Rinascere n. 5 e 6 anno 2021

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Rinascere Bimestrale - anno 23 - n° 5-6 settembre/dicembre 2021

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n Inserto Sinodo Scheda di lavoro

n Rosanna Virgili Bibbia e ambiente

n Francesca Sacchi Lodispoto Organizzare la speranza

n Rapporto Censis La società irrazionale

n Roberta Masella In cammino con la Chiesa che è in Italia

n Mariella Zaffino In cammino con Acat La rotta balcanica

n Licio Prati Dall’intimo del cuore ai confini del mondo

n La Settimana Sociale Stefano Zamagni L’alleanza dei giovani

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Rinascere N. 5-6 settembre/dicembre 2021 n  EDITORIALE

n  CHIESA ITALIANA

Organizzare la speranza di Francesca Sacchi Lodispoto

La Chiesa che è in Italia di Roberta Masella

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n  MOVIMENTO

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Ricominciare di Roberta Masella n  FORMAZIONE

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Dall’intimo del cuore di Licio Prati

Sommario

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Scheda di lavoro sul Sinodo n  PIANO DI LAVORO

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La Cop26 di Francesca Sacchi Lodispoto

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n  DOCUMENTI

Suggerimenti biblici di Rosanna Virgili

La Settimana sociale di Stefano Zamagni

n  SOCIETÁ

n  LA SETTIMANA SOCIALE

In cammino con Acat di Mariella Zaffino

Ascolto e rinnovamenti di Francesca Sacchi Lodispoto

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La società irrazionale Rapporto Censis


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di Francesca Sacchi Lodispoto

uesto invito di don Tonino Bello di cui è iniziato il processo di beatificazione è molto appropriato al termine di questo anno 2021 e all’inizio di un nuovo anno liturgico. Molti i fatti che si sono susseguiti in questi mesi: alcuni nel segno della speranza, altri, troppi, nel segno della disumanità. Il nostro Piano di Lavoro nelle quattro piste proposte li richiama tutti: dal Sinodo universale della Chiesa italiana, ad alcuni propositi per la salvaguardia del nostro pianeta, all’affermazione indignata di nuovi e antichi diritti, alla difesa delle donne. Mentre l’ambiente sempre più compromesso e sfruttato dall’uomo si ribella con disastri, fame, guerra e non ultima un’epidemia che non accenna a sparire, ai confini dell’Europa si muore di freddo nella foresta più antica del nostro continente e il “mare nostrum”, culla della cultura nata dall’incontro dei popoli, diviene un grande cimitero. come ripetutamente ha ricordato Papa Francesco, il quale pensando al dramma dell’emigrazione in tutto il mondo ha rivolto questo accorato invito “Vi prego, fermiamo questo naufragio di civiltà!”. Con ogni bambino, ogni donna, ogni ragazzo che ovunque nel pianeta dal Messico alla Polonia, dal Mediterraneo alla Manica, muore in un viaggio impossibile muore anche la speranza dell’umanità. Possiamo allora parlare seriamente di relazioni e di dignità della persona solo allargando il nostro orizzonte e capendo, come afferma Papa Francesco, che veramente tutto è connesso. L’amore del prossimo non può esaurirsi nella solidarietà e nella generosità di aiuti materiali se non ci diamo da fare perché economia, finanza, politica rispettino i popoli, il loro habitat e la loro cultura. Prima della solidarietà esiste la giustizia! Questo Piano di Lavoro allora è l’occasione per riflettere seriamente sulle nostre scelte quotidiane, sulle attese sociali, sulle scelte politiche e sul nostro stile di vita. Ingiustizia, esclusione e povertà riguardano anche il nostro Paese in cui le disparità economiche, sociali e culturali evidenziate dalla pandemia stanno diventando intollerabili e minano la convivenza comune. Per vivere autenticamente questo tempo di Natale siamo tutti invitati ad un ascolto profondo dell’altro e della realtà così come ci inviata a fare il Sinodo della Chiesa italiana per discernere, individuare i segni di speranza e curarli come si fa con ogni bambino che nasce. Oggi, come dice il profeta Isaia, «un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio» il suo nome il Salvatore.

Editoriale

Organizzare la speranza

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Movimento

Ricominciare:

Incontro responsabili e animatori di Roberta Masella

“R

icominciare”... è già una grazia che questo convegno di inizio anno, 8-9 ottobre, sia potuto svolgersi in presenza. Nel rispetto della capienza della sala che ci ha ospitato, una buona rappresentanza da tutta Italia si è ritrovata con gioia per iniziare un cammino all’insegna della speranza e della convinzione che ci può essere ancora spazio per l’azione missionaria di Rinascita Cristiana. Nel saluto iniziale la Responsabile nazionale Serena Grechi ha richiamato le difficoltà incontrate da tutti noi durante il periodo più acuto della pandemia, ma ha anche messo in risalto la capacità del movimento di trovare soluzioni per non perdere i contatti, per conservare la comunione di pensiero e di azione. L’esperienza vissuta ci ha fatto capire sempre più quanto indispensabile sia il valore della fratellanza e quanto sia importante continuare a costruire relazioni con chiunque accetti di condividere un cammino. Ha fatto seguito l’intervento di P. Jean Louis Ska, che ha illuminato alcuni aspetti del Vangelo di Luca, al centro della meditazione del Piano di lavoro. Luca vuol farsi accettare da un pubblico di formazione greco-ellenistica che costituiva la cultura ufficiale del mediterraneo e quindi introduce il suo vangelo come i grandi storici della letteratura greca (cfr Lc 1,4). Dei fatti raccolti Luca fa una narrazione, un’esperienza condivisa che permette di rivivere quanto è narrato, di dare un senso agli eventi, e che contiene un programma (cfr. la lettura del rotolo di Isaia nella sinagoga di Nazareth da parte di Gesù); e il programma si compirà nell’oggi, nel tempo di Gesù Cristo che è il tempo centrale della storia. Prima c’è il tempo della promessa, il Vangelo è il compimento della promessa, dopo (Atti) la comunità cristiana vive l’ideale del modello di Cristo: è il nostro tempo. Il cammino, immagine della vita, è accompagnato dalla presenza di Dio che, viandante con i viandanti, fa del nostro viaggio la meta. Possiamo riflettere che l’oggi di Luca non si discosta dal nostro oggi. Luca scrive per una comunità che conosce dubbi, crisi, scoraggiamento, che si sentiva minoranza di fronte all’immensità dell’impero; e neppure ignora le debolezze della comunità cristiana, ma ha fede nell’azione dello Spirito. È stato poi presentato il Piano di lavoro. Un testo più snello rispetto al passato, anche per facilitare gli incontri on line che per alcuni continueranno. Sabato mattina, 9 ottobre, don Alfredo Jacopozzi ci ha introdotto al Sinodo della Chiesa italiana dentro il contesto della Chiesa universale. La richiesta di Chiesa sinodale parte dal Vaticano II, che auspica la fine di una Chiesa gerarchica e centralizzata. La Lumen Gentium guarda alla Chiesa co4


Movimento me popolo di Dio, corpo di Cristo e tempio dello Spirito Santo; dice altresì che la Chiesa cattolica esiste a partire dalle chiese locali (cap.23). La Gaudium et Spes parla di Chiesa nel mondo e non di Chiesa di fronte al mondo. Papa Francesco nella Evangelii Gaudium (cap.32) torna a parlare della eccessiva centralizzazione della Chiesa e con la convocazione di questo Sinodo riprende le istanze del Vaticano II; si tratta di riequilibrare l’esercizio delle responsabilità all’interno della Chiesa: ecclesiologia di comunione, da estendersi a tutti i battezzati. La sinodalità della Chiesa universale passa attraverso la riforma della Curia romana, da porre sotto il sinodo dei Vescovi e non sotto il Papa. La Santa Sede assume le sue decisioni in accordo con le Chiese locali, che non sono più circoscrizioni amministrative ma soggetti di diritto (cfr. sinodo sull’Amazzonia). Anche nelle Chiese locali i vescovi devono mettersi all’ascolto della voce del popolo che è voce di Cristo. La chiesa di oggi si trova di fronte a cambiamenti culturali rapidissimi e i modelli di governo ereditati dal passato, da società rurali, sono lenti. Occorre maggiore interattività e soprattutto è importante che parlino coloro che hanno abbandonato la Chiesa. Quando la sinodalità va in letargo, la vita della Chiesa soffre poiché la Chiesa è Corpo di Cristo, diversità di membra che collaborano per l’unità. Chiesa è tempio dello Spirito Santo: l’insieme dei doni dello Spirito investe il popolo di Dio. Quando uno vuol essere tutto, si introduce il disordine, non si può essere sintesi di tutti i carismi. La cattolicità è unità nelle differenze e non universalità conformatrice. C’è la preoccupazione che la sinodalità minacci l’unità della Chiesa; preoccupazione legittima ma infondata, perché il contenuto della fede è oggetto di trasmissione non di procedura democratica. Il Papa dice che la sinodalità è l’unica strada per superare il clericalismo e porre l’accento sulla fraternità; la sinodalità ha il fondamento nella eguaglianza dei battezzati. La vita sinodale, però, richiede i suoi tempi e questo sembra un ostacolo in più in un momento in cui la società odierna fa fatica ad elaborare processi di partecipazione democratica. Occorre aspettarsi e avanzare tutti insieme quando la crisi è, come ora, strutturale. Benché lente, le decisioni sinodali sono le più fruttuose. Quale Chiesa vorremmo emergesse da questo Sinodo? Una Chiesa che si liberi dai silenzi, dal clericalismo, che valorizzi tutti i suoi membri (ruolo delle donne), che si fondi sul Vangelo anziché su discorsi dottrinali astratti. Chiesa nutrita dal Vangelo e dall’Eucarestia.

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Formazione

Formazione

Dall’intimo del cuore,

insieme, ai confini del mondo di Licio Prati Al Movimento Rinascita Cristiana che intende “ricominciare”: per un cammino di laici cristiani, cittadini secondo il vangelo.

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iviamo tempi critici. Ci ritroviamo frastornati; minacciati ed anche travolti come da venti tempestosi. I mesi della pandemia si presentano a noi come limite nelle comunicazioni ed anche opportunità per la riflessione. E tuttavia fatichiamo a metterci in ascolto per udire la voce della nostra anima e il sussurro dello Spirito di Dio. Arrabbiati o depressi? Scoraggiati o stanchi? Penso a Giona, il profeta. Aveva le sue idee – ovviamene chiare – su ciò che Dio doveva o non doveva fare. Dopo giorni di faticosa predicazione a Ninive, è disgustato di Dio; piccino nella testa e nel cuore è arrabbiatissimo con un dio non fatto a sua immagine. Immobile in solitudine, chiuso in se stesso, senza futuro. E... senza riuscire ad apprendere la lezione del ricino. Elia, altro profeta, ha la sensazione di aver fallito, se ne lagna con Dio e attende: e Dio, nel sussurro di una brezza leggera, lo rimette in cammino. Passi sicuri e destrezza nell’orientamento sono richiesti con forza da questi nostri giorni: gambe e occhi; e orecchi. Lo sportivo che corre nello stadio ha bisogno di gambe e muscoli d’acciaio; il suo percorso è già tracciato da altri. Ma chi si inoltra in terre e monti sconosciuti ha bisogno di guardarsi attorno, inspirare gli odori ed ascoltare i rumori del bosco e della pietraglia. Gambe e occhi per cercare e camminare; e individuare, nel panorama, punti di riferimento per non smarrirsi ed essere in grado di accompagnare il cammino di altri. Nella grande storia e nelle nostre personali vicende il panorama è il progetto di Dio: fare di Cristo il cuore del mondo. Essere cristiani significa accogliere l’invito a metterci al lavoro con fede solida, consapevolezza gioiosa e determinazione costante. Vuol essere anche il nostro progetto personale e collettivo. Sappiamo che si realizza in tempi lunghi; tempi di semina e stagione di covoni; e coabitazione di frumento e zizzania.

Annuncio e Croce: nel segno della debolezza Individuare in modo chiaro e non abbandonare certezze di fondo è oggi ineludibile per noi, che ci chiamiamo discepoli di Cristo. Si tratta di capire 6


Formazione quali sono i pilastri di fondazione su cui innalzare, costruire, ricostruire: un ponte, un palazzo, una cattedrale... Sono pilastri che chiedono difesa e manutenzione continua nel tempo. Altrimenti si va a finire come per il ponte di Genova. Dio è l’architetto. Noi, solo operai. Gesù chiama ‘regno di Dio’ questo cantiere, progetto in corso d’opera. Ma noi – dice san Paolo – in vasi di creta portiamo tesori! Parola e Croce: questi i pilastri di fondazione. Sappiamo che costitutivo dell’identità cristiana non è un ritualismo religioso o qualcosa di puramente esteriore, bensì una religiosità interiore. Questa è in grado di stabilire un rapporto alto, puro con Gesù e con Dio. E lo stabilisce tramite la parola annunciata del Vangelo che, come la Croce, è debolezza. «La parola con cui si annuncia la croce è ciò che di più debole posso avere: è soffio della mia bocca che implica un messaggio, un concetto: non sono armi, non sono strutture, non imposizione; è un annuncio e su questo si fonda la Chiesa: su questo e sulla Croce.» (R. Penna). Possiamo pensare a Paolo che annuncia la risurrezione di Gesù agli ateniesi... gli dicono ‘ci sentiamo un’altra volta’... e vanno a casa a pranzare tranquilli. In antico, gli stessi, all’annuncio dell’imminente arrivo dei Persiani subito si prepararono alla guerra. Laici cristiani, cittadini secondo il Vangelo. Con l’augurio di scuoterci di dosso l’indolenza accumulata nei giorni del lockdown, prendo da Romano Penna alcune considerazioni opportune ed utili per il nostro agire a servizio del Vangelo. Possiamo descriverlo – il nostro Movimento Rinascita Cristiana – come un muoversi dall’intimo del cuore (trasformazione personale), insieme (percorso condiviso), ai confini del mondo e dell’umano (con apertura mentale e impegno sociale). Sono tre momenti della nostra esperienza nei gruppi e dimensioni costitutive del nostro essere cristiani. Vale la pena soffermarvisi considerando il Bell’Annuncio del Vangelo in rapporto all’uomo, alla Chiesa e al mondo.

Il Vangelo è per l’uomo Etica e fede Si avverte sempre più la necessità di un recupero di etica pubblica, condivisa, universale. Ogni individuo con la sua mentalità, ogni gruppo con le sue consuetudini, i riferimenti culturali e i suoi riti, ogni popolo con le sue radici culturali e religiose privilegia una sua etica particolare. In alcuni aspetti della vita e nel confronto delle culture risulta difficile capire e accogliere l’interpretazione che un popolo dà della sua vita, della sua storia, la sua visione del mondo e tradurre in norme ed agire condivisibili, fondamentali principi etici. Pensiamo alla carta dei diritti umani! 7


Formazione Oggi di fronte al crollo di molti valori di cui siamo spettatori se non anche attori, viene davvero di invocare persino un’etica pubblica. Invochiamola pure e impegniamoci in un’etica che salvi dal naufragio il nostro mondo, la nostra società... e tuttavia anche l’etica di cui abbiamo estremo bisogno, dal punto di vista del Vangelo si aggancia a qualcosa che la precede e la fonda: è l’atto di grazia compiutosi nel sangue di Cristo». Riteniamo importante, oggi più che mai, ravvivare la convinzione, e su di essa modellare il nostro pensare e il nostro agire, che nel nucleo del cristianesimo non c’è un’etica, ma la fede in Cristo Signore. E la fede in Cristo è un cammino talvolta lungo quanto la vita: un cambiamento, una trasformazione globale della persona. Si tratta, infatti, in Cristo e grazie a Cristo di divenire, o più precisamente esser fatti, uomini nuovi; essere da Dio chiamati suoi figli ed esserlo realmente; e agire all’altezza di questa nostra identità. Chiediamoci pure cosa dobbiamo fare o non fare; ma fermarsi qui e non andare oltre genera anche moralismi, giustizialismi, convincimenti etici narcisisti. Solo se ci ricordiamo chi siamo affronteremo con più coraggio e speranza solitudini ed incertezze, ogni ingarbugliato presente e ogni inimmaginabile futuro.

A vantaggio dell’uomo È l’annuncio del Vangelo, accolto con fede, la garanzia di ogni auspicato buon futuro. È annuncio che ha come scopo la promozione dell’uomo, la sua libertà: opera un passaggio decisivo nella struttura profonda e nell’esperienza di quanti lo accolgono con fede. Ma, se nessuno annuncia, chi crederà? Ci suggerisce san Paolo! Questo passaggio ad una nuova vita è da Paolo ben sintetizzato in tre celebri passi delle sue lettere: Rom 7,19; Gal 2,20; Rom 8,31. L’annuncio evangelico mette in atto una trasformazione interiore, o meglio un trasferimento: da una assoluta incapacità di attingere ad una altezza morale e da una invincibile soggezione al male (sintetizzata nella espressione ‘io non faccio il bene che voglio, ma il male che non voglio’ di Rom 7,19) ad una struttura interiore, mutata in esperienza di partecipazione (‘Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” – Gal 2,20). Ciò genera grande pace e sicurezza: perché divenuti, grazie alla croce di Cristo, uomini liberati per restare liberi. E, “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?” (Rom 8,31). Quanto alla credibilità di chi annuncia, ricordiamo il celebre apologo del pagliaccio e del circo che brucia. La riflessione continua con altri due capitoletti: Il vangelo, fondamento della chiesa; il Vangelo di fronte al mondo e alla società. Chi è interessato può leggere l’intero articolo sul sito www.rinascitacristiana.org 8


Documenti

La Settimana Sociale: un contributo all’inchiesta

di Stefano Zamagni Riportiamo un’ampia sintesi dell’intervento del prof. Zamagni, economista e Presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali. L’intervento è utile per un approfondimento delle tematiche del nostro Piano di Lavoro soprattutto a motivo della sua chiarezza e concretezza.

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a storia delle settimane sociali dei cattolici italiani è una storia semplicemente affascinante. Le sue origini affondano alla fine ‘800, quando c’era ancora il non expedit, ai cattolici non era consentito di prendere parte alla vita politica. In quel contesto Giuseppe Toniolo, inventa le settimane sociali; non potendo parlare di settimane politiche inventa le settimane sociali. Due sono le correnti di pensiero in ambito cattolico per quanto riguarda la politica: quella agostiniana (la politica serve per limitare il male e impedire che gravi eventi possano accadere); per San Tommaso, la politica serve invece per fare il bene comune. Ancora oggi, nel nostro mondo cattolico sono chiaramente percepibili queste due linee di pensiero. Toniolo scelse la via di Tommaso: l’agire politico, che chiamò agire sociale, doveva servire per fare avanzare il bene comune. Se accogliamo la prima concezione ci limitiamo a contenere il male, se accogliamo la seconda concezione ci mettiamo in animo di effettuare trasformazioni. Papa Francesco, se fate caso, nei suoi scritti e nelle sue parole, non usa mai la parola riforma, ma parla sempre di trasformazioni e di strategia trasformazionale e ha ragione. Perché ri-forma vuol dire dare nuova forma ad un contenuto che rimane lo stesso. Le riforme sono amate dai conservatori. Se uno è conservatore in senso proprio, in senso tecnico fa le riforme. Però se ci troviamo a punti di svolta epocali come quello attuale le riforme non bastano. Si possono anche fare, miglioreranno la situazione per lo spazio di un mattino ma occorre trasformare. Dal 2017 ad oggi gli investimenti in fondi sostenibili sono aumentati di 1400 miliardi di dollari, in 4 anni. Però al tempo stesso le emissioni CO2, CF4 ecc sono aumentate. Questo è un paradosso. Ma come si spiega? Una parte si spiega con il greenwhashing, cioè che molti usano queste forme di investimento per copertura. Ma la ragione fondamentale è un’altra e cioè che la metrica che viene utilizzata per misurare qual è il grado massimo tollerabile di aumento della temperatura, è basata su modelli che sono integrated assesL’aumento degli investimenti in fondi sostenibili

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Documenti sment models. Modelli che esistono da alcuni decenni e sulla base dei quali le autorità di governo nazionali ed internazionali basano le loro decisioni. Ora questo modello è sbagliato! Perché adotta una tecnica che gli economisti sanno dell’ottimizzazione hamiltoniano per cui la natura è messa allo stesso livello del lavoro e del capitale e quindi la domanda è quanto più possiamo inquinare e se inquiniamo un po’ di più qual è l’aumento di PIL, di reddito che ne consegue e poi stabiliamo se conviene o meno. In base a questa metrica l’aumento di temperatura consentito, cosiddetto ottimale è di 4 gradi! Mentre noi sappiamo che l’Ipcc (gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico) recentemente, cioè qualche mese fa, ha stabilito che il massimo aumento deve essere di un grado e mezzo. Ecco perché nella pratica le cose non vanno. La ragione fondamentale è che i policy makers non hanno un modello alternativo a quello degli integrated assessment models. La buona notizia è che due economisti Nicholas Stern e Joseph Stiglizt recentemente hanno deciso di creare un gruppo di lavoro perché dopo aver criticato aspramente il modello esistente, si sono proposti di arrivare a fornire una alternativa. Ecco allora il primo punto che ci fa capire che se vogliamo aggredire i problemi con la logica trasformazionale bisogna arrivare alle cause che generano quella situazione. Perché continuiamo a mischiarle? Noi dobbiamo dirle che non accettiamo più di essere presi in giro perché la finanza sostenibile è quella basata sui criteri ESG (environment, social, governance). La finanza d’impatto è quella che invece mira ai criteri SDG, quelli delle nazioni unite 17 goals, obiettivi dello sviluppo. Questo è importante perché una impresa può essere prima rispetto ai criteri ESG e ultima rispetto agli SDG. Perché i criteri ESG dicono solo che tu impresa non devi fare più di tanto. Puoi inquinare ma non più di tanto. La finanza di impatto invece adotta una posizione in linea con San Tommaso mentre gli altri sono in linea con l’impostazione agostiniana. Allora se noi non diciamo apertamente che siamo per la sostenibilità integrale (e la parola integrale vuol dire proprio questo, che non ci basta che imprese, soggetti, gruppi, limitino il loro modo di agire, di produrre e di inquinare) ma noi dobbiamo chiedere in positivo esattamente, non ci basta più la responsabilità sociale dell’impresa. La responsabilità è nata in America nel 1954. Noi vogliamo andare verso la responsabilità civile dell’impresa. E la differenza è questa che l’impresa civilmente responsabile non è solo quella che si limita a non fare ma quella che cerca di fare e di prendere azioni positive nella direzione auspicata. Esiste una finanza sostenibile e una finanza di impatto

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Documenti Tutti vogliono la transizione ma questa ha dei costi; questi costi non ricadono su tutti, certi gruppi sociali hanno dei costi, altri dei guadagni. Se i costi ricadono su gruppi che ci rimettono dalla transizione, questi gruppi si coalizzano politicamente per impedire che la transizione avvenga (ed è quello che sta avvenendo ed è quello che è avvenuto al COP 26 di Glasgow). La proposta è creare un fondo di compensazione (anche a livello internazionale tra paesi avanzati e non) tale per cui chi guadagna dalla transizione versi su quel fondo un ammontare che compensi coloro i quali ci rimettono. Ecco perché recentemente in sede Pontificia accademia delle scienze sociali, un membro, Dani Rodrik, ha proposto di istituire un fondo internazionale che serve esattamente a compensare i paesi dell’Africa e dell’America latina perché solo così questi si attiveranno per realizzarlo. Analogia col caso di vaccini. Bisogna quindi essere seri a parlare di transizione. Su chi ricadono i costi della transizione

La fragilità è la condizione di vita di chi in un certo momento non è in grado di provvedere alle proprie esigenze. La vulnerabilità è la condizione di vita di chi in un particolare momento è a posto, non ha bisogno di niente. Però ha una alta probabilità di cadere in condizione di fragilità sull’arco dei successivi 3-4-5 anni. Noi continuiamo con le politiche di contrasto alle fragilità e basta. Ora le politiche di contrasto alla fragilità hanno la caratteristica della emergenzialità ed è ovvio intervenire nell’emergenza però ci fermiamo lì. Per Politiche contro la vulnerabilità occorre adottare una prospettiva di medio- lungo termine. Le politiche contro la fragilità sono tutte politiche a breve termine. Lì allora c’è un problema serio. Perché non si fanno politiche contro la vulnerabilità? Perché l’orizzonte temporale della politica occidentale è di 5 anni, tempo che separa una elezione da un’altra, ma nell’orizzonte dei 5 anni non si possono fare politiche contro la vulnerabilità. Pensate alla vulnerabilità lavorativa. Io oggi posso lavorare. Molti giovani mi dicono: “Io adesNon consideriamo sinonimi fragilità e vulnerabilità

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Documenti so ce l’ho il lavoro, anche ben pagato” però io so che fra 3-4-5 anni potrei rischiare di perderlo a causa dell’innovazione del digitale e della intelligenza artificiale di terza generazione. Allora io devo far partire adesso politiche contro questo tipo di vulnerabilità lavorativa, non devo aspettare quando si materializzerà la fragilità. È chiaro che servano anche politiche contro la fragilità ma molto più importanti quelle contro la vulnerabilità. … Noi dobbiamo creare armonie cioè porci dove c’è potenziale conflitto. Chiudo dicendo che tutto questo è possibile ma due condizioni vanno soddisfatte: noi cattolici dobbiamo smettere di piangerci addosso e di andare a rimorchio di altre strutture di pensiero e di altre concezioni. Basta con questa sudditanza. La seconda condizione è che si torni a produrre pensiero pensante. Il pensiero pensante e pensiero calcolante. Per ragioni varie negli ultimi decenni si è dato la stura al pensiero calcolante ma senza pensiero pensante non si va da nessuna parte e il pensiero pensante è quel tipo di pensiero che indica la direzione, il senso. Se noi non torniamo a produrre pensiero pensante e non a ripetere quello che ci hanno lasciato i nostri padri, rischiamo di cadere in un facile pragmatismo che è nell’immediato utile ma non può essere accettato da chi ha una visione forte come quella di cui noi siamo portatori. Chiudo dicendo che tutto questo serve per alimentare il seme della speranza. E la speranza è fondata su una certezza: che la realtà non è un dato ma un compito e se noi assolviamo quel compito, quella realtà può essere cambiata anche radicalmente.

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Chiesa italiana

Chiesa italiana

In cammino con la chiesa che è in Italia

di Roberta Masella

Educazione, lavoro, dialogo tra le generazioni

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Gennaio 2022 come ogni anno si celebra la Giornata della pace. I temi del messaggio del Papa individuano tre percorsi su cui agire per edificare una pace duratura: educazione, lavoro, dialogo tra le generazioni. Sono temi ricorrenti nella predicazione del Papa, che propone una lettura che risponda alle necessità del tempo attuale e futuro. L’invito attraverso questi temi è “a leggere i segni dei tempi con gli occhi della fede, affinché la direzione di questi cambiamenti risvegli nuove e vecchie domande con le quali è giusto e necessario confrontarsi “. Sta a noi interrogarci sui modi in cui proporre istruzione ed educazione per costruire una pace duratura; su come il lavoro possa e debba rispondere al desiderio di dignità, di libertà, di giustizia della persona; su come le generazioni possano stabilire o ristabilire quel filo di continuità che permette l’ascolto reciproco, la comprensione e la solidarietà. Si tratta sempre di camminare insieme sui sentieri della speranza, come fratelli. “In questo tempo, nel quale la barca dell’umanità, scossa dalla tempesta della crisi, procede faticosamente in cerca di un orizzonte più calmo e sereno, il timone della dignità della persona umana e la “bussola” dei principi sociali fondamentali ci possono permettere di navigare con una rotta sicura e comune. Come cristiani, teniamo lo sguardo rivolto alla Vergine Maria, Stella del mare e Madre della speranza. Tutti insieme collaboriamo per avanzare verso un nuovo orizzonte di amore e di pace, di fraternità e di solidarietà, di sostegno vicendevole e di accoglienza reciproca. Non cediamo alla tentazione di disinteressarci degli altri, specialmente dei più deboli, non abituiamoci a voltare lo sguardo, ma impegniamoci ogni giorno concretamente per «formare una comunità composta da fratelli che si accolgono reciprocamente, prendendosi cura gli uni degli altri”.

“Custodire ogni vita”: messaggio per la 44ª Giornata nazionale per la vita

Il Consiglio Episcopale Permanente della CEI ha diffuso il suo messaggio per la 44 giornata nazionale per la vita che ricorre il 6 febbraio 2022. La riflessione dei vescovi parte dalla situazione emersa dalla pandemia: la pandemia ha messo in luce tutte le fragilità che ci percorrono a livello personale, comunitario e sociale. Come continua a ricordare il Papa, nessuno può bastare a sé stesso, nessuno si salva da solo. Se questo è vero per tutti, ancor più è vero, dicono i vescovi, per le categorie più deboli e tra queste le nuove generazioni e gli anziani. Le nuove generazioni hanno subito importanti contraccolpi psi13


Chiesa italiana cologici, gli anziani, quando non sono state vittime, hanno vissuto una condizione di solitudine e di paura. Anche le fragilità sociali sono state acute, con l’aggravarsi di povertà, disoccupazione, precariato, conflittualità domestica. Situazioni queste ancor più gravi nelle popolazioni povere. Accanto a manifestazioni di egoismo e indifferenza, la pandemia ha messo in evidenza anche l’impegno e l’abnegazione di tante persone attente a custodire la vita. La risposta che “ogni vita fragile silenziosamente sollecita è quella della custodia”. Per questo, dicono i vescovi, “il vero diritto da rivendicare è quello che ogni vita, terminale o nascente, sia adeguatamente custodita”. Anche se il messaggio sottolinea il valore della vita nascente e declinante e invita a riflettere sul dibattito intorno all’aborto e all’eutanasia, i vescovi ricordano che la vita va custodita in ogni fase e che la custodia, come dice Papa Francesco, passa attraverso la cura reciproca in famiglia, nella società, nelle comunità e nelle istituzioni.

Incontro dei vescovi delle aree interne

Al termine dell’estate, il 30 e 31 agosto 2021, si è tenuto a Benevento, per iniziativa dell’Arcivescovo Mons. Felice Accrocca, l’incontro dei vescovi delle aree interne. All’evento hanno partecipato più di venti vescovi, provenienti da varie diocesi italiane; l’intenzione è stata quella di avviare un confronto per elaborare un piano di rilancio pastorale delle aree interne del Paese, che sempre più si trovano a fare i conti con l’emarginazione, lo spopolamento e la crisi economica. Nel suo intervento di apertura Mons. Russo, segretario della CEI, ha sottolineato come le aree interne rappresentino “una ricchezza assoluta, se ben valorizzate e restituite alla loro dignità” e come il cambiamento in atto, sollecitato anche dalla pandemia, può disegnare un nuovo modello di sviluppo in cui le “aree interne possono diventare il polmone del Paese “. Mons. Russo ha ricordato come dal 2012 si è cominciata a costruire a livello governativo una strategia nazionale per le aree interne, a partire dai fondi strutturali europei, con l’obiettivo di sostenere una competitività territoriale e contrastare il declino demografico. Si confida ora anche nel PNRR e nei provvedimenti ad esso connessi. Delle problematiche e aspettative delle” aree interne” i vescovi hanno parlato, l’8 novembre 2021, con il ministro delle infrastrutture Enrico Giovannini in un lungo incontro che si è svolto nella sede della CEI.

Don Tonino Bello, la Chiesa con il grembiule

“Quando arrivò in diocesi, alcuni sacerdoti chiesero a uno dei suoi primi collaboratori che persona fosse. E lui rispose: ‘È tanto bravo, ma esagera un poco’. Don Tonino esagerava nel bene, nella carità e nell’umiltà. Il suo esempio avvicinerà ancora più persone a Dio”. Mons. Domenico Cornacchia, vescovo di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, parla al Sir con emozione della promulgazione del decreto

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Chiesa italiana sulle virtù eroiche del Servo di Dio Antonio Bello: “La Chiesa locale, italiana e universale è nella gioia più grande. Sono state riconosciute le virtù di un uomo che è stato il nostro vescovo e che rappresenta un riferimento imprescindibile per tutti noi”. Mons. Cornacchia rivela che la notizia è stata data, con singolare privilegio concesso dal Papa, durante l’ultima giornata dell’Assemblea generale straordinaria della Cei: “La reazione è stata di enorme letizia da parte di tutti i vescovi presenti. Don Tonino è l’esempio di un vescovo autentico, che dobbiamo tenere sempre presente”. “Molfetta è sinonimo di don Tonino Bello, ovunque io vada in giro per l’Italia mi parlano di lui. Per circa dieci anni ha letteralmente servito la comunità, i poveri e i sacerdoti a lui affidati. Che tutti noi possiamo sforzarci di imitare le virtù di questo santo uomo”. Nato ad Alessano (Lecce) il 18 marzo 1935, prete dal 1957, si occupa della formazione dei seminaristi e lavora al settimanale diocesano «Vita nostra». Laureato in Teologia, alterna insegnamento nel Seminario alle trasferte e Roma ad accompagnare il suo vescovo al Concilio Vaticano II (1962-65). Il 10 agosto 1982 Giovanni Paolo II lo nomina vescovo di Molfetta-Giovinazzo-Terlizzi. Il primo gesto è per gli operai; il suo piano pastorale «Insieme alla sequela di Cristo sul passo degli ultimi». Inventa e vive «Chiesa con il grembiule». Succede a mons. Luigi Bettazzi come presidente nazionale di «Pax Christi» nel 1985, predica il dialogo, la misericordia, la non violenza; si schiera contro il riarmo e il commercio delle armi; si impegna per l’obiezione fiscale alle spese militari, contro la militarizzazione della Puglia, per la pace nella prima «Guerra del Golfo» e nel conflitto nella ex-Jugoslavia. Indimenticabile la «marcia della pace» a Sarajevo il 7-13 dicembre 1992. Con oltre 500 persone, credenti e non di diverse nazioni, sfida le bombe: è già gravemente malato e muore di tumore allo stomaco il 20 aprile 1993.

Accanto ai bambini, ai carcerati e alle persone più vulnerabili

Nella riunione del Comitato per gli interventi caritativi della Cei a favore del Terzo Mondo, il 19 e il 20 novembre, sono stati approvati 61 progetti, per i quali saranno stanziati € 10.345.988 ricavati dai contributi dell’8/1000. € 4.260.686 per 24 progetti in Africa, € 3.593.069 per 18 progetti in America Latina; € 1.786.138 per 16 progetti in Asia; € 627.385 per 1 progetto in Medio Oriente; € 78.710 per 2 progetti nell’Europa dell’Est. Tra gli interventi più significativi, tre sono in Africa e riguardano l’ambito scolastico: a Garango, in Burkina Faso, “Salute e Sviluppo”, realtà che opera a fianco dei Camilliani, costruirà una scuola che potrà accogliere un centinaio di bambini in età prescolare e dare supporto anche alla loro famiglie; in Ciad, la diocesi 15


Chiesa italiana di Sarh vuole offrire maggiori opportunità formative ai giovani, soprattutto ragazze, che frequentano il Liceo-Collegio “Immaculée Conception”: per questo verrà realizzato un nuovo edificio e si provvederà a dotare l’intera struttura di strumentazione informatica; nella Repubblica Democratica del Congo, invece, le Piccole Sorelle del Vangelo di Charles de Foucauld costruiranno una scuola elementare – con biblioteca, aula informatica e sala polivalente – nel quartiere Masina, alla periferia di Kinshasa. Tra i progetti nel Continente latino-americano, particolare rilevanza assume quello proposto dalle Piccole Suore Missionarie della Carità che intendono ristrutturare il Centro Educativo di Amparo, in Brasile, che accoglie attualmente 190 ragazzi di età compresa tra i 6 e i 15 anni. In Honduras, le Suore Oblate al Divino Amore realizzeranno un Centro sociale per le persone più vulnerabili – bambini, giovani e anziani non autosufficienti – di Copán e delle zone limitrofe. Ad Haiti, le Piccole Suore di Santa Teresa del Bambin Gesù si impegneranno nella promozione sociale della popolazione di Fort-Liberté attraverso un’iniziativa di formazione professionale nell’ambito dell’agroecologia, dell’allevamento e della sicurezza alimentare. Per quanto riguarda l’Asia: in India, la Congregazione delle Orsoline Francescane amplierà con sale operatorie, reparti post-operatori e strutture accessorie la struttura del “St. Mary’s Community Health Centre” di Kote, mentre in Pakistan i Salesiani di Don Bosco doteranno gli istituti scolastici di Quetta e Lahore di impianti fotovoltaici che consentiranno di abbattere i costi e poter accogliere così più studenti provenienti da famiglie povere impossibilitate a pagare le rette. Nell’Europa dell’Est, in Albania, l’Arcidiocesi di Tirana-Durazzo organizzerà attività socio-educative per i detenuti del carcere di Zaharia, ai quali offrirà anche supporto psicologico e materiale. In Medio Oriente, in Siria, l’Associazione pro Terra Santa sosterrà – in termini di formazione e di sostegno psicologico – i bambini abbandonati ospitati in due centri di Aleppo e le famiglie povere, in particolare donne sfollate con figli, accolte a Latakia. È bello sapere come la nostra Chiesa impiega una parte dei fondi che riceve dai fedeli! Per maggiori informazioni www.sovvenire.chiesacattolica.it

Vaccinarsi un invito alla responsabilità Dall’Assemblea della CEI “Il nostro è un invito morale, soprattutto a chi ha responsabilità ministeriali, a vaccinarsi e a mettersi in condizione di poter esercitare con libertà questo ministero”. A precisarlo è stato il card. Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei, rispondendo alle domande dei giornalisti sui “preti no vax”, durante la conferenza stampa di chiusura dell’Assemblea generale straordinaria dei vescovi italiani, svoltasi in questi giorni a Roma. 16


Il cammino sinodale… UNA CHIESA SINODALE PER I GRUPPI DI RINASCITA CRISTIANA:

COMUNIONE, PARTECIPAZIONE, MISSIONE

“Quello che il Signore ci chiede è già tutto contenuto nella parola Sinodo. CAMMINARE INSIEME – laici, pastori, vescovo di Roma – è un concetto facile da esprimere a parole, ma non così facile da mettere in pratica” (Papa Francesco).

Dal Documento preparatorio, 1

“Questo itinerario è un dono e un compito: camminando insieme e insieme riflettendo sul percorso compiuto, la Chiesa potrà imparare da ciò che andrà sperimentando quali processi possono aiutarla a vivere la comunione, a realizzare la partecipazione, ad aprirsi alla missione. Il nostro “camminare insieme”, infatti, è ciò che più attua e manifesta la natura della Chiesa come popolo di Dio pellegrino e missionario”.

LA SINODALITÀ

• È un modo di essere Chiesa; è lo stile con cui la Chiesa è chiamata ad essere se stessa e a vivere la sua missione nel mondo di oggi. • Riguarda l’esperienza di essere una comunità che rispecchia il modo di essere e di agire di Dio. • È un cammino spirituale, è disponibilità a cambiare, a lasciarsi trasformare da un autentico ascolto e dialogo, è un percorso di conversione. • È uno stile di vita di collaborazione e partecipazione, che comincia nelle Chiese locali. • È un invito a passare dall’”io” al “noi”

LA TENDA DELLA RIUNIONE (Esodo 25)

In questo modo la Chiesa si presenta come una tenda in cui è custodita l’Arca dell’Alleanza; una Chiesa dinamica e in movimento, che accompagna nel suo cammino, rafforzata da molti carismi e ministeri. In questo modo, Dio si rende presente in questo mondo. 17


L’INTERROGATIVO FONDAMENTALE Come si realizza oggi, a diversi livelli (da quello del nostro Movimento a quello universale) quel “camminare insieme” che permette alla Chiesa di annunciare il Vangelo, conformemente alla missione che le è stata affidata? e quali passi lo Spirito invita il nostro Movimento a compiere per crescere come Chiesa sinodale?

Dal Documento preparatorio, 2 • Riconoscere e apprezzare la ricchezza e la diversità dei doni e dei carismi che lo Spirito dispensa liberamente per il bene della comunità e a beneficio dell’intera famiglia umana. • Sperimentare modalità di esercizio della responsabilità che siano condivise al servizio dell’annuncio del Vangelo e dell’impegno a costruire un mondo più bello e più ospitale. • Fare memoria del modo in cui lo Spirito ha guidato il cammino del nostro Movimento e ci chiama oggi ad essere insieme testimoni dell’amore di Dio. • Vivere un processo ecclesiale che implichi la partecipazione e l’inclusione di tutti. • Riconoscere la comunità cristiana come un soggetto credibile e un partner affidabile per impegnarsi insieme in cammini di dialogo sociale, di riconciliazione, di inclusione e di partecipazione, di ricostruzione della democrazia, di promozione della fraternità e dell’amicizia sociale. • Rinnovare e rafforzare le relazioni tra i membri delle comunità cristiane, così come tra le comunità e altri gruppi sociali Ricordiamo che lo scopo del Sinodo e quindi di questa consultazione non è produrre documenti, ma “far germogliare sogni, suscitare profezie e visioni, far fiorire speranze, stimolare fiducia, fasciare ferite, intrecciare relazioni, risuscitare un’alba di speranza, imparare l’uno dall’altro, e creare un immaginario positivo che illumini le menti, riscaldi i cuori, ridoni forza alle mani” (Documento preparatorio, 32)

LE DOMANDE PER L’INTERROGATIVO FONDAMENTALE 1. Come si realizza oggi nella mia Chiesa locale o nella realtà ecclesiale a me affidata quel “camminare insieme” che permette alla Chiesa di annunciare il Vangelo? 2. Quali gioie hanno provocato? Quali difficoltà e ostacoli hanno incontrato? Quali ferite hanno fatto emergere? Quali intenzioni hanno suscitato? 3. Dove in queste esperienze risuona la voce dello Spirito? Cosa ci chiede oggi? Quali sono i punti da confermare, le prospettive di cambiamento, i passi da compiere? 18


DISPORSI AL CAMMINO Entrare in una prospettiva sinodale richiede di mettersi in ascolto dello Spirito Santo che come il vento “soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va” (Gv. 3,8), rimanendo aperti alle sorprese che certamente predisporrà per noi lungo il cammino. Si attiva così un dinamismo che consente di cominciare a raccogliere alcuni frutti di una conversione sinodale che matureranno progressivamente. (Documento preparatorio, 2)

Sostenere gli sforzi della chiesa locale Possiamo trovare vie nuove e creative per lavorare insieme tra parrocchie, tra parrocchie e associazioni, tra associazioni e diocesi al fine di portare a compimento il processo sinodale. Questo processo non deve essere visto come un peso opprimente che fa concorrenza alla pastorale ordinaria e agli impegni di ogni associazione. Piuttosto va visto come un’opportunità per promuovere la conversione sinodale e pastorale di ogni chiesa locale, di ogni realtà ecclesiale in modo da produrre frutti più abbondanti nella missione.

UN METODO PER LAVORARE INSIEME Prima fase: Ascolto e confronto a partire dall’interrogativo fondamentale in rapporto alla propria realtà ecclesiale. Richiamiamo alla mente le esperienze vissute nella propria Chiesa locale e nella realtà ecclesiale di cui siamo responsabili. Scegliamo i punti più importanti da comunicare. Seconda fase: Prosecuzione dell’ascolto e del confronto in rapporto al proprio servizio particolare nella Chiesa e in Rinascita Cristiana. Che cosa ci ha colpito di più di quanto abbiamo ascoltato dagli altri? Dove ci sembra di cogliere maggiormente l’opera dello Spirito? Quali sono le esperienze e gli aspetti che è bene sottolineare? Terza fase: Alla luce di quanto ascoltato i partecipanti, interagendo tra di loro, esprimono gli aspetti che ritengono debbano essere sintetizzati di quanto è emerso nel lavoro di gruppo.

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Le date del Sinodo Narrativa 2021-2023 La fase narrativa è costituita da un biennio in cui viene dato spazio all’ascolto e al racconto della vita delle persone, delle comunità e dei territori. Nel primo anno (2021-22) vengono rilanciate le proposte della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi per la XVI Assemblea Generale Ordinaria; nel secondo anno (2022-23) la consultazione del Popolo di Dio si concentrerà su alcune priorità che saranno individuate dall’Assemblea Generale della CEI del maggio 2022. Sapienziale 2023-2024 La fase sapienziale è rappresentata da un anno (202324) in cui le comunità, insieme ai loro pastori, s’impegneranno in una lettura spirituale delle narrazioni emerse nel biennio precedente, cercando di discernere “ciò che lo Spirito dice alle Chiese” attraverso il senso di fede del Popolo di Dio. In questo esercizio saranno coinvolte le Commissioni Episcopali e gli Uffici pastorali della CEI, le Istituzioni teologiche e culturali. Profetica 2025 La fase profetica culminerà, nel 2025, in un evento assembleare nazionale da definire insieme strada facendo. In questo con-venire verranno assunte alcune scelte evangeliche, che le Chiese in Italia saranno chiamate a riconsegnare al Popolo di Dio, incarnandole nella vita delle comunità nella seconda parte del decennio (2025-30).

I Documenti a disposizione La Conferenza Episcopale Italiana ha dedicato un sito apposito al lavoro sinodale www.camminosinodale.chiesacattolica.it. In esso è possibile trovare sia il Documento preparatorio sia i contributi proposti nella 75° Assemblea straordinaria dei Vescovi italiani. Segnaliamo in particolare l’intervento di S.E. il Cardinal Mario Grech, Segretario generale del Sinodo.

Camminando insieme, e insieme riflettendo sul percorso compiuto, la Chiesa potrà imparare da ciò che andrà sperimentando, quali processi possono aiutarla a vivere la comunione, a realizzare la partecipazione, ad aprirsi alla missione.

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Settimana Sociale

Settimana Sociale

Ascoltando tutti la Chiesa vuole rinnovarsi

di Francesca Sacchi Lodispoto

I

l pianeta che speriamo. Ambiente, lavoro, futuro. #tuttoèconnesso, questo il tema della Settimana sociale di Taranto. La Settimana non è stata “un convegno, ma una piattaforma di partenza per dare speranza e avviare dei processi”, ha ricordato il Cardinale Bassetti evidenziando quanto sia decisivo “l’apporto dei cattolici per affrontare le crisi” e in particolare il contributo dei giovani che “possono aiutare il mondo a rimettere la fraternità al centro dell’economia”. Proprio a loro, che a Taranto hanno lanciato e firmato il Manifesto dell’Alleanza, il Presidente della CEI ha chiesto di “sognare e costruire, con l’aiuto di Dio, una Chiesa gioiosa, perché umile e disinteressata; una Chiesa a contatto con gli uomini e le loro storie; una Chiesa che si rigenera nell’ottica della carità”. Da Taranto, infatti, riparte un impegno fattivo per coniugare ambiente, lavoro, sviluppo, a cominciare dalle “buone pratiche” già esistenti sui territori e con la volontà di camminare insieme, nella consapevolezza che “il cambiamento non avviene solo dall’alto, ma è fondamentale il concorso della nostra conversione negli stili di vita come singoli cittadini e come comunità”. Ecco allora che è necessario, spiega mons. Santoro nelle conclusioni: 1) costruire comunità energetiche; 2) diventare una società carbon free e votare col portafoglio per premiare le aziende capaci di intrecciare valore economico, dignità del lavoro e sostenibilità ambientale; 3) promuovere e utilizzare prodotti caporalato free; 4) creare alleanze intergenerazionali e con la società civile. “Sarà nostro dovere impegnarci perché le giuste istanze, le proposte, il manifesto dei giovani, trovino piena accoglienza e realizzazione: non abbiamo più tempo! Abbiamo visto che possiamo realizzare il mondo diverso che abbiamo troppo a lungo solo immaginato mentre si perpetravano scelte di politica economica e sociale che hanno creato divari profondissimi tra gli uomini e oltraggiato la Terra”. Ho partecipato a Taranto ai lavori della settimana sociale: è stata una bellissima esperienza di Chiesa! Una esperienza direi sinodale di ascolto e di discernimento. Avevo con me il nostro Piano di lavoro e ho potuto toccare con mano l’attualità dell’inchiesta. Tante le cose da dire e approfondire: in parte sono sul nostro sito e in parte le troverete nel prossimo Rinascere. Anche le nostre quattro piste sono dentro l’adagio che introduce la sfida dell’ecologia integrale: tutto è connesso. A Taranto lo abbiamo toccato con mano e tutti possiamo 21


Settimana Sociale fare qualcosa analizzando il nostro stile di vita. Comunque dalle tante voci laiche si è levato un identico monito non ci sarà nessuna transizione ecologica senza una reale conversione etica e di modello di sviluppo, senza giustizia a livello nazionale e planetario, senza rispetto per quel giardino che il Signore ci ha dato da custodire per tutti.

IL MANIFESTO DELL’ALLEANZA PROPOSTO DAI GIOVANI Questo manifesto è l’inizio di un cammino, partito alcuni mesi fa da un gruppo di giovani che hanno deciso di sognare e diventare insieme viandanti verso il pianeta sperato: ciascuno con la ricchezza della sua fede e delle sue convinzioni, ciascuno con la propria voce, ma all’unisono. Siamo tutti parte di un’unica umanità, ci riscopriamo parte di un’alleanza oltre le barriere, che ci invita ad incontrarci in un “noi” più grande e più forte. Il manifesto dell’Alleanza non è un documento statico, ma un esperimento politico di comunità che si costruisce giorno per giorno. L’alleanza è il frutto concreto della “conversione”. Il nostro punto di riferimento è l’alleanza del creato di Noè, di Abramo e di Gesù; per questo ci sentiamo aperti a camminare con tutte le persone di buona volontà. Alla Settimana Sociale dei cattolici di Taranto abbiamo deciso di proporre un modello di condivisione, di cooperazione e discernimento collettivo che ci permetta insieme di rigenerare e condividere i rischi della transizione. Il manifesto è un messaggio di speranza che si basa su impegni concreti di alleanze per la transizione ecologica, economica e sociale integrale, speranza e impegni che ci fanno riscoprire fratelli e sorelle.

1. Far fiorire l’ambiente

Attraverso l’ambiente possiamo stringere nuove alleanze nei territori tra associazioni, amministrazioni, diocesi, aziende, centri di formazione e parrocchie. Facciamo “squadra” con obiettivi concreti a sostegno di una conversione ecologica integrale per illuminare il futuro. Riscopriamo la sostenibilità come nuovo orizzonte di fraternità

2. Imparare e contribuire insieme

Bambine e bambini, ragazze e ragazzi, giovani e adolescenti, sono cittadine e cittadini attivi, impegnati in prima persona nella costruzione del bene comune. Creiamo insieme comunità educanti, capaci di attivare alleanze con il mondo della scuola e la società civile. I giovani siano protagonisti di processi rigenerativi immaginati da loro e con loro. Costruiamo insieme un vero sistema educante 22


Settimana Sociale 3. L’imprenditoria dinamica e sostenibile

Favoriamo la proliferazione di iniziative imprenditoriali. Creiamo alleanze tra imprenditrici e imprenditori, riscoprendoci fratelli e sorelle tramite la condivisione di esperienze e desideri. Il sistema imprenditoriale crei una forte sostenibilità economica, sociale e ambientale con i lavoratori, il territorio e la pubblica amministrazione. Creiamo un nuovo modo di fare impresa

4. Tradizione e inclusione nelle Comunità locali

Incrementiamo la partecipazione ai processi di valorizzazione delle comunità locali per il bene comune. Creiamo alleanze tra cittadini per generare processi di corresponsabilità. Riscopriamo la diversità come profonda ricchezza da custodire. I cittadini siano i primi alleati della pubblica amministrazione per rigenerare spazi verdi e donare nuova vita agli immobili in disuso. Puntiamo ad essere Communitas, torniamo ad essere dono

5. Protagonismo e Coinvolgimento per continuare a viaggiare

Riconosciamo le competenze di ogni singolo giovane, indipendentemente dalle organizzazioni di appartenenza, per rinsaldare l’alleanza e riconoscerci in un “noi” che cammini insieme verso obiettivi comuni con strumenti condivisi. Manteniamo vivi i canali di ascolto ed i processi partecipativi e lasciamo un’impronta ben visibile nel tragitto percorso dalla società. Diventiamo “Noi”, per “Essere Uno”

6. Corresponsabilità condivisa, per non pesare a nessuno

Creiamo un’alleanza di corresponsabilità tra i giovani e le diocesi, perché queste si riscoprano luoghi di incontro e di accoglienza. Diamo concretezza ai progetti, con fiducia verso i giovani e il diritto all’errore. Trasformiamo il nostro stile di vita in testimonianza

7. Generare per Vivere

Ogni firmataria e ogni firmatario sia portatore sano di questo manifesto, organizzi momenti di restituzione e di confronto. Diveniamo simboli di generatività. (L’intero Documento è a disposizione sul sito www.settimanesociali.it come tutti gli altri documenti). 23


Piano di Lavoro

La nostra casa comune

ha urgente bisogno di un cambiamento La 26esima Conferenza delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (COP26), un’opportunità mancata per occuparci del creato e raggiungere un accordo per il mondo?

L

e Conferenze delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici sono tra gli incontri internazionali più importanti al mondo. I negoziati tra i governi sono complessi e coinvolgono funzionari di tutti i paesi, nonché rappresentanti della società civile e dei media. L’obiettivo di questa COP 26 era quello di accelerare l’azione verso gli Accordi di Parigi e la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. L’emergenza climatica sta causando l’innalzamento dei mari, un pianeta più caldo, un clima più estremo, un rischio per la vita dei nostri fratelli più poveri. “Non ne abbiamo il diritto” come afferma anche la Laudato sii al n. 33. Considerando i vari rischi derivati dalla crisi climatica, gli obiettivi della conferenza erano forti riduzione delle emissioni per il 2030 e il mantenimento dell’aumento della temperatura a 1,5 gradi, per raggiungere lo zero entro la metà del secolo. Purtroppo c’è stato uno scarto enorme tra le decisioni delle quali abbiamo bisogno e quelle che sono state assunte a Glasgow.

Dal SIR un’intervista al gesuita Paul Chitnis

Direttore delle Missioni Gesuite in Gran Bretagna, Paul Chitnis, è stato osservatore alla COP 26; egli denuncia il fallimento della politica e le pressioni dell’industria dei combustibili fossili, ma ricorda l’impegno dei giovani e dei manifestanti per la salvaguardia del Creato. È riuscito ad arrivare nella esclusiva “zona blu”, quella dove si trovavano i capi di governo e i delegati e ha anche partecipato ad eventi nella “zona verde”, quella dove si svolgevano le conferenze organizzate dalle associazioni della società civile. Ha inoltre accolto un gruppo di pellegrini, a Glasgow, con i quali ha partecipato alla marcia per le vie della città di sabato 6 novembre. Si può affermare che c’è stata una dimensione religiosa in questo summit climatico? Non c’è dubbio. Il tono delle discussioni spesso ha riecheggiato l’enciclica di Papa Francesco “Laudato si’”. Ho sentito tanti partecipanti alla Cop26 parlare del ruolo di guida svolto dal Santo Padre in materia di cambiamento climatico e riscaldamento globale. Penso che le sue parole ci aiutino in questo momento in cui i risultati della conferenza climatica si sono rivelati molto infe24


Piano di Lavoro riori alle aspettative della vigilia. Nella “Laudato si’” Papa Francesco dice che i deserti esterni del mondo sono aumentati perché i deserti interni sono diventati così vasti. Penso che proprio a questi spazi interni, dove si trovano le nostre emozioni, i nostri desideri e le nostre paure, dobbiamo attingere per trovare la speranza che ci aiuti a continuare nel cammino per salvare il pianeta. È importante coltivare questa speranza perché c’è una narrativa negativa, nella discussione sul clima che vede l’aumento della temperatura globale come un problema troppo grande da risolvere. È molto importante, invece, agire con energia e far pressione sui leader politici perché facciano di più. Pensa che vi sia stato un grande scarto tra quello che chiedevano gli attivisti, e quello che i politici si sono impegnati a fare, alla fine, con il “Patto sul clima di Glasgow”? C’è stato uno scarto enorme tra le decisioni delle quali abbiamo bisogno e quelle che sono state prese a Glasgow perché manca la volontà politica, da parte dei leader mondiali, di fare quello che è necessario. È importante denunciare questo e anche mettere sotto pressione i politici con proteste e manifestazioni, proprio come è capitato in questi giorni. Ci sono ragioni per essere pessimisti ma, come persone di fede, dobbiamo avere un orizzonte più vasto e mantenere viva la speranza. Mi ha aiutato molto vedere centinaia di migliaia di persone di diverse età ed estrazioni sociali marciare insieme. Quali sono stati gli aspetti più deludenti della Cop26? Senz’altro il tradimento della promessa, fatta ai Paesi poveri nel lontano 2009, di garantire, entro il 2020, 100 miliardi di dollari di sussidi all’anno che, ormai, non sono neppure più sufficienti perché il riscaldamento globale ha peggiorato ancora la situazione di questi ultimi. L’impegno a terminare gli sgravi fiscali all’industria dei combustibili fossili rimane, nel testo finale del Patto di Glasgow, ma è stato molto annacquato. Grave anche la mancanza di un fondo “loss and damage”, sovvenzioni per compensare le comunità in maggiore difficoltà per i danni provocati dal riscaldamento globale. Anche questo aiuto finanziario è stato promesso alla vigilia ed è assente dall’accordo firmato il 13 novembre. Alla Cop26 si è dato spazio alle voci dei più poveri? Ci sono stati discorsi molto commoventi, da parte dei rappresentanti delle comunità più vulnerabili non soltanto durante la prima giornata, al summit dei leader globali, ma anche durante i negoziati e negli incontri organizzati dalla comunità civile. Nessuno può dire di non averli sentiti ma la domanda è se sono stati davvero ascoltati e se il loro appello disperato ha portato i politici a cambiare le loro decisioni. L’industria dei combustibili fossili è troppo ricca e troppo influente. 25


Piano di lavoro-Ambiente

Piano di lavoro-Ambiente

Cosa suggeriscono le pagine bibliche

Appunti da Rosanna Virgili

I

n una delle pagine più sognanti e famose della Bibbia troviamo l’immagine del mondo che si sviluppa attorno a un giardino: il paradiso terrestre. Un racconto sotto forma di mito che la Bibbia colloca alle origini della vicenda umana. Ma presto si vedrà che si tratta di un sogno da costruire insieme. La nostalgia di quel “paradiso perduto” percorrerà tutta la Scrittura, giungendo sino a noi che ci troviamo a vivere più spesso nella steppa che in un orto ricco di frutti; sovente nei deserti della solitudine e in quelli del dolore, invece che in canti di libertà e letizia. Ma veniamo al punto: La creazione è un work in progress. L’inizio di questo secondo racconto di Genesi è, infatti, un avverbio di tempo: “quando”, si tratta di un’azione durativa, un movimento che non si ferma mai e che non tende a produrre nulla di fisso, di statico. “La terra e il cielo” sono corpi in relazione, pertanto non solo l’uno si configura nel rapporto con l’altra ma ambedue sono “viventi”, dinamici, quanto, nella cultura biblica equivarrebbe a dire, di natura “spirituale”, usciti, cioè, dalla Parola e dalla mano del Creatore che, mentre li distingue e li mette in contatto, li congiunge in armonia, essi vanno ad assumere la propria identità. Ma c’è di più: nel quadro narrativo Dio non è solo a “creare”, ma Egli è solo il primo a entrare in scena. La terra appare, a primo acchito, come una steppa, che ancora non si può considerare un vero “creato”: manca l’apporto del cielo (= la pioggia) e quello che sorge da sé stessa: dall’uomo, cioè, che è fatto di humus, di terra, appunto. Che meraviglia! L’essere umano è – sulla terra – una risorsa che equivale alla pioggia, dono del cielo. Le acque sopra i cieli saranno “aperte” e bagneranno la steppa (= l’Eden) rendendola un giardino (gan); ma senza il lavoro dell’essere umano non saranno scavati quei pozzi e non saranno aperti quei canali che coadiuveranno provvidenzialmente le piogge affinché il suolo diventi fecondo. Il creato si va a trasformare attraverso il lavoro dell’uomo. Un lavoro fatto non solo di tecnica e di scienza, ma anche secondo un ordine etico e un gusto estetico = un lavoro che si intona la musica divina da cui viene la vita. Ed ecco il miracolo della creazione: un gioco di distanza e corrispondenza tra Dio e l’essere umano, dalla cui collaborazione fioriscono alberi e piante, con i loro frutti, belli da vedere e buoni da mangiare. In mezzo al giardino c’è l’albero della vita il cui segreto è indicato nell’albero della conoscenza, fonte divina per eccellenza. Intelligenza dell’intimità delle cose, conoscenza d’amore che, sola, può portare all’albero della vita. È quanto si può spiegare con un’al26


Piano di lavoro-Ambiente tra pagina biblica, quella del Cantico, dove l’aroma del legno emana dalla stanza degli innamorati: “Erba verde è il nostro letto, di cedro sono le travi della nostra casa, di cipresso il nostro soffitto” (1,16b-17): sono alberi dello stesso legno con cui è edificato il Tempio! I FIUMI Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi di lì si divideva e formava quattro corsi. Il primo fiume si chiama Pison: esso scorre attorno a tutta la regione di Avìla, dove si trova l’oro e l’oro di quella regione è fino; vi si trova pure la resina odorosa e la pietra d’ònice. Il secondo fiume si chiama Ghicon: esso scorre attorno a tutta la regione d’Etiopia. Il terzo fiume si chiama Tigri: esso scorre a oriente di Assur. Il quarto fiume è l’Eufrate. Le grandi civiltà si sviluppano sulle rive dei fiumi: il Nilo, l’Eufrate, il Giordano, il Tevere, il Gange. Nel nostro racconto da un’unica fonte si dividono quattro grandi fiumi come ad avvolgere la terra (nelle sue quattro direzioni: Nord, Sud, Est, e Ovest); a dire che ogni civiltà è figlia di un’unica ispirazione di vita: la sorgente divina che come una polla calda, irrora quel giardino che è il mondo. La terra è un organismo unitario, dove la fraternità sarà il limo che feconda ogni riva, frutto di fiumi che vengono da un’unica voglia di vita. “Tutto è connesso”! Tale è l’effetto emozionale destato dal flusso dei fiumi primordiali, che il loro canto ritorna, nella Bibbia, come metafora di altre acque vitali, quelle che “scorrono” nella stagione della Misericordia e dell’Amore di Dio, verso il suo popolo. Stupende le parole di Isaia: «Perché così dice il Signore: “Ecco io farò scorrere verso di essa come un fiume la pace, come un torrente in piena, la gioia delle genti. Voi sarete allattati e portati in braccio e sulle ginocchia sarete accarezzati”» (66,12). Il dono di Dio è un fiume di pace! La vitalità degli elementi del creato è specchio del volto stesso di Dio: per questo Paolo si indignerà contro i sapienti greci che hanno il cuore ottuso e sono inescusabili, perché non riconoscono il volto del Creatore nella bellezza delle sue creature. IL GIARDINO Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse. “Custodire” che non vuol dire “conservare” ma far sì che il creato generi e si rinnovi a vita sempre nuova, rimuovendo – con alberi e fiumi - tutto ciò che fa seccare, spegnere, morire. Mangiare dell’albero della conoscenza fa diventare “come uno di noi” dice Dio, e il Salmo 8 celebra la grandezza della sapienza umana, dicendo: “lo hai fatto poco meno di un dio”! Allo scopo di: 27


Piano di lavoro-Ambiente “Coltivare” il giardino che chiede l’impegno di vivificare le aree deserte, di resistere all’abbandono o allo scempio ecologico di intere regioni che – nel corso delle vicende dei secoli - da giardini ritornano ad essere sterpaglie, senza la cura ma per l’avidità degli umani. Come non pensare alle periferie delle nostre città, avvilite e desolate dall’incuria e dai cumuli di rifiuti, tra cui si muovono nell’indegnità folle di scarti umani? Come non pensare alle terre che vengono sgomberate dai loro abitanti e spogliate della flora e fauna, in superficie, per rapinare i tesori del sottosuolo o a chi violenta la salute di tutti per costruire fabbriche, centrali di profitto e di morte? E non possiamo neppure fare a meno di pensare alle splendide campagne del Centro e del Sud Italia, strette in una solitudine immensa, per la maggior parte dell’anno, a causa di politiche miopi e di parassitismi insopportabili? E che dire di quanti “aggiungono casa a casa” per restare soli ad abitare il paese? Come dice il profeta Isaia. Lo facciamo anche noi quando possediamo più case e ne abitiamo solo poche stanze, mentre c’è gente che non riesce a godere di un tetto e l’attaccamento - legittimo! - alla proprietà rende i centri di borghi e città, vuoti e spettrali, deserti di luci e di voci. Custodire è l’arte della fraternità: “sono forse custode di mio fratello”? risponde Caino a Dio quando gli chiede: “Dov’è tuo fratello”. Ognuno di noi è custode della vita dell’altro. Ogni umano è custode non solo della terra ma di ogni creatura che la abita con lui, con cui è stretto, lo stesso, da legami di fraternità per cui, come Francesco d’Assisi li chiama: “sorella e madre terra, fratello sole, fratello foco” (cf FT) Siamo nodi di una rete di relazioni che unisce tutte le creature; che unisce il presente al futuro e fa spazio per chi non c’è ancora, per i figli che verranno; siamo nodi di una rete dove si coltiva la bio-diversità: il dono del tempo, del pane, dell’acqua e dei beni del mondo per l’altro/a e insieme all’altro. Anche la Chiesa è - metaforicamente – un giardino in Eden, che dev’essere “coltivato e custodito”. Nella ecologia globale e in quella integrale occorre anche una ecologia ecclesiale. La voce di Dio ad Adam risuona per tutti i battezzati: la responsabilità di coltivare e custodire i nostri Paesi “insieme” come suggerisce anche il neoavvio del Cammino sinodale delle Chiese che sono in Italia e come mostra con evidenza quanto anima questa nostra bellissima Settimana Sociale. Si tratta di rendere possibile il concorso di tutti i battezzati nella responsabilità di scelte e decisioni necessarie. È ora che tutti i credenti si mettano in piena collaborazione di fraternità dentro e fuori la Chiesa, perché le steppe che fanno presto a ricrescere nel mondo, siano arate, innaffiate e trasformate in più colorati e creativi giardini. 28


Società

Rinascita

in cammino con Acat di Mariella Zaffino

A

cat (Azione dei Cristiani per l’Abolizione della Tortura) nasce in Francia nel 1974, per sostenere una campagna in favore delle persone torturate, detenute in condizioni inumane, “disperse” o, peggio, condannate a morte, di qualunque provenienza, nazionalità, opinione politica o credo religioso. Alla base dell’azione di Acat c’è l’insegnamento cristiano sull’amore per il prossimo, principio che troviamo sviluppato e applicato anche nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948, e in particolare nell’articolo 5: “Nessuno sarà sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti”. Anche il fenomeno delle migrazioni (quale causa e/o conseguenza di torture o trattamenti inumani) rientra tra gli interessi di Acat. Nata nel 1987 all’interno del Movimento Rinascita Cristiana è vissuta come “missione”, normale e conseguente applicazione della parola di Cristo. Nel panorama delle varie Associazioni e ONG che si occupano dei Diritti Umani Acat è una delle pochissime voci Cristiane che si levano per il rispetto dei Diritti dell’Uomo visto come immagine di Cristo sulla terra. Acat Italia fa parte della Federazione Internazionale delle Acat (FIACAT), ONG presso il Consiglio d’Europa, l’ONU e la CADHP-Commissione Africana per i Diritti degli Uomini e dei Popoli. Tutte le Acat sono, da sempre, organizzazioni cristiano-ecumeniche che non solo agiscono, ma anche pregano insieme. La preghiera – infatti - fa parte integrante del nostro programma, sia essa individuale o collettiva, tutte le volte che ciò sia possibile. Acat agisce tramite l’invio di lettere, la raccolta di petizioni, la diffusione della cultura dei diritti umani, la formazione dell’opinione pubblica, ma anche con la presentazione di istanze sul piano internazionale e di Rapporti Alternativi all’ONU. È indipendente da tutte le strutture internazionali, nonché da tutti i gruppi economici ideologici e politici Acat Italia si sta impegnando sempre più in attività per la formazione dei giovani, sia con progetti specifici per le scuole superiori, sia con l’istituzione del Premio di Laurea Acat, per le migliori tesi contro la tortura e la pena di morte. Il Premio è finanziato dallo OPM della Tavola Valdese e gode dei seguenti Enti Sostenitori: Rinascita Cristiana, Università Lumsa, Facoltà Valdese di Teologia, associazione Medici Contro la Tortura e FIACAT. Il Prof. Paolo Ricca, parlando a Parigi, al trentennale della fondazione dell’Acat, ha dato una bellissima definizione dello spirito della nostra associazione: “…. noi di Acat siamo un’Azione, non siamo un Discorso. Abbiamo agito. Ci era richiesto un atto, non pensieri o parole. Abbiamo fatto la stessa esperienza dei 29


Società primi discepoli di Gesù, ai quali il Maestro un bel giorno ha detto:”Seguimi!” e noi l’abbiamo seguito. Non abbiamo potuto fare altrimenti. L’ACAT è nata così, da una decisione improvvisa, da un atto subitaneo di obbedienza. Niente è stato preparato, niente è stato programmato, tutto abbiamo dovuto imparare. E a poco a poco abbiamo imparato, e stiamo ancora imparando.” È vero, stiamo ancora imparando, siamo sempre in cammino al servizio dell’umanità sofferente con le nostre azioni e con le nostre preghiere. Non solo con il Premio di Laurea per la migliore tesi, che da qualche anno è rivolto anche all’approfondimento e all’analisi della situazione dei migranti in Italia ed ai loro diritti negati, ma anche con il progetto “Shadow Game”, finanziato dalla Unione Europea. Un progetto che, con la proiezione di un film, con un dibattito e con sistemi multimediali, ci porta a considerare l’odissea dei minori non accompagnati provenienti dal medio oriente e costantemente respinti e maltrattati alle molte frontiere della rotta balcanica. Il 10 dicembre a Roma ha avuto luogo la prima proiezione del film e successivo dibattito, alla presenza di una delle registe e di uno dei ragazzi migranti che è riuscito a raggiungere l’Europa. Questa è il cammino di ACAT, una via non facile da percorrere ma con un indirizzo ben preciso: seguire l’esempi del Buon Samaritano. Visitate il nostro sito internet www.acatitalia.it, trovate tutte le nostre attività, i nostri “Appelli” mensili e i nostri progetti.

Emergenza umanitaria al confine con la Polonia Un’amica di un gruppo romano di Rinascita Cristiana è in contatto con il Centro Astalli referente in Italia del JRS. organizzazione dei Gesuiti per i rifugiati, ed ha avviato una raccolta fondi. Riportiamo le parole inviate da P. Łukasz Lewicki SJ dal Country Director della Polonia, in prima linea con il team del JRS e che descrivono la complessità del loro lavoro sul campo: “Ci sono molte di queste attività, e ne vengono create sempre di nuove. Se si potesse definire in una parola il modo in cui le diverse istituzioni, organizzazioni e servizi lavorano, sarebbe la parola ‘caos’. La situazione cambia così dinamicamente e c’è così tanto lavoro che molte attività sono intraprese ad hoc. Questo è quanto mi viene in mente per il momento. Spero che questo dia una minima idea del nostro lavoro attuale. Grazie per il vostro sostegno e il vostro continuo interesse per la nostra situazione e soprattutto per quella dei migranti.”…

Un breve riassunto di quanto condiviso da P. Lewicki SJ. Come immagina, innanzitutto il nostro team è in una – necessaria – fase di valutazione di ciò che occorre fare e che si può fare a sostegno di uomini, donne e bambini presenti al confine. Inoltre, il team è naturalmente già impe30


Società gnato su altri – ma non diversi – fronti ovvero con l’assistenza ai profughi afgani presenti nell’area. Al momento, parallelamente alla valutazione e all’assistenza di cui Le accennavo in precedenza, il JRS ha attivato 4 nuovi gruppi di volontari che intervengono operando nella zona di stato di emergenza. Questo è possibile solo grazie alla collaborazione con l’organizzazione Caritas che, avendo operato lì prima della dichiarazione dello stato di emergenza, ha il diritto di continuare a lavorare anche dopo la sua istituzione (per questo Le parlavo delle difficili relazioni da gestire con le autorità locali per poter operare e di cui purtroppo si deve tenere conto). Siamo anche in contatto con diversi parroci e insieme alla Caritas, stiamo anche lavorando su come collaborare con altri nelle zone di confine. Abbiamo volontari che fanno ore di servizio aggiuntivo presso la nostra sede (purtroppo, dopo che molte organizzazioni hanno lasciato Varsavia per il confine, anche i rifugiati sono rimasti e dunque è necessario che si continui ad aiutare anche loro…). Inoltre, nell’est del paese, il team del JRS lavora con altre organizzazioni che fanno assistenza legale al confine, aiutando ed assistendo coloro che vogliono presentare una domanda di asilo. Collaboriamo, poi, con il Punto di Intervento di Crisi gestito vicino al confine orientale. Come immagina, il nostro Team fa del suo meglio per garantire l’assistenza necessaria e su più fronti, che risulta in questo momento vitale… Vogliamo continuare a garantire questo “servizio” a quanti ne avranno bisogno e, data la gravità di questa emergenza umanitaria, temiamo che il nostro intervento dovrà necessariamente espandersi. Qualsiasi contributo in questo senso è vitale, assieme alle preghiere e alla vicinanza in solidarietà a chi sta soffrendo in maniera inaccettabile. Il vostro passato sostegno ai rifugiati di Bosnia Erzegovina, attraverso le attività del JRS, ha significato molto per molte persone tra le più vulnerabili, La ringrazio dunque per considerare di attivare una simile iniziativa a sostegno di quanti ora si trovano al confine con la Polonia. Chi è interessato può mettersi in contatto con il gruppo di Nicoletta Tino 31


Società

La società irrazionale 55° Rapporto Censis

a cura di Francesca Sacchi Lodispoto A Roma il 3 dicembre è stato presentato l’annuale Rapporto Censis sulla situazione sociale del paese nel 2021. Tra i tanti capitoli molta eco ha avuto quello che riguarda gli italiani e il loro rapporto con l’irrazionale.

A

ccanto alla maggioranza ragionevole e saggia si leva un’onda di irrazionalità. È un sonno fatuo della ragione, una fuga fatale nel pensiero magico, stregonesco, sciamanico, che pretende di decifrare il senso occulto della realtà. Per il 5,9% degli italiani (circa 3 milioni di persone) il Covid semplicemente non esiste. Per il 10,9% il vaccino è inutile e inefficace. Per il 31,4% è un farmaco sperimentale e le persone che si vaccinano fanno da cavie. Per il 12,7% la scienza produce più danni che benefici. Si osserva una irragionevole disponibilità a credere a superstizioni premoderne, pregiudizi antiscientifici, teorie infondate e speculazioni complottiste. Dalle tecno-fobie: il 19,9% degli italiani considera il 5G uno strumento molto sofisticato per controllare le menti delle persone. Al negazionismo storico-scientifico: il 5,8% è sicuro che la Terra sia piatta e il 10% è convinto che l’uomo non sia mai sbarcato sulla Luna. La teoria cospirazionistica del «gran rimpiazzamento» ha contagiato il 39,9% degli italiani, certi del pericolo della sostituzione etnica: identità e cultura nazionali spariranno a causa dell’arrivo degli immigrati, portatori di una demografia dinamica rispetto agli italiani che non fanno più figli, e tutto ciò accade per interesse e volontà di presunte opache élite globaliste. L’irrazionale ha infiltrato il tessuto sociale, sia le posizioni scettiche individuali, sia i movimenti di protesta che quest’anno hanno infiammato le piazze, e si ritaglia uno spazio non modesto nel discorso pubblico, conquistando i vertici dei trending topic nei social network, scalando le classifiche di vendita dei libri, occupando le ribalte televisive.

Nel ciclo dei rendimenti decrescenti degli investimenti sociali

L’irrazionale che oggi si manifesta nella nostra società non è semplicemente una distorsione legata alla pandemia, ma ha radici socio-economiche profonde, seguendo una parabola che va dal rancore al sovranismo psichico, e che ora evolve diventando il gran rifiuto del discorso razionale, cioè degli strumenti con cui in passato abbiamo costruito il progresso e il nostro benessere: la scienza, la medicina, i farmaci, le innovazioni tecnologiche. Ciò dipende dal fatto che siamo entrati nel ciclo dei rendimenti decrescenti degli investimenti sociali. Questo determina un circolo vizioso: bassa crescita economica, quindi ridotti ritorni in termini di gettito fiscale, conseguentemente l’innesco 32


Società della spirale del debito pubblico, una diffusa insoddisfazione sociale e la ricusazione del paradigma razionale. La fuga nell’irrazionale è l’esito di aspettative soggettive insoddisfatte, pur essendo legittime in quanto alimentate dalle stesse promesse razionali. Infatti, l’81% degli italiani ritiene che oggi è molto difficile per un giovane vedersi riconosciuto nella vita l’investimento di tempo, energie e risorse profuso nello studio. Il 35,5% è convinto che non conviene impegnarsi per laurearsi, conseguire master e specializzazioni, per poi ritrovarsi invariabilmente con guadagni minimi e rari attestati di riconoscimento. Per due terzi (il 66,2%) nel nostro Paese si viveva meglio in passato: è il segno di una corsa percepita verso il basso. Per il 51,2%, malgrado il robusto rimbalzo del Pil di quest’anno, non torneremo più alla crescita economica e al benessere del passato. Il Pil dell’Italia era cresciuto complessivamente del 45,2% in termini reali nel decennio degli anni ’70, del 26,9% negli anni ’80, del 17,3% negli anni ’90, poi del 3,2% nel primo decennio del nuovo millennio e dello 0,9% nel decennio pre-pandemia, prima di crollare dell’8,9% nel 2020. Negli ultimi trent’anni di globalizzazione, tra il 1990 e oggi, l’Italia è l’unico Paese Ocse in cui le retribuzioni medie lorde annue sono diminuite: -2,9% in termini reali rispetto al +276,3% della Lituania, il primo Paese in graduatoria, al +33,7% in Germania e al +31,1% in Francia. L’82,3% degli italiani pensa di meritare di più nel lavoro e il 65,2% nella propria vita in generale. Il 69,6% si dichiara molto inquieto pensando al futuro, e il dato sale al 70,8% tra i giovani.

Il rimbalzo nella scarsità

Ci sono fattori di freno che congiurano contro la ripresa economica. Tutti i rischi di natura socio-economica che avevamo paventato durante la pandemia (il crollo dei consumi, la chiusura delle imprese, i fallimenti, i licenziamenti, la povertà diffusa) vengono oggi rimpiazzati dalla paura di non essere in grado di alimentare la ripresa, di inciampare in vecchi ostacoli mai rimossi o in altri che si parano innanzi all’improvviso, tanto più insidiosi quanto più la nostra rincorsa si dimostrerà veloce. A cominciare dal rischio di una fiammata inflazionistica. A ottobre 2021 il rialzo dei prezzi alla produzione nell’industria è stato consistente: +20,4% su base annua. Si registra un +80,5% per l’energia, +13,3% per la chimica, +10,1% per la manifattura nel complesso, +4,5% per le costruzioni.

Complotto contro il lavoro: il gioco al ribasso della domanda e dell’offerta.

Quasi un terzo degli occupati possiede al massimo la licenza media. Sono 6,5 milioni nella classe di età 15-64 anni, di cui 500.000 non hanno titoli di studio o al massimo hanno conseguito la licenza elementare. Anche tra i poco meno di 5 milioni di occupati di 15-34 anni quasi un milione ha conseguito al massimo la licenza media (il 19,2% del totale), 2.659.000 hanno un diploma (54,2%) e 1.304.000 sono laureati (26,6%). Considerando gli occupati con una età di 33


Società 15-64 anni, la quota dei diplomati scende al 46,7% e quella dei laureati al 24,0%. Un’occupazione povera di capitale umano, una disoccupazione che coinvolge anche un numero rilevante di laureati e offerte di lavoro non orientate a inserire persone con livelli di istruzione elevati indeboliscono la motivazione a fare investimenti nel capitale umano. L’83,8% degli italiani ritiene che l’impegno e i risultati conseguiti negli studi non mettono più al riparo i giovani dal rischio di dover restare disoccupati a lungo. L’80,8% degli italiani (soprattutto i giovani: l’87,4%) non riconoscono una correlazione diretta tra l’impegno nella formazione e la garanzia di avere un lavoro stabile e adeguatamente remunerato.

Il sottoutilizzo del capitale umano e la dissipazione delle competenze

L’Italia affronta la grande sfida della ripresa post-pandemia con una grave debolezza: la scarsità di risorse umane su cui fare leva. Il primo fattore critico è l’inverno demografico. Tra il 2015 e il 2020 si è verificata una contrazione del 16,8% delle nascite. Nel 2020 il numero di nati ogni 1.000 abitanti è sceso per la prima volta sotto la soglia dei 7 (6,8), il valore più basso di tutti i Paesi dell’Unione europea (media Ue: 9,1). La popolazione complessiva diminuisce anno dopo anno: 906.146 persone in meno tra il 2015 e il 2020. Secondo gli scenari di previsione, la popolazione attiva (15-64 anni), pari oggi al 63,8% del totale, scenderà al 60,9% nel 2030 e al 54,1% nel 2050. Secondo un’indagine del Censis, poco prima della pandemia il 33,1% dei capifamiglia con meno di 45 anni aveva l’intenzione di sposarsi o di convivere e il 29,8% aveva l’intenzione di fare un figlio. Ma soltanto il 26,5% ha continuato a progettare o ha effettivamente intrapreso un matrimonio o una convivenza stabile. In un caso su dieci il progetto originale è stato annullato. La grande maggioranza delle famiglie che stavano pensando di avere un figlio ha deciso di rinviare (55,3%) o di rinunciare definitivamente al progetto genitoriale (11,1%).

L’attuale situazione finanziaria permette a Rinascita Cristiana di affrontare tranquillamente le spese ordinarie fino a gennaio. Raccomandiamo quindi ai Responsabili di città e ai Consiglieri nazionali di sollecitare la quota di adesione e suggerire la quota di sostegno per chi ne ha la possibilità. Ovviamente come sempre stato fatto la flessibilità nel richiedere la quota fa parte della sensibilità del Capogruppo. Quota singola € 100 - Quota familiare € 150 Quota sostenitore € 200 e oltre Unicredit Banca di Roma - Ag. 36004 IBAN: IT 08 N 02008 05008 000004063086 34


Realizzerò la mia buona promessa (Ger 29,10)

I Vescovi italiani pubblicano un messaggio per la 33° Giornata, il 17 gennaio 2022, per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cristiani ed ebrei.

L

a Giornata è un’importante occasione per curare il rispetto, il dialogo e la conoscenza della tradizione ebraica. Purtroppo in questo tempo assistiamo a deprecabili manifestazioni di cancellazione della memoria e di odio contro gli ebrei. La Giornata è una significativa opportunità per sottolineare il vincolo particolare che lega Chiesa e Israele (NA 4) e per guardare alle comunità ebraiche attuali con la certezza che «Dio continua ad operare nel popolo dell’Antica Alleanza e fa nascere tesori di saggezza che scaturiscono dal suo incontro con la Parola divina» (EG 249). Negli ultimi anni i temi del dialogo sono stati dedicati alleDieci parolee alleMeghilloth; ora, alla luce della pandemia e delle sue conseguenze, desideriamo intraprendere un cammino sulla Profezia. Proponiamo la lettura di un passo del profeta Geremia che ci pare particolarmente in sintonia con il tempo complesso che stiamo attraversando. Si tratta de “La lettera agli esiliati” (Ger 29,1-23). In questa lettera Geremia reinterpreta l’esilio vissuto dal popolo quasi si trattasse di un nuovo esodo: Israele si trova in mezzo ai pagani, ben distante dalla terra della promessa, senza il tempio, e pure proprio in quella situazione drammatica ritrova il senso autentico della propria vocazione… Alle indicazioni su come vivere il tempo dell’esilio è legata una promessa per il futuro. chi sceglie di conservare tutto e resta attaccato ad un passato glorioso, rischia di perdere anche se stesso, mentre chi è disponibile ad abbandonare ogni falsa sicurezza riavrà i suoi giorni… La comunità in esilio aveva una duplice tentazione. perdere ogni speranza e costruire una comunità chiusa, distaccata e ripiegata su se stessa. nella pandemia, come credenti abbiamo avuto le stesse tentazioni: perdere la speranza e chiuderci in comunità sempre più autoreferenziali… Geremia ci invita a stare positivamente dentro la realtà, a mettere radici e a starci in modo “generativo”. … Come cristiani e come ebrei possiamo aiutarci ad affrontare tale sfida, perché la Promessa resta costante nella storia… ogni crisi è una buona occasione, un tempo favorevole da non sprecare: essere seminatori di speranza. Il testo di Geremia può essere letto a due voci in questa giornata e può aiutarci a collocare la nostra esperienza di fede nell’odierna stagione di “cambiamento d’epoca”. Un’ottima occasione di confronto e di dialogo. A noi cristiani cattolici possono insegnare un vero stile sinodale. Il messaggio termina con queste parole: “Ci rivolgiamo infine a voi, comunità ebraiche italiane, ringraziandovi per quanto rappresentate per noi, e chiedendovi di sentirvi partecipi di questo itinerario, nel quale – come ha affermato Papa Francesco – possiamo «aiutarci vicendevolmente a sviscerare le ricchezze della Parola, come pure condividere molte convinzioni etiche e la comune preoccupazione per la giustizia e lo sviluppo dei popoli» (EG 249)”. L’intero messaggio su:  www.chiesacattolica.it 35


Il presepe di Santa Maria Maggiore fu commissionato nel 1288 da papa Niccolò IV allo scultore Arnolfo di Cambio. Niccolò IV fu il primo pontefice francescano, particolarmente devoto al culto della Natività, e per suo volere si compì il restauro della basilica. La basilica è strettamente legata al mistero della Natività e alla devozione di Maria “Salus populi romani” cara a Papa Francesco.

Rinascere Periodico bimestrale di informazione e di collegamento del Movimento Rinascita Cristiana Via della Traspontina, 15 - 00193 Roma - Tel. 06.6865358 - Fax 06.6861433 - segreteria@rinascitacristiana.org www.rinascitacristiana.org - c/c postale n. 62009485 intestato a Movimento Rinascita Cristiana Direttore Responsabile: Francesca Tittoni Comitato di Redazione: Francesca Carreras, Maria Grazia Fergnani, Giovanna Hribal, Alberto Mambelli, Roberta Masella, Gege Moffa, Elvira Orzalesi, P. Licio Prati, Renzo Seren. Stampa: La Moderna srl - Via Enrico Fermi, 13/17 - 00012 Guidonia (Roma) – tel. 0774.354314 Associato all’Unione Autorizzazione del Tribunale di Roma N° 00573/98 del 14/12/98 Stampa Periodica Italiana Finito di stampare nel mese di Dicembre 2021

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2021


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