Vaviene dato dagli scritti di Elvio Fachinelli, di cui esce una raciani e Giuseppe Sartori; nel testo sono raccolte relazioni e colta nel libro Il bambino dalle uova d’oro, edito da Feltrinelli contributi di due convegni che si erano tenuti a Milano nel giunel 1974. A partire dal 1976, alla rivista si affianca una collana gno e settembre 1970. A questo convegno intervengono i prodi libri che ne amplia i temi; ecco alcuni titoli, tra i tanti: Colmotori dell’asilo autogestito di Porta Ticinese, maestre d’asilo, lettivo A/Traverso, Alice è il diavolo, il testo di Radio Alice a insegnanti di scuole elementari e medie, ma anche studenti, Bologna e dei “giovani del ’77”; Enrico Palandri, Boccalone; operai, psicologi, genitori, che riportano le loro esperienze di Elvio Fachinelli, La freccia ferma. Tre tentativi di annullare il «pratica non autoritaria nella scuola»: difficoltà, perplessità tempo. La critica all’economicismo e alla politica separata personali, ostacoli, sforzo di elaborazione politica, accompadiventa ancora più radicale nel momento in cui la rivista cognati spesso da «singolare allegria e ironia». Il tema centrale mincia a pubblicare scritti legati all’elaborazione teorica e è la scuola, in quanto «luogo separato», «formalmente senza pratica del femminismo: Madre mortifera (di Lillith e Fachirapporto con la produzione», ma, di fatto, strumento che «una nelli), La nudità (di Antonella Nappi), Dora, Freud e la viominoranza utilizza per lenza (di Lea Melandri), rafforzare ed estendere Le donne invisibili (di i suoi privilegi», per istiLuisa Muraro), Pratica tuzionalizzare rapporti dell’inconscio e movidi sfruttamento, gerarmento delle donne (di chie, ruoli, differenze Alcune femministe miconsacrate dal titolo di lanesi), L’infamia origistudio, per organizzare naria (di Lea Melandri), il consenso intorno a Diario di militante (di una interpretazione Luisa Passerini). della realtà sottratta a Un femminismo atogni verifica. L’intento, tento all’esperienza come scrivono i curapersonale e ai risvolti tori nella quarta di coprofondi del rapporto pertina, non è di uomo-donna “entra di «escogitare nuove pediritto” nella tematica dagogie o nuove didatdella rivista, ma detertiche», ma «di stabilire mina anche, verso la rapporti liberanti, metà degli anni ’70, senza riguardo per le difficoltà e divergenze funzioni e le compeall’interno del gruppo tenze precostituite, di che aveva sostenuto far uscire la scuola dai fino allora la rivista, la La cascina dell’infanzia di Lea Melandri, Fusignano. suoi recinti e cancelli, di messa in crisi di rapFoto di Cesare Ballardini. sottrarla ai suoi tutori, porti che erano stati per farla con altri». (Il “personali e politici”, tema dell’educazione libertaria è più che mai attuale ed è nonché, infine, l’uscita dalla redazione di Luisa Muraro e di stato rivisitato ed affrontato a Ravenna il 15 settembre 2012 Lea. Altra esperienza importante del percorso professionale presso il Liceo Classico con il convegno “The Summerhill di Lea è l’insegnamento ai corsi 150 ore voluti dal sindacato School: modelli di educazione a confronto”). «La pubblicaper favorire la formazione dei lavoratori e delle lavoratrici, zione L’erba voglio incontra un successo sorprendente: cinma anche di chi non aveva potuto conseguire la licenza que edizioni in pochi mesi, trentamila copie vendute, media. Nel quartiere milanese Affori Bovisasca insegna discussioni che sorgono un po’ dappertutto. Nel libro era stata anche al primo gruppo di donne, prevalentemente casalininserita una cartolina che invitava, chi fosse stato interessato ghe, che decidono di tornare a scuola soprattutto per il dealle tematiche in esso contenute, a rinviarla ai curatori. Ne arsiderio di uscire dallo spazio ristretto delle loro case. Nel rivano tremila. Per rispondere a una richiesta così evidente di 1987 nasce l’Associazione per una Libera Università delle collaborazione, nasce nello stesso anno la rivista bimestrale donne di Milano. Nel 1975, a seguito di un incontro con fem“L’erba voglio”, di cui usciranno, tra il 1971 e il 1977, vent’otto ministe all’Università di Cagliari, Lea si reca a Carloforte numeri» (Lea Melandri, L’erba voglio, in «Liberazione», inserto (Isola di San Pietro, Sardegna), dove, nell’estate dello stesso Anni ’70: 1971, 18 febbraio 2007). Lea sarà direttrice della rianno, si terrà la prima vacanza femminista in Italia, e dove vista ed inizia il suo impegno sociale e politico che la porterà Lea tornerà da allora ogni anno: nel 2009 le viene conferita a lavorare attivamente contro ogni forma di autoritarismo, la cittadinanza onoraria.
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Dopo l’infanzia trascorsa in una cascina a Fusignano, Lea Melandri frequenta il Liceo Classico a Lugo e si laurea in lettere e filosofia all’Università di Bologna. Nel 1966 lascia la Romagna per trasferirsi a Milano a fare l’insegnante di scuola media. Nei primi anni ‘70, l’incontro con lo psicanalista Elvio Fachinelli, significa per Lea, l’avvio di un impegno culturale e civile che la porterà a lavorare contro ogni forma di autoritarismo, nella famiglia come nella scuola... Nell’intera società
Lea Melandri in piazza Duomo. Foto di Monica Pepe.
«Poco più di un anno fa è morta mia madre. Allora, come oggi, nuotavo nelle acque di questo mare che ha preso il posto della mia campagna di origine: nel desiderio, nella nostalgia, nella sorpresa di una felicità che si ripete inalterata a ogni ritorno». Carloforte, 18 agosto 2007
Nel 1986, Lea lascia l’insegnamento per dedicarsi interamente al suo impegno nel movimento delle donne e ai suoi studi. Scelta che le permette di lavorare con il massimo dell’impegno nelle associazioni del femminismo e di destinare più tempo alla scrittura. Molte sono in questi anni le attività di Lea nel femminismo: dai gruppi di autocoscienza, ai gruppi di pratica dell’inconscio, al gruppo “sessualità e scrittura” e la creazione e
direzione della rivista «Lapis. Percorsi della riflessione femminile» (1987-1997). Lea tiene anche una rubrica di posta sul settimanale «Ragazza In», un’esperienza su cui tornerà più volte in occasione di scritti e conferenze relative alla “scrittura di esperienza”, vista come un seguito della “pratica dell’autocoscienza” del femminismo. Così come un’altra rubrica, sempre dedicata alle scritture di esperienza delle donne, Le periferie della memoria, questa volta sul mensile «Noi donne». Oggi è presidente della Libera Università delle Donne di Milano. Il 7 dicembre 2012, al Teatro Dal Verme, nella giornata dedicata alla festa di Sant’Ambrogio, patrono della città di Milano, a Lea è stato consegnato l’“Ambrogino d’oro”, un importante attestato di civica benemerenza per una cittadina, come recita la motivazione, «che ha fatto bella Milano».
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Lea Melandri indaga le ambivalenze del rapporto di potere fra i sessi – «il fattore molesto della civiltà» – e la violenza, sia reale che simbolica, che si annida all’interno della sessualità e della maternità
Il 23 novembre scorso Lea ha presentato presso la libreria Feltrinelli di Ravenna il libro Amore e violenza. Il fattore molesto della civiltà. L’evento rientrava nel progetto “Amore e Violenza, il silenzio degli uomini”, promosso dall’Assessorato Politiche e Cultura di genere del Comune di Ravenna, dall’Associazione “Femminile Maschile Plurale” (di cui Lea è tra le socie fondatrici) e da “Linea Rosa”, in collaborazione con Ravenna WebTv. Questo suo ultimo testo esplora la violenza reale e quella simbolica che sta dentro le relazioni più intime fra uomini e donne, sulla base della constatazione che sono soprattutto mariti, padri e amanti, ad uccidere, violentare e perseguitare le donne. Lea spiega che le relazioni intime possono diventare ambigue perché gli uomini sono figli delle donne, e vivono il corpo delle donne-madri come corpo potente, corpo che genera e che ha una forte carica erotica. Si può ipotizzare che nello sguardo dell’uomo figlio nasca uno sguardo di legittima difesa verso il corpo femminile; l’affacciarsi del fantasma della donna forte provoca a volte nell’uomo adulto rancore che si manifesta con gesti di accanimento violento nei confronti del corpo che lo ha generato. Le donne spesso non denunciano le violenze subite per il prolungarsi nel tempo di una struttura di rapporti infantili; hanno inoltre fiducia nel cambiamento e sperano di poter salvare gli uomini: si ostinano insomma a voler curare uomini in perfetta salute per rendere buona la loro vita. Antonella Picchio scrive che «non è la forza dell’uomo a tenere legate le donne, ma la loro debolezza». La violenza degli uomini nei confronti delle donne non si può isolare, non è una questione privata, ma politica: è una questione di potere. Sviluppando il tema dell’intreccio fra amore e violenza, che il comune sentire vede come opposti, Lea indaga quindi a fondo le ambivalenze del rapporto di potere fra i sessi – “il fattore molesto della civiltà” – e la violenza, sia reale che simbolica, che si annida all’interno della sessualità e della maternità. Questioni che impongono urgenti riflessioni da parte dell’intera società civile che è chiamata ad un impegno enorme nei confronti della formazione di giovani donne e giovani uomini. Lea è stata fra le promotrici del recente convegno “Primum Vivere anche nella crisi. La rivoluzione necessaria. La sfida femminista nel cuore della politica” tenutosi presso la sala congressi dell’Hotel Ariston a Pæstum, nell’ottobre scorso. Una sfida a un modello di sviluppo e di civiltà che ha subordinato la vita al consumo, la socialità al mercato e la creatività ai tempi veloci della visibilità. Si sono affrontati i temi della crisi, della cura, del lavoro e della precarietà a partire dai problemi che comporta la trasformata e ancora forte divisione sessuale del lavoro (quello per il mercato, più o meno retribuito, e quello fondamentale e informale di cura e relazione gratuito). Ma è il nodo della democrazia rappresentativa e della crisi del rappresentato/a su cui si è focalizzata principalmente l’attenzione, tra i rischi stereotipanti della rappresentanza e l’auto-rappresentanza vista come condizione minima
CITTÀ E SOCIETÀ
per la libertà e il diritto delle donne di essere rappresentanti. «Gli alberi, le fioriture primaverili, le macchie gialle del grano, le sponde di un canale e persino i campi arati, non hanno mai smesso di commuovermi, di raccontare, attraverso parole inarticolate e subito respinte, di altre ben più precise sensazioni e sentimenti ormai sepolti, come la vecchia cascina abbandonata tra moderne costruzioni industriali, dentro una pietosa coltre di rampicanti. Ma quando ho voluto ritrovare la natura, ho cercato paesaggi molto diversi da quello a me noto: le Dolomiti splendenti di neve in inverno, e, nel pieno calore dell’estate, le rocce striate di rosa e di bianco, i fondali verdezzurri dell’isola di San Pietro (Carloforte), dove torno da più di trent’anni. Paese di elezione, unico sogno di armonia riuscito, amore che si rinnova con immutata intensità a ogni inizio estate. Chi può dire dove e quale sia per ogni singola vita il luogo della nostalgia e del ritorno?» (Da Le passioni di Lea, a cura di Piera Nobili, Maria Paola Patuelli, Serena Simoni, Ravenna, Longo Editore, 2007). Offro simbolicamente a Lea un mazzo di peonie. La peonia cresce nell’altopiano del Gennargentu a quasi 1000 metri di altezza, e per le sue caratteristiche e per la sua bellezza è diventato il simbolo della Sardegna. La peonia corallina sboccia tra aprile e maggio e colora di rosso porpora le rocce dei monti della Sardegna con i suoi grandi fiori. «Sarrosa» dei monti, la rosa dei monti, così la chiamano i pastori del posto perché nasce lontano dal mare, in alto, nelle montagne dove d’inverno è possibile trovare solo la neve. Secondo gli antichi greci era l’unico fiore che poteva schiudersi nell’Olimpo e che meritava l’ammirazione degli dèi. I fiori si prestano efficacemente come espressione di messaggi importanti. Ogni specie, in base alla propria storia, alle proprie caratteristiche distintive può essere strumento di comunicazione. Offrire un mazzo di peonie rappresenta un modo per ricompensare una persona per la serenità che è stata capace di donarci.
Bibliografia scelta di Lea Melandri L’infamia originaria, L’erba voglio, 1977 (Manifestolibri, 1997) Come nasce il sogno d’amore, Rizzoli 1988 (Bollati Boringhieri, 2002) Lo strabismo della memoria, La Tartaruga, 1991 La mappa del cuore, Rubbettino, 1992 Migliaia di foglietti. Mineralogia del mondo interno, Moby Dick, 1996 L’erba voglio. Il desiderio dissidente, a cura di Lea Melandri, Baldini & Castoldi, 1998 Una visceralità indicibile. La pratica dell’inconscio nel movimento delle donne degli anni Settanta, Fondazione Badaracco, Franco Angeli, 2000 Le passioni del corpo. La vicenda dei sessi tra origine e storia, Bollati Boringhieri, 2001 Preistorie. Di cronaca e d’altro, Filema, 2004 Il legame insospettabile tra amore e violenza, con Stefano Ciccone, Effigi, 2008, 20112 Amore e violenza. Il fattore molesto della civiltà, Bollati Boringhieri, 2011
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Green Marketing e responsabilità sociale condivisa. Una risposta alla crisi?
Il Green Marketing affinché non si risolva in mero green washing occorre che sia strumento per la comunicazione delle strategie di responsabilità sociale di impresa, incorporate nelle mission, per facilitare il coinvolgimento degli stakeholder. Da questo punto di vista il green marketing costituisce il presupposto per il costruirsi di una reputazione del marchio, capitale sociale dell'impresa fondamentale per una competitività in chiave sostenibile. La sfida che il green marketing ci offre è molto importante: è la ricerca di un marketing che superi i modelli tradizionali e scelga in modo esplicito la prospettiva di legare gli obiettivi di risultato economico agli obiettivi di benessere sociale. Ponendo al centro il tema della crescita sostenibile e di come il marketing possa sposarsi con l'ecologia, aderendo a un progetto comune di sostenibilità. L'idea di fondo è che gli obiettivi ambientali siano compatibili con la prosperità economica: e il rimando non è all'ambiente e all'ecologia in senso stretto, quanto a un ruolo più responsabile del marketing in una società che non permette più di guardare allo sviluppo in modo tradizionale e al mercato come a un'entità separata dalle altre sfere della vita delle persone. Il green marketing accoglie pertanto la dimensione dello sviluppo sostenibile declinato nelle sue molteplici dimensioni: economica, culturale, sociale, ambientale e istituzionale. Può essere lo strumento per sostenere e diffondere la cultura della responsabilità, cultura che nasce e che si rafforza nell'azione responsabile di consumatori ed imprese, senza perdere di vista il ruolo della pubblica amministrazione. Cultura della responsabilità che rappresenta un motivo di riflessione e di approfondimento per tutti quei modelli di sviluppo economico e sociale che ritengono i parametri economici riduttivi per la misurazione del benessere e qualità della vita. Cultura della responsabilità che diviene centrale nel dibattito e nella riflessione sul concetto di felicità o well being, intesa non più in termini dell'avere, o arricchimento delle persone, ma in termini dell'essere, per superare quel paradosso che da qualche tempo l'economia rileva relativamente al rapporto esistente tra ricchezza e felicità. Cultura della responsabilità che, in tal senso, rappresenta lo spunto per superare quell'individualismo che è alla base del paradigma dell'homo oeconomicus, dominante il pensiero economico neoliberista, alla ricerca di paradigmi che consentano di cogliere il portato di forme di economia che mantengano valori quali la solidarietà, l'equi-
ABITARE LʼHABITAT
tà, l'autenticità, la sostenibilità, la giustizia, l'inclusione sociale, la reciprocità, nonché considerazioni morali e politiche. Quello che voglio richiamare è un approccio che ponga al centro dello studio delle relazioni tra offerta e domanda la cultura della responsabilità, che si colloca all'interno di una società riflessiva e che prevede: da una parte una dimensione micro della responsabilità (responsabilità riferita al singolo individuo o alla singola impresa); dall'altra una dimensione macro della responsabilità (responsabilità riferita all'intero modello di sviluppo). Il modello delle responsabilità sociali condivise coinvolge tutte le sfere sociali presenti a livello territoriale. In quest'ottica, non sono più la singola impresa, istituzione o cittadino a doversi interrogare sulla qualità del proprio sistema di relazioni per arrivare a definire strategie ed azioni con l'intento di perseguire in modo più efficiente la propria missione, bensì, seguendo questa nuova visione, occorre che vi sia una rete di soggetti ed istituzioni capaci di interrogarsi su quella che è l'efficienza delle azioni comuni. La responsabilità sociale deve essere allora, in quest'ottica, il frutto di processi di reciproca responsabilità, intesa come responsabilità individuale di ognuno indirizzata al raggiungimento del bene comune, in base alle proprie competenze nonché ai propri limiti. In particolare, nell'odierna fase di recessione e di crisi finanziaria mondiale, è evidente come tali principi acquistino una forte valenza strategica e possano costituire fattori importanti per affermare una nuova idea di sviluppo e di più forte coesione sociale e civile. I reticoli sociali e le norme di reciprocità possono facilitare la cooperazione in vista del bene comune. I principi fondamentali del “fare insieme” e della “reciproca responsabilità”, alla base del paradigma delle responsabilità sociali condivise, acquistano allora sempre più importanza nell'affermare una nuova idea di sviluppo basata su una maggiore coesione sociale e civile, che assicura un benessere fondato non solo su parametri di ricchezza economica, bensì sulla valorizzazione della conoscenza, della cultura, della salute, delle relazioni umane, in un contesto ambientale più tutelato e vivibile. In questo modo si potrà essere quindi in grado di interrompere quei processi di progressivo impoverimento relazionale oltre che materiale in cui viviamo oggi, poiché una società caratterizzata da reciprocità generalizzata è più efficiente di una società in preda alla diffidenza. Il concetto di responsabilità sociali condivise si deve realizzare allora in generale nella ricerca di uno sviluppo di nuove relazioni virtuose fra sostenibilità ambientale, sociale, territoriale, economica, politica, che renda coerenti bisogni di base, autosufficienza ed ecosviluppo. In quest'ottica le responsabilità sociali condivise rappresentano un vero e proprio paradigma culturale alla base del nuovo modello di sviluppo, capace di correggere le contraddizioni insite nel modello neoliberista degli ultimi trenta anni. Le indagini sulla felicità segnalano che diseguaglianza e felicità , sono inversamente proporzionali e che le società che
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non intervengono per ridurre la diseguaglianza sono quelle più infelici. Per la maggior parte degli abitanti dei paesi agiati, le difficoltà della vita non consistono più nel procacciarsi il cibo, cercare acqua potabile e mantenersi al caldo. Molti di noi, al giorno di oggi, vorrebbero mangiar meno piuttosto che di più, e per la prima volta nella storia, i poveri sono più grassi dei ricchi. Gli indicatori del benessere e della felicità non crescono più con il reddito nazionale, anzi, all'aumentare della ricchezza materiale, le società opulente hanno visto aumentare l'incidenza di ansia, depressione e numerosi altri problemi sociali. Le popolazioni dei paesi sviluppati sono giunte al termine di un lungo percorso storico. La promozione di una cultura della responsabilità, attraverso i circoli virtuosi, è fondamentale, allora, anche per la promozione di processi di moralizzazione dei mercati. All'interno dei circoli, infatti, i sistemi di consumo e produzione, possono divenire promotori di un codice morale in grado di autoalimentarsi, poiché persone, gruppi, associazioni, organizzazioni, imprese ed istituzioni, possono, contribuire alla creazione di una nuova dimensione etica. Tutto questo implica, perciò, ammettere che i rapporti tra economia e cultura seguono una logica bidirezionale e che, quindi, anche la cultura possa essere ancora in grado di influire direttamente sul mercato. In questo modo implementando una nuova e diversa accezione di benessere e felicità su base intersoggettiva: la felicità responsabile. Una nuova frontiera di capacità che può trovare nei social media, nelle piattaforme tecnologiche, e nel green marketing, la possibilità di generare una sorta di inedita cittadinanza di tipo culturale e che può essere in grado di orientare la sfera pubblica verso un modello basato sul dialogo e la partecipazione. Ripartire dalla sostenibilità in primis in chiave culturale, senza dimenticare le altre dimensioni, significa allora anche dare spazio a nuove accezioni di benessere e di felicità, che non può sicuramente misurarsi solamente in termini di elementi materiali quali: la ricchezza, l'occupazione e la proprietà, ma deve recuperare una dimensione immateriale legata al bene comune, all'altro generalizzato, alla capacità di far fruttare le proprie risorse simboliche e culturali, in termini non utilitaristici. I circoli virtuosi, perciò, possono davvero rappresentare la possibilità per una revisione lungimirante del modello di sviluppo. È necessaria una nuova narrazione del capitalismo che non sia solo espressione della contingenza: sembrano maturi i tempi per un vero e proprio mutamento prospettico che vada al di là del superamento dell'emergenza allo scopo di poter ripristinare l'ordine preesistente. La proposta è di un modello di sviluppo che sia in grado di includere valori quali: la solidarietà, l'equità, l'autenticità, la sostenibilità, la giustizia, l'inclusione sociale, la reciprocità e considerazioni morali e politiche, e che in questo modo acquisti una dimensione prospettica ascrivibile a modello orientato alla sostenibilità economica, sociale ed ambientale per il sistema globale. È in tal senso, quindi, che la crisi che stiamo vivendo può costituire, non solo un pericolo, ma anche e soprattutto una grande opportunità. I circoli virtuosi, come strumenti di sviluppo di una cittadinanza responsabile, possono permettere, infatti, di ripensare all'economia in chiave etica, superando così la crisi che ha investito la società globale. È, infatti, solo attraverso la partecipazione sinergica fra diversi attori sociali presenti sul territorio, che si può consolidare una cultura diffusa della responsabilità sociale che sia in grado di offrire una risposta alla crisi in cui stiamo vivendo.
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CONSULENZA E INTERMEDIAZIONE IMMOBILIARE
La crisi rallenta le compravendite ma rilancia il mercato degli affitti. E si affacciano nuove formule d’acquisto come il “rent to buy” e “cambio casa”. Ce ne parla Pierluigi Fabbri presidente di Fimaa Ravenna Dalla crisi economica si può uscire trasformati, persino migliorati, grazie a nuove idee e opportunità. Qualche novità già si affaccia sul mercato immobiliare, frutto spesso del bisogno di fare di necessità virtù. Mentre le compravendite vanno a rilento, soprattutto per chi si ostina a mantenere inalterati i prezzi, in materia di affitti si registra un certo movimento. «Quello delle locazioni è un mercato promettente, in cui qualcosa si sta muovendo – afferma Pierluigi Fabbri presidente di Fimaa Ravenna -. I motivi sono per lo più correlati alle nuove tassazioni, in primis l’Imu, che spaventano chi si appresta a comperar casa, ma anche la crisi di liquidità dovuta alla difficoltà di ottenere un mutuo bancario. C’è gente che ha girato per diversi mesi alla ricerca di una abitazione da acquistare, e ha poi ripiegato sull’affitto. Così come ci sono proprietari di case che, piuttosto che vendere adesso il loro immobile a un prezzo un po’ scontato, preferiscono metterlo a reddito per qualche anno». Questo spostamento di interesse verso l’affitto ha comportato per le classiche agenzie immobiliari, che nei tempi del boom immobiliare ritenevano queste “pratiche” perditempo, la necessità di riorganizzarsi. «Nella compravendita – spiega Fabbri -, l’iter si conclude con il rogito notarile. Quando si parla di locazioni invece il rapporto con il cliente inizia nel momento in cui si sigla l’accordo. Ad oggi, questo tipo di attività coinvolge ormai tutte le agenzie immobiliari. In tal senso compito dell’agente è soddisfare al meglio le aspettative locative di chi cerca casa ed al contempo di trovare un affittuario solvibile per il cliente-proprietario». Fimaa rileva inoltre che, proprio per contrastare il calo delle compravendite, stanno nascendo nuove formule contrattuali per rendere l’acquisto del nuovo più “fattibile”. Contratti atipici che hanno già fatto il loro ingresso in molte città europee e anche nelle grandi città italiane, e che pure a Ravenna si stanno iniziando a prendere in considerazi one. C’è per esempio il ‘rent to buy’, oppure il contratto di locazione con opzione di acquisto e altri. «In questo modo – spiega
MERCATO IMMOBILIARE
il presidente provinciale Fimaa -, il cliente che non riesce ad avere un mutuo al 100 per cento adesso, può entrare subito nell’immobile nuovo pagando, per un periodo transitorio, un canone di affitto che poi sarà dedotto dal costo originario della casa. Un’altra formula interessante è poi quella del cosiddetto “cambio casa” che consente di avere una tempistica più lunga per la vendita del proprio vecchio appartamento, ma la possibilità di entrare subito in quello nuovo, senza dover affrontare la fiscalità da seconda casa. Queste ora sono possibilità che assieme al proprio agente immobiliare di fiducia è possibile già cominciare a valutare. Starà nell’abilità dell’agente “costruire l’abito su misura” per le singole possibilità». Molto importanti, secondo Pierluigi Fabbri, saranno le politiche fiscali portate avanti dal governo che uscirà dalle Politiche 2013, «sperando che ci sia qualche nuovo volto un po’ più lungimirante di quelli che lo hanno preceduto». C’è molta attesa al riguardo e non è casuale che, come accade già negli altri paesi, il tema delle tasse sia prioritario nei discorsi dei vari candidati. «Confidiamo in politiche in grado di tagliare gli sprechi – afferma -, per poter incentivare di nuovo il mercato della casa che ha il potere di muovere un po’ tutta l’economia del Paese».
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RAVENNA n. 79 gennaio febbraio
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