Gestione dei rifiuti: per le imprese costi in aumento

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FEBBRAIO 2020 rifiuti N°143

GESTIONE DEI RIFIUTI: PER LE IMPRESE COSTI IN AUMENTO

Laboratorio SPL Collana Ambiente

Abstract Negli ultimi due anni le imprese hanno registrato crescenti difficoltà nella gestione dei rifiuti. Sono aumentati i costi di smaltimento, così come i tempi del ritiro da parte degli operatori. La distribuzione dei rincari è asimmetrica, con punte per le produzioni localizzate nei territori maggiormente deficitari e a carico delle filiere più “fragili”, esposte al raddoppio, financo alla triplicazione dei costi. La causa va ricercata nella saturazione della capacità disponibile negli impianti. Over the past two years, firms have experienced increasing difficulties in waste management. Disposal costs have increased, as have the times for collection by operators. The distribution of price increases is asymmetrical, with peaks for the production located in the most deficient territories and at the expense of the more "fragile" chains, exposed to doubling, even at tripling costs. The cause must be found in the saturation of the available plants'capacity. Il presente studio raccoglie gli esiti di un lavoro realizzato da REF Ricerche in collaborazione con Utilitatis di cui alcuni risultati preliminari sono stati anticipati nel corso della Fiera internazionale di Ecomondo 2019. Gruppo di lavoro: Donato Berardi, Fedele De Novellis, Antonio Pergolizzi, Nicolò Valle

REF Ricerche srl, Via Aurelio Saffi, 12, 20123 - Milano (www.refricerche.it) Il Laboratorio è un'iniziativa sostenuta da (in ordine di adesione): ACEA, Utilitalia-Utilitatis, SMAT, IREN, Siram, Acquedotto Pugliese, HERA, Metropolitana Milanese, CSEA, Cassa Depositi e Prestiti, Viveracqua, Romagna Acque, Water Alliance, CIIP, Abbanoa, CAFC, GAIA, FCC Aqualia Italia, GORI, Veritas, A2A Ambiente, Confservizi Lombardia, FISE Assoambiente, A2A Ciclo Idrico, AIMAG


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Gli ultimi contributi n. 142 - Rifiuti - Rifiuti e responsabilità estesa del produttore: imparando dall'Europa, febbraio 2020 n. 141 - Rifiuti - Green Deal. Cose da fare nell'acqua e nei rifiuti, gennaio 2020 n. 140 - Rifiuti - La responsabilità delle scelte: i fabbisogni impiantistici e il ruolo delle regioni, gennaio 2020 n. 139 - Acqua - Concorrenza per il mercato nel servizio idrico: a Rimini la prima vera gara dall'avvento di ARERA, gennaio 2020 n. 138 - Rifiuti - Metodo Tariffario Rifiuti: un "salto di qualità" per il futuro settore, dicembre 2019 n. 137 - Rifiuti - La responsabilità estesa del produttore (EPR): una riforma per favorire prevenzione e riciclo, dicembre 2019 n. 136 - Acqua - Dialogo e informazione: gli ingredienti della partecipazione, dicembre 2019 n. 135 - Rifiuti - Decarbonizzazione a “costo zero”: il caso del combustibile da rifiuti, novembre 2019 n. 134 - Acqua - MTI3 tra efficientamento e sostenibilità ambientale: il servizio idrico entra nell'economia circolare, novembre 2019 n. 133 - Acqua - Il Codice degli appalti pubblici: eterna riforma?, novembre 2019

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La missione Il Laboratorio Servizi Pubblici Locali è una iniziativa di analisi e discussione che intende riunire selezionati rappresentanti del mondo dell´impresa, delle istituzioni e della finanza al fine di rilanciare il dibattito sul futuro dei Servizi Pubblici Locali. Molteplici tensioni sono presenti nel panorama economico italiano, quali la crisi delle finanze pubbliche nazionali e locali, la spinta comunitaria verso la concorrenza, la riduzione del potere d’acquisto delle famiglie, il rapporto tra amministratori e cittadini, la tutela dell’ambiente. Per esperienza, indipendenza e qualità nella ricerca economica REF Ricerche è il “luogo ideale” sia per condurre il dibattito sui Servizi Pubblici Locali su binari di “razionalità economica”, sia per porlo in relazione con il più ampio quadro delle compatibilità e delle tendenze macroeconomiche del Paese.

ISSN 2531-3215 Donato Berardi Direttore dberardi@refricerche.it

Editore: REF Ricerche srl Via Saffi 12 - 20123 Milano tel. 0287078150 www.refricerche.it

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PREMESSA Nell’ultimo anno le rappresentanze territoriali delle imprese hanno in più occasioni lamentato difficoltà crescenti nella gestione dei rifiuti, con un aumento dei tempi di ritiro da parte degli operatori e un aumento significativo dei costi. Emilia-Romagna, Veneto e Toscana, a partire dal 2018, hanno dovuto fronteggiare un rischio “paralisi” nella gestione del rifiuto, a causa di carenze impiantistiche che hanno determinato un aumento considerevole dei costi di trattamento/smaltimento a carico del tessuto produttivo locale. La situazione è critica non solo per l’industria manifatturiera, ma anche per le imprese di gestione dei rifiuti, per la difficoltà ad offrire risposte efficienti ed efficaci alle richieste dei territori, in ragione di stoccaggi pieni, capacità limitate e saturazione degli impianti, cui si assommano difficoltà nell’export, in ragione di un mercato europeo parimenti saturo e con prezzi in rialzo. Occorre ripensare profondamente la gestione dei rifiuti del Paese, superando il dualismo tra rifiuti urbani e speciali e costruendo gli impianti necessari alla loro gestione, con soluzioni in grado di assicurare la “prossimità” dello smaltimento e del recupero anche al rifiuto di origine non domestica, al fine di contenerne la movimentazione e i costi per le famiglie e le imprese1 . La mancata presa in carico delle problematiche legate alla gestione dei rifiuti di origine non domestica e il mancato sostegno ai progetti di avvio degli impianti si tradurrà inevitabilmente in una perdita di competitività dell’intero sistema delle imprese, con aggravi di costo che finiranno per ripercuotersi anche sui prezzi dei prodotti acquistati dalle famiglie e sull’occupazione, a seguito di delocalizzazioni delle attività produttive maggiormente esposte.

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Per un approfondimento si rimanda al Contributo n.140 del Laboratorio REF Ricerche: “La responsabilità delle scelte: i fabbisogni impiantistici e il ruolo delle regioni”, gennaio 2020.

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L’AUMENTO DEI COSTI DI GESTIONE DEI RIFIUTI: LE CAUSE Le tensioni nella filiera dello smaltimento dei rifiuti La competitività delle imprese dipende anche dall’efficienza/efficacia dell’industria dei rifiuti

La crescente attenzione per il tema dello smaltimento dei rifiuti ha visto sovrapporsi nel recente dibattito le tematiche relative alla regolazione del settore2 , alla necessità di contenere le esternalità ambientali e alla interazione di questo percorso con l’attività economica più in generale. Su quest’ultimo punto, occorre sin da ora precisare che i problemi relativi allo smaltimento dei rifiuti riflettono rilevanti specificità settoriali: alle attività industriali, come del resto all’edilizia, è connaturata una generazione di rifiuti decisamente superiore alle attività del servizio. L’industria dei rifiuti può quindi essere considerata di buon grado parte integrante del nostro sistema industriale, dalla cui efficienza e efficacia dipendono anche gli esiti in termini di capacità delle imprese di competere nei rispettivi mercati di sbocco. La relazione fra attività industriale e gestione dei rifiuti non è unidirezionale; da un lato l’industria produce rifiuti, dall’altro può riutilizzarne una parte, nella forma di materie prime seconde. Questo aspetto è importante per un’economia come quella italiana, caratterizzata da rilevanti flussi di materie prime vergini e semilavorati d’importazione, a fronte di un volume significativo di manufatti esportati. I materiali tendono a uscire dal territorio nazionale in misura superiore o inferiore rispetto a quanti ne entrino, a seconda del tipo di prodotti e della performance dei settori utilizzatori. Tendenzialmente, può esservi scarsità di materiali utilizzati da alcuni settori, soprattutto esportatori netti, mentre vi è un sovrappiù per i materiali di cui sono composti i prodotti a elevato contenuto di import. D’altra parte, i prodotti esportati dall’Italia sono prevalentemente a uno stadio della catena produttiva più a valle rispetto ai prodotti in ingresso. Basti pensare alla nostra specializzazione nei settori dei beni di consumo e della meccanica, che compongono l’ossatura tradizionale del Made in Italy, e per i quali siamo degli esportatori netti.

La scarsità di materie prime vergini dovrebbe essere in parte compensata dall’impiego di MPS

Essendo la nostra una economia di trasformazione, al contempo povera di materie prime vergini, nel complesso ci si dovrebbe attendere una buona capacità di riutilizzo delle materie prime seconde. L’attività di riciclo dei rifiuti, siano essi prodotti dalle imprese o conseguenza dell’atto di consumo, dovrebbe contribuire a ridurre il nostro fabbisogno di materie prime d’importazione. In effetti, come mostrano anche i confronti internazionali, il nostro Paese si caratterizza come un “distretto del riciclo” europeo: importiamo una quota rilevante di rifiuti destinati al recupero e figuriamo ai vertici delle classifiche europee per tassi di riciclo. Alcune filiere industriali, da tempo, sono «molto circolari», con tassi di riciclo superiori al 50%: nel 2017, ad esempio, sono stati superati gli obiettivi di riciclo al 2025 per carta e cartone (79,8%), per i metalli (75% acciaio e 63% per l’alluminio), per il legno (60,1%) e per il vetro (73%). Più distanti gli obiettivi di riciclo della plastica (al 43,5% nel 2017).

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Per facilitare la comprensione da parte del lettore e in linea con il gergo in uso presso le imprese che riferiscono in modo generale di “costi dello smaltimento”, per quanto non coerente con la terminologia tecnica degli addetti ai lavori, da qui in avanti si indicherà con il termine “smaltimento” dei rifiuti l’insieme delle attività che consentono la trasformazione dei rifiuti in materie prime secondarie e in residui da avviare in discarica, a incenerimento o a recupero energetico.

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L’attività di riciclo consente non solo di perseguire finalità di tutela dell’ambiente, riducendo le quantità di rifiuti destinati alle discariche, ma anche di conseguire una piena valorizzazione del rifiuto attraverso la vendita alle aziende utilizzatrici: l’anello mancante spesso evocato dalle Direttive UE. Da questo punto di vista, l’attività di gestione dei rifiuti dovrebbe essere sempre meno inquadrata come l’anello finale delle filiere, successivo all’atto del consumo, per diventare invece un ingranaggio dell’intero flusso circolare della materia. Il mercato del recupero deve essere supportato da una gestione efficiente dei rifiuti avviati a smaltimento e recupero energetico

Di più, come documentato nel presente lavoro, l’efficienza del recupero energetico e dello smaltimento in discarica (seppure quest’ultimo, auspicabilmente, sempre più residuale) è condizione necessaria, imprescindibile, per il buon funzionamento del mercato del recupero. Per questo motivo, gli obiettivi per i prossimi anni non possono prescindere, in Italia come negli altri Paesi, dal miglioramento della fase di trattamento finale dei rifiuti, a favore di un incremento significativo del tasso di riciclo. Lo stesso dibattito in seno alla DG Ambiente della Commissione UE sta valutando l’introduzione, a partire dal 2024, di target di riciclo/recupero anche per i rifiuti speciali, come riportato dall’art. 11, comma 6 della Direttiva 851/20183 . Rispetto a questi obiettivi, il mondo della gestione dei rifiuti industriali in Italia si ritrova ad affrontare un passaggio delicato. Difatti, nel corso degli ultimi due anni è emersa una crescente difficoltà a gestire lo smaltimento dei rifiuti, con situazioni di saturazione degli impianti e aumento dei costi. Non sempre questo tipo di fenomeno è documentato nelle statistiche disponibili, e dunque quantificabile in maniera puntuale. Ci si deve quindi affidare a evidenze di carattere aneddotico e alle valutazioni riportate degli operatori del settore, imprese che sostengono i costi da un lato e operatori 3

“Entro il 31 dicembre 2024 la Commissione vaglia l’introduzione di obiettivi in materia di preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio dei rifiuti da costruzione e demolizione e le relative frazioni di materiale specifico, i rifiuti tessili, i rifiuti commerciali, i rifiuti industriali non pericolosi e altri flussi di rifiuti, nonché di obiettivi in materia di preparazione per il riutilizzo dei rifiuti urbani e obiettivi di riciclaggio dei rifiuti organici urbani. A tal fine, la Commissione trasmette al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione corredata, se del caso, di una proposta legislativa.”, art. 11, comma 6, Direttiva 851/2018.

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del recupero e dello smaltimento, dall’altro. E’ però un punto condiviso che il sistema di trattamento e smaltimento dei rifiuti abbia raggiunto la saturazione, e che occorrono investimenti in nuova capacità per rimettere in equilibrio il mercato dei rifiuti e consentire l’avvio al riciclo di quantitativi sempre maggiori. L’aumento della domanda e i vincoli amministrativi sono le principali cause dell’aumento dei costi di smaltimento

Le spiegazioni prevalenti delle tensioni emerse negli ultimi anni pongono l’enfasi da un lato sull’espansione della domanda di servizi di smaltimento, e dall’altro sui problemi degli iter autorizzativi e delle opposizioni delle comunità locali, che avrebbero ostacolato l’adeguamento della capacità di trattamento, man mano che la domanda tendeva a crescere. Siamo quindi, di fatto, in una situazione in cui vincoli di carattere amministrativo e di consenso tendono a ostacolare gli investimenti necessari per adeguare la capacità produttiva. In questo quadro, le istituzioni sono spesso mancate nel loro ruolo di “governo” dei fenomeni, sviando le questioni che le vedono investite direttamente di un ruolo di pianificazione, come per il caso dei rifiuti urbani, e demandando al mercato soluzioni che il mercato stesso non era in grado di trovare4 .

La ripresa dell’attività manifatturiera nel biennio 2016-2017 La produzione di rifiuti è strettamente legata all’attività economica

L’aumento dei volumi di rifiuti da smaltire è stato in parte motivo di sorpresa, considerando che in Italia l’economia è in difficoltà da diversi anni, e che recentemente l’attività industriale è stata caratterizzata addirittura da un nuovo pesante rallentamento. Poiché la generazione dei rifiuti è strettamente legata all’attività economica, ci si sarebbe atteso un andamento relativamente stabile nel tempo dei rifiuti generati e quindi delle esigenze si smaltimento. D’altra parte, ricordando che la generazione di rifiuti è trainata dall’industria, la sorpresa positiva è stata rappresentata dalla vivacità della produzione industriale del settore manifatturiero nel triennio 2016-18, con tassi di crescita che hanno raggiunto il 10% cumulato, prima della fermata del 2019.

La ripresa del manifatturiero è andata oltre le aspettative degli operatori

Poiché l’industria italiana veniva da una fase molto difficile, dopo la doppia recessione del 20082009 e del 2012-13, è possibile che le aspettative degli operatori, e quindi delle istituzioni, avessero incorporato aspettative di crescita molto contenute, e comunque non tali da riassorbire la perdita di prodotto precedente e riportare in tensione alcune filiere produttive, fra le quali segnatamente la filiera del recupero e dello smaltimento dei rifiuti

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Per un approfondimento si veda il Contributo n.140 del Laboratorio REF Ricerche: “La responsabilità delle scelte: i fabbisogni impiantistici e il ruolo delle Regioni”, gennaio 2020.

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Il fermo all’export verso i Paesi emergenti L’export di rifiuti verso l’estero si è ridotto

Un altro fattore che avrebbe concorso in alcuni casi a mettere sotto pressione l’attività di smaltimento è rappresentato dalla minore capacità di assorbimento da parte degli altri Paesi, soprattutto emergenti, verso i quali negli anni scorsi è stata inviata una quota dei nostri rifiuti in eccesso. Nei fatti, ciò comporta che la capacità di smaltimento fosse sottodimensionata già prima della attuale crisi, visto che l’esportazione di rifiuti rappresentava un canale di smaltimento significativo e “ordinario”. L’esportazione di rifiuti, avviatasi sin dagli anni duemila, sembrava costituire quasi una naturale conseguenza della globalizzazione, che stava portando a delocalizzazione parti dei processi produttivi verso i Paesi emergenti, inducendo questi, Cina in particolare, a fare incetta di rifiuti da utilizzare come materia prima. Ad esempio, si ricorderà che negli anni duemila sino a poco prima dell’inizio della crisi, si discutesse proprio di difficoltà dell’industria nazionale ad approvvigionarsi di materie prime, data la politica di accaparramento da parte della Cina, soprattutto in alcuni segmenti, come i metalli.

Negli ultimi anni si è ridotto il peso della Cina come Paese importatore

Le statistiche del commercio internazionale documentano chiaramente questo fenomeno: la crescita del peso della Cina quale acquirente di rifiuti si interrompe proprio negli ultimi anni. Questa nuova fase del processo di globalizzazione, che si accompagna peraltro a una crescente conflittualità commerciale, impone alle economie occidentali di acquisire una sufficiente capacità di gestire in maniera indipendente i rifiuti prodotti. Ne deriva una evidente discontinuità rispetto all’andamento dei precedenti venti anni, che avevano sempre visto aumentare il peso dell’economia cinese quale luogo di destinazione dei rifiuti prodotti nei Paesi occidentali.

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La delocalizzazione ha contribuito all’espansione delle esportazioni di rifiuti

Va peraltro ricordato che l’esportazione di rifiuti verso le economie emergenti era anche legata ai processi di delocalizzazione della produzione negli anni della globalizzazione. La distinzione fra luoghi di produzione e mercati di sbocco dei prodotti comportava un flusso di rifiuti nella direzione opposta, al fine di consentirne il riciclo. Questa impostazione, innanzitutto, non rappresenta una soluzione ai problemi di tutela dell’ambiente, considerando che risolve i problemi di smaltimento di un Paese di fatto spostandoli in un altro Paese. In secondo luogo, l’attività di esportazione e smaltimento nei Paesi emergenti è stata frequentemente gestita anche da organizzazioni criminali, che hanno smaltito i rifiuti secondo procedure irregolari, sfruttando le normative meno stringenti e la mancanza di controlli. Va anche ricordato come alcuni rifiuti non riutilizzabili nei Paesi occidentali per i limiti di carattere sanitario imposti dalle normative siano stati assorbiti nei Paesi emergenti dove la regolamentazione è meno stringente, fatto salvo poi

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che i prodotti finiti realizzati con questi rifiuti sono a loro volta esportati nelle economie occidentali, il che evidentemente pone problemi anche sotto il profilo della tutela della salute del consumatore. Il rallentamento delle economie emergenti e il cambio dei modelli di sviluppo ha ridotto la capacità di import dei rifiuti

La minore capacità dei Paesi emergenti di assorbire i rifiuti prodotti nelle economie avanzate, occorsa negli ultimi anni, può essere ricondotta alla decelerazione di queste economie e al fatto che il modello di sviluppo cinese si sta gradualmente spostando dalle esportazioni verso i consumi interni, e più in generale al fatto che i processi di globalizzazione si stanno esaurendo. Anzi, le tendenze degli ultimi anni si stanno addirittura caratterizzando per andamenti di segno opposto: è in corso una vera e propria de-globalizzazione, che potrebbe venire accelerata dalle politiche di tipo protezionistico adottate dagli Stati Uniti con la progressiva introduzione di tariffe sui prodotti di importazione.

Il plastic ban cinese ha generato problemi di smaltimento in tutto il mondo

In un contesto evidentemente già di per sé problematico, gli ultimi due anni hanno visto gli effetti della svolta delle politiche cinesi, che hanno vietato l’importazione di diversi materiali destinati al riciclo, e in particolare la plastica. Il “plastic ban” ha generato problemi di smaltimento dei rifiuti in tutto il mondo. Per ora l’Europa sembra avere sopperito destinando i rifiuti ad altri Paesi, fra i quali Vietnam e Malaysia. Poiché il problema è avvertito su scala globale, la capacità di assorbimento di questi Paesi non è detto sia adeguata a sostituire a lungo quella della Cina, anzi, vi sono segnali che lasciano presupporre che anche altri Paesi asiatici, come le Filippine, ne ripercorreranno velocemente le scelte.

L’eccesso di offerta dei materiali rigenerati ne ha determinato un calo dei prezzi

La “repatriation” dei rifiuti è dunque una manifestazione di fenomeni più grandi, perfettamente coerente con gli obiettivi ambientali di riduzione delle emissioni e al contempo formidabile opportunità di crescita del tasso di circolarità delle economie avanzate. Tali rimpatri, tuttavia, hanno determinato non poche difficoltà nel collocamento dei materiali rigenerati derivanti dai processi di recupero, a fronte di una domanda interna che non sempre è sufficiente ad accogliere le materie prime seconde nei processi di produzione. L’eccesso di offerta si è tradotto in un calo dei prezzi dei materiali rigenerati, come il macero, alimentando la domanda di smaltimento dei materiali invenduti e contribuendo all’intensificazione dei rincari sostenuti dal manifatturiero.

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Tensioni sono anche emerse sul mercato dei rottami di vetro, dove la crescita dell’offerta, legata in buona misura all’aumento del tasso di riciclo nelle regioni del Mezzogiorno, ha portato alla saturazione degli impianti di trattamento e dei siti di stoccaggio, che si è riflesso in un crollo delle quotazioni alle aste del rottame di vetro.

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L’aumento dei costi attraverso il Contributo Ambientale CONAI (CAC) Il Contributo Ambientale CONAI sostenuto dalle imprese per l’immissione al consumo di imballaggi sostanzia un principio di responsabilità “condivisa” del produttore (una variante dello schema di responsabilità estesa, Extended Producer Responbility – EPR) in base al quale la responsabilità della gestione del rifiuto derivante dal prodotto immesso al consumo viene riportata in capo al produttore. Come sancito dalla direttiva 98/2008/CE, il soggetto che trasforma, fabbrica, vende o importa un bene è responsabile dell’intero ciclo di vita del prodotto, comprese le attività post consumo di ritiro, riciclo e smaltimento finale. La stessa direttiva prevede anche l’eventualità che tale responsabilità abbia anche un carattere finanziario (art. 14), stabilendo che ciascun Paese possa “decidere di far sostenere, parzialmente o interamente, i costi della gestione dei rifiuti al produttore”. Il Contributo Ambientale CONAI (CAC) assolve a questo compito: i contributi delle imprese produttrici di imballaggi finanziano l’attività consortile diretta alla gestione delle attività di ritiro, recupero e riciclo degli stessi. L’evoluzione di questo contributo chiesto alle imprese misura dunque indirettamente l’andamento del costo di gestione dei rifiuti da imballaggi prodotti. In particolar modo, il CAC sulla plastica è passato dai 140 euro/tonnellata del 2014 ai 263 euro/tonnellata del 2019a , mentre la carta, che nel 2014 si attestava sui 4 euro/tonnellata, è stata riportata dal 1° gennaio 2019 a 20 euro/tonnellata. Un incremento sostanziale si registra anche sul vetro (dai 18 euro/tonnellata del 2014 ai 26 euro/tonnellata del 2019), mentre risulta in calo il Contributo sui rifiuti da imballaggio metallicib .

Il grafico seguente mostra la quota delle diverse tipologie di rifiuto da imballaggio conferite in convenzione dai consorziati al CONAI nel 2018. Su un totale di 4,1 milioni di tonnellate di rifiuti, circa il 93% è rappresentato da carta, plastica e vetro, ovvero le frazioni che hanno

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registrato i maggiori aumenti del CAC e che sono maggiormente impattate dal blocco dell’export, in particolare verso i Paesi asiatici. Si può dunque ipotizzare che le difficoltà emerse sul mercato del riciclo e sul mercato delle materie prime seconde causate dal Chinese Ban si siano riflesse anche in un incremento dei CAC sostenuti dalle imprese.

a b

Valore che rappresenta una media ponderata sulle quantità conferite (previsivo), come riportato da Corepla nell’audizione del 7 maggio 2019 alla Commissione Politiche dell’Unione Europea del Senato. Per un approfondimento si rimanda al Contributo n.142 del Laboratorio REF Ricerche “Rifiuti e responsabilità estesa del produttore: imparando dall’Europa”, febbraio 2020.

L’aumento dei rifiuti avviati a riciclo L’aumento delle raccolte differenziate ha determinato una crescita degli scarti da smaltire

Alla minore capacità di assorbimento da parte dei Paesi emergenti, si è poi sovrapposto il processo di aumento della quota di rifiuti avviati al riciclo. Le diverse modalità di smaltimento, che hanno portato, con riferimento ai rifiuti urbani, ad aumentare progressivamente la raccolta differenziata, hanno richiesto una maggiore capacità di trattamento. Si tratta di un processo in atto in molti Paesi. In Italia, la fase di aumento della raccolta differenziata è ancora in corso, soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno, dove i tassi di raccolta differenziata erano storicamente bassi.

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L’aumento dei volumi di plastica raccolti ha determinato un aumento dei sovvalli destinati a recupero energetico

L’aumento dei tassi di raccolta differenziata e dei rifiuti avviati a riciclo ha determinato un incremento dei sovvalli destinati a smaltimento e a recupero energetico, in particolare per quelle frazioni la cui efficienza nei processi di recupero è ancora su livelli relativamente bassi, come la plastica5 . I volumi di plastica raccolti sono aumentati del 35% tra il 2013 e il 2017 e, di conseguenza, si registra un incremento degli scarti destinati a recupero energetico. Si stima, infatti, che i sovvalli derivanti dalla raccolta e dal riciclaggio della plastica fossero circa 700mila tonnellate nel 2017, in crescita di 180mila tonnellate rispetto al 2013. 5

Secondo quanto riferito da Corepla nella Rapporto di Sostenibilità 2018, gli imballaggi in plastica riciclati sarebbero pari al 44% dei volumi gestiti, mentre il restante 56% sarebbe destinato a recupero energetico (43%) o in via residuale in discarica (13%).

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I limiti alla capacità di trattamento dei rifiuti hanno conseguenze sull’attività delle imprese. La mancanza di impianti si sta traducendo, infatti, in maggiori costi di smaltimento dei rifiuti industriali. I settori più esposti vanno incontro a maggiori costi, riduzione della marginalità e minori investimenti in futuro. Una capacità di trattamento dei rifiuti adeguata è fondamentale nello svolgimento dei processi di produzione

La presenza in un Paese di una adeguata capacità di trattamento dei rifiuti è quindi un punto significativo dei processi di produzione. Essa contribuisce, trasversalmente ai diversi settori produttivi, alle condizioni di competitività dell’intero sistema. I diffusi segnali di limiti nella dotazione impiantistica fanno quindi emergere la necessità di nuovi investimenti nelle attività di trattamento e smaltimento. Occorre costituire in tempi rapidi uno stock di capitale adeguato sia dal punto di vista della dimensione e diffusione degli impianti, che della rispettiva capacità di dotarsi delle tecnologie più moderne.

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LA GESTIONE DEI RIFIUTI: PESO E MISURA DEI MAGGIORI COSTI Il valore della gestione dei rifiuti La diversa natura dei processi produttivi e dei materiali utilizzati in ciascun settore comporta che la quantificazione dell’intensità di generazione misurata sulla base delle tonnellate di rifiuti prodotti non rappresenti una informazione sufficiente per quantificare i costi sostenuti dalle imprese per la gestione dei rifiuti prodotti. Passare dalla quantificazione dei volumi di rifiuti generati dal sistema ai costi dei servizi di gestione dei rifiuti sostenuti da ciascun settore non è immediato, proprio perché il costo unitario della gestione può variare molto a seconda della tipologie di rifiuto e/o delle sostanze ivi contenute. Dai conti ambientali dell’Istat si può stimare il costo della gestione dei rifiuti

Una stima indiretta del costo dell’attività di gestione dei rifiuti è desumibile a partire dai dati del conto dei beni e servizi ambientali dell’Istat. In particolare, recentemente sono state diffuse alcune stime del valore delle attività dei servizi cosiddetti delle “ecoindustrie” per il periodo 2014-20176 . L’Istat stima che il valore complessivo della produzione dei “beni e servizi ambientali” si sia posizionato negli anni scorsi poco al di sopra dei 75 miliardi di euro all’anno. Tale valore fa riferimento a molte classi di attività (definite secondo i criteri della Classification of Environmental Protection Activities, CEPA), riportate nella tavola allegata (valori, anno 2017).

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Istat (2019) Il conto dei beni e servizi ambientali

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Fra queste classi, il peso maggiore spetta alla gestione delle risorse energetiche, seguite dalle attività di gestione dei rifiuti. Queste ultime, nel 2017 hanno avuto un valore della produzione pari a 25 miliardi. Se a questo ammontare si aggiunge il valore dei servizi legati alla gestione delle acque reflue (7 miliardi), si quantifica che il valore dei servizi di smaltimento dei rifiuti in Italia ammonta complessivamente a 32 miliardi di euro7 . Le attività di gestione dei rifiuti valgono come le attività di gestione delle risorse energetiche Le dimensioni del settore della gestione rifiuti rispecchiano quelle del settore manifatturiero

Con 32 miliardi di euro di valore della produzione, le attività di gestione dei rifiuti si attestano su valori analoghi a quelli della gestione delle risorse energetiche : un dato che sorprende per il diverso peso e la diversa importanza che le prime rivestono rispetto alle seconde nel dibattito politico, nei media e quindi nell’opinione pubblica. La dimensione, di tutto rilievo, suggerisce che si tratti di un comparto di per sé strategico per l’economia nazionale. Per confronto, le statistiche Eurostat stimano il valore di tali attività in 64 miliardi di euro in Germania, 29 miliardi in Francia e 16 miliardi in Spagna. La dimensione relativa sembra rispecchiare soprattutto la mole del settore manifatturiero di ciascun Paese. L’incidenza del valore dei servizi di gestione 7

Per comodità di lettura ricordiamo che il valore della produzione delle ecoindustrie non equivale al peso di questi settori sul PIL, in quanto il valore dell’output comprende tanto il valore aggiunto di questi settori, quanto gli input da questi acquistati per fornire i propri servizi. In questa sede poniamo l’enfasi sul valore dell’output in quanto rappresentativo del valore di quanto questi settori hanno prodotto e quindi, simmetricamente, dei costi sostenuti dagli altri settori e dai consumatori per l’acquisto di tali servizi.

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dei rifiuti sul valore aggiunto industriale è pari all’8,5% in Germania, 9,5 in Spagna, 10,2 in Italia e Francia. I servizi di gestione dei rifiuti possono essere prodotti da diversi settori, anche se da un punto di vista delle misurazioni statistiche risultano prodotti prevalentemente da un unico comparto identificato come somma dei settori dal 37 al 39 dell’ATECO8 , che produce circa 27 miliardi di servizi di smaltimento rifiuti e gestione acque reflue; la parte restante di tali servizi è prevalentemente auto-prodotta direttamente dai settori dell’industria.

L’emergenza fanghi e i rincari nei costi di gestione Negli anni recenti la produzione di fanghi di depurazione ha vissuto una congiuntura particolarmente difficile. Per un complesso di ragioni: 1. l’intensificazione delle attività di depurazione, prevista in esito alla realizzazione dei depuratori nei territori che ancora ne sono sprovvisti, ha determinato un fabbisogno di trattamento crescente dei fanghi. Nel 2017 lo smaltimento ha interessato già 1,5 milioni di tonnellate di fanghia , a fronte di una produzione di oltre 3,1 milioni di tonnellate. Il grafico seguente mostra il tasso di depurazione dei carichi civili per regioni, mostrando come ve ne sia ancora un numero elevato che tratta in impianti di depurazione di tipo secondario o avanzato meno del 60% dei reflui urbani. Dagli ultimi dati Istat, in media in Italia viene trattato solo il 59% degli scarichi civili, a suggerire ampi margini di crescita del relativo fabbisogno negli anni a venire.

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Rispettivamente: 37 gestione delle reti fognarie; 38 attività di raccolta dei rifiuti; 39 attività di risanamento e altri servizi).

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2. Le limitazioni allo spandimento in agricoltura, introdotte a seguito di una sentenza del TAR Lombardia dell’estate del 2018, hanno di fatto determinato un blocco delle attività di recupero e un forte sensibile aumento dei relativi costi di smaltimento. Lo stop allo spandimento dei fanghi in agricoltura in Lombardia ha causato ripercussioni in tutte quelle regioni, Toscana e Lazio in primis, per le quali la Lombardia rappresentava il principale mercato di destinazione dei fanghi. Se lo spandimento in agricoltura comportava un esborso che si aggirava intorno ai 50-70 euro/tonnellata, già nell’estate 2018 lo smaltimento in discarica ha superato quota 150 euro/tonnellata. Nell’ambito delle misure del “Decreto Genova”, il Governo è intervenuto stabilendo i limiti per le concentrazioni di alcune sostanze e consentire in questo modo l’utilizzo dei fanghi in agricolturab . La saturazione degli spazi in discarica sul mercato dei rifiuti speciali ha reso ulteriormente complessa la gestione dei fanghi da depurazione, in una situazione di carenza di impianti di recupero del rifiuto organico e di termovalorizzatori. Nonostante l’intervento del “Decreto Genova”, negli ultimi due anni i costi dello smaltimento dei fanghi di depurazione hanno continuato ad aumentare: secondo informazioni ricevute dagli operatori del settore, nel 2019 i corrispettivi si sarebbero attestati su valori prossimi ai 200 euro/tonnellata, con punte anche di 250 (rispetto ai 90 euro/tonnellata di inizio 2017). a b

Altre 1,4 milioni di tonnellate sono state recuperate. Per un approfondimento si veda il Contributo n.107 del Laboratorio REF Ricerche: “I fanghi della depurazione: l’acqua entra nell’economia circolare”, ottobre 2018.

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I rincari nei costi di smaltimento Le carenze impiantistiche ostacolano la possibilità di impiego delle MPS e portano a rincari sullo smaltimento

La presenza di vincoli dal lato della capacità di trattamento è un aspetto fondamentale nella fase attuale, in quanto ostacola la possibilità di utilizzare più materie prime seconde nei circuiti produttivi anche in un contesto in cui l’abbondanza di rifiuti giustificherebbe un aumento del loro impiego nella produzione. A ciò si deve aggiungere che i settori produttori, soprattutto dell’industria, si trovano a fronteggiare aumenti significativi dei costi di smaltimento dei rifiuti. Non si dispone di fonti ufficiali che rilevino puntualmente l’andamento di tali costi. Tuttavia, è possibile fare riferimento ad alcune evidenze di carattere aneddotico, che permettono di raccogliere gli ordini di grandezza dei fenomeni in esame.

Le fonti che riportano l’andamento dei costi di smaltimento sono molteplici

Una prima fonte, il “Borsino dei rifiuti”, segnala un costo di smaltimento pari in media a 160 euro a tonnellata, valore praticamente raddoppiato rispetto a pochi anni fa, con punte di 240 euro a tonnellata. Una indicazione corroborata delle interviste condotte presso le rappresentanze delle imprese delle regioni a vocazione produttiva, laddove pur nella difficoltà di ricostruire un dato medio, si riportano valutazioni di forti aumenti in capo ai rifiuti delle lavorazioni di molti distretti industriali, dal conciario, al tessile, alla cartaria, sino ai fanghi di depurazione dell’agroalimentare. In un’indagine, condotta da Fondazione Nord Est presso le aziende del Veneto, quattro imprese su cinque hanno registrato un aumento dei costi di smaltimento nel 2018. Un’impresa su quattro ha rilevato un aumenti dei costi di smaltimento superiori al 25% mentre le restanti hanno osservato rincari meno accentuati. L’aumento medio del costo dello smaltimento secondo questa fonte potrebbe risultare intorno al 20%.

I rincari a carico del settore industriale sono superiori al 50%

Alcune interviste presso operatori specializzati del settore hanno confermato ordini di grandezza significativi, e superiori al 50%, degli aumenti di costo a carico del settore industriale, anche se evidentemente diversificati a seconda della tipologia del rifiuto da smaltire. Infine, un’indagine condotta da Utilitatis presso le imprese associate a Utilitalia evidenzia rincari medi dell’ordine del 10% per la quota dei rifiuti di origine non domestica assimilati agli urbani.

Le difficolta di smaltimento delle imprese venete nell’indagine di Fondazione Nord-Est Un’indagine svolta nel 2018 da Fondazione Nord Est per Confindustria Veneto ha fatto luce sulle difficoltà incontrate dalle imprese venete nello smaltimento dei rifiuti. Il questionario, somministrato ad un campione di circa 500 imprese, ha indagato i costi di smaltimento e le problematiche registrate nella fase di ritiro dei rifiuti prodotti dalle aziende. Per quanto riguarda l’aumento dei costi, le evidenze emerse sono principalmente due: • l’80% delle imprese ha dichiarato di aver registrato nel 2018 un rincaro dei costi di smaltimento dei rifiuti; • il 26% delle imprese registra un aumento dei costi superiore al 25%. Il grafico sottostante mostra come la quota di imprese che dichiara di aver registrato un rincaro dei costi di smaltimento nel 2018 sia differenziato per settore, ma soltanto in quello estrattivo l’incidenza dei rispondenti è inferiore al 50% del campione di aziende del settore.

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La quota del 90% appartenente al settore “acqua, reti fognarie e gestione dei rifiuti” testimonia le tensioni diffuse nello smaltimento dei rifiuti decadenti dal trattamento dei rifiuti e dei fanghi da depurazione.

Difficoltà di ritiro dei rifiuti destinati a smaltimento sono state registrate dal 60% dei rispondenti, anche in questo caso in misura diversa a seconda dei settori. Sulle tempistiche, circa ¼ delle imprese segnala tempi medi di attesa dello smaltitore compresi fra i 31 e i 90 giorni, mentre il 10% ha dichiarato di attendere anche più di tre mesi prima che i rifiuti vengano ritirati e smaltiti. Come si osserva, siamo in presenza di valutazioni discordanti, che possono riflettere, oltre che i diversi canali di avvio allo smaltimento del rifiuto, anche le diverse tipologie di rifiuto considerate. In ogni caso, la direzione delle variazioni dei costi appare rilevante in tutti i canali e per tutte le fonti ascoltate. L’entità di tali rincari, sebbene a prima vista possa apparire di entità eccezionale, può essere ricondotta al fatto che il mercato dei rifiuti presenta delle caratteristiche per diversi aspetti simili a quelle dei mercati delle materia prime, i cui prezzi sono frequentemente caratterizzati da oscillazioni accentuate. La situazione che si è verificata nel corso dell’ultimo anno è particolare; difatti, saremmo in presenza di un aumento della domanda di servizi di gestione del rifiuto a fronte di una capacità produttiva rigida: le condizioni ideali per innescare una escalation dei prezzi. Difatti, la capacità di smaltimento è per sua natura anelastica al prezzo in condizioni di impianti saturi. Anche in un orizzonte di medio termine, l’offerta di servizi di smaltimento può tardare ad adeguarsi alla domanda più elevata, in presenza di lunghi percorsi autorizzativi, vincoli amministrativi e opposizioni delle comunità locali. Per quantificare i maggiori costi sostenuti dalle imprese italiane nel corso degli ultimi due anni, in assenza di una rilevazione specifica dei costi di gestione dei rifiuti sono state utilizzate le fonti sopra descritte. Ovviamente, la natura eterogenea delle fonti suggerisce di considerare le nostre

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quantificazioni come un tentativo di ricostruire gli ordini di grandezza delle variabili in gioco, più che una stima puntuale. Per i rifiuti speciali non pericolosi si stimano rincari nell’ordine del 35%

In sintesi, le stime dei rincari dei costi di smaltimento, sono state applicate ai rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi prodotti dall’industria manifatturiera, quantificati da Ispra9 . Naturalmente, i rifiuti non pericolosi hanno un rilievo quantitativo decisamente maggiore. L’incremento dei costi di smaltimento per questa componente può essere cifrato in un valore del 35%, quale sintesi del 20% registrato da Fondazione Nord Est presso le imprese del Veneto nel 2018 e dei valori ben superiori riportati dalle associazioni industriali ascoltate nel corso della redazione del presente lavoro, riferiti al 2019.

Si stima che i costi di smaltimento dei rifiuti speciali pericolosi siano raddoppiati

Ai rifiuti pericolosi sono stati applicati gli incrementi di prezzo desunti dalle interviste presso gli operatori, quantificati, di fatto, in un raddoppio dei costi.

A partire da queste quantificazioni, si stima che l’incremento medio dei costi dello smaltimento possa avere superato negli ultimi due anni il 40%. Tale incremento corrisponde a un aggravio dei costi di quasi 1,3 miliardi di euro per l’industria manifatturiera. Gli aumenti dei costi di smaltimento incidono significativamente sul valore aggiunto del manifatturiero

Il rincaro ha un’incidenza significativa sui conti del settore: lo 0,5% sul valore aggiunto. Va peraltro richiamato che tale ordine di grandezza non è distribuito in maniera uniforme fra i settori; pur in assenza di statistiche puntuali al riguardo, i settori maggiormente gravati da tali rincari sono quelli che producono maggiori quantitativi di rifiuti speciali pericolosi. La dimensione dei costi aggiuntivi è un ulteriore elemento che spinge a ritenere necessario un riavvio degli investimenti, al fine di consentire l’adeguamento della capacità di gestione dei rifiuti ai fabbisogni del ciclo produttivo. 9

Rapporto Rifiuti Speciali 2019, Ispra.

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I costi per le imprese “assimilate”: l’andamento della TARI Attraverso l’istituto dell’assimilazione, i rifiuti prodotti dalle attività economiche possono essere “attratti” nel perimetro della privativa e assoggettati al pagamento della tassa sui rifiuti. L’assimilazione opera sulla base di quanto disciplinato nei regolamenti comunali di applicazione della tassa rifiuti. Si stima che, in media nazionale, circa il 17% dei rifiuti urbani raccolti abbia origine “non urbana”a , con questo volendo intendere quei flussi che per qualità si prestano ad essere assimilati agli urbani, perché gestiti negli stessi impianti: si tratta, nel complesso, di circa 5,5 milioni di tonnellate di rifiuti. In presenza di rifiuti prodotti da imprese e attività economiche assimilate all’urbano, il servizio di smaltimento dei rifiuti è assicurato dall’operatore del servizio di igiene urbana, a fronte del pagamento della tassa o tariffa rifiuti. In presenza di rifiuti avviati a recupero direttamente da parte delle imprese, invece, è prevista la possibilità di un abbattimento del dovuto in proporzione alla quantità di rifiuti che l’impresa dimostri di aver avviato autonomamente a recupero. La “calibrazione” del dovuto a carico delle imprese è frutto sia delle caratteristiche del territorio (dimensione dei centri urbani, densità abitativa), sia della quantità e della qualità dei rifiuti prodotti, sia delle modalità di organizzazione del servizio, sia della dotazione di impianti. A questi fattori si aggiungono le scelte dei Comuni riguardo al finanziamento del servizio e al contributo alla copertura dei costi richiesto alle utenze domestiche e non domesticheb . La dotazione impiantistica presente nei territori è tra le principali determinanti del diverso livello della spesa sostenuta dalle imprese, in particolare fra regioni del Nord e del Mezzogiorno. Il grafico seguente mostra come la spesa per il servizio rifiuti presenti una pronunciata variabilità tra Comuni capoluogo di provincia, a parità di profilo di utenza. Nel caso di tre utenze tipo (supermercato, albergo e industria alimentare), la variabilità è maggiore sulle attività di dimensioni ridotte (supermercato), mentre tende a ridursi al crescere delle dimensioni dell’impresac .

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La differente dotazione impiantistica dei territori si ripercuote sui costi di trattamento e smaltimento: dalla grafica allegata appare evidente la relazione fra il livello della spesa sostenuta dalle imprese e il deficit di smaltimento nella gestione dei rifiuti urbani e assimilati.

In presenza di deficit impiantistici gravi e di aumenti repentini dei costi di smaltimento è poi ragionevole ritenere che l’evoluzione della tassa rifiuti nel tempo sia chiamata a coprire i costi crescenti di smaltimento. Guardando a tre profili tipo di utenza non domestica e soffermandoci sui capoluoghi di provincia, si può notare come la spesa sostenuta dalle imprese negli ultimi sei anni sia rimasta

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sostanzialmente stabile. Nel caso del profilo “industria alimentare”, si registra un calo dello 0,5% fra il 2019 e il 2014; nell’ordine dello 0,4 e dello 0,8%, invece, i ribassi per i profili “albergo” e “supermercato”.

Le evidenze proposte sembrano suggerire che almeno per la quota di rifiuti assimilati agli urbani l’evoluzione dei costi a carico delle attività economiche sia risultato tutto sommato contenuta, se non addirittura in calo, coerentemente con le informazioni sui costi di trattamento rilevati presso un campione di imprese associate a Utilitalia in un’Indagine condotta da Utilitatis. a b

c

Per un approfondimento si rimanda al Contributo n.113 del Laboratorio REF Ricerche “L’assimilazione: ostacolo alla concorrenza o opportunità per la gestione integrata?”, febbraio 2019. La ripartizione dei costi è piuttosto variegata: nel 2019 la quota del costo finanziata dalle utenze domestiche passa da un minimo del 33% (Potenza) ad un massimo dell’81% (Siracusa); in media Italia, tale rapporto si attesta intorno al 50%. Per ulteriori dettagli si rimanda al Contributo n.123 del Laboratorio REF Ricerche: “La tariffa puntuale: un’opportunità da gestire”, luglio 2019. REF Ricerche svolge un’attività di monitoraggio dei corrispettivi applicati alle utenze, domestiche e non, basata sulle informazioni raccolte per oltre 1.000 Comuni, a copertura di almeno il 50% della popolazione residente in Italia.

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CONCLUSIONI Nell’ultimo anno le rappresentanze territoriali delle imprese nelle regioni a maggiore vocazione manifatturiera hanno in più occasioni lamentato difficoltà nella gestione dei rifiuti, dilatazione dei tempi di ritiro da parte degli operatori e un significativo aumento dei costi. Ai deficit impiantistici si sono aggiunti un complesso di fattori di natura congiunturale e strutturale che hanno contribuito a esacerbare il già delicato equilibrio tra domanda e offerta di smaltimento nel mercato dei rifiuti speciali. Fra questi: • il forte aumento della produzione di rifiuti speciali nel triennio 2014-2017, sostenuta da una ripresa economica rispetto alla quale poco hanno potuto le annunciate politiche di prevenzione e le iniziative dagli enti territoriali. Nel periodo precedente, a causa della lunga stagnazione, la produzione di rifiuto si era addirittura ridotta, lasciando spazi di capacità inutilizzata che erano stati giudicati adeguati delle amministrazioni regionali. Alla prova dei fatti, alla prima svolta ciclica, si sono rapidamente saturati; • la chiusura del mercato cinese alle importazioni di rifiuti a partire dal gennaio del 2018, in particolare per la plastica riciclabile, i residui tessili e la carta di qualità inferiore, ha cagionato un aumento del fabbisogno di smaltimento in ragione sia della mancanza di impianti per il recupero sia della difficoltà di collocamento, in un mercato che predilige ancora le materie prime vergini rispetto a quelle rigenerate. Il fermo alle esportazioni verso i mercati asiatici si è tradotto nella saturazione degli spazi a stoccaggio e in una crescita della domanda di smaltimento di tali materiali, invenduti a causa di una domanda interna insufficiente ad assorbire i materiali recuperati. Gli incendi e le pratiche illegali sono una conseguenza della situazione che si è venuta a creare; • la sentenza del Consiglio di Stato del 28 febbraio 2018 ha bloccato la autorizzazioni “caso per caso” rilasciate dalle Regioni per i processi di recupero (End of Waste -EoW 10 ); in attesa dei decreti ministeriali, il mercato del recupero si è fermato, sia per il mancato rinnovo da parte delle regioni delle autorizzazioni scadute, sia per l’incertezza gravante sugli impianti con autorizzazioni vigenti ma a rischio di “nullità”. Nonostante i tentativi di rimediare all’impasse, dalla misura contenuta nello “Sblocca Cantieri” fino all’ultimo emendamento al Decreto Crisi Aziendali, le problematiche autorizzative permangono, e con esse un freno all’industria del riciclo, fonte di tensioni sui prezzi del trattamento e dello smaltimento; • lo stop allo spandimento in agricoltura dei fanghi di depurazione, a seguito di una sentenza del TAR Lombardia del 2018, ha gettato tutta l’industria nello stallo, fino al ripristino dei limiti alla concentrazione di inquinanti previsto dal “Decreto Genova”, che ha in parte giovato. Pur tuttavia, la diffidenza da parte degli operatori e i divieti allo spandimento in agricoltura adottati in numerose regioni sollevano interrogativi circa le prospettive dello smaltimento fanghi in un contesto di aumento della produzione, in ragione degli obiettivi di riduzione dello smaltimento in discarica indicati dalla regolazione ARERA e dell’aumento della produzione di fanghi coerente con la realizzazione dei depuratori necessari a superare le procedure di infrazione UE; • l’incremento delle raccolte differenziate, in particolare nel Mezzogiorno, che ha generato un aumento dei sovvalli da raccolta e riciclo, destinati a smaltimento; 10

Per un approfondimento si rimanda al Contributo n. 118 del Laboratorio REF Ricerche: “L’End of Waste primo tassello di una politica industriale”, maggio 2019.

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• l’opposizione delle regioni alla libera circolazione dei rifiuti urbani tal quale destinati a recupero energetico, così come auspicata dall’art. 35 dello “Sblocca Italia” (2014) per assicurare l’autosufficienza nazionale, ha implicitamente avallato la prassi di trattare i rifiuti urbani al solo scopo di “trasformarli” in speciali, di libera circolazione. Questo fenomeno ha contribuito alla saturazione della capacità disponibile negli impianti per cui i rifiuti prodotti dalle attività economiche sono in “concorrenza”, in modo più accentuato rispetto al passato, con tali flussi11 . Il presente lavoro offre una stima dell’aumento dei costi di gestione dei rifiuti per l’industria: la perdita di valore economico e di competitività delle imprese appare un modo per inquadrare le istanze dei distretti industriali maggiormente colpiti. Sulla base delle evidenze raccolte, si stima che l’incremento medio dei costi possa avere superato negli ultimi due anni il 40% e che tale incremento corrisponda, per la sola industria manifatturiera, ad un aggravio di costi di 1,3 miliardi di euro all’anno. La distribuzione di tali aumenti è peraltro asimmetrica, con punte per le produzioni localizzate nei territori maggiormente deficitari e per le filiere più “fragili”, come quella dei fanghi di depurazione, delle scorie da termovalorizzatore o ancora dei rifiuti pericolosi, esposte al raddoppio o financo alla triplicazione dei costi di trattamento finale.

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Per quanto formalmente a mercato, i flussi degli urbani a recupero energetico sono infatti stati oggetto di pesanti “ingerenze” da parte delle amministrazioni regionali, che hanno talvolta preteso di “governarli” in chiave politica, chiedendo di sottoporre questi flussi ad Accordo di programma.

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ALLEGATO 1. LA PRODUZIONE DEI RIFIUTI PER SETTORE Il ciclo dei rifiuti, nonostante la sua importanza crescente nell’economia, non trova ancora adeguati riscontri nella produzione statistica ufficiale. Le informazioni sono prodotte da fonti diverse, e la ricostruzione dei fenomeni è solo parziale. Questo aspetto è anche legato al fatto che si tratta di un mondo in rapida evoluzione. Basandosi sulle statistiche ufficiali si possono in ogni caso ricostruire gli ordini di grandezza dei principali fenomeni. Innanzitutto, una rappresentazione del fenomeno attraverso la stima delle quantità di rifiuti generati indica che la produzione di rifiuti in Italia è stata pari nel 2017 a circa 30 milioni di tonnellate di rifiuti urbani e circa 140 milioni di tonnellate di rifiuti speciali, per una produzione totale che dovrebbe collocarsi intorno ai 170 milioni di tonnellate all’anno. La distinzione fra rifiuto urbano e rifiuto speciale deriva essenzialmente dal fatto che gli stadi delle filiere che li generano sono diversi: i primi sono contestuali all’atto di consumo, e quindi riguardano il punto finale della catena del valore, mentre i secondi si collocano nelle diverse fasi a monte1 . Le catene del valore che generano tali rifiuti sono però le stesse, tutte caratterizzate dallo sbocco a valle della vendita sul mercato del prodotto finale (all’interno del paese o all’estero). I rifiuti urbani rappresentano in termini di volumi solo una quota, il 18%, del totale dei rifiuti prodotti. All’interno dei settori produttivi, le quote principali sono relative alla produzione da parte del settore stesso del trattamento dei rifiuti, oltre che alle attività del settore manifatturiero e delle costruzioni. I settori dei servizi forniscono invece un contributo marginale alla produzione di rifiuti.

1

Secondo la definizione del Dlgs 152/2006, articolo 184, comma 3, tra i rifiuti speciali rientrano: i rifiuti da attività agricole e agro-industriali; i rifiuti da attività di demolizione e costruzione e i rifiuti pericolosi che derivano dalle attività di scavo; i rifiuti da lavorazioni industriali, artigianali, da attività commerciali, da attività di servizio, da attività sanitarie; gli scarti da attività di recupero o smaltimento di rifiuti, i fanghi prodotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque e dalla depurazione di acque reflue e da abbattimento fumi”.

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Ciascun settore genera rifiuti non solo in base alla propria dimensione in assoluto, ma anche perché diversa è la propensione alla produzione di rifiuti nei processi produttivi, che dipende evidentemente dalle specificità delle lavorazioni. Una misura dell’intensità della generazione di rifiuti in ciascun settore è rappresentata dal rapporto fra il volume di rifiuti generati dal settore e il suo valore aggiunto (espresso in euro). Dai dati si osserva come le differenze non riguardino solo la divaricazione fra intensità di generazione fra industria e servizi. Disaggregando i settori dell’industria emergono infatti differenze significative. Escludendo il settore del trattamento dei rifiuti, per sua natura caratterizzato da un rapporto fra produzione di rifiuti e valore aggiunto particolarmente elevato, i settori che si caratterizzano per un maggiore volume di rifiuti sono le costruzioni e la metallurgia, seguiti dall’industria della lavorazione di minerali non metalliferi, dall’industria della carta, da quella del legno, dal settore idrico, dalla raffinazione di petrolio, dall’industria estrattiva e dalla chimica.

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ALLEGATO 2. IL SETTORE DELLA GESTIONE DI RIFIUTI COME FORNITORE DI SERVIZI ALLE IMPRESE Può essere utile comprendere quali siano i settori dell’economia che più di altri acquistano servizi di gestione dei rifiuti utilizzandoli come input della produzione. Avendo individuato un settore che produce la maggior parte dei servizi di gestione, il rispettivo valore dell’output rappresenta un input per i servizi che acquistano tali servizi. Per ripartire il costo complessivo fra i diversi settori si sono adottate alcune ipotesi. In particolare ci si è basati sulla distribuzione settoriale del valore dei servizi che il settore della gestione dei rifiuti fornisce ai diversi settori produttivi secondo le indicazioni delle tavole delle interdipendenze settoriali, meglio note come tavole input-output. Le tavole quantificano il valore di quanto i diversi settori acquistano come input provenienti dal settore della gestione dei rifiuti. Il punto è che quest’ultimo si caratterizza per la vendita non solo di servizi di gestione di rifiuti, ma anche altri prodotti. In particolare, fra questi vi sono le materie seconde, che vengono ottenute dal riciclo dei rifiuti. E’ immediato osservare, quindi, come i settori utilizzatori di input prodotti dal settore della gestione dei rifiuti siano quelli più legati all’acquisto di materie prime riciclate: metallurgia, industria della carta e della plastica si collocano fra le prime posizioni, insieme agli stessi settori del trattamento e smaltimento delle acque e dei rifiuti. Per alcuni settori, quindi, l’efficienza del processo di smaltimento e recupero dei rifiuti svolge un ruolo importante, tale da potere condizionare in misura significativa i rispettivi costi di produzione.

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