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Il 25 novembre si è tenuta la giornata internazionale contro la violenza sulle donne, che ha lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica su una pratica che si sta inesorabilmente trasformando in routine. Un problema che non colpisce soltanto l’Italia, ma si sta diffondendo a macchia d’olio in tutti i Paesi d’Europa. È per rendere più concreta quest’opera di sensibilizzazione che in occasione del 25 novebre si sono tenute in tutto il Paese varie iniziative, come spettacoli teatrali, conferenze, manifestazioni e cortei. Anche a Modena si sono svolte alcune di queste iniziative, come lo spettacolo ‘Il vestito di piume. Contro la violenza sulle donne: numeri e parole’ tenutosi il giorno 26 novembre a teatro La Tenda, che alcune classi del Liceo Muratori hanno avuto l’opportunità di vedere. Lo spettacolo è stato aperto da Roberta Mori, Presidente della Commissione per la promozione di condizioni di piena parità tra donne e uomini della Regione Emilia Romagna, che ha introdotto un progetto sull’argomento realizzato dalle classi del Barozzi e del Venturi dal titolo ‘Cenerentola. La donna che appare e scompare’, che voleva puntare l’attenzione sugli stereotipi della donna nella letteratura e nell’arte. È seguita la premiazione di alunni e Fahrenheit 451
professori coinvolti nel progetto e l’illustrazione della presentazione power point realizzata dalle classi. Finita la presentazione, hanno preso posto sul palco gli attori dello spettacolo, Donatella Allegro, Diana Manea, Antonio Tintis e, alla fisarmonica, David Sarnelli. Lo spettacolo consisteva in una serie di letture accompagnate dal suono della fisarmonica, che avevano lo scopo di far riflettere la platea su un tema importante come quello della violenza mostrandone i lati più oscuri e brutali. Le letture proposte sono state: • Blob(fatti e accadimenti) misto ad ‘Associazione: una rete di parole’ di Robin Morgan tratto da Se non ora quando? Di Eve
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Ensler ‘La sonata di Kreutzer’ di Lev Tolstoj ‘Parte introduttiva’ di Malamore. Esercizi di resistenza al dolore di Concita de Gregorio ‘Estratti’ da Educazione sessista. Stereotipi di genere nei libri delle elementari di Irene Biemmi ‘Barbablù’ tratto da Malamore. Esercizi di resistenza al dolore di Concita de Gregorio ‘Il declino dell’impero patriarcale’ tratto da Sii bella e stai zitta di Michela Marzano
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‘L’Harem e l’Occidente’ di Fatema Mernissi ‘Vero’ di Carol Michèle Kaplan tratto dal testo Se non ora quando? Di Eve Ensler
Al termine dello spettacolo è stato proiettato un video di circa venti minuti che noi purtroppo non abbiamo visto (dovevamo tornare a scuola). Durante la sua presentazione, l’Assessore Mori ha reso pubblici alcuni numeri sul tema. Quello che credo il più preoccupante è il posto occupato dall’Italia (l’80°!!) nella classifica realizzata in base ai parametri dei vari Paesi di rappresentanze politiche femminili – siamo dopo Ghana e Zimbabwe. Roberta Mori ha poi dimostrato che nonostante le condanne, il problema della violenza sulle donne non viene ritenuto troppo importante, come dimostra il fatto che si continuano a tagliare i fondi per le vittime delle violenze. Credo che, per quanto queste iniziative possono essere importanti, non sono che il primo passo verso la risoluzione di un problema molto più ampio e radicato. Ma, come si suol dire, da qualcosa bisogna pur iniziare, e questo inizio è già ottimo. Il solo fatto che donne che hanno subito violenze tali abbiano trovato il coraggio di denunciarle e di parlarne in pubblico è un bellissimo esempio del loro coraggio e della loro volontà di non arrendersi. Nonostante tutto, la situazione resta drammatica, e questo a Fahrenheit 451
causa, oltre che delle persone, delle Istituzioni, fatto a mio avviso ancora più grave. Non possiamo pensare di aver vinto finché ci sono giudici che in una sentenza per stupro comminano una pena ridotta allo stupratore usando come attenuante il fatto che la vittima indossava un paio di jeans, che sono considerati difficili da togliere, e per questo doveva essere almeno in parte consenziente. Non possiamo pensare di aver vinto finché la classe politica pubblicizza la prostituzione e la
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considera solo un gioco innocente. Credo che sia nostro compito, e con ‘nostro’ intendo dei giovani e della popolazione in generale, dimostrare il nostro disgusto verso un fenomeno che può quasi essere definito ‘di massa’ – sono ben 116 le donne uccise nel 2012 – e bloccare una tendenza, un’abitudine, per quanto terribile, che continua a diffondersi.
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UNA SETTIMANA A EDIMBURGO
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Grazie al gemellaggio scolastico a Edimburgo, organizzato dal 20 al 26 settembre dal Liceo Muratori, ho potuto notare molteplici differenze, novità, curiosità a proposito della Scozia e degli scozzesi. Edimburgo è una città antica nel centro-sud della Scozia, il clima è piuttosto freddo e piovoso e nella grigia e nuvolosa città spicca il verde acceso della vegetazione e dei grandi prati. Ciò che salta subito all’occhio è una città pulita, ordinata, la cui popolazione si sente parte integrante della città, la rispetta e ne conserva le antiche tradizioni. Confrontando lo stile di vita scozzese con quello italiano ho potuto notare diverse differenze, tra le quali l’uso del “kilt”. In antichità il kilt veniva raccolto in vita e fermato da una cintura che serviva a coprire anche la parte superiore del corpo combinando il panneggio Fahrenheit 451
in modi diversi, a seconda delle preferenze, della temperatura e della libertà di movimento. Dalla vità in giù il “Feileadh mor” aveva l’aspetto dell’attuale Kilt, mentre il tessuto rimanente veniva portato sulla spalla e fissato da un fermaglio. Il “Feileadh mor” fu poi semplificato con l’eliminazione della parte superiore, lasciando solo la cintura e il gonnellino, e prese così il nome di “Feileadh bog”, Kilt piccolo. Oggi il Kilt viene usato come divisa distintiva delle Highlands, come divisa scolastica e non è difficile incontrare per le strade uomini che lo indossano! Nella settimana di permanenza, ad esempio, mi è capitato di vedere un paio di matrimoni scozzesi, in cui lo sposo e gli invitati indossavano il Kilt e la sposa o era in abito tipico delle donne in antichità, o aveva Dicembre 2012
l’abito bianco. Nelle strade principali, verso sera, era facile sentire il suono della cornamusa e in ogni momento della giornata non era difficile incontrare uomini che passeggiavano in Kilt oppure, paradosso, incontrare una famiglia in cui la madre era in pantaloni e il padre in Kilt che spingeva il passeggino! Spesso, inoltre, vengono organizzate feste dove la tradizione viene ulteriormente accentuata: ogni partecipante, uomo, donna o bambino, deve vestirsi in abito tipico. Le cornamusa suonano come sfondo e vengono svolti gli stessi giochi o intrattenimenti che venivano fatti dagli antichi antenati. In Scozia spicca un evidente senso di appartenenza alla nazione: qui tradizione e cultura continuano a persistere e a rendere unica la popolazione.
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Saranno gli antichi palazzi, i vicoli ciechi seicenteschi e le varie superstizioni e leggende a donare alla città di Edimburgo un’atmosfera così magica? E’ questa la prima impressione che ho avuto passeggiando per le famose strade della capitale scozzese durante la settimana dello scambio culturale trascorsa qui con la mia classe. Il cielo grigio ci accompagnava nelle numerose visite e un inverno anticipato cominciava a provocare un senso di disagio e noia. Ma, intravisto il centro, ci siamo presto ricreduti: immensi palazzi risalenti ad altri secoli riempivano le strade ed erano divisi l’uno dall’altro solamente da stretti vicoli ciechi, i famosi Close. Sono proprio questi ad aver maggiormente colpito la mia attenzione. Per meglio capire l’importanza che essi hanno all’interno di Edimburgo, ci è stata proposta
una visita al “Mary King Close”. Si tratta di un verso e proprio quartiere sotterraneo, appartenente all’epoca seicentesca, che si estende sotto la più celebre via della capitale, ovvero Royal Mile. Composto da un profondo labirinto di strade, è possibile immedesimarsi nella vita del passato dove alte case di pietra e piccole stanze buie indicano il degrado e la povertà che colpivano la zona all’epoca. Ci è stata raccontata la storia dei protagonisti del quartiere, come Mary King, vedova di un ricco mercante, grazie al quale riuscì ad ottenere diritti e un’importante posizione sociale, insolita per un periodo come quello. Attorno all’agiata signora invece, la peste del 1664 sterminava intere famiglie. Inoltre, leggende di apparizioni di bambini appartengono alle testimonianza dei Close, e numerose altre superstizioni completano la reale storia di molti luoghi di Edimburgo. Una sera, accompagnati dai nostri compagni scozzesi, abbiamo quindi intrapreso il Ghost Tour, ovvero il viaggio nel passato in cui, entrando in
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vecchie case o attraversando le piazze delle Chiese, siamo venuti a conoscenza di varie credenze antiche che gli abitanti ancora oggi rispettano. In particolare gli scozzesi sputano, come portafortuna, sopra ad un bassorilievo a forma di cuore, collocato davanti a St Giles, cattedrale della città, mentre evitano di pestarlo, poiché esso porta sventure all’interno delle storie d’amore. Edimburgo è una città che vive e non trascura il suo passato, anzi ne fa una ricchezza. Ed è per questo che all’una ogni giorno gli antichi cannoni del castello sparano affinché gli abitanti possano puntare l’orologio; e per questo molti uomini indossano ancora il kilt nel loro abbigliamento quotidiano. Spesso noi dimentichiamo l’importanza della storia del nostro paese e dovremmo imparare qualcosa dai compagni scozzesi che, grazie al loro modo di credere nei vecchi costumi, ci hanno fatto conoscere la bellezza di una città il cui passato vive ancora. $"!/0#!&-#12#&#*&+&
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I NUOVI RAPPRESENTANTI INTERVISTA
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In un paese come il nostro in cui tutti gridano al cambiamento e al rinnovamento, anche nella nostra scuola, durante la presentazione delle liste per i futuri Rappresentanti d'Istituto si sono viste facce nuove, più o meno conosciute, che si sono candidate presentando programmi incentrati sul coinvolgimento degli studenti e sul rinnovamento della figura del Rappresentante. Dopo le votazioni tenutesi il 26 Ottobre, sono stati eletti: Marco Convertini (III A), Lorenzo Crudo (IV F), Matteo Lipparini (III A) e Rexhina Saraci (II A). Come ogni anno, noi della Redazione del Fahrenheit siamo curiosi di conoscerli e di sapere come la pensano sulle questioni principali legati alla gestione della nostra scuola. Leggete cosa ci hanno detto! Cosa ti ha spinto a candidarti rappresentante d'istituto o ad aderire alla lista? MC: Sopratutto il poter dare un contributo concreto, quindi poter migliorare la situazione in modo personale, con le idee utili che si hanno in testa. LC: Tante cose, ma prima fra tutte il comportamento di alcuni dei rappresentanti d'istituto dell'anno scorso e quindi ho deciso di scendere in campo per provare a cambiare le cose. Con questo non voglio dire di avere la certezza di riuscire ad essere migliore di loro, quello del rappresentante è un ruolo che comunque richiede un certo impegno. ML: Fin da quando Marco ha iniziato a parlarmene in luglio mi sono appassionato al progetto e alle sue linee guida e immediatamente abbiamo iniziato a lavorare insieme. RS: Non avevo mai considerato seriamente l’idea di candidarmi finché a luglio Marco non mi ha Fahrenheit 451
presentato il suo progetto a cui aveva già aderito Matteo. Le idee erano ambiziose ma attuabili e finalmente serie così mi sono subito lasciata coinvolgere e ha cominciato ad appassionarmi l’idea di agire in prima persona. In che modo si è composta la tua lista, come hai scelto i tuoi compagni? Qual era il messaggio che più volevate trasmettere a noi studenti? MC: L'idea di creare la nostra lista è partita da me, poi ho scelto di coinvolgere Lipparini perché lo conosco bene e so che è molto bravo a relazionarsi con le persone; ha un grande interesse per il rispetto dell'ambiente. Poi ho scelto Regina perchè sapevo che era molto impegnata con i progetti scolastici, in particolare il giornalino; poi è risaputo che è la più grande esperta di tecnologia del Muratori! Tengo soprattutto a precisare che grazie alla loro collaborazione abbiamo raggiunto davvero un ottimo livello: hanno fatto cose che da solo non sarei mai riuscito a creare. LC: Un giorno al bar davanti alla scuola, io Enzo Valentini e Giulio Santi (che per motivi diversi non ha potuto partecipare in seguito) mentre discutevamo, ci siamo trovati concordi su molti degli aspetti problematici che esistono all'interno della scuola e ci siamo uniti con Angelica che già voleva candidarsi. Ciò che abbiamo deciso di fare è stato pensare più coscenziosamente a quello che accadeva nella scuola e non comportarci più in modo passivo, lamentandoci senza metterci in gioco in prima persona, ed è ciò che volevamo trasmettere anche ai nostri compagni. Dicembre 2012
ML: Mi ha coinvolto nella lista Marco e c'erano molti che aspetti che volevamo sottolineare, ma in particolare la nostra serietà nel presentarci con un progetto fattibile e già preimpostato per la maggior parte dei punti. Se in cinque anni abbiamo avuto solo programmi utopici, il nostro obiettivo era quello di proporre progetti veramente realizzabili. E inoltre coinvolgere tutti gli studenti anche in quegli aspetti della scuola che non sono sentiti così vicini; una completa
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trasparenza in cui niente fosse precluso alla condivisione. RS: Non ho scelto personalmente i miei compagni, ma credo che non avrei potuto trovarne di migliori. Ci siamo candidati perché veramente teniamo alla scuola, ai suoi ambienti ma soprattutto ai suoi studenti, anche quelli futuri a cui speriamo di lasciare qualcosa di concreto. Vogliamo rendervi tutti partecipi di quello che stiamo facendo noi e le altri componenti della scuola con la massima trasparenza.
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Durante la presentazione delle due liste, è apparso chiaro che ci fossero delle evidenti diversità e punti chiave inconciliabili. Come conviveranno i contenuti delle due liste all'interno del nuovo gruppo di rappresentanti? MC: Nei pochi punti che avevamo in comune, le differenze sono ampiamente superabili. Penso che la differenza tra noi e loro fosse nell'approccio verso gli studenti e per esempio, nella modalità di decisione per le assemblee d'istituto su cui però abbiamo già raggiunto un punto d'incontro. LC: Penso che Marco, Matteo e la Regina abbiano delle ottime idee e un forte senso di organizzazione, per questo sono stati eletti tutti e tre: io sono ben disposto a collaborare con loro. ML: Abbiamo da subito trovato un accordo e stiamo già lavorando tutti insieme molto intensamente sugli obiettivi che ci siamo posti; andando aldilà della provenienza da una o dall'altra lista, cooperiamo insieme per una completa trasparenza del nostro operato e per difendere gli interessi di noi studenti. Fondamentale, comunque, la franchezza che regola il rapporto tra noi rappresentanti. RS: Lorenzo ha subito mostrato di approvare le nostre idee e insieme ci siamo posti dei nuovi obiettivi. In fondo abbiamo tutti gli stessi interessi quindi continueremo a convivere senza problemi. Se ci saranno divergenze le affronteremo, con il confronto non si può che migliorare. Qual è l'eredità lasciata dai precedenti rappresentanti, come giudichi il loro operato? Che miglioramenti pensi di apportare alla figura di Dicembre 2012
rappresentante? MC: Vorrei, per prima cosa, sottolineare il fatto che anche quando si critica bisogna ricordare che siamo molto fortunati a riuscire ad ottenere tutti questi “privilegi” come i rappresentanti, le assemblee e un piccolo potere decisionale. Detto questo, penso che tutti noi potremmo fare di più, ma partiamo già da ottimi risultati ereditati dai precedenti rappresentanti e quindi il nostro compito, in qualche modo, è reso più difficile. LC: L'anno scorso non sentivo tanta vicinanza tra me e i rappresentanti, non sempre si veniva a conoscenza delle loro decisioni o di cosa avveniva nei vari consigli/comitati; vorrei evitare questo. Pensiamo anche che si possa migliorare sulle assemblee e sull'orientamento universitario. Le commissioni erano e sono un'ottima idea ma necessitano anche quelle di un più stretto rapporto con i rappresentanti. ML: L'anno scorso avevo una visione da studente e non sentivo la vicinanza tra me e il gruppo di rappresentanti; anche quando gli studenti venivano coinvolti, ad esempio con le commissioni, non c'era mai un filo diretto con il lavoro dei rappresentanti. RS: Da studente rispondo che avrebbero certamente potuto fare di più. Come rappresentante invece mi esprimerò quando avrò dimostrato di aver agito meglio, comunque temo che farò a meno di paradigmi. Lavoreremo sulle assemblee d'istituto e lì dove i nostri ex rappresentanti a quanto pare non hanno eccelso, come il rapporto con gli studenti, ma qui mi dissocio per inesperienza. Insomma cose pratiche, di cui gli studenti si accorgano. 8
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Speriamo di accrescere la fiducia nei confronti della figura di rappresentante e che l'anno prossimo si sentano pronte a candidarsi più di sei persone. Come pensi sarà la tua esperienza come rappresentante d'istituto? Quali sono gli obbiettivi che tu e i tuoi colleghi vi siete prefissati per quest'anno scolastico? MC: Sarà davvero complicata, ci scontriamo continuamente contro difficoltà soprattutto economiche senza le quali potremmo fare molto di più; ma al con tempo è molto stimolante riuscire a fare tutto con poco. Abbiamo come obbiettivo principale quello di mantenere le promesse, diffondere l'idea fondamentale di collaborazione tra gli studenti e incominciare un cambio di mentalità. Per esempio la partecipazione alle assemblee, che prima di tutto è un diritto e non un obbligo: vorrei che gli studenti si convincessero che la partecipazione è davvero utile e basta provare per capire la differenza. LC: Credo che sarà un'esperienza impegnativa ma per certi versi anche divertente. Per quanto riguarda gli obbiettivi sicuramente come ho già detto, almeno personalmente, punterò a cercare di ascoltare i miei compagni e renderli partecipi delle decisioni che ci riguardano. ML: Dura, occorre molto impegno, ma allo stesso tempo sono molto contento di avere questa opportunità: credo molto nel programma e anche se le difficoltà non mancano penso che impegnandoci a fondo e facendoci valere posiamo ottenere quell'appoggio che spesso manca anche in consiglio ! Fahrenheit 451
d'istituto. Per quanto riguarda gli obiettivi alcuni li abbiamo già raggiunti: frangigetto e lampadine a basso consumo che sono il primo tassello del progetto ambiente, assemblee gratuite,la campagna sconti, la condivisione di quello che avviene in consiglio e dei documenti che riceviamo, l'entrata alle 7:45; stiamo lavorando per il fotovoltaico, le commissioni, per l'apertura della biblioteca, e a breve imbastiremo il lavoro per l'orientamento. RS: Non sarà facile perché incontreremo continuamente degli ostacoli, ma, aldilà della grande responsabilità sarà un'esperienza positiva perché credo in quello su cui io e i miei colleghi stiamo lavorando. I nostri obiettivi non sono cambiati e alcuni sono già stati raggiunti. Le assemblee continueranno a essere gratuite e speriamo abbastanza coinvolgenti da allontanare l'idea che siano solo un giorno in cui studiare o dormire, invece che un'opportunità per conoscere e approfondire tematiche diverse. Stiamo attuando il progetto di risparmio energetico, organizzando le commissioni e vedremo di trovare una soluzione anche per la biblioteca. Oltre e grazie a tutte queste faccende pratiche ci auguriamo di farvi passare un anno scolastico piacevole!
soltanto portavoci dei sentimenti di noi studenti e non superiori, si stanno già muovendo rapidamente, mettendo da subito in pratica ciò che avevano proposto durante la presentazione delle liste. Non resta quindi nient'altro che auguragli buon lavoro!
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I rappresentanti sono molto impegnati nel far promuovere il risparmio energetico e il rispetto dell'ambiente e per contribuire a sensibilizzare maggiormente gli studenti, verrà affisso alla porta di ogni aula un decalogo di comportamenti eco-virtuosi e avvisi nei bagni per il risparmio idrico. Questi ragazzi, che molto spesso hanno ribadito di essere Dicembre 2012
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RACCONTO
UN NATALE… DIVERSO!
Stufa degli spot pubblicitari dei panettoni, stufa delle annuali polemiche su quanto spende l’amministrazione comunale per gli addobbi e ancor più stufa della corsa ai regali inutili che vengono poi riciclati alla prima pesca di beneficienza del paese, ho deciso di trascorrere le vacanze dove potessi riscoprire la vera essenza del Natale. Quale posto migliore di Betlemme? Dopo lunghe ore di viaggio, giungo in Palestina. Dai finestrini del polveroso autobus che mi porta a Betlemme non vedo magiche dune sabbiose decorate da folti arbusti. Il paesaggio che mi si presenta davanti è segnato da disordinati casermoni di cemento e imponenti tralicci che occupano l’intero orizzonte. Al posto delle semplici casette, ornate di legno e muschio ecco brandelli di muro e macerie, risparmiati dall’attacco spietato delle bombe e coperte da murales che condannano una situazione in cui la “pace ha le ore contate”. Ad ogni angolo di strada sono seduti su sacchi di sabbia soldati che hanno abbandonato la antica tunica rossa, i sandali e il gladio romano, e ora indossano mimetiche verdi e imbracciano mitra americani. Lungo il Muro che dal 2004 divide Gerusalemme da Betlemme non vedo i pastori con le loro greggi, ma un centinaio di uomini in fila dalle prime ore del mattino in attesa di superare il check-point e recarsi in fabbrica a sudare un salario. Per le strade sono scomparsi i
vivaci suonatori di liuto e di cornamuse, vedo solo disperati bambini che mi tirano i lembi della maglia e cercano nelle tasche qualche spicciolo, ripetendo a memoria “help me please” . Anche le fanciulle cariche di sorrisi e doni da portare alla capanna sono sparite. Al loro posto ecco alcune donne appena fuori dall’uscio di casa, impegnate a vendere le proprie stoviglie e attrezzi domestici pur di racimolare quel che basta a sfamare i figli. Mi allontano dalla via, in silenzio, le lacrime si mescolano alla pioggia che cade sull’arida terra e i sospiri al vento. E’ ormai tardi e le luci delle abitazioni si affievoliscono. Un’ultima casa rimane illuminata. Sta entrando un uomo, stanco e stremato dalla fatica di una lunga giornata di lavoro. Il suo sguardo è pieno di rabbia e delusione. Non appena entra ecco corrergli incontro un bambino che gli getta le
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braccia al collo e gli stampa un bacio. Segue il fanciullo una donna che si avvicina e gli accarezza il viso, come solo una moglie può fare. Ed ecco che in un momento all’uomo torna il sorriso. Un sorriso che testimonia la tenacia di chi non si arrende e lotta ogni giorno per un abbraccio e una carezza. E anche se è durato un istante, quel sorriso è bastato per farmi riscoprire la vera essenza del Natale.
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REGALI DIVERSI
Era fine ottobre quando sono passata davanti ad alcuni negozi che avevano già gli addobbi di Natale. In altri invece, come vedo ogni mattina, a metà dicembre non c’è ancora traccia di lucine colorate, ma il clima natalizio lo sento nell’aria. Le lunghe file ai semafori del centro, le code ai negozi con i migliori saldi, ragazze che passeggiano cariche di sporte piene di piccoli acquisti e grandi fiocchi, gente che saltella da una boutique all’altra cercando il regalo più opportuno. Capita a tutti, spesso, anche a me. Ma a volte si finisce con l’accontentarsi. Si parte con un’idea che sembra meravigliosa, sicuri di ciò che si vuole comprare, poi nascono i dubbi del tipo: “Ce l’avrà già?!” “E se non le piacesse?”. Si va in crisi e il magico regalo di Natale diventa la prima cosa consigliata dalla commessa di turno. Così facendo però, il clima di festa perde valore. E, di conseguenza, tutti i regali che vengono fatti. Se non si è più capaci di donare qualcosa di veramente sentito ad una persona cara, vuol dire che non la si conosce bene. Se non le si è così vicini da ! Fahrenheit 451
prevedere cosa può volere o di cosa ha bisogno, come ci si può chiamare amici? Che senso ha spendere soldi inutilmente, se non siamo sicuri di ciò che vogliamo regalare? E così nasce la finta ricchezza. L’ammontare di oggetti futili, frutti di false amicizie o rapporti finiti. Possedere qualcosa che non ha valore, è come non averlo. Mi piace sapere chi mi ha regalato il portafoto che ho sulla scrivania; che i fiori appoggiati sul tavolo del salotto li ha raccolti mia sorella in giardino. Preferisco avere poche cose piene di importanza, che una mensola fitta di oggetti senza ricordi. L’altro giorno pensavo a qualcosa di originale da fare alla mia migliore amica. Lei ama leggere, quindi ero andata sicura su un romanzo! Però, mentre sfogliavo pagine appena stampate di nuovi scrittori, non riuscivo a trovare quello giusto. Non c’era quella sensazione di sicurezza, quelle scintille, che ti fanno capire che è il libro che cerchi. Perché i libri parlano. Quando li apri e scorri le prime righe senti subito se ti stavano cercando. Creano una grande dipendenza. Ed entri in mondi Dicembre 2012
neanche minimamente descrivibili a voce. Peccato che non fossi riuscita a cogliere quello giusto, quella sera, ed ero uscita un po’ delusa da quella libreria, senza nessun’altra idea. Mentre ritornavo verso la fermata dell’autobus, sfiorai per caso la vetrina di una vecchia cartoleria, che non avevo notato prima. Ed è stato proprio lì davanti che mi è venuto in mente il regalo davvero perfetto. Le avrei regalato un quaderno. Bianco. Perché le avrei lasciato spazio e avrebbe potuto completarlo e usarlo per tutto ciò che le sarebbe piaciuto. Non è forse questo il concetto di semplicità? Il donare qualcosa senza avere il timore di farlo risultare banale, perché lo potrebbe già avere? Sono sicura che quel quaderno bianco mi ritornerà indietro. Pieno di pagine della nostra amicizia. ! !
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In Afghanistan lo chiamano “pugno sul cuore” In Afghanistan lo chiamano “pugno sul cuore”. È così detto proprio perché l’impressione è quella, come un qualcosa –una mano- che preme risalendoti il petto dall’interno. D’altro canto, in Afghanistan non c’è molto spazio per la fantasia. John, però, quella sensazione la conosceva molto prima d’allora. All’inizio era lieve, breve e non lasciava impronte. Come un’ombra nascosta nella notte. Sentì la prima nocca spingere nella carne quando guardò sua sorella Harry, barcollante e fradicia d’alcool, gridando il suo odio verso il mondo e verso di lui, uscendo fuori di casa – definitivamente. La seconda arrivò qualche mese dopo, alle lacrime silenziose – invisibili- sul volto di sua madre, che non lo guardava neanche in viso, ma lui poteva vedere – immaginare- le sue labbra tese dal disgusto, tese da quelle parole mai pronunciate, che però riecheggiavano nell’aria. Sei proprio come tua sorella. E John aveva sospirato –piano, impercettibilmente- a quell’eco muto che gli trapanava l’orecchio, voltandosi verso la foto di suo padre, che non era più sul comodino da ormai troppo tempo. È questo che si ottiene ad annunciare alla propria famiglia che si parte. Per l’Afghanistan. Le altre tre arrivarono tutte in un colpo solo. Il giorno dopo doveva partire. Non sapeva quando sarebbe
tornato e sua nonna –quella che l’aveva spinto sull’altalena da bambino, sfamato ogni domenica da ragazzo- era agli sgoccioli. “Un saluto non fa mai male” pensò. E sbagliò. La trovò pettinata, vestita con il maglioncino leggero di sempre, con la badante dal sorriso gentile che le parlava.
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«Guardi, signora, c’è il suo nipotino!» Peccato che non ricordasse neanche il suo nome. Eppure John l’aveva scelto lei, in memoria del nonno. La badante uscì per diverse commissioni, rassicurata dalla presenza di qualcuno in casa. In quelle ore John vide l’inferno. Gli occhi vacui, le domande senza risposta.
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Si allontanava a prendere un bicchiere d’acqua e richieste d’aiuto –lamentose, patetiche, spaventate- riempivano l’aria, in un tono sempre più forte, sempre dannatamente più forte. «AHIA!» E John sentì l’anulare premere. «Che c’è, nonna? Hai male da qualche parte?» «No.» E John sentì il mignolo penetrare. «E perché allora dici “ahia”?» «È più semplice.» E John sentì il pollice spingere. «Più semplice di cosa?» «Non lo so…» E John sentì un conato, un conato che dal cuore arrivò agli occhi. Quando ormai stava sopraggiungendo la sera, tornò la badante e John aveva deciso. Aveva capito che l’Afghanistan era la sua strada. La sua vita. Niente più dubbi. «Allora, come si è comportata? Ha detto molti “ahia, ahia”?» e ridacchiò leggermente. John non ci lesse cattiveria, ci doveva essere abituata, ma come –come? Sentì il pugno conficcarsi nel cuore, così forte da spingerlo in gola. Doveva scappare. Doveva scappare da quella morte in bottiglia, da quella vita allo stremo. L’Afghanistan era perfetto. Quando arrivò respirò come non faceva da anni, o non respirò affatto. Le bombe, le pallottole, il fiato corto, il sudore, i compagni di stanza che cambiavano ogni settimana, la rabbia, i pianti nella notte, l’adrenalina, lo riempivano così tanto che non avvertiva altro. Eppure. Eppure a volte, quando cercava di prendere sonno nella sua brandina sfondata, sentiva il sangue colargli dalle mani. Giù, giù fino ai gomiti.
E sapeva che non era reale, sapeva che non c’era sangue, non c’era niente, eppure ! correva in bagno, a sciacquarsi gli avambracci, mentre ormai sentiva il cuore sulle labbra e le unghie nella gola. Dopo fu ancora peggio. Dopo ci fu il proiettile conficcato nella sua spalla. Dopo ci fu l’ospedale. Dopo ci fu la febbre. Dopo ci fu il suo congedo. Dopo ci fu il nulla. E come unico ricordo un bastone. E quella donna continuava ad insistere. Continuava ad insistere che lui scrivesse su quel dannatissimo blog chissà che cosa. Sicuramente lo faceva in buona fede, sicuramente pensava che lo aiutasse, ma sapeva lei – laureata in chissà quale università di psicologia a erba tagliata con il righello- cos’era un pugno sul cuore? L’aveva mai sentito premere così forte da desiderare di strapparselo? O tutto il contrario, di tenerselo saldo, di cacciarlo in gola come la tua unica fottutissima speranza? No, John non credeva. «Nothing happens to me.»
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Cavallina, cavallina storna … che porti colui che dopo cent’anni ritorna LE CELEBRAZIONI AL MURATORI PER IL CENTENARIO DELLA MORTE DI PASCOLI Nella mente di qualsiasi studente il nome di Giovanni Pascoli evoca un mash-up di cavalline storne, ranelle e passatori cortesi, che si sovrappongono e si confondono in un rave party di versi frammentati, inculcati a frustrate, sin dalle elementari, nella memoria. Proprio per questo la Giornata Pascoliana, organizzata dal nostro liceo in occasione del centenario dalla morte del poeta, offriva soltanto la rilassante prospettiva di quattro ore di coma assoluto nelle profondità delle poltroncine dell’aula magna. Chi mai avrebbe immaginato, appena entrato, di trovarsi un “Pascoli in pantofole” immerso fino al collo nella prosaica quotidianità della vita comunitaria con le due sorelle? L’aula magna si è trasformata nello studio di Occhio alla spesa e un’inedita professoressa Cavazzuti, in versione puntigliosa massaia, ha fatto venire l’acquolina a tutti, leggendo le lettere di casa Pascoli ripiene di cappelletti, lasagne, sangiovese, galline strozzate per il brodo di Pasqua … ebbene sì, anche i poeti sono alle prese con i conti ! Fahrenheit 451
CENTENARIO
di fine mese e le liste della spesa! Ma queste lettere non provenivano da una casa qualunque: tre giovani romagnoli che vivono assieme, liberi dalle convenzioni borghesi, nell’atmosfera idillica di una Massa agricola di fine ‘800…no, non sono i protagonisti di un reality dell’epoca, ma di sicuro erano oggetto di non pochi sospetti maliziosi. Ma le parole di Ida, Maria, Giovanni e persino del cane Gulì, a cui il nostro poeta prova a dare voce, rivelano l’affetto, la cooperazione e la fedeltà reciproca che stanno alla Dicembre 2012
base di questo tentativo di ricostruire un nido sicuro, sulle ceneri di quello dell’infanzia. Sono lettere vivaci, scritte a più mani, disseminate di vezzeggiativi infantili e formule dialettali: è un vero e proprio pastiche linguistico la lettera scritta dal cane pe ditti ke (…decisamente un cane truzzo) staggo bene e in appettitto e ricoddatti di povvero mio amicco Goddon , firmata Gulì Paccoli. Certo, verrebbe spontaneo dire a questa allegra combriccola: “Ma fatevi una vita!”, e in effetti la più furba di tutti, Ida, alla prima occasione di libertà dalla morbosa presenza del fratello, se ne scappa via con un bel giovanotto, radendo al suolo il nido, l’ultima speranza di felicità per Giovanni. Insomma tutta la vita di Pascoli è una continua ricerca di un posto sicuro, in cui ritrovare la serenità della sua infanzia, quell’infanzia funestata da lutti così melodrammatici da fare vomitare generazioni di studenti. “Più sono i fratelli, meno mi commuovo; e poi, sinceramente, cosa interessa a me della madre morta?” Direi che le parole di Marino Moretti ben
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sintetizzano il nostro comune sentire. Ed invece Pascoli chi si permette di invidiare per l’infanzia felice e spensierata, che lui non ha mai avuto? “Tra tutti i poeti che poteva scegliere, proprio Giacomo Leopardi!” ci ha risposto la professoressa Savino, dimostrando come quel transfert che è scattato tra il gobbetto e il nostro Zvanì, in realtà deriva da un completo fraintendimento. Se per Leopardi l’infanzia è intesa come età primigenia dell’umanità, in cui l’uomo si poteva illudere di essere parte del tutto, la natura come entità ostile, incurante degli uomini, confederati in una social catena per combatterla, il ricordo del passato come occasione per percepire l’amarezza del presente, per Pascoli questi
temi sono declinati quasi in senso opposto: la poesia non è occasione per riflessioni filosofiche, ma per dare voce ad un mondo fatto di impressioni, di fantasmi, di dolci ricordi dell’infanzia, di cose viste con gli occhi ingenui del fanciullino, nel dolce
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abbandono tra le braccia materne della natura. Voto finale: 3, totale fraintendimento della traccia. Diciamo però che se la cavava meglio in latino: non è da tutti vincere dodici medaglie d’oro, con altrettante magnae laudes ad un certamen di rilievo europeo, come quello Hoeufftianum. E anche qui ci è stato presentato, dalla professoressa Paradisi, un Pascoli forse più moderno di quello a cui siamo abituati. Nei suoi poemetti in latino, il poeta delle cose si rivela anche acutissimo narratore dell’animo umano, capace di analizzare i deliri di Giugurta incarcerato o il trauma di Tallusa, schiava romana alla quale viene sottratto con la forza il figlio. In questa indagine proto psicanalitica, però, non poteva fare a meno di analizzare anche se stesso, visto che, se lo avesse conosciuto Freud, non credo se la sarebbe cavata solo con un paio di sedute. Così, in controluce alla vicenda del Reditus Augusti, è possibile scorgere il suo rapporto ambiguo con il mondo femminile e la melanconia del
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Associazio
oraziana alla vertigine dell’uomo di fronte allo spalancarsi del cosmo: la professoressa Ghermandi ha così concluso il nostro viaggio su questo poeta dell’800, evidenziando il presentimento pascoliano della crisi dei valori sacri del suo secolo (la scienza e la storia), che apre la via alla poesia del ‘900. Gli uomini penduli della poesia La vertigine, ingombri dell’oblio che nega, nonostante abbiano sempre sotto gli occhi questa informe oscurità, hanno perso i loro punti di riferimento. La vertigine diventerà nel ‘900 il terrore di ubriaco di Montale, il nulla, il senso di spaesamento esistenziale: le determinatissime cose pascoliane, che si stagliano su uno sfondo sfocato, come la sizza, le fratte, il cancello cigolante, saranno per Montale allegorie di uno stato esistenziale, di una vita che è un secco greto. La poesia delle cose è la grande eredità di Pascoli, che verrà trasmessa a Saba, Pavese, fino ad arrivare a Bertolucci, Giudici, Rentocchini. Gettando uno sguardo profondo e infantile sulle cose, il poeta riesce a dare voce ad esse, come un’arpa mossa dall’aria: concludendo proprioAula con le Mag parole di un erede di Pascoli, come Rentocchini, posso dire che la poesia pascoliana Viaè Citt veramente parola lievitata, portatrice di significati altri che, chi fa il pane, cioè il poeta, consegna a noi … questa parola lievitata è ciò che questo straordinario fornaio ha preparato per noi.
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poeta ormai vecchio, che ha sbagliato la vita e ora si ritrova solo: urtato e pestato dalla folla radunata per accogliere Augusto, tornato in trionfo dalla Spagna, Orazio si ritira per il banchetto e manda a chiamare la citarista Neaera; accorgendosi però di avere ormai i capelli bianchi, teme che Neaera rifiuti il suo invito e si mette a scrivere l’ode XIV del libro III, ritrovando i ricordi della sua giovinezza
(quando non avrebbe mai tollerato il rifiuto da parte di una donna). Il poemetto è a lieto fine, perché la citarista accetta l’invito di Orazio, in quanto egli è possessore del fiore dell’eterna giovinezza, la poesia … insomma, il buon Giovanni le provava tutte, ma non so quante donne ha incontrato della stessa opinione di Neaera. Ma Pascoli è capace anche di passare dalla medietas
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Europa.. è qualcosa di familiare, naturalmente. E’ un concetto vicino a noi, eppure non risulta così facile rispondere quando si parla di cosa sta dietro a questa parola. Europa.. cos’è per ognuno di noi? Dietro al termine geografico, ci si riconosce con il termine “europeo”? Esiste davvero un’identità europea in Italia? Di solito si sente parlare di Europa per quanto riguarda le questioni economiche.. è un’Unione che limita, multa, diventa sempre più rigida nel ruolo di “sorella maggiore” intransigente.. ma è veramente questa la sua funzione? La nostra città nel mese di ottobre si è posta diverse domande riguardo al tema: nella settimana dal 20 al 27 è stato allestito un articolato percorso di attività e laboratori che ha coinvolto proprio noi cittadini di Modena alla ricerca di risposte sul concetto di Europa e la nostra identità
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culturale europea. Il progetto ha preso nome dal mito, “il Ratto D’Europa: per un’archeologia dei saperi comunitari”, e il risultato delle iniziative dovrebbe essere uno spunto per l’allestimento di uno spettacolo teatrale a Maggio. Ci sono stati nel corso della settimana concerti, allestimenti, letture, giochi per la città, e da tutto questo credo si sia riuscito a intravedere proprio quel lato della tematiche europee che ci fanno sentire parte di un progetto politico importante. L’Unione Europea non è un freno, ma un incentivo al libero commercio, allo scambio culturale, ad una politica di apertura pacifica e alla cooperazione tra stati. Per noi ora sembra naturale intraprendere esperienze di lavoro, studio o viaggio in una realtà internazionale sempre più simile alla nostra, e questo
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è il risultato dello sforzo delle potenze europee verso una integrazione che non sia totalizzante, ma un “complemento” alla cittadinanza nazionale. Nella Costituzione europea ci sono i principi che riassumono la volontà dei paesi membri dell’Unione di tutelare i diritti universali dell’uomo e di garantire un’aggregazione pacifica in un’ unica identità politica, guardando oltre le aspirazioni nazionali. Io credo che l’Europa possa garantire una maggiore stabilità politica ed economica mondiale, e anche se i problemi non mancano, si è in ogni modo fatto un passo avanti verso la realizzazione di un progetto politico laico e pacifista. Spero quindi che questo progetto abbia spinto a riflettere su qualcosa che non è ribadito così spesso come si potrebbe pensare.. Forse ora ci si sente più cittadini europei, e perchè no, cittadini del mondo.
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MULTA PAUCIS
CIAO, COME VA? TUTTO OK
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Lo ammetto: è un titolo un po’ noioso, ma scommetto che a pochi è capitato di soffermarsi sul significato originale di parole così scontate, quasi banali, come “ciao” o “ok”, che però non faticherebbero ad entrare in una top ten delle parole più utilizzate. Prendiamo in esame il saluto informale per eccellenza della nostra lingua: non c’è un italiano che non si conceda un ciao almeno una volta al dì, ma questo italiano sa che con il suo genuino saluto si sta di fatto rendendo schiavo del suo interlocutore? Proprio così! Pare infatti che “ciao” non sia altro che un calco del termine veneto “sciavo” (contrattosi in sciao e successivamente nel nostro ciao) tanto in voga nel lessico degli servi veneziani del ‘700 con il quale si rivolgevano ai loro padroni. Il suo significato si è staccato a tal punto da quello natio da ribaltarsi: se trecento anni fa equivaleva a un solenne “sono vostro schiavo”, marcando in modo netto la distanza sociale tra i due individui, ora è estremamente confidenziale e usato in una conversazione informale risulterebbe grossolano e maleducato. Per l’etimologia di “ok” dobbiamo invece spostarci oltreoceano. Le tesi sulla nascita di questa anglofona sigla sono numerose ma una nell’immaginario comune statunitense resta la più accreditata. Il 1840 fu negli Stati Uniti anno di elezioni presidenziali; candidati il signor Martin van Buren, democratico, e presidente in carica, e il generale Henry Fahrenheit 451
William Harrison, repubblicano. Il comitato che sosteneva la rielezione del Van Buren pensò di adottare come nome del partito quello del villaggio di nascita del proprio candidato, Kinderhook, nello stato di New York, battezzandosi così Old Kinderhook Club, presto abbreviato in o.k. Sigla facile, breve, martellante, divenne presto il simbolo e il grido di battaglia del comitato elettorale, e dal linguaggio politico non tardò a passare in quello comune come formula di approvazione. Durante la seconda Guerra mondiale invase l’intera Europa, diffuso dalle truppe statunitensi, divenendo così d’uso internazionale. Altra tesi, meno
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credibile ma supportata da una fonte storica antecedente, è che O.K. fosse un’abbreviazione tipografica per Oll Korrect (Tutto corretto); a sostegno di ciò il ritrovamento di tale sigla in uno stampato del Boston Morning Post del 1839. Infine, c’è chi con un pizzico di ingenuità sostiene che derivi dalla voce degli indiani d’America oke (“d’accordo”). Insomma, malgrado l’origine lasci ancora ampio spazio a perplessità, non c’è invece dubbio sul fatto che ormai viviamo in un mondo cosmopolita, e ce lo può dimostrare anche una semplice parolina come ok.
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TEATRO TEATRO
TROIANE
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L’opera scritta da Euripide nel 415 a.C. narra gli eventi successivi alla fine della celebre guerra di Troia. È una tragedia che si può definire “insolita” in quanto gli eventi catastrofici concernenti la guerra e la distruzione sono già conclusi. Si narra infatti il post-bellum e quindi la fine ingiusta e triste delle “ troiane “, donne dei vinti di guerra, in particolare di Cassandra , Andromaca ed Ecuba, assegnate rispettivamente ad Agamennone , Neottolemo e Odisseo, i vincitori. Le donne sono private di qualunque dignità e rispetto, non sono altro che oggetti, i bottini di guerra di vincitori che si credono “eroi” dal potere illimitato perché hanno saputo domare la guerra e ora possono domare la donna loro assegnata. Eroi , riconosciuti come tali , anche dalla tradizione che insegna che ai tempi dei greci la massima gloria si raggiungeva attraverso le straordinarie imprese di prodi paladini. Questa bella nomea, manifesta la sua fragilità se si osserva la vicenda da un altro punto di vista: quello dei vinti vivi che paradossalmente sono più “inguaiati” dei morti , in quanto devono fare i conti con le pretese dei vincitori. Con questa idea innovativa Eschilo apre la strada a una serie di riflessioni interessanti e non obbligatoriamente pessimistiche. Innanzitutto sfata il mito che la forza da sola basti per Fahrenheit 451
piegare un popolo o un essere umano. Andromeda ad esempio vede distrutte la propria casa, la propria famiglia e la propria libertà e come se non bastasse il vincitore vuole impadronirsi del suo stesso dolore impedendole persino di piangere sul corpo esanime del figlio Astianatte.
Tale tracotanza da parte dell’uomo viene condannata dall’autore che fa prendere voce al suo pensiero mediante le parole pronunciate da Poseidone all’inizio del dramma <stolto è l’uomo che distrugge città, perché uccidendo gli altri è se stesso che condanna alla Dicembre 2012
rovina,col tempo>. La frase è profetica , in quanto preannuncia il maremoto che affronteranno le navi greche nel tornare a casa e suggerisce l’esistenza di un ente superiore che regola i rapporti umani e ne ristabilisce gli equilibri. Tuttavia le donne , seppur afflitte da un dolore straziante e provate dagli accadimenti non si mostrano arrendevoli , sono indubbiamente deboli rispetto ai loro carnefici ma allo stesso tempo hanno una forza indomabile che proviene dal loro animo e le spinge a lottare per conservare la propria identità nonostante il loro mondo sia stato distrutto. La forza di volontà le spona a non arrendersi. “Troiane” non è quindi un semplice canto di dolore collettivo ma una sorta di bildungsroman che insegna all’uomo a non arrendersi ma ad avere coraggio nell’affrontare i casi più disperati della vita. Lo spettacolo è stato rappresentato al Teatro Storchi dal 13 al 16 dicembre 2012.
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FUORI DAL GIARDINO L’idea di scrivere questo articolo mi è venuta leggendo un articolo sul “linguaggio” dei fiori, da qui ho pensato di ricavarne una piccola selezione per creare una sorta di breve vademecum per le occasioni speciali. Lo scopo di questo testo è di aiutare sia le ragazze che i ragazzi; le prime a capire il significato nascosto dietro un dono - che, diciamocelo, è da considerarsi praticamente un’utopia, perché secondo la mia (scarsissima, vi avverto) esperienza i ragazzi che regalano fiori stanno progressivamente cadendo in un’irreversibile estinzione e tra questi pochi, fate attenzione a quelli che sanno pure il loro significato, perché quasi nel 30% dei casi sono esseri alieni o vampiri. Spero invece di riuscire ad aiutare i ragazzi a decidere i fiori più adatti e fare bella figura davanti alle loro belle che verranno sicuramente conquistate da simili corteggiatori - sia chiaro che non me ne assumo la responsabilità. Passiamo quindi ai fiori.
amore e passionalità, quella gialla gelosia, quella bianca è invece simbolo di purezza. Sicuramente se non siete ferrati su questo argomento un bel bocciolo di rosa è il fiore che fa per voi perché è apprezzato da tutte le donne. Se invece volete colpire una ragazza più raffinata ci sono altri fiori adatti per comporre mazzi che potrebbero fare al caso vostro, anche se è sempre preferibile consultare il fiorista, non vi fiderete mica di me, che creerà una composizione armoniosa e adatta all’occasione. Tra i più belli ci sono la fresia, simbolo di fiducia, la gardenia, simbolo dell’amore celato, il giglio bianco, simbolo per autonomasia di purezza, la camelia rossa, che esprime “ sei la fiamma del mio cuore”, molto romantica, l’orchidea, simbolo di bellezza; un ulteriore spunto è quello di abbinare alcuni di questi fiori a rose della stessa gamma cromatica, per creare
La rosa è il fiore più regalato alle donne, che rappresenta grazia e bellezza, adatta a diverse circostanze perché ogni colore ha una sfumatura di significato diversa, in particolare, come tutti sanno, la rosa rossa esprime ! Fahrenheit 451
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una composizione più eterogenea e particolare. Altri fiori che si possono utilizzare sono il narciso, simbolo d’amore(foto), la calla, simbolo di grazia(foto), il garofano, che esprime fascino per la persona a cui viene donato(foto), la dalia, simbolo di dignità ed eleganza(foto), il gladiolo, simbolo di sincerità(foto) o il tulipano(foto). Ai, pochi, ragazzi che sono si sono avventurati a leggere fino a qui - vi faccio i miei complimenti, avete avuto una forza d’animo eccezionalevolevo assicurare che linguaggio dei fiori o meno, un bel mazzo verrà sempre accettato con gioia e gratitudine, perché è unico e personale, nulla a che vedere con una scatola di cioccolatini, che non potrà mai comunicare un significato altrettanto unico e profondo.
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MUSICA
“Woke up this morning all alone / I got a ringin' in my head” Così intona la voce di Myles Kennedy in Back from Cali, quarto brano del primo album omonimo da solista di Slash. Così mi sono svegliata la mattina del 10 agosto 2012 con un pensiero che squillava ripetutamente nella mia mente. Attendevo quel giorno da settimane: si apriva finalmente la prevendita dei biglietti per il concerto di Slash, Myles Kennedy and the Conspirators, del 23 ottobre all’Unipol Arena di Bologna. Meraviglioso è il giusto aggettivo per descrivere la sensazione che ho provato quando ho avuto il biglietto fra le mani: uguale, in apparenza, a tutti gli altri biglietti di Ticketone ma su quello c’erano i loro nomi. Sarebbe stato il mio primo vero concerto e, anche se lentamente, l’ attesissimo 23 ottobre alla fine è arrivato. Quando sono arrivata, il ! Palasport era circondato dai Fahrenheit 451
fans già da ore e alle 19.40 circa, dopo i controlli di rigore, siamo entrati. L’attesa viene spezzata dal gruppo spalla Ginger Wildheart, che si è esibito per 40 minuti e ha raccolto l’attenzione di quasi tutta la parterre: si è cimentato nei suoi brani più famosi in un genere quasi al limite con lo ska. Quando, oserei dire finalmente, sono scesi dal palco, è salito un tecnico per togliere il telo che ricopriva la batteria e, sulla cassa, è apparso il logo di Slash e Myles: un’ovazione ha attraversato l’Arena colmando lo spazio. Intanto il clima si elettrizzava sempre di più: si sono spente le luci e una voce fuori campo ha annunciato l’arrivo dei protagonisti indiscussi del concerto. Slash, icona della musica, sale sul palcoscenico incoronato dall’ immancabile cilindro nero calato sull’inconfondibile chioma, ma la magia non risiede nel cappello: la sprigiona con la sua chitarra. Myles Kennedy alla voce e i Conspirators: Brent Fitz alla batteria, Todd Kerns al basso e Frank Dicembre 2012
Sidoris che ha accompagnato la band in questo World Tour, alla chitarra ritmica. Il pubblico è pronto a lasciarsi trasportare dal suono, dall’energia e dalla sensualità dell’hard rock allo stato puro. Il concerto parte in quarta con Halo, estrapolata dal nuovo album Apocalyptic Love, seguita da Nightrain, classico del repertorio Guns ‘N Roses. Slash con le corde della chitarra ribatte ruggendo alle critiche che sostengono che la sua tecnica è sopravvalutata e regala emozioni capaci di essere trasmesse solo da un vero musicista. E’ accompagnato da un grande vocalist: Myles Kennedy non si limita a “cantare” ma entra nell’armonia dei brani, li vive, cimentandosi in un repertorio che prevede i pezzi incisi con Slash ma non solo, anche quelli dei Guns, dei Velvet Revolver e Slash's Snakepit. Proprio a lui è doveroso dedicare qualche riga in più, in quanto dotatissimo cantante e chitarrista degli Alter Bridge di cui fanno parte anche Brian Marshall, 22
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Scott Phillips e Mark Tremonti che, curiosità, si esibiva la stessa sera a Milano per presentare il suo disco da solista. Myles è il frontman che riesce a trascinare e creare entusiasmo esibendosi con semplicità, riuscendo ugualmente a incantare chi ascolta, catturare l’attenzione, interpretando con la sua stupenda voce parole e suoni da brivido. Un concerto del genere non sarebbe stato del tutto completo senza la verve di un batterista come Brent Fitz, che li accompagna già da tempo e si dimostra parte essenziale di un gruppo di musicisti straordinari. La band infiamma il pubblico con il susseguirsi dei pezzi più famosi: Ghost, Stading In The Sun, Back From Cali, Been There Lately, Mr Brownstone, Rocket Queen e Bad Rain. A metà concerto Myles Kennedy prende la sua chitarra e suona Far And Away ed è come un bicchiere d’acqua fresco per noi che abbiamo cantato a squarciagola tutte le canzoni dall’inizio del concerto e ora ci lasciamo trasportare nell’atmosfera melodica della ballad. Non possono mancare le lucine tremolanti degli accendini e quelle fisse dei display che
s’innalzano verso il palco a creare quell’attimo di magia che fa stare bene e ci si sente in pace con il mondo intero per quell’istante rubato alla realtà. A risvegliare tutti ci pensa Todd Kerns, al basso, che con grinta incredibile si lascia esplodere nella sua essenza rock, si libera nel suo habitat naturale ed è talmente tanta l’adrenalina, da sprigionare una voce sorprendentemente potente, tanto che lo stesso Myles lo lascia protagonista sul palco a interpretare Doctor Alibi e You’re
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Crazy. Seguono No Nore Heroes e Starlight e il solo di Slash che dura 7 minuti e presenta una propria interpretazione (Blues Jam) di Shine On You Crazy Diamond dei Pink Floyd: siamo tutti in silenzio, rapiti dalle vibrazioni che si susseguono. Anastasia vero capolavoro contenuto in Apocalyptic Love, ci riinvita a cantare portandoci al limite di una sana e pura estasi mistica.
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Dopo You’re A Lie e l’ immancabile Sweet Child O’ Mine, sulle note di Slither, Myles presenta il gruppo ricambiato con una standing ovation, salutano e scendono dal palcoscenico e Todd chiude la fila incitando il pubblico a richiedere il bis. L’invito non era necessario, non si fa attendere e la band non si fa pregare due volte: in finale ci regala Fall To Pieces e la mitica Paradise City e anche coloro che sono seduti sulle gradinate si alzano in piedi. Regna il delirio quando il chitarrista, lanciando plettri a destra e a manca (e tutti ci siamo chiesti quanti ne avesse perché non smetteva mai!) dopo un bellissimo “Ciao” e “Grazi!” promette un ritorno nel 2013. Non potevano dare di più: il live è stato perfetto quanto la registrazione in studio e sono riusciti in quell’opera a cui tutti Fahrenheit 451
i musicisti aspirano, regalare momenti indimenticabili. Il concerto finisce ma nessuno di noi è realmente pronto ad andarsene; il sangue bolle nelle vene, il sorriso è stampato sulle labbra, gli occhi lucidi per l’emozione e la voce ridotta a un sussurro ma siamo estremamente felici. Nei giorni successivi sicuramente la maggior parte di noi continuava a sognare ad occhi aperti e a ripetere “che gran concerto!”. In attesa di un prossimo live nel 2013 vi invito all’ascolto di “Slash”, “Live at Stoke” e ovviamente “Apocalyptic Love”. Godeteveli ne vale la pena!
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INTERNET - ADSL, 3G, 4G (LTE) …facciamo un po’ di chiarezza!
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La tecnologia si sta evolvendo a un ritmo spaventoso e, in particolare nell’ambito delle connessioni a internet, cablate e non, è facile non capire più bene di cosa si sta parlando. L’argomento più gettonato negli ultimi tempi, in particolare nella seconda metà del 2012 col lancio apparentemente incessante di nuovi smartphones, è il cosiddetto LTE (acronimo di Long Term Evolution), anche indicato con la sigla 4G, perché costituisce la quarta generazione degli standard per un collegamento veloce a internet su rete mobile. Cos’è e perché se ne parla tanto? Si tratta in sostanza di una nuova modalità utilizzata dai telefoni cellulari per connettersi alla rete mobile, e quindi a internet, in modo ancora più veloce dell’attuale 3G. In termini pratici, l’LTE permette nominalmente collegamenti di velocità massima pari a 100 Mbit/s, contro gli attuali 14,4 del 3G (42 sui terminali più nuovi). È un aumento di velocità del 594%! In teoria. Il primo problema che sorge è infatti che le velocità dichiarate non sono mai raggiunte nella pratica, ma anche se si riuscisse a raggiungere ! della velocità dichiarata (che sono pur sempre poco più di 30 Mbits/s, più di un veloce collegamento adsl domestico), sorge un altro problema ben più importante: l’Italia (come anche gran parte dell’Europa) è in ritardo. La rete veloce è infatti ad oggi attiva soltanto nelle più grandi città italiane come Roma, Milano, Torino e Napoli, e con alcune limitazioni, poiché il servizio è stato lanciato dai due più grandi operatori italiani di telefonia mobile soltanto fra la fine di Ottobre e l’inizio di Novembre di quest’anno. Senza soffermarci sulle motivazioni politiche ed economiche che determinano tale ritardo rispetto ad esempio agli Stati Unti, o anche agli stessi paesi del Nord Europa, vediamo quali cellulari supportano il 4G e che vantaggi concreti ci sono: oggi sono ancora pochi gli smartphones che supportano la Fahrenheit 451
rete LTE italiana (che è infatti diversa da quella americana). Per citarne alcuni, sono pronti per il collegamento veloce nostrano l’iPhone 5 e il Nokia Lumia 920. Sotto copertura 4G si possono ad esempio scaricare applicazioni e musica in pochi secondi e caricare rapidamente video in alta definizione. Il salto di qualità è paragonabile a quello fra il vecchio 2G e l’odierno 3G. L’LTE sostituirà completamente il 3G? Sicuramente, anche perché l’UE prevede la sostituzione del 3G con il 4G entro Giugno 2014. Fino ad allora, il numero di cellulari sul mercato pronti a supportare tale tecnologia sarà sempre più esteso, come anche la copertura, che dovrebbe garantire il servizio in sempre più città. In questo momento è però ancora allo stadio iniziale, ed è molto «sulla carta». Certo è che le potenzialità di una rete ultraveloce su rete mobile sono enormi: potrebbe un giorno sostituire interamente la linea fissa domestica, e quindi anche il collegamento ADSL. Se e quando questo avverrà, solo il tempo può dircelo. Fino ad allora possiamo dare alcuni consigli per usufruire al massimo dell’attuale rete 3G, supportata da una grandissima varietà di cellulari e smartphones: 1) L’uso della rete 3G, purtroppo, riduce sensibilmente la durata della
batteria: quando non è necessario il collegamento a internet è consigliabile disattivarla dalle impostazioni del cellulare. In questo modo la batteria può durare anche svariate ore in più. NB: lasciando attivo il collegamento solo su 2G le notifiche arrivano lo stesso! In iOS l’impostazione si trova in «impostazioni > generali > cellulare > abilita 3G», mentre su Android si trova in «impostazioni > wireless e rete > reti mobili > usa solo reti 2G» 2) Per sapere la vera velocità reale del collegamento sul tuo cellulare, installa l’app SpeedTest (del sito omonimo). È disponibile per Android e iOS gratuitamente nei rispettivi AppStore.
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RETE E EVOLUZIONE
velocità di collegamento, situazione europea (e mondiale)
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La grandissima evoluzione che la rete sta subendo nel mondo è ormai sotto agli occhi di tutti: oggi sembra scontato avere l’adsl a casa ed essere connessi costantemente e ad alta velocità attraverso i cellulari (o smartphones, che dir si voglia). Alcuni dati tuttavia suggeriscono che il nostro Bel Paese è indietro rispetto al resto d’Europa (e non solo). Ad esempio, se nel 2007 il Regno Unito aveva 60.363.602 abitanti e di questi 13.957.111 erano utenti di banda larga (cioè una diffusione ADSL pari a 23,1%), in Italia nello stesso anno, con 59.546.696 abitanti, «solo» 9.427.300 erano abbonati a un servizio di banda larga (15,8%, dati ECTA, Marzo 2007). Per non parlare del fatto che nei Paesi Bassi la diffusione nel 2007 era pari a 32,8%. Andando poi a vedere le statistiche mondiali sulla percentuale di utenti della banda larga in rapporto alla popolazione, si scopre che l’Italia non è nemmeno fra i primi 20, sorpassata non solo da tutti i più Fahrenheit 451
importanti paesi europei, ma anche dal Singapore (21,8%, dati ITU, Settembre ’07), dalla Corea del Sud (27,4%, dati OECD, Dicembre ’06) e dalle Isole Fær Øer (20,3%, dati ITU, Settembre ’07). Come mai? La questione è sicuramente passata da un ambito prettamente tecnicospecialistico a tema politico. L’obiettivo era infatti quello di risolvere la questione del divario che c’è fra gli utenti italiani (il cosiddetto «digital divide») entro il 2012 e garantire a tutti gli italiani una velocità di connessione pari a 20 Mbit/s. Peccato che il 12% degli utenti oggi non arriva nemmeno a 2 Mbit/s e solamente il 2,6% supera i 10. Eppure ad oggi il picco di velocità nel mondo aumenta in media del 44% ogni anno, e mentre in Italia, nel 2012, questo è stato di 17,4 Mbits/s, in Romania esso ammonta a 38,6 Mbits/s. Tutti questi dati ci offrono certamente un Dicembre 2012
quadro generale, ma non spiegano le cause dell’arretratezza italiana, che sono da cercare altrove. È importante notare in primo luogo che tale digital divide non sussiste solamente fra Nord e Sud, ma è presente «a macchie» su tutto il territorio nazionale. Per fare un esempio, l’unica regione ad oggi dotata di un progetto per portare la velocità a 20 Mbit/s è la Regione Marche, mentre il Piemonte riesce a fatica a colmare il divario sotto ai 2 Mbit/s. Quindi la faccenda dipende interamente dallo spirito di iniziativa dei governi regionali? Non proprio, o almeno non solo. Gioca infatti anche un ruolo importante l’informatizzazione della pubblica amministrazione.
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IPSE DIXIT Martinelli: "E la terza legge della dinamica non è se vado allo stadio che se mi sputi ti meno!"
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Filoni: “La versione della Maya desnuda la mostrava solo agli amici stretti oppure se la gustava da solo indisturbato.”
Martinelli: “Guardate che questo ha bloccato Newton per due anni!” Alunno: “E noi lo dobbiamo sapere per sabato?”
Cavazzuti Bianca: Hai un'ansia da privazione da noumeno?
Lorenzo Aulisa: "..e per fortuna che Galileo non era uno scopofilo e il telescopio l'ha puntato verso il cielo e non da altre parti, se no chissà quanto avremmo dovuto ancora aspettare!"!
Alunna: “Prof, lo sa cosa faccio oggi pomeriggio?” Cattani: “No, ma temo che lo imparerò a breve!”
">?@<8><;A& B,;& C@CC>D& 1ED& FG9<;=6& H6?>F6& =I@& I6;& =6H;:>& J;& :9::6& F6& F@8;><@KL!
Aulisa: "...beh, quindi si posero la domanda che già Montaigne si era posto... cioè "ma se noi abbiamo" perdonatemi il termine e non scrivetelo "SCAZZATO fino ad ora, come sapremo di non sbagliare più?"!
Farneti: “L'oppio era l'OKI romantico…”! Aulisa: "..tramite questo processo di scristianizzazione, cominciano a capire che il re, scusate il termine, è un PIRLA come gli altri! Anzi, è un addirittura è un pirla che va decapitato!"!
Aulisa: "ragazzi, mi sono dimenticato il libro... Lancellotti, non è che posso approfittarmi di te per andarlo a pren..." Alunno: "approfittarsi in che senso?"
Codeluppi: “Perché vi allontanate? Ho fatto una scorreggia?!”
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! Fahrenheit 451
Dicembre 2012
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R E D A ZI O N E F A H RE N H E I T 451
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Redattrice: Rexhina Saraci
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Eric Zizzi Muriel Ferraresi Cecilia Caliumi Martina Di Toro Lorenzo Tagliazucchi Teresa Camellini Elena Cavazzoni Laura Fregni Ginevra Cerami Greta Malavolti Marco Convertini Giulia Sala Lucrezia Della Casa Alice Manzini Bridget Amponsah Sara Magli Lucia Morandi
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Dicembre 2012
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