Rinascere n. 4 - 2019

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Rinascere

Bimestrale - anno 21 - n° 4 luglio/agosto 2019

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La dimensione pubblica della fede Piano di lavoro 2019-2020 Movimento Rinascita Cristiana



PIANO DI LAVORO 2019-2020

La dimensione pubblica della fede MEDITAZIONE Costruttori della Pòlis a cura di Rosanna Virgili INCHIESTA La dimensione pubblica della fede Il ruolo pubblico della Chiesa Per camminare insieme Il futuro dipende da noi Proposte di revisione di vita

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Presentazione

Presentazione Questo Piano di Lavoro viene proposto ai nostri gruppi in un momento storico molto particolare per l’Italia, l’Europa e il mondo intero. Sono trascorsi ottanta anni dalla fine della II guerra mondiale, anni di pace, di sviluppo e di progresso di cui l’Europa ha goduto e con essa anche l’Italia. Nel 1989 l’evento della caduta del muro di Berlino ha messo fine alle ideologie e alle contrapposizioni che reggevano l’equilibrio europeo e è iniziato un processo di sviluppo economico che ha generato l’attuale economia globalizzata fonte di sviluppo ma inizio di diseguaglianze e sperequazioni tra gruppi sociali e stati, tra nord e sud del mondo. La società italiana nel suo insieme si è dimostrata culturalmente e moralmente impreparata di fronte a questi grandi mutamenti e sperimenta oggi l’incapacità di trovare risposte comuni di fronte alle grandi sfide sociali, climatiche e politiche. L’Italia “ponte” tra l’Europa e il Mediterraneo è anche in prima linea nei rapporti con l’Africa e con il Medio Oriente e quindi con le sfide che nascono dalle guerre, dalla povertà, dalle condizioni climatiche e dalle politiche non democratiche di questo continente. Anche noi cristiani sperimentiamo un senso di impotenza e viviamo l’attuale situazione con molta indifferenza e rassegnazione; la stessa nostra fede sembra svaporata e ripiegata nell’intimismo e nell’individualismo. Assai poco negli ultimi tempi si è sentita la voce dei cristiani, sia singoli che associati, sia di fronte a scelte sociali disumane sia in favore di progetti di umanità condivisi. La fede ha una dimensione sociale e questo non lo possiamo negare: infatti il Verbo si è fatto carne per abitare tra gli uomini e per radunarli in una comunità di fede, la chiesa che, secondo l’insegnamento del Vaticano II, non vive per se stessa ma perché l’umanità sia una famiglia e nell’incontro con Cristo tutti gli uomini si riconoscano fratelli. La fratellanza umana è quindi fondamento e programma di azione per ogni credente. La fratellanza non è un concetto astratto, ma per il credente si 3


La fede tra privato e pubblico coniuga nella dimensione sociale e si fa attenta ai bisogni di tutta quella umanità che cerca pace e giustizia, soprattutto dei più poveri.

Il Piano di Lavoro propone solo tre schede di inchiesta che ribadiscono la dimensione pubblica della fede che è fatta di solidarietà, di dialogo chiesamondo, di costruzione del bene comune. Sono gli atteggiamenti di fondo che formano il substrato dei tanti aspetti della vita che abbiamo di fronte e che possiamo analizzare anche con adeguate revisioni di vita prima fra tutte una riflessione sull’evento ecclesiale del Sinodo sull’Amazzonia e sulle sue implicazioni culturali ed etiche che rendono concreto il rapporto uomocreato-giustizia già anticipato dalla Laudato sii (vedi la scheda a p. 32).

La Meditazione, proposta dalla biblista Rosanna Virgili, prevede una lettura dell’Antico Testamento tratta dal Libro di Giuditta e alcuni passi della Lettera ai Romani sul profilo pubblico della comunità cristiana. Sono non solo importanti motivi spirituali per la nostra azione quotidiana, ma motivi per risvegliare una fede tiepida e richiamare alla coerenza del Vangelo.

Il tema proposto a tutti i gruppi di Rinascita attraverso il Piano di Lavoro non è un compito più o meno gradito; il Piano di Lavoro non è fatto solo di meditazione ma, nelle sue due parti, evidenzia lo stretto legame tra Meditazione e Inchiesta, tra la Parola di Dio espressa nella Scrittura e lo Spirito di Dio all’opera nelle vicende della vita quotidiana. Un tema condiviso da tutti i gruppi favorisce l’appartenenza ad un progetto comune importante per superare l’individualismo che domina la nostra società ma anche la nostra comunità di Rinascita.

Una scheda di sintesi (a p. 37) fatta per mettere a fuoco il lavoro del gruppo permetterà a tutto il Movimento di condividere pensieri, progetti e azioni e avere una voce pubblica nella società e nella Chiesa.

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I Responsabili nazionali


Meditazione

Costruttori della Pòlis a cura di Rosanna Virgili

La vera Giudea La forza dell’inerme Un culto d’amore Autorità e libertà Chi sono io per giudicare Il bacio santo 5



Meditazione

Costruttori della Pòlis Cristiani all’appello della Politica

Papa Francesco ha definito la Politica – con la “P” maiuscola – la più grande forma di carità per il cristiano. I testi biblici ne sono la fonte e la conferma. Tutta la Bibbia descrive il credente come parte di una comunità in continuo movimento, trasformazione, costruzione sia al suo interno sia nel rapporto con le altre comunità e nazioni. I profeti sono le grandi voci che richiamano i re, i giudici ed anche i sacerdoti – le autorità politiche, giudiziarie e religiose – alla responsabilità della coesione e della solidarietà universali, alla giustizia, all’opera costante e intelligente della “pace”. Tutta la terra, infatti è originaria opera di Dio il quale passa all’uomo il testimone affinché si faccia promotore di opere vitali ed “ecologiche” e costruttore di un mondo in cui nessuno sia escluso, né straniero né oppresso. Se la “terra è di Dio” come dice anche la Pacem in Terris, vuol dire che nessuno ne possa fare una sua proprietà a svantaggio di tutte le altre creature. Dio stesso resta come Presenza nella vita del mondo e delle comunità umane per reclamare la giustizia, la libertà, la fraternità.

Due testi preziosi

Consapevoli di essere oggetto e soggetto della responsabilità e dell’impegno politico apriamo le Scritture su due libri: il libro di Giuditta – nel Primo Testamento – e la Lettera ai Romani nel Nuovo. Giuditta è un volumetto di sedici capitoli recepito nel canone cristiano ma escluso dal canone ebraico della Scrittura. La maggior parte degli autori colloca in epoca asmonea, tra il Regno di Giovanni Ircano e quello di Alessandro Ianneo (135-78 a.C.) la composizione del libro, ma non si può escludere che sia stato scritto durante la rivolta dei Maccabei per incitare alla resistenza contro l’oppressione dei Seleucidi. In quanto alla struttura su cui si regge la splendida novella di Giuditta si possono distinguere due grandi parti tematiche: la prima (cc. 1-7) racconta le premesse della vicenda principale che si svilupperà nella seconda (cc.8-16). Dopo aver descritto – peraltro con una estenuante prolissità – la situazione di estremo pericolo che viveva Betulia e tutta l’area geografica dominata dalla minaccia di Nabucodonosor, attraverso figure maschili, entra in scena Giuditta, la donna che vi dominerà sino alla fine. Tra le due parti si crea un chiaroscuro: mentre i maschi son pavidi e atterriti di fronte al nemico, una donna si mostra coraggiosa e capace di affrontarlo. Il messaggio è chiaro e coerente con molti altri testi veterotestamentari in cui entrano in gioco le donne: esse lo fanno nei momenti in cui vedono il popolo rischiare la stessa sopravvivenza. Dinanzi alla debolezza “fisica” e morale dei maschi di Israele, che si rivela quando si trovano di fronte a un potere militare, politico ed economico immenso rispetto al 7


Costruttori della Pòlis loro, le donne mettono in gioco ogni loro risorsa – dalla bellezza alla conoscenza dell’animo umano – affinché il proprio popolo non cada in schiavitù. Giuditta non ha nessun potere né autorità, ma ha la fede, la preghiera, la speranza. E l’audacia di gettarsi nella mischia per amore della libertà e della vita del suo popolo. La Lettera ai Romani è un pilastro della letteratura neotestamentaria, il più grande scritto di Paolo. Lettera atipica perché vergata prima di recarsi a Roma, Paolo le consegna l’elaborazione più completa della dottrina della giustificazione per la fede che già aveva introdotto nella precedente Lettera ai Galati. Fondamento della fede cristiana – si pensi alle letture agostiniane - ed anche – ahimè! – ispiratrice di grandi scismi ecclesiali, la Lettera ai Romani ha molto di nuovo da dire ancora ai cristiani quindi alla Chiesa cattolica, oltre che alla cultura e alle scienze politiche contemporanee. Collocata canonicamente all’inizio dell’epistolario paolino, la Romani non è, però, la prima Lettera scritta da Paolo (che – com’è noto - è ritenuta la Prima Tessalonicesi) ma il frutto più maturo del “Vangelo” che Paolo annunciò alle genti. Raccogliendo le ipotesi fatte a partire da quanto dice la Lettera stessa e tenendo conto anche di quelle che si possono evincere dal libro degli Atti, i più ne datano la composizione verso la primavera del 58, poco prima dell’arresto che l’Apostolo subirà a Gerusalemme. La parte che noi abbiamo preso in considerazione è l’ultima, quella chiamata, tradizionalmente, “parenetica”, vale a dire di esortazione, di spinta morale verso i comportamenti e le decisioni concrete. Di grande interesse sono gli argomenti che Paolo vi tratta specialmente rispetto la partecipazione politica e l’impegno sociale delle comunità cristiane all’interno della complessa civitas romana.

Rosanna Virgili

Le sei meditazioni proposte da Rosanna Virgili costituiscono una sorpresa per i nostri gruppi: - due capitoli del Libro di Giuditta, a noi poco noto; - alcuni brani centrali della Lettera ai Romani sulla valenza pubblica della comunità cristiana. Proponiamo di soffermarsi almeno due incontri per ogni meditazione: - il primo per leggere e comprendere; - il secondo per applicare alla vita e condividere in gruppo. Tra i due incontri è necessario un approfondimento personale. 8


Meditazione

1 - La vera Giudea Giuditta 8 Introduzione

Il libro di Giuditta rilancia la figura di una donna come simbolo del popolo di Dio: “la Giudea” significa il suo nome. Essa è una vera figlia di Israele posta a modello per una città che, a sua volta, è simbolo di un’altra: Gerusalemme. Betulia, infatti, non è stata mai identificata sulle cartine geografiche, mentre è abbastanza evidente che dentro l’involucro delle sue mura vengano di nuovo filmate le condizioni della Gerusalemme un tempo assediata da Nabucodonosor, re di Babilonia. Mentre allora ebbero il sopravvento l’insipienza e l’infedeltà del re e dei suoi funzionari, ora ha successo un’altra decisione, quella di Giuditta animata dalla fede e dalla sapienza.

Per leggere e comprendere

C’è un motivo per cui in un volumetto titolato al suo nome, Giuditta appaia solo a metà del percorso narrativo, quando già molto tempo era passato da quando la situazione si era fatta difficile per la sua città. Conoscere l’evoluzione dei fatti anteriori all’entrata in scena della protagonista serve a illuminare sia l’importanza sia l’intelligenza del suo coraggioso intervento. Betulia è stata presa d’assedio da ben centosettantamila fanti e dodicimila cavalieri che si son messi in marcia contro di essa alla guida del generale Oloferne. Questi aveva fatto ispezionare le sorgenti d’acqua e le aveva occupate, impedendone in tal modo l’accesso agli abitanti. L’enormità della pressione nemica fece languire il cuore di tutto il popolo: dopo trentaquattro giorni il livello delle cisterne dove si raccoglieva l’acqua piovana venne quasi a toccare il fondo e le donne e i bambini venivano meno per la sete. Tutto il popolo, allora, si radunò intorno al re Ozia e a suoi senatori innalzando un desolato grido: Dio ci ha venduti nelle loro mani – essi dicevano - meglio esser preda dei nemici e salvare la vita, piuttosto che vedere la morte con i nostri occhi. Il re fu colpito dall’urlo del popolo e quasi persuaso sull’abbandono di Dio. Ma volle metterLo alla prova: diamo a Dio ancora cinque giorni perché possa dimostrare la sua misericordia. Al contrario, se in questi cinque giorni non si farà accanto a noi per liberarci, vorrà dire che dovremo consegnarci al nemico. La decisione “popolare” dovette piacere a tutti, tranne che a una donna figlia di Merari e ora vedova del ricco Manasse. Ella non aveva nessun ruolo istituzionale in Betulia; né era stata consultata o, tantomeno, incaricata di alcun ministero o sorta di governo. Essendo vedova ella figurava anche in una delle categorie più deboli della società israelitica, accanto agli orfani, agli stranieri e ai poveri di ogni genere. Ma la responsabilità che Giuditta sentì verso la libertà del suo Paese le fece prendere la decisione. Fece chiamare gli anziani della sua città e parlò loro con somma autorità: chi siete voi che vi siete innalzati sopra a Dio stesso? Con quale diritto avete messo alla prova il Signore? Straordinaria fu la nobiltà di Giuditta: nessun re può usare Dio a strumento del proprio governo. Dio può mettere alla prova un popolo ma non viceversa. Perché ciò vorrebbe dire manipolare il 9


La vera Giudea Suo nome secondo fini umani e di potere. Il rapporto con Dio dev’essere leale: occorre riconoscere che si ha bisogno di Lui e farsi suoi collaboratori, sicuri che Egli voglia la salvezza del suo popolo. Così Giuditta si mise in gioco con tutto ciò che aveva, per amore della sua città. Uscì dal suo “privato” – ella si trovava in un’ottima condizione economica – per occuparsi del bene comune. Non avendo alcun formale potere politico usò le sue risorse più pregiate: l’intelligenza critica, la sapienza umana, la fede libera e adulta nel Dio d’Israele incatturabile in ogni sua volontà: “non pretendete di ipotecare i piani del Signore ( ) attendiamo fiduciosi la salvezza che viene da Lui” afferma con forza Giuditta. Ella chiese fiducia al re Ozia e facoltà di fare quanto il suo cuore le suggeriva in quei cinque giorni che il re aveva dato a Dio. Fu lei a sottomettersi alla prova. E la sua generosa impresa salvò Betulia dai suoi nemici.

Domande per attualizzare

Quali elementi della storia di Giuditta ti sembrano straordinariamente preziosi per l’attualità? Ne vorremmo suggerire uno: quello della responsabilità che ogni cittadino ha verso la propria città e il proprio popolo di farsi carico del suo destino. Si tratta del dovere della responsabilità civile da cui nessuno può esimersi quand’anche non avesse titoli, ruoli o cariche, né autorità formalmente o istituzionalmente riconosciuta. Giuditta era una vedova e non aveva nessun “ministero” pubblico, ma sentiva che la sorte della sua città non potesse essere abbandonata ad una gestione populista (= il re che fa quello che il popolo vuole) e irresponsabile (il re e i suoi senatori sono pronti a scaricare sul Signore le loro incapacità di governo) che l’avrebbe consegnata alla rovina e alla schiavitù. Non per nulla il maschile di Giuditta è Giuda, colui che tradisce!

Preghiera L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e Santo è il suo nome: di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi. (Lc 1,46-53)

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Meditazione

2 - La forza dell’inerme Giuditta 9 Introduzione

Lo splendido quadro di Giuditta e Oloferne del Caravaggio mostra nel viso di lei, nel delicato corrugarsi delle sue sopracciglia, la repellenza del gesto che pure sta compiendo: quello di tagliare la testa a Oloferne. Artemisia Gentileschi la mostra più fiera come se avesse finalmente servito l’attesa vendetta. Il gesto di Giuditta fu un modo per ottenere rivalsa da parte di una donna, sottomettendo – con la seduzione della sua bellezza – l’oppressore del momento? Fu eseguito con l’energia che una giustificata rabbia antica può trasformare in arido cinismo? Fu per dimostrare anche al re di Betulia che una donna sa governare meglio di un uomo e sbaragliare i nemici con l’inganno? Forse. Importante è conoscere il racconto e ciò che veramente animasse il gesto di Giuditta.

Per leggere e comprendere

Pochi conoscono i precedenti del gesto eroico, violento e inquietante di Giuditta. Quanto il racconto annota rivela, però, la vera origine di esso, costringendo anche a darne una ragionevole interpretazione. Il capitolo nono è interamente dedicato a dire cosa fosse nel cuore e nel corpo di Giuditta prima che uscisse a compiere la sua mitica impresa: una profonda preghiera a Dio insieme al digiuno ed al cilicio. La sua voce si univa, innanzitutto, al coro dell’assemblea riunita nel Tempio di Gerusalemme nell’ora in cui veniva offerto l’incenso. Un “sacrificio” fatto solo di profumo che, proprio per questo, raggiungeva immediatamente le narici di Dio! Qualcuno ricorderà che anche all’inizio del Vangelo di Luca c’è una scena dominata dal culto dell’incenso; lì è il sacerdote Zaccaria che lo brucia sull’altare del Tempio. Ma la fede di Giuditta è superiore a quella di Zaccaria e la voce un tutt’uno con quella del suo popolo unito nel dolore e nella confidenza in Dio. Giuditta sa che non si può pregare da soli o solo per sé stessi, perché ogni preghiera è un atto d’amore solidale e fraterno. La preghiera di Giuditta continua, poi, come memoria. Ella ricorda il padre Simeone, alla cui tribù appartiene, e ripassa su quanto egli fece quando la sua sorella Dina venne violata da Sichem (cf Gen 34,25ss). Tu mettesti nelle sue mani una spada, dice grata a Dio, Giuditta, e consegnasti alla morte i loro capi. La memoria della giustizia che Dio fece e del riscatto che diede alla vergine violata, anima Giuditta di una nuova fiducia in Dio. Nel suo cuore non c’è ansia per sé stessa ma per tutte le donne violate del suo popolo e per la sua città che, come una vergine denudata, è posta sotto assedio dai nemici. Nella preghiera Giuditta ottiene, poi, la visione di un orizzonte universale da dove i suoi occhi riconoscono a Dio che “tutte le cose” sono da lui progettate, nel presente e nel futuro. Giuditta interseca il suo agire con la fedeltà di Dio verso gli oppressi: “Tu sei il Dio che stronca le guerre” e per questo gli Assiri, superbi ed esaltati per la loro potenza, verranno fermati e sconfitti. A questo punto Giuditta introduce la forza della sua supplica: “spezza la loro alterigia per mezzo di una donna”! Straordinaria è la seduzione retorica della preghiera di Giuditta 11


La forza dell’inerme e grande chi ne scrive; parimenti autentica è la passione della sua invocazione: “La tua forza, infatti, non sta nel numero, né sui forti si regge il tuo regno; tu sei, invece il Dio degli umili, sei il soccorritore dei piccoli, il rifugio dei deboli, il protettore degli sfiduciati, il salvatore dei disperati”. L’ascolto della preghiera di Giuditta fa tremare per la sua verità ed è impossibile non capire che la sua “spada” non sarà la scimitarra con cui decapiterà Oloferne, che, peraltro, apparteneva a lui stesso, ma sarà questa preghiera, questa supplica incisiva della fede di chi è umile, è calpestato, è disperato. Un’evidenza che costringe il lettore a intuire nel gesto di sangue di Giuditta la metafora della forza della fede dei poveri e degli oppressi, non per nulla ben rappresentata da una donna. Alla fine del libro Giuditta canterà: “Canterò al mio Dio un canto nuovo; Signore grande sei tu e glorioso, mirabile nella tua potenza, invincibile ( ) Il Signore Onnipotente li ha respinti con la mano di una donna” (Gdt 16,5.13). Sulle stesse note del Magnificat!

Domande per attualizzare

Quali sono i raggi di luce che la figura di Giuditta proietta sulle questioni più dolorose e urgenti del nostro tempo? Innanzitutto la denuncia e la reazione alla violenza sulle donne che – ahimè! – trova, oggi, nelle loro stesse case e nei loro legami più intimi l’orrore di essere consumata. Nel gesto di Giuditta, che la Bibbia propone in chiave simbolica – e non come indicazione concreta di sanguinosa vendetta – è la potenza della sapienza e della fedeltà di una donna che ha il coraggio di gridare e operare il riscatto di donne inermi e orrendamente violate e schiacciate. Ma nel suo gesto v’è anche la decisione di liberare la sua città dalla prepotenza dei popoli che la opprimono; forte è la valenza politica di un’impresa che annuncia il diritto di sovranità per ogni popolo, foss’anche quello assetato e sfinito di Betulia.

Preghiera Signore, Signore re che domini l’universo, tutte le cose sono sottoposte al tuo potere e non c’è nessuno che possa opporsi a te nella tua volontà di salvare Israele. Tu hai fatto il cielo e la terra e tutte le meraviglie che si trovano sotto il firmamento. Tu sei il Signore di tutto e non c’è nessuno che possa resistere a te, Signore ( ). Mio Signore, nostro re, tu sei l’unico! Vieni in aiuto a me che sono sola e non ho altro soccorso all’infuori di te, perché un grande pericolo mi sovrasta. (Ester 4,17b-c.l)

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Meditazione

3 - Un culto d’amore Romani 12 Introduzione

L’invito che Paolo rivolge ai Romani è imbarazzante: invece di offrire atti di culto esteriori, offrite il vostro corpo in un “culto spirituale”. Fate di voi stessi il luogo e il tempo dove la grazia del Signore viene celebrata. Un gesto vitale che chiede una perenne trasformazione. L’inizio del capitolo 12 costringe il lettore a mettersi in moto, a scomodarsi per diventare altro, per uscire dall’individualismo ed entrare in un corpo fatto di tante membra: la Comunità. Concepirsi come parte di un insieme più ampio di cui fanno parte sia gli amici sia i nemici è la prima condizione per essere cristiani e, quindi, per “servire Dio”.

Per leggere e comprendere

Nelle Comunità romane erano spesso le forme di culto religiose che separavano le persone ed i gruppi, creando forti danni alla comunione delle stesse. I giudeo-cristiani rivendicavano i loro riti legati alla Legge di Mosè, mentre gli etnico-cristiani facevano fatica a staccarsi dalle suggestioni idolatriche che erano state impresse nelle loro menti sin dall’infanzia e si mostravano deboli verso i sacrifici a quelle divinità che tali - in verità! - non erano. Nel timore di tradire la fedeltà religiosa, tutti restavano attaccati ai propri culti tradizionali creando, così, divisione nelle chiese. Paolo va al cuore della questione, sbaragliando la possibilità di ogni rischio del genere, introducendo un unico, autentico, nuovo tipo di culto: quello offerto con il proprio corpo. Non c’è bisogno di un culto che certifichi la distanza tra Dio e l’uomo e che sia, pertanto, esteriore; con Gesù, che ha fatto del Suo corpo il “sacramento” di unione tra Dio e l’umanità, il culto antico è stato abolito. Il culto cristiano si vive, adesso, nel proprio corpo che è unito a quello del Signore. “Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? ( ) e voi non appartenente a voi stessi?” (1Cor 6,15.19). Il corpo diventa l’altare della fede: “glorificate Dio nel vostro corpo” dirà ancora Paolo (1Cor 6,20). Una novità abbacinante che ha un paragone nelle parole di Gesù alla Samaritana. Mentre lei chiedeva dove si dovesse adorare Dio - se al tempio di Gerusalemme o sul monte Garizim - Gesù risponde: “Viene l’ora in cui né su questo monte né in Gerusalemme adorerete il Padre ( ) i veri adoratori adoreranno in spirito e verità” (Gv 4,21.23). Una rivoluzione radicale e difficilissima da mettere in atto! Paolo spiega cosa significhi il “culto spirituale” in tutto il prosieguo del capitolo che viene a costituire un manuale di etica e di stile cristiano ma, prima ancora, di cultura, teologia, politica e spiritualità cristiana. Paolo indica ed esorta a costruire la Comunità munendosi degli “strumenti” essenziali: innanzitutto quello di non sopravvalutare sé stessi, in modo da poter vedere oggettivamente che tutto si è ricevuto da Dio e che anche gli altri hanno ricevuto ciascuno la propria parte. Vedere e apprezzare i carismi degli altri è il primo passo per la vita della Chiesa e questo esige di essere umili e di non aspirare ad essere i soli e gli 13


Un culto d’amore unici. La collaborazione è resa possibile dal fatto che ognuno accetti di essere una parte e svolga con competenza e con gioia il proprio ministero, gareggiando nella “stima vicendevole”. A tutto ciò Paolo dà il nome di “amore”, agape fraterna. La Comunità è un poliedro e non una piramide! L’anima della Chiesa deve pulsare di solidarietà, compassione, amore per i poveri, pena per gli afflitti, reazioni di bene contro ogni azione di male. L’unione di tutti nella Chiesa è la vera “armatura” contro i malvagi e i corrotti; essa è matrice di amore per chi è matrice di odio e risponde con la pace a chi attacca con la guerra; fedele al comandamento del Signore: “amerai il tuo nemico” essa obbedisce nell’invito di Paolo: “se il tuo nemico ha fame dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere”. Il corpo che offre un “culto spirituale” deve, dunque, trasformarsi nell’anima essere attore d’amore verso tutti e abolire, così, l’inimicizia, la vendetta, ogni male.

Domande per attualizzare

Ascoltando le parole di Paolo non possiamo non vedere noi stessi – come cristiani – allo specchio: ancora non abbiamo capito il suo messaggio! Il “culto spirituale” è fatto di fraternità, di comunione, di amore concreto, vissuto nel corpo e nell’anima. Purtroppo anche i luoghi sacri, i santuari o le basiliche restano, spesso, come marchi di identità religiosa che separano invece di unire. Persino all’interno della confessione cattolica moltissime sono ancor oggi le divisioni, tra i movimenti o tra i Vescovi stessi e tante “personalità” auspicano o minacciano gli scismi. Cosa fare dinanzi alla realtà della divisione intra-ecclesiale nel nostro presente? Come lottare contro chi istiga all’odio contro i nemici? Perché è importante custodire un linguaggio d’amore che abbatta ogni muro? Come costruire la comunione dentro e fuori dalla Chiesa e cosa fare a tale scopo?

Preghiera Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi amore, sarei un rame risonante o uno squillante cembalo. Se avessi il dono di profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi tutta la fede in modo da spostare i monti, ma non avessi amore, non sarei nulla. Se distribuissi tutti i miei beni per nutrire i poveri, se dessi il mio corpo a essere arso, e non avessi amore, non mi gioverebbe a niente. L’amore è paziente, è benevolo; l’amore non invidia; l’amore non si vanta, non si gonfia, non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s’inasprisce, non addebita il male, non gode dell’ingiustizia, ma gioisce con la verità; soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa. (1Cor 13,1-7)

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Meditazione

4 - Autorità e libertà Romani 13 Introduzione

Il capitolo 13 della Lettera ai Romani è stata una vera pietra d’inciampo nella storia dell’esegesi e, ancor più, in quella della Chiesa. L’invito che Paolo rivolge ai cristiani di “sottomettersi” alle autorità civili sembrerebbe affatto inopportuno nella letteratura autentica paolina - dove Paolo invita più spesso a ubbidire alla giustizia di Dio piuttosto che a quella civile – al punto da far considerare non autentico questo capitolo. Su un’interpretazione letterale di esso si è elaborata, in passato, una dottrina di passiva e acritica sottomissione alle autorità civili oltre che al dovere morale dell’ubbidienza fiscale anche quando essa si dimostrasse evidentemente iniqua.

Per leggere e comprendere

Il tema del rapporto tra le Comunità cristiane e gli Stati dove le stesse vivono, è sempre stato sensibile come un nervo scoperto e per ovvie ragioni. Le Comunità non sono isole e coloro che le formano sono, allo stesso tempo, anche cittadini. I battezzati lavorano, si sposano, usano le scuole e le strade, pagano le tasse, così come tutti gli altri comuni mortali. Ed ecco, allora, un primo messaggio da questo capitolo di Romani: l’invito ai cristiani a non costituirsi in Comunità parallele, dal punto di vista politico, rispetto a quelle delle città di residenza. Condividete la responsabilità di un governo comune, per il quale nessuno dev’essere un estraneo, egli invita. Paolo vuole formare una coscienza politica collaborativa, stimolare a una presenza attiva e costruttiva nelle società di appartenenza, così come al rispetto delle istituzioni (laiche) su cui quelle società si reggono. Nel caso contingente Paolo si rivolge ai cristiani, molti dei quali erano giudei che si riunivano nella domus acclesiae di Roma. L’editto di Claudio era forse lontano una decina d’anni o poco più quando Paolo scrive (49 d.C). Il libro degli Atti riferisce di una fresca fuga coatta di Aquila e Priscilla da Roma, proprio a causa dell’editto succitato, quando la coppia di ebrei riparò a Corinto e si incontrò con Paolo reduce dalla sua disavventura ateniese (cf At 18,1ss). Tutto ciò rende plausibile una reale preoccupazione da parte dell’Apostolo a che non si dessero occasioni alle autorità romane – che Paolo chiama “diaconi” – di ulteriori e perniciosi conflitti che avrebbero potuto ingenerare nuove ondate di ostilità - da parte di Roma - verso i cristiani. Paolo non pensava soltanto all’incolumità fisica degli stessi o all’ostracismo nei loro confronti ma anche alle sorti della Chiesa che, essendo ancora molto giovane, avrebbe potuto rischiare di non sopravvivere in tutte le parti dell’Impero. Oltre a ciò v’era certamente anche lo spirito di unione delle varie componenti – giudaiche e pagane – delle Comunità guidate da Paolo per le quali un buon rapporto con le autorità civili avrebbe costituito un ulteriore elemento di coesione. Sulla specifica richiesta di pagare le tasse, inoltre, si gioca un dato religioso importante: i giudei si rifiutavano di pagare le tasse a Cesare perché per loro era lecito farlo solo per il Tempio; altrimenti quel gesto avrebbe significato un latente 15


Autorità e libertà riconoscimento del potere divino di Cesare. Paolo vuole che i cristiani superino questo atteggiamento che potrebbe originare una forma pericolosa di integrismo religioso, così come attesta lo stesso Gesù nei Vangeli (“Rendete a Cesare quel che è di Cesare” Mt 22,21). Ma davvero Paolo non mostra alcun senso critico nei confronti del “potere” dell’Impero? Niente affatto! Tutta la seconda parte del capitolo evidenzia come la coscienza del credente sia animata da ragioni ben più alte delle leggi romane e come la stessa sia libera da ogni sottomissione di sorta. “Non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell’amore vicendevole; perché chi ama l’altro ha adempiuto la Legge. Infatti: Non commetterai adulterio, non ucciderai, non ruberai, non desidererai, e qualsiasi altro comandamento, si ricapitola in questa parola: Amerai il tuo prossimo come te stesso. La carità non fa alcun male al prossimo: pienezza della Legge infatti è la carità” (Rm 13,810). Ogni gesto anche civile del cristiano è compiuto, dunque, nell’intelligenza della giustizia e della fede.

Domande per attualizzare

La pagina che leggiamo scopre, oggi, una nuova possibilità di attualizzazione: mentre in passato essa poteva esser sfruttata dai governanti a proprio vantaggio, oggi vi troviamo un messaggio critico e di esortazione all’impegno civile. Il cristiano non è un marziano che vive fuori dalla comunità civile, né un semplice censore politico e morale, al contrario, egli fa parte della stessa e deve profondere un grande impegno affinché la società, le sue istituzioni e le sue leggi possano promuovere l’inclusività, la giustizia, la solidarietà verso tutti e, specialmente, la cura dei più deboli. Ci dobbiamo chiedere come possiamo tradurre nella nostra vita concreta un simile urgente impegno. Papa Francesco ha ricordato recentemente come la “Politica” – quella alta! – sia la più grande forma di carità. Come metterla in pratica?

Preghiera Al cominciar del giorno, Dio, ti chiamo. Aiutami a pregare e a raccogliere i miei pensieri su di te; da solo non sono capace. C’è buio in me, in Te invece c’è luce; sono solo, ma tu non m’abbandoni; non ho coraggio, ma Tu mi sei d’aiuto; sono inquieto, ma in Te c’è la pace; c’è amarezza in me, in Te pazienza; non capisco le tue vie, ma tu sai qual è la mia strada. Padre del cielo, siano lode e grazie a Te per la quiete della notte, siano lode e grazie a Te per il nuovo giorno. Signore, qualunque cosa rechi questo giorno, il tuo nome sia lodato! Amen. (Dietrich Bonhoeffer)

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Meditazione

5 - Chi sono io per giudicare? Romani 14 Introduzione

La parte parenetica della Lettera ai Romani viene a compiersi nel capitolo 14 e nei primi versetti del capitolo 15. Quanto ivi l’Apostolo raccomanda è di estrema importanza per la vita della Chiesa. Peccato che pochi siano stati – nei secoli passati - quelli che gli hanno dato ascolto! Nelle parole di Paolo v’è un tenore teologico e uno stile ecclesiale che colpiscono; v’è una libertà dalle cose secondarie e uno sguardo su quelle essenziali che rendono altissimo il livello morale del suo discorso. L’orizzonte delle sue esortazioni è quello di una Chiesa da far crescere e non sciupare per nessuna ragione, poiché per essa il Signore ha dato Sé stesso.

Per leggere e comprendere

Le Comunità cristiane delle origini erano formate da due grandi componenti culturali: quella giudaica e quella etnica. Anche a Roma molti dovevano essere quelli che provenivano dalla fede mosaica e che si trovavano insieme a quanti non conoscevano le tradizioni degli ebrei osservanti ed erano cresciuti nel culto degli idoli. In una situazione del genere non era facile evitare problemi, specialmente a tavola! V’erano, infatti, cristiani che seguivano precise diete alimentari non per motivi di prestanza fisica o di salute – come potrebbe essere oggi per noi – ma per motivi strettamente religiosi. Quelli che provenivano dal giudaismo erano stati educati a un rigore estremo non solo nella dieta ma anche nel modo di prendere cibo e in compagnia di chi. Il libro del Levitico elenca con acribia le carni che si possono consumare e quelle che no, ponendo dei paletti di purità rigidissimi tra le une e le altre. Tra i gentili v’erano, invece, alcuni che escludevano il consumo delle carne in maniera assoluta e si nutrivano solo di fagioli. È possibile che lo facessero anche per evitare il rischio di mangiare le carni degli animali sacrificati alle divinità pagane. Paolo ritiene ogni tipo di attenzione di questo genere come il segno di una “debolezza” da parte dei cristiani. Per lui è chiaro quanto ha ben spiegato nella Prima Lettera ai Corinti e cioè che tutto si può mangiare, comprese le carni sacrificate agli idoli, visto che gli idoli non sono nulla! (cf 1Cor 8). Non solo ma Paolo sa bene che: “i cibi sono per lo stomaco e lo stomaco per i cibi. Dio però distruggerà questo e quelli” (1Cor 6,13), per cui ciò che si mangia non ha davvero alcuna importanza in vista della vita eterna. Lo stesso vale anche per altre tradizioni cui i cristiani sono legati: alcuni osservano la festa in giorni particolari, altri il digiuno sempre secondo un calendario tradizionale. Anche su questo Paolo non ha dubbi: tutto ciò non ha alcuna incidenza reale sulla vita cristiana, poiché: “se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore” (14,8). Ciò nonostante nessuno giudichi l’altro per il suo comportamento! Nessuno deve disprezzare chi è diverso da sé e mostri delle debolezze. Al contrario ognuno 17


Chi sono io per giudicare? accetti le debolezze degli altri, pensando che non c’è nessuno che possa dirsi completamente libero. Se per qualcuno è importante celebrare una festa, ciò che conta è che lo faccia per il Signore. Ogni cosa può essere occasione di comunione se è fatta nella stima vicendevole e nell’umiltà. Similmente sul cibo: lascia pure che il tuo fratello prenda il cibo che sente buono per sé, e tu non giudicare la sua persona per questo poiché egli è “un servo” di Dio e non uno che deve obbedire a te. Nella vita sociale e comunitaria è essenziale l’idea che “nessuno vive per sé stesso” e che noi dobbiamo cercare “ciò che porta alla pace e alla edificazione vicendevole”. Non dobbiamo irrigidirci nell’imporre le nostre ragioni perché l’unica ragione della vita cristiana è la fraternità. Per questo Paolo conclude supplicando i romani a: “Non distruggere l’opera di Dio per una questione di cibo! Tutte le cose sono pure; ma è male per un uomo mangiare dando scandalo. Perciò è bene non mangiare carne né bere vino né altra cosa per la quale il tuo fratello possa scandalizzarsi” (14,19-21).

Domande per attualizzare

La tentazione di considerarsi i veri cristiani, rispetto a tutti gli altri, è vecchia quanto la Chiesa! Paolo deve combattere per persuadere i neo-credenti a mettere le loro diversità e i doni che lo Spirito ha fatto a ciascuno di loro, per il “bene di tutti”. Rompere la comunione vuol dire fare a pezzi il corpo stesso di Cristo! Se la vita cristiana è una liturgia eucaristica, tale unione dev’essere effettiva, tangibile, autentica. Cosa si può fare, oggi, perché la Chiesa sia fedele? Quanto incidono il moralismo, la supponenza dottrinale, l’ignoranza arrogante, nell’indebolimento della comunione? Chi siamo noi per giudicare i nostri fratelli? Dio solo può farlo. Quanto la tentazione di “scomunicare” in base a futili motivi, fa ancora parte dell’atteggiamento del cristiano? E quante creature che sono in cerca di Dio vengono, in questo modo, deluse e allontanate?

Preghiera Il Signore è il mio pastore: nulla mi manca. Egli mi fa riposare in verdeggianti pascoli, mi guida lungo le acque calme. Egli mi ristora l’anima, mi conduce per sentieri di giustizia, per amore del suo nome. Quand’anche camminassi nella valle dell’ombra della morte, io non temerei alcun male, perché tu sei con me; il tuo bastone e la tua verga mi danno sicurezza. Per me tu imbandisci la tavola, sotto gli occhi dei miei nemici; cospargi di olio il mio capo; la mia coppa trabocca. Certo, beni e bontà m’accompagneranno tutti i giorni della mia vita; e io abiterò nella casa del SIGNORE per lunghi giorni. (Salmo 23)

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Meditazione

6 - Il bacio santo Romani 16 Introduzione

Il capitolo 16 chiude la Lettera ai Romani in maniera atipica con un lunghissimo elenco di persone note a chi scrive. Un caso unico nell’epistolario paolino, dove il numero di coloro che Paolo saluta è sempre più contenuto. Ma c’è anche un altro elemento speciale: i riconoscimenti che Paolo dà alle persone in questione. Tra loro spiccano le figure femminili, una delle quali apre la lista, classificata come diacono, Febe (cf v.1); un’altra è chiamata addirittura “apostolo”, Giunia (cf v.7). Uomini e donne godono del titolo di essere collaboratori e colleghi di Paolo nella missione evangelica e nella costruzione della Chiesa.

Per leggere e comprendere

Sotto ogni nome c’è una persona amata e profondamente legata a Paolo e il tono dei suoi saluti lo mostra con evidenza: il collante tra loro è l’amore grande per il Vangelo. La comunità è composta di uomini e donne, giudei e gentili, schiavi e liberi, con ruoli e storie e diversi: sono i “santi” di Roma. Diciassette uomini e nove donne chiamati per nome - più due anonime; cinque gruppi di persone che si identificano per la casa dove si riuniscono (da Prisca e Aquila, da Aristobulo, da Narciso, da Asincrito e da Filologo) come comunità ecclesiali. E se le donne sono meno rispetto agli uomini, esse sono, però, le più ammirate dal mittente e quelle che si vedono recapitati i più squisiti complimenti per il loro impegno evangelico: almeno sei di quelle nominate, più la mamma di Rufo, la quale, peraltro, Paolo chiama anche “madre mia” (v.13). Le Comunità romane sono tante e disposte non come una piramide, ma, verosimilmente, come un poliedro: più piccole e più grandi, più giudee o più etniche, più femminili o più maschili. La “chiesa” di Roma non viene mai citata come tale, eccetto quella che si riunisce a casa di Priscilla e Aquila (cf v.5); essa è una casa/comunità, cioè una realtà ricca e composita unita dalla fede e dallo Spirito dove ognuno ha il suo nome particolare, ma tutti si chiamano “santi”. Si può pensare che Febe fosse la postina della Lettera, perché Paolo invita i destinatari ad accoglierla “come si fa con i santi”. Ben quattro sono i titoli con cui Paolo la chiama: “sorella” (adelphè), “diaconessa” (diàkonos), “santa” (àghia), “protettrice” (prostàtis) uno in più di quanti non ne abbia dati a sé stesso nel prescritto (cf Rm 1,1: “servo, apostolo e riservato per il Vangelo). Il secondo titolo attribuito a Febe è quello di diacona: diàkonos. Il sostantivo è di genere maschile, ma nessuno ha mai discusso sul fatto che Febe fosse una donna. Paolo usa più volte, nella Lettera, questo termine per indicare il servizio di governo svolto nelle comunità civili (cf Rm 13,4) e per il suo servizio ai santi di Gerusalemme (cf 15,25). In Filippesi 1,1 i diaconi sono citati insieme ai Vescovi; inoltre Paolo attribuisce anche sé e ai suoi collaboratori il termine diàkonos (cf 1Cor 3,5; 2Cor 3,6; 6,4; 11,15.23 + Col 1,23.25; Ef 3,7), quanto non può non coinvolgere – tra le attività in esso contemplate - il ministero 19


Il bacio santo del Vangelo. Tra le coppie, oltre a quella di Prisca ed Aquila viene citata anche quella di Andronico e Giunia (v. 7) e quanto colpisce di loro è che Paolo li definisca: “esperti (epistemoi) tra gli apostoli”, oltre che suoi parenti (quindi Giudei), compagni di carcere e divenuti credenti prima di lui! Tra tutte queste nobilissime qualifiche quella che ha creato maggior stupore è il loro essere apostoli che include anche una donna, Giunia. Il problema nasce in merito al tipo di autorità che venisse attribuito con questo titolo: se potesse o meno trattarsi di un’autorità uguale a quella di apostoli come Pietro, Giacomo, Giovanni e, da ultimo, anche di Paolo. Giovanni Crisostomo conferma questo significato e legge in senso inclusivo – cioè come partecipi della comunità degli Apostoli e “insigni” tra loro – quanto dice Paolo. “Essere tra gli apostoli è già una gran cosa, ma essere insigni tra di loro considera quale grande elogio sia; ed erano insigni per le opere e per le azioni virtuose. Accidenti, quale doveva essere la filosofia di questa donna se è stimata degna dell’appellativo degli apostoli! (PG 60,669-670).

Domande per attualizzare

L’ultimo capitolo della Lettera ai Romani smentisce un luogo comune: la misoginia di Paolo. Esso rivela, altresì, la tendenziosità di coloro che, nel corso della storia, hanno voluto spegnere i fari di luce che Paolo ha acceso sui ministeri femminili. Oggi diventa inaccettabile che tali ministeri non vengano ancora pienamente nominati e riconosciuti nella Chiesa cattolica, segno di una miopia spirituale, di un ritardo storico e di una mancanza di discernimento. Cosa pensi che si potrebbe fare perché questo dannoso vuoto possa essere colmato? Abbiamo visto come a Roma e nelle altre comunità paoline ci fossero donne diacone, apostole, collaboratrici di Paolo nell’opera del Vangelo: quali munera ritieni che debbano essere riconosciuti e consegnati alle donne oggi? Come possono i laici e le donne cattoliche stesse far sì che ciò avvenga in tempi ragionevoli e opportuni?

Preghiera Mi sono aperta come un libro davanti a Te, un libro pieno di misure terrestri, un libro pieno dei fiori della giovinezza, Signore, un libro pieno dei miei sospiri d’amore. E ad un tratto Tu sei comparso, per me, che ero velata d’azzurro, per me, che godevo la tenerezza della mia adolescenza, per me, che mi sentivo giovane e pronta a tutte le battaglie della vita, per me che avevo lo scudo della parola. (Alda Merini)

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Inchiesta

La dimensione pubblica della fede

Il ruolo pubblico della Chiesa Per camminare insieme Il futuro dipende da noi Proposte di revisione di vita 21



Introduzione

La Fede tra privato e pubblico In collegamento con il Piano di lavoro appena svolto “Una strada per il futuro” quest’anno vogliamo sottolineare come il futuro ci riguardi in quanto esso è parte integrante dell’esperienza cristiana. Al tema del futuro infatti sono legati la capacità di elaborare progetti, l’incontro tra generazioni, la ricerca della felicità e della qualità della vita, tutti temi di estrema attualità nell’attuale situazione sociale. Viviamo, nel nostro paese e nel mondo, in un contesto culturale in rapido cambiamento ed evoluzione in tanti campi: dal costume, alla morale, alla politica, al senso della vita. Da questi cambiamenti è coinvolta anche la nostra fede e la nostra appartenenza alla chiesa; la fede è sempre più relegata nell’ambito del privato se non della devozione magica e si rischia di fare confusione tra fede e religione. Fede e religione non sono sinonimi anche se tra loro connessi. La fede è un’esperienza esistenziale radicata su una scelta di fondo che tocca tutti gli aspetti della vita. Non può quindi essere ridotta ad un gesto rituale che senza una fede personale, vissuta e testimoniata, non salva. La fede è sempre un rischio, una scelta che coinvolge tutti gli aspetti della nostra vita. Tenuto conto di queste considerazioni l’obiettivo di questo Piano di lavoro non è tanto quello di rinverdire espressioni antiche di fede o riconsiderare un “ritorno al sacro”, ma piuttosto dare voce ad un modo di pensare, di vivere e di decidere alternativo, in sintonia con la vita e le scelte di Cristo. Cristo negli anni della sua vita pubblica ha predicato il Regno di Dio e lo ha mostrato con gesti e segni a vantaggio degli ultimi; le prime comunità cristiane hanno fatto proprio questo stile di vita e ne hanno fatto fermento di cambiamento per tutta la società. La Chiesa, fin dai primi Padri, ha accompagnato con il suo pensiero lo sviluppo sociale e il progresso dei popoli e, per venire ai giorni nostri, da Leone XIII in avanti ha precisato il suo insegnamento sociale condensato oggi nella “Dottrina sociale della Chiesa”. 23


La fede tra privato e pubblico Nella vita delle comunità cristiana è prevalso ultimamente un atteggiamento di disimpegno. Le migliori energie sociali dei cattolici si sono lentamente incanalate nel volontariato, disertando l’impegno politico e culturale. Invece di favorire il dialogo tra i diversi orientamenti sui problemi emergenti, chiamando tutti a confrontarsi con il Vangelo, s’è preferito, per evitare spaccature nelle comunità, passare sotto silenzio le questioni politiche, come seesse potessero prescindere dalla fede e dalle esigenze di un progetto di vita evangelico. Oggi tanti cristiani hanno una grande stima della propria fede personale ma sembrano aver dimenticato che prima della “mia” fede esiste la fede della chiesa. Senza una comunità di fede non siamo nessuno poiché non apparteniamo a nessuno; senza un’appartenenza ad un territorio, ad un gruppo sociale siamo sradicati dalla realtà; senza un’appartenenza ad una società civile non ci sentiamo né siamo cittadini. Ma questa appartenenza concreta è possibile solo camminando insieme. Con questa convinzione abbiamo scelto tre schede di inchiesta per capire se la fede può essere solo privata, cosa ci sia oggi dietro la parola chiesa e se la chiesa ha un ruolo pubblico e quale. L’ordine delle schede è progressivo per compiere un itinerario che va dalle convinzioni di fede, ad una fede comunitaria che contempla il cammino dell’umanità, ed infine ad una fede e testimonianza che ci apre al Regno. Sempre di più le nostre convinzioni di fede sono chiamate a confrontarsi con altre convinzioni di fedi diverse. Se non siamo noi, sono certamente i nostri figli e nipoti che vivono già questa realtà in prima persona. Credere dunque nel futuro e progettarlo ci aiuta a superare difficoltà e scoraggiamento e a rinnovare la nostra capacità di annuncio e di immaginazione verso un Bene Comune come un futuro possibile per tutti.

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Francesca Sacchi Lodispoto


Introduzione

Per il discernimento cristiano Il gruppo di RC, attraverso l’ascolto della Parola di Dio e l’attenzione alla vita è per noi luogo privilegiato per il discernimento comunitario e quindi per il servizio alla società.

Ascolto della parola di Dio La mia fede personale

Attenzione ai segni dei tempi

Confronto con i nostri Pastori

La dimensione pubblica della Fede

Il gruppo di Rinascita Cristiana

Confronto con la comunità Cristiana

Silenzio e preghiera Confronto con la tradizione della Chiesa

Il gruppo è il luogo adatto a rivedere le nostre esperienze e situazioni di vita, a rileggerle alla luce di una fede condivisa, ad intraprendere un cammino di cambiamento profondo secondo lo spirito del Vangelo. Lo scopo è giungere a decisioni e scelte secondo coscienza e responsabilità. 25


Inchiesta

I – Il ruolo pubblico della Chiesa È importante raccogliere opinioni e testimonianze a noi vicine

OSSERVARE 1. Perché pensi di far parte della chiesa? In quali occasioni ti senti veramente inserito? Cosa oggi non viene accettato della chiesa?

2. Credere serve ancora?

Far parte della chiesa comporta impegni? Quali?

3. La chiesa ha un ruolo pubblico? Quale? Perché? VALUTARE 4. Che significato diamo alla parola chiesa? 5. Il mio giudizio sulla chiesa tiene conto che Cristo morto e risorto è all’origine della sua realtà e della sua identità? Come influisce sulla mia esperienza di fede?

6. Come vivo le due dimensioni costitutive della chiesa: • popolo convocato da Dio • popolo inviato agli uomini quale segno di salvezza?

AGIRE 7. Come vivere la nostra fede perché sia segno di speranza per tutti gli uomini?

8. Quali gesti e azioni possiamo intraprendere per: • esprimere responsabilmente l’appartenenza alla chiesa • impegnarci nella sua missione di evangelizzazione 26


I – Il ruolo pubblico della Chiesa TESTI PER LA VALUTAZIONE PAROLA DI DIO Lc 10, 17-28 Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: “La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il Signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, ne sacca, ne sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”. Quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle piazze e dite “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino!”. ... Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato. (segue a p. 34) ALTRI TESTI: Gal 5,13-26; Mc 16,9-20 – Gv 15,1-11 PAROLA DELLA CHIESA Lumen Gentium 9 - Nuova alleanza e nuovo popolo In ogni tempo e in ogni nazione è accetto a Dio chiunque lo teme e opera la giustizia. Tuttavia Dio volle santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse secondo la verità e lo servisse nella santità. Scelse quindi per sé il popolo israelita, stabilì con lui un’alleanza e lo formò lentamente, manifestando nella sua storia se stesso e i suoi disegni e santificandolo per sé. Tutto questo però avvenne in preparazione e figura di quella nuova e perfetta alleanza da farsi in Cristo, e di quella più piena rivelazione che doveva essere attuata per mezzo del Verbo stesso di Dio fattosi uomo...Cristo istituì questo nuovo patto cioè la nuova alleanza nel suo sangue, chiamando la folla dai Giudei e dalle nazioni, perché si fondesse in unità non secondo la carne, ma nello

Spirito, e costituisse il nuovo popolo di Dio. Infatti i credenti in Cristo, essendo stati rigenerati non di seme corruttibile, ma di uno incorruttibile, che è la parola del Dio vivo, non dalla carne ma dall’acqua e dallo Spirito Santo, costituiscono « una stirpe eletta, un sacerdozio regale, una nazione santa, un popolo tratto in salvo... Quello che un tempo non era neppure popolo, ora invece è popolo di Dio» (1 Pt 2,9-10). Questo popolo messianico ha per capo Cristo «dato a morte per i nostri peccati e risuscitato per la nostra giustificazione» (Rm 4,25), e che ora, dopo essersi acquistato un nome che è al di sopra di ogni altro nome, regna glorioso in cielo. Ha per condizione la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cuore dei quali dimora lo Spirito Santo come in un tempio. Ha per legge il nuovo precetto di amare come lo stesso Cristo ci ha amati. E finalmente, ha per fine il regno di Dio, incominciato in terra dallo stesso Dio, e che deve essere ulteriormente dilatato, finché alla fine dei secoli sia da lui portato a compimento, quando comparirà Cristo, vita nostra e «anche le stesse creature saranno liberate dalla schiavitù della corruzione per partecipare alla gloriosa libertà dei figli di Dio» (Rm 8,21). Perciò il popolo messianico, pur non comprendendo effettivamente l’universalità degli uomini e apparendo talora come un piccolo gregge, costituisce tuttavia per tutta l’umanità il germe più forte di unità, di speranza e di salvezza. Costituito da Cristo per una comunione di vita, di carità e di verità, è pure da lui assunto ad essere strumento della redenzione di tutti e, quale luce del mondo e sale della terra, è inviato a tutto il mondo. Come già l’Israele secondo la carne peregrinante nel deserto viene chiamato Chiesa di Dio (Dt 23,1 ss.), così il nuovo Israele dell’era presente, che cammina alla ricerca della città futura e permanente (cfr. Eb 13,14), si chiama pure Chiesa di Cristo (cfr. Mt 16,18); è il Cristo infatti che l’ha acquistata col suo sangue (cfr. At 20,28), riempita del suo Spirito e fornita di mezzi adatti per l’unione visibile e sociale. Dio ha convocato tutti coloro che guardano con fede a Gesù, autore della salvezza e principio di unità e di pace, e ne ha costituito la Chiesa, perché sia agli occhi di tutti e di ciascuno, il sacramento visibile di questa unità salvifica. Dovendosi essa estendere a tutta la terra, entra nella storia degli uomini, benché allo stesso tempo trascenda i tempi e i confini dei popoli, e nel suo cammino attraverso le tentazioni e le tribolazioni (segue a p. 34)

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Inchiesta

II – Per camminare insieme È importante raccogliere opinioni e testimonianze a noi vicine OSSERVARE

1. Quali sono le divisioni che caratterizzano la nostra società? Quali le divisioni nei nostri ambienti di vita?

2. Quali sono le forze che tendono ad unire? Come agiscono? Che giudizio ne diamo?

3. Quali le responsabilità di noi cristiani nelle situazioni locali e mondiali?

4. Quali le risposte della società civile e della comunità cristiana di fronte alle divisioni della nostra società?

VALUTARE

5. Come ha risolto i suoi conflitti la prima comunità cristiana? 6. La fede anima l’impegno del battezzato e della comunità in ordine alla comunione e alla solidarietà? Come?

7. Guardando ai processi di unificazione e di pace in atto nel mondo

individuiamo:

• quali elementi sono segno della forza della resurrezione di Cristo?

• quali valori evidenziano la novità dello Spirito?

AGIRE

8. In base a quali valori e con quali convinzioni possiamo contribuire da cristiani e cittadini al Bene Comune?

9. Quali gesti possiamo compiere come singoli e come chiesa per costruire una società più riconciliata?

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II – Per camminare insieme TESTI PER LA VALUTAZIONE PAROLA DI DIO Efesini 2,11-22 Perciò ricordatevi che un tempo voi, pagani nella carne, chiamati non circoncisi da quelli che si dicono circoncisi perché resi tali nella carne per mano d’uomo, ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d’Israele, estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio nel mondo. Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne. Così egli ha abolito la Legge, fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, eliminando in se stesso l’inimicizia. Egli è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani, e pace a coloro che erano vicini. Per mezzo di lui infatti possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito. Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù. In lui tutta la costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; in lui anche voi venite edificati insieme per diventare abitazione di Dio per mezzo dello Spirito. ALTRI TESTI: Atti 15,1;7-12;19; 22-31 PAROLA DELLA CHIESA Apostolicam Actuositatem 13 L’apostolato dell’ambiente sociale, cioè l’impegno nel permeare di spirito cristiano la mentalità e i costumi, le leggi e le strutture della comunità in cui uno vive, è un compito e un obbligo talmente proprio dei laici, che nessun altro può mai debitamente compierlo al loro posto. In questo campo i laici possono esercitare l’apostolato del simile verso il simile. Qui completano la testimonianza della vita con la testimonianza della parola Qui nel campo del lavoro, della professione, dello studio, dell’abitazione, del tempo libero o delle associazioni sono i più adatti ad aiutare i propri fratelli. I laici adempiono tale missione della Chiesa nel mondo: a) anzitutto nella coerenza della vita con la fede, mediante la quale diventano luce del mondo, e con la loro onestà in qualsiasi affare, con la quale at-

traggono tutti all’amore del vero e del bene, e in definitiva a Cristo e alla Chiesa; b) con la carità fraterna, con cui diventano partecipi delle condizioni di vita, di lavoro, dei dolori e delle aspirazioni dei fratelli e dispongono a poco a poco il cuore di tutti alla salutare azione della grazia; c) con la piena coscienza della propria responsabilità nell’edificazione della società, per cui si sforzano di svolgere la propria attività domestica, sociale, professionale con cristiana magnanimità. Così il loro modo d’agire penetra un po’ alla volta l’ambiente di vita e di lavoro. Questo apostolato deve abbracciare tutti quelli che vivono nel proprio raggio di azione e non escludere alcun bene spirituale o temporale realizzabile. Ma i veri apostoli non si accontentano soltanto di questa azione, bensì cercano di annunziare Cristo al prossimo anche con la parola. Molti uomini non possono udire il Vangelo e conoscere Cristo, se non per mezzo dei laici che stan loro vicino. Evangelii Gaudium 112-113-114-115 112. La salvezza che Dio ci offre è opera della sua misericordia. Non esiste azione umana, per buona che possa essere, che ci faccia meritare un dono così grande. Dio, per pura grazia, ci attrae per unirci a Sé. Egli invia il suo Spirito nei nostri cuori per farci suoi figli, per trasformarci e per renderci capaci di rispondere con la nostra vita al suo amore. La Chiesa è inviata da Gesù Cristo come sacramento della salvezza offerta da Dio. Essa, mediante la sua azione evangelizzatrice, collabora come strumento della grazia divina che opera incessantemente al di là di ogni possibile supervisione. … 113. Questa salvezza, che Dio realizza e che la Chiesa gioiosamente annuncia, è per tutti, e Dio ha dato origine a una via per unirsi a ciascuno degli esseri umani di tutti i tempi. Ha scelto di convocarli come popolo e non come esseri isolati. Nessuno si salva da solo, cioè né come individuo isolato né con le sue proprie forze. Dio ci attrae tenendo conto della complessa trama di relazioni interpersonali che comporta la vita in una comunità umana. … 114. Essere Chiesa significa essere Popolo di Dio, in accordo con il grande progetto d’amore del Padre. Questo implica essere il fermento di Dio in mezzo all’umanità. Vuol dire annunciare e portare la salvezza di Dio in questo nostro mondo, che spesso si perde, che ha bisogno di avere risposte che incoraggino, che diano speranza, che diano nuovo vigore nel cammino.

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Inchiesta

III - Il futuro dipende da noi È importante raccogliere opinioni e testimonianze a noi vicine

OSSERVARE 1. Quali situazioni della nostra vita consideriamo appartenenti al passato e quali aperti al futuro?

2. Cosa speriamo di trovare nella vita? Cosa pensiamo possa renderci felici?

3. Pensando a possibili scenari futuri analizziamo che tipo di uomo e di società stiamo costruendo.

VALUTARE 4. Qual è il senso del futuro nella visione cristiana della vita? 5. Qual è il fondamento della gioia cristiana? Cosa per Gesù rende bella la vita?

6. Quando Gesù parla di regno di Dio cosa vuol dire? 7. Cerchiamo di individuare ciò che nel contesto attuale promuove l’uomo: la giustizia, la pace e la dignità di ogni persona.

AGIRE 8. Quali valori vogliamo promuovere? 9. Come testimoniare la speranza e la gioia cristiana nei nostri ambienti di vita?

10. Cosa possiamo fare per costruire il regno di Dio?

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III - Il futuro dipende da noi TESTI PER LA VALUTAZIONE PAROLA DI DIO Mt 13,44-52 Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra. Il regno dei cieli è simile anche a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva e poi, sedutisi, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Avete capito tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche». Romani 8,18-25 Ritengo infatti che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi. L’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio. La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità - non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta - nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Nella speranza infatti siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se è visto, non è più oggetto di speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe sperarlo? Ma, se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza. ALTRI TESTI: Mt 5,1-12; Lc 11,1-8 PAROLA DELLA CHIESA Gaudium et Spes 1 - Intima unione della Chiesa con l’intera famiglia umana. Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti colo-

ro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore. La loro comunità, infatti, è composta di uomini i quali, riuniti insieme nel Cristo, sono guidati dallo Spirito Santo nel loro pellegrinaggio verso il regno del Padre, ed hanno ricevuto un messaggio di salvezza da proporre a tutti. Perciò la comunità dei cristiani si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia. 39. Terra nuova e cielo nuovo. Passa certamente l’aspetto di questo mondo, deformato dal peccato. Sappiamo però dalla Rivelazione che Dio prepara una nuova abitazione e una terra nuova, in cui abita la giustizia, e la cui felicità sazierà sovrabbondantemente tutti i desideri di pace che salgono nel cuore degli uomini. Allora, vinta la morte, i figli di Dio saranno risuscitati in Cristo, e ciò che fu seminato in infermità e corruzione rivestirà l’incorruttibilità; resterà la carità coi suoi frutti, e sarà liberata dalla schiavitù della vanità tutta quella realtà che Dio ha creato appunto per l’uomo. Certo, siamo avvertiti che niente giova all’uomo se guadagna il mondo intero ma perde se stesso. Tuttavia l’attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce quel corpo della umanità nuova che già riesce ad offrire una certa prefigurazione, che adombra il mondo nuovo. Pertanto, benché si debba accuratamente distinguere il progresso terreno dallo sviluppo del regno di Cristo, tuttavia, tale progresso, nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare l’umana società, è di grande importanza per il regno di Dio. Ed infatti quei valori, quali la dignità dell’uomo, la comunione fraterna e la libertà, e cioè tutti i buoni frutti della natura e della nostra operosità, dopo che li avremo diffusi sulla terra nello Spirito del Signore e secondo il suo precetto, li ritroveremo poi di nuovo, ma purificati da ogni macchia, illuminati e trasfigurati, allorquando il Cristo rimetterà al Padre «il regno eterno ed universale: che è regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace». Qui sulla terra il regno è già presente, in mistero; ma con la venuta del Signore, giungerà a perfezione.

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Inchiesta

IV - Proposte di revisione di vita É importante chiedersi come viviamo nel quotidiano la responsabilità verso questi aspetti della nostra società per vivere e testimoniare una fede sia nella vita pubblica che privata. IL SINODO SULL’AMAZZONIA

tutela dell’ambiente giustizia e sviluppo globale …………………………

IL LAVORO

ricercato e desiderato precario garantito sottopagato perduto concluso …………………………

L’EMIGRAZIONE problema

economico culturale identitario

risorsa economica culturale fraternità ………………………… EDUCARE OGGI

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famiglia scuola parrocchia associazioni sportive mondo digitale …………………………


IV - Proposte di revisione di vita OSSERVARE 1. Scegliere un fatto da approfondire in gruppo, richiamando situazioni simili sperimentate personalmente.

2. Richiamiamo la situazione del territorio. 3. Mettiamo in luce mentalità, culture e stili di vita correnti.

VALUTARE 4. Confrontare le posizioni e le mentalità emerse con la parola di Dio, con l’insegnamento della chiesa e l’esperienza del popolo cristiano.

5. Cogliere attraverso gli avvenimenti osservati un “segno dei

tempi” e l’invito al cambiamento che Dio rivolge a ciascuno.

AGIRE 6. Decidere di trasformare la propria vita secondo le esigenze del vangelo (conversione).

7. Individuare azioni possibili con altri.

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Inchiesta TESTI PER LA VALUTAZIONE I – IL RUOLO DELLA CHIESA Lc 10, 17-28 (segue da p. 27) I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli». In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo». E, rivolto ai discepoli, in disparte, disse: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono». Ed ecco, un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai». Galati 5,13-26 Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Che questa libertà non divenga però un pretesto per la carne; mediante l’amore siate invece a servizio gli uni degli altri. Tutta la Legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Ma se vi mordete e vi divorate a vicenda, badate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri! Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste. Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge. Del resto sono ben note le opere della carne: fornicazione, impu-

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rità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere. Riguardo a queste cose vi preavviso, come già ho detto: chi le compie non erediterà il regno di Dio. Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c’è Legge. Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri. Perciò se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito. Non cerchiamo la vanagloria, provocandoci e invidiandoci gli uni gli altri. Lumen Gentium 9 - Nuova alleanza e nuovo popolo (segue da p. 27) è sostenuta dalla forza della grazia di Dio che le è stata promessa dal Signore, affinché per la umana debolezza non venga meno alla perfetta fedeltà ma permanga degna sposa del suo Signore, e non cessi, con l’aiuto dello Spirito Santo, di rinnovare se stessa, finché attraverso la croce giunga alla luce che non conosce tramonto. Evangelii Gaudium 182 - L’insegnamento della Chiesa sulle questioni sociali Gli insegnamenti della Chiesa sulle situazioni contingenti sono soggetti a maggiori o nuovi sviluppi e possono essere oggetto di discussione, però non possiamo evitare di essere concreti, perché i grandi principi sociali non rimangano mere indicazioni generali che non interpellano nessuno. Bisogna ricavarne le conseguenze pratiche perché «possano con efficacia incidere anche nelle complesse situazioni odierne. I Pastori, accogliendo gli apporti delle diverse scienze, hanno il diritto di emettere opinioni su tutto ciò che riguarda la vita delle persone, dal momento che il compito dell’evangelizzazione implica ed esige una promozione integrale di ogni essere umano. Non si può più affermare che la religione deve limitarsi all’ambito privato e che esiste solo per preparare le anime per il cielo. Sappiamo che Dio desidera la felicità dei suoi figli anche su questa terra, benché siano chiamati alla pienezza eterna, perché Egli ha creato tutte le cose «perché possiamo goderne» (1 Tm 6,17), perché tutti possano goderne. Ne deriva che la conversione cristiana esige di riconsiderare «specialmente tutto ciò che concerne l’ordine sociale ed il conseguimento del bene comune».


Valutare Evangelii Gaudium 183 183 Di conseguenza, nessuno può esigere da noi che releghiamo la religione alla segreta intimità delle persone, senza alcuna influenza sulla vita sociale e nazionale, senza preoccuparci per la salute delle istituzioni della società civile, senza esprimersi sugli avvenimenti che interessano i cittadini. Chi oserebbe rinchiudere in un tempio e far tacere il messaggio di san Francesco di Assisi e della beata Teresa di Calcutta? Essi non potrebbero accettarlo. Una fede autentica – che non è mai comoda e individualista – implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra. Amiamo questo magnifico pianeta dove Dio ci ha posto, e amiamo l’umanità che lo abita, con tutti i suoi drammi e le sue stanchezze, con i suoi aneliti e le sue speranze, con i suoi valori e le sue fragilità. La terra è la nostra casa comune e tutti siamo fratelli. Sebbene «il giusto ordine della società e dello Stato sia il compito principale della politica», la Chiesa «non può né deve rimanere ai margini della lotta per la giustizia». Tutti i cristiani, anche i Pastori, sono chiamati a preoccuparsi della costruzione di un mondo migliore. Di questo si tratta, perché il pensiero sociale della Chiesa è in primo luogo positivo e propositivo, orienta un’azione trasformatrice, e in questo senso non cessa di essere un segno di speranza che sgorga dal cuore pieno d’amore di Gesù Cristo. Al tempo stesso, unisce «il proprio impegno a quello profuso nel campo sociale dalle altre Chiese e Comunità Ecclesiali, sia a livello di riflessione dottrinale sia a livello pratico».

II – PER CAMMINARE INSIEME Colossesi 1,12-20 Ringraziate con gioia il Padre che vi ha resi capaci di partecipare alla sorte dei santi nella luce. È lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore, per mezzo del quale abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati. Egli è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potenze. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono. Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa.

Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose. È piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli. Atti 2,1-11 Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frìgia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio». È utile la lettura del Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune (Viaggio apostolico di sua santità Francesco negli Emirati Arabi Uniti, 3-5 febbraio 2019)

III - IL FUTURO DIPENDE DA NOI Evangelii Gaudium 222, 223, 225 222 […] I cittadini vivono in tensione tra la congiuntura del momento e la luce del tempo, dell’orizzonte più grande, dell’utopia che ci apre al futuro come causa finale che attrae. Da qui emerge un primo principio per progredire nella costruzione di un popolo: il tempo è superiore allo spazio. 223 Questo principio permette di lavorare a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati. Aiuta a sopportare con pazienza situazioni difficili

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Inchiesta e avverse, o i cambiamenti dei piani che il dinamismo della realtà impone. È un invito ad assumere la tensione tra pienezza e limite, assegnando priorità al tempo. Uno dei peccati che a volte si riscontrano nell’attività socio-politica consiste nel privilegiare gli spazi di potere al posto dei tempi dei processi. Dare priorità allo spazio porta a diventar matti per risolvere tutto nel momento presente, per tentare di prendere possesso di tutti gli spazi di potere e di autoaffermazione. Significa cristallizzare i processi e pretendere di fermarli. Dare priorità al tempo significa occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi. Il tempo ordina gli spazi, li illumina e li trasforma in anelli di una catena in costante crescita, senza retromarce. Si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici. Senza ansietà, però con convinzioni chiare e tenaci. 225 Questo criterio è molto appropriato anche per l’evangelizzazione, che richiede di tener presente l’orizzonte, di adottare i processi possibili e la strada lunga. Il Signore stesso nella sua vita terrena fece intendere molte volte ai suoi discepoli che vi erano cose che non potevano ancora comprendere e che era necessario attendere lo Spirito Santo. La parabola del grano e della zizzania descrive un aspetto importante dell’evangelizzazione, che consiste nel mostrare come il nemico può occupare lo spazio del Regno e causare danno con la zizzania, ma è vinto dalla bontà del grano che si manifesta con il tempo. Dottrina Sociale della Chiesa 5,166, 283 5 L’amore ha davanti a sé un vasto lavoro al quale la Chiesa vuole contribuire anche con la sua dottrina sociale, che riguarda tutto l’uomo e si rivolge a tutti gli uomini. Tanti fratelli bisognosi attendono aiuto, tanti oppressi attendono giustizia, tanti disoccupati attendono lavoro, tanti popoli attendono rispetto: « È possibile che, nel nostro tempo, ci sia ancora chi muore di fame? chi resta condannato all’analfabetismo? chi manca delle cure mediche più elementari? chi non ha una casa in cui ripararsi? Lo scenario della povertà può allargarsi indefinitamente, se aggiungiamo alle vecchie le nuove povertà, che investono spesso anche gli ambienti e le categorie non prive di risorse economiche, ma esposte alla disperazione del non senso, all’insidia della droga, all’abbandono nell’età avanzata o nella malattia, all’emarginazione o alla discriminazione sociale. ... E come poi tenerci in disparte di fronte alle prospettive di un dissesto ecologico, che rende

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inospitali e nemiche dell’uomo vaste aree del pianeta? O rispetto ai problemi della pace, spesso minacciata con l’incubo di guerre catastrofiche? O di fronte al vilipendio dei diritti umani fondamentali di tante persone, specialmente dei bambini? ». 166 Le esigenze del bene comune derivano dalle condizioni sociali di ogni epoca e sono strettamente connesse al rispetto e alla promozione integrale della persona e dei suoi diritti fondamentali. Tali esigenze riguardano anzitutto l’impegno per la pace, l’organizzazione dei poteri dello Stato, un solido ordinamento giuridico, la salvaguardia dell’ambiente, la prestazione di quei servizi essenziali delle persone, alcuni dei quali sono al tempo stesso diritti dell’uomo: alimentazione, abitazione, lavoro, educazione e accesso alla cultura, trasporti, salute, libera circolazione delle informazioni e tutela della libertà religiosa.350 Non va dimenticato l’apporto che ogni Nazione è in dovere di dare per una vera cooperazione internazionale, in vista del bene comune dell’intera umanità, anche per le generazioni future.351 Evangelii Gaudium 240, 241 240 Allo Stato compete la cura e la promozione del bene comune della società. Sulla base dei principi di sussidiarietà e di solidarietà, e con un notevole sforzo di dialogo politico e di creazione del consenso, svolge un ruolo fondamentale, che non può essere delegato, nel perseguire lo sviluppo integrale di tutti. Questo ruolo, nelle circostanze attuali, esige una profonda umiltà sociale. 241 Nel dialogo con lo Stato e con la società, la Chiesa non dispone di soluzioni per tutte le questioni particolari. Tuttavia, insieme con le diverse forze sociali, accompagna le proposte che meglio possono rispondere alla dignità della persona umana e al bene comune. Nel farlo, propone sempre con chiarezza i valori fondamentali dell’esistenza umana, per trasmettere convinzioni che poi possano tradursi in azioni politiche. Laudato sii 197 197 Abbiamo bisogno di una politica che pensi con una visione ampia, e che porti avanti un nuovo approccio integrale, includendo in un dialogo interdisciplinare i diversi aspetti della crisi. Molte volte la stessa politica è responsabile del proprio discredito, a causa della corruzione e della mancanza di buone politiche pubbliche. […] Se la politica non è capace di rompere una logica perversa, e inoltre resta inglobata in discorsi inconsistenti, continueremo a non affrontare i grandi problemi dell’umanità.


Per condividere il pensare e l’agire del gruppo È vitale nel mondo di oggi che il nostro lavoro di Rinascita venga condiviso:

• Per far crescere il senso di appartenenza al Movimento e alla Chiesa • Per essere pensiero propositivo e critico nell’ambiente in cui viviamo • Per dar seguito all’impegno assunto l’anno scorso di una informazione corretta

• Per essere presenti nei nuovi mezzi di comunicazione sociale (sito, facebook…)

Per questo chiediamo ad ogni gruppo di inviare la riflessione più significativa elaborata in gruppo ad ogni tappa dell’inchiesta per essere condivisa. Attendiamo la breve comunicazione possibilmente mensile per poter essere utilizzata in maniera agile e rapida e sentirci tutti parte di un impegno comune.

In questo periodo abbiamo pensato e abbiamo fatto …

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Indice PRESENTAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 I Responsabili nazionali MEDITAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 Costruttori della Pòlis . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 a cura di Rosanna Virgili La vera Giudea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 La forza dell’inerme . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 Un culto d’amore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 Autorità e libertà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 Chi sono io per giudicare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 Il bacio santo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 INCHIESTA La dimensione pubblica della fede . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23 Francesca Sacchi Lodispoto Il ruolo della Chiesa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26 Per camminare insieme . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28 Il futuro dipende da noi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30 Proposte di revisione di vita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32 Testi per la valutazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34 Per condividere e pensare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37

AUTOFINANZIAMENTO 2019-2020 quote e offerte Quota singola € 100 - Quota familiare € 150 Quota sostenitore € 200 e oltre Unicredit Banca di Roma - Ag. 36004 IBAN: IT 08 N 02008 05008 000004063086 Conto corrente postale 62009485

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Rinascere Periodico bimestrale di informazione e di collegamento del Movimento Rinascita Cristiana Via della Traspontina, 15 - 00193 Roma - Tel. 06.6865358 - Fax 06.6861433 - segreteria@rinascitacristiana.org www.rinascitacristiana.org - c/c postale n. 62009485 intestato a Movimento Rinascita Cristiana Direttore Responsabile: Francesca Tittoni Stampa: La Moderna srl - Via Enrico Fermi, 13/17 - 00012 Guidonia (Roma) – tel. 0774.354314 Associato all’Unione Autorizzazione del Tribunale di Roma N° 00573/98 del 14/12/98 Stampa Periodica Finito di stampare nel mese di Settembre 2019 Italiana 2019


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