Riflesso Magazine Gennaio-Febbraio 2017

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M A G A Z I N E D I I N F O R M A Z I O N E , C U LT U R A E L I F E S T Y L E

look beyond



an enveloping italian taste


SOMMARIO 5 7 8

EDITORIALE

ARTE

Aziende leali alla riscossa

39 Il secondo Futurismo 42 Il Colosso di Barletta 44 Agnone 46 Tintoretto

PRINCIPATO DI MONACO Lettera dell΄Ambasciatore Rally Storico di Montecarlo

ARCHITETTURA

AGENDA NEWS

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48 Il Labirinto più grande del mondo 52 Il percorso Arabo-Normanno 54 Museo degli Innocenti 58 Il Maxxi 62 Man di Nuoro 64 Abbazia di San Giovanni in Venere 66 La "Piassa" 70 Evergreen

Eventi nazionali selezionati

TRADIZIONI

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Carnevale Ambrosiano Letteratura in Campidoglio

MODA

22 26

L΄eleganza discreta del cappotto It girls

NATURA

DESIGN

28 32

72 Montalto

GIRI DEL GUSTO

Fondazione Franco Albini Pace per un design di eccellenza

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FOTOGRAFIA

Modena e il suo Bensone

AMBIENTE

34 Kidvikk 36 Vivian Maier

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Fondazione Archeologica Arborea Cambiamenti climatici

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DIRETTORE RESPONSABILE Mario Timio VICEDIRETTORE Carlo Timio DIREZIONE ARTISTICA Alessio Proietti REDAZIONE CENTRALE Alessia Mencaroni, Giulio Siena, Noemi Furiani, Marilena Badolato, Walter Leti, Elisabetta Bardelli, Elisa Giglio, Laura Patricia Barberi REDAZIONI REGIONALI Piemonte: Margherita Carpinteri Valle d’Aosta: Francesca Pollicini Liguria: Jessica Chia, Samantha Chia Lombardia: Francesco Colamartino, Francesca Fregapane, Elena Ciulla, Stefano Spairani Righi, Cinzia Piloni, Alessandra Mastantuoni, Angela di Leone Trentino Alto-Adige: Giuseppe Doria, Francesco Taufer, Mauro Volpato Veneto: Carolina Bruno, Fosca Parisi, Caterina Chiarcos Friuli Venezia Giulia: Martina Giordano Emilia-Romagna: Elena Brozzetti Toscana: Livia Ballan, Ilaria Vannini Lazio: Marica Spalletta Umbria: Claudio Cattuto, Giuliana Spinelli Batta, Alessandro Biscarini, Italo Profice, Giovanna Ramaccini Marche: Elisa Cataluffi, Carlo Trecciola, Olga Puccitelli Abruzzo: Sara Bernabeo, Maria Concetta Dercole, Davide Gerbasi Campania: Giuseppe Ariano Molise: Andrea Mastrangelo Basilicata: Marco Caldarelli Puglia: Veronica Sonoro, Mariangela Serio Calabria: Antonio Pangallo, Mariagrazia Anastasio, Marzia Manica Sicilia: Paola Faillace Sardegna: Marina Sotgiu, Anna Paola Olita Principato di Monaco: Marinella Cucciardi Miami: Francesco Famà New York: Giovanni Bruna RINGRAZIAMENTI Cristiano Gallo, Paola Albini, Paolo Belardi, Mariano Di Vaio EDITORE Ass. Media Eventi REGISTRAZIONE Tribunale di Perugia n. 35 del 9/12/2011 IMPAGINAZIONE E GRAFICA R!style Project STAMPA Tipografia Pontefelcino - Perugia CONTATTI direzione@riflesso.info editore@riflesso.info artdirector@riflesso.info info@riflesso.info SITO WEB www.riflesso.info

look beyond

In copertina Il 2017 comincia con l’istituzione di un nuovo Laboratorio Editoriale tra la Redazione Riflesso e l’ABA - Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci” di Perugia. Grazie ad un’intensa sinergia per la realizzazione delle prossime copertine del magazine, è stata scelta una tematica avvincente rappresentata dalla contaminazione ed ibridazione culturale. In questa prima cover tale argomento viene espresso attraverso un connubio tra fotografia e design. L’uso di una Polaroid dai contorni sfocati rappresenta l’elaborazione illusoria che lascia spazio all’immaginazione. L'aspetto del design si estrinseca tramite il concetto dell’esplorazione dello spazio e delle peculiarità materiali e immateriali, mentre lo strumento stesso diviene opera. Istituzione Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci” di Perugia (L’Accademia, intitolata al “Perugino”, maestro di Raffaello, è la seconda più antica d’Italia, fondata nel 1573. L’offerta formativa spazia dalle scuole triennali di Pittura e Scultura a quelle di Scenografia e Design fino al biennio specialistico in Arti visive)

Corso Scuola triennale di Design Corso di Design II Docente Paul Robb Autore Wang Zimu


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EDITORIALE

AZIENDE LEALI ALLA RISCOSSA di Mario Timio

C

i sono tre marchi, corrispondenti ad altrettante linee politiche, che in questo momento vanno per la maggiore tra le aziende italiane ed europee. Il primo è il marchio equosolidale applicabile a quelle aziende che investono non solo in attività di solidarietà ma anche di protezione ambientale nelle varie fasi di produzione delle merci; il secondo è il marchio del “living wage” cioè il certificato che dimostra che l’azienda sta pagando ai suoi dipendenti uno stipendio dignitoso; il terzo è il “Fair Tax Mark” l’ultimo arrivato dall’Inghilterra traducibile come “il marchio dell’azienda leale”, ovvero quella che paga le giuste imposte. Nessuno aveva pensato al terzo marchio, cioè che un’azienda fosse trasparente e tassata nel modo giusto. Va bene il giusto pagamento, ma è auspicabile che anche l’imposizione delle tasse sia giusta. Atteniamoci per il momento all’azienda ligia nei confronti del Fisco. Dovrebbe essere normale, ma sappiamo che non lo è. Ed è proprio dall’Inghilterra che si è sentita la necessita di identificare con un marchio (un cuore verde con le parole Fair Tax Mark) l’azienda in regola con il Fisco. Non solo, l’esposizione del marchio garantisce che l’azienda ha le porte aperte agli ispettori della Finanza e che il suo bilancio trasparente non teme controlli. L’idea è di Emily Kenway che vanta una lunga esperienza nella Living Wage Foundation, quella che, come detto, si interessa di far pagare stipendi dignitosi. È la stessa Kenway che asserisce che la sua idea ha una diffusione virale anche oltre Manica, apprezzata più del “bollino” equosolidale e di quello del “living wage”. Secondo la medesima direttrice l’azienda leale aiuta a conquistare non solo i consumatori, ma gli eventuali investitori che vogliono conoscere i rapporti dell’azienda con il Fisco. “Chi gestisce

le risorse delle varie società vuole chiarezza sui bilanci” che il nuovo marchio garantisce. Non a caso l’iniziativa nasce nel Regno Unito ove sono state orchestrate lunghe campagne contro le aziende che non pagano tasse. Sotto il profilo etico nulla da eccepire, anzi concordiamo con la Kenway, ma sotto l’aspetto operativo nel nostro Paese abbiamo qualche perplessità. Non tanto perché gli imprenditori italiani temono di aprire il loro bilancio allo Stato, ma perché è lo Stato ad essere insolvente nei confronti degli imprenditori e delle aziende. Non solo tartassa gli imprenditori con tasse esorbitanti come in nessuna nazione europea (65-70%), ma non onora nemmeno entro i termini contrattuali il pagamento alle imprese che gli hanno erogato servizi. Si calcola che lo Stato debba ad imprese italiane oltre 65 miliardi di euro, imprese che in mancanza di liquidità non possono sopportare il carico di spese richieste. Risultato. Chiusura di aziende, mancato accesso creditizio, licenziamenti, disoccupazione, e talvolta suicidio di imprenditori. Che è un omicidio di Stato. Invece di difendere l’imprenditoria come grande risorsa della Nazione, lo Stato la umilia, la tartassa e si rende insolvente per prestazioni già effettuate. E gli italiani si chiedono di fronte a questa triste realtà come mai lo Stato si dimentica degli imprenditori che non paga, ma poi risarcisce debiti a banche, come la MPS, di cui non si conoscono i bilanci ma soprattutto si ignora a chi e come hanno dato denaro, anche se qualche nome eccellente inizia ad uscire. Manca comunque la trasparenza. Chissà se la Emily Kenway ha mai pensato di estendere il “marchio delle Aziende Leali” anche alle Banche? Già, lei opera nel Regno Unito ove le banche non hanno bisogno di bollini: la lealtà è da sempre nel loro Dna.

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PRINCIPATO DI MONACO

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PRINCIPATO DI MONACO

RALLY STORICO DI MONTECARLO di Marinella Cucciardi

L’

Automobile Club di Montecarlo organizza ogni anno tre eventi importanti: il Rally, il Rally Storico e il Gran Premio di F1, molto conosciuti a livello mondiale dagli appassionati e dagli amatori di questo settore. Il Rally Storico di Montecarlo quest’anno festeggia la sua ventesima edizione. Questo evento dà una notevole visibilità alle case automobilistiche che partecipano, perché le vetture vengono sottoposte e spinte al massimo in condizioni climatiche avverse e soprattutto in questo periodo dell’anno possono variare, e anche in una sola tappa si possono trovare l’asfalto asciutto o bagnato, il ghiaccio, o la neve. La capacità e l’intuizione del pilota nel decidere che tipo di pneumatici usare può influenzare il risultato di questa competizione. La manifestazione ha inizio il 25 gennaio con il First Concentration Run da Stoccolma, Glasgow e Lisbona. Un’altra opzione da Copenaghen il 26 gennaio, e infine i concorrenti possono scegliere Bad Homburg, Barcellona o Reims il 27 gennaio. I vari percorsi si riuniscono a Digne les Bains il 28 gennaio prima di passare a Saint André les Alpes vicino alle spettacolari Gorges du Verdon.

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Giunta alla sua ventesima edizione, la manifestazione automobilistica tra le più rilevanti del Principato, dopo una settimana di intense gare, si concluderà al Port Hercule per decretare il vincitore


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Copyright ACM Follete Rallye Monte Carlo Historique 2016

La vera gara prende il via con la prima sezione regolare con il percorso “Entrevaux - Val de Chalvagne – Entrevaux” e l’ascensione del Col de Félines (930m), per poi arrivare a fine giornata nel Principato di Monaco. La manifestazione riprenderà alle sei del mattino il 29 gennaio, con l’inizio delle classificazioni. Il primo test della manifestazione sono il Col de Corobin (1211m) e Chaudon Norante-Digne les Bains. Segue un altro test leggendario - Thoard-Sisteron -, reso famoso per le condizioni eternamente complesse del Col de Fontbelle (1304m). Dopo una battuta d’arresto di fronte al Municipio di Sisteron, i concorrenti si dirigono verso il vicino Parco Naturale Baronnies Provençales per Orpierre-Laborel-Saint André de Rosans, che è un altro percorso conosciuto dai concorrenti abituali. L’ultima sezione di gara del giorno è Vassieux en Vercors-Saint Jean en Royans attraverso il Col de L’Echarasson (1146m). Si riparte dall’Ardèche il 30 gennaio per passare da Croze-Saint Julien du Gua-Antraigues sur Volane e la competizione prosegue con Burzet-Le Chambon. A Saint Agrève i concorrenti si riposano una mezza

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giornata con la consueta degustazione di prodotti locali. A differenza del 2016, la competizione rimane quest’anno in Ardèche, con la corsa attraverso Saint Pierre sur Doux-Col du Buisson per terminare a Lamastre-Gilhoc sur-Ormèze Plats e infine a Tournon sur Rhône (Quai Farconnet). Martedì 31 gennaio segna il ritorno al Col de L’Echarasson (1146m) - La Cime du Mas, per passare poi nella regione di Drôme Provenzale (Saint Nazaire le Désert-la Motte Chalancon e il test leggendario Verclause-Laborel-Eygalayes per arrivare alla Turbie (Place Neuve). La tappa finale si svolge in notturna e inizia a Monaco con due prove impegnative: LuceramLantosque nella valle della Vésubie e La Bollène Vésubie-Moulinet-Sospel, che comprende il celebre Col de Turini (1604m). I partecipanti ancora in gara dopo questo faticoso itinerario raggiungono il Port Hercule di Monaco per decretare il vincitore. Il ventesimo Rally Storico di Montecarlo si conclude il primo febbraio con la premiazione e l’elegante serata di gala che si svolgerà alla Salle des Etoiles dello Sporting Club.



AGENDA NEWS a cura di Elisa Giglio

BERGAMO

NOVOLI (LE) FÒCARA DI NOVOLI dal 16 al 18 gennaio

MOSTRA “DA HAYEZ A BOLDINI. ANIME E VOLTI DELLA PITTURA ITALIANA DELL’OTTOCENTO” dal 21 gennaio all’11 giugno

Secondo appuntamento per Italian Fine Art (Ifa), che ritorna dal 14 al 22 gennaio presso la Fiera di Bergamo. Si tratta di un esclusivo evento internazionale con la bellezza e le emozioni dell’Arte italiana ai massimi splendori: dipinti, arredi, sculture, maioliche, porcellane, gioielli, e tantissimi altri oggetti d’arte, alcuni dei quali inediti. La mostra-mercato è ulteriormente arricchita di importanti tesori e raffinatezze artistiche grazie a nuove partnership istituzionali: capolavori eterni e unici nel loro genere, apprezzati e amati in ogni angolo del pianeta. Un viaggio artistico, storico e culturale.

Tanti ospiti per questo evento che “accende” le notti pugliesi, in programma dal 16 al 18 gennaio. Cantanti del calibro di Vinicio Capossela ed Eugenio Bennato, l’attore Elio Germano, lo scultore Daniel Buren, lo scrittore Pietrangelo Buttafuoco, il giornalista e conduttore televisivo Paolo Del Debbio. Si tratta del falò alto 25 metri, che illumina come sempre la notte di Sant’Antonio Abate, il 16 gennaio. L’accensione della pira è preceduta da una performance di Giovanni Lindo Ferretti e dal corpo di ballo della Notte della Taranta, che si esibisce sulla musica di “Fuecu”, scritta da Daniele Durante, ispirato al grande fuoco del Salento.

Cento capolavori per celebrare un secolo di arte italiana. I maggiori esponenti del neoclassicismo, del romanticismo, della scapigliatura e del divisionismo, da Canova a Hayez, da Fattori a Segantini, da Inganni a De Nittis, da Appiani fino a Boldini, sono i protagonisti di una grande mostra, in programma a Palazzo Martinengo di Brescia, dal 21 gennaio all’11 giugno. L’esposizione racconta la straordinaria stagione che l’Italia visse nel corso del XIX secolo, illustrando le correnti e i movimenti pittorici che vi fiorirono, rendendo il panorama creativo nazionale uno dei più dinamici a livello europeo.

FIRENZE

BOLOGNA

VIAREGGIO

IFA - ITALIAN FINE ART dal 14 al 22 gennaio

PITTI IMMAGINE FILATI dal 25 al 27 gennaio

All’interno della Fortezza Da Basso a Firenze ritorna Pitti Immagine Filati. Evento leader dedicato al mondo del tessile, dei filati, delle fibre e dei settori merceologici complementari alla filatura e alla maglieria. Garanzia per i visitatori, migliaia di buyers provenienti da tutto il mondo prendono parte alla fiera per conoscere le proposte di un mercato sempre in movimento, pronto a suggerire materiali, forme e colori innovativi o rivisitati in chiave moderna, con una attenzione particolare per la qualità e l’originalità.

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ARTE FIERA dal 27 al 30 gennaio

Riapre i battenti la più longeva kermesse di arte moderna e contemporanea d’Italia, nei padiglioni di BolognaFiere, dal 27 al 30 gennaio. Arrivata alla sua 41esima edizione, Arte Fiera ritorna con tante novità, portate dalla nuova direttrice Angela Vettese. Tra le altre, la veste grafica, che celebra da un lato la natura nelle sue molteplici forme, dall’altro la capacità umana di circoscriverla e ripensarla; il layout, distribuito su due grandi padiglioni del quartiere fieristico; infine, una sezione di nuove proposte, intitolata “Nueva Vista” e dedicata ad artisti meritevoli di una rilettura critica, e una sezione “Fotografia”. Vanno menzionate poi un nuovo Bookshop, uno spazio con libri rari e anche l’appuntamento con i Premi di Arte Fiera.

BRESCIA

(LU)

IL CARNEVALE DI VIAREGGIO dal 5 al 28 febbraio

Tutto è pronto per uno dei più importanti carnevali d’Italia. Domenica 5 febbraio i tre colpi di cannone danno il via al 144esimo anno del Carnevale di Viareggio, con il Grande Corso Mascherato di Apertura. I giganteschi carri allegorici tornano sui Viali a Mare domenica 12 febbraio per il secondo Corso Mascherato. Terza sfilata sabato 18 febbraio, in edizione notturna. Quarto Corso Mascherato domenica 26 febbraio. Mentre il gran finale è in programma il giorno di Martedì Grasso 28 febbraio con il Corso Mascherato notturno di Chiusura, che termina con la proclamazione dei verdetti delle giurie e lo straordinario spettacolo pirotecnico conclusivo. In questo periodo vengono, inoltre, organizzati molti eventi, tra cui il Torneo Mondiale di calcio “Coppa Carnevale”.


TERNI

GENOVA

FORLÌ

CIOCCOLENTINO dal 10 al 14 febbraio

MOSTRA “SINIBALDO SCORZA (1589 –1631). FAVOLE E NATURA ALL’ALBA DEL BAROCCO” dal 10 febbraio al 4 giugno

MOSTRA “ART DÈCO. GLI ANNI RUGGENTI IN ITALIA” dall’11 febbraio al 18 giugno

I giorni della dolcezza stanno per tornare al suono del claim “Amori in Corso!”. Tante le novità in serbo per la nuova edizione della kermesse, giunta alla sua quattordicesima primavera, che ogni anno a Terni ricrea il perfetto binomio tra amore e cioccolato. Percorsi sensoriali che vanno ad esplorare con i cinque sensi l’eccellenza del cioccolato, il choco show nel cuore del centro storico con numerosi stand con il meglio della cioccolateria artigianale, mini cooking show itineranti a cura di Pastry Chef stellati che sanno esaudire la golosità del pubblico. Presenti con il proprio laboratorio interattivo anche l’Università dei Sapori, la Chef Accademy e l’Accademia del Make Up.

Prima retrospettiva su Sinibaldo Scorza, affascinate protagonista della pittura genovese ed europea di primo Seicento, a Palazzo della Meridiana. La mostra fornisce l’occasione per avvicinarsi a un artista molto amato dagli esperti e collezionato nei musei del mondo, ma non raccontato mai da una grande esposizione, nè da una monografia. Scorza fu anche raffinato miniaturista, incisore e disegnatore. Nel palazzo genovese sono riuniti oltre sessanta dipinti, a documentare il meglio della produzione dello Scorza e degli artisti con cui egli si è formato o si è confrontato. Ai dipinti, la mostra affiancherà anche una precisa selezione di circa trenta tra disegni, incisioni e miniature, a voler evidenziare anche questi aspetti della effervescente, poliedrica personalità artistica dello Scorza.

L’esposizione ai Musei San Domenico, promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Forlì, propone la rilettura di una serie di avvenimenti storico-culturali e di fenomeni artistici, che hanno attraversato l’Italia e l’Europa nel periodo compreso tra il primo dopoguerra e la crisi del 1929. Obiettivo dell’esposizione è mostrare il livello qualitativo, l’originalità e l’importanza che le arti decorative moderne hanno avuto nella cultura artistica italiana connotando profondamente i caratteri del Dèco anche in relazione alle architetture e alle arti figurative.

NUORO

CONEGLIANO

FIRENZE

FIRENZE LIBRO APERTO dal 17 al 19 febbraio

MOSTRA “BERENICE ABBOTT. TOPOGRAFIE” dal 17 febbraio al 31 maggio

(TV)

MOSTRA “BELLINI E I BELLINIANI. DALL’ACCADEMIA DEI CONCORDI DI ROVIGO”

dal 25 febbraio al 18 giugno

“Le parole non bastano più?”. Con questo slogan arriva il primo Festival del libro nel capoluogo toscano. La manifestazione si tiene a Firenze, presso la Fortezza da Basso, Padiglione Spadolini, all’insegna della più ampia apertura fra le varie anime del sistema editoriale italiano: piccola, media e grande editoria convivono nello stesso spazio gli uni accanto agli altri. Firenze Libro Aperto rappresenta un vero e proprio evento rivoluzionario nella gestione economica e nell’organizzazione sociale della fiera libraria.

Prima mostra antologica in Italia dedicata a Berenice Abbott, una delle più originali e controverse protagoniste della storia fotografica del Novecento. Terza di un grande ciclo dedicato alla Street Photography, la mostra al Museo Man di Nuoro presenta una selezione di ottantadue stampe originali realizzate tra la metà degli anni Venti e i primi anni Sessanta. Suddiviso in tre macrosezioni - Ritratti, New York e Fotografie scientifiche - il percorso espositivo fornisce un quadro generale del grande talento e della variegata attività dell’artista. L’esposizione racconta le tre principali fasi della produzione fotografica di Berenice Abbott attraverso una ricca selezione di scatti e materiale documentario proveniente dal suo archivio.

Ciclo dedicato alla pittura veneta a Palazzo Sarcinelli. In mostra opere di Giovanni Bellini, Tiziano, Jacopo Palma il Vecchio, Tintoretto e alcuni tra i più raffinati interpreti dell’insegnamento belliniano, tra cui Andrea Previtali, Marco Bello, i Santacroce, Bartolomeo Veneto e molti altri. Un avvincente percorso tematico, dove il pubblico può confrontarsi con alcuni temi pregnanti dell’iconografia belliniana in opere del maestro e dei suoi allievi. Si tratta anche di un giusto riconoscimento per ricordare i cinquecento anni dalla morte del Bellini.

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MOSTRA “RITA KERNN-LARSEN. DIPINTI SURREALISTI” dal 25 febbraio al 26 giugno

VENEZIA

MOSTRA “GUERCINO A PIACENZA” dal 4 marzo al 4 giugno

PIACENZA

MILANO

Al via la mostra all’interno della Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, che presenta per la prima volta il lavoro di Kernn-Larsen, rinomata artista surrealista danese, al di fuori della Scandinavia, dopo la personale del 1938. Questa esposizione, raccolta e mirata, con sette dipinti, molti dei quali esposti proprio alla galleria londinese Guggenheim Jeune. L’immagine guida della mostra è l’autoritratto dell’artista del 1937, acquisito per donazione dalla Fondazione Solomon R. Guggenheim nel 2013.

A Piacenza, il 2017 è l’anno dell’artista seicentesco emiliano Guercino. Dal 4 marzo al 4 giugno è celebrato con una serie d’iniziative di notevole rilevanza storico-artistica, che uniscono in un unico percorso, tra sacro e profano, il Duomo e Palazzo Farnese. Fulcro di tutta la manifestazione è la Cattedrale, la cui cupola ospita lo straordinario ciclo di affreschi realizzato da Guercino tra il 1626 e il 1627 e che si presenta con una nuova illuminazione realizzata da Davide Groppi. Contemporaneamente, la Cappella ducale di Palazzo Farnese accoglie una mostra, che presenta una selezione di venti capolavori del Guercino, in grado di restituire la lunga parabola che lo ha portato ad essere uno degli artisti del Seicento italiano più amati a livello internazionale.

Al via la quattordicesima edizione di “Fa’ la cosa giusta!”, che ritorna dal 10 al 12 marzo nei padiglioni 3 e 4 di fieramilanocity. Si tratta della fiera nazionale del consumo critico e degli stili di vita sostenibili, caratterizzata da dodici sezioni tematiche, che spaziano dagli ambiti storici come la moda o l’arredamento sostenibile, fino ai temi emergenti come la scelta vegana e cruelty free, passando per gli spazi dedicati all’associazionismo e all’economia carceraria. Non solo laboratori di cucina sostenibile ma anche una vera e propria accademia: la FunnyVeg Academy. Un’area è dedicata alla teoria e alla pratica dell’economia circolare, il modello basato sulla riparazione e sulla rigenerazione.

GENOVA

MONTEPULCIANO SAN QUIRICO D’ORCIA E PIENZA (SI)

MOSTRA “MODIGLIANI” dal 15 marzo al 16 luglio

MOSTRA “IL BUON SECOLO DELLA PITTURA SENESE. DALLA MANIERA MODERNA AL LUME CARAVAGGESCO”

FA’ LA COSA GIUSTA! dal 10 al 12 marzo

PARMA

MOSTRA “DEPERO IL MAGO” dal 18 marzo al 2 luglio

dal 18 marzo al 30 giugno

Amedeo Modigliani a Palazzo Ducale di Genova. L’esposizione racconta il suo percorso creativo attraverso le tappe principali della sua carriera breve e feconda. L’amicizia con Brancusi e la passione per l’art nègre, per la Grecia arcaica e per l’arte egiziana influenzano gli inizi del suo percorso artistico, sia nella scultura, dai tratti puri e misteriosi, sia nella pittura, dalle forme rigorose e armoniose al tempo stesso, e dalla pennellata corposa e costruttiva. Modigliani elabora uno stile personalissimo, contaminando le forme classiche con il linguaggio primitivo, in sintonia con le istanze espressive della sua epoca, cercando quella sintesi tra tradizione e modernità, che è una delle costanti principali dell’arte del Novecento.

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L’esposizione, prevista in tre sezioni e tre sedi della Val d’Orcia, ha l’obiettivo di evidenziare quali sono stati gli interpreti artistici di questa preziosa terra, di omaggiare la Siena del Cinquecento e del Seicento e far conoscere gli autori di opere notevoli. Il percorso inizia dal Museo Civico di Montepulciano, in cui sono riuniti capolavori del momento giovanile di Domenico Beccafumi, l’ultimo grande esponente della scuola senese. La seconda tappa della mostra si svolge a Palazzo Chigi di San Quirico d’Orcia ed è intitolata “Dal Sodoma al Riccio: la pittura senese negli ultimi decenni della Repubblica”. Infine a Pienza nelle Sale del San Carlo Borromeo è allestita la prima monografica su Francesco Rustici detto “Il Rustichino”: un caravaggesco gentile.

Dinamico, poliedrico, brillante. Dal 18 marzo al 2 luglio la Fondazione Magnani Rocca ospita una grande mostra dedicata a Fortunato Depero nella Villa di Mamiano di Traversetolo, presso Parma. Oltre cento opere tra dipinti, tarsie in panno, collage, disegni, abiti, mobili, progetti pubblicitari, per celebrare il geniale artefice di un’estetica innovativa, che mette in comunicazione le discipline dell’arte, dalla pittura alla scultura, dall’architettura al design, al teatro. Artista che seppe “dispensare meraviglia”, il futurista Depero si schiera contro i modelli comuni provocando la rottura di schemi obsoleti grazie ad un lavoro creativo. Cinque capitoli, un percorso futurista dell’autore, che ne analizza i ruoli peculiari di sperimentatore, scenografo, mago, pubblicitario e infine maestro.



TRADIZIONI

CARNEVALE AMBROSIANO, UN RITARDO PIENO DI DOLCI E LEGGENDE di Francesco Colamartino

M

ilano, si sa, è sempre stata in anticipo su mode, tendenze e fenomeni rispetto al resto d’Italia. Tranne in un caso: quello del Carnevale Ambrosiano. In base all’omonimo rito, il capoluogo lombardo celebra il carnevale il sabato dopo le Ceneri, quando nel resto d’Italia, dove vige il rito romano, è già Quaresima da tre giorni. Secondo la leggenda, Sant’Ambrogio, essendo di ritorno da un pellegrinaggio in terribile ritardo, invitò i concittadini ad attenderlo per dare il via alle celebrazioni della Quaresima. Secondo altre fonti, il patrono della città partì per un pellegrinaggio dicendo che sarebbe stato di ritorno a Milano per il Carnevale, in modo da dare inizio alla Quaresima, ma fu la città a decidere di aspettarlo, prolungando il Carnevale e posticipando l’inizio della celebrazione. Un’altra storia ancora, un po’ diversa, vuole invece che in un anno (tutt’oggi non identificato) la fine della Quaresima fosse andata a coincidere con la fine di una pestilenza che aveva impedito le feste e costretto la popolazione alla fame e che la dispensa, l’habeatis grassum, che prolungava di quattro giorni i festeggiamenti, sia stata chiesta al Papa proprio dal vescovo Ambrogio per rinfrancare i milanesi prima del lungo periodo di penitenza. In realtà l’inghippo starebbe in un diverso calcolo della durata della Quaresima. In tutta Italia, dove si segue il rito romano, inizia il mercoledì delle Ceneri e dura 40 giorni, escludendo le domeniche dal conteggio. Nella diocesi milanese che, invece,

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Milano celebra la festa di febbraio quando nel resto d’Italia è già Quaresima da tre giorni. Alla base ci sarebbe il cattivo rapporto di Sant’Ambrogio con la puntualità


segue il rito ambrosiano, il periodo di penitenza inizia la domenica successiva al mercoledì delle Ceneri e le domeniche sono comprese nei 40 giorni. Come ogni tradizione carnevalesca che si rispetti, anche quella milanese ha una sua maschera, quella del Meneghino. Il suo nome deriva da “Domenichino”, il servo della domenica, quello che accompagnava nobili non troppo abbienti nelle loro passeggiate per Milano. La maschera del Domenichino venne introdotta come figura del teatro seicentesco da Carlo Maria Maggi, con l’iconografia tipica connotata dalla lunga giacca color marrone, pantaloni corti, calze a righe rosse e bianche, un cappello a tre punte che nasconde una parrucca settecentesca con tanto di codino alla francese. È, però, il poeta Carlo Porta ad accrescerne la popolarità, tanto che, alla fine, il Meneghino è diventato il simbolo dell’animo patriottico milanese, contro la dominazione asburgica, in seguito alle Cinque Giornate di Milano del 1848. E non potevano mancare le ricette tipiche del Carnevale ambrosiano, a partire dalle strisce croccanti, le “chiacchiere”, che a Milano non vengono fritte come nel resto d’Italia, ma cotte al forno. Sulle tavole milanesi, poi, a febbraio è impossibile non trovare i “farsòe”, i tortelli di Carnevale, in dialetto tortei de Carnevaa. Si tratta delle palline fritte, cave all’interno, che possono essere farcite con crema chantilly, pasticcera o al cioccolato. Una variante da provare sono i “làciàditt”, tortelli fritti ripieni di cubetti di mela.

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TRADIZIONI

LETTERATURA IN CAMPIDOGLIO

C

a cura della Redazione

elebrata nel finale dell’anno appena trascorso la XXVIII edizione del Concorso e Premio Letterario, d’Arte e Cultura Giuseppe Gioachino Belli. Rivolto ad artisti e letterati italiani e stranieri, il concorso gode dell’apprezzamento

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qualitativo della Presidenza della Repubblica, del Patrocinio del Senato della Repubblica, del Ministero dei Beni Culturali e delle più alte Istituzioni della Regione Lazio e di Roma Capitale. A comporre la giuria sono ogni anno personaggi illustri del panorama culturale italiano, scelti


Il Concorso e Premio Nazionale Letterario, d’Arte e Cultura Giuseppe Gioachino Belli

Piazza del Campidoglio

Collezione di busti marmorei in Sala della Protomoteca

all’interno di una rosa di nomi tra cui figurano, per citarne alcuni, quelli di Marcello Fagiolo (ordinario di storia dell’architettura presso “La Sapienza”), Vittorio Sgarbi (critico d’arte), Umberto Broccoli (sovraintendente ai beni culturali del Comune di Roma). Tra i nomi anche quello del grande linguista

Tullio De Mauro, professore emerito presso “La Sapienza”, recentemente scomparso. L’evento è indetto dall’Accademia Belli, Centro Culturale sorto nella Capitale nel 1970, su fondazione del Prof. Eugenio Caporaso, prefetto di Roma. Egli volle inizialmente riunire un gruppo di ricercatori

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Sala della Protomoteca in Campidoglio - Cerimonia di premiazione

al fine di studiare e approfondire la cultura romana e romanesca, intitolando l’Accademia con il nome del maggiore esponente del verismo poetico italiano: Giuseppe Gioachino Belli, poeta del XIX secolo, che attraverso una copiosa raccolta di sonetti in vernacolo diede voce al popolo della Roma dei Papi. La cerimonia di premiazione del Concorso ha avuto luogo, come ogni anno, a dicembre presso la Sala della Protomoteca, tra le più prestigiose del Campidoglio, a cui si accede da Palazzo Senatorio o direttamente da Piazza del Campidoglio, che attraverso un elaborato disegno a intreccio rappresenta l’esito del lavoro di Michelangelo architetto nel suo ultimo soggiorno romano. Arte e letteratura uniti in un connubio indissolubile: la tradizione romana e la cultura contemporanea si sono presentati al cospetto dei busti marmorei raffiguranti gli italiani più illustri, che si rincorrono nella Sala con sguardo severo. E tra le raffigurazioni di Dante, Petrarca e Leonardo, un ambiente gremito ha assistito alla celebrazione dell’ultima edizione, che ha visto la partecipazione di 870 candidati ed oltre 1500 opere a concorso. Tra i finalisti era presente Alessio Proietti della Redazione Riflesso, che raccontando uno scorcio di vita romana tra arte ed architettura, entra nella Raccolta Antologica del Premio con relativa pubblicazione. La Giuria così si è espressa nei suoi confronti: “Capacità descrittiva ed incisivi

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Da sinistra: Alessio Proietti, la poetessa Monica Zelli e lo scrittore Tomasz Kardacz

tratti di narrazione dal taglio individualistico ed efficace. L’autore presenta un brano dal buon stile attentamente costruito, attraverso il quale esporre la visione del bello nella nostra realtà quotidiana”. E con la visione e condivisione del bello nella nostra realtà quotidiana, la Redazione Riflesso ha il piacere di iniziare un nuovo anno insieme.



MODA

L’ELEGANZA DISCRETA DEL CAPPOTTO di Mariano Di Vaio

“Essere notato senza cercare di essere notato, questa è eleganza” Luciano Barbera

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Quando penso ai cappotti, “raffinatezza” è la parola che mi viene in mente. Forse perché questo capo d’abbigliamento mi ricorda un vero gentleman: mio nonno. Ero solo un bambino, ma ricordo perfettamente mio nonno indossare il suo cappotto in lana cotta, meravigliando quel bambino per la sua straordinaria eleganza. Ecco, agli occhi di quel giovane ragazzo che stava imparando cosa fosse l’eleganza, quell’uomo era decisamente la persona più elegante del mondo.

Credo sia questa la ragione per cui il cappotto è tutt’ora il mio capospalla preferito, e questo è il motivo per cui su nohowstyle.com vi è dedicata un’intera sezione. Ogni anno scelgo i migliori cappotti per Nohow, alcuni dei quali disegno personalmente. Il risultato è una selezione di capi made in Italy, una collezione di cappotti composti da lane e tessuti di prima qualità.

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Tessuti fantasia oppure a tinta unita, con un unico tema portante: la raffinatezza. Questo rende il cappotto il must-have invernale, senza eccezioni. Il cappotto infatti non è mai too-much, ed è molto difficile che sia pacchiano o fuori luogo. Un vero passe-par-tout per l’inverno, un trend che non passa mai di moda.

Personalmente adoro i tessuti a quadri, quelli bouclé e quelli classici in lana cotta. Riguardo alla lana cotta apro una piccola parentesi, sono talmente convinto della bellezza di questo tessuto da averla utilizzata nella mia collezione di sneakers invernali (MDV Shoes). Varianti col bavero a lancia per un allure classica o col collo sciallato per uno stile più moderno, a doppio-petto per esaltarne l’importanza o a tre bottoni per adattarlo ad ogni look, corto per essere versatile oppure lungo e raffinato, insomma il cappotto è il trend invernale più interessante sotto ogni punto di vista, p erché esplora il lato più elegante della mascolinità.

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MODA

Il fenomeno delle it girls, influencer nei social e trend setter nel fashion system di Angela di Leone

Gilda Ambrosio e Giorgia Tordini, it girls e founders di The Attico, la loro linea di womenswear ed accessori, attraverso la quale esprimono tutto il loro gusto eclettico di stampo europeo che strizza un occhio ad influenze esotiche, sopratutto all’ estetica orientale.

S

e siete ancora legati all’ idea che quello che andrà o non andrà di moda dipenda dai contenuti o dalle copertine dei più autorevoli fashion magazines e dei loro relativi editors, beh state in parte sbagliando. Da anni ormai la nuova era dell’ informazione si svolge sulla piattaforma del web con le sue versioni online di magazines, blog, forum e chi più ne ha più ne metta, ebbene oggi anche questo scenario appare notevolmente mutato. L’irrefrenabile cambiamento del linguaggio comunicativo e dei suoi mezzi di trasmissione, vede attualmente al comando l’utilizzo dei social. Se Facebook, Twitter e molte altre piattaforme mediatiche simili vi sembrano già più che potenti a livello di impatto comunicativo, cosa dire di Instagram? Nel fashion system è infatti Instagram ad imporsi come autorità

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Diletta Bonaiuti, it girl e stylist presso Luisa Via Roma, dal gusto ed immaginario retrò, vintage e sicuramente molto italiano.


In diversi scenari internazionali spuntano ragazze che hanno fatto della moda un vero e proprio stile di vita, viaggiando e indossando capi che poi diventano degli immancabili must have assoluta. Perché? Beh il quesito è di facile risposta a dire il vero. Milioni di utenti pronti a prendere visione, più o meno assiduamente, di migliaia di contenuti visivi, di immagini, e cos’è la moda se non un concetto espresso attraverso un’immagine? Quello che ne risulta perciò è un continuo bombardamento visivo di post che ci mostrano in tempo reale e in modo super dinamico quello che sta sfilando durante le fashion week, quello che circola sulle copertine ma soprattutto quello che viene indossato, ed è proprio su quest’ ultimo punto che si sofferma la nostra analisi: quello che viene indossato, e da chi viene indossato. Più o meno consapevolmente i fruitori di Instagram, ossia i follower altro non sono che potenziali acquirenti a cui mostrare e a cui innescare il bisogno di avere quel pezzo, quel must have di collezione. Acquistano così un ruolo da protagoniste le cosiddette it girls. Sono infatti loro, ad interpretare a seconda del loro stile e gusto le tendenze, dicendoci cosa e come indossare quello che i brand propongono. Lo fanno coinvolgendo il follower nelle loro vite, non solo mostrando i loro outfit, ma anche i luoghi che frequentano, i viaggi che intraprendono, ciò che mangiano ed ogni sorta di interesse possano avere, trasmettendo così un vero e proprio lifestyle. Sono ragazze che nella maggior parte dei casi lavorano nel fashion system, molte delle quali owners di propri brand. Sempre nel place to be con l’outfit to have. Modelli ed icone da seguire, che rendono il prodotto più vicino al consumatore che può prendere così visione di come potrà indossare e mixare quello che vedrà nelle vetrine. Dai brand più esclusivi e di nicchia a quelli più commerciali e di massa, nessuno

Caroline Vreeland e Shea Marie, rispettivamente artista e cantante la prima, direttrice creativa di un proprio brand di swimwear la seconda nonché it girls americane, con base a Los Angeles. Trasgressive ed irriverenti, esprimono senza dubbio un’ estetica più marcatamente d’ oltreoceano.

Olivia Palermo, una delle it girls per eccellenza, con base a New York, con il suo stile chic ma allo stesso tempo glamour di impronta fortemente europea, sempre impeccabile e presente a tutti gli eventi più esclusivi.

può più fare a meno di loro, elevando la loro posizione a quella di vere e proprie influencer e mutando così le dinamiche di mercato e le strategie di marketing del pre-avvento di Instagram. Ma chi sono le it girls più interessanti del momento? Eccone una piccola selezione, tra quelle più interessanti, che calcano scenari internazionali e vantano profili Instagram a cui vale davvero la pena dare un’occhiata. Che dire quindi… se non buona visione.

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DESIGN

FONDAZIONE FRANCO ALBINI E “IL SEGNO TRA IERI E DOMANI”

“V

alorizzazione, formazione, emancipazione, ispirazione, scoperta, motivazione, sono solo alcuni dei valori strettamente legati al tema dell’innovazione e della creatività”. Con queste parole Paola Albini, vicepresidente della Fondazione Franco Albini parla dell’istituzione, arrivata al suo decimo compleanno. Nata a Milano nel 2007 come

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omaggio all’architetto e designer Franco Albini, icona del Razionalismo, e come polo culturale per poter divulgare il suo archivio, ma soprattutto il suo metodo progettuale ancora oggi attuale. In questi anni la Fondazione ha spaziato tra attività “istituzionali” fatte per valorizzare e divulgare l’archivio, dichiarato nel 2002 Patrimonio Storico Nazionale, ed altre più emozionanti e “mondane” con lo scopo di coinvolgere la cittadinanza alla


Per celebrare i primi dieci anni della Fondazione verrà organizzata una serie di attività culturali, a cadenza mensile, per esaltare i valori dell’innovazione e della creatività

riflessione su temi appartenenti alla nostra storia. Un evento al mese per dieci mesi. Da gennaio prendono vita una serie di iniziative, promosse dalla Fondazione stessa, e sostenute da Fondazione Cariplo, per tutto l’anno dell’anniversario, con il claim “Il Segno. Tra ieri e domani”. Come sostiene la vicepresidente: “Franco Albini era una figura carismatica quanto instancabile con una vita intensa e affascinante, tutta da scoprire nell’arco di questo

2017 con convegni, mostre, visite guidate, laboratori per bambini, spettacoli teatrali, pubblicazioni, e tanto altro”. L’appuntamento di apertura è quello del 24 gennaio in Triennale per la presentazione del programma, poi a febbraio è la volta dei laboratori per bambini nella fondazione e al Muba, invece l’8 marzo a Palazzo Marino vi è il reading dedicato alle donne e in particolare a Franca Helg, come esempio di emancipazione. Un racconto lungo dieci

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mesi, un segno che inizia dagli anni Trenta con le opere dell’architetto e prosegue oggi con lo studio associato del figlio Marco e del nipote Francesco, che ne adeguano il pensiero alle esigenze della contemporaneità. La vicepresidente poi aggiunge: “Tra la precarietà delle mode del momento, la cultura di opere che hanno resistito al tempo, rappresenta un solido punto di riferimento su cui costruire il nostro futuro. A mio parere occorre recuperare quel pensiero sostenibile che muoveva gli architetti razionalisti. Quella ricerca dell’essenza che risponde alle esigenze di ogni tempo.” Teatro, esposizioni, immagini, parole, workshop e video: tanti i linguaggi per poter coinvolgere tutti, giovani, studenti, bambini, pubblico generico, creativi e istituzioni milanesi. Il programma vede coinvolte, tra le altre, realtà come la Triennale, Palazzo Marino e il Politecnico. Gli obiettivi sono rilanciare valori metodologici che hanno resistito al tempo, come ponte per il futuro: valorizzare i giovani talenti; attirare diversi target di utenza, diffondendo la cultura architettonica con eventi per tutti; portare alla riflessione di un senso collettivo e sociale legato alla propria professione; divulgare il ruolo della città di Milano come culla dell’innovazione di ieri e di oggi, sviluppando un network tra le varie istituzioni milanesi pubbliche e private. È stato indetto anche un contest, un concorso di idee per la realizzazione

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di un logo che accompagna tutta la comunicazione delle celebrazioni del decennale. L’obiettivo è che il logo dei dieci anni possa essere realizzato da un giovane, proseguendo idealmente il lavoro fatto da Bob Noorda per la creazione dell’attuale logo della Fondazione Franco Albini. Il nuovo logo accompagna quello esistente durante tutto l’arco del 2017. Una giuria di esperti valuta i lavori pervenuti e decreta quello vittorioso. Oltre al vincitore i dieci migliori lavori vengono esposti nella Fondazione durante tutta la durata dei festeggiamenti. Info: E. paola.albini12@gmail.com / fondazionefrancoalbini@gmail.com T. +39 02 4982378 www.fondazionefrancoalbini.com


Designer: Daniele Buschi

Light Shape #grafox


DESIGN

PACE COME CONDIZIONE E FINALITÀ PER UN DESIGN DI ECCELLENZA di Cinzia Chitra Piloni

F

orse sembrerà improbabile o fuori luogo parlare di pace quale valore correlato al design. Come può relazionarsi una condizione come quella della pace – spesso rapportata alla “sola” dimensione sociale – con la capacità di progettare? Eppure a un pensiero più profondo, la pace appare come valore profondamente connesso alla progettazione. Quantomeno alla progettazione di qualità. Design significa sostanzialmente progetto, cioè la messa in campo della creatività, quale funzione specifica dell’essere umano, al fine di favorire una vita più adeguata alla nostra umanità. Una vita che riesca a contemplare quindi il pieno sviluppo e il rispetto di tutti i livelli dell’essere umano: il corpo, la mente, le emozioni e la sfera spirituale. Seguendo questo pensiero il designer è chiamato a progettare oggetti, sistemi, ambienti, spazi e nuovi pensieri capaci di farci vivere meglio ed

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Yantra


Fiori di luce

esprimere appieno il nostro potenziale di specie. A questo punto appare alquanto chiaro come dimorare nella pace, che in genere contempla anche equilibrio e armonia, sia una condizione necessaria all’espressione di un pensiero progettuale ampio, creativo e comprensivo. E la connessione con quelli che oggi definiamo design sostenibile, design for all o conscious design, risulta evidente. Il design sostenibile, com’è ormai noto, è un sistema progettuale che tiene conto dell’ambiente (inteso in tutte le sue accezioni) utilizza intelligentemente le risorse e abbatte l’impatto ambientale, è logico quindi pensare che sia il livello di conoscenza e di consapevolezza estesa dei designer a creare il discrimine fra progetti più o meno sostenibili. Direi più o meno attuali. Se da un lato la pace è la conditio per progettare, dall’altro è finalità e per chi fosse interessato ecco un link: “Architrize Architecture Competition invita studenti di architettura e design, architetti e professionisti a

partecipare al concorso di idee India / Pakistan Border of Peace. L’obiettivo della competizione è quello di creare uno spazio condiviso lungo il confine che separa i due paesi attraverso un intervento di architettura o di design. Il limite non deve più essere un mero luogo di divisione tra i due Stati, ma riunire le comunità di entrambe le parti attraverso l’attivazione di uno spazio pubblico di grande originalità capace di educare le persone alle virtù sociali e all’armonia religiosa. L’intervento dovrà promuovere la coesistenza reciproca di amicizia e pace tra India e Pakistan e dovrà farsi portavoce di un messaggio di tolleranza attraverso il duplice linguaggio dell’arte e dell’architettura”. www.professionearchitetto.it - concorsi di architettura. Un augurio quindi e una domanda conclusiva. Come favorire la creazione di ambienti mentali pacifici quale condizione necessaria a un design sempre più raffinato, di qualità e squisitamente umano?

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FOTOGRAFIA

KIDVIKK, UN MONDO LIBERO DI VOLARE ALDILÀ DELLA REALTÀ

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di Laura Patricia Barberi

ittoria Attianese, in arte “Kid Vikk”, oggi è una delle più influenti Instagramer del panorama italiano. Le sue opere nascono da un duetto artistico ben rodato: quello tra fotografia e computer grafica. Ogni scatto è sintesi perfetta del desiderio di Vittoria di sospendere monumenti, oggetti, macchine, in un mondo lieve aldilà della realtà dove ci accompagna per mano permettendoci di sognare, volare con l’immaginazione in un piccolo e perfetto mondo surrealista. Affinché i suoi scatti raggiungano una dimensione “senza peso” è necessario secondo Viki liberare l’oggetto raffigurato dal superfluo circostante, ripulirlo dal suo contesto urbano. Al netto del suo legame con il mondo reale, l’oggetto raffigurato è pronto per essere affiancato

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da inequivocabili connotazioni di leggerezza quali cieli azzurri densi di nuvole perfette, uccelli che si librano in volo, palloncini coloratissimi e mongolfiere prestati dal Regno di Oz. La risultante è una ponderata ed affascinante contrapposizione tra la solidità e il peso di un palazzo o monumento e gli elementi surreali rubati da una dimensione onirica di stampo magrittiano: un connubio sempre maggiore della somma delle parti. Sin dai tempi dei suoi studi di arte presso l’Accademia

di Brera di Milano, Vittoria ha sempre avvertito la necessità ci confrontarsi con il tema sempre aperto della leggerezza, in qualità di concetto opposto alla pesantezza che tanto rifugge nelle sue opere. Oggi è insegnante di fotografia e grafica a Cremona - città natale di Viki e spesso ritratta nelle foto dove divide le giornate tra l’insegnamento, l’essere mamma e l’arte. Nei suoi scatti potrete riconoscere alcuni dei più iconici monumenti dell’Italia. La trovate su Instagram come @kidvikk

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FOTOGRAFIA

VIVIAN MAIER. NELLE SUE MANI

I

n mostra presso l’Arengario di Monza, con oltre 100 immagini dell’artista newyorkese: singolare e affascinante figura di artista, recentemente ritrovata e definita una delle massime esponenti della street photography. La mostra, curata da Anne Morine è stata promossa dal Comune di Monza, in collaborazione con la John Maloof Collection e la Howard Greenberg Gallery di New York. Chi era Vivian Maier? Nata a New York la fotografa trascorre la maggior parte della sua giovinezza in Francia, dove comincia a scattare utilizzando una Kodak Brownie. Nel 1951 torna a vivere negli Stati Uniti e inizia a lavorare come tata per diverse famiglie. Professione che manterrà per tutta la vita e che condizionerà alcune scelte della sua produzione fotografica. Fotografa per vocazione, Vivian non esce mai di casa senza la

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macchina fotografica e scatta compulsivamente con la sua Rolleiflex, accumulando così una quantità di rullini talmente numerosa da non riuscire a svilupparli tutti. Non farà mai vedere a nessuno i suoi scatti, come se volesse conservarle gelosamente per se stessa. Le immagini profonde e mai ordinarie della Maier raccontano, in modo quasi pedissequo, uno spaccato originale di vita americana della seconda metà del Ventesimo Secolo. Immagini, in maggior parte inedite in Italia, che denotano uno spirito eccentrico oltre a una particolare attenzione per i dettagli. Pur lavorando nei quartieri borghesi, gli scatti di questa eccezionale artista ritraggono spesso ciò o “chi” che è lasciato da parte. Per questo scatta per le strade di New York e Chicago, scattando indistintamente gli abitanti e gli animali,


costantemente sedotta come era da chi lotta per rimanere a galla nella società. Tra gli oggetti che muovono la sua curiosità anche quelli abbandonati, graffiti e giornali. Nessuna eccezione è fatta per le cose trovate nei bidoni della spazzatura o buttate sul marciapiede. Nella splendida cornice dell’Arengario non mancano i celebri autoritratti dell’artista in cui il suo sguardo severo riflette negli specchi, nelle vetrine e la sua lunga ombra invade l’obiettivo quasi volesse finalmente presentarsi al pubblico che non ha mai voluto o potuto incontrare. La mostra “Nelle sue mani” è una ricca esposizione divisa per sezioni tematiche e arricchita dalla proiezione di alcuni dei filmini Super 8 mm girati della stessa Maier, oltre che da un documentario inedito che illustra la vita della street photographer americana.

Titolo Vivian Maier. Nelle sue mani Sede Arengario di Monza Piazza Roma – 20090 Monza A cura di Anne Morin Promossa dal Comune di Monza Prodotta e organizzata da ViDi In collaborazione con diChroma photography Howard Greenberg Gallery, New York John Maloof Collection Consulenza scientifica Piero Pozzi Informazioni www.arengariomonzafoto.com Tel. + 39 039 329541 Tel. +39 02 36638600

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“Progetto Culturale 5D”

Nuovi Tour a Milano

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Per informazioni scrivere a: info@riflesso.info www.riflesso.info Fb: Riflesso Magazine


Il secondo Futurismo si nasconde nel cuore di La Spezia

ARTE

di Samantha Chia

I

l «paesaggio marino, le colline selvagge, acciaio e ferro delle navi e dei cantieri, acrobazie degli idrovolanti e spettacolari esercitazioni aeree militari» fecero di La Spezia il luogo privilegiato per gli architetti futuristi dell’asse ligure-piemontese. Edificio simbolo di questo nuovo clima culturale è il Palazzo delle poste progettato dall’architetto futurista Angiolo Mazzoni, inaugurato nel 1933

Mosaico Fillia e Prampolini

Nel Palazzo delle poste situato nella riviera del Levante si nascondono coloratissimi mosaici ceramici dei pittori futuristi incentrati sul variegato tema delle comunicazioni 39


Palazzo delle Poste La Spezia, 1933

e situato nella centrale Piazza Giuseppe Verdi. Il palazzo è un esempio di architettura razionalista, la sua semplicità e linearità esteriore celano la più complessa struttura interna. Visione privilegiata del palazzo è quella aerea (non a caso Mazzoni nel 1934 sarà tra i firmatari del Manifesto dell’architettura aerea), mentre la frontale conferisce la sensazione di trovarsi d’innanzi a un “sacro altare civile”, sensazione rafforzata dalla struttura a “U” del fabbricato e dalle sue “ali” laterali. Il palazzo è munito anche di una civilissima torre dell’orologio. È proprio qui che inaspettatamente si nascondono al suo interno i coloratissimi mosaici ceramici dei pittori futuristi Luigi Fillia ed Enrico Prampolini, sul tema delle comunicazioni, rispettivamente, terrestri e marittime e sulle telecomunicazioni telegrafiche, telefoniche e aeree. Il tema e il carattere anticonvenzionale dei mosaici non furono né apprezzati né compresi a pieno dalla popolazione della città. Oggi ne è stata fatta una grande rivalutazione e opera di

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restauro che ha attirato soprattutto il turismo straniero della città. Le comunicazioni vengono rappresentate attraverso i principali mezzi di trasporto, grandi navi che richiamano la funzione del porto spezzino, treni imponenti, e soprattutto velocissimi aeroplani: simbolo più noto del futurismo. Guardando verso l’alto della torretta si rimane avvolti dal colore e dalla lucentezza delle tessere musive che conferiscono dinamicità all’ambiente nella loro risalita verso l’alto. Un uso estremamente innovativo del mosaico, già in linea con quello che sarà il manifesto futurista della ceramica e aeroceramica del 1938. Il mosaico anziché richiamare il tradizionale ambiente sacrale a cui siamo abituati ad associarlo, ci spinge verso la modernità e la rapidità che secondo i futuristi avrebbe caratterizzato l’avvenire dell’uomo e che di fatto segna il nostro presente. L’opera è un esempio unico per chi vuole scoprire una delle anime della piccola, e poco conosciuta, provincia ligure della riviera del Levante.



ARTE

IL COLOSSO DI BARLETTA EMBLEMA DELLA CITTÀ di Mariangela Serio

Ph. Mirabilia Sistemi

I Barletta, Il Colosso

Alto cinque metri, risalente a quasi duemila anni fa, il Colosso rappresenta un’unicità mondiale poiché è la sola grande statua in bronzo esposta all’aperto e non custodita in un museo 42

l Colosso di Barletta, noto anche come “il Gigante”, è da sempre l’emblema della città. È una statua di bronzo, alta circa cinque metri, risalente a poco meno di duemila anni fa, posizionata all’aperto, nei pressi di una delle basiliche più importanti e antiche di Barletta: la Basilica del Santo Sepolcro. Il Colosso rappresenta un’unicità mondiale poiché è la sola grande statua in bronzo, esposta nella sua versione originale all’aperto e non custodita in un museo. Vestito con una casacca militare sgualcita da numerose pieghe, con il braccio destro sostiene una croce e con la mano sinistra regge un globo. Ha il capo adorno da un diadema imperiale con due file di perle, da cui scendono due pendenti dietro le orecchie. Era d’uso, infatti, presso i nobili bizantini appendere un orecchino tra i capelli, mentre i poveri erano soliti indossarlo all’orecchio. Anche se noto come Eraclio, gli studiosi hanno escluso che il Colosso rappresenti l’imperatore Eraclio I, data la pettinatura ormai passata di moda nel V secolo. L’ipotesi più accreditata è che raffiguri l’imperatore Teodosio II, all’età di trentotto anni, nel pieno del suo splendore imperiale. Il valore di tale ipotesi si basa sulla pettinatura, sull’abito e sul gioiello di arte gotica montato sul diadema, posizionato sulla fronte del bronzo, che conduce a Elia Eudossia, madre dell’imperatore. Secondo la tradizione popolare la statua fu ritrovata nel 1204 nel porto di Barletta, finita lì per il naufragio di una nave veneziana al rientro da una crociata. Tale ipotesi, però, è stata scartata in seguito a recenti studi che hanno evidenziato una scarsa quantità di iodio sulla superficie del Colosso. Con molta probabilità, la statua, elevata a Ravenna, sarebbe stata trasportata in Puglia per ordine dell’Imperatore Federico II di


Ph. Carlos Solito

Ph. Helmut Berta Barletta, Castello Svevo

Ph. Vanda Biffani

Ph. Vanda Biffani

Barletta, Cattedrale

Barletta, Cattedrale

Barletta, Castello Svevo

Svevia, che desiderava abbellire le città imperiali. Il Colosso era destinato a Foggia, Lucera o Melfi, per affermare l’autorità imperiale contro gli invasori saraceni, ma per ragioni non ancora chiarite, restò a Barletta. A impreziosirne la storia, vi è un racconto popolare, tramandato nei secoli e trascritto in lingua inglese da Tomie de Paola nell’opera The Mysterious Giant of Barletta. La leggenda narra che un giorno il Colosso scese dal suo basamento per soccorrere il popolo barlettano, in preda alla paura di un imminente attacco ad opera dei saraceni. Egli

si diresse fuori dalle mura della città ad aspettare i nemici, dai quali si fece trovare mentre piangeva. Gli invasori intimoriti, ma incuriositi, gli chiesero le ragioni del suo pianto e il Colosso rispose di essere stato cacciato dai suoi concittadini perché troppo piccolo e debole e, quindi, inadatto a giocare con loro. Questa risposta atterrì i soldati che desistettero dall’attacco, allontanandosi in fretta dalla città. Barletta fu salva e il Colosso, festeggiato da tutti come un eroe, ritornò sul suo piedistallo a vegliare dall’alto la sua città.

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ARTE

AGNONE: IL PAESE DOVE NASCE LA VOCE DEGLI ANGELI di Andrea Mastrangelo

L

e sue origini sono antichissime e di difficile collocazione sia storica che geografica. La campana, oggetto divenuto nel tempo simbolo sacro del cristianesimo, era conosciuta dagli antichi Etruschi ma, al contempo, non mancano testimonianze del suo uso anche tra le popolazioni originarie di Cina ed India. In tale ambito il Molise occupa senz’altro un posto di rilievo assoluto: la Pontificia Fonderia Marinelli, sita nel cuore della splendida Agnone, è il centro di produzione più antico d’Italia e uno tra i più vecchi del mondo. Sono mille gli anni passati dalla

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prima campana gotica in bronzo fusa tra le mura di palazzo Marinelli, mille anni di tradizioni e segreti artistici tramandati di bocca in bocca, da padre in figlio lungo le generazioni che di questa sapiente arte hanno fatto il loro mestiere e la storia. “Nel cuore dell’Italia, nel Molise, si trova un paese dove nasce la voce degli angeli: è Agnone delle campane, dove da mille anni perdura l’arte della fusione dei bronzi sacri”: recita così l’epigrafe di presentazione della fonderia e forse non esistono parole migliori. Visitando gli ambienti, guardando i volti degli artigiani, scorgendo il segreto dell’arte che sgorga quasi improvvisamente dalle loro mani,


La Pontificia Fonderia Marinelli rappresenta il centro di produzione più antico d’Italia per la fusione dei bronzi sacri, e le campane realizzate sono delle vere opere d’arte

sembra di tornare tutto d’un tratto nel medioevo. È probabile che campane di notevoli dimensioni si fondessero ad Agnone anche prima del 1200. Certo è invece che Nicodemo Marinelli, “Campanarus”, nel 1339 fuse una campana di circa 2 quintali per una chiesa del frusinate. Campane agnonesi di raffinatissima fattura, che vanno dal XIV secolo in poi, sono visibili inoltre non solo presso il Museo Marinelli, ma su molti campanili dai quali tutt’oggi espandono il loro suono. Una storia lunga un millennio che ha vissuto alti e bassi lungo il proprio cammino: dal 1924, anno in cui Sua Santità Pio XI concesse alla famiglia Marinelli il privilegio

di fregiarsi dello stemma pontificio; passando per gli anni bui della seconda guerra mondiale quando l’attività fu sospesa e i bronzi vennero fusi per fabbricare armi; fino alla visita di papa Giovanni Paolo II nel 1995. Il lavoro della fonderia Marinelli vecchio ma sempre nuovo, prosegue inalterato nella tradizionale tecnica di produzione con la stessa identica passione che dura da ben diciotto secoli. Non è certamente possibile ascoltare il suono di queste opere d’arte attraverso le parole, ma bisogna respirare l’odore del bronzo fuso, calcare quella terra, toccare i bassorilievi che le adornano per capire il vero significato del loro suono angelico.

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ARTE

TINTORETTO IL TERREMOTATO di Carlo Trecciola

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hi avrebbe mai immaginato che dopo quasi quattro secoli e mezzo l’opera di Jacopo Robusti, conservata nella chiesa cinquecentesca di Santa Maria delle Vergini a Macerata, acquisisse la critica e delicata condizione di “terremotato”? L’ultimo devastante sisma cha ha scosso l’intero Centro Italia ha messo in serio pericolo lo stato di conservazione della pregiatissima pala del pittore veneto, che si trovava nella Cappella Ferri, nella storica e maestosa chiesa a pianta greca, edificata proprio in pieno Rinascimento nel capoluogo di provincia marchigiano. Ma chi era Jacopo Robusti? A cosa deve la sua fama e perché l’Adorazione dei Magi, pur essendo considerata un’opera secondaria, è così importante? Jacopo Robusti è riconosciuto universalmente col suo celeberrimo ed originale soprannome “Tintoretto”, che deriva dal lavoro svolto dal padre Giovanni Battista, commerciante di tinte per la seta. Attraverso la diffusione sempre più ampia della stampa, nel 1530 circa, il giovanissimo Jacopo s’innamora dei capolavori di Michelangelo e Raffaello e ammira personalmente i grandiosi affreschi di Giulio Romano. Forse la sua scelta d’intraprendere la carriera del pittore sarà stata tormentata e sofferta, forse no, fatto sta che poche informazioni sono giunte sino a noi della sua prima giovinezza. Però ci è dato conoscere che sicuramente fu allievo del sublime Tiziano, maestro per cui lavorò solo per qualche giorno, giacché fu cacciato per timore della sua straordinaria bravura, che lo avrebbe reso degno rivale dei migliori artisti suoi coevi. Tintoretto aveva una pittura unica: arrivava quasi ai limiti della dissolvenza della luce, evocando un senso di incompiuto. Fu potente e velocissimo narratore e l’opera che incoronò il suo nome nell’olimpo degli artisti fu lo strepitoso e surreale dipinto del Miracolo dello

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Il pittore “Furioso”, con uno stile e una pittura unica, si presentava con opere piene di trasfigurazioni evocative, arrivando quasi ai limiti della dissolvenza della luce ed evocando un senso di incompiuto

Jacopo Tintoretto, Miracolo di San Marco, 1548

Schiavo liberato da San Marco; un’intuizione scenografica unica mista ad una visione instabile e ad una impressione cinematografica scrosciante. Si racconta la di lui ben nota spregiudicata velocità d’esecuzione, tanto da valergli l’appellativo “Il Furioso”. L’aretino nei suoi riguardi affermò che “dipinge in men spazio di tempo”, questo perché la luce in Tintoretto assume un ritmo vorticoso,


Jacopo Tintoretto, Adorazione dei Magi, 1587

con i suoi precisi tempi di movimento, scanditi dall’intensificazione dei chiaro – scuri. La luce tintorettesca annulla lo spazio, arrivando quasi ad annientarlo, e sublima la prospettiva, che assume tratti personalissimi, avviluppando interamente la percezione visiva dell’interlocutore attraverso lo svuotamento dello spazio. Le sue opere sono potenti e piene di trasfigurazioni evocative, che surclassano prepotentemente la plasticità fino ad allora concepita. La formazione principalmente e puramente manieristica maturata dal Robusti non influisce più di tanto sullo sviluppo della sua tecnica, giacché esce quasi subito dai canoni del tardo Rinascimento, facendo progredire e crescere la pittura veneta, portandola a livelli mai raggiunti prima. Il pittore “Furioso” veleggia libero tra rarefatte profondità dai toni sordi e bassi, accennando senza descrivere chiaramente visioni tormentate, drammatiche e agitate e avvalendosi degli elevati giochi luministici, che causano stupore e sorpresa nella maniera più sensazionale e teatrale immaginabile. Rispetto a Michelangelo ha una

Jacopo Tintoretto, Adorazione dei pastori

pittura assai più sciolta, corsiva, con pennellate dai tratti duri, incisivi e rapidissimi. Diviene possibile misurare la meraviglia che pervade l’animo degli spettatori, perché i tempi scenici sono scanditi minuziosamente e parte da protagonista la gioca il colore, che acquisisce una propria tensione interna, scaturita ineluttabilmente dall’autenticità dei sentimenti impressi. Il carattere profondamente cristiano, decisamente da indicizzare al tempo in cui visse, rivela un’intensità quasi da parossismo. Le immagini diventano visioni, i personaggi trapelano ognuno il proprio carattere, viva e palpabile appare la presenza di ogni dettaglio, anche del più sbiadito; come una vera rappresentazione teatrale le opere del Tintoretto echeggiano di voci, suoni, odori, sapori e, ovviamente, di sfumature di colori. Dell’Adorazione ne esistono due versioni: quella dei Magi, conservata a Macerata e quella dei Pastori, custodita nella Scuola Grande di San Rocco a Venezia. Rimetto alla vostra curiosità le differenze stilistiche e concettuali dei tre dipinti riportati in foto. La chiave di lettura è “fuori dagli schemi”.

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ARCHITETTURA

Il sorprendente labirinto piĂš grande del mondo si impone alle porte di Parma di Elena Brozzetti

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elle campagne di Fontanellato, in provincia di Parma, sorge il maestoso labirinto della Masone. Unico nel suo genere per importanza e dimensione, si estende per circa otto ettari nei terreni della tenuta Masone e per questo conosciuto come il labirinto più grande al mondo. Il suo creatore, l’editore e designer parmigiano Franco Maria Ricci, ha promosso l’idea in memoria di una vecchia promessa fatta, nel lontano 1977, allo scrittore argentino Jorge Luis Borges, da sempre affascinato dai dedali, come simbolo e metafora di vita. Il parco, costruito in dieci anni e inaugurato nel giugno del 2015, è stato realizzato con la preziosa collaborazione degli architetti Pier Carlo Bontempi, progettista dei sorprendenti edifici interni al labirinto e Davide Dutto, esecutore della geometria del labirinto. Una pianta a forma di stella e una struttura tipica dei labirinti romani, solitamente articolati in quattro terreni interconnessi tra loro sviluppati intorno ad un quadrato centrale. La sola eccezione riguarda l’aggiunta di piccoli bivi e vicoli

Tra natura ed arte lo scenario suggestivo e rilassante tutto da scoprire nella tenuta della Masone di Franco Maria Ricci, noto editore e designer

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ciechi, totalmente assenti nel modello romano, univiari per eccellenza. A dar forma al labirinto sono gli oltre 200.000 bambù e arbusti sempre verdi di straordinaria qualità, dei quali è possibile trovare di almeno venti specie e misure differenti. Nel cuore della struttura si trova la piazza centrale, di oltre 2.000 metri, dove generalmente vengono svolti concerti, feste private e manifestazioni culturali. Al centro di essa svetta una cappella a forma piramidale, sul cui pavimento è raffigurato un ulteriore labirinto a testimonianza della continuità con l’esterno del dedalo. Un luogo di cultura, oltre che di svago grazie alla presenza di strutture parallele che rendono il Labirinto della Masone il posto ideale per passare del tempo nel più completo relax. Oltre alla presenza di un Bistrò, dove poter assaggiare piatti ‘stellati’ della cucina tradizionale parmense e suites di lusso, destinate soprattutto ad ospiti d’onore, la struttura ospita al suo interno la casa editrice di Franco Maria Ricci, nonché la sua prestigiosissima collezione d’arte. Il museo vanta, infatti, più di 500 opere fra pitture, sculture ed oggettistica, sino alla preziosissima e rarissima

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Jaguar degli anni ’60. Nella biblioteca sono inoltre presenti alcuni volumi stampati dal tipografo Bodoni, di cui lo stesso Ricci è uno dei massimi conoscitori. Oltre alla presenza permanente di alcune opere del Bernini e quadri del Ligabue, gli spazi del museo accolgono anche numerose mostre temporanee. La più recente è quella dedicata al pittore Gino Covoli, le cui opere – circa trenta – sono esposte a partire dal 26 novembre 2016, sino al 5 marzo 2017. Per maggiori informazioni, consultare il sito: www.labirintodifrancomariaricci.it



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Il percorso arabo-normanno a Palermo: un mix di stili e culture diverse

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di Paola Faillace

alermo è una città che porta i segni delle colonizzazioni passate. Le chiese barocche e le facciate arabo-normanne ne sono un costante promemoria. Tra le strade moderne e i quartieri rurali emergono tracce del passato che si fondono con l’ambiente circostante in un mix di stili e contaminazioni culturali, che rendono Palermo una città unica nel suo genere. La dominazione araba e quella normanna lasciarono numerosi segni, tra cui edifici dalla fisonomia unica. Le moschee arabe, con le dominazioni successive,

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sono state convertite in chiese e palazzi mantenendo le loro caratteristiche strutturali e architettoniche. Il 3 luglio 2016 il Comitato del Patrimonio Mondiale dell’Unesco a Bonn ha riconosciuto l’itinerario arabo-normanno di Palermo come “Patrimonio Mondiale dell’Umanità” inserendolo nella World Heritage List. Lo stile arabo-normanno presente in alcuni edifici di Palermo, Cefalù e Monreale si caratterizza per la fusione di culture opposte: quella araba-musulmana e quella normanna-cattolica. Gli edifici che fanno parte del percorso arabonormanno sono: il Palazzo Reale o dei Normanni, la


L’itinerario, riconosciuto patrimonio Unesco, costituisce un esempio materiale di convivenza, interazione e interscambio tra società geograficamente e culturalmente eterogenee, generando una sintesi di identità architettonica e artistica Cappella Palatina, la Cattedrale, la Chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio, la Chiesa di San Cataldo, la chiesa di San Giovanni degli Eremiti, il Castello della Zisa, il ponte dell’Ammiraglio, il Duomo di Monreale e il suo Chiostro e la Cattedrale di Cefalù e il suo chiostro. La dominazione araba durò dalla metà del VIII secolo alla fine del XI secolo, in quel periodo vennero realizzati numerosi palazzi, moschee, minareti, giardini e fontane. I palazzi arabi scompariranno durante l’occupazione normanna, in cui saranno sottoposti a profonde modifiche. Da

questi riadattamenti e fusioni di stili diversi tra loro nasce lo stile arabo-normanno. Il percorso è un esempio materiale di convivenza, interazione e interscambio tra società eterogenee geograficamente e culturalmente. La loro sintesi generò uno stile architettonico e artistico in cui si fondono elementi bizantini, islamici e latini, capace di volta in volta di prodursi in combinazioni uniche, rappresentazioni artistiche e storiche di un territorio complesso e affascinante. Gli elementi tipici di questo stile sono: la pianta basilicale a croce latina o greca, torri e portale nella facciata, coro spesso sormontato da cupole, presenza di mosaici bizantini e elementi decorativi arabi; i palazzi sono circondati da parchi con distese d’acqua e in questi parchi vi sono due aree: l’iwan (sala a tre esedre) e il cortile all’aperto, con portici e fontane, decorati da pavimenti marmorei o da mattoni disposti a spina di pesce e pareti ricoperte da mosaici. Palermo è un luogo di incontro e di dialogo fra civiltà diverse, qui Oriente e Occidente si sono fusi lasciando dei segni sull’intero territorio siciliano. La dichiarazione del percorso arabo-normanno come patrimonio dell’Unesco riconosce il valore della convivenza tra culture che fondendosi tra loro attraverso procedimenti di inclusione e di unione generano un sincretismo unico che è alla base della moderna civiltà mediterranea.

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MUSEO DEGLI INNOCENTI: CONNUBIO FRA ARTE, ARCHITETTURA E  VOCAZIONE ALL’INFANZIA di Livia Ballan

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anno appena trascorso lascia a Firenze una nuova area espositiva: si tratta del Museo degli Innocenti, uno spazio polifunzionale totalmente rinnovato, aperto al pubblico dopo tre anni di intensi lavori di restauro e che propone un percorso culturale ricco di interessanti spunti sul tema dell’infanzia. Un luogo carico di storia nel quale architettura e arte si mettono al servizio di un tema sociale delicato: la tutela dei diritti dei minori. L’antico “Spedale degli Innocenti” è uno fra gli edifici più rappresentativi della Firenze quattrocentesca. Progettato da Filippo Brunelleschi e finanziato dal ricco mercante pratese Francesco Dini, esso rappresenta un edificio all’avanguardia sia dal punto di vista architettonico che dal punto di vista sociale e funzionale. Il rigore formale, l’uso di un modulo

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Un luogo carico di storia, nel quale architettura e arte si mettono al servizio di un tema sociale delicato: la tutela dei diritti dei minori

che definisce le proporzioni fra le parti e ne articola la geometria, il ricorso all’ordine architettonico classico, sono solo alcune delle peculiarità che lo rendono un eccellente esempio di architettura rinascimentale. Grazie all’imponente porticato che si affaccia su piazza Santissima Annunziata rappresenta, ancora oggi, un monumento iconico per la città di Firenze. Dal 1445 svolge la funziona sociale legata al ricovero, alla cura e all’istruzione dei bambini orfani, un tempo chiamati “innocenti” o “nocentini” (appellativi ricorrenti in molti cognomi fiorentini). L’intervento di restauro architettonico e di recupero funzionale dell’edificio inizia dalla riorganizzazione distributiva dei piani: grazie ai nuovi ingressi su piazza Santissima Annunziata e al sistema di scale che collegano i vari livelli, l’intero complesso risulta adesso facilmente permeabile al

pubblico. Una superficie espositiva di circa 4900 mq è suddivisa su tre livelli nei quali si distribuiscono i tre percorsi tematici del museo: quello storico, quello architettonico ed infine quello artistico. Il viaggio alla scoperta della storia dell’Istituto degli Innocenti comincia nel piano interrato, attraverso un percorso tematico che propone in maniera didascalica le tappe più importanti che hanno segnato l’evoluzione storica dell’Istituzione dal 1415 al 1900. Alla descrizione cronologica vengono affiancati anche dei toccanti frammenti di memoria e spunti biografici dei “nocentini” che raccontano la vita all’interno dell’istituto. Il percorso prosegue al piano terra, ripercorrendo le trasformazioni architettoniche dell’edificio progettato da Brunelleschi. I cortili, il loggiato e le sale ci mostrano quale sia stata l’evoluzione

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nel tempo del complesso edilizio e quali opere di adattamento siano servite per renderlo idoneo a svolgere il ruolo di accoglienza. Al secondo piano, sopra il monumentale porticato che rende celebre la piazza, si sviluppa il percorso artistico. Nella galleria che ospita la collezione permanente si possono ammirare opere di Domenico Ghirlandaio, Sandro Botticelli, Luca della Robbia, ed infine i Putti policromi di Andrea della Robbia. La visita si conclude nella splendida terrazza panoramica ricavata dal recupero del verone quattrocentesco (ex stenditoio all’ultimo piano) dove ora trova spazio una caffetteria letteraria aperta al pubblico. Una struttura flessibile e trasparente che offre una vista mozzafiato sulla città. Il Museo degli Innocenti restituisce alla città uno dei luoghi più cari ai fiorentini. L’intervento coniuga da una parte la volontà di mantenere salda la memoria di un luogo storicamente e artisticamente importante, ma dall’altra ne amplifica la fruizione sia per i cittadini che per i turisti, dando libertà di espressione alle molteplici funzioni che nei secoli lo anno reso un luogo vitale e pulsante per Firenze.

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Ph. Francesco Radino

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IL MAXXI NELLA CAPITALE: LINGUAGGI, CREATIVITÀ E CONTAMINAZIONI CULTURALI di Italo Profice

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el paese del rinascimento, del manierismo, del barocco accade che ci sia un avamposto di arte contemporanea e questo si situi proprio nella capitale. Il Maxxi è il primo museo nazionale dedicato alla creatività contemporanea. Lo gestisce una Fondazione di diritto privato, la Fondazione Maxxi, istituita nel luglio 2009 dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e il Turismo presieduto dalla Melandri. La sua inaugurazione è avvenne nel maggio 2010

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e nel 2013 è stato riconosciuto tra gli enti privati di ricerca. Il Direttore Artistico del museo è il cinese Hou Hanru. Progettato da Zaha Hadid, architetto di fama internazionale scomparsa il 31 marzo del 2016, il Museo nazionale delle Arti del XXI secolo è stato pensato come un campus per la cultura: è una grande opera architettonica dalle forme innovative che ospita mostre di arte, architettura, design e fotografia. Il museo propone inoltre anche progetti di moda, cinema, musica, performance di teatro e danza, lecture e incontri con artisti, architetti e


Ph. F. R.

Ph. F. R.

Il Museo nazionale delle Arti del XXI secolo di Roma rappresenta una piattaforma aperta, un luogo di incontro in cui è possibile interagire e formarsi con un, ampia visione sulla cultura protagonisti del nostro tempo. Il Maxxi dunque appare non più solamente come un museo ma come una piattaforma aperta a tutti i linguaggi della creatività, un vero e proprio luogo di incontro in cui tutti possano avere la possibilità di contaminarsi attraverso scambi e collaborazioni. Il Museo si trova nel quartiere Flaminio di Roma, là dove sorgeva una ex caserma dimessa. L’area di 29mila mq con al centro una grande piazza aperta ospita anche un auditorium, un centro di ricerca con biblioteca e archivi, un bookshop, una caffetteria

e un bar/ristorante. Il complesso architettonico progettato dal celebre architetto anglo-iracheno e vincitore di un concorso internazionale si integra nel tessuto cittadino e costituisce un nuovo spazio urbano aperto, articolato e “permeabile” al passaggio. All’interno, una grande hall a tutta altezza conduce alle gallerie che si distendono su tre piani, destinate a ospitare a rotazione le collezioni permanenti, le mostre e gli eventi culturali. Lo spazio espositivo, appositamente pensato neutro per dare risalto alle opere, è costituito da vetro,

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Ph. F. R.

Ph. F. R.

acciaio e cemento mentre la flessibilità degli allestimenti è facilitata dai pannelli mobili. L’interno è tutto un alternarsi di forme sinuose e fluide che variano, s’intrecciano e determinano una trama spaziale di grande complessità, suggerendo così itinerari di visita differenti e inaspettati. Il 2017 annovera tra i principali progetti “The Place to be”, il nuovo e importante allestimento della collezione permanente: gli spazi triplicano con la Galleria 1 al piano terra e la Galleria 2 al primo piano; a connettere interno ed esterno ci penserà piazza Alighiero Boetti che accoglierà installazioni di grandi dimensioni. L’ingresso sarà libero dal martedì al venerdì. Le grandi mostre del Maxxi iniziano già a febbraio con “Please Come Back. Il mondo come prigione?” una collettiva con 45 opere di 28 artisti, architetti e designer (tra cui Claire Fontaine, Jenny Holzer, AES+F, Chen Chieh-Jen, Gianfranco Baruchello) che indaga il

tema della prigione nella dimensione fisica e nel suo significato metaforico. Ad aprile sarà la volta della prima grande monografica dedicata a Piero Gilardi, con opere dagli anni Sessanta a oggi. A giugno avrà luogo il doveroso tributo del Maxxi a Zaha Hadid, attraverso una mostra che illustra i suoi progetti e racconta il suo rapporto con il Bel Paese. Ci sarà anche la collezione del Museo d’Arte Contemporanea di Teheran, con capolavori di maestri dell’arte moderna e contemporanea occidentale in dialogo con opere di artisti iraniani; infine si avranno anche una monografica dedicata a Yona Friedman, icona dell’architettura utopica del dopoguerra e una mostra tra arte e scienza. Quest’ultime sono tutte in programma a partire dal gennaio. Il museo pensa anche alla formazione culturale dei ragazzi con rappresentazioni teatrali e letture di favole organizzate dalle Biblioteche di Roma. Tutte le info su www.fondazionemaxxi.it.


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Ph. Gigi Murru

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Avanguardia, tradizione e cultura locale al Man di Nuoro

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di Anna Paola Olita

l Man, museo d’arte della provincia di Nuoro, apre al pubblico nel 1999 all’interno di un edificio degli anni Venti situato nel centro storico della città. Il primo nucleo della collezione nasce dall’accorpamento di alcune raccolte pubbliche (provincia, comune, ente provinciale per il turismo, etc..). L’idea di una pinacoteca provinciale trova presto sviluppo in un progetto museale in cui al lavoro di ricerca e conservazione si affianca un’intensa attività espositiva e laboratoriale. La collezione si arricchisce sempre più e nel 2004 il museo acquisisce autonomia gestionale, strutturandosi come istituzione senza

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personalità giuridica, ed entra a fare parte di Amaci, l’Associazione nazionale dei musei d’arte contemporanea italiani. Nel 2013 il Man ottiene il riconoscimento regionale come museo d’eccellenza. La sede attuale si trova all’interno di un antico palazzo d’epoca ristrutturato in modo esemplare per poter accogliere le più svariate collezioni. Ospita opere di artisti sardi e non, riconosciute sia a livello nazionale che internazionale. È un museo contemporaneo e all’avanguardia ma allo stesso tempo legato alla tradizione e alla cultura locale, sempre in continuo mutamento e mai banale. Fiore all’occhiello di Nuoro, è curato e gestito da personale


Ph. Donato Tore

La sede del Museo, situato all’interno di un antico palazzo d’epoca, ospita opere di artisti riconosciute sia a livello nazionale che internazionale competente e professionale. L’edificio si sviluppa su quattro piani e vi sono diverse sale dove vengono allestite numerose mostre temporanee, solitamente quattro all’anno, e permanenti che consistono nell’esposizione di 200 opere di maestri sardi del XX secolo del calibro di Antonio Ballero, Giuseppe Biasi, Francesco Ciusa, Mario Delitala, Carmelo Floris, Costantino Nivola e altri. Inoltre il Man ha il privilegio di disporre dell’unica raccolta di disegni e ceramiche di Salvatore Fancello e del corpus grafico dell’opera di Giovanni Pintori. In attesa della conclusione dei lavori di ampliamento della sede museale, le opere della collezione del Man sono

visibili a rotazione all’interno degli spazi espositivi, di volta in volta riallestiti seguendo criteri differenti, con percorsi sia tematici sia dedicati a singoli artisti. Rappresenta una delle più importanti attrazioni culturali di Nuoro, da visitare anche per chi non è esperto d’arte ma un semplice curioso o amante del bello. Il dipartimento educativo del Man, accessibile ai disabili in quanto privo di barriere architettoniche, organizza visite guidate, laboratori e progetti speciali di mediazione e didattica per i diversi livelli di utenza. È visitabile tutti i giorni della settimana compresi i festivi tranne il lunedì. Per tutte le info visitare il sito www.museoman.it

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Abbazia di San Giovanni in Venere: una densa storia tra spiritualità e colpi di scena di Sara Bernabeo

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el comune di Fossacesia, sul promontorio che domina il tratto di mare conosciuto come golfo di Venere, sorge l’imponente Abbazia di San Giovanni in Venere in provincia di Chieti. Tradizione vuole che il complesso, composto da una basilica e dal vicino monastero, sia stato edificato sui ruderi di un antichissimo tempio pagano dedicato al culto di Venere Conciliatrice, risalente – secondo alcune fonti – all’80 a.C. Il monastero venne edificato per la prima volta nel 540 da un certo frate Martino, che ne fece un ricovero per i benedettini. Alcuni ritrovamenti, tuttavia, hanno portato alla luce i resti di una cappella paleocristiana databile al VI - VII secolo. All’829 risale la prima testimonianza scritta di

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una chiesa dedicata a San Giovanni, ed è intorno all’anno 1000 che si ha notizia di importanti lavori all’edificio ad opera del conte di Chieti, Trasmondo II: in quell’occasione, egli fece realizzare ex novo il monastero annesso alla chiesa con due chiostri, dormitori, celle, spazi per le scuole e per i capitoli, una biblioteca, il cimitero e aree per esercitare le diverse arti a cui i monaci erano dediti. Della chiesa del IX-X secolo rimangono solo alcune tracce nelle spalle e nella lunetta della porta che la metteva in comunicazione con il chiostro. Fu nel XII, sotto Oderisio II che l’abbazia raggiunse il momento di massimo splendore: vennero avviati i lavori di ampliamento e trasformazione dell’impianto basilicale a tre navate, e vennero inoltre realizzati la cripta e un corpo di fabbrica collocato davanti alla facciata, quasi a creare una


Oggi la basilica e il vicino monastero rappresentano una meta d’eccezione per la rilevanza artistica, archeologica e naturalistica

terrazza sul pendio esistente. L’intervento si concluse agli inizi del secolo successivo con la realizzazione delle due porte simmetriche sui fianchi della basilica, opera del maestro Alessandro, mentre i lavori di decorazione dell’esterno terminarono intorno agli anni trenta con la realizzazione del portale d’ingresso. Internamente la chiesa è divisa in tre navate. La navata maggiore, molto alta, con copertura a capanna su capriate a vista, è divisa in sei campate da grossi pilastri quadrangolari. Nelle navate laterali in cui sono assenti le arcate trasversali, la copertura è ad una falda inclinata. Una scalinata nella navata maggiore consente l’accesso al transetto rialzato; l’interno appare in gran parte rivestito di pietra lavorata. All’inizio del Trecento iniziò il declino del monastero, che perse la sua autonomia e venne affidato prima ad abati nominati dal Papa

e successivamente alla congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri, fino a quando nel 1871 il Regno d’Italia confiscò l’abbazia ed i suoi beni, espellendo i filippini. Questi vennero richiamati nel 1881 come custodi del complesso, che intanto era stato dichiarato monumento nazionale. All’inizio del Novecento, San Giovanni in Venere fu danneggiata dal terremoto e successivamente dalla Seconda Guerra Mondiale, il cui fronte si era assestato nelle vicinanze durante l’inverno 1943-44. Nel 1954 si stabilirono nel complesso i Padri Passionisti e cominciarono i restauri. Altri interventi si sono susseguiti dal 1964 al 1998. Luogo denso di storia e spiritualità, l’Abbazia è oggi meta d’eccezione dove la rilevanza artistico archeologica, la bellezza paesaggistica e, non ultima, la dimensione interiore, si fondono in un’unica, eccezionale atmosfera.

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“LA PIASSA” OMBELICO DELLA CITTÀ di Alessia Mencaroni

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ra le molte piazze di Torino, piazza Castello è quella che maggiormente conserva l’impronta del passato; dopo Piazza Vittorio Veneto, Piazza Castello, con i suoi 40.000 metri quadri, è la seconda piazza più grande di Torino. La piazza, ubicata nel centro del capoluogo piemontese, fu progettata dall’architetto Ascanio Vitozzi nel lontano 1584. Centro della vita aristocratica durante il regno sabauda, Piazza Castello è ancora oggi il centro nevralgico della città di Torino. Cuore della città in passato come nel presente, la piazza è circondata su tre dei suoi quattro lati dai

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Con i suoi porticati e il suo fascino aristocratico, Piazza Castello è il cuore pulsante di Torino, con le numerose attrazioni da visitare alla scoperta della storia millenaria della città


Zanieri è un marchio di maglieria riconosciuto a livello internazionale che ci permette di poter essere percepiti come espressione del Made In Italy dai consumatori. Le caratteristiche principali del nostro prodotto sono originalità, qualità e modernità, unite ad un gusto squisitamente italiano del bello e del lusso. I nostri capi sono il frutto di una maniacale attenzione ai dettagli che fa del nostro prodotto un cashmere unico, innovativo e moderno. Di pari passo con i temi e le tendenze delle nuove collezioni, l’azienda ha messo a punto personali e delineati criteri di visual merchandising, capaci di dare luce al prodotto e alla cultura d’impresa, di raccontare le tradizioni e di esprimere la creatività: – sviluppo store design e sistema espositivo in sintonia con l’immagine del brand; – gestione coordinata di merchandising e assortimenti coerenti alla piazza di riferimento; – armonizzazione della comunicazione e delle scelte visual nei singoli punti vendita . Ogni singolo capo viene ideato e realizzato in Italia, coniugando moderno e antico.

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famosi e caratteristici portici della città di Torino. Questi portici ospitano oggi numerosi servizi commerciali e sono uno dei luoghi dello shopping torinese. Da Piazza Castello si diramano le quattro grandi strade direttrici di Torino: Via Po, Via Pietro Micca, Via Roma e Via Garibaldi, che è una delle strade pedonali più lunghe d’Europa. Ampia e quadrata, essa è occupata al centro da palazzo Madama, l’edificio che più di ogni altro riassume la millenaria storia della città. Dietro la splendida, scenografica facciata che nel 1718 lo Juvarra costruì per collocarvi il famoso scalone, capolavoro del barocco, ancora si innalza salda la mole del castello duecentesco. Il Castello fu iniziato dai signori monferrini nel 1200 incorporandovi le torri di una precedente porta romana. L’edificio, con la sua incongruenza stilistica, non interrompe la lineare compattezza delle masse edilizie perimetrali, disegnate nel 1584 dal Vitozzi, ribadita poi dal palazzo reale che Amedeo di Castellamonte arretrò per accentuarne

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la monumentalità e aumentare i valori prospettici e spaziali, in fondo ad un vasto cortile. Più recenti sono la pavimentazione, avvenuta nella prima metà dell’800, e la posa dei monumenti collocati sui tre lati di palazzo madama: il monumento all’Alfiere Sardo (1857), il monumento ai Cavalieri d’Italia (1923) e il monumento a Emanuele Filiberto duca d’Aosta (1937) senza contare le lapidi commemorative, ce ne sono ben quindici. Nel 1999, la zona pedonale antistante al Palazzo fu completamente lastricata poi quasi completamente sostituita da sienite nel 2014, corredata di quattro piccole fontane quadrate a getto d’acqua, dette a scomparsa, cioè a raso suolo. Unici elementi che mettono una nota di vivacità nella severa uniformità dell’ambiente, sono le cupole del Guarini, quella di San Lorenzo, sul lato che fronteggia palazzo Madama, e l’altra della Sacra Sindone, emergente dalla reggia, nelle quali invenzione e fantasia sembrano non trovare confini.


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Ph. Giacomo Costa

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Secret Garden n. 9, 2008

EVERGREEN. VERDI EVOLUZIONI di Giovanna Ramaccini

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hi sia ultimamente entrato in una delle librerie delle nostre città si sarà probabilmente imbattuto nelle sezioni che ospitano la recente collana editoriale dedicata ai libri da colorare: una serie destinata a offrire tecniche di rilassamento per un pubblico adulto, costituita da album da capire a partire da immagini dai contorni ben definiti raffiguranti perlopiù forme animali e naturali. È stata forse la familiarità del titolo con quello del noto romanzo per ragazzi di Frances Hodgson Burnett a far sì che tra questi catturasse la mia attenzione Il giardino segreto (elaborato dall’illustratrice Johanna Basford) il cui sottotitolo, Giochi in punta di pennino,

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denuncia l’atteggiamento cauto e l’effetto consolatorio derivante dal colorare forme note e ripetute dando luogo a immagini consolidate nel nostro immaginario. Da questo punto di vista la scelta del tema non appare casuale se ricondotta all’intimità che storicamente caratterizza il rapporto che l’uomo instaura con il giardino (e più in generale con l’ambiente naturale), configurandosi come spazio protetto riservato alla contemplazione estetica e alla riflessione: luogo sacro nell’antichità, di meditazione durante il medioevo, di meraviglia a partire dal rinascimento. Un’intimità interrotta dai processi di inurbamento tipici della città ottocentesca, a partire dai quali viene segnato il passaggio dalla


Will Alsop, progetto per la città di Barcellona, 2003

condizione privata a quella pubblica degli spazi verdi progettati a servizio della comunità con usi sempre più rivolti al benessere collettivo. In questo contesto il bisogno di un rapporto individuale con l’ambiente naturale all’interno delle prime metropoli porta al progetto di una natura simulata, a cui si richiede la costruzione di artifici (quali belvedere, gazebo, ponti pedonali) destinati a stabilire un rapporto visuale, estetico ed emozionale con il paesaggio. La progettazione degli spazi verdi subisce in questo senso una trasformazione concettuale legata al nuovo tipo di fruizione, passando da un’intima staticità a una narrazione dinamica e offrendo una complessa pluralità dal punto di vista semantico,

tecnico, materico e funzionale che non ha nulla da invidiare alla più tradizionale progettazione architettonica. Come suggerito peraltro dalla divertente suggestione firmata da Will Alsop, in cui il fitto tessuto urbano di Barcellona viene rotto da una natura che con prepotente ironia irrompe e domina l’edificato circostante. Forse, allora, il giardino segreto con il quale la città contemporanea tende a confrontarsi è più simile ai Secret Gardens ideati dal fiorentino Giacomo Costa, in cui la natura esce dai propri confini dando luogo a una realtà altra dove la mente trova rifugio e in cui il senso di meraviglia risiede nelle imprevedibili possibilità di immaginazione e di senso che ne derivano.

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NATURA

DALLA VETTA DI MONTALTO ALLE CASCATE DELL’AMENDOLEA di Mariagrazia Anastasio

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n meno di una giornata è possibile percorrere l’Aspromonte dalla sua vetta più alta fino al cuore del Parco Nazionale, le suggestive Cascate dell’Amendolea. L’etimologia del nome Aspromonte richiama paesaggi aridi, con vegetazione scarsa e raramente arbustiva. Passeggiando lungo i suoi versanti invece ci si trova dinnanzi a tutt’altro. È Montalto il punto più alto dell’Aspromonte, situata nel Comune di San Luca ad una quota di 1.955,92 m s.l.m., e facilmente raggiungibile in auto. Al termine di una breve scalinata boscata si apre la vista della grande statua in bronzo del Cristo Redentore e la splendida panoramica che abbraccia le coste siciliane e calabresi. Questo è il punto di partenza di diversi sentieri, che possono condurre ai percorsi spirituali del Santuario di Polsi, come anche alla spettacolare area di Pietra Cappa e ai resti del suo antico monastero. Inoltriamoci nel cuore dell’Aspromonte. Dobbiamo spostarci in auto di soli 16 km, a Gambarie. Si parte dalla Diga del Menta, dove lasciare l’auto, e da qui si imbocca uno dei sentieri che conduce alle Cascate dell’Amendolea, percorribile da escursionisti di tutti i livelli, che ci introduce a quello che sarà un viaggio tra i rigogliosi boschi aspromontani. Le cascate sono anche note a tutti come Cascate del Maesano, o denominate dai vecchi pastori locali “U Schiucciu da Spana” in dialetto reggino. L’Amendolea è la più importante fiumara del capoluogo reggino. In Calabria non si parla quasi mai di fiumi, ma abbondano le fiumare, cioè dei corsi d’acqua brevi, a carattere torrentizio,

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Passeggiando lungo i versanti dell’Aspromonte, il panorama abbraccia le coste siciliane e calabresi e tra i rigogliosi boschi ci si imbatte nelle Cascate Maesano con un dislivello di sessanta metri

secchi, ampi e ciottolosi nei periodi estivi, rigagnoli impercettibili nei periodi invernali, che possono gonfiarsi in piene impetuose nei periodi più piovosi. Il sentiero che ci conduce alle suggestive cascate inizia con una semplice strada sterrata, mentre il tratto terminale che scende alle cascate è più impervio e scosceso. In un’ora e mezza o poco più di cammino si arriva in un eden di relax. Si vedono maestosi i tre salti della cascata: sessanta metri di dislivello da far rimanere senza parole. L’energia del corso d’acqua incanalato nelle rocce le erode con forza e crea delle pozze intermedie, che vengono riempite a formare delle piscine sospese lungo i pendii verticali dei monti. Si tratta di

luoghi assolutamente incontaminati, il trionfo della biodiversità, che coinvolgono e affascinano anche i meno esperti di trekking. Le acque percolano su rocce molto antiche di origine metamorfica, che in ragione della loro composizione mineralogica danno un luccichio cangiante su cui si riflettono i raggi solari, conferendogli un aspetto argenteo. Dopo l’accaldata passeggiata tra faggete e pinete per raggiungere questo paradiso, compare quasi all’improvviso nella valle lo spettacolo delle Cascate dell’Amendolea. Se lo si percorre nelle calde estati tipiche del reggino, ci attende un bagno rilassante nella vasca naturale di fredda e limpida acqua montana.

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GIRI DEL GUSTO

“MAGNER BEIN”: MODENA E IL SUO BENSONE di Marilena Badolato

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odena val bene un “bensone”. Farina, uova, burro, zucchero, scorza grattugiata di limone e lievito. Semplice quanto tradizionale a Modena, arricchito se si vuole di una farcia di marmellata di prugne o amarene, chè lì accanto, a Vignola, crescono ciliegi a meraviglia. Colline di ciliegi. Acqua o latte per impastarlo in quella sua forma, una esse allungata, una sorta di ovale pennellato con rosso d’uovo e ricoperto di granella di zucchero. Il bensone è storia di terra profumata di buono e di “rezdòre”. È storia dell’Emila Romagna e della sua fantastica materia prima che rende sublime anche un dolce semplice e casalingo. L’etimologia del nome, in dialetto “bensòun”, è attribuita dagli studiosi alla ritualità di certe feste religiose come “pane della benedizione”, infatti si faceva benedire in chiesa il sabato santo. Più recentemente si è proposta la derivazione da “bissòun”, cioè biscione per quella forma allungata e per il nome la “bèssa” che ancora gli si attribuisce nel Carpigiano. Anche nel Seicento troviamo nominato il biscione di marzapane da parte del cuoco Giuseppe Lamma da Bologna, e nelle carte d’archivio del ricettario dei Conti Valdrighi leggiamo di un biscione di Reggio Emilia di marzapane e di un biscione o “binsone” relativo a un impasto modenese. Sembra fosse offerto anticamente, già dal XIII secolo, alle Corporazioni modenesi dei fabbri, orafi e zecchieri. La ricetta è di quelle familiari e quindi rispettata dalle “rezdòre” modenesi, le donne che “reggono” la casa, che preparavano e preparano con lo stesso impasto anche una ciambella, la “brazadela” che

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veniva e viene regalata dai cresimandi, al posto dei confetti, ad amici e parenti. Secondo una consuetudine della Diocesi modenese infatti il sacramento era impartito soltanto in Duomo, la domenica di Pentecoste, a ragazzi e ragazze del comune di Modena e solo il lunedì successivo a quelli della Bassa e della montagna. In quei giorni le strade vicino alla cattedrale si riempivano di bancarelle che vendevano queste ciambelle. Il foro centrale serviva a portarle infilate in un braccio durante i giorni della festa. Il bensone è splendido se “tocciato”, cioè inzuppato in un bicchiere di Lambrusco alla fine del pranzo, anche se alcuni modenesi preferiscono


Il dolce tipico modenese, semplice quanto tradizionale, il cui nome sembra derivi dalla parola biscione per la sua forma allungata, presenta diversi modi per poter essere degustato al meglio l’Albana o la Malvasia nelle loro versioni dolci. Ma il bensone è anche quello della mamma o della nonna che vuol dare ai figli o ai nipoti una prima colazione o una merenda sana e genuina. “Al dòlz d’la dmanga l’era quesi seimper al bensòun fat de la nona ch’l’era vecia, vecia, ma togo dimàndi, in sti lavor la dèva ‘na man a so fiòla, ch’ l’era rezdòra da pòch.[…]”. Il dolce della domenica era quasi sempre il bensone fatto dalla nonna che era molto anziana, ma ancora brava in tutto, e in questi lavori dava una mano a sua figlia, che era rezdòra da poco tempo. (Il pranzo della domenica. Da: “Come si mangiava e si mangia a Modena” - Beppe Zagaglia. Edizioni Il Fiorino).

RICETTA Il Bensone è: 600 g di farina, 200 g di zucchero, 150 g di burro, 3 uova (più 1 per pennellare la superficie), 1 limone, facoltativo ½ bicchiere di latte, una bustina di lievito per dolci da ½ kg, sale q.b., granella di zucchero. Sopra una tavola di legno mescolate la farina con il lievito, aggiungete lo zucchero, la scorza del limone grattugiata (solo la parte gialla), le uova, una presina di sale, il burro liquefatto e lasciato intiepidire e il latte, se necessario, per ottenere un composto omogeneo e morbido. Lavorate bene l’impasto e dopo avergli dato la classica forma allungata, ponetelo su una placca ricoperta da carta da forno. Praticate ora una piccola incisione continua sulla superficie nel senso della lunghezza, pennellate con il tuorlo d’uovo e cospargete con granella di zucchero. Ponete in forno già caldo facendo cuocere a 180° per circa 35 - 40 minuti. Provate a fine cottura a infilare nel bensone uno stecchino che, estratto, dovrà risultare asciutto. Lasciate raffreddare e servite.

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AMBIENTE

FONDAZIONE ARCHEOLOGIA ARBOREA E LA SALVAGUARDIA DELLA BIODIVERSITÀ

L

di Giuliana Spinelli Batta

a mela culo d’asino, la pera ghiacciola, la ciliegia limona, il fico permaloso, la mela musa della balsaccia, la bella d’Arezzo, la pera fiorentina e tante altre sono le piante da frutto, circa 440 per 150 varietà di frutti che sembravano estinti, che troverete in questo giardino gioiello dove ognuna di questa varietà non è altro che un albero “perduto” ma ora recuperato dall’archeologa Isabella Dalla Ragione, soprannominata “La cacciatrice di frutti” e da suo padre Livio. I nomi di queste varietà sono buffi e fantastici, un ricordo dell’antico mondo contadino da cui lei fin da bambina è rimasta affascinata. La ricerca sulle vecchie varietà di alberi da frutto è partita circa trenta anni fa nei territori dell’Alta valle del Tevere, antico crocevia di diverse regioni, Emilia Romagna, Toscana, Umbria e Marche. Isabella e suo padre Livio fin dall’inizio sono stati fortemente attratti dalle tradizioni e dagli usi popolari, dai sistemi di coltivazione e dalla storia anche alimentare per verificare l’importanza che queste piante potevano aver nella vita sociale, economica e religiosa. Il loro desiderio più grande, antesignani della biodiversità, è stato quello di salvare queste piante prima che scomparissero definitivamente. C’è stata una ricerca nei luoghi ancora abitati dagli anziani agricoltori dove era possibile ritrovare oltre alla frutta anche tutte le informazioni e conoscenze popolari inerenti. Sono stati visitati poderi abbandonati, giardini parrocchiali, ville padronali e orti chiusi dei conventi di clausura. Molte informazioni e dati sono stati ottenuti spulciando gli archivi polverosi e dimenticati e consultando

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Fico permaloso

gli antichi manuali di Columella, Varrone e Plinio. Hanno perfino letto i testi ormai abbandonati delle cattedre ambulanti di Agricoltura che fino agli anni ’70 erano ancora curiosamente in voga nelle campagne umbre. Isabella catalogava, classificava e ordinava il materiale raccolto per ricollegare il filo della memoria interrotto tra le generazioni e conservare insieme al patrimonio genetico vegetale anche le radici della cultura contadina. Due detective a caccia di piante e racconti perduti, armati di forbici e di bottiglie piene di acqua dove conservare fino all’estate successiva le preziose “marze” da innestare poi nel loro podere di San Lorenzo dove ancor oggi Isabella coltiva il suo giardino incantato di rare varietà di alberi da frutto. È da tutto questo che nasce nel 2014 la Fondazione


“La cacciatrice di frutti” Isabella Dalla Ragione, con la sua ricerca sulle vecchie varietà di alberi da frutto, ha permesso di conservare il patrimonio genetico vegetale e le radici della cultura contadina Mela muso di bue

Archeologia Arborea il cui scopo è la salvaguardia, la conservazione e lo sviluppo della biodiversità. La collezione di San Lorenzo, un vero e proprio museo a cielo aperto, si presta a visite guidate per bambini, ragazzi ma anche adulti. Le piante e qui sta la caratteristica di Archeologia Arborea si possono adottare con un contributo di 150 euro e questo dà il diritto a raccoglierne i frutti di persona, ma, e questa è una caratteristica dei contadini alto tiberini, sull’albero vanno lasciati tre frutti: uno per il sole, uno per la terra e uno per la pianta. Altra condizione è quella di far visita almeno una volta ogni diciotto mesi altrimenti si perde la qualifica di “genitori adottivi”. Molti sono i personaggi che affascinati da questo giardino hanno adottato una di queste piante, scrittori, giornalisti, artisti di mezzo

mondo tra questi anche Gerard Depardieu che ha adottato la “pera ‘mbriaca”. Purtroppo l’agricoltura industriale oggi vuole solo poche varietà ma grandi quantità per rispondere alle esigenze di una società sempre più numerosa. Così dobbiamo accontentarci di trovare negli scaffali dei supermercati al massimo tre tipi di mele o di pere o di altra frutta rispetto alle centinaia di varietà elencate nei trattati di frutticoltura dell’Ottocento, mentre il recupero fatto da Isabella ci permette di salvare le nostre radici e la biodiversità. La varietà di colori, di forme e sapori è l’unica garanzia per la sicurezza alimentare futura. È solo questa biodiversià che permetterà alle piante di superare meglio le malattie, gli attacchi degli insetti e gli eventi atmosferici e di arricchire così le nostre tavole.

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AMBIENTE

LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE E IL CONTROLLO DEI CAMBIAMENTI CLIMATICI di Walter Leti

È

aumentata nel mondo la consapevolezza del pericolo che minaccia da tempo il delicato equilibrio eco-ambientale della Terra. La correlazione fra l’incremento dei gas serra nell’atmosfera e l’aumento globale della temperatura trova, oggi, il consenso quasi unanime della comunità scientifica. Il dissolvimento dei ghiacci dell’Artide e il moltiplicarsi di fenomeni atmosferici estremi sono le spie evidenti di un fenomeno che mette in forse lo stessa sopravvivenza dell’umanità. Si avverte forte l’urgenza di correre ai ripari. Per fronteggiare quella che è diventata una vera e propria emergenza i rappresentanti di quasi 200 Paesi si sono incontrati a Parigi nel 2015 e altrettanti nel 2016 a Marrakech, in occasione delle annuali conferenze CoP (conferenza delle parti) sotto l’egida dell’ONU. Già lo scorso

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anno in Francia si è registrata una significativa, quanto inedita, assunzione di responsabilità da parte dei 195 Paesi partecipanti, come sintetizzato nel documento conclusivo approvato all’unanimità: “Il cambiamento climatico rappresenta una minaccia urgente e potenzialmente irreversibile per la società umana e per il Pianeta” si richiede pertanto “la massima cooperazione di tutti i Paesi” con l’obiettivo di “accelerare la riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra”. Per la prima volta, vale la pena sottolinearlo, i quattro maggiori “inquinatori” del mondo, Stati Uniti, Europa, Cina e India hanno accettato e sottoscritto le conclusioni del CoP21 di Parigi. A un anno di distanza nuova conferenza sull’ambiente a Marrakech. Si è cercato di dare in questa occasione un approccio più pragmatico e operativo alle azioni ritenute necessarie per limitare


Nuove sfide e nuovi scenari per far fronte all’emergenza planetaria dell’incremento dei gas serra nell’atmosfera e il relativo aumento globale della temperatura terrestre

il progressivo riscaldamento globale e contenere l’incremento della temperatura media mondiale al di sotto di 1,5 gradi centigradi, rispetto al valore dell’era pre-industriale, per la fine di questo secolo. Al termine di due settimane di lavoro, i negoziatori dei 193 Paesi presenti hanno fatto registrare un bilancio solo in parte positivo. Tra i punti approvati alla conclusione degli incontri figura comunque un passo in avanti importante: l’impegno da parte dei Paesi partecipanti di fare il punto delle rispettive emissioni di CO2 entro il prossimo anno. E’ stato approvato pertanto l’obbligo di rivedere gli Indc (Intended nationally determined contributions) vale a dire le promesse di riduzione della CO2 emessa in atmosfera entro il 2018 e non più entro il 2020 come precedentemente ipotizzato a Parigi. Gli attuali Indc appaiono inadeguati. Continuando l’attuale

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trend l’incremento globale della temperatura potrebbe toccare la cifra disastrosa di tre gradi centigradi. Deludenti sono stati i risultati in tema di agricoltura. Si tratta di un settore che influenza pesantemente le variazioni climatiche rimanendone a sua volta fortemente condizionato. Gli stessi allevamenti di bestiame sono importanti concause di inquinamento atmosferico. Dalla resa agricola dipende la sopravvivenza di milioni di persone nel Pianeta. Manca in questo campo un accordo fra nord e sud del mondo, in particolare sugli aiuti di cui hanno bisogno i Paesi più vulnerabili per adattarsi ai mutamenti del clima. Proprio la questione dei finanziamenti è stata uno dei pilastri dei negoziati della CoP di Marrakech. I risultati sono stati del

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tutto insoddisfacenti. Se si escludono i contributi per l’adattamento promessi da Germania, Italia, Svezia e Belgio (81 milioni di dollari) la trattativa non è sostanzialmente decollata. Per di più il ruolo degli Stati Uniti è diventato improvvisamente imprevedibile stante i diversi indirizzi che la nuova Amministrazione potrebbe adottare. Il Presidente Donald Trump non condivide le analisi fin qui formulate sui cambiamenti climatici, ritenendole frutto di pura e semplice ideologia politica. Esiste pertanto la concreta possibilità che gli USA, responsabili da soli del 20% di tutte le emissioni globali di gas serra, recedano dagli impegni finora assunti con conseguenze anche troppo facili da immaginare.


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