Rinascere n. 6 anno 2022

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Rinascere

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Bimestrale - anno 24 - n° 6 settembre/dicembre 2022 Poste Italiane S.p.a. Spedizione in abbonamento postale - 70% dcb roma

n Licio Prati Cristo non è sedentario ma è nomade n Roberta Masella La pace dono e promessa n Maresa Berliri Percorsi di pace e proposte di azione n Sabina De Innocentiis Il mare ci sostiene impariamo a proteggerlo n Macrì Tentarelli L’Aquila città del perdono

n Francesca Sacchi Lodispoto 60° anniversario del Concilio Vaticano II n Serena Asso Preparare oggi la pace n Marta Barbiero Costituzioni, decreti, dichiarazioni del Concilio Vaticano II n Serena Grechi La forza disarmata delle donne iraniane n Pier Giuseppe Accornero Sinodo e Concilio

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N. 6 settembre/dicembre 2022

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EDITORIALE 3

Cristo non è sedentario di Licio Prati n MOVIMENTO 5 La pace dono e promessa di Roberta Masella 8 Uniti nella speranza di Serena Grechi 9

Tavola rotonda di Maresa Berliri, Sabina De Innocentiis, Maria Serena Asso 24

Firenze: per orientare il nostro Piano di Lavoro di Maria Serena Asso n CHIESA UNIVERSALE 18 Il Concilio Vaticano II di Francesca Sacchi Lodispoto, Marta Barbiero

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Concilio e Sinodo di Pier Giuseppe Accornero n CHIESA ITALIANA 26

L’Aquila città del perdono di Macrì Tentarelli 32 L’Eucarestia è profezia di un mondo nuovo di Pier Giuseppe Accornero n SOCIETÁ 28 La pace disarmata delle donne iraniane di Serena Grechi 29

Rapporto Caritas 2022 di Francesca Sacchi Lodispoto n OPINIONI A CONFRONTO 33

Parole senza umanità di Nello Scavo

2 Sommario
AUTOFINANZIAMENTO 2022-2023 quote e offerte Quota singola € 100 - Quota familiare € 150 Quota sostenitore € 200 e oltre Unicredit Banca di Roma - Ag. 36004 IBAN: IT 08 N 02008 05008 000004063086 Conto corrente postale 62009485

Cristo non è sedentario ma è nomade

Attendiamo il Natale. Cosa chiediamo a questa festa? Cosa chiede a noi questa ricorrenza? Perché ogni anno i riti collettivi pubblici e privati del Natale? La fede dei cristiani celebra il Natale per ravvivare la memoria di un Dio che si è inserito, da uomo, senza i privilegi del suo essere divino, nella nostra storia, nella nostra umanità. Per noi credenti è memoria carica di speranza. Ma anche memoria inquietante e sovversiva. Di questa memoria l’immaginario collettivo occidentale trattiene più facilmente, quasi con disincantata nostalgia, il sentimento globale di pace che parte da Betlemme e dalla nascita di Gesù. Più difficile è lasciarsi pervadere da quanto di inquietante e di sovversivo questo evento porta con sé.

Il Dio che si fa uomo, ospite e pellegrino in mezzo a noi, si pone di fronte al torpore e all’acquiescenza delle nostre coscienze. Ciò che ci dilania, che ci distrugge lentamente, il nostro male insomma, sta nell’ineluttabilità della guerra, nella rapacità grondante sangue di aziende, di fabbriche delle armi e di poteri finanziari, nella ingiusta ripartizione delle risorse mondiali. Ci fanno paura i fondamentalismi di ogni tipo e la gestione antidemocratica dell’autorità pubblica. Ciò che chiude a noi e al nostro futuro ogni via di scampo è la sedentarizzazione delle coscienze e il rischio che corriamo come persone e come società è quello di accontentarci dei traguardi raggiunti, di difenderli, magari ampliandoli e consolidandoli. Ed essi restano i nostri obiettivi, i nostri orizzonti estremi. Non siamo più capaci di immaginare e desiderare il nuovo che pur avanza, accontentandoci di risolvere giorno per giorno i nostri problemi privati, resi insensibili da sapienti regìe alla sorte del nostro stesso futuro.

“Preparare percorsi di pace” è l’invito che ci viene dal nostro Piano di lavoro e celebrare il Natale per noi cristiani significa rifiutare ed opporsi a tutto ciò che è

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menzogna e inganno, a tutto ciò che mortifica e fa morire. Accogliere il Cristo che nasce, significa portare il suo annuncio di bene, il suo vangelo, agli uomini e alle donne del nostro tempo. Ma non possiamo chiedere al mondo di accogliere Cristo e il suo vangelo se prima, come Cristo, noi non abbiamo accolto il mondo dentro di noi, con la sua diversità, la sua ricchezza, la sua gioia e la sua pena e il suo male. Cristo non è sedentario: è nomade. I cristiani veri lo seguono non per i sentieri tracciati dalla sapienza o dalla astuzia umana, ma per le difficili ed inesplorate vie dello Spirito e del Vangelo. Con attenzione critica e coraggio operoso. Assumendo la nostra parte di responsabilità nel ridisegnare la mappa della dignità umana e la ricetta per la vita del mondo.

Questo numero è stato chiuso alla fine di novembre e contiene documenti utili per lo svolgimento del Piano di Lavoro. Non possiamo tuttavia dimenticare alcuni fatti recenti su cui riflettere. Il cambiamento di governo in Italia ha posto l’accento su alcune priorità: la sicurezza, l’immigrazione, la scuola e il merito, il riordino dei vari bonus, la correzione del reddito di cittadinanza, l’invio di armi in Ucraina e i venti di guerra ai confini della NATO. Temi che hanno bisogno di riflessione e di discernimento per essere declinati con attenzione al Bene Comune e al rispetto della dignità delle persone perché il Natale sia una nuova opportunità di vita per tutti i cittadini: poveri, ricchi e stranieri.

DECISIONI E IMPEGNI PER IL PROSSIMO ANNO

Al termine dell’incontro tra Responsabili si sono riuniti il Consiglio nazionale e il Comitato Consultivo. Sono state prese alcune decisioni. Esaminando attentamente l’elenco delle città il Consiglio nazionale ha notato un leggero calo degli iscritti: questo comporta anche un calo nelle entrate. Quindi sono necessarie due azioni: la prima sollecitare le quote degli aderenti e laddove è possibile le “quote sostenitori” e le offerte; la seconda iniziativa votata dal Consiglio nazionale è un cambio di sede per il mese di gennaio. Una sede più piccola comporta un notevole risparmio. Un secondo argomento affrontato è stato Rinascere. Persone più giovani hanno accettato di collaborare in un comitato di redazione più ridotto e più snello e di questo siamo veramente felici e grati. Le persone del nuovo comitato di redazione sono: Serena Asso, Marta Barbiero, Saverio Castaldo, Marina Marino, Tiziana Pinna, Macrì Tentarelli; Roberta Masella, della precedente redazione, continuerà a richiesta di tutti a dare il suo supporto.

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La pace dono e promessa un impegno, un desiderio

Il convegno di inizio anno, Roma 24-25 settembre, ha coinciso con un appuntamento importante della vita civile: le elezioni politiche; parlare di pace, in un contesto di guerra e anche di guerra verbale, ci ha pertanto richiamato più che mai alle nostre responsabilità. Il convegno si è articolato in due momenti: al mattino con gli interventi dei responsabili nazionali e di P. Jean Louis Ska, al pomeriggio con una tavola rotonda che ha offerto testimonianze su come preparare percorsi di pace. Ha introdotto i lavori la Responsabile nazionale Serena Grechi che ha sottolineato come, in un momento in cui le paure intorno a noi sembrano prevalere, dobbiamo far vivere la speranza e questo richiede che uniamo le nostre forze. Rinascita Cristiana è sempre stata attenta ai segni dei tempi con sguardo profetico: i nostri piani di lavoro hanno affrontato i temi delle povertà e della povertà degli ultimi, delle migrazioni, dei diritti quando poco se ne parlava. Abbiamo cercato di fare discernimento alla luce della Parola. Ora siamo di fronte a un altro grande impegno: restare aperti al dialogo e cercare di delineare percorsi di pace dentro e fuori di noi. Questo dobbiamo fare nei nostri gruppi, nelle nostre città, pochi o tanti che siamo.

L’Assistente nazionale, P. Licio Prati, ci ha ricordato che fin dai convegni di Assisi (il primo) e di Rimini a RC si parlava di “uscire” e di essere al servizio della comunità di fede universale. Le sfide dell’evangelizzazione, carisma d Rinascita, sono universalità e perennità: fuori dai confini del piccolo gruppo, interesse per quanto accade e coscienza di vivere non solo il proprio tempo ma il tempo della storia.

La pace secondo Isaia

P. Jean Louis Ska, con la sua riflessione, ci ha riportato alle radici bibliche del nostro Piano di lavoro “La pace dono e promessa” Il testo preso in esame è Isaia 2,1-5, un testo conosciutissimo; P. Ska ci ha ricordato come questo testo sia inciso sul muro di granito di fronte al Palazzo dell’ONU; all’interno del palazzo c’è una statua, offerta nel 1959 dall’allora Unione Sovietica, di un uomo che trasforma le armi in aratro. C’è da riflettere! P. Ska ha proseguito con un breve excursus storico sulla situazione ai tempi del primo Isaia, quando Israele ha conosciuto un periodo di guerra a causa dell’invasione assira e ne è uscita sottomessa. Solo Gerusalemme si è salvata dalla distruzione, per la resa (soluzione politica) o per un in-

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tervento dell’angelo del Signore che ha sgominato l’esercito nemico (soluzione religiosa).

Gerusalemme, che ha in sé la radice della parola pace-shalom (stessa radice, peraltro, di salam e islam) diventa a questo punto centrale per Isaia, perché da chi si è salvato deve ripartire la rinascita per tutto il paese.

Tre gli elementi importanti in questo oracolo: processione di popoli verso Gerusalemme Is 2,2; lì Dio giudica le nazioni, a Gerusalemme si trova la sede della giustizia Is 2,4; da Gerusalemme viene la pace universale; quando tutti i popoli ascolteranno la voce di Gerusalemme vivranno in pace Is,2,3.

Questi tre elementi hanno a fondamento unico la regalità e nell’oracolo di Isaia gli eventi trovano una traduzione da un linguaggio politico a un linguaggio religioso. La processione di popoli verso Gerusalemme non è il pellegrinaggio dei popoli vassalli che si recano a pagare il tributo ai sovrani nella reggia, ma il pellegrinaggio dei popoli che vengono a portare a Dio nel tempio i frutti della terra (Credo di Israele), perché chi ha dato la terra è Dio, non il re.

Se poi tante persone vengono attirate verso il monte vuol dire, politicamente, che sono attratte dalla grandezza del re; ma, religiosamente, qui vengono a trovare un re che risolve i conflitti con giustizia: Dio è giudice, re di giustizia. Gerusalemme attira non per il potere politico, non per la ricchezza ma per la giustizia. Il Signore insegnerà le sue vie (legge-torah significa anche istruzione, insegnamento), quindi Gerusalemme è centro di pace perché c’è una saggezza, che conta di più del potere e dell’avere. È questo il messaggio importante del profeta.

La pace presuppone che si risolvano i problemi importanti con intelligenza; dichiarare guerra è confessione di impotenza; quando non c’è capacità di convincere, si costringe. La saggezza che si ritrova in Gerusalemme permetterà, secondo il testo di Isaia, di instaurare una pace universale per tutte le nazioni che troveranno vie di intesa. È una visione utopica, ma non impossibile, perché è per il futuro “avverrà che in tempi avvenire“ (Is 2,1) ma è per questo tempo e per questa terra.

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P. Ska richiama anche il passo di Isaia 40 in cui si parla ancora di Gerusalemme “Consolate, consolate il mio popolo”. Dio in persona consola, è sulla via del ritorno, accompagna i viandanti; il viaggio è il luogo della presenza di Dio, di un Dio personale. È possibile costruire la pace sulla via della pace, cioè vivendo l’insegnamento della Parola che accompagna passo dopo passo. “Io sono la via”.

La tavola rotonda del pomeriggio ci ha offerto gli interventi di quattro professionisti volontari in diversi settori del sociale. Le loro testimonianze ci hanno aiutato a riflettere sui quattro ambiti dell’inchiesta dello scorso Piano di lavoro, che sono stati ripresi come vie per contribuire alla costruzione della pace (cura dell’ambiente, relazione e coesione sociale, superamento delle diseguaglianze, rispetto della dignità della persona). Gli interventi sono pubblicati in questo numero di Rinascere, di seguito sottolineo alcuni passaggi. Maresa Berliri, presentando la sua esperienza di ricercatrice e volontaria di enti no-profit, ha messo in rilievo l’importanza dell’ascolto non giudicante, della vicinanza nei piccoli gesti quotidiani dell’importanza delle parole nel chiamare le cose senza infingimenti, della utilità di trovare vie adatte per esprimere le emozioni dell’esercizio della pazienza per rispettare i tempi degli altri.

Sabina De Innocentiis, biologa marina, ci ha fatto capire come del mare si sappia poco; c’è bisogno di un discorso empatico con il mare. Per costruire la pace tra uomo e mare bisogna conoscere di più. La sua esperienza le ha fatto toccare con mano che, quando è stato possibile avviare un discorso di conoscenza con la gente che sul mare vive e lavora, si è creata collaborazione. Serena Asso ha rivolto il suo volontariato a una attività imprenditoriale che ha accolto giovani in difficoltà e in Acisjf, un’associazione che sostiene donne di ogni estrazione e nazionalità supportandole nell’affrontare i loro disagi. La sua esperienza le fa dire che “pace” non può essere solo un’idea ma deve tramutarsi in azione.

Stefano Pilato, coordinatore Help Center Acisjf, ha presentato le attività di questa associazione cattolica di volontariato presente in varie parti del mondo. A Firenze opera nella stazione di Santa Maria Novella. Un importante fattore di riuscita è da attribuirsi alla fiducia e alla collaborazione che si è instaurata con i servizi territoriali. Ci sono alcuni fattori comuni negli interventi propedeutici a un percorso di pace: l’importanza della relazione che sa accogliere, il rispetto dei tempi che servono per il cambiamento, l’importanza della conoscenza, delle parole dell’agire in rete. Attraverso questi fattori si colgono le opportunità per ripartire con speranza anche dalla crisi che stiamo vivendo. È in fondo la stessa strada che, con altro linguaggio, ha indicato l’oracolo biblico.

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Felice di rivederci uniti nella speranza

Siamo qui perché pensiamo che il Convegno Responsabili sia per noi un momento importante e lo vogliamo vivere insieme. È il momento dove ci ricarichiamo, dove vogliamo incontrarci e discutere dei contenuti del nuovo anno sociale e dei risultati dell’anno passato. Certo, forse la scelta del periodo non è stata delle più felici, con la scadenza delle elezioni, ma abbiamo voluto incontrarci ugualmente. In questo momento di incertezza sembriamo aver perso la speranza di un futuro possibile! Ma noi non possiamo permettercelo! La speranza richiede che le persone uniscano le loro forze e si diano da fare. Rinascita ha sempre parlato di futuro e lo ha fatto in modo particolare pensando a chi non si sentiva nella chiesa ma ai margini. Abbiamo cercato di essere profetici: abbiamo affrontato tanti temi tra cui quello della povertà e delle immigrazioni con le conseguenze nel nostro mondo e nel terzo mondo e sappiamo che anche nel nostro territorio sta aumentando il numero dei poveri assoluti! Non abbiamo mai fatto politica, ma ci siamo impegnati in campagne sui diritti civili. Siamo un movimento che aiuta le persone a pensare, ad osservare la realtà e a meditare la Parola alla sua luce per fare discernimento! Ci siamo spesi in servizi di volontariato, ognuno nelle proprie città. Nei nostri gruppi ci sono persone anziane ma ancora capaci e competenti, soprattutto nello studio della Parola. Insomma tutto questo per dirvi che siamo una bella realtà! Anche se un po’ ridotti di numero siamo presenti e attivi nel Movimento e nella società e facciamo sentire la nostra voce con la preghiera, con la meditazione e con la continua conversione di mentalità. Nelle nostre città organizzeremo ancora incontri per porci nuovi interrogativi e costruire percorsi di pace insieme ad altri. Non lasciamo che politica e diversità di opinioni e soluzioni ci dividano: il dialogo deve restare sempre aperto! La pace che noi cerchiamo è quella della libertà e della giustizia e tutto questo lo possiamo raggiungere attraverso cammini comuni di fratellanza e di aiuto. Possiamo aderire al cammino sinodale con cantieri di ascolto e con proposte di percorsi di pace. Dobbiamo impegnarci, per quel che possiamo, a costruire un futuro per i nostri figli e per inostri nipoti.

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Tavola rotonda: percorsi e proposte di azione

Il mio contributo alla vostra riflessione si basa sulla mia esperienza di ricercatrice sociale e di volontaria in alcune organizzazioni non profit. Uno dei temi al centro dei nostri lavori è quello di studiare le dinamiche che portano le persone e i diversi attori sociali a mobilitarsi per cambiare le situazioni in cui vivono, sia per loro stessi che per gli altri: nei rapporti tra scienza e società (promuovere il dialogo tra scienza e società, rendere la scienza più aperta, più inclusiva, nei processi di sviluppo, nella transizione energetica, nel contrasto alla povertà e all’esclusione sociale). La ricerca si fonda sull’assunto che nelle società contemporanee la diffusione di tecnologie, risorse, la formazione e l’istruzione, la ricerca scientifica, i trasporti, la rete internet, la globalizzazione ecc. abbiano di molto ampliato la possibilità delle persone di intervenire, di attivarsi, di esprimere al meglio la propria soggettività. In questo contesto, siamo anche interessati a identificare e a studiare le pratiche positive, le esperienze anticipatrici di un futuro prossimo in grado di risolvere o attenuare alcuni dei problemi che ci troviamo di fronte. Da parecchi anni sono volontaria di due associazioni di genitori (Genitori si diventa e Genitoriche) che si occupano di sostegno alla genitorialità. In un caso si tratta di sostegno alla genitorialità delle famiglie nate attraverso l’adozione (nazionale o internazionale) dei propri figli, nell’altro del sostegno alla genitorialità soprattutto per quanto riguarda la fase critica dell’adolescenza. Queste associazioni organizzano gruppi di auto-mutuo aiuto per le coppie, incontri con esperti, occasioni di convivialità, dedicano una particolare attenzione alla scuola (che sia attenta ai bisogni e alle storie di ciascuno). Come socia di queste associazioni collaboro anche alle loro attività di advocacy nei confronti delle istituzioni per quanto riguarda la promozione dell’adozione e dell’affido familiare, per chiedere che famiglie affidatarie e adottive ricevano, se necessario, il sostegno di cui hanno bisogno durante tutto il percorso. Collaboro anche come socia e volontaria da tempo con la Komen Italia per sostenere la prevenzione dei tumori del seno, attraverso iniziative come la Race for the cure, una iniziativa di sport e solidarietà che si svolge a maggio di ogni anno in varie città italiane e la Carovana della prevenzione. Questa esperienza mi ha dato l’opportunità di conoscere donne straordinarie, che hanno una forza grandissima, che hanno combattuto contro il tumore al seno e hanno vinto. La loro forza è contagiosa e carica di energie positive. Con un gruppo di amici, a sostegno della Komen Italia, da alcuni anni stiamo realizzando un concorso di poesia “Fino in fondo”, dedicato a Francesca Voi, una

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giovane ragazza morta per un tumore e che riguarda la forza, il coraggio, la pazienza tenace e la voglia di vivere di tutti coloro, uomini e donne, adulti e bambini, che si confrontano con la malattia, il dolore, la sofferenza e la paura o per quanti si impegnano “Fino in Fondo” per la giustizia, la dignità, l’eguaglianza e la libertà. La poesia dà corpo alle emozioni e consente di rappresentare, elaborare e trasformare, per condividerli con gli altri, anche i pensieri più intimi e dolorosi, riducendone così la loro forza distruttiva. Sulla base di queste esperienze, vorrei condividere con voi alcune riflessioni che mi sembrano importanti.

- Prima di tutto direi la consapevolezza che anche noi nel nostro piccolo possiamo fare qualcosa per migliorare la situazione e promuovere un mondo di pace e di giustizia per tutti. La responsabilità è nelle nostre mani e nei nostri comportamenti quotidiani. Anche nelle situazioni difficili dovremo e dobbiamo essere capaci di chiederci cosa possiamo fare, di farci le domande giuste, di essere disposti ad imparare, ad ammettere i nostri errori. Spesso le situazioni di crisi e di difficoltà ci stanno ad indicare che serve un cambiamento anche nostro nei nostri comportamenti - Serve saper guardare le persone, senza stereotipi, saper ascoltare e stare vicino alle persone e alle loro storie, senza giudicare (e questo è difficile), con un atteggiamento empatico, ma con la consapevolezza dei nostri limiti, e alla giusta distanza. In alcuni casi dobbiamo essere capaci di dire di non sapere o di non essere in grado di aiutare ma solo di ascoltare.

- Essere in grado di chiedere aiuto: situazioni multiproblematiche (o problemi complessi) richiedono l’intervento di attori diversi e un lavoro in rete. Occorre avere la capacità di lavorare con altre persone e con altre organizzazioni (esempio della società civile o con le istituzioni) con rispetto e consapevolezza delle differenze che ci possono essere e pazienza. Occorre individuare parole e obiettivi comuni sapendo che l’unione fa la forza (il lavoro in rete può produrre risultati inarrivabili se si procede da soli) e la disponibilità a negoziare, ecc.

- Essere consapevoli che ci sono altre persone come me, come voi che con il nostro tempo, le nostre capacità e le nostre risorse si sono attivate per cambiare le situazioni di esclusione sociale, di degrado, per tutelare l’ambiente e la terra in cui viviamo, e promuovere l’inclusione sociale e la giustizia. Non siamo soli. Veniamo da due anni di pandemia, che hanno aumentato e reso più evidenti le disuguaglianze che già c’erano e che hanno colpito in modo diseguale le persone (hanno colpito di più le donne, le persone migranti, le persone fragili, le famiglie vulnerabili, le persone con disabilità, gli anziani, le persone lesbiche, gay, bisessuali, trans, o che si interrogano sulla propria identità di genere). Le politiche messe in atto per contrastare la pandemia hanno solo parzialmente mitigato tutto questo e tenuto in conto solo in parte degli impatti prodotti. Tuttavia la pandemia ha an-

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che mobilitato molte persone e organizzazioni della società civile a dare una mano per aiutare chi era più in difficoltà. E questo contributo in molti casi è stato fondamentale. È un invito a donare un po’ del nostro tempo, sulla base delle nostre disponibilità a questa costruzione operosa della pace.

- Esperienze realizzate da tantissime persone, me compresa, ci dicono che aiutare, stare vicino agli altri, sono esperienze nelle quali si dà molto, ma si riceve moltissimo, forse anche di più rispetto a quello che si è dato. Siamo chiamati a essere creativi e innovativi, per trovare soluzioni nuove e percorribili ai problemi piccoli e grandi che abbiamo davanti e con le risorse limitate di cui disponiamo

- Servono pazienza (i tempi delle persone non sono tutti uguali), rispetto, fiducia e capacità di esercitare tenerezza e attenzione verso gli altri. Servono la capacità e la forza di opporsi alle ingiustizie, quando le vediamo o quando ne siamo involontari testimoni.

- Serve la consapevolezza del peso e della forza delle parole. Anche le parole possono aiutare o danneggiare, incoraggiare o ferire.

- Servono occhi, orecchie e cuore e cervello per ascoltare, vedere, capire cosa avviene attorno a noi, quali sono i bisogni e cosa noi possiamo fare. Cosa possiamo fare noi? A volte pensiamo che le questioni siano a un livello troppo alto e che il nostro comportamento, le nostre scelte siano ininfluenti ma non è così. Le nostre azioni, i nostri gesti e le nostre parole possono fare qualcosa. I problemi sono moltissimi, noi non possiamo fare tutto, anzi, quello che possiamo fare è pochissimo. Tuttavia la somma dei nostri “pochissimi” può produrre degli impatti.

Ci sono prima di tutto dei comportamenti quotidiani attenti all’ambiente e alla giustizia sociale (dalla raccolta differenziata, all’acquisto e consumo sostenibile rispettoso delle specie in via di estinzione, al rispetto delle aree protette, a come ci si rivolge alle persone che incontriamo, al rispetto della legalità per quanto riguarda i contratti di lavoro o i pagamenti, consumo responsabile di acqua, energia).

Ci sono molte cose che ciascuno di noi, anche alla luce della riflessione portata avanti in luoghi di meditazione e di confronto come Rinascita Cristiana, può fare nei 4 ambiti specifici proposti dal Piano di Lavoro per una costruzione operosa e responsabile della pace, che non lasci indietro nessuno.

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AZIONE

Una serie di esempi (parziali e incompleti), ma che possono essere utili per ispirarsi e riflettere. Molte di queste cose si possono fare collegandosi ad associazioni e a gruppi che già lo fanno.

La cura dell’ambiente, ovvero la cura del bene comune

• Raccolta differenziata e comportamento responsabile per quanto riguarda uso dell’acqua, dell’energia elettrica, della gestione dei rifiuti sia a casa che all’aperto.

• Partecipazione alle iniziative di Puliamo il mondo, o alle attività di associazioni che si occupano di tenere pulito aree verdi, giardini, aree di spiaggia o di bosco.

• Orti urbani nel nostro condominio/isolato o nel nostro giardino.

• Collaborare a iniziative volte a promuovere la biodiversità degli ecosistemi.

• Promuovere la tutela dal basso del nostro patrimonio artistico e archeologico.

• Partecipazione a progetti di Citizen science per il monitoraggio di aspetti ambientali o di specie animali.

• Partecipare alla costruzione di comunità energetiche.

La relazione e la coesione sociale

• Volontariato nelle mense pubbliche per persone in difficoltà, senza fissa dimora, ecc.

• Partecipazione alle iniziative di pranzi e cene di solidarietà con persone vulnerabili.

• Promuovere la solidarietà e il vicinato solidale (ci si aiuta per la spesa, per l’assistenza, tra vicini di casa, ecc.)

• Collaborare per attività di aiuto e socializzazione a comunità di accoglienza di bambini e ragazzi (gioco, compiti, gite, cinema, ecc.), di anziani, di persone con disabilità (ad esempio per giocare a carte, sentire della musica, stare insieme, ecc.).

• Promuovere la cittadinanza attiva rispetto alle esigenze del proprio quartiere.

• Partecipazione a raccolte di beni di prima necessità (beni alimentari, coperte, vestiti e scarpe); partecipazione alle attività del banco alimentare, empori solidali (consegna e raccolta di beni).

• Consegna di beni di prima necessità e farmaci a persone che non si possono muovere o sono in difficoltà.

• Unirsi periodicamente a chi soprattutto di notte passa a distribuire coperte e beni di conforto alle persone che vivono per strada.

• Dare la propria disponibilità come insegnante di italiano alle scuole di italiano per stranieri.

• Dare la propria disponibilità a essere una famiglia di appoggio per un’altra famiglia (fornendo ascolto, consiglio, supporto in alcune occasioni, ecc.). Si tratta di una famiglia che ascolta, due famiglie che fanno delle cose insieme, uno scambio tra famiglie.

• Dare la propria disponibilità ad affiancare un adolescente accolto in comunità, per fare delle cose insieme (una pizza, un cinema, ecc.) con l’intento di poter essere per un punto di riferimento in futuro.

• Dare la propria disponibilità a essere coinvolti in programmi di affido culturale, ovvero accompagnare e condividere con una famiglia vulnerabile attività culturali, artistiche, come la visita a una mostra, spettacoli teatrali, ecc.

12 SUGGERIMENTI
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Partecipare o organizzare momenti periodici di socialità per fare sport o per attività culturali per persone con disagio mentale lieve o in uscita da percorsi di cura.

• Promuovere occasioni di sport aperto a tutti come il Calcio sociale, dove bambini e ragazzi con diverse capacità possano giocare insieme

• Promuovere interventi gratuiti di alfabetizzazione digitali.

• Poi ci sono cose più complesse come diventare famiglia affidataria, dando la disponibilità ad accogliere temporaneamente un bambino o un ragazzo nella propria casa, per garantirgli affetto, cura e diritti di cui ha bisogno, quando la famiglia di origine per un certo periodo di tempo non è in grado di farlo. L’affido familiare è gestito dai servizi sociali in sinergia con il Tribunale per i minorenni. L’affido implica un impegno grande e intenso, richiede una formazione specifica, una valutazione da parte dei servizi, un sostegno permanente, ecc. L’affido può riguardare bambini e ragazzi piccolissimi, bambini e ragazzi con disabilità, adolescenti, minorenni stranieri non accompagnati, nuclei di mamma con bambino.

• Dare la propria disponibilità a essere il tutore volontario di un minorenne straniero da solo (questo richiede rispondere a uno dei bandi dell’Autorità regionale per l’Infanzia, partecipare a una formazione, aspettare la nomina da parte del Tribunale per i minorenni).

• Per i professionisti, medici e avvocati dare la disponibilità ad associazioni che danno prestazioni mediche in modo gratuito o supporto legale (es. Medici senza frontiere o gli Avvocati di strada) ad associazioni che si occupano di migranti, di donne vittime di violenza, ecc.

Il rispetto della dignità della persona

• Prestare attenzione all’uso delle parole per indicare le persone: alcune parole ledono la dignità delle persone (penso a parole usate per indicare le donne, i migranti, le persone con un altro colore della pelle, le persone con un altro orientamento sessuale).

• Condividere con il proprio partner le responsabilità di cura degli altri membri della famiglia e le attività domestiche.

• Promuovere l’educazione alla parità e al rispetto nei confronti di persone con caratteristiche e storie diverse dalla nostra di bambini e ragazzi per contrastare le forme di bullismo e cyber bullismo e di violenza in rete.

• Come genitori essere rispettosi delle diversità di cui i figli sono portatori rispetto a noi, e accompagnarli nella loro crescita.

• Opporsi alle forme di violenza fisica, psicologica che verbale, e nel caso chiedere aiuto alle autorità competenti e alle organizzazioni che si occupano di questo.

• Sostenere le organizzazioni che si occupano di contrasto alla violenza di genere e in generale alle discriminazioni.

• Promuovere la realizzazione di spazi nei quali le persone possano esprimere le loro idee, le loro emozioni, utilizzando i mezzi più diversi (spazi di ascolto, occasioni per raccontarsi, il teatro).

• Promuovere spazi di confronto, di dialogo, di socialità tra persone, con particolare riguardo ai genitori e alle mamme sui temi della genitorialità.

• Promuovere il protagonismo dei ragazzi e dei bambini e luoghi in cui il punto di vista di bambini e ragazzi possa essere ascoltato e preso in considerazione.

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Il Mare ci sostiene impariamo a proteggerlo

Abitiamo su un pianeta che abbiamo voluto chiamare “Terra”, ma che in effetti è ricoperto per più di tre quarti dall’acqua. Negli oceani è nata la vita, e dall’oceano viene prodotta la maggior parte dell’ossigeno che respiriamo. Dipendiamo dal mare molto più di quanto ce ne rendiamo normalmente conto, e sempre più si guarda allo sfruttamento delle risorse marine per sopperire i futuri bisogni energetici, alimentari, farmaceutici e tecnologici. Eppure, del mare conosciamo ancora poco, e quel che è peggio, rischiamo di distruggerlo prima ancora di conoscerlo. Col progredire delle indagini e delle esplorazioni, per esempio tramite i robot sottomarini, si scoprono nuovi paesaggi sempre più profondi, e purtroppo nuove immondizie provenienti dalla superfice! Il problema della plastica galleggiante che naviga da un continente all’altro, o delle microplastiche presenti ormai anche nel sale da cucina, è sotto gli occhi di tutti, ed è solo la punta dell’iceberg, ma ci fa riflettere su come nel mare sia tutto, ancora più che sulla terraferma, inestricabilmente connesso. In primis i cambiamenti climatici, che nell’acqua, per le sue caratteristiche chimiche e fisiche, oltre a innalzarne il livello per lo scioglimento dei ghiacci, hanno effetti irreversibili e devastanti; basti pensare all’acidificazione degli oceani e allo sbiancamento delle barriere coralline, che innesca un terribile processo a catena che blocca sia la produzione di ossigeno che la fissazione della CO2. Ma purtroppo l’elenco non finisce qui: il riscaldamento globale contribuisce anche alla diffusione di specie aliene invasive, trasportate volontariamente o involontariamente dall’uomo (per esempio tramite il traffico navale o la costruzione di canali artificiali) al di fuori del loro habitat, ma in grado di alterare gli equilibri ecologici e di causare l’estinzione delle specie preesistenti. E parlando di estinzioni arriviamo alla minaccia che ci vede più direttamente coinvolti: la pesca industriale condotta a livello insostenibile, per la quale negli ultimi 50 anni abbiamo aumentato di ben 6 volte il prelievo delle risorse ittiche, mettendo in serio pericolo i ¾ delle popolazioni di pesci sfruttati commercialmente e causando spesso la cattura di specie protette, già di loro a rischio estinzione.

Nel mare poi non esistono confini geografici veri e propri e anche quelli legislativi sono piuttosto sfumati, il che rende ancora più complesso far rispettare le regole già esistenti e trovare nuove e urgenti soluzioni condivise.

Tutto questo non deve ovviamente (solo) sconfortarci, ma farci capire quanto sia necessario e urgente aprire gli occhi anche “sott’acqua” e agire consapevolmente di conseguenza, sia come singoli cittadini che come opinione pub-

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blica. C’è molto che possiamo fare, sia quando frequentiamo il mare per lavoro o per diletto, sia quando siamo in casa, con le nostre scelte domestiche, per esempio in materia di detersivi, cosmetici, capi di vestiario, incartamenti e uso delle risorse idriche, e soprattutto a tavola, nella scelta di prodotti che vengano pescati in modo sostenibile. Per molti di noi, che pure abitiamo in un paese circondato da 7000 km di coste, il mare è stato a lungo solo una “distesa blu” da cui attingere cibo e refrigerio, o addirittura una coperta sotto a cui nascondere ciò che non vogliamo vedere. E invece il mare, soprattutto il “Mare Nostrum”, come gli antichi chiamavano il Mediterraneo è pieno di meraviglie. Un esempio su tutti è quello della posidonia, che esiste solo in questo bacino e forma quelle bellissime foreste sottomarine che possiamo ammirare in pochi metri d’acqua, offrono rifugio a tantissime creature (¼ delle specie mediterranee!), ci riforniscono di ossigeno e proteggono dall’erosione le tanto amate spiagge; eppure questa preziosissima pianta è in forte regressione e messa a rischio da molte attività umane e comportamenti irresponsabili, spesso del tutto evitabili, come l’ancoraggio su di essa o la rimozione delle foglie secche per criteri estetici. Per proteggere questo ecosistema, come altri altrettanto fondamentali per la sopravvivenza nostra, dei mari e dell’intero pianeta, è fondamentale il contributo di tutti, tantopiù adesso che le Nazioni Unite si sono date l’ambizioso obiettivo di arrivare a proteggere almeno il 30% di tutti i mari mondiali entro il 2030, obiettivo condiviso in modo ancora più stringente dall’Italia e dagli altri paesi delle UE, che oltre a questa soglia si prefissa una protezione ancora più rigorosa del 10% delle proprie acque, dove cioè non si possa pescare né prelevare altre risorse. Questo significa che nei prossimi 7 anni l’Italia dovrà incrementare di oltre un terzo il suo sistema di aree marine protette, parchi marini e altre forme di protezione, e per far sì che tali protezioni non rimangano poi solo sulla carta è necessario sentirsi tutti coinvolti, smuovere le proprie e le altrui coscienze su questi temi per troppo tempo rimasti in sordina, e dare un forte segnale anche ai decisori politici.

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Preparare oggi percorsi di pace

Siamo qui per parlare di pace, della relazione stretta che lega Rinascita alla Pace e che essere seminatori di pace voglia dire. Rinascita nasce dalle ceneri del dopo guerra, spinta dall’urgenza di trasformazione e dall’esigenza di una ricostruzione tanto morale quanto materiale. I gruppi di Rinascita nascono per capire il proprio tempo, dal bisogno di ritrovare speranza e forza per la ricostruzione, senza piegarsi ad una accettazione passiva, dalla convinzione che il cristianesimo debba dare sostanza e luce ai comportamenti quotidiani, che la speranza cristiana non sia per il domani ma per l’oggi. Da allora fino ad oggi, nei quasi 80 anni di storia del movimento non è mai mancato il bisogno di confrontare il mondo con il Vangelo, di mettere in relazione la vita con la fede. La richiesta di aiuto che ha portato alla nascita del movimento nel 1943 in certo modo non è mai venuta meno: all’inizio un gruppo di donne che riparate a Villa Pacis chiedono al gesuita Padre Dauchy di aiutarle ad affrontare il tema della sofferenza, oggi, ogni anno, noi che cerchiamo insieme di aiutarci a leggere le complessità e le contraddizioni di un tempo sempre più difficile da decrittare e che interroga la nostra coscienza in modi sempre più sottili.

Io sono entrata in Rinascita pochi mesi dopo il mio matrimonio, nel 1996. Ancora allora, ovvero dopo oltre 50 dalla nascita del movimento, il metodo mi parve rivoluzionario. Avevo da sempre frequentato gruppi parrocchiali, studenteschi, ma mai mi era stata concessa tanta libertà di pensiero, di parola, di interpretazione di una Parola che non doveva solo spingerci ad agire ma anche ad operare un cambiamento di mentalità profondo. Un lavoro difficile, che ci interrogava personalmente a fondo, perché la lettura del Vangelo non rimanesse un esercizio intellettuale ma una trasformazione radicale e profonda. L’avviarsi in un cammino sul quale non è più possibile compiere una inversione … una conversione, appunto.

È la conversione che genera e ha generato in moltissimi di noi la necessità di accompagnare al percorso interiore una esperienza di volontariato o comunque delle scelte di attivismo, anche in ambito lavorativo, che fossero in linea con quanto maturato a livello individuale, non quindi un esercizio caritativo quanto una scelta di indirizzo della propria esistenza.

Durante le grandi trasformazioni della società civile che hanno caratterizzato questi ultimi 80 anni, penso al 68 in particolare, e al decennio seguente, i pia-

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ni di lavoro che si sono susseguiti, hanno spinto gli appartenenti a RC ad uscire dall’anonimato, a comprendere la necessità dell’impegno dei cattolici nella società civile, e le loro azioni si sono concretizzate in inviti alla società civile ad incontri con personalità di spicco, ad approfondimenti su temi di attualità che interrogano le coscienze di credenti e non credenti, ma anche all’ingresso e/o alla creazioni di realtà nelle quali impegnarsi attivamente. L’editoriale del 1985 di Rinascere n. 2 può illuminare sulle riflessioni del tempo: di fronte alla prima significativa ondata migratoria, Rinascita interrogandosi, è capace di snidare l’egoismo che si cela dietro la difesa dei confini e dei privilegi, a fronte di una umanità che bussa alle nostre porte fino a scrivere e comprendere che “una societá che produce gli ultimi non è in sintonia con il progetto di Dio”.

In tempi relativamente più recenti, fra i Piani di lavoro che hanno affrontato in modo diretto e più strutturato il tema della pace vorrei ricordare quello del 2003-2004 Artigiani di pace, che raccoglieva un tema del MIAMSI per l’assemblea del Madagascar del 2004, “Fai cadere i muri, apri cammini di pace”. Un invito a rileggere la Pacem in terris, per comprendere che la pace come valore assoluto si ottiene attraverso la ricerca dei suoi quattro capisaldi: verità, giustizia, amore e liberta. Legare la missione della Chiesa al grido delle vittime stabilisce un nuovo primato: la pace come valore principe. Una pace che va costruita, non semplicemente invocata o auspicata, con gesti, opere oltre che condivisione di riflessioni. Rinascita Cristiana ci ha educato alla Pace, inducendoci a trovare in noi stessi una autenticità di vita, a volgere lo sguardo ai fratelli ultimi, a snidare in noi gli egoismi e le paure, a credere nella Speranza, a creare quindi con i fratelli un dialogo autentico, fatto di ascolto, e quindi a tessere relazioni sane e paritetiche sia come individui che come realtà nelle quali ci troviamo ad operare. Pur nelle difficoltà che Rinascita attraversa, come gran parte dei movimenti cristiani negli ultimi anni, non si è perso lo slancio a rendere un servizio alla collettività, anche a livello cittadino, regionale e interregionale, finalizzato a promuovere la pace, tema nuovamente drammaticamente alla ribalta in Europa dallo scoppio della guerra in Ucraina.

Cito per fare un solo esempio, ma sappiamo bene non essere il solo, il convegno interregionale fra Toscana e Emilia Romagna del maggio scorso, dal titolo giustizia e pace si baceranno.

In un simile contesto si colloca la collaborazione fiorentina fra Rinascita Cristiana e Acisjf, movimento di volontariato nel quale molte appartenenti a RC presteranno la loro opera. Da 40 anni la presidente della sezione fiorentina di Acisjf è anche una membra anche di RC. (Sandra San Vitale, Adriana Barbecchi, la futura Serena Grechi).

Si tratta infatti di una associazione di volontariato che ha moltissimi punti in comune con RC: una associazione cattolica ma con apertura ecumenica e con particolare attenzione alla donna.

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60° anniversario del Concilio Vaticano II

di Francesca Sacchi Lodispoto

Con un bellissimo discorso di apertura «Gaudet Mater Ecclesia. Gioisce la Madre Chiesa» Giovanni XXIII apre il Concilio Vaticano II l’11 ottobre del 1962 alla presenza di 2.500 Vescovi provenienti da tutto il mondo. Nel Novecento l’idea di un Concilio non è assente ma i tentativi fatti e gli studi commissionati da Pio XI e Pio XII non hanno dato esito. Un Concilio è necessario perché Giovanni XXIII ha la consapevolezza della complessità dei mutamenti storici, religiosi ed ecclesiali: per affrontarli c’è bisogno di pazienza e costanza. Il Vaticano II rappresenta quindi una svolta storica nella vita della Chiesa in contrapposizione con la «monarchia papale» instaurata da Pio IX e proseguita dai suoi successori dopo il Concilio Vaticano I. Papa Roncalli è mosso dalla sollecitudine pastorale e dalle necessità dei tempi. Il 30 giugno 1959 dichiara: «Nel Concilio la Chiesa, fedele alla dottrina immutabile del Fondatore e sulle orme della tradizione, si ripropone di attingere nuovo vigore per la sua missione, di rinsaldare la sua vita e coesione, di stabilire efficienti norme di condotta e di attività». Non una rottura con la tradizione dottrinale e disciplinare ma una conferma, uno sviluppo, un aggiornamento. Ribadisce i due scopi prioritari: uno stile ecclesiale che privilegi la misericordia e uno sforzo per rendere il Vangelo più comprensibile all’uomo moderno. La svolta nasce dalla sua esperienza spirituale, pastorale ed ecumenica che non si oppone alla teologia, ma la precede e la nutre. Nel Concilio due tendenze si fronteggiano. Gli «innovatori» che vedono la Chiesa come profezia e rinnovamento; i «conservatori» che vedono la Chiesa come «società perfetta e autonoma» da mantenere e rafforzare. Giovanni Battista Montini di Milano e Giacomo Lercaro di Bologna sono i «mediatori» fra le due fazioni. La difficoltà è integrare queste due tendenze in modo da raggiungere un punto di convergenza. Il Concilio si apre con una processione dei vescovi di tutto il mondo in Piazza San Pietro, che prendono posto nella basilica attrezzata ad «aula conciliare». Una celebrazione di quattro ore e mezzo trasmessa in bianco e nero dal primo (e unico) canale della Rai e conclusa dal celebre discorso «Gaudet Mater Ecclesia» che presenta la fecondità sempre nuova del Vangelo tacitando i «profeti di sventura» che hanno timore del nuovo. Il Papa legge il popolo di Dio in una dimensione familiare, secondo lo stupefacente discorso che quella sera pronuncia dalla finestra del suo studio davanti a piazza San Pietro gremita da una folla di 200 mila persone e illuminata dalle fiaccole e dalla Luna: «Tornando a casa, date una carezza ai vostri bambini e dite loro che è la carezza del Papa». È per sempre «il discorso della Luna».

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Storia, Spirito e dialogo

Il Concilio ha restituito all’esperienza cristiana alcune dimensioni imprescindibili che non possono più essere ignorate. Anzitutto la dimensione storica: la storia non è qualcosa di pericoloso da cui difendersi, non è il nemico da cui rifuggire cercando riparo in un fortino teologico. Ogni tempo è un tempo bellissimo, un tempo favorevole per incontrare Cristo e per convertirsi alla Sua sequela. La dimensione pneumatologica, cioè il primato dello Spirito Santo nella vita della Chiesa. Qualunque cosa accada nella nostra esistenza, dunque, non solo è luogo favorevole per la nostra conversione, per guardare in faccia Cristo, ma è anche un’opportunità, una provocazione, ad un’appartenenza più vera e più decisa a quella storia di bene che Dio ha suscitato nella storia, il Suo popolo.

Infine il Concilio ha riportato l’attenzione al dialogo non come segno di debolezza e di cedimento alle intemperie del mondo, quanto come strumento di crescita dell’autocoscienza: io scopro di più chi sono solo se ti incontro, solo se ti conosco. Storia, Spirito e Dialogo sono così le tre direttrici che ancora oggi incidono in profondità nella vita della Chiesa. Nessuno trova rifugio nella freddezza di una dottrina; è nel caldo di un’esperienza viva che tutto torna vivo. Sessant’anni dopo, questa sfida è ancora attuale per la Chiesa: domandare che per ogni battezzato il rapporto con Cristo torni ad essere, semplicemente, una cosa viva. In questo, davvero, il Concilio ha ancora tanta strada da fare per diventare patrimonio di tutti, tesoro del popolo di Dio.

La mia generazione ha vissuto l’evento del Concilio in giovanissima età. Un evento che ha segnato profondamente la nostra appartenenza ad una chiesa popolo di Dio, più che società perfetta, una Chiesa che cammina nella storia, amica di tutti gli uomini senza steccati o anatemi. Nella chiesa nata dal Concilio essere laici, cristiani e cittadini è segno di onore e responsabilità. In questo senso prezioso il decreto sull’apostolato dei laici: “c’è nella chiesa diversità di ministero ma unità di missione I laici, essendo partecipi dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo all’interno della missione di tutto il popolo di Dio hanno il proprio compito nella chiesa e nel mondo. In realtà essi esercitano l’apostolato evangelizzando e santificando gli uomini, e animando e perfezionando con lo spirito evangelico l’ordine temporale è proprio dello stato dei laici che essi vivano nel mondo… e ripieni di spirito cristiano, esercitino il loro apostolato nel mondo, a modo di fermento” (AA n. 2).

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Le costituzioni, i decreti e le

dichiarazioni

emanati

Il Concilio Vaticano II è il più importante concilio ecumenico della Chiesa cattolica dopo il Concilio di Trento (1545-1563), e avvenuto a breve distanza di tempo dal Concilio Vaticano I (interrotto nel 1870 con la presa di Porta Pia): segnò un’epoca di grande cambiamento interno. Aperto da papa Giovanni XXIII l’11 ottobre 1962 e chiuso tre anni dopo con un altro papa, Paolo VI, l’8 dicembre 1965, fu indetto perché nella Chiesa si avvertiva l’esigenza di un rinnovamento, soprattutto in relazione ai cambiamenti sociali e culturali successivi alla seconda guerra mondiale. Il Concilio raccolse quasi 255 cardinali, patriarchi e vescovi cattolici da tutto il mondo, tra cui gli europei non erano più la maggioranza, così come non lo erano i tradizionalisti: il fatto che solo un terzo avesse posizioni conservatrici potrebbe spiegare i cambiamenti che il Concilio produsse all’epoca.

Quali documenti furono emanati?

Si distinguono quattro Costituzioni, nove decreti e tre dichiarazioni. Le Costituzioni sono: Sacrosanctum Concilium (sulla liturgia, 1963), Lumen Gentium (1964, la più importante delle quattro, sulla rinnovata importanza attribuita ai laici e a tutto il popolo di Dio nella vita della Chiesa), Dei Verbum (sulla Parola di Dio, novembre 1965), Gaudium et Spes (la chiesa nel mondo contemporaneo, dicembre 1965).

Ma quali furono i cambiamenti?

Innanzitutto quelli relativi al rito: partecipazione più attiva dei fedeli alla S. Messa (messe cantate), messa celebrata di fronte al popolo e non più di spalle, in lingua volgare e non più in latino. A livello dottrinale si ammise la possibilità di interpretare i testi sacri alla luce dei cambiamenti dei tempi (parola di Dio storicizzata); il Sant’Uffizio cambiò nome definendosi Congregazione per la dottrina della fede; infine si dette impulso al dialogo con le altre religioni (ecumenismo). Vi furono anche delle innovazioni mancate,

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e cioè il celibato dei preti, la contraccezione e il ruolo attivo dei divorziati nella chiesa.

Quali le conseguenze?

Vi fu chi, più intransigente, rifiutò le decisioni del concilio, e chi più progressista si aprì ad ulteriori cambiamenti. Con l’apertura ulteriore di Paolo VI i preti operai si organizzarono in un movimento internazionale; successivamente alcuni teologi seguaci della Teologia della liberazione abbracciarono il marxismo in America Latina, e furono così duramente stigmatizzati da papa Giovanni Paolo II. Tra le correnti intransigenti si ricordano i seguaci di Lefevre (lefevriani) che si distaccarono dalla chiesa fino a ricevere una scomunica nel 1988 (poi ritirata da Benedetto XVI), l’Opus Dei, che continuò a celebrare in latino; nacquero moltissimi movimenti carismatici, come i neocatecumenali.

Per l’abbandono di alcune posizioni di “privilegio” della chiesa si registrò un forte decremento di persone che volevano prendere i voti, e iniziò il calo delle vocazioni che prosegue tutt’oggi. Nonostante questo a 60 anni di distanza si può affermare che il Concilio ha cambiato il volto della chiesa, che si è aperta al mondo, e la sua forza propulsiva non si è ancora esaurita: la direzione di marcia verso cui ancora oggi camminiamo è efficacemente espressa dalle parole inaugurali di papa Roncalli, e cioè “calarsi nel tempo presente con la medicina della misericordia invece che imbracciare le armi del rigore”.

Con CI l I o VAt ICA no II d IC h IARA z I on I e de CR et I Questo elenco è importante per conoscere l’ampiezza e l’importanza del lavoro di rinnovamento fatto dai padri conciliari. Gli ultimi due decreti e le tre dichiarazioni ci riguardano direttamente come laici. Decreto CHRISTUS DOMINUS ufficio pastorale vescovi Decreto UNITATIS REDINTEGRATIO ecumenismo Decreto ORIENTALIUM ECCLESIARUM chiese orientali cattoliche Decreto PRESBYTERORUM ORDINIS ministero e vita sacerdotale Decreto OPTATAM TOTIUS formazione sacerdotale Decreto PERFECTAE CARITATIS rinnovamento vita religiosa decreto Ad GenteS attività missionaria della chiesa decreto APoStolICAM ACtUoSItAteM apostolato dei laici decreto InteR MIRIFICA strumenti comunicazione sociale dichiarazione dIGnItAtIS hUMAnAe libertà religiosa dichiarazione noStRA AetAte relazioni chiesa con religioni non cristiane dichiarazione GRAVISSIMUM edUCAtIonIS sull’educazione cristiana

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La Segreteria Generale del Sinodo

ricorda il Concilio

I l 60° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II è un momento di particolare grazia anche per il Sinodo, che rappresenta un frutto di quell’assise ecumenica, anzi una delle sue «più preziose eredità» (Francesco, cost. ap. Episcopalis Communio, 15 settembre 2018, 1). Il Synodus Episcoporum, infatti, è stato istituito da San Paolo VI all’inizio del quarto e ultimo periodo del Concilio (15 settembre 1965), venendo incontro alle richieste avanzate da numerosi padri conciliari. Scopo del Sinodo era e rimane quello di prolungare, nella vita e nella missione della Chiesa, lo stile del Concilio Vaticano II, nonché di favorire nel Popolo di Dio la viva appropriazione del suo insegnamento, nella consapevolezza che quel Concilio ha rappresentato «la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX» (Giovanni Paolo II, lett. ap. Novo millennio ineunte, 6 gennaio 2001, 57). Un compito lungi dall’essere esaurito, visto che la recezione del magistero conciliare è un processo in atto, addirittura per certi aspetti ancora agli inizi. Nel corso di questi decenni, il Sinodo si è posto costantemente al servizio del Concilio, contribuendo per la sua parte a rinnovare il volto della Chiesa, in una sempre più profonda fedeltà alla Sacra Scrittura e alla vivente Tradizione e in attento ascolto dei segni dei tempi. Le sue Assemblee – Generali Ordinarie, Generali Straordinarie e Speciali – sono state tutte, ciascuna a suo modo, permeate dalla linfa vitale del Concilio, del quale hanno di volta in volta approfondito gli insegnamenti, dischiuso le potenzialità di fronte a nuovi scenari, favorito l’inculturazione tra i diversi popoli. Anche il processo sinodale in corso, dedicato a «La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa», si situa nel solco del Concilio. La sinodalità è in tutto un tema conciliare, ancorché tale termine – di conio recente – non si trovi espressamente nei documenti dell’assise ecumenica. La magna charta del Sinodo 2021-2023 è la dottrina del Concilio sulla Chiesa, in particolare la sua

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teologia del Popolo di Dio, un Popolo che «ha per condizione la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cuore dei quali lo Spirito Santo dimora come in un tempio» (Lumen gentium 9).

Del resto, «comunione, partecipazione e missione» – i termini che Papa Francesco ha voluto includere nel titolo stesso del percorso sinodale, facendone per così dire le parole chiave – sono eminentemente parole conciliari. La Chiesa che siamo chiamati a sognare e a edificare è una comunità di donne e uomini stretti in comunione dall’unica fede, dal comune battesimo e dalla medesima eucaristia, a immagine di Dio Trinità: donne e uomini che insieme, nella diversità dei ministeri e dei carismi ricevuti, partecipano attivamente all’instaurazione del Regno di Dio, con l’ansia missionaria di portare a tutte e a tutti la gioiosa testimonianza di Cristo, unico Salvatore del mondo.

Già Benedetto XVI affermava che «la dimensione sinodale è costitutiva della Chiesa: essa consiste nel con-venire da ogni popolo e cultura per diventare uno in Cristo e camminare insieme dietro a Lui, che ha detto: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6) (Angelus, 5 ottobre 2008). Nello stesso orizzonte Papa Francesco, commemorando il 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo, ha asserito che il cammino della sinodalità, «dimensione costitutiva della Chiesa», «è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio» (17 ottobre 2015).

I cantieri di Betania

All’inizio del secondo anno della «fase narrativa» il Consiglio Permanente della CEI, riunitosi a Matera il 20-22 settembre 2022, si è ampiamente confrontato sul Cammino sinodale delle Chiese in Italia. È stata confermata la piena validità dei gruppi sinodali, come era emerso nelle relazioni diocesane redatte al termine del primo anno. Ci si è poi soffermati sulla proposta dei tre “cantieri sinodali” (della strada e del villaggio; dell’ospitalità e della casa; delle diaconie e della formazione spirituale) comuni a tutte le diocesi italiane, secondo il documento “I cantieri di Betania” e il successivo Vademecum metodologico “Continuiamo a camminare”. Il dibattito si è poi concentrato sull’organigramma che, come già stabilito nel Consiglio Permanente del 24-26 gennaio 2022, prevede ora la costituzione di un Comitato nazionale del Cammino sinodale. Tale Comitato avrà il compito di studiare e promuovere iniziative volte ad animare e accompagnare il percorso, in stretta connessione con gli Organi e gli Organismi della CEI. Esprimendo grande riconoscenza verso il Gruppo di coordinamento che fino ad oggi ha coordinato il Cammino, i Vescovi hanno poi designato il Presidente del Comitato stesso, S.E. Mons. Erio Castellucci.

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Firenze: per orientare

Il nostro Piano di Lavoro

di Maria Serena Asso Mercoledì 26 novembre giornata di apertura cittadina con rappresentanti delle città toscane

Nei locali della Parrocchia di Savonarola Don Luca Albizi ha svolto una riflessione su “La pace, dono e promessa” come proposta dal Piano di Lavoro. Don Luca ha esordito ricordandoci che attualmente le guerre in corso al mondo sono più di quaranta e quindi il tema è di stringente attualità e non solo per la guerra più famosa che colpisce l’Ucraina, ma per tutti i conflitti, tanti e diversi, alcuni più vicini a noi, anche interiori, piccoli e grandi conflitti che a volte compromettono le relazioni, perfino quelle familiari, e su questi occorre riflettere. C’è una dimensione diffusa di conflitto sulla quale come cristiani è necessario lavorare.

Quando si parla di pace fra cristiani non si può non far riferimento alla Scrittura per comprendere per prima cosa che la pace è un dono: quando le donne vanno al sepolcro e il Risorto dice loro “Pace a Voi”, come primo dono offre loro la Pace, “Shalom”, che è la non violenza, l’armonia dell’equilibrio di chi vive in pace con se stesso e con gli altri.

Nella Scrittura infiniti altri passi trattano il conflitto e la pace: nel Vecchio Testamento troviamo Caino e Abele, Babele, il Diluvio, ma anche Isaia 2, 4 “Forgeranno le loro spade in vomeri e le loro lance in falci” e nel Nuovo Testamento il Magnificat, le Beatitudini, “e gli angeli che a Betlemme cantano “gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini”.

Solo alcuni esempi per ricordare che la Bibbia è disseminata di messaggi di pace, ma pare che i cristiani se ne siano dimenticati.

La Pacem in Terris, del 1963, parla di promuovere la pace, della necessità di ricercare una collaborazione planetaria per garantire la pace, eppure quante guerre ancora e quante esortazioni di Papa Giovanni Paolo II e ora di Papa Francesco sono cadute nel vuoto.

Don Luca propone, in linea con il Piano di Lavoro, di ripartire dal magistero della Chiesa, in particolare dalla Gaudim et Spes, il Concilio infatti è di poco successivo alla fine del secondo conflitto mondiale, ma anche dal discorso di papa Paolo VI all’ONU, un testo magistrale, di grande attualità, considerato che è stato pronunciato nel 1965.

La Gaudium et spes, nel capitolo V (nn.77-78) tratta della promozione della Pace e della comunità dei popoli. I padri conciliari promuovono un nuovo concetto di pace, che non sia solo assenza di guerra, ma la costruzione di un nuovo assetto, che sia opera della giustizia, che si fondi sul bene comune, il quale a sua

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volta nelle sue esigenze concrete è però soggetto a variazioni nel corso del tempo e quindi la pace non diventa mai qualcosa di raggiunto una volta per tutte, ma è un edificio da costruirsi continuamente. Occorre quindi porre le basi per un mondo più umano per tutti gli uomini e lavorare ad una conversione individuale che ci trasformi in portatori di pace, concetto raccolto e sintetizzato dall’I CARE di Don Milani, a riaffermare che ogni uomo è mio fratello.

Un impegno che apre ad un futuro di condivisione Sempre la Gaudium et Spes V, n. 78, afferma che la Pace è opera della giustizia di Dio, è il frutto dell’ordine da Lui pensato, che deve essere attuato dagli uomini. La pace tuttavia può avvenire solo nella libertà di scambiarsi fra uomini le ricchezze di animo, di intelligenza e di beni. Solo se siamo capaci di arricchirci a vicenda non avremo paura, non tireremo su muri gli uni contro gli altri, specie con i migranti. Papa Francesco ci ammonisce su questo, avere paura e essere non accoglienti non può essere da cristiani. Questo è essere uomo o donna del Vangelo. Basta piangere sul latte versato, su quello che era e ora non è più, è indubbio che la società italiana è cambiata molto, ma dobbiamo guardare in faccia la realtà, questa realtà che è più importante dell’idea e qui e ora devo trovare le soluzioni, con quello che ho a disposizione, senza far venire meno la speranza. Devo pensare a come camminare in questa realtà. Un grande esempio di esperienza di volontà di pace è stato quello della Costituente, che ha messo ad un unico tavolo persone con storie e percorsi diversi, anche con ispirazioni diverse, ma che con onestà intellettuale e con volontà di dialogo vero hanno prodotto una Costituzione davvero figlia di un lavoro comune e fecondo.

La pace terrena dunque nasce dall’amore per il prossimo. Questo è il messaggio dalla croce: “Padre perdonali perché non sanno quello che fanno”! Giovanni Paolo II, ebbe proprio in questa ottica una grande intuizione facendo convergere le religioni del mondo ad Assisi per la Pace, per una preghiera condivisa nell’ottobre 1986. Il cristianesimo è questo, Gesù ha costruito la pace incontrando tutti, dialogando con tutti, entrando nella casa di tutti. Quindi anche noi, come Rinascita Cristiana, siamo corresponsabili della costruzione della pace ogni volta che operiamo gesti di pace. Non si può poi non citare il mirabile discorso di Paolo VI all’ONU, nel quale il Papa offre l’esperienza in umanità di noi cristiani, recando a quella organizzazione tutto quello che la chiesa cattolica può portare come contributo alla pace. Facendo sua la voce dei morti e dei vivi, le guerre erano da poco finite, ma anche quella delle giovani generazioni, il pontefice esorta ad operare gli uni CON gli altri e non gli uni CONTRO gli altri, poiché questa è la nobilissima impresa che l’organizzazione si propone e a tutti propone come riflessione le parole di J.F. Kennedy, del 1961: “L’umanità deve porre fine alla guerra o la guerra porrà fine all’umanità”.

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L’Aquila città del perdono

Una grande emozione per la città la visita di Papa Francesco il 28 agosto in occasione della tradizionale festa della Perdonanza

La Inter sanctorum solemnia, nota anche come Bolla del Perdono, è una bolla pontificia emessa da papa Celestino V il 29 settembre 1294. Il documento istituisce il rito della Perdonanza Celestiniana e rappresenta il primo esempio nella storia di indulgenza plenaria. La pergamena che reca il testo dell’indulgenza plenaria donata da papa Celestino V alla città dell’Aquila e al mondo è oggi conservata presso i locali del Comune, ancora a ricordo del ruolo svolto dalla popolazione e dalle autorità civili di L’Aquila: essi protessero il prezioso documento dal tentativo di distruzione operato da papa Bonifacio VIII, che in tal modo voleva cancellare uno strumento tanto rivoluzionario nel suo valore politico e religioso, prodotto dal suo inviso predecessore. L’autenticità della Bolla del Perdono , più volte messa in discussione nel tempo, fu confermata da papa Paolo VI che, nel 1967, all’atto della revisione generale di tutte le indulgenze plenarie, annoverò quella di Celestino V al primo posto dell’elenco ufficiale.

Testo della Bolla «Celestino Vescovo servo dei servi di Dio, a tutti i fedeli di Cristo che prenderanno visione di questa lettera, salute e apostolica benedizione. Tra le feste solenni che ricordano i santi è da annoverare tra le più importanti quella di San Giovanni Battista in quanto questi, pur provenendo dal grembo di una madre sterile per vecchiezza, tuttavia fu ricolmo di virtù e fonte abbondante di sacri doni, fu voce degli Apostoli, avendo concluso il ciclo dei profeti, ed annunziò la presenza di Cristo in terra mediante l’annuncio del Verbo e miracolose indicazioni, annunziò quel Cristo che fu luce nella nebbia del mondo e delle tenebre dell’ignoranza che avvolgevano la terra, per cui per il Battista seguì il glorioso martirio, misteriosamente imposto dall’arbitrio di una donna impudica in virtù del compito affidatole. Noi, che nel giorno della decollazione di San Giovanni, nella chiesa benedettina di Santa Maria di Collemaggio in Aquila ricevemmo sul nostro capo la tiara, desideriamo che con ancor più venerazione tal Santo venga onorato mediante inni, canti religiosi e devote preghiere dei fedeli. Affinché, dunque, in questa chiesa la festività della decollazione di San Giovanni sia esaltata con segnalate cerimonie e sia celebrata con il concorso devoto del popolo di Dio, e tanto più devotamente e fervidamente lo sia

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quanto più in tale chiesa la supplice richiesta di coloro che cercano Dio troveranno tesori della Chiesa che risplendono dei doni spirituali che gioveranno nella futura vita, forti della misericordia di Dio onnipotente e dell’autorità dei suoi apostoli SS. Pietro e Paolo, in ogni ricorrenza annuale della festività assolviamo dalla colpa e dalla pena, conseguenti a tutti i loro peccati commessi sin dal Battesimo, quanti sinceramente pentiti e confessati saranno entrati nella chiesa di Santa Maria di Collemaggio dai vespri della vigilia della festività di San Giovanni fino ai vespri immediatamente seguenti la festività. Dato in Aquila, 29 settembre, nell’anno primo del nostro pontificato».

La Perdonanza Patrimonio Unesco. Iscritta alla Lista del Patrimonio Immateriale dal 2019.

Un anno giubilare celestiniano, il primo nella storia della Perdonanza. È il dono che ha voluto lasciare all’Aquila e all’Abruzzo Papa Francesco, il pontefice che per primo, in 728 edizioni della manifestazione, il 28 agosto 2022 ha voluto aprire la Porta Santa. Per speciale concessione del Santo Padre, infatti, è stata prorogata per un anno l’indulgenza della Perdonanza, che la bolla di Papa Celestino V voleva della durata di 24 ore. Un dono che mette il capoluogo abruzzese al centro della cristianità (per lucrare l’indulgenza, in qualsiasi giorno dell’anno, infatti, sarà necessario recarsi nella basilica di Collemaggio e seguire specifiche indicazioni della Chiesa) Fino al 28 agosto 2023 i fedeli e i pellegrini che verranno all’Aquila potranno lucrare ogni giorno l’indulgenza plenaria partecipando ai riti in onore di San Celestino V oppure raccogliendosi in preghiera «al cospetto delle spoglie del Santo per un congruo spazio di tempo». Per lucrare l’indulgenza, inoltre, occorre recitare il Credo, il Padre nostro e una preghiera secondo le intenzioni del sommo Pontefice. Infine ci si dovrà accostare alla confessione sacramentale e alla comunione eucaristica entro gli 8 giorni precedenti o seguenti la partecipazione ad un rito in onore di Celestino V oppure dopo aver sostato in preghiera davanti le spoglie del santo pontefice. Gli anziani, gli ammalati e tutti coloro che per gravi motivi non possono uscire di casa, ugualmente potranno conseguire l’indulgenza plenaria se, maturato il pentimento di ciascun peccato e con l’intenzione di adempiere, non appena lo potranno, alle tre consuete condizioni, davanti a una piccola immagine di San Pietro Celestino partecipino spiritualmente alle celebrazioni, dopo avere offerto le proprie preghiere e i propri dolori, oppure le sofferenze della propria vita, a Dio misericordioso» è specificato nella nota dell’ufficio diocesano Comunicazioni sociali dell’Aquila. L’indulgenza potrà essere applicata anche per i defunti. Sappiate, che siete tutti invitati, in questo anno del “Perdono”, a venire qui in questa città ferita, ma a cui il Papa ha voluto fare questo meraviglio dono, che dona tanta consolazione.

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La forza disarmata delle donne iraniane

«Zan, Zendegi, Azadi» ovvero «Donne, vita, libertà». La versione persiana dell’antica rivendicazione del femminismo curdo risuona nelle piazze e nelle strade dell’Iran dalla morte della 22enne Mahsa Amini il 16 settembre scorso. Un grido così potente che il regime degli ayatollah ha cercato di schiacciare la protesta con il pugno di ferro. Senza riuscirci, almeno per ora. La «rivoluzione delle donne», l’hanno chiamata media e attivisti. Forse, però, sarebbe meglio definirla la “rivoluzione degli iraniani guidata dalle donne”. Sono loro la punta avanzata della protesta. Ma per capire di più analizziamo bene la situazione politica del paese. Le rivolte scoppiate in questi giorni non sono altro che la conclusione di manifestazioni che hanno avuto inizio molto tempo fa. Queste giovani donne stanno lottando e morendo per la libertà a mani nude, lottano per il diritto a non essere più oppresse da un regime dispotico e autoritario che impedisce loro di decidere della propria vita, per poter mostrare il capo scoperto e sciogliere i capelli. Ma farlo senza essere perseguite e punite dalla polizia morale di quel paese è impresa ardua, perché significa capovolgere completamente gli equilibri nazionali. Questa volta, nonostante le molte vittime siano donne, sono scesi in piazza a protestare anche gli uomini, lavoratori stanchi di un regime che opprime le proprie figlie e le proprie famiglie. Le proteste ora si allargano anche al cuore petrolifero del paese, a Sud e Sud Ovest. Centinaia di lavoratori del petrolchimico hanno interrotto l’attività ed impedito l’accesso agli impianti. Tutto questo potrebbe finalmente portare ad una svolta, perché un blocco della produzione porterebbe un forte colpo all’economia di questo paese già troppo sofferente. Anche la cacciata dello Scià nel 1978 fu dovuta alla mobilitazione degli operai del petrolchimico, a cui si unirono poi gli studenti e i commercianti. Oggi tale minaccia dovrebbe pesare ancor di più, visto l’attuale maggiore mobilitazione popolare.

La rabbia per i salari troppo bassi e per i crescenti prezzi gonfiati dall’inflazione galoppante si unisce alla rivendicazione di maggiori libertà politiche e civili e alla protesta contro la violenza usata contro i giovanissimi scesi in piazza in queste settimane. La loro protesta è uno dei più grandi movimenti femministi del mondo. Questa generazione di giovani donne, e anche di giovani uomini, combatte a mani nude con la consapevolezza di poter essere ammazzati. Tutto ciò lascerà un’impronta profonda sul mondo femminile del Medio Oriente poichè il mondo intero ha sentito la loro voce. Il prezzo della vita di queste giovani donne dovrà essere pagato. La protesta contro i mullah che hanno le mani macchiate del sangue di queste ragazze porterà forse ad un serio cambiamento. Noi ci speriamo!

Quello che accade alle donne iraniane non può lasciare indifferenti. Nei prossimi mesi non spegniamo i riflettori!

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L’anello debole Rapporto Caritas 2022

In occasione della Giornata internazionale di lotta alla povertà (17 ottobre), Caritas Italiana ha divulgato il suo 21° Rapporto su povertà ed esclusione sociale. Il testo prende in esame le statistiche ufficiali sulla povertà e i dati di fonte Caritas, provenienti da quasi 2.800 Centri di Ascolto Caritas su tutto il territorio nazionale.

Le statistiche ufficiali

Nel 2021 la povertà assoluta conferma i suoi massimi storici toccati nel 2020, anno di inizio della pandemia da Covid-19. Le famiglie in povertà assoluta risultano 1 milione 960mila, pari a 5.571.000 persone (il 9,4% della popolazione residente). L’incidenza si conferma più alta nel Mezzogiorno (10% dal 9,4% del 2020) mentre scende in misura significativa al Nord, in particolare nel Nord-Ovest (6,7% da 7,9%). In riferimento all’età, i livelli di povertà continuano ad essere inversamente proporzionali all’età: la percentuale di poveri assoluti si attesta infatti al 14,2% fra i minori (quasi 1,4 milioni bambini e i ragazzi poveri), all’11,4% fra i giovani di 1834 anni, all’11,1% per la classe 35-64 anni e al 5,3% per gli over 65 (valore sotto il la media nazionale). Tra il 2020 e il 2021 l’incidenza della povertà è cresciuta più della media per le famiglie con almeno 4 persone, le famiglie con persona di riferimento di età tra 35 e 55 anni, i bambini di 4-6 anni, le famiglie degli stranieri e quelle con almeno un reddito da lavoro. È cresciuta meno della media per le famiglie piccole, con anziani, composte da soli italiani.

La povertà intergenerazionale

In Italia il raggio della mobilità ascendente risulta assai corto e sembra funzionare prevalentemente per chi proviene da famiglie di classe media e superiore; per chi si colloca sulle posizioni più svantaggiate della scala sociale si registrano invece scarse possibilità di accedere ai livelli superiori (da qui le espressioni “dei pavimenti e dei soffitti appiccicosi”, “sticky grounds e sticky ceilings”). A partire da tali consapevolezze Caritas Italiana ha condotto il primo studio nazionale su un campione rappresentativo di beneficiari Caritas al fine di quantificare le situazioni di povertà ereditaria nel nostro Paese. Complessivamente nelle storie di deprivazione intercettate, i casi di povertà inter-

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generazionale pesano per il 59,0%; nelle Isole e nel Centro il dato risulta ancora più marcato, pari rispettivamente al 65,9% e al 64,4%; il nord-Est e il Sud risultano le macro-aree con la più alta incidenza di poveri di prima generazione.

Il rischio di rimanere intrappolati in situazioni di vulnerabilità economica, per chi proviene da un contesto familiare di fragilità è di fatto molto alto. Il nesso tra condizione di vita degli assistiti e condizioni di partenza si palesa su vari fronti oltre a quello economico. In primis nell’istruzione. Le persone che vivono oggi in uno stato di povertà, nate tra il 1966 e il 1986, provengono per lo più da nuclei familiari con bassi titoli di studio, in alcuni casi senza qualifiche o addirittura analfabeti (oltre il 60% dei genitori possiede al massimo una licenza elementare). E, sono proprio i figli delle persone meno istruite a interrompere gli studi prematuramente, fermandosi alla terza media e in taluni casi alla sola licenza elementare; al contrario tra i figli di persone con un titolo di laurea, oltre la metà arriva ad un diploma di scuola media superiore o alla stessa laurea. Anche sul fronte lavoro emergono degli elementi di netta continuità. Più del 70% dei padri dei nostri assistiti risulta occupato in professioni a bassa specializzazione. Per le madri è invece elevatissima l’incidenza delle casalinghe (il 63,8%), mentre tra le occupate prevalgono le basse qualifiche. Il raffronto tra le due generazioni mostra che circa un figlio su cinque ha mantenuto la stessa posizione occupazionale dei padri e che il 42,8% ha invece sperimentato una mobilità discendente (soprattutto tra coloro che hanno un basso titolo di studio). Più di un terzo (36,8%) ha, invece, vissuto una mobilità ascendente in termini di qualifica professionale, anche se poi quel livello di qualifica non trova sempre una corrispondenza in termini di impiego (data l’alta incidenza di disoccupati) o un adeguato inquadramento contrattuale e retributivo, vista l’alta incidenza dei lavoratori poveri. Emerge un quadro in cui ai fattori fondamentali che determinano la trasmissione della povertà (educativa, lavorativa ed economica), si aggiungono la dimensione psicologica (bassa autostima, sfiducia, frustrazione, traumi, mancanza di speranza e progettualità, stile di vita “familiare”), conseguenza di un vissuto lungamente esposto

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alla povertà e una più ampia dimensione socio-culturale (territorialità, contesto familiare, individualismo, sfiducia nelle istituzioni e nella comunità, povertà culturale), che coinvolge tutta la società ma si amplifica nelle fasce di popolazione in situazione di disagio. Ne deriva la necessità di interventi e presa in carico che vadano oltre gli indispensabili aiuti materiali che, nel caso delle povertà multigenerazionali, non appaiono sempre risolutivi. I due elementi chiave nelle storie con esito positivo sono la cura della relazione di fiducia con accompagnamenti prolungati nel tempo e l’inserimento attivo nelle comunità, costruendo reti di sostegno e di reciprocità, sensibilizzando e attivando le comunità alla prossimità. “Nessuno merita di essere dimenticato”, afferma una delle persone intervistate, una sollecitazione e un invito alla fraternità e al superamento di stigmi e preconcetti verso gli ultimi che talvolta limitano inconsapevolmente il percorso delle persone in situazione di disagio multidimensionale e reiterato.

Le Politiche di contrasto alla povertà

Il focus sulle politiche di contrasto alla povertà riguarda in particolare sul reddito di cittadinanza (RdC), che ha complessivamente supportato 3,7 milioni di persone nel corso del 2020 a livello nazionale, ha interessato uno su cinque fra coloro che si sono rivolti ai centri e servizi Caritas nel 2020 e più della metà (55%) dei beneficiari di una indagine longitudinale sui beneficiari Caritas monitorati dal 2019 (pre-pandemia) al 2021. Viene presentata l’”Agenda Caritas per il riordino del RdC” che prevede un pacchetto complessivo di interventi con un mix di ampliamento e riduzione dei criteri di accesso e che ponga attenzione al processo di miglioramento/ rafforzamento di servizi e azioni per l’inserimento lavorativo e per l’inclusione sociale, al fine di intercettare al meglio la povertà assoluta. Dati questi che – come ha sottolineato il Presidente della Conferenza episcopale Italiana, card. Gualtiero Bassetti, lo scorso 27 settembre aprendo i lavori del Consiglio Permanente - si prestano a una lettura ambivalente. Da una parte, possono essere indice dei primi effetti positivi della ripresa; dall’altra, mostrano che ancora troppe persone continuano a “non farcela” e rischiano di vedere in qualche modo “cristallizzata” la propria condizione di bisogno. È dunque indispensabile che i benefici della crescita economica siano distribuiti in modo da ridurre quanto più possibile le disuguaglianze che si sono approfondite a causa della pandemia. Senza lasciare nessuno indietro.

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L’Eucaristia è profezia di

un mondo nuovo

Nella Messa di chiusura, il 25 settembre, del 27° Congresso Eucaristico nazionale che si è svolto a Matera Papa Francesco nella sua omelia ci ricorda come l’Eucaristia sia profezia di un mondo nuovo - Chi adora Dio non diventa schiavo di nessuno. Non c’è vero culto eucaristico senza compassione dinanzi alle ferite di chi soffre. «Non sempre sulle tavole del mondo il pane è condiviso; non sempre emana il profumo della comunione; non sempre è spezzato nella giustizia». Esorta a «vergognarsi» per le quotidiane ingiustizie, disparità, soprusi contro i deboli e l’indifferenza verso i poveri. L’Eucaristia ricorda che il primato è di Dio: il riccone del Vangelo (Luca 16,19-31) non è in relazione con Dio, pensa solo al proprio benessere e alla ricchezza mondana: «Com’è triste questa realtà, quando confondiamo quello che siamo con quello che abbiamo, quando giudichiamo le persone dalla ricchezza che hanno, dai titoli che esibiscono, dai ruoli che ricoprono o dalla marca del vestito che indossano. È la religione dell’avere e dell’apparire, che spesso domina la scena di questo mondo, ma alla fine ci lascia a mani vuote». L’Eucaristia ci chiama anche all’amore dei fratelli «È stato il ricco a scavare un abisso tra lui e Lazzaro - il povero il cui nome significa “Dio aiuta” - nella vita terrena e nella vita eterna, quell’abisso rimane. Se scaviamo un abisso con i fratelli, ci scaviamo una fossa per il dopo; se alziamo dei muri adesso contro i fratelli, restiamo imprigionati nella solitudine e nella morte anche dopo. Le ingiustizie, le disparità, le risorse della Terra distribuite in modo iniquo, i soprusi dei potenti contro i deboli, l’indifferenza verso il grido dei poveri, l’abisso che ogni giorno scaviamo generando emarginazione, non possono lasciarci indifferenti. Riconosciamo che l’Eucaristia è profezia di un mondo nuovo, è presenza di Gesù che ci chiede una vera conversione. Da qui l’esigenza di sognare una Chiesa eucaristica che si inginocchia davanti all’Eucaristia e adora con stupore il Signore, ma che sa anche piegarsi con compassione davanti alle ferite di chi soffre, sollevando i poveri, asciugando le lacrime, facendosi pane di speranza e di gioia per tutti». Il Pontefice conclude il Congresso «Torniamo al gusto del pane. Per una Chiesa eucaristica e sinodale», quattro giorni (22-25 settembre) di preghiera, riflessione e confronto con 800 delegati da 166 diocesi e un’ottantina di vescovi.

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Parole senza umanità: un carico residuale?

Si dice che le parole plasmano il mondo. Non sempre in meglio. Specie se sono parole infarcite di menzogna, di tornaconto, usate per scavare fossati e tenere a distanza i morsi della coscienza. A chi verrebbe in mente di definire degli esseri umani «carico residuale»? Ci vorrebbe un Primo Levi per farsi spiegare cos’è un «carico residuale» fatto di carne umana, di anime ferite, di sguardi spersi, di famiglie separate: mamme e figli a terra, papà da rispedire ai mittenti da cui scappano. «Le parole erano originariamente incantesimi, e la parola ha conservato ancora oggi molto del suo antico potere magico. Con le parole un uomo può renderne felice un altro o spingerlo alla disperazione». Chissà se i nuovi governanti e legislatori hanno mai letto Freud. O hanno ascoltato almeno un po’ papa Francesco, che a certe parole ha restituito il peso che fingiamo di non sentire più: «La cultura dello scarto, che colpisce tanto gli esseri umani esclusi quanto le cose che si trasformano velocemente in spazzatura». È «il carico residuale», in fondo non è che un altro nome dato agli «scartati». La neolingua orwelliana si arricchisce così di nuove allocuzioni. Con l’obiettivo non dichiarato di confondere la realtà rimescolando proprio le parole e il loro senso. Ma le parole sono anche rivelatrici. Diversi decenni dopo, quando ancora una volta in Europa risuonano le sirene antiaeree e il disprezzo dell’altro è di nuovo elevato ad arma di guerra con cui giustificare i colpi di fucile e le peggiori depravazioni, in quel Mediterraneo culla delle civiltà da chissà quale abisso vengono a galla editti ministeriali che sembrano vergati da doganieri addetti allo smistamento di qualche mercanzia. Intervistato da Rtl 102.5, ieri Matteo Salvini ha detto: «Bisogna stroncare il traffico non solo di esseri umani, ma anche di armi e droga». Esattamente ciò che “Avvenire” denuncia da anni, con nomi, cognomi, rivelando connessioni internazionali, legami che vanno dalla politica libica a quei faccendieri maltesi con un pied-à-terre nei palazzi del potere e coinvolti nell’omicidio di Daphne Caruana Galizia, fino ai mammasantissima della mafia siciliana. Prove passate al vaglio della magistratura nazionale e internazionale. Quel “Libyagate” che continua ad essere alimentato dalla “trattativa” tra Roma e Tripoli, sfociata nel memorandum d’intesa varato nel 2017 e confermato per due volte dai nostri governi. Anche quello attuale, che appena cinque giorni fa ha lasciato che “il patto della vergogna” si rinnovasse d’inerzia. Nessuna parola, ancora una volta, viene spesa contro i crimini commessi in Libia dalle autorità del Paese e denunciati (se non bastassero anni di inchieste giornalistiche) da una ventina di rapporti firmati dal segretario generale dell’Onu Antonio Guterres e da 23 dossier della Procura internazionale dell’Aja. Ma del resto, se si tratta di «carico residuale», che senso ha sprecare anche una sola parola per loro?

Possiamo avviare una riflessione sul modo di parlare e affrontare lo spinoso tema dell’immigrazione? Pensiamo al valore delle parole per un percorso di pace? Basta come ha affermato il ministro dell’interno dire che si tratta di un gergo burocratico?

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Massimo Recalcati

La legge della Parola- Radici bibliche della psicoanalisi Einaudi, Euro 21,00

Psicanalista di scuola Lacaniana, Massimo Recalcati è da tempo impegnato in una ricerca che liberi sia la psicanalisi che il cristianesimo da immagini stereotipate e rigide che li contrapporrebbero in modo inconciliabile. Se infatti è vero che la psicanalisi condanna ogni religione come illusione, utile solo ad attutire il dolore dell’esistenza, è tuttavia possibile rintracciare nel pensiero di Freud, quasi suo malgrado, l’eredità della sua formazione ebraica e trovare consonanze impreviste tra le Scritture e la concezione freudiana dell’io “che non è padrone nemmeno in casa propria”, nella consapevolezza biblica della dolorosa finitudine della condizione umana: “L’ideale antropocentrico è colpito al cuore laddove la Torah mostra ripetutamente l’impossibilità per l’umano di divenire causa di se stesso”.

A partire dal racconto della creazione, il Dio dell’Antico Testamento si svela come Parola creatrice, dunque come Dio della relazione: non un Uno che riposa beato su se stesso ma un Dio che esce da se stesso mosso dal suo desiderio. E la legge del deside-

rio, che nella psicanalisi è spesso presentata in contrasto con le convenzioni sociali e i condizionamenti esterni, è nel testo biblico alla base della stessa esistenza e della libertà umana. È il limite che ci permette di esistere e che Dio stesso pone a se stesso nella sua relazione con l’uomo. A partire dal peccato originale , che è la non accettazione dei propri limiti, a continuare con l’atto fratricida di Caino e poi con il delirio dei babelici e ancora con la vicenda di Giacobbe, Recalcati mostra come molte figure bibliche trovino un’ eco nella pratica psicanalitica volta all’acquisizione della consapevolezza di sé e del proprio posto nel mondo mentre d’altra parte l’analisi psicanalitica dei rapporti tra genitori e figli getta una luce diversa sul sacrifico di Isacco: “È questo il centro etico del sacrificio di Isacco: Abramo e Sara sanno rinunciare alla proprietà del figlio, sanno separarsi da lui, sanno perderlo. Il dono ultimo di una madre non è proprio quello dell’abbandono del figlio, della sua perdita?”

Se il testo biblico e la psicanalisi convergono in una rappresentazione priva di illusioni della natura umana (l’odio è prima dell’amore!) nessuna visione dell’uomo e del mondo come quella biblica sa rendere ragione della tragedia e dello splendore della vita. Particolarmente suggestiva nell’analisi di Recalcati è infatti la lettura del testo sapienziale del Qohelet in cui a una “pars destruens” che mostra la vanità del

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Recensioni

tutto corrisponde una “pars costruens” che celebra la vita: “Gioisci, ragazzo, nella tua giovinezza, lascia che si rallegri il tuo cuore nei giorni della tua gioventù: segui gli impulsi del tuo cuore e l’incanto dei tuoi occhi”. Solo se non rincorre affannosamente quel che gli manca, la vita basta a se stessa. E la celebrazione della vita culmina nello splendore poetico del Cantico dei Cantici. Il Dio di Abramo è in perenne ricerca di dialogo con l’uomo, è capace di derogare dalle leggi che ha stabilito pur di non interromper questo dialogo. Perfino con il più riottoso dei suoi profeti, Giona, Dio non si stanca di cercare un punto di intesa, di cercare di spiegargli il senso della sua leg-

ge, ma Giona, che ha beneficiato del perdono di Dio, non tollera che Dio perdoni agli altri peccatori e la sua intransigenza è il segno della sua estrema fragilità. Come mostra spesso la pratica psicanalitica il moralismo intransigente preferisce attribuire il male all’altro che non riconoscerlo in se stesso.

È questo il punto chiave su cui insisterà la predicazione di Gesù: il vero senso della legge non è nella legge in se stessa, ma nella sua possibilità di essere sospesa da un’altra legge che, come appare nella vicenda di Giona, è la legge della grazia e del perdono e che troverà il suo compimento nella Nuova Alleanza.

Recensioni

UN ONORE PER RINASCITA CRISTIANA

Il Presidente della Repubblica ha conferito la onorificenza di Cavaliere alla Dottoressa Maria Tiziana Pinna, Commissario capo del corpo forestale di vigilanza ambientale della regione Sardegna presso il servizio territoriale dell’ispettorato ripartimentale di Oristano.

In particolare la ricordiamo in prima linea nel coordinamento delle operazioni di spegnimento dei gravi incendi del 2021, che hanno ridotto in cenere boschi, macchia mediterranea, pascoli e tanta fauna della nostra Sardegna.

“Per il contributo offerto con il suo lavoro, con straordinaria professionalità, coraggio, determinazione e per le preziose doti umane, esempio e guida sicura per tutti i suoi collaboratori, anche di fronte ad eventi imprevisti”.

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CRISI ENERGETICA:

L’APPELLO DELLA COMECE (VESCOVI EUROPEI)

Nell’attuale contesto di conflitto, l’eccessiva dipendenza dell’Unione Europea da un unico fornitore di petrolio e gas ha rafforzato l’insicurezza energetica in Europa e provocato un’impennata dei prezzi dell’energia, con un impatto negativo sulla società nel suo complesso e, in particolare, sui più vulnerabili. Di fronte a tale situazione e con l’avvicinarsi dell’inverno, la Commissione delle Conferenze episcopali dell’Unione europea (COMECE) ha rivolto un appello alla solidarietà collettiva, chiedendo ai decisori politici di “garantire un’energia accessibile e a prezzi ragionevoli alle persone più colpite attraverso misure temporanee di mitigazione e un’equa distribuzione delle risorse”; “dare priorità all’efficienza energetica e identificare gli obiettivi per i quali è possibile una riduzione responsabile del consumo energetico” e “perseguire partenariati energetici bilaterali e multilaterali responsabili e basati sui valori e gettare le basi di un nuovo sistema energetico globale governato dai principi di giustizia, solidarietà, partecipazione inclusiva e sviluppo sostenibile”. “La crisi energetica – si legge nella dichiarazione diffusa il 7 novembre – è un ulteriore fardello dal punto di vista economico e mentale. Mentre molte aziende stanno fallendo, altre stanno licenziando i propri lavoratori e molti non sono più in grado di far fronte all’aumento del costo della vita”.

Rinascere

Periodico bimestrale di informazione e di collegamento del Movimento Rinascita Cristiana Via della Traspontina, 15 - 00193 Roma - Tel. 06.6865358 - segreteria@rinascitacristiana.org www.rinascitacristiana.org - c/c postale n. 62009485 intestato a Movimento Rinascita Cristiana Direttore Responsabile: Francesca Tittoni Stampa: La Moderna srl - Via Enrico Fermi, 13/17 - 00012 Guidonia (Roma) – tel. 0774.354314 Autorizzazione del Tribunale di Roma N° 00573/98 del 14/12/98 Finito di stampare nel mese di Novembre 2022

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