Rinascere Bimestrale - anno 24 - n° 3 maggio/giugno 2022
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n Francesca Sacchi Lodispoto Un difficile discernimento per vivere in pace n Rinascita Cristiana Auguri al nuovo presidente della Cei
n Roberta Masella, Serena Grechi Firenze: giustizia e pace si baceranno n Ecumenismo L’ortodossia di fronte alla guerra
n Licio Prati Sentieri di speranza percorsi di n Giovanna Cecchini pace Nella realtà di oggi la speranza n Retinopera Appello al presidente del Consiglio
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n Consiglio d’Europa Il dialogo interreligioso n Pastorale sociale La cura della biodiversità
Rinascere N. 3 maggio/giugno 2022 n EDITORIALE
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Un difficile discernimento di Francesca Sacchi Lodispoto n CHIESA ITALIANA
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Il nuovo Presidente della CEI di Francesca Sacchi Lodispoto
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Cura della biodiversità di Francesca Sacchi Lodispoto
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Sommario
Il potere e la paura di Licio Prati
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Incontro di Firenze di Roberta Masella n ECUMENISMO
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L’ortodossia davanti alla guerra di Lorenzo Prezzi
Messaggio Giornata del creato
n DIALOGO INTERRELIGIOSO
n SOCIETÁ
Principi di Strasburgo
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Appello per l’Ucraina Retinopera
n FORMAZIONE
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Nell’oggi la speranza di Giovanna Cecchini
La guerra e le sue ripercussioni dal Sir
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La guerra sui social media di Luca Peyron
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Percorsi di pace di Licio Prati n OPINIONI A CONFRONTO
n Movimento
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Incontro regionale di Serena Grechi
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di gruppo Fergnani, Giovanna Hribal, Carmen Ruggiero e Paola Zelioli
per vivere in pace
di Francesca Sacchi Lodispoto
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uesto numero di fine anno è dedicato in buona parte a comprendere le ragioni della guerra in corso. Avevamo sperato in una rapida soluzione del conflitto, ma così non è stato. Perciò noi di Rinascita Cristiana vogliamo, con questo numero, provare ad andare al di là di una informazione-spettacolo che ci martella tutti i giorni e che viene amplificata da tutti i mezzi di comunicazione. È necessario prendere le distanze da questo “circo mediatico” per capire la reale posta in gioco, il ruolo della storia passata, delle ideologie e delle religioni in questo conflitto. Offriamo alla riflessione dei nostri amici vari punti di vista del mondo cattolico per capire che la soluzione alla guerra e ai conflitti non si risolve solo nella contrapposizione di opposte forze economiche, politiche ed ideologiche e nell’invio sempre più massiccio di armi. Come ha detto Papa Francesco nell’udienza del 22 maggio “Dovevamo porre un limite invalicabile alla pace, e vediamo susseguirsi guerre sempre più spietate verso le persone inermi”. Una pace stabile richiede lo sforzo di ripensare qui e ora il nostro modo di vivere le relazioni personali, nazionali ed internazionali. Occorre ripensare seriamente il ruolo che la giustizia assume nei rapporti tra nazioni ricche e povere, prendere sul serio la sfida ecologica messa a dura prova da una guerra che inquina, distrugge e rende tutti più poveri. Tutto ciò ci è stato proposto dalle quattro piste del piano di lavoro come possibili sentieri di speranza e percorsi di pace: una vera relazione che crea umanità, una conversione ecologica per rispettare la nostra madre terra, il superamento di ogni disuguaglianza e discriminazione perché abbiamo a cuore la dignità di ogni persona. In ogni caso lunga è la strada di una reale educazione alla pace, come abbiamo potuto capire nel Convegno di Firenze “Se vuoi la pace prepara la pace”, di cui riportiamo un’ampia sintesi e nei vari incontri di formazione come quello di Bergamo che ci rimanda alle radici della speranza. La luce che ha guidato il lavoro dei nostri gruppi in questo lungo inverno è stata la meditazione sul Vangelo di Luca che sottolinea l’importanza della responsabilità nel piano della salvezza e il valore uni-
Editoriale
Un difficile discernimento
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versale dell’annuncio cristiano. L’ultima meditazione proposta nel piano di lavoro è il Magnificat (Lc 1,46-56), il canto di Maria che illumina il passato di Israele e canta la fedeltà e la salvezza di Dio per il suo popolo. In questo canto che apre il Vangelo di Luca, il Vangelo della giustizia sociale per antonomasia, la salvezza è un bene totale, abbraccia l’amicizia con Dio, ma anche la parità e l’uguaglianza tra gli uomini. il Magnificat è il canto della sovranità della misericordia di Dio, ma anche della giustizia e la pace tra gli uomini.
IL LAVORO DEI GRUPPI
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Nonostante la difficoltà delle perduranti restrizioni dovute alla pandemia i gruppi hanno continuato con fedeltà il loro lavoro e non appena è stato possibile sono passati dalla modalità streaming a riunioni in presenza. Nell’ultima parte dell’anno molte revisioni di vita son state dedicate alla guerra in corso, tuttavia non è stato trascurato il lavoro di inchiesta proposta dal piano di lavoro come potete vedere dal grafico.
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Chiesa italiana
Card. Matteo Zuppi
nuovo Presidente della CEI a cura di Francesca Sacchi Lodispoto
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apa Francesco il 24 maggio ha nominato il Cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna, presidente della Conferenza Episcopale Italiana. Il Card. Zuppi ha convocato nel pomeriggio una conferenza stampa per un breve saluto. «Questa fiducia del Papa che presiede nella carità con il suo primato e della collegialità dei vescovi, insieme alla sinodalità, è la Chiesa stessa. E queste tre dinamiche sono quelle che mi accompagneranno e di cui sento tanto la responsabilità». Una Chiesa che deve essere in movimento. «La missione è quella di sempre: la Chiesa che parla a tutti e parla con tutti». «La Chiesa che sta per strada e che cammina, la Chiesa che parla un’unica lingua, quella dell’amore, nella babele di questo mondo». Il Cardinale ha poi accennato poi al momento che stiamo vivendo, segnato dalle «pandemie»: quella del Covid «con le consapevolezze e le dissennatezze che ha rivelato e provocato», e adesso la «pandemia della guerra» in Ucraina, senza dimenticare «tutti gli altri pezzi delle altre guerre». Infine ha ricordato i suoi predecessori alla guida della Cei: Antonio Poma, Ugo Poletti di cui ha sottolineato il profetico convegno sui “Mali di Roma” del 1976, Camillo Ruini e Angelo Bagnasco. Infine ha ringraziato il Card. Gualtiero Bassetti «che in questi anni con tanta paternità e con tanta amicizia ha guidato la Chiesa italiana, creando tanta fraternità di cui da vescovo ho goduto». Il pensiero finale è stato per la Madonna di San Luca, che proprio martedì si festeggiava a Bologna: «Metto tutto nelle sue mani e le chiedo di accompagnarmi e di accompagnarci in questo cammino della Chiesa italiana». Il Card. Zuppi è nato a Roma l’11 ottobre 1955, quinto di sei figli. Nel 1973, studente al liceo Virgilio, conosce Andrea Riccardi, il fondatore di Sant’Egidio, iniziando a frequentare la Comunità e collaborando alle attività al servizio degli ultimi da essa promosse: dalle scuole popolari per i bambini emarginati delle baraccopoli romane, alle iniziative per anziani soli e non autosufficienti, per gli immigrati e i senza fissa dimora, i malati terminali e i nomadi, i disabili e i tossicodipendenti, i carcerati e le vittime dei conflitti. A ventidue anni, dopo la laurea in Lettere e Filosofia all’Università La Sapienza, entra in seminario e segue i corsi di preparazione al sacerdozio alla Pontificia Università Lateranense. Appena ordinato sacerdote è nominato Vi5
Chiesa italiana cario del parroco Mons. Vincenzo Paglia della Basilica di Santa Maria in Trastevere, di cui poi è stato parroco per dieci anni dopo il 2000. Assistente ecclesiastico generale della Comunità di Sant’Egidio, è stato mediatore in Mozambico nel processo di pace dopo oltre diciassette anni di guerra civile. Nel 2010 è chiamato a guidare la parrocchia dei Santi Simone e Giuda Taddeo a Torre Angela, nella periferia orientale della città; nel 2012 Benedetto XVI lo nomina Vescovo e Ausiliare di Roma per il Settore Centro. Il 27 ottobre 2015 papa Francesco lo nomina Arcivescovo di Bologna e il 5 ottobre 2019 lo crea cardinale con il Titolo di Sant’Egidio.
La lettera alla Costituzione
Un anno fa Zuppi pubblicò la “Lettera alla Costituzione”, in piena pandemia, con tutti i problemi sociali che ne derivavano. “Ti voglio chiedere aiuto perché siamo in un momento difficile e quando l’Italia, la nostra patria, ha problemi, sento che abbiamo bisogno di te per ricordare da dove veniamo e per scegliere da che parte andare. E poi che cosa ci serve litigare quando si deve costruire?”. “Stiamo vivendo un periodo difficile. Dopo tanti mesi siamo ancora nella tempesta del Covid. Qualcuno non ne può più. Molti non ci sono più. All’inizio tanti pensavano non fosse niente, altri erano sicuri che si risolvesse subito, tanto da continuare come se il virus non esistesse, altri credevano che dopo un breve sforzo sarebbe finito, senza perseveranza e impegno costante. Quanta sofferenza, visibile, e quanta nascosta nel profondo dell’animo delle persone! Quanti non abbiamo potuto salutare nel loro ultimo viaggio! Che ferita non averlo potuto fare”.
Vivere da Fratelli tutti, perché lo siamo davvero
Questo l’invito che ha rivolto ai fedeli in pellegrinaggio per la Madonna di San Luca e tornando sulla tragedia della guerra e sull’interpretazione che ne dà il Santo Padre: “Esiste questo demone imprevedibile della guerra che contagia e spaventa tutti. Abbiamo capito quell’espressione di Papa Francesco della guerra mondiale a pezzi. Pensavamo, in fondo, che questi conflitti fossero soltanto problemi locali che non ci riguardavano, mentre la guerra in Ucraina ci fa capire che sempre, e questa in particolare, è un pezzo importantissimo del nostro futuro”. E parla di pace anche il messaggio inviato alla comunità islamica a conclusione del Ramadan, con l’invito a “continuare a pregare per la pace, per disarmare i nostri cuori e le nostre mani”. Torna in mente la memorabile omelia per i funerali dell’amico David Sassoli, durante la quale aveva attualizzato il messaggio delle beatitudini: “Beati sono gli operatori di pace, gli artigiani, cioè che non rinunciano a ‘fare la pace’ iniziando dai piccoli e possibili gesti di cura, sporcando le mani con la vita, con le contraddizioni del prossimo, con la fatica a stringere quella del nemico che se lo fai si trasformerà in fratello”. 6
MIAMSI
La XV Assemblea Generale
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i sono riuniti a Roma dal 21 al 25 marzo i vari Movimenti e associazioni aderenti al MIAMSI. Sessanta i partecipanti che rappresentavano dodici Paesi più sei Paesi in video-conferenza. Due nuovi Paesi sono stati ammessi a far parte del MIAMSI: il Senegal e il Burundi, mentre il Marocco è ritornato ad essere tra i membri attivi. Al termine dell’Assemblea è stato eletto il nuovo Bureau Internazionale che al suo interno ha designato come Presidente Prosper Honagbode del Benin. L’Assistente internazionale è Richard Arce dell’Uruguay che, mentre studiava a Roma, ha seguito un gruppo giovane di Rinascita Cristiana.
Prosper Honagbode Jonathan Ravat Benin Mauritius
P. Richard Arce Uruguay
Assunção Mexia Portogallo
Hélène Mercier Francia
Marilia Braga Brasile
Rajarathinam P. India
M. Ildephonse India
Cecilia Rodriguez Uruguay
Il MIAMSI si avvale anche di alcuni collaboratori per delle missioni particolari, presso l’ONU a Ginevra (Consiglio dei diritti dell’uomo ed ECOSOC) l’italiano Paolo Navone. Il Rappresentante del Relais Europeo presso il Consiglio d’Europa a Strasburgo è Daniel Guery della Francia. Infine il Rappresentante del MIAMSI presso CRESCENDO (Rete mondiale per una vecchiaia umana e cristiana) è il francese Dominique Lamau de Talancé. Grande è stata la gioia di lavorare insieme in questa Assemblea anche con amici impegnati in precedenti Bureau Internazionali. L’Assemblea e Rinascita Cristiana ringraziano di cuore per il loro servizio il precedente Bureau, la sua Presidente Maryse Robert e il Rappresentante per l’Italia Elisa Tittoni Monti. 7
Al Presidente del Consiglio Mario Draghi Al Ministro degli Affari esteri e della Cooperazione Internazionale Luigi Di Maio
APPELLO UCRAINA Gentile Presidente, onorevole Ministro, RETINOPERA (rete di 23 associazioni, movimenti e organizzazioni cattoliche a livello nazionale a cui aderiscono circa otto milioni di cattolici militanti), esprime crescente angoscia per le vicende della guerra in Ucraina. Assicura che tutti gli aderenti a RETINOPERA sono costantemente impegnati con molteplici iniziative per venire incontro alle necessità dei profughi e per inviare soccorsi e cibo e altri beni di prima necessità nel paese invaso. Allo stesso tempo abbiamo accolto e condividiamo profondamente l’invito del Papa e il comandamento delle nostre coscienze di cristiani impegnati per il bene comune ad operare per la pace, ad essere costruttori di pace. Nel recente messaggio Urbi et Orbi del 17 aprile il Pontefice ci invita a contrastare lo “spirito di Caino” e a lasciar entrare la pace di Cristo nelle nostre vite, nelle nostre case, nei nostri paesi. “Sia pace per la martoriata Ucraina, così duramente provata dalla violenza e dalla distruzione della guerra crudele e insensata in cui è stata trascinata Si scelga la pace Per favore, per favore: non abituiamoci alla guerra, impegniamoci tutti a chiedere a gran voce la pace… In questo frangente non possiamo non ricordare che anche nell’ora più buia della guerra fredda uno spirito profetico come Giorgio La Pira, spes contra spem, invocava e operava per la pace. Recentemente al Convegno dei Vescovi “Mediterraneo frontiera di pace” il Cardinal Bassetti ha così ricordato l’azione del “sindaco santo” di Firenze: “Cari amici, mai come oggi risuona alle nostre orecchie la lezione di La Pira sul ruolo delle città del mondo per raggiungere la pace mondiale. In questo momento infatti, mentre soffiano inquietanti venti di guerra dall’Ucraina, gli Stati non sembrano avere la forza di superare il meccanismo strutturato dei rapporti di forza. I nostri popoli, le nostre città e le nostre comunità religiose invece possono svolgere un ruolo straordinario: possono spingerli verso un orizzonte di pace e di fraternità”. RETINOPERA chiede al Governo italiano di operare affinché l’Unione europea prepari e poi sostenga una proposta di negoziato per porre fine alla guerra. Siamo convinti che l’assoluta condanna nei confronti dell’aggressore può e deve essere accompagnata da un’iniziativa volta ad una seria trattativa. La pace si fa tra nemici. Non possiamo rischiare di far precipitare questa carneficina in una terza guerra mondiale nella quale periremo tutti. Siamo convinti che il Governo italiano ha tutte le competenze e un bagaglio di espe8
rienze, convinzioni e capacità per sostenere attivamente lo studio e la definizione di proposte concrete volte al negoziato attraverso un’azione sostenuta dai migliori tecnici e dalla grande competenza della nostra diplomazia. RETINOPERA sosterrà per quanto è nelle sue possibilità il Governo su questa strada. Spes contra spem. Il Coordinatore Gianfranco Cattai LE REALTÁ DI RETINOPERA: ACI Azione Cattolica Italiana – ACLI Associazione Cattolica Lavoratori Italiani – AGESCI Associazione Guide e Scout Cattolici Italiani – AIDU Associazione Italiana Docenti Universitari – CDO Compagnia delle Opere - Opere Sociali – CIF Centro Italiano Femminile – COLDIRETTI – Comunità Papa Giovanni XXIII – Comunità di Sant’Egidio – CONFCOOPERATIVE – CSI Centro Sportivo Italiano – CTG Centro Turistico Giovanile – CVX Comunità di Vita Cristiana – FOCSIV Volontari nel mondo – FONDAZIONE G. TONIOLO – F.U.C.I. Federazione Universitaria Cattolica Italiana – ICRA International Catholic Rural Association – MASCI Movimento Adulto Scout Cattolico Italiano – MCL Movimento Cristiano Lavoratori – MOVIMENTO DEI FOCOLARI Opera di Maria – MRC Movimento Rinascita Cristiana – RNS Rinnovamento nello Spirito Santo- UNEBA Unione Nazionale Istituzioni e Iniziative di Ass.za Sociale
LA REALTÁ DI RETINOPERA Rinascita Cristiana da alcuni anni condivide progetti e obiettivi di Retinopera ed ha contribuito alla stesura di questo appello. Retinopera nasce nel 2002, per iniziativa di un gruppo di laici del mondo dell’associazionismo cattolico, che si incontrano attorno ai temi dell’impegno sociale e stilano un Documento dal titolo: “Prendiamo il largo”. Il documento viene sottoscritto da circa 100 persone, tra cui i Presidenti e i Responsabili delle maggiori aggregazioni laicali italiane. L’obiettivo dichiarato è quello di approfondire i temi della Dottrina Sociale della Chiesa, come forma di impegno dei credenti di fronte alla società. Da quell’anno e nel corso del tempo Retinopera è diventata una realtà composita, nella quale si ritrovano più di 20 Organizzazioni del mondo cattolico italiano, con l’intento di promuovere una collaborazione volta a dare concretezza ai principi e ai contenuti della Dottrina Sociale della Chiesa, e ad offrire una risposta tangibile alle sollecitazioni che emergono dagli Orientamenti Pastorali della Conferenza Episcopale Italiana e dai Magisteri dei Papi. A partire dagli orientamenti programmatici dei diversi Organismi presenti all’interno di Retinopera, si può asserire che le oltre 20 realtà aggregate rappresentano una ricca costellazione di “Carismi e Servizi” a beneficio della società intera. La comune missione di Retinopera si può sintetizzare dieci parole-chiave che rappresentano le linee-guida per un programma di azione e di partecipazione attiva e responsabile: generatività, sostenibilità, cooperazione, servizio generoso, prendersi cura, responsabilità, formazione, capacitazione, “Storytelling” sociale, unità e comunione. 9
Attualità
La guerra:
le sue ripercussioni nel mondo dal SIR del 20 maggio 2022
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ra il 2018 e il 2020 l’Africa ha acquistato il 44 per cento del grano dalla Russia e dall’Ucraina. Nel 2021 il totale dell’importazioni secondo la Fao aveva raggiunto il 28%. Ora è tutto fermo nei silos dei porti e ciò rischia di creare ulteriori problemi anche per il prossimo raccolto che potrebbe marcire nei campi. La guerra non è solo distruzione, morti, feriti, sfollati, terre abbandonate che chissà se qualcuno tornerà a coltivare: la guerra è fame. Lo sanno le popolazioni dei Paesi africani perennemente in conflitto, dove i bambini nascono e crescono nella mancanza di tutto e senza aver mai conosciuto la pace. Paesi vulnerabili, che la guerra tra Russia e Ucraina rischia di ridurre alla carestia. La Russia e l’Ucraina, spesso indicate come il granaio del mondo, sono i principali esportatori di grano e semi di girasole in Africa e Medio Oriente. Sono 50 i Paesi in via di sviluppo dipendenti per oltre il 30% dalle importazioni di cereali di quest’area Ora, la Russia non può più esportare a causa delle sanzioni economiche e l’Ucraina non riesce a portare all’estero buona parte dei propri prodotti a causa dei blocchi dei suoi principali porti nel Mar Nero. Il conflitto ha drasticamente ridotto i trasporti su ferrovia, rendendo complicate anche le esportazioni via terra. In Ucraina è sempre più difficile trovare il carburante per mettere in funzione i macchinari agricoli. La mancanza di fertilizzanti sta drasticamente riducendo la quantità raccolta e centinaia di migliaia di agricoltori sono ormai sfollati. Il Wfp preme, dunque, per la riapertura urgente dei porti ucraini così che il cibo prodotto nel paese possa arrivare nel resto del mondo, per evitare che la crisi alimentare mondiale vada fuori controllo. Nella sola regione del Corno d’Africa, secondo il Wfp (World food programme), “14 milioni di persone stanno già soffrendo la fame, come risultato del fallimento di tre stagioni di pioggia consecutive” e questo numero potrebbe salire a 20 milioni, se anche le piogge attuali non fossero efficaci e i finanziamenti per l’assistenza umanitaria non fossero sufficienti. Durante la sua recente visita in Senegal, il segretario generale delle Nazioni Unite António Gu10
Attualità terres ha affermato che quando si guarda alla situazione socio-economica mondiale, “è impossibile non menzionare la guerra in Ucraina e il suo impatto sull’Africa”. La guerra, ha detto, ha esacerbato una “triplice crisi alimentare, energetica e finanziaria” in tutto il continente africano. A sua volta l’Ufficio Africa del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (Undp), ha sottolineato come la guerra arrivi subito dopo la pandemia che ha gettato decine di milioni di persone nella povertà e ha “fatto arretrare” la democrazia in alcune parti dell’Africa. “Una crisi senza precedenti” quella in corso nel continente africano, secondo gli esperti, che non può che far aumentare le tensioni, con la forte possibilità che si trasformino in proteste violente.
L’altra “ferita” della guerra, commessi più di 200 “ecocidi”
dal SIR del 20 maggio 2022
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missioni di rifiuti tossici dalle grandi imprese industriali. Incendi. Migliaia di carri armati e veicoli blindati russi abbandonati. Emergenza acqua e più di 80.000 chilometri quadrati dell’Ucraina che devono essere ripuliti da mine e resti di esplosivi. “Le ferite inflitte dall’esercito russo alle foreste, alle steppe e ai bacini idrici dell’Ucraina rimarranno per decenni e l’eredità della guerra sarà minacciata anche dopo che le armi tacceranno”. È l’ufficio per l’ecologia della Chiesa greco-cattolica ucraina, a lanciare l’allarme e a pubblicare sul suo sito un Report dettagliato sui “danni” ambientali provocati durante la guerra. Non solo crimini di guerra e crimini contro l’umanità, quindi, ma anche “crimini contro l’ambiente” e sono gravissimi perché come avvertono gli ambientalisti, “le ferite inflitte dall’esercito russo alle foreste, alle steppe e ai bacini idrici dell’Ucraina rimarranno per decenni e l’eredità della guerra sarà minacciata anche dopo che le armi tacceranno”. Emissioni di rifiuti tossici dalle imprese industriali. L’ultimo allarme, in senso cronologico, parte dal Mar d’Azov e a lanciarlo è l’amministrazione cittadina di Mariupol su Telegram. “C’è una minaccia di completa estinzione del Mar d’Azov”, si legge nel post. “Il bombardamento dell’Azovstal potrebbe danneggiare una struttura tecnica che trattiene decine di migliaia di tonnellate di soluzione concentrata di idrogeno solforato. La perdita di questo fluido ucciderà completamente la flora e la fauna del Mar d’Azov. Quindi queste sostanze pericolose possono entrare nel Mar Nero e nel Mar Mediterraneo. Incendi. Il fuoco mette a rischio ampie aree dell’Ucraina meridionale e orientale e questa minaccia sta crescendo con l’avvicinarsi dell’estate. Gli incendi boschivi si stanno verificando a causa dei combattimenti all’interno e 11
Attualità intorno alle foreste e a causa della guerra in corso, non c’è praticamente nessuno che può intervenire per spegnere le fiamme. Pericolosi sono poi gli incendi che emanano dai depositi di petrolio. Le truppe russe – si legge nel report – hanno colpito dozzine di volte depositi di petrolio e distributori di benzina e gli incendi hanno emesso colonne di fumo nero tossico per giorni. Il bombardamento ad impianti chimici, come quello di Rubizhne nella regione di Luhansk o quello di Sumy, ha portato a perdite di azoto e ammoniaca. Per non parlare delle sostanze chimiche rilasciate durante l’esplosione di bombe e missili. I loro frammenti, cadendo nel terreno, lo avvelenano così come le acque sotterranee. Rottami metallici. Migliaia di carri armati e veicoli blindati russi stanno inquinando il territorio. “Quando la guerra sarà finita, lo smaltimento di questa quantità di rottami metallici sarà un’altra sfida. Il riciclaggio dei rottami militari è un processo complesso che richiede tempo”, spiega Yevhenia Zasyadko di Ecodia. Emergenza acqua. Anche prima della guerra, l’Ucraina soffriva di acqua insufficiente e di scarsa qualità. Il Paese si è classificato al 125° posto (su 180 paesi) in termini di fornitura di acqua potabile. In particolare, le regioni orientali e meridionali, che si affacciano sul Mar d’Azov, hanno subito una carenza. La situazione purtroppo è destinata a peggiorare. Il bombardamento agli impianti di trattamento, come quello di Vasylkiv, la distruzione della rete idrica e di altre infrastrutture idriche, l’impossibilità di ripararle rapidamente, influenzeranno la qualità e la quantità dell’acqua. Minaccia sulla fauna. L’allarme è del Wwf Ucraina. La guerra sta alterando gli habitat naturali e i corridoi migratori di numerose specie animali, anche rare. Siamo tra l’altro nel periodo più delicato dell’anno e “il rumore” della guerra e la devastazione degli ambienti così come lo stress possono interrompere i cicli vitali di vita di uccelli e mammiferi. L’Ucraina si trova al crocevia di importanti rotte migratorie degli uccelli nelle regioni del Paleartico occidentale e dell’afro-eurasiatica, da cui dipendono più di 400 specie di uccelli.30.000 coppie di cicogne bianche e circa 500 coppie di rare cicogne nere stanno attualmente arrivando in Ucraina per la nidificazione e sono in pericolo. La guerra ha gravemente interferito anche con l’ecosistema del Mar Nero tanto che di recente sono stati trovati delfini morti sulle rive del Parco naturale nazionale degli estuari di Tuzla nella regione di Odessa. 12
Attualità
La prima guerra sui social media
Luca Peyron Riprendiamo un interessante articolo dal blog della rivista Il Regno MORALIA a cura di Luca Peyron, docente di teologia alla Cattolica di Milano di Spiritualità delle tecnologie emergenti all’Università degli Studi a Torino
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he cosa troveremo tra le macerie del conflitto russo-ucraino? Non possiamo avere risposte certe ma, rispetto ai temi che abitualmente trattiamo insieme in questo spazio, possiamo fare un esercizio di pensiero che ci aiuti a riflettere insieme. Vorrei partire dalle considerazioni fatte da Simone Morandini, che ha opportunamente ripreso le parole di Giovanni XXIII nella Pacem in terris. Scrive il papa: “Aetate hac nostra quae vi atomica gloriatur, alienum est a ratione bellum iam aptum esse ad violata iura sarcienda (Per cui riesce quasi impossibile pensare che nell’era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia)”. Condividendo le considerazioni di Morandini a cui rimando, vorrei approfondire un inciso del Papa buono: quel nell’era atomica. Lo sfondo culturale è quello della guerra fredda, della Baia dei porci, del blocco di Cuba e del muro di Berlino. Alcuni punti dell’enciclica riguardano propriamente il disarmo nucleare (nn. 59 e 60), denunciando la folle corsa alla bomba e alle bombe. La tecnologia per la morte era, e rimane, quella della bomba atomica. Ma non solo, non più. Il conflitto in Ucraina pone alla ribalta nuove questioni, nuove armi di guerra, nuove tecnologie di guerra e per la guerra. Dal sistema bancario mondiale interconnesso alle piattaforme sociali. Oggi la guerra si fa on-line, non solo perché attraverso un attacco informatico è possibile colpire il nemico (ne parlammo qui), ma soprattutto perché è l’opinione pubblica mondiale il vero teatro della guerra. E l’opinione pubblica mondiale è qui, sullo schermo del telefono. La condizione digitale trasforma anche le guerre, o meglio trasforma quanto alle spalle di ogni guerra è sempre esistito: l’informazione. La guerra in Ucraina – è stato detto – è la prima social media war. Non è neppure necessario portare particolari dati per comprovare l’affermazione. In questi nuovi scenari di guerra, quali scenari di pace possiamo costruire? Se sono beati gli operatori di pace può essere la tecnologia digitale non solo a servizio di nuove forme di combattere la guerra, ma anche a servizio di nuove o antiche forme di costruire e mantenere la pace? Per rispondere dobbia13
Attualità mo partire dalla considerazione che la pace presuppone per essere autentica un umanesimo aperto alla trascendenza. L’umanesimo, ossia il porre l’umano al centro, è un’istanza che la trasformazione digitale propone e talora tenta di imporre con forza. Ma è un umanesimo che rischia di essere semplice umanismo, non aperto di per sé alla trascendenza e, dunque, un umanesimo che continua ad essere esposto al rischio della guerra, che realizza opere, ma non l’opera più grande che è appunto la pace appunto. Scriveva Benedetto XVI: “È indispensabile, allora, che le varie culture odierne superino antropologie ed etiche basate su assunti teorico-pratici meramente soggettivistici e pragmatici, in forza dei quali i rapporti della convivenza vengono ispirati a criteri di potere o di profitto, i mezzi diventano fini e viceversa, la cultura e l’educazione sono centrate soltanto sugli strumenti, sulla tecnica e sull’efficienza”. La cultura tecnica alla base della trasformazione digitale ha esattamente molti dei connotati descritti dal papa emerito. Che cosa dunque possiamo raccogliere dalle macerie? La consapevolezza che la mutazione sociale determinata dalle tecnologie digitali è, ancora se non ancora più considerevolmente, un incompiuto spirituale. Perché vi sia pace è imperativo che la cultura tecnica, che è la cultura dominante in questo tempo, sia una cultura aperta alla trascendenza e dunque potenzialmente possa essere cultura di pace, tecnologia per la pace, per l’umano, per i suoi diritti. L’innesto della dottrina sociale della Chiesa, che nasce nella trascendenza e in essa si alimenta, è strumento di pace eletto, sforzo di pace a cui il teologo morale si applica non solo denunciando la bruttura della guerra, ma invocando una visione della tecnologia e della tecnica foriere di pace autentica. Da dove partire o ripartire? Faccio mie le efficaci considerazioni di Byung-chul Han nel suo ultimo testo, “Le non cose”: “Oggi corriamo dietro alle informazioni senz’approdare ad alcun sapere. Prendiamo nota di tutto senza imparare a conoscerlo. Viaggiamo ovunque senza fare vera esperienza. Comunichiamo ininterrottamente senza prendere parte a una comunità. Salviamo quantità immani di dati senza far risuonare i ricordi. Accumuliamo amici e follower senza mai incontrare l’Altro. Così le informazioni generano un modo di vivere privo di tenuta e di durata”. Ciascuno di questi temi, di questi problemi, sono un buon punto di conversione personale. Trasformando l’informazione, singola, scelta, selezionata, motivo di contemplazione. Senza la pretesa che lo si possa fare con tutte, senza l’ansia di doverlo fare con un certo numero. Ma nella consapevolezza trasformativa di poterlo fare, oggi, con una soltanto. 14
Movimento
Incontro e confronto interregionale
di Serena Grechi Grande è stata la gioia di incontrarci dopo quasi due anni in presenza in una riunione interregionale a Firenze l’11 maggio. Partecipanti dall’Emilia Romagna dalla Liguria e dalla regione Toscana.
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a paura dell’incontro dopo due anni di pandemia ci ha resi timorosi di incontrarci, è vero, ma il nostro sforzo sarà proprio quello di superare queste paure. Confrontare le nostre perplessità, i nostri dubbi, ci rende più forti, ricettivi al cambiamento e sicuramente rafforza il nostro Movimento. Il vostro esempio sarà da stimolo ad altre regioni, ne sono sicura! “Oggi sembra prevalere il sentimento di disincanto, incapaci come siamo di meravigliarci di fronte alla vita, alle persone, all’universo. Diamo tutto per scontato. Sappiamo invece che ogni cosa creata invia a qualcosa più in alto” (Pablo Neruda). L’uomo di oggi sostituisce lo stupore con la visione tecnica della realtà. È soprattutto lo sguardo scientifico ad aver prodotto il disincanto su tutto ciò che ci circonda, ma non possiamo restare impassibili davanti al male estremo che stiamo vedendo nei nostri telegiornali. Civili giustiziati per strada, fosse comuni. Usciamo da due anni di pandemia dove i morti erano in ogni casa, la morte da Covid è toccata a milioni di persone, ma siamo rimasti uniti, compatti. Noi cristiani il più delle volte evitiamo di schierarci, ci consideriamo cittadini del mondo, eppure da quando sono iniziati venti di guerra a noi prossimi, nel cuore stesso dell’Europa, siamo entrati in confusione, ci siamo schierati e dopo tante discussioni ci troviamo divisi, combattuti fra guerra e pace, fra difendere il più debole aggredito, al dargli addosso perché doveva farsi invadere senza mettere a repentaglio le nostre vite tranquille ormai da settant’anni. Anche noi qui a Firenze, come in altre città, dopo aver speso belle parole sull’incontro Mediterraneo di sindaci e vescovi e aver individuato che l’unica strada da percorrere per una comunità solidale è quella del dialogo ci troviamo spiazzati: come si fa a dialogare con chi non vuol dialogare? Penso che tenere il baricentro sulla linea di Papa Francesco può essere una soluzione: “ci deve essere la pace prima della vittoria”. Pensare di avere la pace dopo la vittoria aprirebbe uno scenario apocalittico che non vogliamo nemmeno immaginare. È per questo che, secondo le migliori tradizioni di Rinascita, affrontiamo l’argomento da un punto di vista teologico con Don Alfredo Jacopozzi e sociologico con il professor Andrea Spini. 15
Movimento IL POTERE E LA PAURA Ai saluti di Serena si sono aggiunti quelli dell’Assistente nazionale P.Licio Prati che ha invitato tutti a riscoprire le proprie responsabilità in questo momento storico, a risvegliare il senso dell’essere movimento per “uscire all’aperto”. Tre dimensioni sono tipiche di Rinascita Cristiana e ci aiutano a non accontentarci della nostra esperienza locale ma di aprirci 1. ad una trasformazione evangelica del nostro intimo; 2. attraverso una conversione permanente non da soli, ma insieme in comunione; 3. fino ai confini dell’umano. In questo senso interessanti suggestioni le ricaviamo dall’ottima comunicazione del sociologo prof. Andrea Spini.
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i guerra e di pace si parla da molti in molti modi; a seconda dell’esperienza concreta e di una visione della vita. Il generale dall’alto della collina ha una visione globale del campo di battaglia; non vede e non sente l’orrore dei corpi dilaniati e del sangue. Il soldato che combatte nella pianura sanguina e combatte; ma non ha la visione d’insieme e non immagina ciò che gli può accadere. Alla base di ogni conflitto, sta – da sempre – il principio del potere. A livello personale e nella storia dei popoli. “Se vuoi la pace, prepara la pace”...! E se l’altro non è d’accordo? Nessuna repubblica può imporre la propria visione politica ad altri regimi. La schiavitù è fondata sul concetto di inferiorità rispetto al potente. È mantenuta con la paura e la sudditanza. Sognare l’impero e magari realizzarlo (anche piccino, piccino)! Sul grande atlante del mondo e nei giorni della storia. Da sempre. Anche nelle mafie e nei palazzi delle nostre città, nelle bande violente di ragazzi nelle nostre strade. Fratelli non si nasce, ma si diventa. Allorché si decide di condividere qualcosa di importante della vita. I rapporti Russia-Ucraina ne sono una figura. Ma, come tutti sanno, c’è sempre un momento in cui anche tra fratelli, ognuno da grande trova e percorre una sua strada. E condivide i beni della vita, in modo nuovo; in libertà e verità. Forse dobbiamo cercar di capire bene cosa nasconda la parola “fratellanza”. Perché per costruire la pace, non bastano buone azioni, e gesti solidali. Resta essenziale crescere in una reciproca fiducia. Fondata sul principio di fraternità: lui è per me – il che è diverso da “lui è mio” -, io sono per lui. Si tratta anche di accettare l’altro, accettando noi stessi, consapevoli che nessuno può imporre e dire ad un altro come “deve” vivere. Forse anche è utile non adagiarsi nel mito della globalizzazione, e immaginare, piuttosto, ancora una volta, una convivialità delle differenze. Reciprocità del dono. E pace, dono del Risorto. Licio Prati 16
Movimento
Firenze:
giustizia e pace si baceranno di Roberta Masella
I
ntroducendo l’incontro regionale Toscana- Emilia Romagna- Liguria, P.Licio ha dato il senso di questo appuntamento: un valore anche simbolico per riprendere a camminare dopo un periodo di difficili spostamenti. Arriva, questo incontro, alla fine di un anno in cui abbiamo riflettuto sulle risorse a nostra disposizione e sulla nostra responsabilità di cristiani in uscita, per creare insieme ad altri un mondo nuovo.
Chi vogliamo essere, in questi giorni soprattutto? E come possiamo essere testimoni di pace?
A cercare il senso di queste e altre domande ci ha aiutato don Alfredo Jacopozzi, teologo. Ha esordito dicendo che il problema della pace non offre soluzioni ma solo possibili percorsi. Prima che scoppiasse la guerra in Ucraina, che tanto ci coinvolge sotto svariati aspetti, non ci siamo resi conto che la guerra è un fatto quotidiano soprattutto nel vecchio continente, che è fondamentalmente cristiano: se riflettiamo su questo, capiamo la problematicità della situazione che stiamo vivendo e quanto sia difficile controllare totalmente le reazioni di violenza, se provocati. È difficile trovare risposte ai problemi della pace, fare un discorso teorico ordinato; occorre riflettere per tentativi, cercare di avvicinarci a questo bene, che è un modo di essere. Don Jacopozzi pone queste domande: come discutere sulla pace? siamo d’accordo sulle premesse per costruirla? come porsi di fronte alle diverse posizioni? Alcuni pensano che possiamo fare solo gesti simbolici, altri che sia ormai un discorso impraticabile, mentre oggi quello della pace è un imperativo categorico: bisogna, è necessario. Dal punto di vista della fede è indispensabile pensare alla pace come a un dono, qualcosa che è più grande di noi; occorre superare i limiti che, anche a livello biblico, si incontrano nella riflessione sulla pace, perchè l’orizzonte biblico non ha niente a che vedere con i problemi di oggi. La guerra giusta non funziona più, la guerra è impensabile e lo spartiacque sta nell’era atomica in cui, come da più parti ricordato, l’umanità si può distruggere da sola. 17
Movimento La Pacem in terris al n.67 afferma che “è estraneo alla ragione ritenere che la guerra possa essere uno strumento adatto per rivendicare i diritti violati”. La pace terrena nasce dall’amore del prossimo, immagine della pace di Cristo; è il confronto con la realtà che mette alla prova la nostra idea di pace.
Come, dunque, si educa alla pace oggi?
O per necessità negativa (non si può stare senza pace per paura) o per approccio positivo (pace come accettazione dell’altro, tolleranza, lotta al fanatismo accettazione di posizioni diverse). Affrontare il problema della pace significa studiare attentamente modalità di relazioni pacificanti a tutti i livelli e riflettere sulle dinamiche di relazione, anche all’interno della comunità cristiana. Arriva a questo punto da don Jacopozzi, una riflessione spiazzante: come Dio non educa alla pace. All’interno della scrittura ci sono affermazioni problematiche: Lc 12,51 “pensate che io sia venuto a portare la pace?” o Mt 10,28 “non vi spaventate per quelli che possono uccidere il corpo, ma non possono uccidere l’anima.” Ci accorgiamo che le prospettive di pace non sono quelle che ci aspetteremmo, non tutto è da subordinare all’assenza di conflitto. La vita fisica non è il valore supremo da salvare a ogni costo; se noi il valore della pace lo basiamo esclusivamente sulla paura, non è costruttivo; la guerra, infatti, è una delle tante situazioni. La pace va riportata a un valore molto oltre rispetto a quello di una semplice opposizione. Paradossalmente il Vangelo non educa alla pace, ma ci spinge a prendere sul serio le parole di Gesù quando dice che ci lascia la pace, ma non secondo il mondo (Gv,14,27). La pace del mondo ha tanti aspetti, può essere costruita sugli equilibri, può essere una pace-quiete (assenza di tumulto), può essere una pace armistizio: tutti aspetti che si discostano dalla pace evangelica “se ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, va’ a riconciliarti con lui” (Mt 5, 23-24).
La riconciliazione è capacità di incontrare il mondo dell’altro San Paolo nella Lettera ai Corinzi (5,18-19) dice che Dio ci ha riconciliati con sé mediante Cristo; la pace del Risorto trasforma i processi, offre il dono della pace. Il cristiano, pertanto è chiamato a mettere la pace nelle situazioni del mondo, è chiamato a qualcosa di più profondo della pace del mondo. 18
Ecumenismo
L’ortodossia davanti alla guerra Intervista a Lorenzo Prezzi P. Lorenzo Prezzi teologo esperto di cristianesimo ortodosso è direttore del portale di informazione religiosa Settimananews. Riprendiamo alcuni stralci dell’intervista a cura di Pierluigi Mele. Nei giorni scorsi la testata Huffingston post ha rilanciato la notizia, presa dall’archivio Mitrokhin, che Kirill fin dai primi anni fosse un agente del Kgb. Questo spiega, forse, il forte legame con Putin? Il coinvolgimento di Kirill con i servizi segreti russi col nome di Mikhailov è oggi acclarato come dato di fatto, ma è da sempre percepito come “dato di diritto”. Difficilmente nel regime sovietico si poteva arrivare a ruoli pubblici e a interlocuzioni internazionali senza un adeguato “servizio” al Kgb. Ma sarebbe un errore giudicare il fatto a partire dalla nostra sensibilità. Piegarsi alla polizia segreta era anche lo strumento per salvaguardare un minimo di liberà e di spazio per la vita ecclesiale. Lo ha affermato in forma diretta l’ex-metropolita di Kiev, Filarete, a suo tempo concorrente diretto con Kirill per la successione ad Alessio. Interrogato sui suoi trascorsi da informatore ha risposto che quella era la condizione di tutti i vescovi e di quanti rivestivano autorità nella Chiesa. La presa sulla società nella dittatura comunista era pervasiva e l’identità ortodossa non permetteva l’esistenza di una Chiesa “sotterranea” o uno “stato di confessione” contro i poteri costituiti. Persino nella Chiesa cattolica polacca, ben più rocciosa e difendibile, i casi di collaborazionisti erano diffusi. Sono stati “pizzicati” mons. Wielgus, arcivescovo nominato di Varsavia (e subito dimessosi) e il card. Henryk Roman Gulbinowicz. I servizi di quest’ultimo sono durati oltre vent’anni. Tornando a Kirill, può darsi che abbia avuto una conoscenza diretta di Putin. Di certo la cura pastorale per l’esercito e per i servizi di sicurezza è nelle sue corde. Qualche settimana fa fece scandalo la citazione evangelica fatta da Putin sull’amore più grande per un militare: dare la vita per i propri amici. Le parole evangeliche hanno risuonato ben prima sulla bocca di Kirill a proposito del servizio militare. Veniamo al contenuto della posizione di Kirill. Quella del Patriarca è una vera teorizzazione di una autocrazia teocratica, in questo quadro quanto la religione diventa strumento del potere politico? Oppure i “due regni” sono così intrecciati che formano un unico corpo molto simile all’Iran? Più che di teocrazia parlerei con il linguaggio ortodosso della tradizione di sinfonia, di accordo fra governo civile e autorità ecclesiale. Dopo molti secoli 19
Ecumenismo Kirill sembrava in grado di riprendere il modello Bisanzio, l’accordo fra imperatore e sinodo. Nella teocrazia iraniana, la sharia è il “tutto” del potere e il versante religioso determina l’indirizzo politico. In Russia vi è maggiore spazio fra Chiesa e stato, il potere è saldamente in mano al presidente della federazione e la laicità delle istituzioni, seppur oscurata, è comunque affermata. Il segnale di una certa distanza è dato dall’evento “catastrofico” del ‘900 russo. Per Kirill è la fine dei Romanov e la rivoluzione d’ottobre. Per Putin è l’implosione dell’Unione Sovietica degli anni ‘90. Il progetto politico ed ecclesiale si integrano nel Russkij mir, nell’attesa di ricompattare il vecchio spazio sovietico con la tradizione russa-ortodossa e il suo messianismo anti- occidentale. La crisi dell’ipotesi politica potrà innestare il rifiuto del progetto religioso. Quello che sembra oggi certo è la perdita dell’Ucraina ortodossa per il patriarcato di Mosca. Non è solo il venir meno di un terzo delle parrocchie complessive del patriarcato e di un prezioso bacino di vocazioni monastiche e sacerdotali, ma soprattutto è il distacco simbolico dalla culla storica della Chiesa, la Russia di Kiev. Se Putin sta perdendo la guerra, Kirill ha già perso l’Ucraina ortodossa. Le tesi giustificazioniste sulla guerra di Kirill hanno creato scandalo nel mondo Ortodosso e non solo. Sappiamo che c’è stata la reazione di 400 sacerdoti Ortodossi che sostengono che la Dottrina del “mondo russo”, propugnata dal Patriarca, sia una eresia. In che senso? Kirill giustifica teologicamente l’aggressione all’Ucraina in nome della comune appartenenza alla fede ortodossa, aggredita dal Maligno rappresentato dall’immoralità e dalla decadenza occidentale. Si tratta di uno scontro apocalittico, del conflitto metafisico fra luce e tenebre, della necessità di evitare alla Chiesa ortodossa russa la deriva anti-evangelica delle Chiese d’Occidente. Ma l’identificazione del Regno di Dio con una etnia (russa) e le sue attuali istituzioni politiche si configura – è quanto affermano oltre 500 teologi ortodossi – come una radicale infedeltà al Vangelo. La scelta di Kirill soffoca l’originaria dimensione universalistica delle fede cristiana e costringe il popolo credente dell’Ucraina a una posizione quietista e dimissoria rispetto ai doveri di giustizia e di dignità delle persone. Per una presa di distanza dalla guerra si sono espressi 300 preti ortodossi russi (su 40.000). Oltre 400 i preti ucraini, di obbedienza russa, hanno chiesto che Kirill venga dimesso dal suo ruolo. 20
Ecumenismo Gli stessi sacerdoti, firmatari dell’appello, hanno chiesto al Consiglio dei Primati delle Chiese antiche orientali di destituire Kirill dal “trono” Patriarcale. È possibile questo? Kirill è isolato nel mondo Ortodosso? Difficile immaginare la dimissione forzata di Kirill. Nel testo dei preti ucraini il richiamo storico per dimettere Kirill è un concilio dei patriarchi orientali del 1666 che condannò il patriarca Nikon di Mosca. Non si vede oggi la possibilità che questo avvenga. E, negli statuti della Chiesa russa, il diritto di esaminare l’operato del patriarca è riservato al Concilio dei vescovi (l’assemblea che unisce tutti i vescovi). Nessun vescovo russo si è finora pronunciato contro Kirill. Anzi, sono ormai una decina quelli che ne hanno preso le difese in pubblico. L’unico che potrebbe prendere una decisione in merito, non in senso legale ma sostanziale, è Putin. È probabile che il prossimo concilio dei vescovi (previsto per l’autunno prossima) discuta della questione ucraina, ma niente suggerisce l’attesa di una delegittimazione di Kirill. La guerra segna, comunque, uno spartiacque drammatico per il mondo del cristianesimo orientale (non solo ortodosso). Sul piano ecumenico che conseguenze avrà? Si, la guerra determinerà un prima e un dopo. Tenendo presente la straordinaria ricchezza storica, spirituale e teologica della Chiesa ortodossa e della Chiesa russa in specie è possibile attendersi un periodo di profonda riflessione e sperimentazione pastorale. Probabilmente lo scisma in atto fra Ortodossia slava e Ortodossia ellenica verrà affrontato in maniera diversa e la stessa Ucraina potrebbe diventare terreno di sperimentazione positiva dentro le Chiese ortodosse e con la Chiesa cattolica di rito orientale. Per ora si può registrare una grave ferita alla testimonianza del cristianesimo nel suo insieme. Ultima domanda: papa Francesco non è troppo ottimista nei confronti di Kirill (i due sono agli antipodi)? Francesco naviga a una profondità che relativizza le pur gravi turbolenze di superficie. In ordine all’Ucraina ha messo in atto la preghiera universale della Chiesa, la dimensione della pietà popolare (consacrazione dell’Ucraina e la Russia al cuore immacolato di Maria), l’attività diplomatica della Santa Sede, le competenze teologiche, una dura condanna della guerra ma senza accuse dirette alle persone, seppur intuibili. Sa di essere attualmente l’unico riferimento credibile per l’insieme delle Chiese ortodosse e di dover assumere nel servizio petrino il peso della rappresentanza dell’intero cristiano. È una situazione inedita che non si misura sulle relazioni personali o sulle urgenze immediate della geopolitica, ma sulle correnti profonde della storia. (Settimananews, 24 aprile 2022) È recentissima la notizia che la Chiesa ortodossa ucraina del Patriarcato di Mosca chiude i ponti con Kirill e dichiara la propria indipendenza; una ulteriore ferita al dialogo ecumenico. 21
Dialogo interreligioso
Principi di Strasburgo per il dialogo interreligioso
Su iniziativa della Presidenza di turno italiana il 2 maggio il Consiglio d’Europa ha dedicato una giornata di confronto tra i leader delle principali comunità religiose presenti nel continente con esperti e rappresentanti delle istituzioni. Un momento di forte convergenza, sottolineando il ruolo delle comunità di fede per la costruzione della pace, la promozione e tutela dei diritti umani, e per contrastare ogni forma di radicalismo. Ha aperto i lavori l’ambasciatore Michele Giacomelli, a nome della Presidenza italiana (che si conclude, dopo un semestre, in questo mese di maggio) e Bjorn Berge, segretario generale aggiunto Consiglio d’Europa. Hanno preso parte all’incontro l’Osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa, mons. Marco Ganci, e numerosi rappresentanti delle confessioni cristiane, dell’ebraismo, dell’islam. È intervenuta Azza Karam, segretario generale di “Religions for Peace” e le conclusioni sono state affidate a Fabio Petito, direttore dell’Iniziativa sulla libertà di religione del Consiglio d’Europa.
ALCUNI PRINCIPI
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uolo essenziale nella vita delle persone. “Le religioni svolgono un ruolo importante nella vita delle persone, in Europa e altrove nel mondo, quale elemento integrante della loro identità di credenti e di cittadini”. È il primo dei “Principi di Strasburgo”, preparati dal Consiglio d’Europa. Una sorta di “decalogo laico” che prosegue così al secondo punto. “Approfondire la conoscenza e la comprensione della cultura e della religione dell’altro è un aspetto fondamentale della società europea contemporanea, accogliente e rispettosa delle diversità”. Terzo principio: “Una società democratica non può definirsi tale se manca il rispetto per la libertà di pensiero, di coscienza e di religione. La libertà di religione o credo rappresenta un principio cardine dei diritti umani. La presenza di norme idonee e la loro effettiva attuazione e osservanza sono premesse indispensabili per garantire una convivenza pacifica, scevra 22
Dialogo interreligioso da discriminazioni contro chiunque, indipendentemente dalla religione o credo”. Diritto per credenti e non credenti. Il quarto principio suona così: “La libertà di pensiero, di coscienza e di religione sancita dall’articolo 9 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo è un diritto fondamentale non solo per i credenti, ma anche per i non credenti o per gli indifferenti nei confronti della religione”. Quinto punto: “Il panorama religioso in Europa è in rapida trasformazione, ampliando anche gli spazi di diversità interreligiosa e intrareligiosa. Il dialogo interreligioso e interculturale pertanto contribuiscono a rafforzare la comprensione, il rispetto e la collaborazione reciproca all’interno delle società europee”. Il dialogo interreligioso, si legge al sesto punto, “anche tra leader religiosi e credenti, fondato sul rispetto della dignità umana, dei diritti umani e delle libertà fondamentali, dei principi democratici e dello stato di diritto, si rende necessario per contrastare discorsi di odio e discriminazione, e per promuovere il rispetto reciproco, la riconciliazione e la pace”. Radicalismo ed estremismo. Il settimo punto tocca un altro aspetto di estrema rilevanza: “il radicalismo e l’estremismo religioso sono incompatibili con una corretta comprensione e pratica della religione. Questi ultimi strumentalizzano la religione per secondi fini, provocando atti di violenza e conflitti. Tuttavia, tale violenza colpisce tutti i membri della società. Pertanto, pur condannando e contrastando tutti gli atti di violenza, tra cui quelli perpetrati in nome della religione, è necessario evitare la stigmatizzazione di intere comunità religiose”. Un ulteriore principio afferma: “La libertà di pensiero e di espressione comprende il diritto alla critica nei confronti di determinati aspetti delle religioni”,“ma sempre nel rispetto dell’altro e dell’ordine pubblico. La Corte europea per i diritti dell’uomo riconosce la discrezionalità delle autorità nazionali nel trattare questioni sensibili a questo riguardo secondo modalità che tengano conto dei contesti e delle complessità culturali e storiche locali, necessarie in una società democratica”. Il ruolo delle istituzioni politiche. Tutti i temi ripresi nei “Principi” sono stati ampiamente dibattuti nel corso del convegno. Il nono punto afferma: “Nell’esercizio del suo potere normativo nei rapporti con le varie religioni, confessioni religiose e credi, lo Stato è tenuto a rimanere neutrale e imparziale, astenendosi dallo schierarsi da una parte o dall’altra in dispute che presentino elementi di natura religiosa o confessionale”. Infine, decimo elemento: “In caso di conflitti di natura religiosa, il ruolo delle autorità politiche è quello di cercare soluzioni ai sensi di legge, invitando le comunità religiose a rispettare la legge e a rispettarsi vicendevolmente. In tali circostanze la soluzione non può risiedere nella discriminazione o nel negare il godimento di diritti umani e libertà fondamentali”. 23
Chiesa italiana
Chiesa italiana
Responsabilità e cura della biodiversità
a cura di Francesca Sacchi Lodispoto
I
l 20 maggio si è tenuto il diciottesimo Seminario nazionale sulla custodia del creato a cura di due uffici della CEI: quello per i problemi sociali e del lavoro e quello dell’Ecumenismo e dialogo interreligioso. Una occasione ricca per approfondire quanto il tema della tutela della biodiversità sia importante nell’attuale sfida della transizione ecologica. Come suggerito all’inizio dei lavori dal direttore dell’Ufficio della Pastorale del lavoro don Bruno Bignami Dio quando crea differenzia moltiplica le diversità e il mondo appare come una serie di differenze e molteplicità collegate tra loro. Non esiste vita che nasca dalla monotonia e San Basilio ricordava come il mondo sia unito da un’unica simpatia universale. Non esiste vita che nasca dalla monotonia, tuttavia la Laudato sii al n. 33 denuncia l’azione dell’uomo quale causa della scomparsa della biodiversità. Dobbiamo oggi evitare di parlare solo di clima ed educare l’uomo a non essere più predatore per non divenire preda dei suoi stessi errori: le culture intensive, gli agenti inquinanti, la pesca intensiva. Il predare la natura rende alcuni territori inabitabili, crescono allergie e malattie. La guerra che stiamo vivendo blocca la transizione ecologica, spingendo solo sul versante della transizione energetica perché il tema dell’energia tocca il nostro portafoglio. Occorre quindi conoscenza e consapevolezza per assumere responsabilità e occorre, come suggerisce il teologo don Pietro Lorenzo Maggioni aprire percorsi di riflessione. Impossibile riportare la ricchezza della sua conferenza che rileggendo il libro della creazione ci fa rivivere la mistica ebraica, i segni sviluppati dai Padri della Chiesa fino ai numeri 84-86 di Laudato Sii e 32; 35 di Querida Amazonia. 24
Chiesa italiana Importante la relazione tra scienze umane e teologia già presente nella dimensione etica, salvifica e medicinale degli erbari e bestiari medioevali: Ricordando poi la lezione di Teylard De Chardin che suggerisce che ogni aspetto della realtà ci rimanda alla presenza di Dio nel cosmo. Ogni cosa è segno di una realtà più grande e in evoluzione come nel Vangelo il seme di senape e il lievito. Infine l’invito a recuperare il senso della trasfigurazione: noi possiamo vedere in anticipo cosa sarà il mondo alla fine dei tempi e questo ci impedisce di chiuderci nella nostra esperienza solo di cattolicesimo romano. Oggi siamo al centro del dibattito scientifico per un nuovo umanesimo. Il Prof. Mario Marchetti ci ha detto che siamo nella settima estinzione di massa della biodiversità, sulla terra, nel mare e nelle foreste. Assistiamo oggi a fenomeni catastrofici in luoghi inaspettati e sappiamo poco ancora del mare, del suo inquinamento e di alcune specie invasive. Dobbiamo riuscire a modificare questo andamento. Ma come rendere attente le comunità locali in questi fenomeni? Come intervenire? È questo l’interrogativo posto dalla giornalista Nicoletta Dentico che ha insistito sul potere trasformativo delle comunità. Il covid ha riportato la salute al centro del dibattito pubblico e c’è un nesso stretto tra la biodiversità e la salute, questo nesso è il migliore antidoto al cambiamento climatico. Durante la pandemia abbiamo proclamato che nessuno doveva essere lasciato indietro; non è stato vero e mai come oggi lasciamo indietro intere popolazioni. Le relazioni di questo seminario sono a disposizione sul sito: www.lavoro. chiesacattolica.it
Giornata del creato: La guerra distrugge la terra e limita la distribuzione del cibo Il messaggio della Cei per la prossima Giornata del creato invita a tornare al “gusto del pane”, un dono di cui dobbiamo essere grati. “Chi non è grato non è misericordioso. Chi non è grato non sa prendersi cura e diventa predone e ladro, favorendo le logiche perverse dell’odio e della guerra. Chi non è grato diventa vorace, si abbandona allo spreco, spadroneggia su quanto, in fondo, non è suo ma gli è stato semplicemente offerto. Chi non è grato, può trasformare una terra ricca di risorse, granaio per i popoli, in un teatro di guerra, come tristemente continuiamo a constatare in questi mesi”. Il tema su cui si articola il messaggio è: “Prese il pane, rese grazie” (Lc 22,19). L’intero messaggio è a disposizione su www.chiesaitaliana.it Francesca Sacchi Lodispoto 25
Formazione
Formazione
Nella realtà di oggi il clima di speranza
a cura di Giovanna Cecchini Incontro di fine anno a Bergamo con una relazione di Mons. Antonio Donghi
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n tema oggi molto sentito e approfondito è quello sulla speranza, anche se parlarne oggi con le notizie atroci di guerra l’ideale sarebbe il silenzio, perché la realtà del momento è molto complessa. Questo il tema sviluppato nell’incontro dei gruppi di Bergamo con Mons. Antonio Donghi. Negli ultimi studi sul rapporto tra annuncio della fede e realtà storica in cui viviamo, si pone un grande interrogativo: che senso ha la fede nella cultura di oggi? La cultura di oggi evidenzia tre angolature problematiche: a) Mancanza nell’uomo dei valori fondamentali per divenire vero uomo; b) Mancanza di trascendenza; c) Incapacità di cogliere il mistero di Dio non in stile devozionale, ma come modo di concepire la vita. Noi veniamo da una cultura di cristianità di tipo rituale dogmatico, oggi quando si parla di esperienza cristiana si intende uno stile di vita, di tipo esistenziale mistico nel quale è presente la speranza di riuscire a entrare in relazione con l’uomo guidati da Cristo, come ci insegna in “Gaudium et Spes” il Concilio Vaticano II. La speranza si può ritrovare approfondendo chi sia l’uomo, ma in particolare chi sia Gesù. Se negli anni conciliari il grande sconosciuto era lo Spirito Santo, oggi è Gesù il grande sconosciuto, l’incomprensibile. È impossibile giungere alla completa identità di Gesù, ma in questo sta l’avventura della fede che genera apertura alla trascendenza. Il primo passo verso la trascendenza è trovare il gusto del bello, è per questo che l’uomo è dotato di fantasia: l’arte, la musica, la poesia portano l’uomo a spaziare nella bellezza. La grande visione della teologia contemporanea è dunque trovare anche il senso della bellezza. Interessante ad esempio è andare di chiesa in chiesa per gustare attraverso la tipologia architettonica iconografica il senso del bello. La trascendenza è vivere la storia concreta con i grandi ideali, di cui l’uomo moderno è carente, non perché non li desideri, ma perché spesso non li respira, non li coglie. Lo stesso incontro con la chiesa spesso non è di trascendenza, che invece risulta facile cogliere nell’esperienza delle chiese del I° millennio e, al giorno d’oggi anche se con certi limiti, nelle chiese bizantine, che ti fanno respirare l’infinito attraverso l’iconografia. L’uomo di oggi, ormai da tempo, ha dimenticato la parola “salvezza”, perché non ritiene di dover essere salvato, gli manca la coscienza del proprio limite storico, mentre è attraverso la consapevolezza dei limiti che si riesce a coglie26
Formazione re con umiltà l’annuncio della salvezza. È questa consapevolezza che porta a ricercare l’appoggio certo, a cogliere l’esigenza della presenza di Dio nel cuore, ad avvertire il desiderio di spiritualità e di armonia esistenziale, che ci vengono donati nell’Eucarestia, dono di salvezza. L’altro aspetto che rende oggi difficile il cammino è il senso dell’universalità: la nostra chiesa europea e latino-americana è anche africana e asiatica? Questa apertura significa ricercare il dialogo interreligioso e interculturale. È interessante chiedersi “perché Gesù è nato in Palestina?” Attraverso lo studio delle filosofie si sa che non esiste filosofia ebraica: Gesù ha scelto un luogo che fosse aperto a tutte le culture. Oggi credere risulta difficile a causa di una cultura antropologica con due fenomeni interessanti: a) Trans-umanità o trans-umanizzazione: la cultura robotica che sta distruggendo l’uomo non solo da un punto di vista lavorativo, ma anche psicologico. b) Ecologismo: non più la bellezza del creato come canto al Creatore, ma il creato come salvaguardia dell’uomo. Interessante è il libro di Giobbe: davanti al pessimismo imperante si innalza il canto al creato e il problema di Giobbe si risolve gustando la bellezza di Dio. La teologia contemporanea ci dice che possiamo costruire un mondo nuovo attraverso la speranza radicale. Si parla molto di fede, di carità, poco di speranza. È interessante come l’uomo abbia scoperto la speranza partendo da radici ebraiche. Negli Atti degli Apostoli: “erano un cuor solo e un’anima sola ” dove ciascuno porta un mattone per la costruzione di una società nella giustizia. È il principio comunista con l’idea della giustizia universale, ma questo è il grande ideale che non ha ancora trovato compimento e ne sono chiara espressione i fatti di questi giorni. Come si può allora ritrovare questa speranza? Realizzando la giustizia cantando la bellezza. S. Paolo (lettera ai Colossesi e lettera ai Tessalonicesi) dice: “rendo grazie a Dio per la fede in Gesù Cristo, per la carità che avete verso tutti i Santi in attesa della speranza che vi aspetta nei cieli “. Quindi la Speranza è la capacità di vivere il mistero della vita, ecco perché si parla di speranza radicale. Mentre la speranza psicologica “speriamo che tutto vada bene” è l’illusione storica. S. Paolo esprime anche nella lettera ai romani il concetto di Speranza, che papa Benedetto ha ripreso nel titolo della sua enciclica Spe Salvi= siamo salvi nella Speranza. L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori, quindi la Speranza è la consapevolezza del Dio che opera nella nostra esistenza e diventa uno stile di vita. L’uomo ha bisogno di sperare ritrovando in sè stesso il mistero della sua esistenza, elaborando il vero annuncio del vangelo:” la vita ha vinto la morte”. 27
Formazione Questa è la speranza viva nel dramma della storia dell’uomo e, anche se siamo immersi in problemi reali, non possiamo non vivere. La bellezza dell’essere cristiani è che la vita è un grande valore, è credere che Dio ci fa dono della grazia di una relazione divino-umana per costruire un’umanità in cui si scopre la grandezza di essere uomini, è sapere che Dio parla attraverso la storia per rendere fecondo il presente. Tuttavia nell’uomo c’è trepidazione, ha paura della vita per l’incertezza del domani: mentre la bellezza è costruire la vita attraverso una visione corretta della storia, cogliendo i valori ereditati dal passato, incarnandoli nell’originalità dell’oggi, per porre i fondamenti del domani. Inoltre Dio ci ha regalato la sua presenza e la bellezza della Speranza: io sono con voi tutti i giorni fino alla fine dei tempi, e ogni volta che andremo all’Eucarestia noi siamo contemporanei con Lui. Stiamo vivendo gli orrori della guerra e si ha difficoltà ad avere Speranza e si fa pressante l’interrogativo di cosa vuol dirci Gesù attraverso questo momento storico. Questa guerra nasconde anche il dramma religioso: il mondo cristiano orientale è legato allo stato, le chiese ortodosse sono autocefale. Quando tre anni fa il Patriarca di Costantinopoli rese la chiesa ucraina autonoma, Putin e il Pope Cirillo volevano poter conquistare quella chiesa autocefala. Guerra oggi molto forte, guerra crudele! Per noi oggi l’uomo di Speranza è Abramo che credette sperando contro ogni speranza. Abramo l’uomo che vive solo di fede deve essere la chiesa di oggi, capace di sentire nella liturgia, in particolare nell’Eucarestia, la presenza di Cristo che assorbe il dramma dell’umanità e lo presenta al Padre. In questo contesto storico quale senso ha il Sinodo? a) Scoprire la bellezza del cuore umano b) Far ritrovare un Gesù che si incarna nell’uomo storico con tutte le sue povertà materiali e spirituali c) Scoprire l’amicizia di Gesù d) Dare speranza anche alla chiesa: se la fede è relazione, questa implica l’ospitalità. La vita della chiesa è dunque dare ospitalità, che significa dire all’altro “qui sei in casa tua”. La bellezza dell’ospitalità la si riscontra in Maria che dà ospitalità al Verbo e a sua volta il Figlio la rende ospite del Paradiso. Nell’Eucarestia diamo ospitalità a Gesù, siamo nella speranza che niente ci separerà dall’amore di Cristo. Il dramma di oggi è che conosciamo un Gesù artificiale e non lo si conosce per la sua umanità, la sua sensorialità e così si perde la bellezza di un Gesù che attraverso il suo vivere regala libertà all’uomo: amiamo dunque essere uomini e donne in Gesù per essere persone di speranza. 28
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Sentieri di speranza percorsi di pace
di Licio Prati
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a Civiltà Cattolica, in questi mesi di guerra, sta dedicando una serie di studi ed offre competente informazione, analisi storica, sociale, economica e geopolitica alla guerra in Ucraina. Nel numero del 5/19 marzo rilegge la storia sociale ed economica delle repubbliche sovietiche nell’articolo Trent’anni fa finiva l’Unione Sovietica; gli eventi che portarono a quello storico cambiamento e quelli nati da allora. Erano i giorni di Gorbaciov - sua visita a Giovanni Paolo II il 1° dicembre 1989 - e della caduta del muro di Berlino. Il 1° maggio 1991 per commemorare il centenario della Rerum Novarum di Leone XIII, il papa pubblicò la sua terza enciclica sociale Centesimus annus. L’autore dell’articolo (il gesuita Fernando de la Iglesia Viguiristi) annota come il papa, difronte agli eventi di portata universale che dal 1989 si succedevano nei paesi dell’Europa centrale ed orientale si sia espresso con equilibrio, competenza e chiarezza. E sottolinea una serie di affermazioni dell’enciclica che riportiamo per aiutare una comune riflessione ed un riferimento alla dottrina sociale della Chiesa.
Nella Centesimus Annus Giovanni Paolo II affermò:
• che il fattore decisivo della caduta dei regimi oppressivi era stato la violazione dei diritti del lavoratore (cfr. CA 23); • che l’inefficienza del sistema economico andava considerata come una conseguenza della violazione de diritti umani all’iniziativa privata, alla proprietà e alla libertà nel settore dell’economia (cfr. CA 24); • che è provato come il libero mercato sia lo strumento più efficace per collocare le risorse (cfr. CA 34); • che c’era il rischio che si diffondesse una ideologia radicale ultraliberale, che confidava ciecamente solo nelle forze del mercato (cfr. CA 42); • che credere che la disfatta del socialismo lasci il capitalismo come unico modello di organizzazione economica non è accettabile (cfr. CA 35); • che la dottrina sociale della Chiesa riconosce la positività del mercato e dell’impresa, ma indica al tempo stesso che essi devono orientarsi verso il bene comune (cfr. CA 43); • che l’economia di mercato non può svolgersi nel vuoto istituzionale, giuridico e politico, e che lo Stato può svolgere funzioni di supplenza in situazioni eccezionali, giustificate da ragioni urgenti che interessano il bene comune (cfr. CA 48). 29
Opinioni a confronto
Opinioni a confronto
Revisione di vita sulla guerra Russia-Ucraina
L’
impensabile è accaduto, la decisione inimmaginabile qualcuno l’ha presa e ci troviamo a confrontarci con la tragica realtà della guerra. La condanna è totale, i sentimenti sono di incredulità ma anche di rabbia e di impotenza. Lo stupore e lo sconcerto sono accresciuti dal pensiero che tutto questo accade dopo due anni difficili dai quali abbiamo vagheggiato di uscire migliori, con una nuova consapevolezza e nuovi progetti. Su questo abbiamo riflettuto nei nostri gruppi in questi due anni, coltivando la speranza in un futuro incerto e tutto da costruire, ma per il quale speravamo di mobilitare tante energie positive. L’invasione armata di una terra e di un popolo, l’aggressione di civili inermi in spregio di ogni forma di diritto e di umanità ci ha sbalzato di colpo indietro di decenni e ci toglie ogni prospettiva di futuro. Come sarà il mondo alla fine di questa nuova catastrofe, come ci libereremo dai germi di odio e di violenza che sono stati disseminati? Le immagini di distruzione e di morte che scorrono senza sosta davanti ai nostri occhi producono un fortissimo impatto emotivo su ciascuno di noi, ci sembrano anacronistiche e assurde in questo lungo tempo di pace in cui abbiamo vissuto. Ma queste immagini ne richiamano altre che pure non ci erano state comunicate con la stessa crudezza e insistenza (pensiamo alla Siria, alla Libia, e allo Yemen o altre ancora meno recenti, archiviate come ricordi sfocati: Sarajevo, l’Iraq), e tutte ci portano alla stessa conclusione: ogni guerra è orribile, in ognuna si ripetono la stessa insensatezza e disumana ferocia, in ognuna muore ogni forma di pietà. Mentre l’Europa viveva in pace, vicino o lontano dai nostri confini hanno continuato, e continuano tuttora, a scontrarsi gli interessi e la volontà di potenza dei più forti e ad arricchirsi i produttori e i mercanti di armi. “È questa logica basata su rapporti di forza e di egemonia che porta alle guerre; finchè questo copione atavico e primitivo, riattivato sia dai regimi autoritari e dispotici sia dalle democrazie, governerà il mondo, ogni discorso di pace sarà bollato come utopistico e fuori dalla realtà”. “Di fronte al commovente movimento di solidarietà che si è attivato nel nostro paese mi chiedo: e gli altri profughi? E gli immigrati sulle navi che vagano nel Mediterraneo in attesa di approdare in un porto sicuro? E che dire dei profughi della rotta dei Balcani lasciati a morire nel gelo ai confini della Bielorussia?” Si vivono ripercussioni a livello personale: “Ho provato un’enorme rabbia e dolore per l’assurdità della situazione. Ho scoperto di non essere pacifista come pensavo. Sono obiettrice fiscale contro le armi e ora mi chiedo: cosa sono veramente? Superata questa fase, ho pensato che quello che manca è la 30
Opinioni a confronto creatività, la capacità di trovare soluzioni geniali che portino alla pace. Se fossi libera da vincoli, vorrei trasformare il mio pacifismo in progetti e partire per l’Ucraina per compiere azioni non violente”. Per alcuni è un dovere morale inviare aiuti militari a un popolo che si difende da una guerra di aggressione; per altri, l’imperativo è salvare vite umane, attivare tutti i canali possibili per giungere a un negoziato; altri si dibattono fra il livello dei principi e quello della realtà. “Provo un profondo sentimento di rabbia nel constatare che le persone non contano niente e che siamo costretti a subire giochi che avvengono sulle nostre teste; provo un profondo pessimismo rispetto a quello che potrà accadere in futuro”. Risuonano in ognuno di noi le parole inascoltate di papa Francesco, che richiama la politica internazionale “che ha scelto Caino” alla sua responsabilità; unica voce che grida nel deserto e che cade nel vuoto, sommersa dal frastuono di un’informazione che va da un’altra parte. Dunque dobbiamo arrenderci all’idea che la pace e la riconciliazione sono principi nobili ma fuori dal mondo che mai potranno incrociarsi con la realtà? Camminiamo come i discepoli di Emmaus oppressi dalla delusione e dal pessimismo per le proporzioni del male che ancora una volta si abbatte sulle aspirazioni umane di giustizia di pace, e cerchiamo di riconoscere l’Invisibile che cammina al nostro fianco perché spezzi il pane con noi. Ci chiediamo perché “il Signore non pone fine al male, alle nostre tragedie personali e collettive tanto che dopo duemila anni siamo qui a porci le stesse domande”. “Il peccato dell’uomo provoca il dissesto del mondo”, rispondeva mons. Mori anni fa. E aggiungeva: “La rivelazione cristiana annuncia che la pace è possibile, ma che essa è un dono di Dio affidato agli uomini: “beati i costruttori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio” (Matteo, 5,9); anzi la pace è una persona, il Cristo Gesù, incarnato fra di noi. Operare per la pace, credere nel trionfo della pace non è un’utopia, è l’incarnazione di una fede adulta e responsabile”. Serve una rivoluzione culturale a cui ognuno può e deve contribuire con fede e creatività: “il modo dei credenti di vivere e affrontare la storia, deve diventare una sfida, la testimonianza eloquente che la pace è possibile, ed è per questo mondo”. Facciamo nostre queste parole così attuali di Mori, preghiamo per la pace e invochiamo il Signore: liberaci dal male! Gruppo Fergnani, Ferrara
Ciò che pace non è
I
n questi giorni difficili, cupi e tristi, che alle soglie dei miei ottant’anni mai avrei creduto di dover vivere, tanti di noi avranno ripensato al cinico detto latino: “si vis pacem, para bellum”, che i lunghi anni della guerra fredda sem31
Opinioni a confronto bravano in qualche modo aver confermato. Perché se la guerra fredda non è mai diventata davvero calda è stato perché si è retta sull’equilibrio del terrore, che le armi nucleari in qualche modo garantivano. Ora tuttavia ci accorgiamo di quanto questo equilibrio possa essere fragile e siamo obbligati a ripensare al nostro stesso concetto di pace e a rielaborare il motto latino: “se vuoi la pace, prepara la pace”. Nell’editoriale dell’ultimo numero di Rinascere è stato scritto con chiarezza “Non è possibile invocare la pace solo nei momenti di emergenza: la pace va costruita, è un lungo processo da costruire nel tempo”. Ora, costretti a guardare come in uno specchio rovesciato il ripetersi dello schema che ottanta anni fa ha portato alla seconda guerra mondiale (gli accordi di Minsk come gli accordi di Monaco, l’annessione della Crimea come quella dell’Austria, il folle progetto di un Impero che elimini le infezioni democratiche) torniamo ancora una volta a domandarci con quali strumenti costruirla. Le organizzazioni internazionali, gli accordi, i trattati sembrano essere “pezzi di carta” per Putin come per Hitler e le esortazioni al dialogo si infrangono sotto le bombe. Ben vengano dunque tutte le marce e le bandiere multicolori, meglio ancora gli aiuti concreti, in termini di beni di prima necessità e di versamenti economici, ma evidentemente non bastano e al senso di impotenza forse possiamo sfuggire cercando almeno di sgombrare la mente da false e fuorvianti immagini di pace.
La pace è un dono impegnativo
Se la pace è un dono di Dio, questo non vuol dire affatto che possa scendere dal cielo per miracolo: come tutti i doni del Dio incarnato, di Cristo, la pace è dono impegnativo che va riscoperto e reinventato e vissuto e storicamente coniugato da uomini di buona volontà in ogni epoca storica e dunque dovremo fare uno sforzo per chiarire a noi stessi oggi, nella situazione concreta in cui nostro malgrado ci troviamo, che cosa intendiamo invocare con la parola pace. Spesso, nella vita quotidiana, la usiamo in modo riduttivo e impaziente: quale genitore esasperato, o quale figlio desideroso di autonomia non ha detto “ma lasciatemi in pace!”? Ecco, questa è proprio la tentazione a cui dobbiamo sottrarci: vorremmo essere “lasciati in pace”, e tutte le considerazioni pretestuose con cui soppesiamo torti e ragioni dell’aggressione all’Ukraina non hanno in fondo che questa umanissima aspirazione: essere lasciati in pace a coltivare le nostre virtuose indignazioni, magari i nostri sterili sensi di colpa e le nostre nobili aspirazioni, timorosi che il nostro benessere venga messo a repentaglio.
La pace non è rinuncia ai propri valori
Ma una pace costruita sulla sottomissione alla prepotenza, sulla rinuncia ai propri valori di convivenza civile è un’illusione pericolosa. Di fronte a chi considera la democrazia un’infezione contagiosa rivendicarne i valori non è 32
Opinioni a confronto arroganza culturale: è un servizio doveroso alla verità storica e all’umanità. Ricordiamoci che Churchill agli Inglesi costretti ad affrontare la seconda guerra mondiale non promise una facile e rapida vittoria ma “lacrime e sangue”; speriamo tutti che non debba essere ancora così, ma equiparare l’aggressore all’aggredito non è la strada migliore per costruire la pace e riconoscere le ragioni di qualcuno non vuol dire dargli ragione. Non aveva forse ragione Hitler a sostenere che la Germania era stata mortificata dalle clausole di pace della prima guerra? Certo che aveva ragione. E non era in fondo possibile vivere in una Germania che ritrovava dignità e prosperità economica? Certo che era possibile: bastava non essere ebrei, non essere omosessuali, non essere zingari, non essere neri o anche solo un po’ scuri, non avere grilli per la testa come voler dire, scrivere e rappresentare le proprie idee e si poteva vivere benissimo, sempre che si riuscisse a ignorare il vicino di casa portato via di notte perché colpevole di tendenze pericolose. La pace non si costruisce sulla sordità, sulla cecità e sulla menzogna, ma cercando di guardare in faccia la realtà, per quanto sgradevole possa essere e di non assuefarsi, con il contributo dei mass media, a considerare la guerra una “normalità” purché si svolga altrove. Non c’è pace senza giustizia, non c’è pace senza verità, non c’è pace senza libertà, non c’è pace senza democrazia e se questo vuol dire che la pace “perpetua” a cui già aspirava Kant nel settecento non sarà mai una conquista definitiva per una umanità in cammino, forse il compromesso alto e nobile a cui siamo chiamati è quello di riconoscerlo senza rinunciarci. Giovanna Hribal
“Mai più la guerra” (Giovanni Paolo II)
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ette volte suonava la sirena! Poi si sentiva il rombo degli aerei; avanzavano con una cadenza uguale, si capiva che portavano il peso delle bombe che avrebbero sganciato su bersagli prestabiliti. Avevo cinque anni e non ho dimenticato! Così come non si è cancellato dalla mia mente l’orrore di una tradotta militare bombardata, i corpi dei soldati sui binari e la nostra corsa nei campi in cerca di un riparo. Il nonno mi teneva per mano. E ricordo il rosario che ogni sera recitavamo in ginocchio, tutti insieme, grandi e piccoli, perché quell’eccidio finisse e mio padre tornasse dal fronte. I bambini ucraini mi ricordano la mia infanzia. Sono bambini! Dimenticano presto! Non è vero! La guerra è un’esperienza che lascia il segno. Il bambino non pensa al pericolo immediato: muoiono gli altri, io no! La mia famiglia, no! Mio padre tornerà sano e salvo, e tutto sarà come prima. In momenti come questi riaffiora il ricordo di quel mucchio di scarpette di bambini che ho visto ad Auschwitz. 33
Opinioni a confronto La guerra è un’esperienza che non si può dimenticare, il ricordo ti cattura quando meno te l’aspetti. Ogni volta che gli esseri umani dimenticano secoli di progresso, di storia, e si comportano come belve, sono sordi alla voce di Cristo. Non ho avuto la forza di visitare la soffitta dove si nascondeva Anna Frank. Gli orrori delle guerre passate non ci hanno insegnato niente. È proprio vero, “sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo…“. Cristo è venuto invano? Non ci stancheremo mai di crocifiggerlo? Carmen Ruggiero
RICOMINCIARE… RINASCITA CRISTIANA UNA SCUOLA DI FRATERNITÁ, DI CAMMINO SINODALE E DI PACE Con questi obiettivi dopo due difficili anni di pandemia diamo inizio al lavoro dei nostri gruppi in presenza. I mezzi tecnici ci hanno aiutato a tenerci in dialogo costante, ma la comunità si crea guardandosi negli occhi. Gli anni difficili non sono finiti: la guerra in Ucraina, le guerre nel mondo, i disastri naturali, la fame e le malattie ci suggeriscono che è urgente un’educazione alla PACE e alla GIUSTIZIA. SU QUESTI TEMI IL CONSIGLIO NAZIONALE DEL 10 GIUGNO HA DECISO UN PIANO DI LAVORO PER L’ANNO 2022-2023. Per approfondire il lavoro del prossimo anno i Responsabili nazionali e locali e tutti quelli che lo desiderano sono invitati al
CONVEGNO DI APERTURA DELL’ANNO Roma, 24-25 settembre 2022 Casa Maria Immacolata – Via Ezio, 28 I posti sono limitati ma cercheremo di accontentare tutti! Per l’iscrizione telefonare il prima possibile alla Segreteria di Rinascita Cristiana dal martedì al giovedì ore 9,30-14,00 o inviare una mail. Tel. 06.6865358 e-mail: segreteria@rinascitacristiana.org 34
Incontro da Reggio Emilia con Brunetto Salvarani
di Paola Zelioli
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bbiamo concordato nei gruppi di Reggio Emilia un incontro di dialogo con un teologo quasi conterraneo nostro, apprezzato amico di Rinascita, quasi a conclusione del percorso di quest’anno, durante il quale ci hanno condotto le meditazioni sul Vangelo di Luca e una ricerca su come intendere la dignità dell’uomo. Ci ha spronato il sogno di condividere il viaggio di Gesù verso Gerusalemme con gli uomini del nostro faticato quotidiano, perché “ci arde il cuore, come a Cleofa e al suo compagno di viaggio sulla strada di Emmaus e coltiviamo il sogno di condividere”. “Dove è arrivato, dove arriva il viaggio di Dio nella ricerca dell’uomo?” Durante i nostri incontri spesso abbiamo gioito per la misericordia di Dio e ci siamo amareggiate per l’immagine di un Dio ancora presente nel nostro immaginario di “persone di Chiesa” moralista, troppo etico, lontano dalla storia. È stato così che ci siamo rivolte a Brunetto per indagare sulla “teologia per tempi incerti”. (La recensione di questo volume è stata pubblicata su Rinascere n. 1/2 – 2022). A partire dalla pandemia ci siamo disorientati, è crollato l’equilibrio delle nostre sicurezze, si è aperta una sfida nuova: siamo fragili, possiamo ancora confidare su un Dio “omnii”? La lettura della Parola può essere un punto di partenza per reinventare il Cristianesimo oggi in questo tempo segnato dalla fine della cristianità? La Bibbia come straordinaria scuola di umanità e di fragilità: “Viviamo una fede debole” (Garelli), avvertiamo il desiderio di camminare insieme alla presenza di Dio, in dialogo, in relazione con tutti i nostri compagni di viaggio. In un quadro culturale così mutato anche la teologia è chiamata a rappresentarsi con un linguaggio nuovo, libero da dogmatismi, fuori dai recinti del sacro. Dialogo e ascolto, teologia del popolo di Dio, intesa come presenza di Dio che cammina con il suo popolo, sono le prassi che possono guidare per ripartire senza chiudersi nelle certezze del passato, per testimoniare che il Vangelo è possibile. Durante l’incontro una di noi ha rivolto a Brunetto un invito a ritornare a Giona, o la fragilità dell’esistenza. Giona testardo, raffigurazione delle nostre contraddizioni ci offre un racconto di misericordia, di universalismo della salvezza, è sempre ricercato dal Signore: “Difficili essere latitanti quando si è cercati da Dio” (Erri De Luca). E Gesù è fragile? In questo nostro mondo segnato da un desiderio di potenza vogliamo scoprire la presenza del volto di Dio che in Gesù si è fatto povero e sofferente: “Uno dei massimi bisogni da parte di Dio è quello di condividere la fragilità del creato e dell’uomo” (Paolo De Benedetti). Un’amica ci ha suggerito di leggere la fragilità di Gesù con le parole di Paolo Ricca teologo valdese: “Che cosa dobbiamo intendere, propriamente, per «Dio debole»? Che Dio è quello che chiamiamo «debole»? La risposta non è difficile e l’abbiamo già anticipata: il Dio debole è il Dio crocifisso che costituisce, insieme alla risurrezione, il cuore della rivelazione cristiana. Ma la debolezza di Dio si era già manifestata il giorno in cui Gesù nacque da una ragazza madre di nome Maria, da Nazareth: nulla al mondo, come sappiamo, è più fragile di un neonato; è totalmente dipendente da altri e lasciato a se stesso sopravvive soltanto per poche ore. Così la debolezza di Dio non caratterizza solo la fase finale del ministero terreno di Gesù, ma anche quella iniziale. È come se Dio avesse voluto che l’itinerario terreno di suo Figlio fosse racchiuso in due esperienze di debolezza radicale: la nascita e la morte.” E per concludere il nostro percorso siamo approdati alla fragilità della Chiesa di cui facciamo parte tutti noi chiamati ad essere la comunità dei seguaci di Gesù. “Solo chi riconosce la propria fragilità, il proprio limite, può costruire relazioni fraterne e solidali, nella Chiesa e nella società” (Papa Francesco).
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La perdita di foreste e boschi implica allo stesso tempo la perdita di specie che potrebbero costituire nel futuro risorse estremamente importanti, non solo per l’alimentazione, ma anche per la cura di malattie e per molteplici servizi. (Laudato Sii, 32)
Rinascere Periodico bimestrale di informazione e di collegamento del Movimento Rinascita Cristiana Via della Traspontina, 15 - 00193 Roma - Tel. 06.6865358 - Fax 06.6861433 - segreteria@rinascitacristiana.org www.rinascitacristiana.org - c/c postale n. 62009485 intestato a Movimento Rinascita Cristiana Direttore Responsabile: Francesca Tittoni Comitato di Redazione: Francesca Carreras, Maria Grazia Fergnani, Giovanna Hribal, Alberto Mambelli, Roberta Masella, Gege Moffa, Elvira Orzalesi, P. Licio Prati. Stampa: La Moderna srl - Via Enrico Fermi, 13/17 - 00012 Guidonia (Roma) – tel. 0774.354314 Autorizzazione del Tribunale di Roma N° 00573/98 del 14/12/98 Finito di stampare nel mese di Giugno 2022