Laboratorio SPL REF Ricerche - Contributo 02

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gennaio 2014

N°2 N.2

Sull'acqua decide il Tar Lombardia Laboratorio Servizi Pubblici Locali

Abstract Nei prossimi mesi il Tar della Lombardia è chiamato a pronunciarsi sui ricorsi presentati dai movimenti referendari, dalla Federconsumatori e dalle imprese contro il metodo tariffario per il servizio idrico, nella parte in cui disciplina il riconoscimento in tariffa degli oneri finanziari. La disciplina introdotta dall'AEEG riconosce un costo del capitale compatibile con il reperimento delle risorse e con la realizzazione degli investimenti, che è in linea con le migliori esperienze internazionali di regolazione. Nelle valutazioni dei proponenti il ricorso, l’esito del referendum comporterebbe l’impossibilità di riconoscere alcuna remunerazione sul capitale, con la conseguenza di escludere ogni apporto di fondi da parte delle aziende di gestione. Le risorse dovrebbero essere reperite attraverso le tasse o il debito pubblico che, in un Paese ad elevato indebitamento, vuole dire in molti casi interessi superiori a quelli pagati dalle stesse aziende di gestione del servizio per raccogliere capitali sul mercato. La pronuncia dei giudici amministrativi sul metodo tariffario può diventare la leva per reintrodurre le gestioni pubbliche. Non saremmo arrivati a questo punto se il legislatore, dopo il voto, avesse avuto il coraggio di decidere.

REF Ricerche srl, Via Aurelio Saffi, 12, 20144 - Milano (www.refricerche.it) Il Laboratorio è un'iniziativa sostenuta da (in ordine di adesione): ACEA, Federutility - Utilitatis, SMAT, IREN, Confcommercio - Imprese per l'Italia, CO.MO.I. Group.


Perché un Laboratorio per i Servizi Pubblici Locali

Dal 1° dicembre 2013 ha iniziato la sua attività il Laboratorio Servizi Pubblici Locali (Lab SPL), un forum di analisi e discussione che intende riunire selezionati rappresentanti del mondo dell´impresa, delle istituzioni e della finanza al fine di rilanciare il dibattito sul futuro dei Servizi Pubblici Locali. Molteplici tensioni si sono e si stanno susseguendo nel panomana economico italiano, quali la crisi delle finanze pubbliche nazionali e locali, la spinta comunitaria verso la concorrenza, la riduzione del potere d’acquisto delle famiglie, il rapporto tra amministratori e cittadini, la tutela dell’ambiente. Nonostante questi avvenimenti, il comparto dei Servizi Pubblici Locali in Italia raramente è fonte di un dibattito “sistemico”: prevalgono nella discussione contrapposizioni e dicotomie (pubblico vs. privato, stato vs. mercato, locale vs. nazionale, …) raramente sorrette da analisi quantitative ed economiche. Per esperienza, indipendenza e qualità nella ricerca economica REF Ricerche è il “luogo ideale” sia per condurre il dibattito sui Servizi Pubblici Locali su binari di “razionalità economica”, sia per porlo in relazione con il più ampio quadro delle compatibilità e delle tendenze macroeconomiche del Paese.

Donato Berardi Direttore e-mail: dberardi@refricerche.it tel. 02 87078150


N°2

Il referendum sull’acqua... abroga gli investimenti? di Donato Berardi e Giacomo Vaciago Pubblicato sul Sole 24 ore del 23/01/2014 Il Referendum del 2011 ha permesso agli Enti Locali di essere responsabili delle loro decisioni

Il Tar si pronuncerà sul metodo approvato dall'AEEG

Il metodo individua un tasso di interesse correlato al rendimento di impieghi alternativi, considerando anche il rischio del servizio idrico

Per i proponenti il ricorso, il metodo approvato dall'AEEG non è compatibile con l'esito referendario

Grazie al Referendum del 2011 sono state abrogate le norme che vietavano qualcosa (ad esempio la gestione diretta) o obbligavano a qualcosa (ad esempio, a remunerare al 7% il capitale investito) gli enti locali competenti! E' stato un Referendum... "liberale", nel senso appropriato della parola, perché ha di fatto eliminato ciò che impediva agli enti locali di essere responsabili delle loro decisioni, in particolare per ciò che riguarda servizi pubblici che definiscono il grado di civiltà di un territorio. Ciò vale per la gestione dei servizi: chi vuole farla con dipendenti del Comune e ne giustifica la scelta di fronte alla sua comunità e' oggi libero di farlo. Lo stesso dovrebbe valere per gli investimenti: un Comune vuole finanziarli aumentando l'Imu? Non dovrebbe essergli impedito, sempre che ciò sia chiaro alle comunità coinvolte e deciso, in modo corretto, nel loro interesse. Questi sono i principi che hanno già trovato Sentenze significative da parte della Corte Costituzionale e che in un paese normale dovrebbero quindi ispirare anche la giustizia amministrativa. Nei prossimi tre mesi il Tar Lombardia è chiamato a pronunciarsi sui tanti ricorsi presentati contro il metodo tariffario per il servizio idrico deciso dall’Autorità per l’energia elettrica, il gas e l’acqua.

Secondo i ricorrenti più “politici” – cioè le associazioni che hanno promosso il Referendum - l’Autorità avrebbe “surrettiziamente incluso tra le componenti della tariffa una voce relativa a “oneri finanziari”, che in realtà ripropone una remunerazione del capitale” pressoché identica, nei meccanismi e nell’ammontare, a quella esistente prima del referendum. Al contrario la tariffa dovrebbe “remunerare tutti i costi pertinenti effettivamente sostenuti, ad esempio il capitale di debito, eliminando però ogni remunerazione del capitale proprio”. In realtà, la disciplina introdotta dall’Autorità si differenzia dal 7% d’interesse abrogato dal Referendum, con il riconoscimento di un costo del capitale compatibile con il reperimento delle risorse e con l’effettiva realizzabilità degli investimenti. Una regola che peraltro è mutuata dalle esperienze degli altri servizi pubblici.

Un metodo dove il riconoscimento degli oneri finanziari ricalca le prassi in uso nell’esperienza europea di regolazione, cioè individua un tasso di interesse pari al rendimento di impieghi alternativi non rischiosi, rettificato per tener conto dello specifico rischio del servizio idrico. L’Autorità ha sancito un principio, largamente invalso nella regolazione di tutti i servizi di pubblica utilità: il rendimento assicurato a chi investe nel servizio idrico deve essere determinato con criteri oggettivi e trasparenti, in base al rischio che questa attività comporta.

Nelle valutazioni dei proponenti il ricorso, l’esito del Referendum comporterebbe invece l’impossibilità di riconoscere alcuna remunerazione sul capitale, con la conseguenza di escludere ogni apporto di fondi da parte delle aziende di gestione e di reperire capitali, che per loro natura hanno una propria onerosità dettata dai possibili impieghi alternativi.

Vi sarebbe poi il potenziale ruolo di un prestatore pubblico, la Cassa Depositi e Prestiti, ma anche in questo caso, a meno di non immaginare un risparmio postale non fruttifero, i denari prestati dovrebbero fruttare interessi. gennaio 2014

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Il Referendum... abroga gli investimenti?


N°2

Il referendum sull’acqua... abroga gli investimenti? L'alternativa è il reperimento delle risorse attraverso l'imposizione fiscale o il debito pubblico

Un'autoricà indipendente assicura imparzialità e flessibilità

Il settore idrico è materia tanto delicata quanto importante

In alternativa, le risorse per gli investimenti dovrebbero essere reperite attraverso le tasse o il debito pubblico il che, in un Paese ad elevato indebitamento, vuol dire in molti casi interessi superiori a quelli pagati dalle stesse aziende di gestione del servizio per raccogliere capitali sul mercato.

Al di là delle questioni tecniche, è evidente il tentativo di usare la Giustizia amministrativa per riproporre temi su cui è già intervenuta la Corte Costituzionale: le norme abrogate significano il ripristino della normativa precedente, e non l’invenzione di nuove norme. Che spettano solo al Parlamento.

La scelta di demandare la regolazione tariffaria ad un’Autorità indipendente ha il pregio di offrire una soluzione non ideologica e pragmatica, assicurando imparzialità di trattamento e flessibilità degli apporti di capitale, cioè le condizioni affinché anche al servizio idrico non manchino le risorse che servono ad assicurare la continuità delle forniture soprattutto nelle aree del Mezzogiorno dove l’acqua è ancora razionata, e per allacciare alla fognatura un 15% di famiglie che ancora ne è sprovvista. E soprattutto per realizzare i depuratori, che tutelano dall’inquinamento l’ambiente e i nostri mari. Rischiamo quest’anno di essere condannati da Bruxelles perché inquiniamo i nostri litorali e così perdiamo turisti. Sarà questo un motivo per uscire dall’Europa o sarebbe meglio investire in depurazione? C’è da sperare che il Tar nei prossimi mesi, e poi il Consiglio di Stato, si ricordino che il Referendum del 2011 riguardava il “servizio idrico integrato” cioè l’acqua che – potabile – entra nelle nostre case e – sporca – ne esce. L’acqua bene comune è sia quella pulita sia… l’altra!

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N°2

L’acqua alla prova del fuoco di Antonio Massarutto DIES, Università di Udine Pubblicato anche su www.lavoce.info Il Tar si pronuncerà sul metodo approvato dall'AEEG

Nei prossimi giorni, il TAR della Lombardia sarà chiamato ad esprimersi sul ricorso presentato dai movimenti referendari e dalla Federconsumatori contro il metodo tariffario per il servizio idrico approvato nel 2012 dalla competente Autorità di settore, l’AEEG. Come è noto, il referendum del 2011 ha abrogato la norma secondo cui la tariffa doveva prevedere “un’adeguata remunerazione del capitale investito”. I promotori spiegarono che il senso era quello di sottrarre la gestione del “bene comune” alla logica del profitto.

Chi scrive, già all’epoca, provò inutilmente a far notare che il quesito (e il fine che si proponeva) derivavano da un colossale fraintendimento. La norma abrogata, infatti, non garantiva alcun profitto, e nessuno ha mai consegnato il servizio idrico (o altri servizi pubblici) al lucro di chicchessia. Quella norma, al contrario, aveva la finalità di garantire che le azienLa normativa abro- de disponessero dei mezzi per poter finanziare gli investimenti ricorrendo al mercato dei gata garantiva che capitali, invece che alla fiscalità generale. La remunerazione del capitale altro non è che le aziende dispoil costo necessario per poterlo ottenere – poco importa se a prestito o come capitale di nessero dei mezzi per poter finanziare rischio – da parte degli investitori finanziari o delle banche. “Adeguato” voleva dire: atto a gli investimenti garantire alle gestioni di potersi finanziare a condizioni competitive, mantenendo un accettabile equilibrio economico-finanziario, senza extra-profitti.

Riformare il "metodo normalizzato" non vuol dire abolirne il principio

Anche dopo il Referendum, la tariffa copre interamente i costi

Il metodo dell'AEEG ha previsto la possibilità di finanziare gli investimenti con altri mezzi che non siano queli della fiscalità Il metodo proposto non esprime preferenze verso il finanziamento di mercato

Potrà spiacere dover constatare che gli Italiani hanno votato solennemente contro un fantasma: ma è proprio così. Non c’era bisogno del voto per ribadire quanto era ed è sempre stato chiaro: ossia che l’erogazione di servizi pubblici deve essere regolata proprio con il fine di evitare che i gestori ottengano indebiti profitti di monopolio. Remunerare le risorse impiegate (capitale compreso) al loro costo di mercato: né più, né meno. Il vecchio “metodo normalizzato” attuava questo principio in modo sommario e inadeguato, e per questo fin dall’origine fu criticato (anche dal sottoscritto): ma un conto è riformare tecnicamente un metodo che applica in modo errato un principio, un’altra cosa è abolire il principio. Principio che, nei termini in cui l’ho appena espresso, continua a valere anche dopo il referendum. La norma attualmente in vigore, non a caso, continua ad imporre che la tariffa del servizio idrico copra tutti i costi, e che dei costi da coprire facciano parte anche gli investimenti. Negli stessi principi dell’ordinamento europeo – cui la Corte Costituzionale rimanda direttamente in esito al referendum – è del tutto pacifico che dei costi da coprire in tariffa facciano parte tutti i costi economici, compresi quelli finanziari necessari per procurarsi il capitale.

Il metodo AEEG prevede che agli investimenti che non siano finanziati dalla fiscalità venga applicato un costo standard del capitale, calcolato in ogni periodo regolatorio sommando al rendimento base dei titoli di stato un premio che tiene conto del rischio specifico di settore. In modo uguale per tutti i gestori, qualunque sia il mix di fonti finanziarie che questi utilizzano, in modo da non privilegiare né ostacolare a priori nessuna forma di gestione e nessuna forma di finanziamento. Si noti che il metodo non esprime alcun tipo di preferenza verso il finanziamento di mercato: nessuno vieta alla fiscalità di farsi carico della spesa, se ci sono la volontà politica e i mezzi per farlo. In tal caso, espressamente previsto, in tariffa entreranno solo gli ammortamenti di quell’investimento, ma non gli oneri finanziari. E nessuno vieta alla Cassa DDPP, o ad altre istituzioni pubbliche, di prestare a tassi agevolati: in tal caso sarà il tasso gennaio 2014

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Il Referendum... abroga gli investimenti?


N°2

L’acqua alla prova del fuoco

L'Autorità ha solo previsto la possibilità di rendere sostenibili eventuali oneri di mercato

Per i promotori del Referendum la tariffa dovrebbe garantire solo il rimborso dei prestiti contratti

Con tale visione le azioni esistenti andrebbero convertite in obbligazioni

agevolato, e non quello standard, a rilevare ai fini della tariffa.

L’AEEG si limita a dire che, nella misura in cui ci si finanzia sul mercato, occorre prevedere in tariffa i mezzi per sostenere l’onere a condizioni di mercato. Ricorrere a un costo standard ex ante, anziché al rimborso degli oneri finanziari ex post, ha l’intento (virtuoso) di costringere il gestore a darsi da fare per ottimizzare la situazione: se riesce a fare meglio dello standard, potrà pure guadagnarci: il che non deve fare scandalo, sempreché lo standard sia calcolato in modo da corrispondere davvero a una condizione di efficienza. Secondo i comitati referendari, questo metodo sarebbe contrario al quadro normativo che scaturisce dal voto. In base al ricorso, la tariffa dovrebbe semmai garantire il rimborso dei prestiti contratti, ma non la remunerazione del capitale proprio (in quanto quest’ultima sarebbe un profitto, che il referendum avrebbe tout court espunto).

E’ appena il caso di notare che se si remunera il debito ma non il capitale di rischio, nessuno conferirebbe più capitale di rischio; le aziende, nella migliore delle ipotesi (ammesso che trovino qualcuno disposto a prestar loro dei soldi in mancanza di un capitale proprio) dovrebbero finanziare tutti gli investimenti a debito, pagandone il costo corrispondente. Non si vede quindi quale sarebbe il vantaggio per i cittadini.

Affinché il capitale azionario sottoscritto nel frattempo non sia oggetto di una sorta di esproprio proletario, oltre tutto, le azioni esistenti dovrebbero essere convertite in obbligazioni o qualche altra forma di debito irredimibile. Dunque, quella che prima era comunque una variabile dipendente dalla capacità del gestore (l’utile netto), si trasformerebbe in una variabile indipendente (un reddito fisso, questa volta, sì, garantito). Altrettanto chiaro è che se la tariffa riconosce ex post (ossia, a piedilista) il costo del debito onde poter escludere la remunerazione del capitale proprio, il profitto che si è voluto negare ai gestori lo faranno al posto loro le banche: i gestori non avranno infatti a quel punto alcun incentivo a negoziare condizioni migliori, certi che qualunque tasso pagato sarà riconosciuto in tariffa.

L'intento dei comitati referendari era la copertura tramite la fiscalità

Se si fanno gli investimenti, le tasse aumenteranno

Le poche operazioni di finanziamento concluse nell’ultimo biennio, un po’ per le incertezze legate al post-referendum, un po’ per le conseguenze della crisi finanziaria, evidenziano tutte tassi nettamente maggiori di quelli riconosciuti dal metodo AEEG. I comitati referendari, seraficamente, rispondono che è che è proprio quanto si voleva ottenere: impedire ai gestori di finanziarsi sul mercato, al fine di costringere la fiscalità generale a farsi carico della spesa.

Ora, se così fosse, vorrebbe dire che agli elettori è stato sottoposto un quesito che attiene alla materia fiscale (notoriamente esclusa dallo strumento referendario). Ma anche sorvolando su questo aspetto, i casi sono due, a seconda di quale tra gli investimenti e le tasse sia la variabile indipendente.

Nel primo caso, gli investimenti si faranno: ma aumenteranno le tasse (magari sotto forma dell’ennesima “tassa di scopo” che si sommerà al controverso prelievo sugli immobili e sui servizi locali (IUC). E i cittadini si sentiranno giustamente presi in giro – anche perché si scoprirà che gli aumenti saranno maggiori di quelli delle tariffe AEEG, per il semplice motivo che finanziare gli investimenti a carico della spesa pubblica corrente significa che l’uscita di cassa sarà maggiore. Se per comprare casa faccio un mutuo, le mie uscite saranno pari alla rata del mutuo. Se non voglio o non posso indebitarmi, l’uscita dovrò sostenerla tutta e subito a carico delle mie ricchezze personali. gennaio 2014

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N°2

L’acqua alla prova del fuoco Se permangono i vincoli alla finanza pubblica, gli investimenti saranno sacrificati

Qualuque sia la risposta del TAR, saranno i giudici a sopperire all’ignavia dei politici

Se invece la fiscalità è costretta a muoversi entro limiti dettati dai vincoli alla finanza pubblica, saranno fatalmente gli investimenti ad essere sacrificati. Un simile esito sarebbe sciagurato. Sono almeno 30 anni che questo paese investe poco o nulla nelle reti idriche, con risultati noti, ma che forse è utile ricordare: reti colabrodo, depuratori malandati o inesistenti, sanzioni europee che fioccano (siamo già fuori tempo massimo con la direttiva del 1991 sulle acque reflue, e quanto alla direttiva quadro del 2000 – quella che impone di portare tutti i corpi idrici al “buono stato ecologico” non abbiamo ancora cominciato neppure a calcolare seriamente cosa servirebbe fare. Viene da sorridere amaramente di fronte a quanti invocano il “bene comune” per giustificare il perpetuarsi di un simile scempio.

Ora la parola è al TAR. Non sarà l’ultima parola: qualunque sia la decisione, il ricorso al Consiglio di Stato è assicurato. E qualunque sia la decisione del Consiglio di Stato, toccherà al legislatore riprendere in mano la questione. Del resto, non saremmo arrivati a questo punto se il legislatore, dopo il voto, avesse avuto il coraggio di decidere – in un senso o nell’altro – di quali risorse dovrà campare il sistema idrico nazionale negli anni a venire. Ma il legislatore questo coraggio non lo ha avuto, forse perché avrebbe dovuto scegliere fra due alternative entrambe indigeste: ribadire agli elettori che il costo dell’acqua (compreso quello finanziario) va pagato in tariffa; oppure, provare a convincere Bruxelles e i sottoscrittori dei nostri BTP che nel nostro bilancio pubblico c’è spazio per reperire anche i 3-5 miliardi all’anno (ogni anno, per sempre) necessari per adeguare e mantenere in buono stato le nostre infrastrutture idriche. Ancora una volta, saranno i giudici a sopperire all’ignavia dei politici.

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Il Referendum... abroga gli investimenti?


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