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Luigi Prestinenza Puglisi a Expo Dubai 2020

Sopra, la promenade ombreggiata con tende retrattili in tessuto high-tech dell’italiana i-Mesh. A sinistra, Al Wasl, la piazza da cui si dipartono i tre settori dell’Expo. Sotto, dettagli dei padiglioni UK, Es Devlin Studio, e Alif di Norman Foster.

REPORTAGE EXPO DUBAI

COLLEGARE LE MENTI, CREARE IL FUTURO

OPPORTUNITÀ PROMOZIONALE E OCCASIONE PER URBANIZZARE ALTRI 40 ETTARI DI DESERTO. UNA STRATEGIA DI LUNGO RESPIRO PER LA PRIMA ESPOSIZIONE UNIVERSALE DEL MONDO ARABO, CHE CON TROVATE TECNOLOGICHE E INTERESSANTI CONCEPT ARCHITETTONICI HA RICHIAMATO 10 MILIONI DI VISITATORI

di Luigi Prestinenza Puglisi

Gli Expo sono fiere delle vanità dove predomina il cattivo gusto e il kitsch. Dove si spendono troppi soldi per realizzare un gigantesco Luna Park in cui si susseguono spettacoli pensati per far colpo su un pubblico distratto. Inoltre, a dispetto dei titoli, da un po’ di anni centrati in vario modo sull’ecologia e la salvezza del pianeta (quest’anno: Collegare le menti, creare il futuro), gli Expo sono, di regola, operazioni immobiliari non sostenibili che alterano profondamente l’equilibrio delle aree sulle quali insistono. Nel caso di Dubai un pretesto per spostare lo sviluppo della città in direzione di Abu Dhabi in vista della realizzazione nelle vicinanze del nuovo aeroporto internazionale. Detto questo, per la paradossale follia che caratterizza i comportamenti umani, sono proprio tali presupposti che rendono gli Expo così interessanti. Per costruire i giganteschi spazi di intrattenimento non si lesinano risorse e sperimentazioni. Ogni Stato vuole apparire più avanzato degli altri e, tra molta fuffa, si possono osservare interessanti idee che sarebbero state giudicate troppo costose, troppo azzardate, poco ragionevoli in altre circostanze. Se apriamo i manuali di Storia dell’architettura vi troviamo non pochi padiglioni realizzati per gli Expo: siano questi quelli di Montreal, Osaka, Lisbona, Hannover, Shangai o Milano. Non solo per le risorse economiche impiegate, ma anche grazie alla vitalità del cattivo gusto. Che ci libera dai

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Il Masterplan LAND - Andreas Kipar

Su un’area di 40 ettari nella zona sud-ovest della città, i 6,5 ettari di Expo Dubai 2020 si sviluppano attorno alla piazza centrale Al-Wasl (in arabo il collegamento) da cui si diramano tre distretti tematici, i ‘petali’, dedicati ai tre temi dell’esposizione, comprensivi di 86 edifi ci permanenti. Con il suo masterplan Land Italia ha tradotto spazialmente i temi dell’esposizione – i concetti di Mobilità, Opportunità e Sostenibilità – associando a ogni distretto un elemento della natura: l’acqua, il deserto, la vegetazione. Ogni ‘petalo’ assume perciò geometrie, paesaggi e colori diversi. Il progetto è caratterizzato da una serie di connessioni pedonali a scala umana, ombreggiate da alberi, che si intersecano con spazi a corte di forma e dimensione variabile. Le connessioni e le corti secondarie sono organizzate e unite da una spina centrale che attraversa ogni distretto, creando zone speciali con palchi per eventi, giochi d’acqua, aree di attività e di riposo, raggruppati sotto eleganti strutture ombreggianti. Sviluppato interamente in Bim e gestito in cloud in Collaboration for Revit al fi ne di ottimizzare le comunicazioni, il progetto è stato concepito per ottenere la certifi cazione Leed Gold e, al termine dell’Expo, verrà convertito in un campus di edifi ci (destinati a ospitare start-up e aziende tecnologiche) collegati tra loro tramite ponti aerei affacciati sugli spazi verdi. Avviato nel 2015 e concluso nel 2021, il masterplan di Expo Dubai 2020 è stato sviluppato dal team di progettazione di Land Italia composto da Andreas Kipar, Luisa Bellini, Marco Antonini, Giulia Bonisoli, Ilaria Congia, Georgia Karsioti, Sebastiano Mazzaggio, Marina Polets e Stefano Roman.

freni inibitori che mortificano la normale produzione edilizia. I padiglioni non sono esattamente degli edifici. Gli architetti che lo pensano sono in genere quelli che producono le opere più deludenti. Non capiscono che, nella logica del Luna Park, non vince la scatola che ha il miglior allineamento con la strada o con le altezze dei padiglioni vicini. Vincono i padiglioni che attirano il maggior numero di visitatori: i più funambolici, i più appariscenti, i più promettenti. Considerando una visita di una decina di ore, che è già un programma da stakanovisti, se ne possono visitare una quindicina al massimo, mettendo in conto il tempo perso in file e i necessari momenti di riposo. All’Expo partecipano mediamente circa duecento Paesi, ciò vuol dire che la competizione è bruciante. Una forma esterna accattivante da sola non basta per attrarre pubblico. Serve anche un buon progetto comunicativo ed espositivo. Un padiglione che all’interno non abbia suoni, luci, effetti speciali di ultimissima generazione corre il rischio di essere trascurato. Motivo per il quale la maggior parte sono caratterizzati da musica a palla, repentini cambiamenti tra zone scure e illuminate, effetti discoteca, filmati proiettati su schermi giganteschi realizzati con le tecniche dei messaggi pubblicitari più abilmente costruiti. Entri con un gruppo di persone, ti godi lo spettacolo, esci per far posto al prossimo gruppo che sta aspettando all’entrata. Ci sono, ovviamente varianti (per esempio in alcuni padiglioni sono previste interazioni: e quindi sei costretto a emettere suoni, soffiare, dare un pugno o una carezza a qualcosa, aspettare che ti arrivi ai piedi dell’acqua…) ma lo schema è sostanzialmente lo stesso. Motivo per il quale dopo che ne hai visti dieci, hai la sensazione di averli visti tutti. Anche perché comincia a subentrare la stanchezza. Eppure, in mezzo a tanta ripetizione, si

Emirati Arabi Uniti Santiago Calatrava

IIl padiglione della nazione ospitante è ispirato alla forma di un’ala di falco, l’uccello nazionale degli Emirati Arabi Uniti, alla sua grazia e alla sua forza. L’architettura di quattro piani è sormontata da 28 ali mobili in fibra di carbonio che possono essere aperte o chiuse in base alle necessità. Ciascuna delle ali ruota attorno a un unico punto e l’intero tetto può essere aperto in soli tre minuti. Progettato come simbolo dello spirito pionieristico degli Emirati Arabi Uniti, il padiglione di 15.000 metri quadrati è certificato Leed Platinum ed è conforme al Dubai Green Building Regulations and Specifications (Dgbr). Al centro si trova un vuoto sferico che funge da auditorium con una capienza di 200 persone, circondato da uno spazio a più livelli. La costruzione è circondata da un paesaggio con 80 alberi e più di cinquemila piante, molte delle quali considerate di importanza culturale per il Paese.

Al termine di Expo, il padiglione prefabbricato sarà smontato e ricostruito nella capitale del Bahrain.

Bahrain Christian Kerez

Il padiglione, concepito come esperienza fisica delle possibilità di costruire in un mondo sempre più abitato, esplora il concetto di densità come opportunità. La struttura dello spazio centrale di 900 metri quadrati si compone di 126 sottili colonne in acciaio di 24 metri di altezza che si uniscono in più punti. Grazie a questi elementi tubolari a vista che popolano il volume, la piazza non è una generica hall in mezzo al deserto, né uno spazio vuoto o spoglio, ma assomiglia a una foresta composta dagli elementi metallici strutturali estremamente sottili. Organizzati in maniera gerarchica, i tubi industriali attraversano lo spazio in ogni possibile direzione, fino a fuoriuscire dall’involucro, e creano una varietà senza fine di prospettive sempre mutevoli all’interno di un volume altrimenti molto semplice. Lo spazio è interamente occupato e diversificato mediante questi elementi architettonici che, in modo poetico, cambiano in continuazione in base al movimento del visitatore nello spazio. La densità e la varietà degli ornamenti islamici, che ha costituito un punto di partenza per la progettazione, si trasforma così in un’immediata esperienza fisica e spaziale.

Alif Foster + Partners

Chiamato Alif (dalla prima lettera dell’alfabeto arabo che simboleggia nuovi orizzonti e l’inizio del progresso), il padiglione della mobilità ne presenta le più recenti e innovative soluzioni e idee. La forma curva evoca l’idea del movimento. Il rivestimento in acciaio inossidabile, ispirato ai parafanghi cromati e alle ali degli aerei, riflette il contesto facendo sembrare l’edificio vivo e in movimento. Un percorso di 330 metri, in parte sotterraneo e in parte all’aperto, e aree dimostrative si alternano a un anfiteatro da 500 posti e a gallerie espositive nei tre volumi del padiglione con mostre studiate da Met, studio di Londra, per mostrare soluzioni e veicoli del futuro. A conclusione di Expo, il padiglione diventerà un elemento integrante di District 2020, la nuova città concepita come modello di efficienza incentrata sull’uomo, pronta ad accogliere inquilini, residenti, lavoratori e visitatori dopo un periodo di transizione da 6 a 9 mesi da Expo.

nascondono novità preziose. Tecnologie interattive che prima o poi entreranno nella realtà di tutti i giorni, prodotti ottenuti riciclando rifiuti, nuovi materiali, nuovi modi per sfruttare il verde, il sole, l’umidità dell’aria. E veniamo al padiglione italiano. È partito malissimo, con una campagna di comunicazione disastrosa. Che faceva perno sulla copertura realizzata attraverso tre scafi, uno bianco, uno verde e uno rosso, come la bandiera italiana, rovesciati. L’idea era di recuperare la tradizione degli antichi navigatori che, quando arrivavano in un posto, rovesciavano le barche e le utilizzavano come tetto per le loro abitazioni provvisorie. Ma con il Mediterraneo segnato dalla tragedia delle imbarcazioni capovolte dei migranti, forse non si poteva scegliere un più infelice ed equivocabile concept. E, difatti, soprattutto sui social media, si è scatenata una polemica feroce contro Italo Rota e Carlo Ratti, autori del progetto. A infiammarla, oltretutto, le foto di cantiere che mostravano un padiglione delimitato da una tenda fatta di corde, invece che una più tradizionale costruzione circondata da muri. Basta però visitare l’Expo per verificare che la tenda funziona, invitando all’accesso. E funziona bene all’interno, facendo filtrare magnificamente la luce lungo l’articolato percorso previsto dai due progettisti. Dicevamo che tutti i padiglioni rispondono ad una medesima logica: attrarre il visitatore, farlo entrare, proporgli uno spettacolo più o meno interattivo, farlo uscire. Nel caso del padiglione italiano vi è la complicazione che lo spettacolo non è unico ma é articolato in vari episodi per

Il concept design degli interni del Padiglione Italia, elaborato dallo studio Rampello & Partners, sviluppa il tema La bellezza unisce le persone.

Italia CRA - Carlo Ratti Associati e Italo Rota Building Office

Progettato con F&M Ingegneria e Matteo Gatto, il Padiglione Italia si compone di tre scafi di navi rovesciati – realizzati con il contributo di Fincantieri – che formano il tetto della struttura. L’architettura è delimitata da una facciata multimediale a tenda, composta da 70 chilometri di corde nautiche in plastica riciclata prodotte usando l’equivalente di quasi due milioni di bottiglie d’acqua. La facciata si illumina e diventa dinamica grazie ai Led incorporati sulle corde. Realizzato con un avanzato sistema naturale di mitigazione del clima che sostituisce l’aria condizionata, l’edificio si estende su una superficie di oltre 3.500 metri quadrati e fa uso di nuovi materiali da costruzione, dalle alghe ai fondi di caffè, dalle bucce d’arancia alla sabbia, suggerendo strategie progettuali applicabili a livello internazionale. Tra natura e artificio, la grande installazione racchiude spazi espositivi, prodotti e servizi che interpretano la complessità dell’Italia, radicata nella sua storia e proiettata verso il futuro.

offrire la vista di numerosi prodotti e servizi che raccontato i molti soggetti economici che (immagino) contribuiscono economicamente alla costruzione del padiglione. Questa pluralità di spazi espositivi è per un architetto un incubo perché bisogna mettere insieme in un discorso unitario cose tra loro molto diverse, non sempre di gran gusto. Ratti e Rota sono riusciti nell’operazione senza rompersi troppo le ossa, anzi organizzando una promenade affascinante e non priva di magia. Sono riusciti anche a proporre sperimentazioni sicuramente interessanti sui materiali: utilizzando per esempio plastica riciclata in corde e trasformando i chicchi di caffè in piani dell’arredamento. Non è esagerato dire che in un’Italia da sempre molto tiepida nei confronti dell’innovazione edilizia, il padiglione italiano rappresenta una mossa in controtendenza. Retorica quanto si vuole (fa piacere a uno Stato arretrato nel campo della sostenibilità, mostrare una faccia che non corrisponde esattamente alla sua) ma comunque vincente. Quali sono i padiglioni che mi hanno colpito di più? Quello della Russia per il suo intreccio di fili colorati a metà tra una meringa e una pasta dentifricia, con una suggestiva proiezione all’interno. Il padiglione della Spagna, per la buona resa architettonica: un alzato aereo e colorato e un sottoterra con reminiscenze organiche. Ma i due miei preferiti direi che sono il padiglione UK di Es Devlin Studio, con un contrasto magnifico tra lo spazio frammentato e esploso esterno e una avvolgente sala interna e quello del Bahrain di Christian Kerez, uno dei più interessanti architetti oggi in circolazione. Un mago, per non dire un genio, delle strutture. Norman Foster ha fatto un padiglione della mobilità alla Foster: ineccepibile. Forse troppo. E Santiago Calatrava? Ha disegnato un padiglione a forma di ali di falco. Che si aprono e si chiudono. Stupisce ma, come una torta di panna alla terza fetta, dopo un po’ che lo assapori non ne puoi più ■

Russia Sergei Tchoban – Speech Architectural Office

Il padiglione, composto dalla compenetrazione di due cupole di dimensioni differenti, è la concretizzazione plastica di un movimento costante e rappresenta idealmente un’idea di continuità e crescita. Il sistema di facciata è definito da un intreccio lungo 46 chilometri di elementi tubolari in alluminio, rivestiti con polimeri colorati, che proteggono gli elementi dalla luce esterna. L’accostamento dei sei colori, che definiscono la forma dell’organismo architettonico, richiama direttamente le avanguardie russe. La composizione della facciata rappresenta l’idea dell’infinito e simboleggia l’eterno processo di cognizione e apprendimento del mondo e la coesistenza armonica di energie differenti. Curata da Simpateka Entertainment Group, l’installazione multimediale allestita all’interno del padiglione è dedicata al funzionamento del cervello.

UK Es Devlin

Il tema del padiglione, Innovating for a Shared Future (Innovare per un futuro condiviso), celebra la diversità culturale del Regno Unito, unendo poesia e machine learning. L’architettura è una struttura conica alta 20 metri realizzata in legno lamellare a strati incrociati, che riprende la forma di un enorme strumento musicale. All’interno non si trova alcuna mostra, perché è il padiglione stesso ad esserlo. L’edificio infatti è stato progettato per diffondere una serie di poesie generate dall’intelligenza artificiale. La facciata del padiglione presenta un messaggio collettivo, visualizzato in inglese e arabo, basato sulle parole proposte dai visitatori e poi mostrate, grazie a un avanzato algoritmo di apprendimento automatico, attraverso luci Led poste sulla facciata. Le parole sono immerse in un paesaggio sonoro ottenuto da cori composti dalle varie etnie presenti in Gran Bretagna. Per il primo padiglione del Regno Unito progettato da una donna dalla prima esposizione internazionale del 1851, Es Devlin ha collaborato strettamente con gli ingegneri strutturali Atelier One, con i consulenti di progettazione ambientale Atelier Ten, con gli architetti esecutivi Veretec e con l’agenzia creativa Avantgarde.

Spagna Amann-Cánovas-Maruri

Uno spazio aperto le cui vere delimitazioni sono l’ombra e l’aria temperata. Il padiglione, che occupa una superficie di 6.000 mq, si distingue per una serie di tronchi di cono che si innalzano sul paesaggio, evocando la sensazione di una piazza cittadina. Gli elementi che compongono la copertura svolgono la funzione climatica di torri dei venti, soluzione naturale usata nell’architettura islamica per la climatizzazione: come camini, con una temperatura esterna di 30°, l’aria calda sale lungo l’elemento conico mantenendo la temperatura interna a 20°. La sostenibilità è una caratteristica fondamentale nella progettazione del padiglione che ruota intorno al tema Personas y lugares (Persone e luoghi). Oltre all’attenzione rivolta alla temperatura degli ambienti, sono stati scelti materiali facilmente riciclabili e riutilizzabili tra cui legno, ferro e tessuto. Superfici in Dekton di Cosentino, partner sponsor del padiglione, per le pavimentazioni e i rivestimenti interni.

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