Laboratorio SPL REF Ricerche - Contributo 03

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gennaio 2014

N°3 N.3

Nuova direttiva da Bruxelles: acqua – per ora – esclusa Laboratorio Servizi Pubblici Locali

Abstract Lo scorso 15 gennaio il Parlamento europeo ha approvato una Direttiva in materia di appalti pubblici e di concessioni, che chiarisce e semplifica le procedure per l'esternalizzazione dei servizi pubblici. Gli Stati Membri restano tuttavia liberi di decidere se esternalizzare o meno i servizi. Tra i servizi esclusi dall'ambito di applicazione della Direttiva vi è il servizio idrico: in base all'attuale quadro legislativo, in Italia gli enti locali sono liberi scegliere quale modello gestionale adottare – compreso l’in-house – senza obbligo di gara. Gli enti locali sono chiamati ad una maggiore trasparenza nelle procedure di affidamento dei servizi pubblici, acqua esclusa.

REF Ricerche srl, Via Aurelio Saffi, 12, 20144 - Milano (www.refricerche.it) Il Laboratorio è un'iniziativa sostenuta da (in ordine di adesione): ACEA, Federutility - Utilitatis, SMAT, IREN, Confcommercio - Imprese per l'Italia, CO.MO.I. Group.


La missione del Laboratorio

Dal 1° dicembre 2013 ha iniziato la sua attività il Laboratorio Servizi Pubblici Locali (Lab SPL), un forum di analisi e discussione che intende riunire selezionati rappresentanti del mondo dell´impresa, delle istituzioni e della finanza al fine di rilanciare il dibattito sul futuro dei Servizi Pubblici Locali. Molteplici tensioni sono presenti nel panorama economico italiano, quali la crisi delle finanze pubbliche nazionali e locali, la spinta comunitaria verso la concorrenza, la riduzione del potere d’acquisto delle famiglie, il rapporto tra amministratori e cittadini, la tutela dell’ambiente. Nonostante questi avvenimenti, il comparto dei Servizi Pubblici Locali in Italia raramente è fonte di un dibattito “sistemico”: prevalgono nella discussione contrapposizioni e dicotomie (pubblico vs. privato, stato vs. mercato, locale vs. nazionale, …) quasi mai sorrette da analisi quantitative ed economiche. Per esperienza, indipendenza e qualità nella ricerca economica REF Ricerche è il “luogo ideale” sia per condurre il dibattito sui Servizi Pubblici Locali su binari di “razionalità economica”, sia per porlo in relazione con il più ampio quadro delle compatibilità e delle tendenze macroeconomiche del Paese.

Donato Berardi Direttore e-mail: dberardi@refricerche.it tel. 02 87078150


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Nuova direttiva da Bruxelles: acqua – per ora – esclusa Il Parlamento europeo ha approvato una nuova Direttiva in materia di appalti pubblici e di concessioni

Lo scorso 15 gennaio il Parlamento europeo ha approvato una nuova Direttiva in materia di appalti pubblici e di concessioni, essendo queste ultime, fino ad oggi, solo parzialmente disciplinate a livello europeo (dalla Direttiva 2004/18/CE).

La modalità contrattuale prevalente nei servizi a rete è la concessione

Le concessioni sono la modalità contrattuale prevalente nei servizi a rete, quali la distribuzione di energia elettrica, gas naturale e di acqua, i servizi aeroportuali, le autostrade, eccetera. Nel contratto di concessione l’attività del concessionario che realizza le opere e gestisce il servizio è remunerata attraverso i proventi del servizio stesso, cioè nel caso dei servizi pubblici dalle tariffe.

In Italia la gestione può essere diretta, in-house o affidata tramite gara

La nuova direttiva europea individua un quadro di riferimento normativo per le esternalizzazioni di un servizio

I criteri di aggiudicazione devono essere obiettivi, non discriminatori e relativi al tema della concessione

Le procedure di gara vengono semplificate sulla base di un unico documento standard

La concessione è un contratto tra la pubblica amministrazione (concedente) e un operatore economico (concessionario) che ha per oggetto l’erogazione di un servizio o l’esecuzione di un lavoro. Le concessioni sono utilizzate tipicamente nei casi in cui un soggetto pubblico ha necessità di erogare un servizio che richiede investimenti e competenze industriali, laddove le risorse pubbliche sono scarse e/o le competenze non sono presenti nella pubblica amministrazione.

Ai sensi della normativa italiana vigente, ogni soggetto pubblico che abbia necessità di erogare un servizio di interesse generale può farlo direttamente (gestione diretta) o per il tramite di una azienda pubblica (gestione in-house); in alternativa può ricorrere ad un affidamento ad un soggetto selezionato mediante una procedura ad evidenza pubblica (gara) o ad una società mista (cioè un partenariato pubblico-privato, PPP) con socio privato industriale scelto anch’esso per il tramite di una gara a doppio oggetto: le concessioni ad una società mista sono la forma più diffusa di partenariato pubblico-privato. La nuova Direttiva sulle concessioni individua un quadro di riferimento in tutti quei casi in cui uno soggetto pubblico di uno Stato Membro decida di esternalizzare il servizio, cioè di non ricorrere ad un affidamento diretto. La Direttiva non obbliga evidentemente nessun Paese a optare per questa soluzione, ma introduce obblighi che devono essere rispettati e procedure che devono essere seguite nel processo di selezione. In particolare, il Parlamento europeo ha introdotto nuovi criteri di aggiudicazione che tengono conto anche dei principi ambientali, sociali e di innovazione. Gli obiettivi fondamentali sono semplificazione, flessibilità e certezza del diritto. Si richiede che i criteri di aggiudicazione siano obiettivi, non discriminatori e relativi al tema della concessione: entro tali limiti, le commissioni aggiudicatrici sono libere di stabile i criteri più idonei per giudicare le diverse offerte. Un nuovo importante principio ammesso è quello dell’"offerta economicamente più vantaggiosa", il cui fine è di dare maggiore enfasi alla qualità nella procedura di aggiudicazione per garantire il miglior servizio al minor costo possibile. Il cosiddetto "Partenariato per l'Innovazione" ("Innovation Partnership") consente di bandire gare per risolvere specifici problemi, lasciando però all'amministrazione aggiudicatrice e all'offerente la possibilità di trovare soluzioni innovative. Le procedure di gara vengono semplificate sulla base di un unico documento standard, il "Documento Unico Europeo di Approvvigionamento" (“European Single Procurement Document”). In base alle nuove disposizioni solo il vincitore è tenuto a fornire tutta la documentazione necessaria alla finalizzazione della gara: con questo accorgimento la Commissione stima che gli oneri gennaio 2014

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Nuova direttiva da Bruxelles: acqua – per ora – esclusa

La direttiva non ha effetto retroattivo e non obbliga i Paesi europei a esternalizzare o privatizzare il servizio

amministrativi per le imprese dovrebbero ridursi di oltre l’80%. Allo stesso tempo, le autorità pubbliche risparmieranno circa il 18% di quanto spendevano per gli appalti pubblici. Inoltre, poiché viene favorita la suddivisione in lotti, sarà agevolata la partecipazione delle piccole imprese. Si ribadisce che la direttiva non ha effetto retroattivo e non obbliga i Paesi europei a esternalizzare o privatizzare il servizio: infatti, secondo l'articolo 345 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, "i trattati non devono in alcun modo pregiudicare la possibilità degli Stati Membri di disciplinare il regime proprietario". Le autorità pubbliche restano dunque libere di definire gli obblighi di servizio pubblico e, quindi, le condizioni del servizio e le caratteristiche qualitative.

Il servizio idrico L'acqua viene esclusa dall'ambito di applicazione di questa norma

L'esclusione è dovuta alla mancanza di un accorda tra gli Stati Membri

L’acqua è un bene comune e in quanto tale non vi sono motivi per preferire un soggetto pubblico ad un privato

Non si parla solo di acqua, ma del servizio idrico integrato

La Commissione si prende tre anni per valutare gli effetti dell’esclusione di tale servizio

È esclusa da tale norma, oltre ai servizi di ambulanza e le reti di distribuzione elettrica, l’acqua (compresi lo smaltimento o trattamento delle acque reflue se accessorie alla fornitura di acqua potabile attraverso reti fisse e le relative concessioni, e le opere idrauliche di ingegneria, irrigazione e drenaggio, se il volume di acqua da utilizzare per l'approvvigionamento di acqua potabile rappresenta più del 20 % del volume totale d'acqua reso disponibile attraverso tali progetti). A questi servizi si applicano in ogni caso i principi di parità di trattamento e di trasparenza. Il settore idrico è stato escluso dal campo di applicazione della direttiva poiché, in sede di negoziazione, è risultato vano ogni tentativo della Commissione di trovare un accordo tra gli Stati Membri, preoccupati che attraverso la direttiva si volessero introdurre obblighi di privatizzazione dei servizi.

Le istanze anti-privatizzazione palesano la convinzione che il servizio idrico sia assimilabile ai beni pubblici (ossia beni non rivali e non escludibili nel consumo). Di fatto, però, l’acqua è un bene comune, ossia non escludibile ma rivale nel consumo (la risorsa, una volta utilizzata da un soggetto, non è più disponibile per altri): mentre la produzione dei beni pubblici è appannaggio di un ente pubblico (rappresentante la volontà popolare), nel caso dei beni comuni non vi sono motivi per preferire un soggetto pubblico ad un privato, a condizione che la selezione dell’affidatario avvenga mediante gara, e che lungo tutte la durata della concessione l’operato del concessionario sia sottoposto al vaglio di un’Autorità indipendente di regolazione.

Un aspetto che si tende poi spesso a dimenticare è che, nel caso di questo settore, non si parla solo di acqua, ma del servizio idrico integrato, che comprendere anche i tubi e le reti: in Italia, ad esempio, nessuno ha mai messo in discussione che l’acqua sia pubblica, mentre si è parlato di dare la possibilità ai privati di gestire le reti, solo nel caso in cui la loro offerta fosse migliore di quella degli altri partecipanti alla gara, incluse le società pubbliche. Non essendo riuscita a raggiungere un consenso su nuove regole riferite al servizio idrico, la Commissione si prende tre anni per valutare gli effetti dell’esclusione di tale servizio dall’ambito della direttiva. Qualora l’effettiva semplificazione rendesse più appetibili, perché utili, le gare, indirettamente ciò favorirebbe anche le future scelte per i servizi idrici. Come si vedrà in dettaglio nei paragrafi che seguono, in Italia oggi la messa a gara del servizio è solo una possibilità per gli enti locali: di fatto, quindi, solo nel caso in cui venga sfrutgennaio 2014

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Nuova direttiva da Bruxelles: acqua – per ora – esclusa tata tale opportunità, le regole europee dovrebbero garantire maggiore chiarezza, innovazione e qualità del servizio. Tuttavia, viene comunque lasciato agli enti locali ampio potere di definire gli altri criteri: molto importante sarà dunque il ruolo delle relative Autorità indipendenti. Per quanto riguarda il caso dei trasporti, l’Autorità – istituita dall’art. 37 del decreto-legge n. 201/2011 (c.d. “Salva-Italia”), come modificato dall’art. 36 del successivo decreto-legge n. 1/2012 (c.d. “liberalizzazioni”) – è diventata operativa solo di recente.

L’evoluzione della normativa italiana sui servizi pubblici locali negli ultimi cinque anni Decreto Ronchi o “salva infrazioni” (art. 23-bis del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, poi cambiato dall’art. 15 del d.l. 25 settembre 2009, n. 135)

Si prevede che la gestione dei servizi sia affidata in via ordinaria tramite gara: bisogna ricorrere a procedure a evidenza pubblica sia in caso di affidamento a terzi (anche qualora il partecipante alla gara sia un’impresa pubblica), che in caso di selezione di un partner privato in una società mista. In quest’ultima ipotesi, la partecipazione pubblica non può essere maggiore del 60%. In via straordinaria (ossia, “in casi eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato”) la gestione del servizio può essere affidata in via diretta (senza gara) ad una società in house (ossia a una società su cui l’ente locale esercita un controllo molto stretto). La scelta tuttavia deve essere motivata in base a un’analisi del mercato e chiedendo un parere preventivo all’Autorità antitrust. Il provvedimento, comunque, richiede che le gestioni in house debbano decadere entro il 2011, a meno che entro questa data la società che gestisce il servizio non sia per il 40% affidata a privati. Si noti che il decreto Ronchi introduce l’obbligo delle gare, mentre le diverse modalità di affidamento sono già previste dalla legge Galli, l.36/1994.

Referendum popolare Nel 2011 il citato art. 23-bis viene sottoposto a referendum popolare. In particolare, il referendum pone tre quesiti:

1. Abrogazione dell’articolo 23 bis del decreto Tremonti approvato nel giugno 2008, così come modi-

ficato dal decreto Ronchi, che inserisce tra i servizi pubblici locali da liberalizzare anche il servizio idrico integrato.

2. Abolizione dell’articolo 150 del decreto legislativo 152 del 2006 (il Codice ambientale), che prevede le tre modalità di affidamento in gestione del servizio idrico integrato già previste dalla legge Galli del 1994: la gara, l’affidamento in house o la società mista.

3. Eliminazione di una parte del comma 1 dell’articolo 154 del decreto legislativo 152 del 2006, per fare in modo che la tariffa non sia commisurata alla remunerazione del capitale investito.

In seguito all’esito referendario è stato abrogato l'articolo 23-bis ed è quindi tornata in vigore, quale quadro di riferimento, la disciplina comunitaria che prevede appunto la possibilità per l’ente locale di scegliere tra gestione pubblica, privata, oppure mista.

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Nuova direttiva da Bruxelles: acqua – per ora – esclusa

Manovra di ferragosto (art. 4 del d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla l. 14 settembre 2011, n. 148)

Si ripropone una norma sostanzialmente analoga a quella abrogata dal referendum, sebbene si escluda il servizio idrico da tale normativa: si mantiene il principio della gara pubblica e si limitano le condizioni per le gestioni in-house per i servizi il cui valore economico sia inferiore ai 900.000 euro annui.

Legge di stabilità per il 2012 e primo decreto sviluppo del 2012 (l. n. 183/2011 e d.l. n. 1/2012)

Viene emendato l’articolo 4 abbassando la soglia minima da 900.000 a 200.000 euro e introducendo il parere obbligatorio dell’Antitrust relativo alla delibera quadro che gli enti locali avrebbero dovuto predisporre per verificare se esistono ragioni idonee e sufficienti all’attribuzione di diritti di esclusiva.

Sentenza della Corte Costituzionale (199/2012) La Corte Costituzionale definisce l’art. 4 del d.l. n. 138/2011 in contrapposizione con l’esito referendario, in violazione dell’articolo 75 della Costituzione. Si torna, quindi, alle forme di gestione e alla situazione precedenti la legge Ronchi.

Decreto crescita 2.0

(art. 34, co. 13-18 del d.l. 18.10.2012, n. 179)

Nel rispetto dell’esito referendario e del diritto comunitario, si lascia all’ente locale la scelta tra i modelli: l’affidamento (o concessione) con procedura ad evidenza pubblica; la società mista con socio privato industriale scelto con procedura corrispondente; la società o azienda in house.

Sentenza Cons. St. n. 762/13 Con tale sentenza viene meno “l'assoluta eccezionalità del modello in house” e “la scelta dell'ente locale sulle modalità di organizzazione dei servizi pubblici locali, e in particolare la opzione tra modello in house e ricorso al mercato, deve basarsi sui consueti parametri di esercizio delle scelte discrezionali, che di seguito si richiamano: 1. valutazione comparativa di tutti gli interessi pubblici e privati coinvolti; 2. individuazione del modello più efficiente ed economico; 3. adeguata istruttoria e motivazione.” Con tale sentenza la scelta dell’in-house va motivata, ma in base a criteri meno stringenti, come previsto dal diritto comunitario.

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Nuova direttiva da Bruxelles: acqua – per ora – esclusa Tutto sembra essere tornato alla situazione precedente al Decreto Ronchi

La chiarezza ne risente, soprattutto per le tariffe pagate

Sembrerebbe quindi che tutto sia tornato alla situazione precedente il Decreto Ronchi: gli enti locali possono scegliere quale modello gestionale adottare – compreso l’in-house (“a condizione che l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano”) – senza che vi sia alcun obbligo di gara. Tuttavia c’è ancora poca chiarezza, soprattutto per quanto riguarda le tariffe: sarebbe infatti ancora in vigore l’art. 117 del t.u.e.l., norma generale che mira ad assicurare economicità, efficienza ed efficacia nella gestione dei servizi pubblici locali. In particolare, secondo l’art. sopra citato, nel definire le tariffe dei servizi vanno rispettati i seguenti criteri:

• la corrispondenza tra costi e ricavi in modo da assicurare l’integrale copertura dei costi, ivi compresi gli oneri di ammortamento tecnico-finanziario;

• l'equilibrato rapporto tra i finanziamenti raccolti ed il capitale investito;

• l'entità dei costi di gestione delle opere, tenendo conto anche degli investimenti e della qualità del servizio;

L'AEEG si è recentemente espressa riguardo le tariffe

• l'adeguatezza della remunerazione del capitale investito, coerente con le prevalenti condizioni di mercato.

Relativamente alle tariffe del servizio idrico, recentemente l’Autorità per l’Energia elettrica e il gas - responsabile anche del servizio idrico in virtù delle competenze che le sono state affidate ai sensi dell’articolo 21, comma 19, del decreto n. 201/11, convertito nella legge n. 214/11 - ha approvato un nuovo metodo transitorio che comprende, oltre ai principi comunitari del full cost recovery e del “chi inquina paga”, anche gli oneri finanziari. Questo, secondo i referendari, sarebbe in contrasto con il voto popolare, sebbene conforme all’art. 117 del t.u.e.l.

Le opportunità offerte dalla nuova Direttiva dipendono dalla volontà degli enti pubblici

Siamo ancora fermi, vent’anni dopo la legge Galli, salvo le due Autorità che finalmente – quando vanno a regime – ci consentono di allinearci alla normativa europea che prevede libertà di scelta, se ben motivata, tra diverse forme di gestione, e quindi prima o poi la qualità delle regole risulterà vincente rispetto al dibattito ideologico privato-pubblico.

Tuttavia, a meno che gli enti locali non siano maggiormente incentivati a perseguire modalità più trasparenti di affidamento del servizio, in Italia le opportunità offerte dalla nuova Direttiva sulle concessioni e gli appalti pubblici rischiano di non essere utilizzate per generare i benefici attesi dagli utenti del servizio, cioè cittadini e imprese.

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