Rinascere n. 1 e 2 anno 2020

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Rinascere Bimestrale - anno 22 - n° 1/2 gennaio/aprile 2020

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n Licio Prati Oltre le barriere la forza del Vangelo

n Renzo Seren Una scelta di campo contro l’indifferenza

n Francesca Sacchi Lodispoto Querida Amazonia quattro sogni di papa Francesco

n Paola Romano Donne di fede nelle tre religioni monoteistiche spettatrici o attrici?

n Piergiuseppe Accornero Ecumenismo bilancio di 60 anni

n Maria Grazia Fergnani Piano di lavoro il futuro dipende da noi

n Pierluigi Grasselli SussidiarietĂ , beni comuni partecipazione democratica

n Gege Moffa Donne e chiesa un rapporto difficile

n Roberta Masella Il Seminario biblico-teologico

n Rinascita Cristiana ricorda Card. Prosper Grech Francesco Novelli

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Rinascere N. 1/2 gennaio/aprile 2020 n  EDITORIALE

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Uno sguardo sul nostro lavoro di Francesca Sacchi Lodispoto n  CHIESA NEL MONDO

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Querida Amazonia di Francesca Sacchi Lodispoto n  CHIESA ITALIANA

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Mediterraneo frontiera di pace di Roberta Masella n  SOCIETÁ

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Sommario

Una scelta di campo contro l’indifferenza di Renzo Seren

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Sussidiarietà, beni comuni democrazia di Pierluigi Grasselli

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Il futuro negato a cura di Francesca Sacchi Lodispoto

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La vecchiaia è un privilegio di Pier Giuseppe Accornero

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Donne di fede nelle tre religioni di Paola Romano n  MOVIMENTO

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Francesco Novelli

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Cardinale Prosper Grech

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Il Seminario biblico teologico di Roberta Masella n  DOCUMENTI

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Oltre le barriere la forza del Vangelo di Licio Prati n  ECUMENISMO

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Unità nella diversità di Pier Giuseppe Accornero n  PIANO DI LAVORO

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Donne e Chiesa di Gege Moffa

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Ferrara: il futuro dipende da noi di Maria Grazia Fergnani

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Spunti di agire a cura di Francesca Sacchi Lodispoto n  PAROLE E FATTI

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n  OPINIONI A CONFRONTO

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La cura della sofferenza di Renzo Seren n  MIAMSI

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Forum mondiale ONG


sul nostro lavoro di Francesca Sacchi Lodispoto

Q

uesto numero di Rinascere esce a metà anno, nel mezzo dei nostri lavori di gruppo. Le attività cittadine sono state interrotte a causa del difficile momento che l’Italia vive. Tuttavia comunicare è sempre importante! Il tema di quest’anno “La dimensione pubblica della fede” si è rivelato di grande attualità sia per gli eventi ecclesiali: il Sinodo dell’Amazzonia, la sfida lanciata dal Papa per un Patto educativo globale, l’incontro organizzato dai Vescovi italiani a Bari sul Mediterraneo, per citarne solo i più rilevanti; sia per i tanti cambiamenti politici e civili della società italiana. Segnali positivi per la ricerca di nuove forme di partecipazione e cittadinanza e segnali negativi soprattutto per una recrudescenza di azioni razziste e antisemite che ci lasciano attoniti e preoccupati. Una scheda sondaggio inviata a tutti i gruppi ha avuto una grande risposta (50 gruppi) e ha permesso di capire orientamenti, riflessioni e proposte del Movimento. Difficile in poche righe riassumere tutta la ricchezza espressa ma proviamo ad estrapolare alcune linee emerse da circa 500 persone in tutta Italia.

Editoriale

Uno sguardo

Il Piano di lavoro

Nel suo insieme l’opuscolo è piaciuto ed ha interessato; a tutt’oggi la maggioranza ha terminato la prima scheda e sta concludendo la seconda. La meditazione è stata trovata utile, interessante e stimolante dai più: sia Giuditta che l’ultima parte della lettera ai Romani hanno rivelato una attualità straordinaria nel rapporto con l’autorità e nell’impegno del credente per la convivenza civile. Il tema del Piano di lavoro, ripreso anche dalla prima scheda, che afferma il valore della dimensione pubblica della fede non ha suscitato alcun dubbio o riserva, anzi ha trovato una consonanza totale in tutti i gruppi.

Alcune convinzioni e alcuni nodi da sciogliere

Il cristiano vive la sua fede come relazione: con Dio, con i fratelli, con la tradizione, con la Parola. Una fede fatta di partecipazione, di coerenza tra ciò che si professa e ciò che si vive. Una fede dinamica espressione di un popolo di Dio in cammino nella storia; una fede che si fa dialogo, compagnia e superamento dei pregiudizi. Una fede che nasce, vive e cresce in comunità. Ma al di là delle convinzioni profonde ci sono alcuni nodi da sciogliere legati al nostro tempo. Viviamo l’esperienza di una chiesa divisa, attraversata da troppi scandali che ci addolorano, da una gestione del potere

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e della ricchezza poco trasparenti che contraddicono il suo messaggio di pace e giustizia. Una chiesa troppo clericale arroccata su posizioni passate e incomprensibili per la sensibilità odierna. Alle divisioni all’interno della chiesa si aggiunge l’incoerenza di noi cristiani che offusca l’immagine che della chiesa hanno soprattutto i più giovani. La mancanza di democrazia e di spazi aperti per la riflessione e la partecipazione nelle comunità parrocchiali, una visione arcaica della sessualità, una lontananza del clero dalla vita concreta delle persone, una scarsa considerazione nell’evangelizzazione dei cambiamenti culturali in atto sono tutti nodi da risolvere con l’aiuto e la collaborazione dei laici.

Editoriale

Conclusioni e prospettive

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La prima grande presa di coscienza che nasce dalla nostra inchiesta è il ruolo indispensabile dei laici nel processo di rinnovamento in atto. Non è più tempo di vivere una fede individualista o legata solo ad alcune pratiche di pietà. A tutti i livelli e a tutte le età i laici sono invitati ad una formazione permanente per vivere pienamente da cittadini e da cristiani e collaborare alla realizzazione di una società più umana, più fraterna e solidale. Tuttavia il compito di animare la società riguarda oggi più che nel passato anche i presbiteri e i membri delle istituzioni ecclesiali anch’essi percepiti come cittadini a pieno titolo. Non trascuriamo il fatto che anche se i cristiani sono minoranza nella società italiana la Chiesa tuttavia rappresenta ancora oggi il punto di riferimento di tanti nostri concittadini; sta quindi a noi tutti rendere il suo volto attuale e splendente. Una seconda acquisizione riguarda il valore reale e simbolico di Papa Francesco in ordine alla giustizia mondiale, alla pace, al rispetto dell’ambiente, al dialogo interreligioso. La chiesa oggi più che mai ha il compito di formare le coscienze, educare al bene comune, alla difesa degli ultimi e dare prospettive di speranza. Anche noi di Rinascita Cristiana vogliamo sempre più essere popolo di Dio capace di scelte morali, sociali e politiche, sembra essere questa oggi la nostra missione di evangelizzazione. Scegliere da che parte stare: dalla parte della Parola di Dio o dalla parte dei tanti falsi profeti del nostro mondo; vogliamo servire il sogno di Dio, così come suggerisce Papa Francesco in Querida Amazonia, o seguire la nostra indifferenza e il nostro tornaconto? Le linee operative 2020 – 2021 in un piccolo paragrafo ci invitano a coltivare una fede vissuta; a rimettere in discussione abitudini e stili di vita; ad impegnarsi attivamente mettendo a disposizione talenti e competenze; a camminare insieme a partire dalla mensa eucaristica che ci fa tutti fratelli. Non c’è niente di più pubblico della celebrazione dell’Eucarestia: una mensa a cui tutta l’umanità è invitata e che ci rende chiesa, segno e strumento (sacramento) di unità del genere umano e proprio in questi momenti ne sentiamo la mancanza e ne capiamo il valore. Sono questi i primi spunti di azione e trasformazione indicati dai nostri gruppi.


Rinascita Cristiana ricorda con affetto Francesco Novelli

di Francesca Sacchi Lodispoto

P

resente nel Movimento fin quasi dalle origini a causa della sua prima moglie Maria Teresa Sebastiani, attivissima Responsabile dei gruppi romani, Francesco dopo la morte di Maria Teresa ne ha preso il testimone fino a diventare Responsabile nazionale nel 1995. A quel tempo lo Statuto prevedeva due Responsabili uno per la parte maschile e uno per la parte femminile. Francesco ha svolto il suo incarico dapprima con Anna Marinelli e poi con Chicchi Pisoni: è stato Responsabile dal 1995 al 2001. Precedentemente è stato membro del Bureau Internazionale del MIAMSI e Vicepresidente dal 1992. Di questa sua esperienza internazionale ha sempre fatto partecipe il Movimento e con Chicchi Pisoni e Daniel Nourissat, assistente francese, ha curato l’organizzazione del Congresso di Fiuggi del 2000 che ha visto una partecipazione massiccia (più di 1000 persone!) da tutti i continenti; un Congresso culminato con la grande celebrazione del Giubileo nella Basilica di San Paolo. Sposato in seconde nozze con Susi Bourg ha partecipato con lei ad un gruppo di Rinascita fondato da Isabella Tacoli con la partecipazione di Pietro Scoppola e l’assistenza di P. Ska; ha fedelmente partecipato al gruppo fino all’ultimo. Uomo di tante relazioni, non solo professionali ma anche amicali, è stato un esponente di quella borghesia romana colta, laica e aperta di cui sempre più si sente la mancanza non solo in Rinascita ma soprattutto nella società. Riportiamo qui di seguito le parole con cui Nicoletta Tino a nome del Movimento lo ha ricordato in occasione del suo funerale. “Essere Responsabile in Rinascita significa guardare con lucidità alle nuove situazioni, precarietà ed incertezze che caratterizzano il nostro tempo assumendole su di sé come una sfida. Francesco è stato un Responsabile che ha avuto talmente a cuore il Movimento da guardare sempre “oltre”: con lui infatti sono iniziati i Convegni giovani che sono stati importanti occasioni di crescita culturale e spirituale per molti e di “allegra condivisione” del metodo e dello spirito di Rinascita. Segno del suo desiderio e volontà di allargare i confini è stato certamente l’impegno nel MIAMSI, un impegno e una presenza fedeli anche dopo aver terminato i suoi incarichi. Un terzo segno mi piace sottolineare: il suo interesse per la città, per il territorio. La pubblicazione Rinascere ha negli ultimi tempi stampato vari articoli su quartieri romani “da vivere e far vivere” come luoghi di incontro e condivisione. È stato un uomo che ha “costruito” ed “abitato” (per essere fedele al linguaggio di ingegnere quale egli era) anche Rinascita Cristiana; il fatto di trovarlo sempre presente e vicino in tante riunioni fino a poco tempo fa è stato un dono del Signore. Grazie Francesco”.

La nostra preghiera dei fedeli

Ringraziamo il Signore per l’amicizia di Francesco. Abbiamo passato insieme molte ore piacevoli e intense della nostra lunga vita. Ci mancherà molto ma speriamo di ritrovarlo presto dove non avremo più bisogno né di luce, né di lampada, né di sole perché il Signore Dio ci illuminerà (Marina Conte per i gruppi romani).

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Chiesa nel mondo

Querida Amazonia

quattro sogni di papa Francesco di Francesca Sacchi Lodispoto Al centro dell’esortazione apostolica i diritti dei più poveri, la ricchezza culturale, la bellezza naturale, il servizio dei cristiani.

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a poesia e il lirismo dei canti amazzonici accompagnano il riferimento privilegiato alla Laudato si’, all’Evangelii Gaudium e all’Instrumentum Laboris. Usando un’espressione molto consueta nella predicazione di Francesco che parla di sogno degli anziani e di visioni per i giovani si potrebbe dire che l’esortazione è sul versante dei sogni. In quarantuno pagine il Papa declina quanto auspica in quattro ambiti: sociale, culturale, ecologico ed ecclesiale. E in 111 punti, offre soluzioni concrete dentro una visione che indica con puntualità le vie per un’Amazzonia «che lotti per i diritti dei più poveri, dei popoli originari, degli ultimi, dove la loro voce sia ascoltata e la loro dignità sia promossa». Che «difenda la ricchezza culturale che la distingue, dove risplende in forme tanto varie la bellezza umana». Che «custodisca gelosamente l’irresistibile bellezza naturale che l’adorna, la vita». E abbia comunità cristiane «capaci di impegnarsi e di incarnarsi in Amazzonia, fino al punto di donare alla Chiesa nuovi volti con tratti amazzonici». Il testo è scandito anche dai versi di dodici poeti e scrittori latinoamerica-

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ni a cui il Papa si affida per entrare nel vivo delle ferite e delle contraddizioni di questo bioma, multinazionale, multietnico, multiculturale e multireligioso con tutte le sfide che rappresenta anche dal punto di vista ecclesiale. Per la difficoltà di quelle comunità impossibilitate a celebrare l’eucarestia, il magistero del Papa non fa propria la proposta avanzata da alcuni vescovi riportata nel documento finale del Sinodo sulla possibilità di conferire il sacerdozio a diaconi permanenti. Richiama alla responsabilità di tutta la Chiesa cattolica chiedendo l’invio di nuovi missionari, e si sofferma sull’inculturazione indicando con chiarezza la strada per un vero rinnovamento ecclesiale e la crescita di una Chiesa dalla fede incarnata che possa suscitare e accompagnare anzitutto vocazioni indigene. E punta decisamente ai nuovi ministeri non ordinati da affidare in modo stabile ai laici. In primis alle donne.

Il sogno di una vita sociale oltre l’ingiustizia e i crimini

Alle operazioni economiche, nazionali e internazionali, che distruggono l’Amazzonia «e non rispettano il diritto dei popoli originari al territorio e alla sua demarcazione, all’autodeterminazione e al previo consenso», il Papa da’ «il nome che a loro spetta: ingiustizia e crimine». Per questi «atroci crimini» bisogna indignarsi. Perché


Chiesa nel mondo «non è sano che ci abituiamo al male e permettere che essi ci anestetizzino la coscienza sociale», mentre «una scia di distruzione e morte mette in pericolo la vita di milioni di persone». È «sempre possibile superare le diverse mentalità coloniali per costruire reti di solidarietà e di sviluppo», anche perché esistono alternative di sviluppo che non comportano la distruzione dell’ambiente e delle culture.

Il sogno della ricchezza culturale

Promuovere l’Amazzonia per il Papa «non significa colonizzarla culturalmente, ma fare in modo che essa stessa tragga da sé il meglio». Ogni popolo che è riuscito a sopravvivere in Amazzonia possiede la propria identità culturale e una ricchezza unica all’interno di un universo multi-culturale. Ma anche le culture amazzoniche come quelle urbane dell’Occidente subiscono un impoverimento dovuto al consumismo, l’individualismo, la discriminazione, la disu­guaglianza e per evitare questa dinamica di impoverimento umano, occorre amare e custodire le radici. «Non è mia intenzione – sottolinea – proporre un indigenismo completamente chiuso, astorico, statico, che si sottragga a qualsiasi forma di meticciato. Per questo, l’interesse ad avere cura dei valori culturali dei gruppi indigeni dovrebbe appartenere a tutti, perché la loro ricchezza è anche la nostra. Se non progrediamo in questo senso di corresponsabilità nei confronti della diversità che abbellisce la nostra umanità, non si può pretendere che i gruppi della foresta interna si aprano ingenuamente alla “civiltà”.

Il sogno degli inseparabili: ecologia umana e della natura

L’equilibrio planetario dipende anche dalla salute dell’Amazzonia che è compromessa oltre che dagli interessi economici locali, anche dagli «enormi interessi economici internazionali». Per il Papa la soluzione non viene «da una “internazionalizzazione” del­ l’Amaz­zonia, ma diventa più grave la responsabilità dei governi nazionali». In Amazzonia – dice Francesco – si comprendono meglio le parole di Benedetto XVI quando diceva che «accanto all’ecologia della natura c’è un’ecologia che potremmo dire “umana”, la quale a sua volta richiede un’“ecologia sociale”. Se la cura delle persone e la cura degli ecosistemi sono inseparabili, «per avere cura dell’Amazzonia è bene coniugare la saggezza ancestrale con le conoscenze tecniche contemporanee, sempre però cercando di intervenire sul territorio in modo sostenibile. Papa Francesco afferma che «imparando dai popoli originari, possiamo contemplare l’Amazzonia e non solo analizzarla, e possiamo amarla e non solo utilizzarla. Di più, possiamo sentirci intimamente uniti ad essa e non solo difenderla, e allora l’Amazzonia diventerà nostra come una madre. Per queste ragioni, noi credenti troviamo nell’Amazzonia un luogo teologico, uno spazio dove Dio stesso si manifesta e chiama i suoi figli».

Per una Chiesa incarnata

«La Chiesa è chiamata a camminare con i popoli dell’Amazzonia. Essi hanno diritto all’annuncio del Vangelo» e insieme all’annuncio deve crescere sempre di più un necessario processo

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Chiesa nel mondo di inculturazione, che «integri meglio la dimensione sociale e spirituale», «non disprezzi nulla di quanto di buono già esiste nelle culture amazzoniche, ma lo raccoglie e lo porta a pienezza alla luce del Vangelo». «Non abbiamo fretta – dice il Papa – di qualificare come superstizione o paganesimo alcune espressioni religiose che nascono spontaneamente dalla vita della gente! È possibile recepire in qualche modo un simbolo indigeno senza necessariamente qualificarlo come idolatrico. Un mito carico di senso spirituale può essere valorizzato e non sempre considerato un errore pagano. L’inculturazione deve poi anche svilupparsi e riflettersi in un modo incarnato di attuare l’organizzazione ecclesiale e la ministerialità. E questo per il Papa esige una risposta «specifica e coraggiosa». E se è urgente fare in modo che i popoli amazzonici non siano privati dell’Eucarestia di nuova vita e del sacramento del perdono, questa pressante necessità porta il Papa «ad esortare tutti i Vescovi, in particolare quelli dell’America Latina, non solo a promuovere la preghiera per le vocazioni sacerdotali, ma anche a essere più generosi, orientando coloro che mostrano una vocazione missionaria affinché scelgano l’Amazzonia».

Vita nuova e protagonismo dei laici

Per suscitare e far crescere una nuo-

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va vita ecclesiale c’è prima di tutto bisogno di promuovere «l’incontro con la Parola e la maturazione nella santità attraverso vari servizi laicali, che presuppongono un processo di maturazione – biblica, dottrinale, spirituale e pratica – e percorsi di formazione permanente» e permettere lo sviluppo di una cultura ecclesiale marcatamente laicale». In conclusione le sfide del­l’Amazzonia esigono dalla Chiesa «di realizzare una presenza capillare che è possibile solo attraverso un incisivo protagonismo dei laici», soprattutto delle donne che di fatto svolgono un ruolo centrale nelle comunità amazzoniche e «dovrebbero poter accedere a funzioni e anche a servizi ecclesiali che non richiedano l’Ordine sacro». E papa Francesco infine ribadisce che questi servizi «comportano una stabilità, un riconoscimento pubblico e il mandato da parte del Vescovo», affinché le donne abbiano «un’incidenza reale ed effettiva nell’organizzazione, nelle decisioni più importanti e nella guida delle comunità».

Connessione e conversione

Sono due concetti essenziali del documento. Connessione tra il grido della terra e dei poveri, tra distruzione del creato e sterminio della vita umana, tra annuncio della buona notizia di Gesù e testimonianza. Conversione pastorale, apertura sincera all’altro e conversione al dialogo e all’inculturazione, conversione ecologica e conversione della chiesa verso uno stile sinodale. Preziosi spunti per percorrere nuovi cammini non solo in Amazzonia ma in ogni nostra chiesa locale.


Chiesa italiana

Mediterraneo frontiera di pace

di Roberta Masella

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i è concluso domenica 23 febbraio a Bari, con la Messa celebrata dal Papa, l’incontro “Mediterraneo frontiera di pace” promosso dalla CEI, con 58 vescovi di 20 nazioni affacciate sul grande mare. Due i temi affrontati: la trasmissione della fede e il rapporta tra Chiesa e società. Nella Messa iniziale il Card. Bassetti, presidente della CEI, ha reso evidente l’obiettivo dell’incontro: cercare nuove vie di riconciliazione tra i popoli: “Sono convinto che la pace nel mondo dipenda dalla pace nel Mediterraneo”. Per questo il Mediterraneo, oggi “ridotto a tomba di migliaia di fratelli”, deve tornare ad essere “mosaico delle culture e delle tradizioni cristiane”, ha sottolineato ancora Bassetti nell’incontro di apertura, dove ha ricordato le situazioni di ingiustizia e iniquità che “minano il fondamento dei diritti inviolabili della persona” e ha indicato con chiarezza il ruolo delle Chiese “Chiese che ritornano costantemente alle sorgenti della fede... Chiese della profezia”. Uno dei punti emersi dalla seconda giornata dei lavori è la necessità di una maggior conoscenza, di scambi culturali e di fede sia tra le diverse Chiese cristiane, sia tra le religioni”. La teologa Pina de Simone ha posto al centro della sua riflessione l’interrogativo sulle “nuove modalità della traditio fidei in società sempre più segnate dalla secolarizzazione. Lo storico Adriano Roccucci nella sua relazione ha affermato che “l’Umanesimo nasce dal Mediterraneo e nel Mediterraneo deve tornare a fiorire” “Il Mediterraneo non ha perso il suo carattere peculiare di ambito di relazioni e interazioni, anche conflittuali... Se noi non capiamo il meticciato, non capiremo il Mediterraneo, un mare geograficamente chiuso rispetto agli oceani, ma culturalmente aperto all’incontro, al dialogo e alla reciproca inculturazione”. Nella terza giornata dell’incontro è venuto dai vescovi l’appello a mettere al bando le armi, che sono la causa di tutti i mali, Ai politici i vescovi chiedono di aprire corridoi umanitari, di mettere fine alla causa delle migrazioni e di promuovere la cultura della pace La Chiesa deve farsi voce profetica e diventare coscienza dell’Europa. Il documento finale dei lavori, un testo che raccoglie sensibilità diverse su numerosi temi, è stato consegnato al Papa nella Basilica di S. Nicola. E Papa Francesco torna a chiedere pace e sottolinea l’ipocrisia dei governi che parlano di pace e al contempo commerciano armi e mette in guardia da nazionalismi e populismi. “La guerra è una follia. Non alimentare l’odio” “Dal nemico da odiare al nemico da amare” è il messaggio forte che il Papa consegna nell’omelia durante la Messa. L’amore è la strada per disarmare ogni violenza.

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Società

Una scelta di campo contro l’indifferenza

di Renzo Seren

A

l world economic forum di Davos di quest’anno i temi centrali erano “disuguaglianza” e “sostenibilità”. Nel mondo si stanno estendendo fenomeni che mettono a rischio i progressi nella lotta alla povertà e la coesione e mobilità sociale: la ricchezza è concentrata sempre di più nelle mani di pochi. È curioso, peraltro, che si parli di povertà in un’occasione pubblica frequentata proprio da quei pochi nelle cui mani è concentrata la ricchezza; Davos, nel periodo del forum, viene ridefinita come “club dei miliardari”. Evidentemente ci si rende conto che un profondo senso di ingiustizia sta crescendo tra le popolazioni più emarginate; c’è sempre più netta la percezione di insicurezza conseguente agli squilibri geopolitici indotti da un modello di sviluppo economico non più sostenibile. Il fatto è che per uscire con efficacia da questi timori maturati nelle conferenze, i ricchi dovranno invitare ai loro forum i poveri e convertirsi al linguaggio della cooperazione in luogo di quello della difesa ad oltranza dei privilegi. C’è stato a Davos un giorno nel quale hanno dominato la scena Donald Trump e Greta Tumberg. Due visioni del mondo: l’ottimismo irresponsabile e il realismo dei limiti umani. Davanti a Trump e Greta viene spontaneo pensare a Golia sfidato da Davide, ma soprattutto si consolida la consapevolezza che il male peggiore sarebbe l’indifferenza. Nessuno di noi potrà cambiare il mondo, ma neppure gli basterà chiudersi nella sua torre d’avorio in attesa che siano altri a combattere la buona battaglia. Non saranno certamente i potenti della Terra a invertire la rotta in favore dei poveri o di un modello di sviluppo rispettoso dell’ambiente; troppi interessi sono in gioco perché i ricchi siano sensibili ai mutamenti climatici indotti da un uso sconveniente della tecnologia umana sugli equilibri ecologici originari o perché si commuovano davanti ad una umanità sofferente. L’unica speranza è la protesta di cittadini illuminati che penalizzino i prodotti del consumismo e l’incompetenza dei governanti.

È una scelta di campo che anche un cristiano deve fare

La discriminante riguarda i temi etici messi in luce dai progressi della scienza, dai limiti delle risorse e dall’arrogante individualismo che abita i centri vitali della politica e della società in generale. Da una parte c’è chi ritiene che tutto ciò che l’ampliamento delle conoscenze scientifiche e la forza economica, per non dire quella delle armi, rendono possibile fare, debba essere fatto; dall’altra ci sono coloro che ritengono di dover sottoporre le decisioni finali al giudizio della morale. Detta così, tutti sono pronti a riconoscere che non c’è 10


Società alcun dubbio in favore della seconda opzione...ma allora come può accadere che anche in Paesi di sperimentata democrazia prevalgano leader dichiaratamente propensi a dividere anziché unire, assecondare ciò che il popolo chiede subito e senza sacrifici anziché ciò che è bene per il popolo oggi e nel tempo futuro? Evidentemente sono molti quelli che a dispetto dei buoni propositi preferiscono percorrere le strade dell’egoismo sociale e generazionale. Credo che si debba favorire la rappresentanza di quei cittadini che valutano le scelte in funzione di chiari parametri etici. Ne deriva tutta una serie di comportamenti che investono ogni aspetto della convivenza e della gestione pubblica. Ci dovremmo sentire dalla parte di chi pone il suo talento imprenditoriale al servizio di opportunità collettive, non di chi lo impiega per rapide quanto illecite scalate al potere economico; ci dovremmo sentire dalla parte di chi vuole pagare le tasse perché si sente parte di una comunità, non di chi fa dell’elusione e dell’evasione una fonte di reddito; ci dovremmo sentire dalla parte di chi vuole lavorare onestamente, non di chi vuole garantito un posto di lavoro svincolato dalla produttività; ci dovremmo sentire dalla parte di quei giovani che studiano con impegno, non di quei giovani che a scuola sciamano nell’indolenza; dovremmo essere dalla parte di quegli insegnanti che si pongono come educatori e formatori, non di quegli insegnanti che per non crearsi problemi con alunni, genitori e dirigenti scolastici, tirano a campare; dovremmo sentirci dalla parte di quei genitori che vogliono bene ai loro figli e li preparano alle difficoltà della vita, non di quei genitori che delegano tutto alla scuola, salvo poi irritarsi con l’insegnante se questi rileva le manchevolezze del figlio. L’elencazione potrebbe continuare, ma quanto detto è sufficiente a far comprendere che si deve stare dalla parte di tutti coloro che nella società di oggi sono penalizzati per avere assunto concretamente uno stile di vita in controtendenza. La scelta di campo contro l’indifferenza è dalla parte di chi incarna questo stile di vita messo in difficoltà da una pericolosa e dominante interpretazione scorretta dei meccanismi del progresso. Forse, tutti pensiamo di essere già dalla parte giusta, ma chi fa riferimento alla Dottrina sociale della Chiesa e ancor meglio al Vangelo ed alla Parola di Dio non può limitarsi a un veloce e pretestuoso esame di coscienza che lo assolva. Tutti abbiamo la necessità di riflettere seriamente e obiettivamente sulla via di una conversione continua; tutti siamo chiamati a pensare ad una giustizia che non è quella distributiva, a reagire come cittadini liberi e responsabili e non come consumatori influenzati dalle campagne pubblicitarie. Molte attese suscita il prossimo incontro “The Economy of Francesco” che si terrà ad Assisi dal 26 al 28 marzo. I protagonisti non saranno i ricchi Epulone di Davos, ma i giovani disposti a mettersi in gioco per non perdere il loro futuro. Una sfida epocale che non potrà essere definita soltanto dai punti di crescita del prodotto interno lordo. 11


Movimento

Un ponte tra il mondo

della Bibbia e il nostro mondo di Roberta Masella Il Seminario biblico-teologico (Roma 7-9 febbraio 2020) si è proposto come un aiuto per un approccio corretto alla Sacra Scrittura, un ascolto intelligente e amoroso della Parola di Dio, un approfondimento teologico sulla Chiesa di oggi. Non è facile restituire i contenuti di due giornate molto intense che, grazie alla generosità dei relatori, ci hanno accompagnato in un percorso di approfondimento e di senso del nostro essere Chiesa. Queste note vogliono essere una condivisione di alcuni passaggi con chi non ha potuto partecipare all’incontro. P. Jean Louis Ska ha sviluppato i suoi interventi su tre direttrici: come si legge la Bibbia, quali le mediazioni necessarie per una lettura critica della Bibbia, generi e convenzioni letterarie nell’AT e nel NT. Ha sottolineato come un uso utilitaristico del testo biblico (come lo posso usare?) può far sì che il racconto venga usato in funzione di una verità che si vuole spiegare a discapito di una corretta interpretazione del testo. Il testo biblico, invece, ha bisogno di un approccio paziente, che si soffermi sulle immagini e sui dettagli. Le immagini sono essenziali per entrare, attraverso il linguaggio simbolico, nel vero significato e i dettagli sono essenziali ai fini dell’esperienza della lettura. “La Bibbia è uno spartito di musica da interpretare” (P. Alonso Schökel), la scelta è interpretare bene o male, tenuto conto che l’ispirazione non sta nelle note (personaggi, fatti) ma nella musica; è una qualità dell’insieme che si distribuisce nel testo. Per interpretare bene il testo biblico sono necessarie alcune mediazioni tra cui una lettura critica dei brani (basata su paragoni con altri testi biblici e anche con documenti del Vicino Oriente antico) e la collocazione in un contesto storico e letterario che aiuta a non interpretare il testo in senso puramente letterale. Si supera così anche la lettura utilitaristica della Bibbia, che ha un valore in se stessa e che attraverso la narrazione ci rivela il suo fondamento: la ragione ultima dell’universo è la gratuità (Pr 8). La promessa fatta da Dio ai patriarchi è gratuità, unilaterale, incondizionata; è la promessa anche per noi, per la Chiesa di oggi. E di una Chiesa locale di oggi ci ha parlato P. Miguel Yanez, introducendoci nelle dinamiche che hanno suggerito il Sinodo sull’Amazzonia e accompagnato il suo sviluppo. 12


Movimento Per capire le tensioni e le esigenze della Chiesa amazzonica bisogna che noi occidentali usciamo da una concezione eurocentrica della Chiesa; non è possibile, in realtà lontane dai nostri modi di vivere e di pensare, proporre soluzioni che risultano impraticabili. P.Yanez ha messo in rilievo alcuni nodi. In Amazzonia c’è una pastorale di visita, non di presenza come da noi. Il prete riesce a visitare le comunità una volta l’anno e la comunità rischia di sfaldarsi o di accogliere altre proposte che offrono la realtà di una comunità viva, partecipata (pentecostali). Da qui la richiesta di ordinare persone che possano evangelizzare, possano celebrare l’Eucarestia. Presso quelle popolazioni la relazionalità è la cosa più importante, perché la comunità esercita l’autorità. La relazionalità si esercita con le persone e con l’ambiente; l’ambiente è abitato, la natura merita rispetto; le popolazioni cercano nella foresta il cibo per l’oggi. Perché l’Amazzonia si sviluppi deve poter disporre delle proprie risorse, non essere sfruttata. Si sta distruggendo un bioma, un sistema ecologico integrato, che è funzionale a tutto il mondo e che rischia di sparire rapidamente. Altro tema è quello del ruolo della donna; nel Sinodo c’era una richiesta di diaconato per le donne (per prudenza si è parlato di ministerialità) sostenuta solo da alcuni vescovi. Non si tratta di potere ma di ruolo. Qual è il ruolo della donna nella Chiesa? P.Yanez ha quindi offerto una lettura del valore simbolico del Sinodo. Il Sinodo ha avuto valore simbolico dal punto di vista ecclesiale e ambientale. Le problematiche che emergono dall’Amazzonia sono problematiche mondiali, i giovani vivono la tensione tra la cultura globalizzata e la loro tradizione così come avviene ovunque. Che cosa ha ascoltato il Sinodo? Il grido della Terra e il grido dei poveri. L’ascolto modifica l’annuncio; la verità va capita nel dialogo, va fatta emergere dal dialogo; la verità è relazionale, non relativistica. Il dialogo, invece, continua ad essere un problema nella società contemporanea che ama un confronto che contrappone e dal quale scaturisce la violenza. La Chiesa di Francesco, un cantiere a cielo aperto, è connotata dal dialogo. Di questo ci ha parlato la prof.ssa Marinella Perroni riflettendo su questo pontificato. 13


Movimento Perché cantiere? Quella di Francesco è una Chiesa decentralizzata che vuole dare respiro e ruolo alle conferenze episcopali, cantieri radicati nelle realtà locali, ma che devono garantire l’universalità della Chiesa; una Chiesa in uscita verso le periferie esistenziali, che tiene conto del fatto che oggi sono mutate le regole della dialettica tra centro e periferia perché non c’è più un solo centro; un pontificato esposto perché a nessun teologo è stato imposto di tacere, nel rispetto della pluralità dei punti di vista. Queste le premesse per leggere la teologia, la fede, il magistero di Francesco. La teologia di Francesco non è vincolata all’ambito accademico, vuole intrecciarsi con le condizioni di vita degli uomini d’oggi, abitare la pastorale. È una teologia “in fieri”, connessa all’occasionalità della storia; occasionalità (non casualità), kairos, momento che appartiene al tempo di Dio. La fede di Francesco è una fede ragionata, aperta all’interrogativo, capace (sulla soglia del dolore) di scegliere il silenzio, di riconoscere l’insondabile, di rispettare la libertà di chi non vuole riconoscere Dio. Il magistero di Francesco è riconducibile a una delle dimensioni fondamentali della teologia biblica, quella kerigmatica; l’annuncio di Francesco ha al centro la persona di Gesù e il suo messaggio, una parola spinta alla trasformazione del mondo. Venire “dalla fine del mondo”, espressione che Francesco ha usato quando si è presentato ai fedeli, non è un’espressione geografica, significa essere toccati dalla responsabilità di aver costruito un sistema iniquo. Infine il radicamento ignaziano, l’essere plasmato a un tipo di struttura antropologica oltre che spirituale; con Ignazio avviene il passaggio dalla vita monastica alla disponibilità alla missione, che deve tener conto delle caratteristiche dei territori. Dall’ascesi ala mistica. Questa contemplazione della storia deve aiutare noi di Rinascita a leggere i segni dei tempi con amore e competenza; amore e competenza che, abbiamo imparato, guidano la lettura e rilettura della Bibbia e che guidano la lettura e rilettura del cammino della Chiesa. Un cammino che in questo tempo deve aprirsi al dialogo e alla sinodalità.

TRE MOMENTI PER MEDITARE 1) Ispirazione divina, descritta da P.Ska come la musica che aleggia su tutto il testo; e nel discernere l’ispirazione bisogna sempre tenere conto del contesto in cui il testo è stato scritto; 2) Interpretazione che risponde alla domanda: che cosa intendeva l’autore che lo ha scritto? 3) Uso che risponde alla domanda: a che cosa può servire? Bisogna tenere presente che già nella Bibbia sono presenti sia l’interpretazione sia l’uso. (Tiziana Iannotta)


Società

Sussidiarietà, beni comuni e partecipazione democratica

di Pierluigi Grasselli

Beni comuni, cittadini attivi, patti collaborativi

Una gestione condivisa con riqualificazione di uno spazio pubblico, un servizio di aiuto a giocatori d’azzardo patologici e ai loro familiari, un’attività di orientamento al mercato del lavoro e alla formazione professionale, l’illuminazione a led di un attraversamento pedonale, l’apertura di un mercato contadino, l’insegnamento della lingua italiana a stranieri. Sono tutte attività progettate autonomamente da cittadini e attuate con il sostegno, con il “subsidium” del Comune di Bologna. Si parla di “patti collaborativi” tra amministrazione locale e cittadini attivi, cittadini che si impegnano, come ha scritto Giovanni Moro, per garantire diritti, curare beni comuni e/o sostenere soggetti in condizione di debolezza (Michele Sorice, Partecipazione democratica, Mondadori Università, 2019, pp.116-117). Questi Patti configurano una collaborazione tra settore pubblico e cittadini, singoli o associati, per la cura di “beni comuni”, come il patrimonio urbano, la pubblica istruzione, la salute pubblica, la formazione e l’occupazione, quei beni cioè che (secondo la famosa definizione della Commissione Rodotà del 2012) esprimono utilità funzionali all’esercizio di diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona. Di questi Patti collaborativi, come affermato nel Rapporto Labsus (Laboratorio per la Sussidiarietà) 2017, ne sono stati stipulati in Italia oltre 1000, con Comuni situati in prevalenza in Centro Italia. Trento e Bologna coprono da sole quasi il 50% dei patti rinvenuti. Come abbiamo visto, la categoria dei beni comuni è molto ampia, e può riguardare i campi più diversi, concentrandosi in particolare su ambiente, verde urbano e arredo urbano (panchine, piazze, spazi pubblici), ma potendo riguardare anche molto altro. Sono chiari i benefici che possono derivare dall’impegno sui beni comuni sia per il benessere sociale che per la finanza pubblica. Degni di rilievo risultano in particolare alcuni Patti collaborativi attivati in Lombardia, con il sostegno della Fondazione Cariplo, che hanno generato attività economiche, con risvolti produttivi ed occupazionali: tali attività possono infatti seguire, ad es., al ripristino di un bene urbano, costituendo così una sorLa sussidiarietà si distingue in verticale, orizzontale, circolare. Nell’articolo si tratta della sussidiarietà orizzontale; per le altre accezioni, e per lo sviluppo di molti concetti impiegati nell’articolo, rimando al testo della mia relazione, tenuta ad Orvieto il 16 novembre 2019 per iniziativa dell’associazione “Nova Civitas”, sul tema: “Il principio di sussidiarietà nella Dottrina Sociale della Chiesa e la sua attuale rilevanza”. Il testo della relazione è consultabile nel sito internet di Rinascita Cristiana. 1

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Società ta di “indotto” dei beni comuni; e ciò apre a mio avviso prospettive assai interessanti. Più in generale, la cura dei beni comuni può rappresentare un’occasione importante di iniziative molto rilevanti sul fronte economico e sociale, mobilitando le istituzioni più vicine alle famiglie, qualora vedano il concorso di Enti pubblici, Fondazioni bancarie, imprese profit e non profit, per far fronte alle sfide poste, ad es., dal welfare, per assicurare bisogni emergenti, quali la gestione personale continua della salute, o servizi domiciliari qualificati (J.Dotti, A.Rapaccini, L’Italia di tutti, Vita e Pensiero, 2019, pp. 108-9).

Beni comuni e principio di sussidiarietà

La cura dei beni comuni (“declinazione visibile e plurale del Bene Comune”) ha riproposto in questi ultimi anni l’importanza del principio di sussidiarietà, introdotto in Costituzione nell’ottobre 2001. i Patti collaborativi si fondano infatti sull’ ultimo comma dell’art.118 che detta: “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”. Gli studiosi mostrano il lungo cammino del principio di sussidiarietà nella storia del pensiero: da Aristotele a Tommaso d’Aquino ad Althusio, passando per John Stuart Mill, Proudon ed altri. Il principio diviene quindi componente basilare della Dottrina sociale della Chiesa verso la fine dell’800, grazie a Leone XIII, ed alla sua celebre Enciclica Rerum Novarum. Esso compare in tutte le principali encicliche, dalla Quadragesimo Anno (n.80) alla Pacem in Terris (n.74), alla Laborem Exercens (n.18), alla Centesimus Annus 8 (n.48), che così lo espone, parlando dello Stato assistenziale: “ anche in questo ambito deve essere rispettato il principio di sussidiarietà: una società di ordine superiore non deve interferire nella vita interna di una società di ordine inferiore, privandola delle sue competenze, ma deve piuttosto sostenerla in caso di necessità e aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle altre componenti sociali, in vista del bene comune”. La enciclica Caritas in Veritate raccomanda in proposito (nn.57-58) una connessione stretta tra il principio di sussidiarietà e il principio di solidarietà. La sussidiarietà si è sviluppata inoltre nell’Unione Europea come principio costituzionale fondamentale. Nel Trattato istitutivo della Comunità Europea (sottoscritto a Roma il 25 marzo 1957) l’art.5 specifica che, “nei settori che non sono di sua esclusiva competenza, la Comunità interviene, secondo il principio di sussidiarietà, soltanto 16


Società se, e nella misura in cui, gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri, e possono dunque [ ] essere realizzati meglio a livello comunitario”. Il principio trova poi collocazione giuridica centrale nel 1991 con il Trattato di Maastricht (artt.1 e 2).

Sussidiarietà, beni comuni e partecipazione democratica

Tra i presupposti base del principio di sussidiarietà, si ha che ad attuare una data politica sia il livello istituzionale più vicino ai soggetti interessati da quella politica: nei Patti collaborativi sopra indicati, appunto il Comune. E alcuni parlano di “amministrazione condivisa”, fondata su una convergenza tra amministrazione pubblica e cittadini nel perseguimento dell’interesse generale, e di una nuova forma di partecipazione alla vita pubblica. Come sottolinea (n.187) il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa (Libreria Editrice Vaticana, 2004), l’attuazione del principio di sussidiarietà, può promuovere, tra l’altro, il primato della persona e della famiglia, e delle associazioni ed organizzazioni intermedie, responsabilizzando il cittadino nel suo essere parte attiva della realtà politica e sociale del Paese. E la partecipazione è un dovere da esercitare consapevolmente, in modo responsabile e in vista del Bene Comune. Nel quadro della grave crisi in corso del sistema democratico rappresentativo, la partecipazione attiva dei cittadini attivi può includersi tra le forme emergenti di partecipazione politica, e la cura dei beni comuni, insieme all’empowerment di soggetti in difficoltà occasionale o permanente, può comprendersi tra gli “standard della qualità civica della democrazia” (M.Sorice, Partecipazione democratica, op. cit., p.120). Per tutto questo dovremmo, a mio avviso, impegnarci per una maggior diffusione, e sviluppo, dei Patti collaborativi, e, più in generale, di iniziative attuative del principio di sussidiarietà.

Intelligenza artificiale firmata oggi a Roma la Call for an AI Ethics La Pontificia Accademia per la Vita, raccogliendo le sollecitazioni di alcuni importanti operatori nel campo delle tecnologie digitali (Microsoft e IBM) ha elaborato un testo di grande rilievo composto da un preambolo e tre sezioni: una dedicata all’etica, la seconda all’educazione, l’ultima alle questioni normative. Vengono indicati sei principi etici condivisi: trasparenza, inclusione, responsabilità, imparzialità, affidabilità, sicurezza e privacy. Mons. Paglia sottolinea come “il testo della Call si caratterizza anche per essere un primo tentativo nel formulare un insieme di criteri etici con comuni riferimenti di valore, offrendo un contributo all’elaborazione di un linguaggio comune per interpretare quanto è umano”. L’obiettivo è guidare la tecnologia verso un umanesimo che salvaguardi e promuova sempre la dignità dell’essere umano. 17


Società

Il futuro negato

ricerca della Caritas romana

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indagine è stata curata dal sociologo Mario Pollo, in Presentata la ricerca curata da Mario collaborazione con l’Ufficio scuoPollo “Il futuro negato. Progetto e la ed il Servizio per la pastorale sogni di adolescenti e giovani di giovanile della diocesi di Roma Roma”. Non coltivano sogni, ed è stata presentata nella Cittatrascorrono ore sul web, si dichiarano della della Carità a via Casilina atei: è quanto emerge dalla ricerca. Vecchia, con l’introduzione di don Benoni Ambarus, direttore della Caritas romana, e l’intervento di suor Alessandra Smerilli, docente di economia alla Pontificia Università “Auxilium”, nominata da papa Francesco consigliera dello Stato della Città del Vaticano. Dalle risposte dei giovani – suddivisi in tre focus di età compresa tra i 16 ed i 28 anni – emerge “quasi una totale pericolosa mancanza di fiducia delle giovani generazioni in materia di possibilità di lavoro, crescita sociale, affermazione personale, stimoli” che – in estrema sintesi – suona come un severo atto di accusa “contro l’eterna cronica mancanza di adeguate politiche giovanili a Roma e nel resto del Paese...“. Un vuoto legislativo nei confronti dei bisogni giovanili, di ieri e di oggi, che, denuncia il professor Pollo, “non può che incidere negativamente sulle prospettive di crescita e di affermazione sociale delle giovani generazioni”. Un male che – aggiunge il sociologo - “in una metropoli come Roma colpisce le fasce giovanili di tutta la città, ma con picchi di criticità avvertita sia al centro che in maniera crescente verso i quartieri delle periferie”. Questo studio ha esplorato come i ragazzi vivono il loro presente quali proiezioni hanno per il futuro e che coscienza hanno del loro passato, delle loro radici e della loro memoria. Ma anche il rapporto che hanno con i social media, con la realtà urbana in cui vivono e con la dimensione religiosa, quindi un insieme molto complesso. Venendo al cuore della ricerca, che riguardava il tema del futuro, emerge una visione abbastanza opaca soprattutto per quei ragazzi che vivono situazioni di disagio sociale ed economico. La ricerca – spiega il direttore della Caritas – è stata svolta attraverso “il coinvolgimento delle parrocchie, delle scuole primarie e secondarie, delle associazioni laiche e religiose” maggiormente attente al mondo giovanile, come l’Agesci, suddivise in 16 aree cittadine. “Una scelta operativa fatta per metterci in ascolto dei bisogni delle fasce sociali più giovani di Roma per cercare insieme a loro vie nuove di interventi mirati, di coinvolgimento e di condivi18


Società sione...”. Secondo don Benoni “gli adulti sono i primi a non avere il brivido dei sogni”, perché “non abbiamo una visione ampia, ma ci importa curare solo il giardino di oggi. Votiamo, per esempio, il politico di turno che promette di risolvere i problemi attuali, ma senza pensare al futuro”. Dal sondaggio-Caritas la Roma dei giovani si presenta con una immagine “spaccata”, “traumatizzata”, “contrapposta”, con “gli adolescenti delle periferie che non riescono ad immaginare il loro futuro a medio o lungo termine, perché vittime di una opacità fatta di poca fiducia in se stessi, di scarsa propensione al sacrificio e, soprattutto, di una immagine negativa del lavoro visto prevalentemente come routine, fonte di noia, scarsa gratificazione... contrariamente ai giovani dei quartieri centrali che, pur non nascondendo ansie e timori, in linea di massima hanno già ben definito il loro futuro professionale”. Anche Suor Alessandra Smerilli chiama direttamente in causa gli adulti che “sul ruolo educativo dei giovani non devono salire in cattedra, ma sono chiamati necessariamente a camminare accanto alle nuove generazioni, operando un ascolto senza giudizio e soprattutto chiedendosi se non sia più utile non adattare i giovani alle esigenze della comunità per dare ossigeno e speranza alle stesse comunità. “La peculiarità di questo tempo – per il sociologo Pollo - è che siamo stati illusi che i nuovi mezzi e i nuovi strumenti ci avrebbero emancipato. Per riprendere il discorso di don Milani, pur essendo la scuola per tutti non è realmente poi fruita da tutti allo stesso modo, quindi occorre pensare anche a percorsi formativi delle nuove generazioni partendo dalle reali condizioni in cui loro vivono. Ci sono molti studiosi che hanno elaborato la concezione che oggi i percorsi di crescita dovrebbero essere più individualizzati e non più legati alla classe sociale, alle appartenenze geografiche o etniche, ma legati semplicemente alla capacità di utilizzare le risorse che sono a disposizione e quindi di autoprogettarti e autocostruirti. Ora questo teoricamente dovrebbe essere il presente, ma purtroppo la realtà dimostra che non è così vero, perché la disponibilità di risorse è comunque solo teorica e non è realmente pratica, per cui chi vive in certe situazioni urbane, sociali, familiari ed economiche di svantaggio non riesce a utilizzare le risorse nello stesso modo in cui le utilizza chi vive in ambienti socialmente privilegiati. Da qui, l’appello della Caritas rivolto alle istituzioni cittadine, al Campidoglio e al governo nazionale per un urgente piano di intervento che miri a sanare le “ferite” che traumatizzano le giovani generazioni. Ma non solo a Roma.

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Società

La vecchiaia è un privilegio non una malattia

di Pier Giuseppe Accornero Papa Francesco incontra 550 «nonni» da tutto il mondo e dice loro: «La vecchiaia è un privilegio, non una malattia. Gli anziani non sono un archivio ammuffito ma il futuro della Chiesa». L’udienza il 31 gennaio 2020 è il momento culminante del primo congresso internazionale di pastorale degli anziani (29-31 gennaio) del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita su «La ricchezza degli anni», dal quale emerge il ruolo pastorale degli anziani come evangelizzatori dei coetanei e dei nipoti. loro l’83enne Bergoglio confida: «La vita è un dono e quando è lunga è un A privilegio. La ricchezza degli anni è ricchezza delle persone, un tesoro prezioso che prende forma nel cammino della vita». Nel 21° secolo la vecchia-

ia «è divenuta uno dei tratti distintivi dell’umanità» e la presenza cospicua dei nonni nella società e nelle parrocchie richiede risposte nuove e cambiamenti nelle «abitudini pastorali». Nella Bibbia la longevità è una benedizione: «Concedendo la vecchiaia Dio dona tempo per approfondirne la conoscenza e l’intimità. È il tempo per prepararsi a consegnare nelle sue mani il nostro spirito con fiducia di figli. Ma è anche un tempo di «rinnovata fecondità». Ispirandosi al Salmo 91,15 - «Nella vecchiaia daranno ancora frutti» spiega che il disegno di Dio si attua anche «nella povertà dei corpi deboli, sterili e impotenti»: dal corpo centenario di Abramo e al grembo sterile di Sara nasce il popolo eletto; dal vecchio Zaccaria e da Elisabetta nasce Giovanni Battista. Papa Bergoglio acutamente osserva: «Quando si pensa agli anziani si deve imparare a modificare i tempi dei verbi. Non c’è solo il passato, come se per gli anziani esistessero solo una vita alle spalle e un archivio ammuffito. Il Signore può e vuole scrivere con loro anche pagine nuove, pagine di santità, di servizio, di preghiera». Pensando al ruolo degli anziani nelle parrocchie, nel volontariato, nel servizio alle comunità, il papa sostiene: «Gli anziani sono il presente e il domani della Chiesa. Sono anche il futuro di una Chiesa che, insieme ai giovani, profetizza e sogna ed è importante che anziani e giovani parlino fra loro». Di più, li vede come evangelizzatori dei coetanei: «Vi chiedo di non risparmiarvi nell’annunciare il Vangelo ai nonni e agli anziani. Andate loro incontro con il sorriso sul volto e il Vangelo tra le mani. Uscite per le strade delle parrocchie e andate a cercare gli anziani che vivono soli. La solitudine può essere una malattia, ma con la carità, la vicinanza e il conforto spirituale possiamo guarirla». 20


Società «Dio ha un popolo numeroso di nonni nel mondo» - Nelle società secolarizzate dell’Occidente le generazioni dei genitori non hanno la formazione cristiana e la fede viva che invece i nonni possono trasmettere ai nipoti. «Sono loro l’anello indispensabile per educare alla fede i piccoli e i giovani. Dobbiamo abituarci a includerli nei nostri orizzonti pastorali e a considerarli come una delle componenti vitali delle comunità. Non sono solo persone che siamo chiamati ad assistere e proteggere, ma possono essere attori di una pastorale evangelizzatrice, testimoni privilegiati dell’amore fedele di Dio». Il Congresso ha radunato operatori pastorali di 60 Paesi e ha sviluppato tre temi: il contrasto della cultura dello scarto; le responsabilità delle famiglie nei confronti degli anziani; la vocazione della terza età nella Chiesa. Secondo l’ultimo rapporto World Population Ageing delle Nazioni Unite, nel 2019 gli anziani (da 65 anni in su) sono 703 milioni. Le previsioni dicono: nei prossimi tre decenni, il numero dovrebbe più che raddoppiare superando 1,5 miliardi di persone nel 2050. L’aumento dell’aspettativa di vita e il miglioramento generalizzato delle condizioni di igiene e salute rappresentano nuove opportunità e sfide, anche per l’evangelizzazione.

SPERARE ESIGE CORAGGIO ll 9 gennaio 2020 il Papa ha incontrato il corpo diplomatico presso la Santa Sede e ha tenuto il tradizionale discorso, un discorso atteso perché mette a fuoco le problematiche e le tensioni del mondo e aiuta a leggere la geopolitica vaticana. Nessuna delle situazioni critiche viene elusa dal Papa, eppure il suo discorso si apre con un invito alla speranza “che per i cristiani è una virtù fondamentale” e deve animare “lo sguardo con cui ci addentriamo nel tempo che ci attende”. “Sperare” ha spiegato il Papa “esige che si chiamino i problemi per nome e che si abbia il coraggio di affrontarli”. Con questa premessa Francesco legge le situazioni del nostro tempo che “non sembra essere costellato da segnali incoraggianti, quanto piuttosto da un inasprirsi di tensioni e violenze”. Francesco sottolinea che la pace e lo sviluppo umano sono l’obiettivo principale della Santa Sede nell’ambito del suo impegno diplomatico e alla luce di questo obiettivo ripercorre le tappe dei suoi viaggi apostolici e dà ragione dell’iniziativa del “Patto educativo globale”: rimettere al centro dell’educazione la persona favorisce la solidarietà intergenerazionale venuta a mancare in questi ultimi anni. Il Papa richiama le tante situazioni di crisi nel mondo, a cominciare dai rapporti conflittuali USA-IRAN, le tante guerre dimenticate, le sofferenze delle migrazioni, le catastrofi ambientali. Un pensiero è rivolto all’Europa perché non perda di vista “il senso di solidarietà che l’ha contraddistinta, anche nei momenti più difficili della sua storia” e all’Italia, alla quale augura di riscoprire lo spirito del Rinascimento. 21


Documenti

Oltre le barriere la forza del Vangelo

di Licio Prati

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er alcuni sappiamo con certezza affidabile (documentazione neotestamentaria, tradizione delle chiese, scrittori cristiani e non cristiani); per altri ci sono testimonianze e tradizioni antiche delle chiese e di scrittori cristiani. Il primo passo è ad Antiochia con forte presenza di giudei. Diviene la base da cui partono le missioni di Paolo, ma anche presumibilmente di tutta l’irradiazione missionaria. Ad Antiochia troviamo Barnaba, Paolo, Pietro ed altri. Le notizie e le tradizioni più fondate riguardano: Pietro a Roma (presumibilmente via Asia Minore e Balcani);Tommaso oltre l’Eufrate dove ci sono i Parti, nemici irriducibili di Roma e In India; Andrea nel mondo barbaro(nordest), degli Sciiti (steppe della Russia meridionale), rive ellenistiche del mar Nero (Grecia occidentale – Patrasso - ) e Balcani; Giovanni ad Efeso e dintorni (“Asia”); Giacomo di Zebedeo resta a Gerusalemme Infine Paolo tocca le grandi città dell’antico mondo greco-romano, capitali di provincie romane: Efeso, Filippi, Corinto, Atene e poi giunge a Roma. Il Vangelo tende a diffondersi inizialmente (1° sec.) nel mondo allora noto ai giudei: bacino orientale del Mediterraneo, Siria, Babilonia, Arabia, Egitto: zone per altro già abitate da colonie di giudei. È quindi una tendenza verso Oriente. La volontà di Paolo di arrivare a Roma e magari in Spagna (finis terrae) è in controtendenza: Roma è la capitale dell’impero e degli uomini che si proclamano divini

Gli apostoli dopo la Pentecoste: per le vie dell’Asia, dei barbari, dell’Occidente

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e lettere di Paolo hanno aperto orizzonti sempre nuovi alla fede della chiesa ed anche suscitato dibattiti e discussioni: sulla sua “dottrina” e sulla sua persona. Si è parlato dell’apostolo Paolo come dell’enfant terrible del cristianesimo; qualcuno ha visto in lui il fondatore del cristianesimo. Altri hanno detto: Gesù ha predicato, Paolo ha teorizzato. Altri dicono: Paolo non è un teologo, ma un apostolo, un predicatore. Altri ancora hanno cercato di capire il rapporto tra il pensiero di Paolo e le culture che ne sono alla base: giudaismo, ellenismo, (stoicismo, ecc.). Altri ancora si sono posti l’interrogativo su quale sia il pensiero centrale, attorno al quale gravita tutta la riflessione di Paolo. Alcuni esegeti ebrei di oggi considerano Saulo di Tarso come un

Il pensare di Paolo e il vissuto delle prime comunità cristiane

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Documenti giudeo eretico. Ci si interroga anche sul rapporto tra teologia paolina e genere letterario (l’epistola) con cui Paolo fa teologia. Le prime comunità cristiane, i singoli cristiani, si trovavano a vivere su una frontiera culturale e sociologica tra la fede in Gesù e il loro mondo (ellenizzante o giudaico). La loro fede era nata dall’ascolto dell’annuncio apostolico; cresceva con l’esortazione degli apostoli stessi. Quali erano i problemi che i discepoli di Gesù dovevano affrontare? Quali convinzioni profonde potevano sostenere lo stile di vita dei discepoli di Gesù? Quale il modo di guardare alla vita, al cosmo, alla trascendenza?

Paolo e Gesù Cristo

Paolo è un “inviato”, apostolo di Gesù; tale si considera e come tale si presenta. Come apostolo egli proclama l’evento della salvezza per tutta l’umanità, in Cristo morto, risorto e “venturo”. Come pensatore, Paolo “spiega” il vangelo di Gesù, argomenta, approfondisce. Spesso è difficile seguire il suo modo di ragionare perché Paolo non è un razionalista; non è un filosofo che parla di religione: il suo pensare nasce dal suo credere, dal cuore profondo della sua personalità. Dalla sua fede si sviluppa in lui la certezza che Dio è intervenuto a favore di tutta l’umanità in modo decisivo una volta per tutte con l’evento Cristo. Ogni pensiero e ogni canto dei cristiani poggia sulla concretezza di quell’evento; non su teorie o su miti.

Paolo e il suo tempo

Paolo si trova anche su un crinale culturale in cui si incontrano e scontrano come differenti e opposte correnti d’aria. I suoi concetti, il linguaggio usato, i moduli espressivi nelle sue lettere nascono da un vortice creato da varie culture: quella biblico-veterotestamentaria, quella giudaizzante in cui egli è cresciuto, quella ellenistica nella quale la sua missione tra i gentili lo colloca e quella con cui i discepoli di Gesù manifestano la loro nuova identità ed iniziano ad elaborare teologicamente la loro fede in Gesù. Tutto ciò diviene sintassi, semantica, traduzione di concetti; e genera nuovi paradigmi mentali, nuovi stili di vita, nuove scale di valori. Lo sforzo di Paolo è un immenso sforzo ed esempio di inculturazione e transculturazione. Il percorso di fede dell’apostolo ha le sue origini nella tradizione giudaica: il Dio di Gesù Cristo è lo stesso dio del giudaismo, conosciuto per mezzo delle sacre scritture ebraiche. Paolo non rinnega il suo passato, non condanna la fede del suo popolo: Il suo atteggiamento e le sue affermazioni su Israele, sulla legge mosaica, sulla sua storia non vanno mai lette con superficialità; ma la scoperta del Dio di Gesù Cristo Paolo l’attribuisce all’esperienza personale, straordinaria del Risorto sulla strada verso Damasco. Egli vede la storia del suo popolo con occhi nuovi. Perché con Cristo Dio è intervenuto in modo definitivo nella storia aprendo un cammino completamente nuovo per tutta l’umanità. 23


Documenti Paolo e le comunità cristiane

Paolo si sente profondamente coinvolto con la fede delle piccole comunità che egli stesso ha formato; è una fede che si fonda sulla risurrezione di Gesù (vedi Rm 4,24-25; 2Cor 5,1) e sul progetto divino di salvezza (Rm 8,28-30). Alcune convinzioni di fede che egli condivide con gli altri vengono dalla tradizione apostolica (cfr. 1Cor 15,3-5: vi trasmetto ciò che a mia volta ho ricevuto). Altre sue intuizioni egli le attribuisce non ad un modo umano di ragionare, ma ad una rivelazione divina da lui avuta (Gal 1,12.15-16; 1Cor 15,51-52; Rm 11,25-26). Spesso Paolo ricorre alla formula “noi sappiamo”, o ad espressioni similari in prima persona plurale, per richiamare alla mente questi fondamenti e, a partire da essi, esplorare il mistero di Dio ed anche dell’uomo. E questa esplorazione getta nuova luce sui problemi dell’esistenza, anche quelli della vita quotidiana di un credente. Nelle lettere dell’apostolo lo stile di vita delle comunità cristiane, non prende forma mediante un ragionamento logico (un’ipotesi, una premessa razionale, un “sentire” etico, filosofico) astratto, non da un riferimento a consuetudini sociali, modi pensare o di vivere, ma nasce dalle sue convinzioni di fede a partire dal­l’evento Cristo.

Le convinzioni fondamentali di Paolo sono due:

(a) “Dio ha provveduto in Cristo alla salvezza di tutti gli uomini; (b) Dio ha chiamato Paolo ad annunciare il vangelo ai gentili”. Dando per scontato che tra la prima lettera (1Ts) e l’ultima (Rm), passa del tempo si può parlare di evoluzione, di messa a fuoco, di precisazione del pensiero paolino. Ma anche va ricordato che Paolo scrive perché accade sempre qualcosa nella comunità cristiane da lui fondate o visitate. E quello che accade nelle sue comunità ha un inevitabile riflesso in Paolo. Se Paolo scrive è perché provocato dalle situazioni; ed egli a sua volta “provoca”.

Q

uello di Paolo è un pensare occasionale: Paolo elabora il suo pensiero sull’onda della necessità di parlare agli interlocutori e di influire efficacemente sulle loro menti e volontà. Non lo fa da professore della Sorbona o da guru che dà ricette di vita incurante se gli altri le utilizzino. A Paolo importa molto (per questo scrive ed esprime il suo pensiero) che i suoi scritti “convincano” i destinatari. Paolo, insiste, esorta, supplica, prega, rimprovera, argomenta, loda, ironizza: infatti non può essere resa vana la croce di Cristo e, di riflesso, nemmeno le sue fatiche, le sue lacrime, i suoi sforzi e il suo affetto verso le piccole comu-

Paolo propone non una dottrina ma Gesù Cristo

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Documenti nità. Perché c’è un legame profondo tra il Vangelo di Cristo e l’annuncio e l’interpretazione che ne fa Paolo. C’è un intreccio profondo tra fede e vita concreta: l’una si accresce con l’altra e si nutre dell’altra. Ma questa circolarità pulsante della vita (sarebbe il circolo ermeneutico!) è possibile attraverso un dialogo ininterrotto e attento tra la coscienza personale di un discepolo di Gesù e la cultura che egli respira e di cui è avvolto. In fondo, questa è l’operazione apostolica e culturale che soggiace alle lettere di Paolo. Paolo con le sue certezze di fede, la sua personalità, ci dice che l’agire cristiano non è dettato da un pesante obbligo morale, ma dalla scoperta della sovrabbondanza di ogni bene, di grazia, di sapienza, di gloria racchiusa nel “mistero” di Cristo. Di qui il frequente invito (che talvolta diviene preghiera) a voler conoscere, a lasciarsi illuminare da Dio, a discernere, a ben capire. Paolo valuta, discerne, propone non a partire dal catechismo, da una dottrina, ma da una persona (Cristo crocifisso e risorto, e venturo) e dal rapporto nuovo, trasformante che il credente ha instaurato con lui e che lo fa “nuova creatura”. Ed essere nuova creatura significa avere occhi, cuore, mani che vedono in modo completamente nuovo e realizzano novità, secondo il progetto di Dio, nelle relazioni con il cosmo, con se stessi, con gli altri, con Dio. Un valutare corretto non è solo confronto di opinioni, ma – per noi cristiani squisita operazione di amore e di fede in Cristo. Allora sarà più facile crearsi non solo una nuova mente, ma anche una nuova volontà e divenire più coraggiosi nell’agire. Se vogliamo capire bene le lettere di Paolo abbiamo bisogno di riflettere molto seriamente su ciò che ha significato per lui e per gli apostoli in genere l’esperienza viva e personale del Risorto. In essa c’è tutta la chiesa e tutta la dottrina della chiesa. Non è solo un’esperienza che li trasforma nella personalità e nel loro modo di pensare e di fare, ma li costituisce in una nuova identità: «Non sono più io che vivo ma Cristo vive in me». L’incontro con Gesù di Nazareth risorto rivela a Paolo il mistero del Signore Gesù, gli assegna una missione e definisce l’universalità (i “gentili”, gli etnici) dell’annuncio e della salvezza in Cristo. Paolo si lancia con zelo infinito in questa avventura e conformemente al suo carattere non ha mezze misure. In Gal 1,16 parla di “disvelamento” (apokalypsis) di Cristo in lui: è comunicazione, dono (non solo conoscenza) da parte di Dio di una realtà, di una qualità di vita, di un sistema cosmico altrimenti inattingibile per l’uomo: una realtà definitiva che era chiusa nel segreto di Dio fino alla venuta di Cristo. Tutto ciò determina il suo modo di pensare. Per capire Paolo tre considerazioni rilevanti

A) Paolo pensa a partire dal Risorto e dalla fede in lui: la conoscenza e la partecipazione al mistero di Cristo, la centralità di Gesù Cristo nella vita 25


Documenti e nella persona di Paolo divengono criterio ermeneutico per l’interpretazione delle Scritture e dell’esistenza. La fede in Cristo diviene criterio di giudizio in ogni situazione, in mezzo ad ogni cultura. Anche nella rielaborazione di concetti ed esperienze religiose sia ebraiche che etniche. B) Paolo pensa a partire dalla sua nuova identità: è inserito in Cristo e da lui mandato. Dalla consapevolezza del suo ruolo profetico ed apostolico nasce la voce del messaggero e del maestro. Lo manifesta la difesa a oltranza del suo annuncio evangelico come parte del mandato per l’evangelizzazione ai pagani (in situazioni inedite) sia di fronte a i suoi oppositori sia di fronte ai destinatari delle lettere. C) Paolo pensa a partire dal bene delle sue comunità, con passionalità e responsabilità. Pensa da fratello e da padre nei confronti delle comunità evangelizzate. C’è in lui la preoccupazione per le giovani comunità cristiane e per il loro modo di aderire esistenzialmente al vangelo. Il modo con cui si rapporta con le comunità cristiane e il loro vissuto nasce dalla consapevolezza acquisita di essere tutti divenuti in Cristo un solo corpo, tutti “graziati” da Dio.

C

onvertirsi al vangelo, non è mai – normalmente - qualcosa di improvFede e cultura: una sfida viso; si tratta infatti di un lento processo per ogni tempo di crescita e di trasformazione globale di tutta la persona. Le fede in Gesù, figlio di Dio fatto uomo, portava una novità immensa nella vita dei primi cristiani - fossero di origine giudaica o di origine pagana ellenistica. Si trattava, alla luce della fede, di cercare nuove risposte alle eterne domande: chi sono io? quali i miei rapporti con Dio? con la vita, con la società, con il cosmo stesso? Ed ancora: chi siamo noi, sparuti gruppi “cristiani” nelle grandi metropoli del mondo? Paolo, nelle sue lettere, aiuta a trovare quelle risposte che formano la coscienza personale e l’autocoscienza collettiva dei discepoli di Gesù, determinano i loro processi mentali, smuovono elementi culturali, prassi di vita pubblica e privata, secolari tradizioni religiose. Si trattava di superare con la fede in Gesù i limiti di ogni costruzione etica basata sulla ragione per gli ellenici e sulla fedeltà alla legge per i giudei. Di fatto Gesù crocifisso e risorto si pone sempre più chiaramente, nella mente dei cristiani e grazie a san Paolo, come il principio ermeneutico di ogni realtà: della storia, dell’ordine cosmico, delle strutture della conoscenza e della società; e principio di vita e di conoscenza è lo Spirito del Risorto donato ai credenti. Non fa meraviglia quindi che le piccole comunità cristiane siano vissute in mezzo a conflitti con la società tanto di stampo ellenistico quanto di quello giudaizzante. Anche i conflitti interni alle comunità non destano meraviglia. 26


Ecumenismo

Unità nella diversità bilancio di 60 anni

di Pier Giuseppe Accornero

«N

oi cristiani dobbiamo lavorare insieme per mostrare l’amore di Dio rivelato da Gesù Cristo. Possiamo e dobbiamo testimoniare che non ci sono soltanto l’ostilità e l’indifferenza, ma che ogni persona è preziosa per Dio e amata da Lui. Le divisioni che esistono tra noi ci impediscono di essere pienamente segno dell’amore di Dio. Lavorare per vivere l’ospitalità ecumenica renderà tutti noi cristiani – protestanti, ortodossi, cattolici - uomini e discepoli migliori e un popolo cristiano più unito. Ci avvicinerà ulteriormente all’unità».

Una strada per il dialogo

Il 22 gennaio 2020 Papa Francesco, nella settimana per l’unità dei cristiani (18-25 gennaio) indica la strada per incrementare il dialogo con le diverse confessioni. Non dissimile il ragionamento di Benedetto XVI nel 2010 per il mezzo secolo di cammino: «Il movimento ecumenico ha fatto significativi passi in avanti con incoraggianti convergenze e consensi su svariati punti, sviluppando tra le Chiese rapporti di stima, rispetto, collaborazione. Ma siamo ancora lontani da quella unità per la quale Cristo ha pregato, che si realizza a un livello molto profondo. La ricerca dell’unità non può ridursi al riconoscimento delle reciproche differenze e a una pacifica convivenza: aneliamo all’unità che si manifesta nella comunione della fede, dei sacramenti, del ministero. È un imperativo morale e una risposta alla chiamata del Signore: occorre vincere la rassegnazione e il pessimismo. Nostro dovere è proseguire il cammino verso questa meta con un dialogo serio e rigoroso per approfondire il comune patrimonio teologico, liturgico e spirituale; con la reciproca conoscenza; con la formazione ecumenica delle nuove generazioni; con la conversione del cuore e la preghiera».

Il Motu proprio Superno Dei nutu

Sessant’anni fa Giovanni XXIII – dopo la sua ventennale immersione nel mondo orientale e ortodosso, come delegato apostolico a Sofia e poi a Istanbul (1925-1944) – con il motu proprio «Superno Dei nutu» (5 giugno 1960) istituì il Segretariato per la promozione dell’unità dei cri­stiani, divenuto nel 1988 Pontificio Consiglio. Un interesse che era già pre­sente nella Chiesa: Leone XIII e Benedetto XV promossero la Settimana per l’unità, iniziata nel 1908 da Paul Watson, anglicano statunitense divenuto cattolico. 27


Ecumenismo Giovanni XXIII spinse la Chiesa sulla scena ecumenica con l’annuncio del Concilio (25 gennaio 1959) in una stagione in cui il Sant’Uffizio considerava l’ecumenismo un pericolo per dottrina, esercitava un control­lo inflessibile in forza dell’enciclica «Mortalium animos» (1928) di Pio XI che vietava ai cattolici di partecipare a riunioni ecu­meniche. La Chiesa era in ritardo, ma il Concilio la riportò al passo con i tempi. Il protagonista di quella stagione è il gesuita tedesco Agostino Bea, «cardinale del dialogo», eminente biblista, conoscitore dell’Antico Testamento e dell’ebrai­smo, rettore dell’Istituto Biblico. Su sua richiesta, il Papa lo nomina (13 marzo 1960) presidente del Segretariato istituito «“ad unitatem christianorum fovendam” e per mostrare il nostro amore e la nostra benevolen­za verso quelli che portano il nome di cristiani, ma sono separati dalla Sede Apostolica, perché possano seguire i lavori del Concilio e trovare la via dell’unità». Il Segretariato contatta le altre Chiese; invita gli osservatori dei «fratelli separati» a partecipare al Vaticano II; deve superare gli ostacoli del Sant’Uffizio e del suo capo, cardinale Alfredo Ottaviani, «il carabiniere di Dio». Si creano due sezioni: per gli ortodossi e per i protestanti. Al Concilio, il Segretariato prepara il decreto sull’ecumenismo «Unitatis redintegratio»; contribuisce alla stesura dei documenti «Dei Ver­bum» sulla Parola di Dio, «Nostra aetate» sull’ebraismo, «Dignitatis humanae» sulla libertà religiosa. Il 6 dicembre 1965 Paolo VI e Athenagoras I, Patriarca ecumenico di Costantinopoli, cancellano le recipro­che scomuniche del 1054.

Il post-concilio

Dopo il Concilio alla presidenza si alternano cardinali provenienti dai Paesi della Riforma: l’olandese Johannes Willebrands, l’australiano Edward Cas­ sidy, il tedesco Walter Kasper e oggi lo svizzero Kurt Koch. Il Pontificio Consiglio prepara gli incontri tra i Papi e i capi delle Chiese; redige le «Dichiarazioni cristologiche» con le Chie­se copta, siro-ortodossa, armena e assira che chiudono controversie durate oltre 1.500 anni; la «Dichiarazione sulla dot­trina della giustificazione» con luterani e metodisti; il «Documento di Ravenna» con gli ortodossi sulla natura della Chiesa. «In cinquant’anni – sostiene Benedetto XVI - si è acquistata una conoscenza più vera e una stima più grande, su­perando pregiudizi sedimentati dalla sto28


Ecumenismo ria; si sono fatte traduzioni ecumeniche della Scrittura; si è cresciuti nel dialo­ go teologico; si è sviluppata la collaborazione per la difesa della vita, la salvaguardia del creato, la lotta per la giusti­zia. Con le Chiese orto­dosse e orientali esistono strettissi­mi legami e un dialogo che approfondisce il co­mune patrimonio teologico, liturgico e spirituale. Bisogna ora affrontare il dibattito sul primato del Vescovo di Roma». Per il cardinale Kasper «il clima è ben diverso rispetto al 1960 e l’entusiasmo degli inizi si è affievolito. In Occidente ci sono atteggiamenti integralisti e anti-ecumenicí; per le Chiese la priorità è la difesa dell’identità. Prevale un ecumenismo di convivenza bonaria e di collaborazione nel­la cultura e nel sociale, nei diritti umani, nella tutela della vita, nel­la giustizia, nella salvaguardia del creato. Tutto questo è importante ma non è lo scopo dell’ecumenismo, che rima­ne l’unità nella diversità e la diversità nell’unità». La maggioranza dei fedeli soffre di analfabetismo religioso e non sa cosa significa essere cristiano, cattolico, ortodosso, protestante. L’ecumenismo è un’opportunità che la Chiesa non può permettersi di non cogliere. Lo capì la folla di romeni che accolse Giovanni Paolo II a Bu­carest il 7 maggio 1999 al grido «Unitate! Unitate!».

I passi di Francesco

Francesco compie notevoli passi avanti. Il 21-22 giugno 2015 visita – prima volta di un Papa – la comunità e il Tempio Valdese di Torino; il 31 ottobre-1° novembre 2016 a Malmö e Lund in Svezia partecipa alla commemorazione dei 500 anni della Riforma di Martin Lutero (1517-2017): il dialogo luterani-cattolici, un po’ imbrigliato, si rianima con l’ecumenismo della carità, con l’attenzione ai poveri e ai profughi, con l’impegno per la pace e l’ambiente. Tutte istanze che uniscono i cristiani. In più i cattolici e gli ortodossi sono uniti dal comune impegno in difesa del matrimonio, della famiglia e della vita, argomenti sui quali i protestanti sono freddi. L’ultima apertura di Francesco è la visita comune con Bartolomeo I, Patriarca di Costantinopoli, ai profughi nell’isola di Lesvos-Lesbo il 16 aprile 2016, dalla quale rientra con 16 profughi siriani musulmani. Ora ha in animo di andare nel martoriato Sud-Sudan con Justin Welby, arcivescovo di Canterbury e primate della Comunione anglicana. Sessant’anni fa i cattolici parlavano di «ritorno» o «conversione» dei «fratelli separati». Oggi tutti i cristiani puntano all’«unità nella diversità» e camminano verso la Chiesa voluta da Cristo. 29


Piano di Lavoro

Donne e Chiesa un difficile rapporto

di Gege Moffa

N

ella prima scheda dell’inchiesta del piano di lavoro sul ruolo pubblico della Chiesa, alla domanda: “Cosa oggi non viene accettato della chiesa?” è stato risposto, tra l’altro: “il maschilismo”. Tema difficile, delicato e complesso che non può certo trovare qui la risposta. È tuttavia innegabile che la chiesa, intesa come struttura e gerarchia, nei secoli non abbia riconosciuto alle donne alcun ruolo di rilievo, relegandole a quello di madri, mogli e pie fedeli, condizione che oggi esse trovano quanto meno limitante. Tutto sommato la chiesa non si comportava diversamente dalla società che teneva le donne in condizioni subalterne, negando di fatto l’accesso all’istruzione, all’esercizio di professioni che consentissero loro l’indipendenza o lo stesso godimento dei propri beni, sempre sottoposte agli uomini di famiglia (in Italia solo nel 1919 viene abrogata l’autorizzazione maritale e solo dal 1946 è stato loro riconosciuto il diritto al voto). Non è questa l’occasione di ripercorrere la lunga strada delle donne per il riconoscimento della parità, attualmente sancita ma non ancora pienamente goduta. Ritornando alla Chiesa, sia nell’Antico che nel nuovo Testamento, rispetto alle donne, ricorre la parola 30

“sottomissione” (1Cor 14,34-35; Ef 5,24-25; Col 3,18; 1Pt 3,1-6; 1Tm 2,1112). “Come in tutte le comunità dei fedeli, le donne nelle assemblee tacciano perché non è loro permesso parlare; stiano invece sottomesse, come dice anche la legge». Espressioni certamente condizionate dalla mentalità dell’epoca e andrebbero relativizzate.

La Mulieris dignitatem

In essa Giovanni Paolo II scrive: “È universalmente ammesso – persino da parte di chi si pone in atteggiamento critico di fronte al messaggio cristiano – che Cristo si sia fatto davanti ai suoi contemporanei promotore della vera dignità della donna e della vocazione corrispondente a questa dignità. A volte ciò provocava stupore, sorpresa, spesso al limite dello scandalo: “Si meravigliavano che stesse a discorrere con una donna” (Gv 4, 27), perché questo comportamento si distingueva da quello dei suoi contemporanei. «Si meravigliavano», anzi, gli stessi discepoli di Cristo” (MD 12). In un Commentario biblico si legge che a quei tempi i rabbini avevano così poca stima per le donne che non volevano che gli uomini parlassero con loro per strada, neanche se erano i loro mariti. Non c’è da stupirsi che qualche elemento di simile mentalità


Piano di Lavoro sia rimasta per secoli in alcune disposizioni di carattere disciplinare che non toccano né la fede né la morale. L’esegesi biblica è fatta anche per questo. Tuttavia l’evolversi della posizione della donna nella società occidentale cristiana ha modificato la mentalità corrente e la chiesa non poteva non risentirne e riconoscere dignità, presenza e contributi delle donne anche al suo interno. Papa Francesco, nel riferirsi alla questione della donna, afferma spesso che “si tratta di attivare processi”: significativo in quest’ottica è l’avvio presso l’Ateneo Regina Apostolorum del diploma “Donna e Chiesa”. Nel discorso inaugurale si è parlato della valorizzazione della donna nella Chiesa come un’opportunità di rinnovamento e conversione, ma che pur riconoscendo i molteplici segni di speranza, la strada è ancora lunga. “Tre sono gli ambiti che richiedono attenzione e impegno: il rispetto di diritti e dignità delle donne; la promozione del contributo delle donne all’interno della Chiesa; la riflessione sulla Chiesa a partire delle categorie femminili, per superare i condizionamenti culturali e mettersi sulla strada della conversione”. Variegato il panorama degli studenti iscritti al corso: tutti con ruoli di leadership o formativi a livello curiale, diocesano o universitario che provengono da diversi Paesi come Argentina, Brasile, Cile, Colombia, Germania, Italia, Malta, Messico e Spagna.

L’attenzione alla dignità della donna ricorre spesso nelle parole del Papa: quando afferma che la “Chiesa ha un cuore di madre”, o che “Ogni violenza inferta alla donna è una profanazione di Dio, nato da donna”.

Alle parole seguono i fatti

Nel maggio 2019: per la prima volta, per volere di Papa Francesco, la Segreteria generale del Sinodo dei vescovi si avvarrà del contributo di quattro donne: tre suore e una laica. Nel luglio 2019: la brasiliana Christiane Murray succede a Paloma Garcia Ovejero quale vice direttore della Sala Stampa della Santa Sede. Nel gennaio 2020: Papa Francesco nomina Francesca Di Giovanni, prima sotto-segretario donna della Sezione per i Rapporti con gli Stati, incaricandola di seguire il settore 31


Piano di Lavoro multilaterale. Si tratta di una designazione importante per un duplice motivo. Da una parte segnala l’importanza che la Santa Sede annette alla diplomazia multilaterale proprio in una fase storica in cui questo prezioso strumento di dialogo e di pace viene messo in discussione. Dall’altra conferma il desiderio di papa Francesco di conferire anche ad esponenti del gentil sesso incarichi dirigenziali, laddove, come in questo caso, non è necessaria la potestas ordinis legata alla consacrazione sacerdotale. In quest’ultima precisazione sta “il tetto di cristallo” per la presenza delle donne in posizioni dirigenziali all’interno della Chiesa, mancando ad esse la consacrazione sacerdotale; d’altra parte ai laici, anche maschi, non vengono assegnati ruoli tradizionalmente ricoperti da Vescovi. Si tratta di un processo in divenire al quale non mancano gli ostacoli, come dimostrano le dimissioni di Lucetta Scaraffa, coordinatrice del supplemento di Avvenire “Donne, Chiesa, Mondo” che ad aprile 2019, andandosene, ha accusato di maschilismo la direzione del giornale; ne ha preso il posto Nicoletta Pinci. Proprio questo mensile, nel numero di gennaio, titolava: “Le suore alle prese con la sindrome del burnout (sindrome da stress): costruire comunità resilienti”. La denuncia viene dall’Uisg (unione internazionale delle Superiore Generali) e ha spinto il cardinale João Braz de Aviz, Prefetto della Congregazione per la vita consacrata, ad affermare che “alcune cose del32

la vita consacrata vanno cambiate” e ha acceso i riflettori sulle problematiche delle religiose: dal burnout alla questione delle “fuoriuscite” (che hanno abbandonato il convento o ne sono state allontanate). Dolore, frustrazione, pesanti carichi di lavoro, angherie e soprusi sono alcune delle ragioni che spingono a lasciare il velo e spiegano la diminuzione delle vocazioni. Il Papa dice:” Io soffro, dico la verità, quando vedo nella Chiesa o in alcune organizzazioni, che il ruolo di servizio, che tutti noi abbiamo e dobbiamo avere, il ruolo di servizio della donna scivola verso un ruolo di servitù”. Ancora una volta Papa Francesco non è rimasto insensibile al grave problema e ha voluto che, in due strutture gestite dalle Scalabriniane che accolgono donne in condizioni di vulnerabilità, vengano accolte anche le religiose uscite dai conventi rimaste senza soldi, cibo e documenti ed esposte ad ogni tipo di sopruso. Possiamo dunque ringraziare Papa Francesco per la sensibilità e le aperture, ma sappiamo quanto la mentalità sia difficile da cambiare anche nelle realtà locali e con quanta lentezza avvengano i cambiamenti culturali in ogni ambiente. Speriamo che il processo avviato porti frutti, magari guardando ad altre Chiese cristiane dove alle donne non viene negato il sacerdozio; in Piemonte ne è esempio la Chiesa Valdese all’interno della quale le “pastore” sono altrettanto stimate quanto i loro omologhi ed ugualmente rispettate anche dai cattolici.


Piano di Lavoro

Ferrara:

il futuro dipende da noi di Maria Grazia Fergnani

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a meditazione sui brani tratti dal Libro di Giuditta ha spinto il gruppo ad iniziare l’inchiesta dalla scheda sul futuro, mentre nel frattempo seguivamo con interesse l’evolversi della situazione politica del paese e in particolare della nostra città. Nel quadro della riflessione sulla dimensione pubblica della fede la figura di Giuditta ci ha colpito molto: come donna non aveva voce in capitolo nelle decisioni pubbliche e come vedova apparteneva alla categoria delle persone marginali e indifese cui si dovevano aiuto e protezione. Eppure da questa condizione di irrilevanza pubblica, e contro ogni logica, Giuditta affronta l’impossibile e salva il suo popolo dall’annientamento. Le sue sole armi sono la preghiera e l’affidarsi incondizionato alla volontà di Dio con una fede totale che non aspetta soluzioni dall’alto, ma la spinge a mettersi in gioco a rischio della sua stessa vita. Potrebbe starsene fuori dai problemi “politici” e godersi la sua condizione di vedova benestante cui non compete chiedersi: cosa posso fare io? ma Giuditta si sente responsabile della sua comunità e nella fede trova il coraggio e la volontà di agire per cambiare le cose. Nel racconto biblico Giuditta è la metafora del popolo di Israele a cui viene insegnato che la sua salvezza do-

vrà fondarsi sempre sulla fede e l’abbandono alla volontà di Dio, che anche nelle condizioni più disperate sarà al suo fianco e non lo abbandonerà nelle mani dei nemici.

Giuditta un messaggio attuale

Il messaggio oggi è rivolto a noi, uomini e donne di questo tempo, come invito pressante a vivere una fede generativa di coraggio e di impegno, a cui non è concesso sottrarsi né sul piano personale né su quello della comunità, una fede che in ogni situazione dona forza e capacità di uscire da se stessi. In questa ottica il futuro dipende da ciascuno di noi, anche da noi che ci troviamo in un’età anagrafica in cui può apparire fuori tempo credere di poter ancora costruire il futuro. “Quando il tempo che rimane è poco” più che a guardare al futuro si tende a tirare le fila del passato: “penso di aver già fatto nella vita tutto quello che dovevo fare”, e talvolta con un senso di delusione: “credevo di aver costruito qualcosa di più solido”. La prospettiva è a breve termine: “i figli sono grandi, il lavoro non c’è più, mi sento tagliata fuori dalla società e mi sembra di non costruire più niente”. Il pensiero del domani si accompagna al tema della morte e a un sottile sentimento di angoscia che spegne lo slancio fiducioso verso l’avvenire. 33


Piano di Lavoro Questa è anche l’età in cui si può prendere atto che le vicende vissute, gli incontri significativi, le ricerche compiute ci hanno cambiato: è cresciuta la nostra consapevolezza, in molti casi abbiamo fatto pace con noi stessi e con il nostro passato: “ho imparato a perdonarmi e a perdonare, non mi giudico e non giudico; prendo quello che mi viene dato con gioia, anche se è poco; ho raggiunto la consapevolezza che non abbiamo in mano la nostra vita”. Questo è anche il tempo dell’attesa che non pretende di vedere subito i risultati, in cui ci si può dedicare agli altri e riconoscere con gratitudine i doni che abbiamo ricevuto. Ma il bilancio non deve essere definitivo. Possiamo ancora camminare, crescere nella fede e in una saggezza umana e cristiana da mettere al servizio delle persone e delle realtà che incontriamo, “tenendo il passo con un mondo che è totalmente cambiato rispetto a quello in cui siamo cresciuti”. Facciamo i conti ogni giorno con il senso di impotenza di fronte alla vastità dei problemi e delle sfide di oggi e con la preoccupazione per il progressivo degrado della nostra convivenza civile. Ci sconcertano le divisioni che avvelenano la nostra vita pubblica e che coinvolgono anche i cristiani. Mentre ci turba la mancanza di sintonia con chi condivide la stessa nostra fede, non ci sorprende trovare accanto a noi, nella difesa del valore della fratellanza e della solidarietà, chi si professa non credente: esiste un’etica umana oltre che evangelica 34

che riconosce l’altro come fratello e che accomuna tante persone nell’impegno civile.

La distinzione tra fede e religione

Di fronte a queste discordanze dovremmo tutti riflettere sulla distinzione fra fede e religione; si può essere infatti religiosi e attivamente praticanti, ma non essere uomini e donne di fede. La fede mette in questione le nostre convinzioni e i nostri piani, cerca di comprendere la volontà e i disegni di Dio sulla vita e sulla storia; lavora per la riconciliazione e il rispetto delle persone: “la religione può dividere, la fede apre sempre strade nuove all’incontro e al dialogo”. Sulla base di questa fedeltà a Dio e allo spirito del vangelo su cui si misura la qualità della nostra fede, ci siamo interrogati su quanto ci sentiamo partecipi e responsabili della comunità. Abbiamo il coraggio di prendere posizioni controcorrente quando il bene comune lo richiede? Siamo capaci di contrastare il pensiero dominante in certi ambienti secondo cui è normale, e anzi dovuto, escludere l’altro da noi, qualunque sia la diversità di cui è portatore, magari proprio in nome del vangelo? Quanto ci impegniamo a superare i conflitti, ad ascoltare le ragioni altrui, ad andare oltre il cerchio ristretto della nostra vita privata? Domande sempre aperte che accompagnano un percorso di fede in continua evoluzione, che non prevede la possibilità di andare in pensione.


Parole e fatti… REGGIO CALABRIA - Più di un centinaio di persone hanno aderito al

torneo di beneficenza organizzato dal MRC di Reggio Calabria a favore dell’opera missionaria della Fondazione Ambrosoli a Kalongo, in Uganda. Presenti tra noi il dott. Tito Squillaci e la moglie, che hanno commosso tutti con il racconto delle loro esperienze accumulate nei lunghi periodi di permanenza in Africa. Il dott. Squillaci è un pediatra che vive a Bova Marina e lavora presso l’Ospedale di un comune vicino, ma da molti decenni, avendo conosciuto il comboniano Giuseppe Ambrosoli, si reca in Africa per prestare la sua opera di medico a Kalongo dove P. Ambrosoli, recentemente proclamato Beato, aveva iniziato ad operare secondo la prospettiva di azione di Daniele Comboni, “salvare l’Africa con l’Africa”, che mirava a coniugare solidarietà e sviluppo umano. Perciò da un piccolo dispensario aveva pian piano costruito un ospedale. Oggi l’Uganda è un paese in pace, ma non era così trent’anni fa, quando c’era la guerra e i volontari, per mettersi in contatto con i propri familiari, dovevano percorrere centinaia di chilometri. Per quanto riguarda le cure, il ruolo degli ospedali missionari, come quello di Kalongo, resta cruciale, soprattutto per i più poveri e anche se oggi vengono offerte discrete possibilità per diverse patologie, per altri interventi molti non possono affrontare gli alti costi e la battaglia contro la povertà non è per nulla vinta. È solo grazie alle donazioni che i volontari possono accompagnare in altri ospedali quei pazienti che non possono essere curati in loco e garantire loro gli interventi necessari. Nel corso degli anni i due coniugi, assieme alla comunità delle suore e dei padri comboniani, hanno contribuito all’espansione dell’ospedale di Kalongo e tuttora conducono un intenso programma di formazione del personale locale nel reparto di Pediatria per garantire una autonomia sempre maggiore. 35


Parole e fatti La signora Nunziella Squillaci ci ha parlato dell’ultimo progetto che le sta molto a cuore e che si sta realizzando: la costruzione, accanto alla scuola esistente, di un piccolo edificio, che sarà dedicata a don Pino Puglisi, per la residenza di una decina di bambini con disabilità fisica, che altrimenti non potrebbero frequentare le lezioni a causa delle grandi distanze da percorrere. Già le donazioni, talune inaspettate e provvidenziali, hanno permesso di avviare i lavori, che sono a buon punto. Noi di Rinascita, nel nostro piccolo, abbiamo cercato di contribuire, coinvolgendo tantissime persone. Non abbiamo versato altro che una goccia nel mare dei loro bisogni, ma siamo stati contenti, sia di far conoscere a tante persone l’opera di molti volontari che, con umiltà e amore, agiscono con amore e dedizione nel silenzio in luoghi spesso dimenticati, che di condividere dei momenti di riflessione sulle condizioni talvolta disumane in cui vivono quei nostri fratelli. Rina Bova

FOGGIA - Dopo i gravi episodi di criminalità che hanno colpito la città di

Foggia nei primi giorni del nuovo anno, si è tenuta, il 10 gennaio, una grande manifestazione antimafia organizzata da Libera, a cui hanno aderito in 20mila: cittadini, associazioni, parenti delle vittime di mafia, sindaci di tutti i comuni della provincia di Foggia, il Procuratore Distrettuale antimafia, le scuole, l’Arcivescovo Pelvi, tutti i gruppi e i movimenti ecclesiali ( tra cui Rinascita Cristiana), i partiti, i sindacati, il Presidente della Regione, il ministro Teresa Bellanova. L’ iniziativa, per volontà del fondatore don Luigi Ciotti, è stata chiamata “Foggia Libera Foggia” per definire una guerra di liberazione dalle mafie che è cominciata e può essere vinta se tutta la cittadinanza si mobilita, perché solo uniti si costruisce il futuro, ma occorre anche l’impegno dello Stato per assicurare giustizia, pari opportunità, lavoro ad una città troppe volte dimenticata. L’Arcivescovo Vincenzo Pelvi ha, con toni appassionati, esortato a reagire, a non cedere allo sconforto, al senso di impotenza, allo scetticismo, a scommettere in un futuro rispondente alla dignità umana, ad un cambiamento che passa nella coscienza e nella consapevolezza delle proprie responsabilità. L’irresponsabilità e l’indifferenza fanno perdere la libertà, la vita è distrutta dalla violenza, il ricatto, la menzogna, l’egoismo, il silenzio. Spesso il bene viene irriso e l’astuzia e l’inganno sono giudicati vincenti. La violenza mafiosa è l’espressione dell’anemia culturale e dell’ignoranza, occorre il coraggio della denuncia e non farsi rubare la speranza. Monsignor Pelvi ha, infine, ringraziato tutti per la presenza che è il segno del cuore pulsante di Foggia che si impegna e spera in un territorio più giusto e fraterno. Tina Armiento 36


Parole e fatti IMPERIA – L’Assistente il prof.

don Gustavo Del Santo è tornato alla casa del Padre pochi giorni prima del compimento del suo 95°anno. Canonico della Cattedrale si è impegnato moltissimo nel trasmettere a molte generazioni l’amore per la musica sacra. Assistente di molte associazioni, fino all’ultimo ha seguito il gruppo di Rinascita Cristiana che aveva nel cuore. Proseguiremo ora il nostro lavoro con Mons. Luigi Fabbris parroco della Basilica Concattedrale di S. Maurizio. Gabriella Stabile Re

PALERMO - Il gruppo Carducci di Palermo ha ripreso con entusiasmo le sue riunioni. Stimolante l’intervento del Prof. Elio Scaglione che ci ricorda l’impronta missionaria del nostro Movimento tesa a stimolare nei suoi aderenti una formazione cristiana permanente a livello individuale, ma d’altro lato, volta ad incrementare la spinta evangelizzatrice di carattere sociale che siamo impegnati a sviluppare nei contesti di vita in cui siamo normalmente inseriti. Interessante la riflessione su Giuditta, una donna che può diventare lo strumento umano scelto da Dio per liberare il suo popolo. Giuditta mostra la sua grande fede in Dio e si abbandona con fiducia al volere divino mentre decide di salvare il suo popolo. Anche se la moralità della strategia usata da Giuditta ci lascia un po’ perplessi, vediamo in lei una fervente religiosa che si abbandona al volere di Dio. Nella vicinanza del Natale il nostro assistente P.Pavone ha celebrato una messa con una bella omelia, e abbiamo brindato all’anno nuovo. Nelle ultime riunioni, abbiamo letto i capitoli proposti della Lettera ai Romani: San Paolo ci lascia il messaggio di amore comunitario, di amarci gli uni con gli altri, e di seguire la “vera” politica che è la più grande forma di carità. Mariolina Carducci Gristina ROMA – Suor Rita Giaretta, fondatrice di Casa Ruth a Caserta, è una suora orsolina attiva, dinamica e simpatica, il 19 febbraio su invito dei gruppi romani ha raccontato la sua esperienza a Caserta soprattutto in favore delle vittime della tratta. Più di venti anni fa tre suore orsoline d’accorda con l’allora Vescovo di Caserta Mons. Raffaele Nogaro decisero di vivere in una città del Sud occupandosi particolarmente di donne secondo il loro carisma. Lunga è la storia di queste dinamiche suore che in una cittadina del sud Italia giravano in 37


Parole e fatti bicicletta, vivevano in un condominio, frequentavano le periferie. Tutto è raccontato in un libro Non più schiave. Casa Rut, il coraggio di una comunità (ed. Marlin): Un libro-testimonianza, dal linguaggio vero, ricco di provocazioni su quel fenomeno, ormai globalizzato, che è la tratta di donne e minori migranti, nuova forma di schiavitù a scopo di sfruttamento sessuale. “Osare la speranza”, che è anche il titolo dell’ultimo libro di Suor Rita, è la sua parola d’ordine. non è solo uno slogan. È pratica. Perchè la speranza va praticata. E testimoniata. “Osare” vuol dire continuare nel quotidiano a vivere la speranza. Stare dentro al territorio giorno per giorno e amare la gente. Cercando insieme di tirare fuori il meglio. Non servono i grandi discorsi. Si rischia il disinteresse e la rassegnazione. Bisogna invece credere che a partire da noi, più che dalle istituzioni, sia possibile cambiare. Altrimenti continuerà la logica del favore che spalanca la porta allo stile camorristico e uccide il bene comune. Il tutto non è nato come un progetto fatto a tavolino. “Non siamo partite dal nord con un progetto in tasca. È nato tutto dal basso. Girando, incontrando le persone e vivendo il territorio. E quello che succedeva ha fatto crescere la comunità. Abbiamo deciso di lasciarci condurre dalla storia. E la storia ci ha portato sulla strada dalle vittime della tratta. E così, un 8 marzo di tanti anni fa, ci fu la prima ragazza che ci chiese aiuto e salì in macchina con noi. Ci rendemmo disponibili all’accoglienza. L’abbiamo portata a casa e abbiamo aperto la comunità. 350 ragazze sono passate da allora. 350 cammini di liberazione. È la grande famiglia di Casa Rut. Oggi Suor Rita è a Roma e sta cercando la strada di un nuovo impegno. Ci terrà al corrente per vedere come possiamo collaborare con lei.

ORIETTA DI DOMENICO - Fin dalle origini presente in Rinascita Cristiana. Le sue prime tracce risalgono ai “gruppi giovanili” nati a Roma nel primo dopoguerra. Figlia spirituale degli allora mitici assistenti P. Lyonnet e P. Lécuyer si è prodigata in questi gruppi per molti anni. Alcune scelte della sua vita l’hanno allontanata per un breve periodo dal movimento, dove è poi rientrata assumendo negli anni l’incarico di Responsabile cittadina, di collaboratrice di Rinascere, di animatrice a livello nazionale. “Orietta era elegante, colta, ironica e moderna – secondo la testimonianza di una sua amica -i suoi rapporti di amicizia erano senza barriere di età, cultura e religione. Era bello condividere serate sulla sua terrazza o nel suo salotto accogliente con una buona cena fredda o un gelato. La sua passione per le vicende della vita e la sua generosità nella parola sempre disponibile per tutti hanno reso la sua casa un piacevole luogo di amicizia”. In molti ancora la ricordiamo con affetto. 38


Movimento

Padre Prosper Grech

una guida spirituale e un amico

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l Cardinale, per noi tutti Padre Grech, è morto all’età di 94 anni dopo una vita lunga e operosa di studioso, di guida spirituale, di amico per tanti di noi romani e per l’intero Movimento di Rinascita. Lo ricordiamo bene nelle sue ultime apparizioni nazionali: la liturgia di Assisi in cui ci bacchettò ben bene per la nostra mancanza di slancio missionario e il Giubileo straordinario in cui guidò il nostro gruppo nella basilica per la Celebrazione Eucaristica da lui presieduta. Dell’Ordine di Sant’Agostino, docente emerito di varie università romane tra cui il Pontificio Istituto Biblico, consultore della Congregazione per la dottrina della fede, Prosper Grech è nato a Malta nel 1925; nel 1944 emette i voti religiosi e nel 1950 viene ordinato presbitero a Roma nella basilica di San Giovanni in Laterano. Nel 1953 conclusi gli studi alla Pontificia Università Gregoriana conseguendo la licenza e il dottorato in teologia si trasferisce ad Oxford e a Cambridge; della sua educazione inglese ha conservato sempre quello spirito of humour che lo ha reso caratteristico, simpatico e a volte sconcertante. Fotografo per passione e quasi per professione molti di noi conservano delle sue bellissime foto. Numerosi i suoi libri e i suoi articoli su riviste scientifiche sia in italiano che in inglese, fondamentale un suo volume sull’ermeneutica biblica che ha indirizzato tanti studenti del Biblico. Il nome del cardinale Grech è associato a quello della fondazione (assieme al confratello Agostino Trappé) dell’istituto Patristicum Augustinianum nel 1969. Creato cardinale nel 2012 da Papa Benedetto XVI, un anno dopo fu lui a tenere la meditazione ai 115 cardinali riuniti nel Conclave che elesse Papa Francesco. Ma la lunga esistenza di padre Grech ha avuto altri capitoli dal sapore incredibile: tra le mura dell’Augustinianum a Roma fu partecipe dei tanti salvataggi di ebrei durante il pontificato di Pio XII. Gli amici che da più tempo sono in Rinascita Cristiana ed hanno conservato dei vecchi Piani di Lavoro potranno ripercorrere le tante Meditazioni da lui curate e ricordarlo con quel sorriso con cui ci ha sempre arricchito della sua cultura e della sua spiritualità. (F.S.L.) 39


Società

Donne di fede nelle tre religioni monoteistiche spettatrici o attrici?

di Paola Romano

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a una prima lettura dei testi delle tre religioni monoteiste si avverte la netta “sensazione” che nell’ambito delle comunità politiche sociali e religiose di appartenenza, alle donne sia attribuito un ruolo marginale rispetto a quello riconosciuto agli uomini. Basti pensare, per il cristianesimo, all’iconografia divina e ai discepoli e, per l’ebraismo alle figure di Mosè e di Abramo per convincersi che sono gli uomini, o un gruppo di essi, ad avere un rapporto stretto e diretto con la fonte della fede. Le donne appaiono in secondo piano, più spettatrici che attrici delle religioni, anche perché solo agli uomini è consentito celebrare le funzioni religiose. Ma, da Eva e Maria, da Giuditta ad Aisha, la donna è sempre stata testimone di una fede forte, coraggiosa, contro corrente: le donne in verità sono state le custodi del Piano di Dio. Per il cristianesimo, con il concepimento attraverso una giovane donna, per nulla straordinaria, come Maria, Dio sceglie di dare un ruolo di primo piano alle donne che dimostrano di non essere fragili, bensì forti e coraggiose. Sono le donne che comprendono prima degli altri il mistero della venuta al mondo del figlio di Dio, sono le donne che seguono Gesù sulla via del Calvario e sotto la Croce. Per prime, credono nella Risurrezione e se ne fanno testimoni oltre ogni umana certezza. Ancora oggi alle donne è affidato il ruolo di trasmettere la fede ai figli, come un dono prezioso da passare di generazione in generazione. Tutto ciò è riconoscimento della perseveranza, della forza, della determinazione della donna e dell’importanza della sua testimonianza all’interno del mondo religioso. Anche nell’ebraismo della Torah, le donne trovano un loro spazio di rilievo. Basti pensare a Sara, Rebecca, Rachele, Lea menzionate spesso nelle preghiere e ancora ci sono l’umile vedova Giuditta e la Regina Ester che salvano il proprio popolo dalla schiavitù e dalla morte sicura. Sono donne che non arretrano di fronte al pericolo, si assumono la responsabilità di guidare il proprio popolo, si espongono in prima persona, mettono in gioco ogni loro risorsa, dalla bellezza al coraggio, sostenute dalla fede dalla preghiera e dalla speranza. Diventano collaboratrici del Piano di Dio. Donne di grande carattere, non fragili ed arrendevoli, “eroiche” all’interno di una religione marcatamen40


Società te patriarcale come quella Ebraica. Forti e combattenti sono anche le ebree di oggi, soldatesse o mamma a capo di famiglie numerose, donne che la religione e la cultura rispettano e tengono in grande considerazione. Se, spesso alle donne viene affidato un ruolo chiave nella risoluzione di problemi o nella testimonianza all’interno di alcune delle vicende religiose più importanti, è altrettanto vero che cristianesimo, ebraismo e islam hanno in comune un impianto maschilista nella figura di Dio, padre e creatore. Ciò si avverte in maniera netta nella religione musulmana, dove, curiosamente, l’unica donna alla quale è dedicata una sura nel corano è Maria, in quanto madre di Gesù non figlio di Dio, ma profeta che ha preceduto Maometto. Maria è una delle donne più venerate nel mondo islamico, tant’è che esistono santuari mariani in Libano ed in Egitto visitati da cristiani e musulmani. Oltre Maria due delle mogli di Maometto sono molto rispettate dal punto di vista religioso: Kladija, che crede in lui e lo sostiene anche a livello sociale, e la giovanissima Aisha “affidabile nel modo di vivere e trasmettere la fede”. Fatte queste poche eccezioni, la considerazione di cui gode la donna nell’islam è davvero esigua, soprattutto perché, in maniera più netta rispetto alle altre religioni, la donna viene considerata principalmente un “corpo” e definita “fitna” (seduzione), cioè oggetto che può distogliere l’interesse dell’uomo dal rispetto al suo Dio e diventare motivo di scandalo. Quando la donna vuole emanciparsi dal suo uomo-guardiano, lasciando scoperti i capelli, non indossando il velo rappresenta una tentazione per l’uomo diventa perseguibile per legge divina e, poiché nella religione musulmana manca un’autorità terrena che fornisca l’interpretazione “autentica” dei precetti, assistiamo, nei vari Stati islamici, a diversissime interpretazioni della “legge divina” che si traducono in disposizioni legislative radicali. In realtà la fisicità della donna è stata considerata per molti secoli fonte di possibile peccato da tutte e tre le religioni monoteistiche. Negli ultimi decenni si è verificato, tuttavia, un grande cambiamento nel modo di considerare la donna nella Chiesa, nella vita politica e sociale. Anche se nella parte più ortodossa dell’ebraismo le donne pregano tuttora in un luogo separato e indossano abiti che nascondevano le forme del loro corpo, ma nel contempo, la Torah afferma con chiarezza che l’uomo e la donna sono creati con la stessa sostanza che ha dato la vita ad Adamo e ciò sancisce la loro parità. Vogliamo pensare che l’attenzione al corpo, al pudore e le esortazioni al decoro fisico e morale che le tre religioni rivolgono in modo particolare alla donna scaturiscano, non dalla volontà di regalarla in una posizione marginale nell’ambito della vita sociale e familiare, bensì dal desiderio di custodirla e di innalzarla. Comunque sia, spesso spettatrice e più spesso attrice, la donna è sempre ambasciatrice di una fede di “cuore”, che va controcorrente perché si affida a Dio in un atteggiamento di profonda fiducia e disponibilità. 41


Opinioni a confronto

La cura della sofferenza una riflessione che continua

di Renzo Seren Per sentirsi movimento e crescere insieme accogliamo volentieri la riflessione di Renzo Seren. Un ottimo esempio di condivisione di opinioni ed esperienze utili

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el precedente numero di Rinascere, Giovanna Hribal ha pubblicato un bellissimo articolo sulle cure palliative. Su questo tema si sta finalmente sviluppando una nuova consapevolezza che amplia e eleva il dibattito sull’accanimento terapeutico, sull’eutanasia, sul fine vita in generale. Come scrive molto bene la nostra Giovanna Hribal, alcuni termini tradotti dall’inglese assumono un significato fuorviante; così palliativo va inteso nel senso di un pallio/mantello che avvolge e protegge il malato in tutta la sua interezza di persona; l’hospice non è un ospizio nel quale finiscono i loro giorni anziani e disabili, ma è più propriamente l’hospitium, il luogo ospitale dove trovare e prestare reciprocamente assistenza e cure. L’equivoco più frequente è sul significato di sedazione profonda che spesso viene descritta come una forma mascherata di eutanasia. In realtà non si interviene assolutamente sulla durata naturale della vita che termina la sua fase terrena nei tempi previsti dal buon Dio, 42

ma si evita che la malattia si concluda drammaticamente nel dolore più atroce e disumanizzante. Il dolore fisico è certamente al centro delle terapie somministrate ai malati, ma le cure palliative includono funzioni che vanno ben oltre l’aspetto puramente farmacologico. Ci si trova ad affrontare essenzialmente malattie inguaribili, ma rimane fondamentale coltivare una zona franca destinata alla speranza che va di pari passo con la conservazione della dignità personale anche nella fase conclusiva dell’esistenza. Chi è impegnato nel settore come personale medico o come volontario ha accolto in sé la convinzione che ci sono malati inguaribili, ma nessun malato è incurabile. Da questa convinzione deriva lo scopo delle cure palliative: contribuire alla realizzazione della miglior qualità di vita possibile per i pazienti ed i loro famigliari, riconducendo il morire alla sua dimensione di evento naturale, integrando l’assistenza strettamente medica e infermieristica con l’accompagnamento psicologico, spirituale e sociale. L’ascolto assume un ruolo centrale per consentire al paziente di mantenere il senso della vita ed evitare che tutto declini in una fase di amara delusione. Raccontarsi è un modo efficace per ritrovarsi al centro di una importante storia di eventi e di affetti


Opinioni a confronto e per ripensare il tempo non in termini cronologici (cronos), ma nella sua dimensione qualitativa, come tanti momenti memorabili (kairos) alcuni dei quali possono verificarsi anche nella fase conclusiva della vita. Esemplare è l’esperienza di quel padre che, grazie ad un efficace coordinamento dell’equipe di cure palliative, è riuscito ad accompagnare all’altare la figlia. Esempio commovente di come si possa vivere uno dei momenti più belli della propria vita anche quando il tempo-cronos è poco e sta per scadere. Un ascolto efficace richiede silenzio e attenzione. Ci si deve svuotare di se stessi, del proprio pensiero per fare spazio all’altro. Non è sufficiente la vicinanza fisica, anche se in alcuni casi può bastare stringere una mano o fare un sorriso. Naturalmente c’è anche un impegno che tende ad assecondare le richieste pratiche di ogni tipo, dal mangiare alla cura estetica della persona. Si può dire - parafrasando quanto diceva Paolo VI riguardo ai maestri e testimoni - che c’è bisogno di chi si prende cura più anco-

ra che di medici, e se di questi c’è bisogno è perché si prendono cura. In hospice, in ambulatorio, a domicilio i rapporti con le persone sofferenti sono una consuetudine animata dal coinvolgimento e non dalla presunzione di poter aiutare concedendo una parte del proprio tempo. Non si presta un soccorso consolatorio. ma un’azione alla pari con l’altro. Chi ha sperimentato l’assistenza a malati in condizioni di estremo disagio sa che a fronte della sofferenza c’è, soprattutto, una lezione di vita. La dimensione della sofferenza non è contenuta soltanto nei suoi aspetti fisiologici o medici: è certamente un’esperienza più profonda, che molte volte rivela insospettate qualità nelle persone. Per un cristiano che ha scelto un “Dio che soffre e che muore”, è un impegno di coerenza agire coraggiosamente e senza angoscia nelle situazioni segnate da ogni tipo di dolore. Ovviamente non per autolesionismo, ma per testimoniare il ribaltamento di valori attuato da Gesù che ha innestato la speranza anche dove vi era solo disperazione.

Un tempo contro le epidemie si pregava, oggi si chiudono le chiese Lo storico Franco Cardini di fronte all’emergenza Coronavirus richiama l’importanza della dimensione pubblica della fede. Oggi prevale “una fede fragile e individualista. La nostra fede in Dio zoppica. Oggi non faremmo mai una novena affinché Dio ci liberi dall’epidemia. Sarebbero gli stessi medici cattolici ad ammonirci di pregare in casa. L’epidemiologia moderna è un incentivo alla nostra carenza di fede. Siamo dentro un cortocircuito da cui non riusciamo a uscire”. “Esiste ovviamente la preghiera mistica che si fa in silenzio e da soli, ma, come direbbero gli ebrei, non è la preghiera che Dio predilige. La preghiera privilegiata è quella che il popolo di Dio fa, ordinatamente, tutto insieme. Una volta durante le epidemie si organizzavano novene e processioni per invocare la protezione divina, oggi si chiudono le chiese. Non andiamo a messa e quindi ci rassegniamo all’isolamento. La prudenza è sacrosanta e la scienza è preziosa, ma occorre fare una riflessione più ampia”.

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IL MIAMSI TRA LE ONG AL FORUM MONDIALE Papa Francesco il 7 dicembre ai partecipanti al forum mondiale delle ONG di ispirazione cattolica

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olti di voi si interessano e cercano di essere presenti nei luoghi dove si dibattono i diritti umani delle persone, le loro condizioni di vita, il loro habitat, l’educazione, lo sviluppo e altri problemi sociali. In questo modo, realizzate quanto ha affermato il Concilio Vaticano II: la Chiesa «si trova nel mondo e insieme con esso vive ed agisce» (GS 40). Si tratta di una “frontiera” per la Chiesa in cui potete svolgere un ruolo notevole, come ricordava lo stesso Concilio trattando della cooperazione del cristiano nelle istituzioni internazionali: «Le varie associazioni cattoliche internazionali possono servire in tanti modi all’edificazione della comunità dei popoli nella pace e nella fratellanza. Perciò bisognerà rafforzarle, aumentando il numero dei cooperatori ben formati. Ai nostri giorni, infatti, efficacia d’azione e necessità di dialogo esigono iniziative collettive» (ibid., 90). Tale affermazione conciliare è di grande attualità e vorrei metterne in risalto tre aspetti: 1) la formazione degli aderenti; 2) i mezzi necessari; 3) condividere iniziative sapendo lavorare in gruppo. La formazione appropriata e l’educazione, come dimensione trasversale ai problemi della vita socio-politica, è al giorno d’oggi un impegno prioritario per la Chiesa. Non possiamo “vivere di rendita”. È per questo che ho voluto lanciare un appello mondiale per ricostruire un Patto globale sull’educazione – un passo avanti – che formi alla pace e alla giustizia, all’accoglienza tra i popoli e alla solidarietà universale, oltre all’attenzione per la cura della “casa comune”, nel senso espresso dall’Enciclica Laudato si’. Vi incoraggio, pertanto, a incrementare, ancora di più, la vostra professionalità e la vostra identità ecclesiale. Avere le risorse materiali necessarie per raggiungere i fini indicati. Ricordiamo la parabola dei talenti. Le risorse sono importanti, sono necessarie, sì, ma può succedere che a volte siano insufficienti per raggiungere gli obiettivi proposti. Non dobbiamo scoraggiarci. Bisogna ricordare che la Chiesa ha sempre fatto grandi opere con mezzi poveri. Occorre procurarli, certamente, e far rendere al massimo i propri talenti, ma dimostrando con ciò che ogni capacità ci viene da Dio, non è nostra….A volte l’eccesso di mezzi materiali per portare avanti un’opera è controproducente, perché anestetizza la creatività. Condividere iniziative per lavorare in gruppo. L’esperienza di fede, il sapersi portatori della grazia del Signore, ci dice che questo è possibile. Collaborare nei progetti comuni fa risplendere ancora di più il valore delle opere, perché si mette in evidenza qualcosa che è connaturale alla Chiesa, la sua comunione, il camminare insieme nella stessa missione (syn-odos) al servizio del bene comune, mediante la corresponsabilità e il contributo di ciascuno. Il vostro Forum vuole esserne un esempio, e per questo i progetti che realizzate in ogni luogo, unendo le forze con altre organizzazioni cattoliche e in comunione con i Pastori e con i Rappresentanti della Santa Sede presso gli organismi internazionali, avranno l’effetto moltiplicatore del lievito del Vangelo e la luce e la forza dei primi cristiani. Il mondo di oggi esige nuova audacia e nuova immaginazione per aprire altre vie di dialogo e di cooperazione, per favorire una cultura dell’incontro, dove la dignità dell’umano, secondo il piano creatore di Dio, sia posta al centro.

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Piano di Lavoro

Spunti di agire dai nostri gruppi

a cura di Francesca Sacchi Lodispoto

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a comunicazione è importante per sentirci sempre più Movimento, solidali nei pensieri, nelle prese di coscienza e nelle prospettive di azione. Ogni città conosce bene la vitalità e la ricchezza dei propri gruppi tuttavia vogliamo ringraziare coloro che hanno inviato non solo la scheda sondaggio ma anche il loro lavoro attraverso uno o più resoconti approfonditi. Abbiamo scelto di riportare alcuni spunti di agire che possono essere da stimolo per tutti, aspettando ulteriori contributi. Ricordiamoci della sfida lanciata a tutti da Papa Francesco su un Patto educativo globale: Rinascita Cristiana ha nel suo stile e nel suo metodo di gruppo un prezioso modo di formazione permanente e di intereducazione. Castellammare, Catania, Firenze, Genova, Gradisca, Lecco, Lucca, Mantova, Milano, Novara, Palermo, Reggio Calabria, Roma, Siena, Sorrento, Trento, Verona Spunti di agire La domanda le due dimensioni della chiesa è mal posta e porta a risposte retoriche poiché le due dimensioni non sono separabili. Attivare senso critico e discernimento per sostenere scelte politiche che implicano accoglienza, reciproco rispetto, dialogo, solidarietà. Contrastare chi semina odio e discordia. Recuperare il proverbiale senso civico del Trentino che sta calando con iniziative di sensibilizzazione e culturali (Tononi, Trento; Bartoli, Lecco; Micanzi, Roma). Avere un linguaggio che possa essere inteso da tutti, credenti e non credenti, che è quello della prossimità. Per dare speranza bisogna avere speranza a tutte le età. (Bonaiti, Lecco) Possiamo ribadire che il nostro impegno comune nel Movimento deve privilegiare attività che coinvolgono il maggior numero di persone finalizzate a creare nuove e fruttuose dinamiche sociali; anche se promosse da altre associazioni. Un agire concreto è quello avviato l’anno scorso “lo sportello aperto nelle scuole medie per i casi di disagio giovanile” (Di Lorenza, Castellammare di Stabia; Fava, Genova) Disporsi al volontariato di qualsiasi genere poiché si appartiene alla chiesa corpo di Cristo. 45


Piano di Lavoro Aiutarci reciprocamente a leggere i segni dei tempi nelle vicende quotidiane, a saper valutare quello che leggiamo nei giornali. (Bonuzzi, Verona) Come membri di Rinascita siamo chiamati a seguire in modo primario l’evangelizzazione, la nostra e delle persone che ci sono accanto seguendo il nostro metodo. (Caterina De Cristofaro, Sorrento) La nostra fede sia segno di speranza per tutti gli uomini, vissuta con la consapevolezza che deve essere sempre alimentata e in crescita (Paquini-Favati, Lucca). Dare speranza, capire le necessità dei fratelli e lottare contro il nostro egoismo. Dare una prospettiva di maggiore umanità, proporre situazioni di maggiore umanità anche in controtendenza (Indelicato, Catania; Delpiano, Genova; Tittoni, Roma; Barbiero, Gradisca) Visibilità e partecipazione nelle manifestazioni di fede e alle iniziative di solidarietà della chiesa (Pasquini-Favati, Lucca) Non vivere di fretta; saper esprimere parole di verità; coltivare una vita di preghiera e di spiritualità – Dio è presente nella quotidianità e nella Parola, cerchiamo di ascoltare la sua voce; vivere la pace interiore (Borghi, Mantova; Barbagallo, Catania) Privilegiare l’ascolto che non è passività ma è forza attiva che crea amicizia, simpatia, abbandono di posizioni che si credono certe, orientandoci invece verso la Verità e il Bene Comune da ricercare insieme (sinodalità). L’ascolto crea relazione di comunione (Borghi, Mantova) La nostra fede va vissuta giorno dopo giorno, illuminata e alimentata dalla Parola, anzitutto nell’ambito della nostra famiglia e poi nella dimensione pubblica, rispettando le regole del buon vivere della società, mostrandoci disponibili nell’offrire le nostre energie e le nostre capacità per migliorare le condizioni di vita materiale. Ma soprattutto è necessario vivere la speranza diffondendo la Parola e facendola conoscere a chi ci sta intorno, testimoniandola con l’amore verso il prossimo. (Poloni, Bergamo) Quali gesti e azioni possiamo intraprendere per esprimere responsabilmente l’appartenenza alla chiesa nostra madre? Coscienti del fatto che non si diventa cristiani in laboratorio, ma si viene generati e fatti crescere nella fede all’interno della Chiesa, pensiamo la Chiesa come madre, in continuità con la maternità di Maria, come un suo prolungamento nella storia. La Chiesa ha ricevuto da Gesù il Vangelo non per donarlo agli altri, come fa una mamma. Siamo chiamati dunque a crescere accogliendo la Parola, dispensandola, percorrendo la strada mostrataci da Gesù fatta di giustizia e pace, vigilando senza ingenuità e sostenendo i fratelli. (II gruppo, Castellammare di Stabia) 46


Rinascita Cristiana ed emergenza Coronavirus

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al 10 marzo con alcuni decreti della Presidenza del Consiglio viene chiesto un sacrificio di contenimento a tutta l’Italia a seguito del diffondersi del Coronavirus Covid-19. L’affetto e la preghiera di tutto il Movimento va in particolare alle città e alle regioni in cui sono presenti e attivi i nostri gruppi. Desideriamo esprimere anche tutta la nostra gratitudine a quei gruppi che, anche in questa occasione, hanno fatto sentire la loro partecipazione al movimento inviando i loro resoconti d’inchiesta, le loro riflessioni e contributi. Viviamo in un periodo privilegiato dell’anno liturgico: la Quaresima e il cammino verso la Pasqua, un tempo forte che eravamo abituati a vivere in maniera comunitaria e che adesso dobbiamo riscoprire in un’altra dimensione. Anche la Chiesa che vive in Italia condivide la comune preoccupazione, di fronte all’emergenza sanitaria che sta interessando il Paese. “Rispetto a tale situazione, la CEI – all’interno di un rapporto di confronto e di collaborazione – in queste settimane ha fatto proprie, rilanciandole, le misure attraverso le quali il Governo è impegnato a contrastare la diffusione del “coronavirus”. Il Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri dell’8 marzo sospende a livello preventivo, fino a venerdì 3 aprile, sull’intero territorio nazionale “le cerimonie civili e religiose, ivi comprese quelle funebri”. L’interpretazione fornita dal Governo include rigorosamente le Sante Messe e le esequie tra le “cerimonie religiose”. Si tratta di un passaggio fortemente restrittivo, la cui accoglienza incontra sofferenze e difficoltà nei Pastori, nei sacerdoti e nei fedeli. L’accoglienza del Decreto è mediata unicamente dalla volontà di fare, anche in questo frangente, la propria parte per contribuire alla tutela della salute pubblica. I gruppi di RC hanno interrotto gli incontri in questo periodo e lo hanno fatto per senso di responsabilità verso il bene comune; perciò in questo momento i Responsabili nazionali desiderano esprimere a tutti la loro vicinanza e incoraggiare ciascuno affinché i nostri gruppi possano essere per tutti una testimonianza di serenità, di relazioni buone, di vicinanza e di sostengo reciproco nel coltivare la Speranza. (La lettera è a disposizione sul sito www.rinascitacristiana.org) Ci ricordiamo della preghiera del nostro ultimo Congresso nazionale che può unirci tutti.

Donaci, o Signore Gesù crocifisso e risorto, di uscire dalla folla per seguirti con passo deciso sulle strade difficili e meravigliose di un’umanità resa nuova dal tuo amore e dalla tua tenerezza. Liberaci dalla paura da ciò che è nuovo. Rendici capaci di cogliere i segni della tua perenne presenza tra noi: nelle ferite degli uomini e delle donne del nostro tempo, nei gesti di solidarietà

che arricchiscono il banchetto della vita, nel bene che cresce, nel silenzio interiore che è attesa e invocazione di Te. Fa che possiamo conoscerti e la conoscenza ci porti ad amarti e a servirti nei nostri fratelli. Perché senza di te anche la speranza muore perché tu sei la vita, la nostra pace, la meta finale dei nostri cammini. Donaci il coraggio del tuo Spirito per riprendere il nostro cammino verso il futuro.


O VOI SEGUACI DI CRISTO, NON ABBIATE PAURA: LA MORTE LO HA SPENTO, MA GESÙ TORNÒ IN VITA RISORGENDO

LO VIDERO PELLEGRINO I DUE DISCEPOLI LO RICONOBBERO AL PRIMO SPEZZARE IL PANE

UDENDO COLUI CHE CERCANDO PIANGEVA GIOISCE MARIA QUANDO TOCCA LE FERITE, TOMMASO INNEGGIA AL SIGNORE

Rinascere Periodico bimestrale di informazione e di collegamento del Movimento Rinascita Cristiana Via della Traspontina, 15 - 00193 Roma - Tel. 06.6865358 - Fax 06.6861433 - segreteria@rinascitacristiana.org www.rinascitacristiana.org - c/c postale n. 62009485 intestato a Movimento Rinascita Cristiana Direttore Responsabile: Francesca Tittoni Comitato di Redazione: Francesca Carreras, Maria Grazia Fergnani, Giovanna Hribal, Alberto Mambelli, Roberta Masella, Gege Moffa, Elvira Orzalesi, P. Licio Prati, Renzo Seren. Stampa: La Moderna srl - Via Enrico Fermi, 13/17 - 00012 Guidonia (Roma) – tel. 0774.354314 Associato all’Unione Stampa Periodica Autorizzazione del Tribunale di Roma N° 00573/98 del 14/12/98 Italiana Finito di stampare nel mese di Marzo 2020

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