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Il Piano Juncker: per non dimenticare l’acqua Laboratorio Servizi Pubblici Locali Abstract Il Piano Juncker, annunciato nelle ultime settimane dal neo eletto Presidente della Commissione UE, ha l’ambizione di mobilitare 315 miliardi di euro di investimenti nel triennio 2015-2017. La dotazione del Fondo dovrebbe contare su 21 miliardi di euro provenienti dal bilancio UE e dalla BEI, da offrire a garanzia degli investimenti in opere strategiche e al finanziamento delle piccole e medie imprese. La restante parte delle risorse dovrebbe essere assicurata da investimenti privati. Un effetto moltiplicativo sugli investimenti che potrà esplicarsi solo se alla dotazione del Fondo si accompagnerà il sostegno delle istituzioni comunitarie e nazionali, sia in termini di selezione di progetti “credibili” sia di regole certe sul ritorno degli investimenti. In Italia, i servizi regolati da autorità indipendenti, tra i quali l’idrico, sono i naturali candidati. Si rendono tuttavia necessari interventi legislativi e “binari” regolatori dedicati ai progetti strategici che assicurino stabilità e certezza delle regole. L’Italia non ha mai brillato per efficacia nell’utilizzo dei fondi comunitari: è forse giunto il momento di invertire questo corso.
REF Ricerche srl, Via Aurelio Saffi, 12, 20123 - Milano (www.refricerche.it) Il Laboratorio è un'iniziativa sostenuta da (in ordine di adesione): ACEA, Federutility - Utilitatis, SMAT, IREN, Confcommercio, CO.MO.I. Group, Veolia, Acquedotto Pugliese, HERA, Metropolitana Milanese. Gruppo di lavoro: Donato Berardi, Samir Traini e-mail: laboratorio@refricerche.it
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Gli ultimi contributi del Laboratorio SPL n.27 - Remunerazione del capitale e oneri finanziari nei settori regolati: alla ricerca di regole coerenti e stabili n.26 - Servizio Idrico Integrato: l'Agenda 2015 n.25 - Aziende del Servizio Idrico Integrato: alla ricerca della "scala finanziaria efficiente" n.24 - “Sblocca Italia”: tempi certi, poteri sostitutivi e responsabilità erariale, la via al consolidamento del settore n.23 - Fondo di Garanzia per le Opere Idriche: uno strumento per facilitare l'accesso al credito n.22 - Lo "Sblocca Italia" e l'inerzia delle Regioni n.21 - Appalti nelle utility: più spazio alla qualità e alle piccole e medie imprese n.20 - Investimenti 2014-2017: in Europa si investe tre volte tanto n.19 - Valore residuo delle opere del servizio idrico: cercasi certezze Tutti i contributi sono liberamente scaricabili previa registrazione al seguente indirizzo
La missione del Laboratorio Dal 1° dicembre 2013 ha iniziato la sua attività il Laboratorio Servizi Pubblici Locali (Lab SPL), un forum di analisi e discussione che intende riunire selezionati rappresentanti del mondo dell´impresa, delle istituzioni e della finanza al fine di rilanciare il dibattito sul futuro dei Servizi Pubblici Locali. Molteplici tensioni sono presenti nel panorama economico italiano, quali la crisi delle finanze pubbliche nazionali e locali, la spinta comunitaria verso la concorrenza, la riduzione del potere d’acquisto delle famiglie, il rapporto tra amministratori e cittadini, la tutela dell’ambiente. Per esperienza, indipendenza e qualità nella ricerca economica REF Ricerche è il “luogo ideale” sia per condurre il dibattito sui Servizi Pubblici Locali su binari di “razionalità economica”, sia per porlo in relazione con il più ampio quadro delle compatibilità e delle tendenze macroeconomiche del Paese. Donato Berardi Direttore e-mail: dberardi@refricerche.it tel. 02 87078150
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Il “Piano Juncker” per gli investimenti: un progetto ambizioso In Europa gli investimenti sono caduti del 15% nella crisi: la Commissione UE lancia un Piano
Fondi europei per mitigare il rischio e agevolare l’accesso al credito
L’economia europea è depressa perché mancano gli investimenti. E gli investimenti mancano perché l’economia è depressa. A causa della crisi finanziaria e delle sue ripercussioni sull’economia reale, dal 2007 ad oggi gli investimenti in Europa sono calati del 15%.
Come si rompe un circolo vizioso? Il neo eletto Presidente della Commissione Europea ha recentemente annunciato un provvedimento che mira a rilanciare gli investimenti e la crescita. Si tratta del cosiddetto “Piano Juncker”, la cui ambizione è finanziare progetti infrastrutturali per un ammontare di 315 miliardi di euro nel triennio 2015-2017. Nelle dichiarazioni che hanno accompagnato l’annuncio il Piano è accreditato di assicurare tra i 330 e i 410 miliardi di euro al PIL della UE e di creare fino a 1.3 milioni di nuovi posti di lavoro nei prossimi tre anni. Il Piano è articolato in quattro fasi: 1. Creazione di un fondo europeo per gli investimenti strategici. 2. Selezione dei progetti di investimento in grado di rispondere ai bisogni dell’economia reale. 3. Previsione di misure che garantiscano un contesto regolatorio stabile e rimuovano le barriere agli investimenti, così da rendere le iniziative più attraenti per gli investitori. 4. Mobilitazione di risorse pubbliche e private per 315 miliardi di euro nel prossimo triennio.
Il Piano di investimento è organizzato lungo due direttrici: una direttrice è finalizzata a mitigare il rischio connesso agli investimenti infrastrutturali di lungo termine; una seconda direttrice e dedicata ad agevolare l’accesso al credito da parte delle piccole-medie imprese e delle imprese a media capitalizzazione1. Operativamente la dotazione del Fondo potrà essere utilizzata come garanzia nel finanziamento delle infrastrutture, nel primo canale, ovvero come finanziamento diretto o garanzia aggiuntiva, nel secondo, a sostegno delle operazioni di finanziamento delle imprese.
1 Per imprese a media capitalizzazione si considerano le realtà con un numero di addetti compreso tra 250 e 3000.
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Un nuovo Fondo Europeo per gli Investimenti Strategici
Con le garanzie e il contributo di BEI un moltiplicatore di 1 a15
Le garanzie europee, che consentiranno al Fondo di supportare il rischio connesso alle fasi meno sicure degli investimenti (tipicamente quelle che precedono l’entrata in funzione degli impianti), dovrebbero servire ad attivare 240 miliardi per gli investimenti a lungo termine e 75 miliardi di prestiti alle piccole-medie imprese impegnate nella realizzazione di infrastrutture, per un totale di 315 miliardi di investimenti aggiuntivi nel triennio 2015-2017. Per finanziare i progetti sarà creato un Fondo Europeo per gli Investimenti Strategici (FEIS o EFSI, European Fund for Strategic Investments), che avrà una propria struttura di gestione, dotato di un capitale iniziale di 21 miliardi di euro, così individuati: 16 miliardi di euro verranno assicurati dal bilancio UE2. 5 miliardi saranno messi a disposizione dalla Banca Europea per gli Investimenti (BEI). Il rischio di eventuali perdite sarà assorbito dal Fondo stesso, così che sarà assicurato il mantenimento del massimo merito di credito in capo a BEI. Ulteriori risorse potranno essere stanziate dagli Stati membri: allo stato attuale non è ancora chiaro se queste risorse addizionali potranno essere scomputate dai vincoli del Patto di Stabilità e Crescita, mentre è stato sin d’ora sancito che se ne potrà “tenere conto” nell’ambito della valutazione dei deficit di bilancio.
Il successo del Piano si basa sulla capacità delle risorse pubbliche di creare le condizioni per l’avvio delle opere e dunque per attrarre investitori privati: in particolare, le garanzie offerte dal Fondo dovrebbero assicurare l’apporto di nuovi finanziamenti BEI in un rapporto di 1 a 3. Ai finanziamenti BEI dovrebbero quindi affiancarsi nuove risorse messe a disposizione dai privati in un rapporto di 1 a 5. Complessivamente, quindi, per ogni euro di garanzie offerte dal Fondo, potrebbero essere attivati 15 euro di investimenti3.
2 Nell’ambito dei fondi che dovranno essere assicurati dal bilancio UE, un totale di 8 miliardi è già individuato da riserve esistenti (2 miliardi di euro), risorse mutuate dal piano Connecting Europe Facility (3,3 miliardi di euro) e dal programma Horizon 2020 (2,7 miliardi di euro). Connecting Europe Facility è un programma lanciato nel 2011 per finanziare progetti finalizzati a migliorare i collegamenti europei nelle aree del trasporto, dell’energia e delle telecomunicazioni. Horizon 2020 è un programma comunitario per promuovere investimenti nei settori della ricerca e dell’innovazione. 3 A supporto dell’effetto moltiplicativo auspicato la Commissione riferisce il caso dell’ultimo aumento di capitale operato dalla BEI nel 2012 accreditato di avere stimolato investimenti in un rapporto di 1 a 18. Analogamente si cita il caso del programma di prestiti alle piccole e medie imprese (Loan Guarantee Facility) accreditato di un effetto moltiplicativo di 1 a 20.
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Fonte: Commissione UE
Con le garanzie e il contributo di BEI un moltiplicatore di 1 a15
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I progetti saranno finanziati dopo un’analisi da parte di un comitato indipendente e dovranno insistere prevalentemente su settori infrastrutturali. Tra i principali settori di riferimento vi sono: le infrastrutture strategiche (investimenti nel digitale e nell’energia in linea con le politiche dell’UE), le infrastrutture di trasporto che collegano i Paesi UE, il potenziamento di porti e aeroporti, i collegamenti ferroviari e marittimi, i progetti di edilizia pubblica finalizzati al miglioramento dell’efficienza energetica. Sono ricomprese anche le infrastrutture idriche, quali gli impianti per il trattamento di acque reflue e per l’approvvigionamento idrico, ostacolati dalla mancanza di finanziamenti.
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Il criterio del “merito”: massimizzare il ritorno socioeconomico
I criteri sulla base dei quali i progetti saranno selezionati sono: il valore aggiunto in relazione al perseguimento degli obiettivi UE; la fattibilità e il valore economico, con priorità ai progetti a elevato ritorno socioeconomico; progetti rapidamente cantierabili, che possano essere avviati nel periodo 2015-2017; capacità di attrarre ulteriori investitori e finanziamenti; dimensione e scala ragionevole, coerente con il settore di destinazione.
La Commissione ha dichiarato di non voler preordinare rigidamente l’utilizzo della dotazione del Fondo sia in termini di settori destinatari sia di Paesi, anche se viste i delicati equilibri della governance comunitaria sembra ragionevole ritenere che gli impieghi del fondo dovranno ricalcare almeno nelle loro dimensioni complessive il peso dei singoli Paesi, piuttosto che il reale fabbisogno.
Dopo l’endorsement del Consiglio e del Parlamento Europeo, kick-off atteso per metà 2015
La ricapitalizzazione BEI potrà arrivare nel 2016
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Ad ogni modo la Commissione ha ribadito la volontà di adottare un criterio di merito, che massimizzi i benefici ottenibili grazie all’intervento del Fondo. Le prossime tappe nel percorso di avvio del Fondo sono prevedibilmente le seguenti: il Consiglio europeo del prossimo 18-19 dicembre 2014 è chiamato ad avallare il Piano di investimenti per l’Europa con l’impegno alla rapida adozione da parte del Parlamento Europeo di tutte le misure legislative necessarie a renderlo operativo entro il mese giugno del 2015; Gli Stati membri devono concludere la programmazione dei fondi strutturali e di investimento europei entro il breve termine per massimizzarne la leva finanziaria. Entro gennaio 2015 Commissione UE e BEI avvieranno gli accordi formali per creare il FEIS e predisporranno un primo elenco di possibili progetti di investimento. Prossimamente sarà creata una struttura tecnica dedicata alla promozione degli investimenti, che vedrà il coinvolgimento della BEI e dei principali attori nazionali e regionali, con l’obiettivo di supportare e agevolare l’iter a beneficio dei promotori dei progetti, degli investitori e delle autorità pubbliche coinvolte nel processo. L’assistenza sarà sia di tipo tecnico, dalla presentazione all’avvio dei cantieri, sia di tipo finanziario, con l’ausilio di strumenti finanziari innovativi e del migliore utilizzo dei partenariati pubblico-privati. Tutte le misure devono essere adottate in tempi tali da consentire l’istituzione dell’EFSI entro la metà del 2015; entro la metà del 2016, la Commissione europea e il Consiglio valuteranno i progressi compiuti e, se necessario, ulteriori opzioni. Nell’immediato l’iniziativa non comporta un aumento della dotazione di capitale della BEI. Pur tuttavia esigenze di ulteriore capitalizzazione del Fondo o di BEI appaiono auspicabili una volta considerato il ruolo centrale di quest’ultima nel processo moltiplicativo pocanzi illustrato. Questa è con ogni probabilità l’ulteriore azione che sarà valutata
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entro la prima metà del 2016 cioè in concomitanza con la revisione del Multiannual Financial Framework per il periodo 2014-20204, cioè il documento di programmazione che definisce gli indirizzi comunitari di spesa e individua le disponibilità massime annuali nel bilancio comunitario nei diversi ambiti di intervento.
Le criticità del Piano Il principale limite: la mancanza di mandato “forte” da parte dei Governi nazionali
Gli elementi di debolezza: risorse pubbliche limitate e dimostrata capacità di attrarre gli investitori privati
Il limite principale del Piano Juncker (come di tutti i passati “piani per la crescita” elaborati a Bruxelles) è che somma stime a previsioni, strumenti a condizioni, ma non esplicita mai un vero e proprio “obiettivo”. Affinché si riesca a rompere un qualche circolo vizioso, occorre che cambino in direzione favorevole le aspettative e quindi occorre anzitutto che un’autorità di governo dichiari che farà “whatever it takes…” affinché ciò avvenga. Serve qualcosa di simmetrico a quel 2% annuo riferito all’inflazione adottato a suo tempo dalla BCE. L’effetto moltiplicativo e la capacità di attrazione di capitali privati è direttamente collegata alla capacità del fondo di mitigare la rischiosità intrinseca delle opere da finanziare e alla loro successiva idoneità, una volta realizzate, ad assicurare i flussi di cassa necessari a ripagare gli investimenti. I principali elementi di debolezza del Piano, i cui dettagli operativi non sono invero ancora noti, possono essere riassunti come segue. L’effetto totale sugli investimenti potrebbe essere potenziato tramite investimenti dei singoli Stati, tenendo però conto – soprattutto in Italia - che tale spesa non sarà in deroga al patto di stabilità, ma sarà considerata «in modo favorevole» quando si valutano i deficit di bilancio. Poiché raramente i fondi pubblici sono riusciti ad attivare leve finanziarie 3 a 1, è difficile che per ogni euro di capitale del Fondo se ne riescano a trovare altri 14 dai privati. Considerato, poi, che il Fondo rappresenta meno del 7% degli investimenti, il capitale complessivo potrebbe essere azzerato a fronte di una perdita o svalutazione del medesimo ammontare. Non è chiaro da dove arriveranno i 21 miliardi di euro: di questi, 8 sono garanzie di copertura, quindi non liquidità immediatamente spendibile; altri 8 sono stati ottenuti tagliando risorse destinate al Fondo strategico; anche i 5 della BEI dovranno essere sottratti ad impieghi alternativi, non essendo allo stato attuale prevista una ricapitalizzazione. I progetti: poiché i finanziamenti ottenuti andranno remunerati, non potrà essere finanziata qualsiasi opera pubblica, anche se urgente o strategica o ad alto impatto sociale. Le opere su cui si investirà dovranno assicurare un flusso di cassa in grado di garantire la copertura del rimborso della quota capitale e degli interessi: non ci si illuda, quindi, di poter approfittare di tali risorse per realizzare opere “improduttive” ad alto impatto sociale che non trovano investitori privati.
4 Il Multiannual Financial Framework è il documento di programmazione che definisce gli indirizzi comunitari di spesa e individua le disponibilità massime annuali nel bilancio comunitario per i diversi ambiti di intervento.
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Gli ostacoli burocratici: l’Italia negli ultimi mesi ha già fatto qualche passo per rilanciare gli investimenti, dalla defiscalizzazione, al credito di imposta, ai project bond. Perché, se questi hanno avuto sinora poco successo nell’attrarre capitali privati, l’EFSI potrebbe invece funzionare? Difficile illudersi che l’intervento europeo, con le fattezze di un intervento straordinario, riesca facilmente a superare gli ostacoli della burocrazia italiana.
I settori regolati da autorità indipendenti sono da preferire perché meno esposti alle “stagioni” della politica
La partita per i singoli Stati nazionali si gioca ora su differenti piani: un primo piano è quello delle selezione dei progetti candidati, che presuppone precisa contezza dei fabbisogni e delle priorità; un secondo piano è quello della risorse addizionali che potranno essere conferite al Fondo per accrescerne i benefici, queste ultime credibilmente vincolate ai progetti che ciascun Paese provvederà a candidare; un terzo piano è quello del “moltiplicatore”, cioè del complesso di condizioni in grado di assicurare il massimo beneficio in termini di leva per gli investimenti, cioè di attrazione dei capitali privati.
Riguardo a quest’ultimo punto la stessa Commissione ricorda che un ruolo centrale dovrà essere giocato dalla qualità e dalla certezza delle regole. In questo senso i settori regolati da una autorità indipendente dovrebbero poter contare su una carta in più rispetto ad ambiti più esposti alle “incursioni” della politica, per la presenza di regole certe in materia di rimborso degli investimenti: una occasione che non può essere persa da settori, come l’idrico, che in Italia sono un naturale candidato a beneficiare di entrambe i “pilastri” del fondo, per rilevanza strategica delle fabbisogno sotteso alle opere e per la dimensione delle aziende che vi operano.
Per non dimenticare il servizio idrico Le opere del servizio idrico sono un candidato naturale ai benefici del Piano
Grazie a regole certe la comunità finanziaria manifesta un ritorno di interesse per il settore
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Dalle poche informazioni disponibili sui progetti candidati ai benefici del Piano Juncker dall’Italia, il servizio idrico non pare ricevere in questa fase le attenzioni che merita. In questi mesi si parla di garantire priorità di finanziamento alle telecomunicazioni (banda larga), al trasporto ferroviario (Torino-Lione, Napoli-Bari e Brescia-Padova), alle autostrade (Ragusa-Catania e Salerno-Reggio Calabria) e ad altre opere, come l’aeroporto di Catania. Le infrastrutture idriche resterebbero dunque escluse, nonostante tra le direttrici papabili dal Piano siano anche quelle a presentare un elevato fabbisogno: servirebbero circa 5 miliardi di euro l’anno per i prossimi 30 anni – in un settore che si scontra con le difficoltà nell’accesso al credito, anche a causa delle dimensioni delle aziende che vi operano.
La comunità finanziaria ha peraltro in più occasioni riconosciuto che, grazie ai progressi del quadro regolatorio degli ultimi anni, il settore idrico si presenta oggi attrattivo agli occhi degli investitori. In questa ottica il completamento della disciplina in materia di convenzioni tipo e di valore residuo delle opere attesa per la metà del prossimo 2015 diviene una esigenza impellente. Parimenti impellente è il superamento delle logiche amministrative e del retaggio “culturale” che limitano lo sviluppo della tariffa, aspetti che insieme a quelli appena ricordati, rappresentano oggi la principale barriera non finanziaria agli investimenti.
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La presenza di soggetti pubblici può ostacolare l’apporto di capitale
Può darsi che la minore considerazione riservata sinora al servizio idrico sia ascrivibile alla elevata parcellizzazione del fabbisogno e/o alla presenza di concessioni in scadenza che possono rappresentare un ostacolo ai progetti di investimento dotati di dimensione apprezzabile e di ragionevoli certezze sulla loro viabilità. Riguardo al primo aspetto giova ricordare che, laddove sussistono le necessarie garanzie sul ritorno degli investimenti, la finanza ha da tempo sviluppato prodotti in grado ricondurre ad un unicum una pluralità di interventi nell’ambito della medesima concessione (la cosiddetta “concession finance”), per consentire di raggiungere dimensioni coerenti con la complessità degli strumenti finanziari e di diversificare il rischio. Rimane poi il tema delle concessioni in scadenza, laddove in presenza di opere strategiche e indifferibili non appare azzardata l’ipotesi di una proroga per il tempo strettamente necessario alla loro realizzazione. Rimane poi il tema degli assetti proprietari idonei, in una geometria, quella del Piano Juncker, che punta in maniera decisiva sull’apporto di capitali di rischio e di debito. Un fattore che nel caso di aziende in house possedute da soggetti pubblici gravati dal patto di stabilità, rappresenta un ostacolo rilevante. Non sembra azzardato ritenere che in questi casi all’eventualità di una deroga comunitaria al Patto di Stabilità e Crescita, che comunque è utile ribadirlo non è allo stato attuale prevista, possa assommarsi anche una coerente deroga al patto di stabilità interno.
Sono questioni che riportano alla necessità di accelerare il percorso di dismissione delle partecipazioni pubbliche auspicato dalla Legge di Stabilità 2015, e della rifocalizzazione del ruolo dell’operatore pubblico: un passo in avanti della politica, che sciolga il nodo del conflitto di interessi tra controllato e controllore, e che restituisca l’operatore pubblico al suo ruolo di indirizzo e controllo. Solo se c’è un vero obiettivo di crescita per il reddito e l’occupazione in Europa, cui sono formalmente impegnati Commissione e Governi, le aspettative tornano positive, e le garanzie pubbliche diventano sufficienti per fare ripartire gli investimenti.
Approfondimento Gli investimenti infrastrutturali in Italia
In Italia, tra il 2000 e il 2013, gli investimenti non residenziali sono caduti del 15%: nella crisi sono dunque stati duramente penalizzate le spese in grado di aumentare la crescita della produttività, quali gli investimenti in impianti e infrastrutture, le spese per la ricerca e l’innovazione.
Nell’ultimo quinquennio BEI ha finanziato investimenti in tutta l’Unione Europea per un ammontare pari 350 miliardi di euro, di cui circa 18 nell’idrico (5,2%). Per quanto riguarda l’Italia, la BEI ha finanziato progetti per un ammontare poco inferiore ai 52 miliardi, di cui 2,6 (quasi il 5%) nell’idrico. Secondo la ricognizione operata dalla Presidenza del Consiglio sull’accordi di partenariato 2007-2014 che ricomprende i fondi comunitari stanziati per le politiche di coesione, il rap-
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porto tra la capacità di spesa e la dotazione dei fondi comunitari è pari in Italia al 62,2%: una dato che seppur in forte crescita nell’ultimo anno (era pari al 53% a fine 2013) paga ancora il prezzo di un deficit di programmazione, delle diffusa carenza di capacità tecnica e amministrativa e della mancanza di piani nazionali specifici per settore. Recentemente, nell’ambito del rinnovato accordo di partenariato per il periodo 201420205 sono stati richiesti fondi per un ammontare pari a 87 miliardi, di cui solo 40 immediatamente finanziabili: dal 2014 al 2020 saranno investiti poco più di 42 miliardi di risorse europee in iniziative che spaziano dalla banda larga al dimezzamento dei consumi energetici negli edifici pubblici, alla riduzione del rischio idrogeologico e alle emergenze del ciclo dei rifiuti, al superamento delle infrazioni comunitarie per depurazione delle acque nelle regioni del Mezzogiorno, al potenziamento di alcune direttrici ferroviarie e dei porti.
Investimenti BEI per settore (2009-2014): Unione Europea
Fonte: Elaborazione REF Ricerche su dati BEI
5 Commissione Europea, “Sintesi dell’accordo di partenariato per l’Italia, 2014-2020”, Bruxelles, ottobre 2014. Presidenza del Consiglio dei Ministri, Accordo di partenariato 2014-2020 (slides)
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Investimenti BEI per settore (2009-2014): Italia
Fonte: Elaborazione REF Ricerche su dati BEI
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Il Piano Junker: per non dimenticare l'acqua INVESTIMENTI NEL SETTORE IDRICO IN ITALIA DAL 2009 A 2014* NAME
Signatura date
Signed Amount (€)
SETTORE IDRICO TORINO III
28/11/2014
100.000.000
CAP HOLDING SETTORE IDRICO MILANO
13/10/2014
70.000.000
ACEA SETTORE IDRICO ROMA II
31/07/2014
200.000.000
VIVERACQUA HYDROBOND
21/07/2014
145.800.000
VERITAS ACQUA E RIFIUTI
09/07/2014
18.000.000
VERITAS ACQUA E RIFIUTI
09/07/2014
12.000.000
TRENTO INFRA RENEWABLE ENERGY & OTHER
30/04/2014
18.750.000
SALVAGUARDIA VENEZIA - SISTEMA MOSE
13/02/2014
200.000.000
GRUPPO HERA-ACEGAS APS SETTORE IDRICO
19/12/2013
50.000.000
GRUPPO HERA-ACEGAS APS SETTORE IDRICO
19/12/2013
50.000.000
GRUPPO HERA-ACEGAS APS SETTORE IDRICO
30/09/2013
200.000.000
SALVAGUARDIA VENEZIA - SISTEMA MOSE
18/03/2013
75.000.000
SALVAGUARDIA VENEZIA - SISTEMA MOSE
12/02/2013
500.000.000
ACQUEDOTTO PUGLIESE
30/11/2012
150.000.000
PROVINCIA DI TRENTO-TRATTAMENTO ACQUE
23/11/2012
60.000.000
REGIONE LOMBARDIA
25/07/2011
12.000.000
SALVAGUARDIA VENEZIA - SISTEMA MOSE
29/04/2011
480.000.000
A2A SERVIZI IDRICI BRESCIA
30/09/2010
70.000.000
REGIONE TOSCANA RISORSE IDRICHE
09/09/2010
51.645.690
REGIONE LOMBARDIA
21/12/2009
19.800.000
ACQUEDOTTO VENETO CENTRALE
11/12/2009
88.000.000
REGIONE BASILICATA CONVERGENZA 2007-13
11/05/2009
PRIORITIES
TOTAL
7.920.000 2.578.915.689,92
Fonte: BEI *E' stato recentemente approvato un progetto di investimento nelle infrastrutture di Genova e Parma, per un ammontare pari a 150 milioni di Euro.
EU funding for investment
Source: Partnership Agreement: http://ec.europa.eu/contractsgranst/afreements/indexit.html *excluding European Maritime and Fisheries Fund (EMFF)
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