Rinascere n. 3 2020

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Rinascere Bimestrale - anno 22 - n° 3 maggio/giugno 2020

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n Francesca Sacchi Lodispoto Senza nostalgia guardiamo al futuro

n Serena Grechi Rinascita Cristiana dopo il Covid-19

n Renzo Seren Ricostruire sulla roccia il compito del cristiano

n Pier Giuseppe Accornero Per i poveri il prezzo più alto

n Elena Zacchilli La scuola in lockdown tra dad e lavoro agile

n Vincenzo Caprara L’attualità dell’Apocalisse di Giovanni

n Renzo Pegoraro Covid-19 una sfida globale per la salute e la solidarietà

n Paola Gistiniani Nella speranza siamo stati salvati

n Roberta Masella Notizie dal movimento

n Zelioli-Masella-Mambelli Appunti Piano di Lavoro

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Rinascere N. 3 maggio/giugno 2020 n  EDITORIALE

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Senza nostalgia guardiamo al futuro di Francesca Sacchi Lodispoto n  MOVIMENTO

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Ricostruire sulla roccia di Renzo Seren

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Rinascita dopo il Covid-19 di Serena Grechi

n  CHIESA

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Liturgia e vita di Marinella Perroni

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Riscoprire l’interiorità, oltre il ritualismo Vito Mancuso

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n  SOCIETÁ

n  DOCUMENTI

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Sommario

Appunti dal Piano di Lavoro Zelioli-Masella-Mambelli

n  PAROLE E FATTI

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Uno “slittamento” etico dalla Caritas

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La scuola in lockdown tra dad e lavoro agile di Elena Zacchilli

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Covid-19 una sfida globale per la salute e la solidarietà di Renzo Pegoraro

Per i poveri il prezzo più alto? di Pier Giuseppe Accornero

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L’attualità dell’Apocalisse di Giovanni di Vincenzo Caprara n  OPINIONI A CONFRONTO

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I tempi della saggezza di Renzo Seren

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Tutto cambia, nulla cambia di Giovanna Hribal

n  PIANO DI LAVORO

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Nella speranza salvati di Paola Giustiniani

n  RECENSIONI

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Caramore, La parola di Dio Civiltà Cattolica, 2.5.2020


guardiamo al futuro

di Francesca Sacchi Lodispoto

N

on è la prima volta che noi di Rinascita nei nostri Convegni e nei nostri Piani di Lavoro affermiamo che è tempo di cambiamento, di rinnovamento, di speranza in un mondo più giusto e più vivibile per tutti. Oggi il cambiamento è avvenuto forse non proprio nelle forme in cui lo avevamo auspicato, e il distanziamento sociale (brutta parola!) ne ha rivelato molti risvolti e non tutti positivi. Dal punto di vista antropologico sono venute alla luce solitudini, abbandoni, disuguaglianze e ingiustizie sociali. Si è approfondito il divario tra garantiti e non garantiti, tra chi ha un lavoro stabile e i tanti che non hanno più prospettive per i prossimi mesi o anni. La sanità e la scuola hanno mostrato tutti i loro limiti; e potremmo continuare con questo elenco senza dimenticare il lavoro silenzioso delle mafie. Ma abbiamo anche visto tanta solidarietà, tanta voglia di vivere e di aiutarsi reciprocamente. Alcuni se ne sono meravigliati, ma i più hanno attinto al patrimonio di valori umani e cristiani insiti nel popolo italiano.

Editoriale

Senza nostalgia

I gruppi di Rinascita Cristiana hanno un loro patrimonio ideale, culturale e religioso che si è formato negli anni anche attraverso tanti Piani di Lavoro, incontri e seminari; ma soprattutto gli ultimi anni hanno focalizzato l’attenzione sulla costruzione della città degli uomini e sulla speranza cristiana che apre ad un futuro diverso. Abbiamo trattato i temi della città, dei confini, dell’immigrazione, della solidarietà… senza, forse, sentirne realmente l’urgenza e pensando che piccoli aggiustamenti fossero sufficienti. A rompere questa tranquilla convinzione ha iniziato, cinque anni fa, l’Enciclica Laudato si’ che ha trovato tutti, popoli e governanti, impreparati di fronte al disastro del pianeta e alla necessità di un’ecologia integrale; il Sinodo, appena svolto, sull’Amazzonia ha reso ancora più evidenti le contraddizioni in cui siamo immersi rendendo “vicino” ciò che a noi è sempre sembrato “lontano”. Ultimo arrivato da paesi lontani e da origini un po’ misteriose il Covid-19 ci ha fatto toccare con mano parole troppo spesso snobbate come interdipendenza, beni comuni, cura del pianeta. Tutte queste riflessioni hanno avuto il tempo di sedimentarsi nelle nostre coscienze in questi due mesi e trovate più o meno espresse in questo numero di Rinascere le iniziative intraprese o avviate per superare la lontananza, vivere la comunione e condividere riflessioni e azioni. 3


Possiamo guardare con orgoglio al nostro Movimento: praticamente ogni città ha trovato il modo non solo di mantenere i contatti di amicizia, fratellanza e di aiuto reciproco ma anche di continuare nello stile della revisione di vita a ragionare sul presente e a prospettarsi un futuro possibile. Anche in queste vicende abbiamo notato come la “dimensione pubblica della fede”, proposta dal Piano di Lavoro è emersa con forza e con modalità nuove. Tuttavia restano aperte alcune domande: dal punto di vista religioso possiamo domandarci quale idea di fede, di comunità, di popolo e di chiesa abbiamo sperimentato e possiamo intravvedere per il futuro? Dal punto di vista della società che tipo di sviluppo possiamo immaginare, che economia e politica vogliamo, che rapporto tra nord e sud in Italia e nel mondo pensiamo sia possibile? Dal punto di vista tecnologico come giocherà il fattore umano? E si può risolvere il problema educativo e il bisogno di socialità dei giovani solo attraverso la tecnologia? Democrazia, ambiente, famiglia e ruolo della donna restano sfide attualissime a cui in un futuro vicino è urgente dare risposte.

Editoriale

Il prossimo Piano di Lavoro sarà sicuramente uno sviluppo dell’inchiesta 2019-2020 e avrà al centro il ruolo di “un uomo aperto al futuro”, costruttore del proprio tempo. Abbiamo scelto di non fare un riferimento specifico alla situazione di emergenza che stiamo vivendo non sapendo ancora cosa accadrà in autunno ai fine di una ripresa di vita libera da preoccupazioni di pandemia. L’importante ci sembra non è rimanere aggrappati al presente o essere solo nostalgici del passato. Anche se nessuno di noi potrà più prescindere nelle proprie scelte di vita da ciò che ci è capitato, valorizziamo la pausa di riflessione profonda a cui siamo stati chiamati e sapendo che la ripresa sarà comunque lenta e per molti difficile, lavoriamo con speranza per una società migliore. Nella lettura dei segni dei tempi ci aiuterà come sempre “L’incontro personale con la parola di Dio è riferimento costante per illuminare la strada del cambiamento. È in Gesù Cristo, via, verità e vita che si fonda il nostro pensare, il nostro volere, il nostro agire” (Documento programmatico 2020-2021).

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Il Consiglio nazionale previsto per l’8 maggio non si è potuto riunire, è stato tuttavia interpellato sul tema del prossimo Piano di Lavoro e si è espresso via e-mail e ha dato il proprio assenso sulla bozza inviata. La stesura è stata a cura di un gruppo romano di Responsabili ed ex Responsabili. Gli Assistenti con vari mezzi di comunicazione sono stati vicini ai gruppi e hanno nutrito la loro spiritualità e la loro fede in un momento difficile in cui vi era il rischio di sentirsi isolati dalla comunità. Li ringraziamo poiché hanno permesso a tutti di continuare a sentire il calore e la vicinanza della chiesa.


Movimento

Ricostruire sulla roccia Il compito del cristiano

di Renzo Seren

S

pero di sbagliarmi, ma ho l’impressione che nel sentimento comune non ci sia la giusta consapevolezza di quante incertezze e sfide epocali accompagneranno il futuro dopo la situazione di emergenza. Non mi pare che si stia adeguatamente saggiando il terreno su cui ricostruire: la sabbia delle illusioni o la roccia della speranza. Evidentemente, stiamo ancora vivendo lo sconcerto e l’impreparazione di fronte ad un evento imponderabile; la tendenza è quella di affrontare l’oggi come un tempo sospeso, in attesa di proseguire sulla solita via dissestata, ma alla quale ci siamo patologicamente affezionati. In realtà, ci troveremo a ricostruire sullo sfondo di uno scenario disastrato a causa non solo di un evento eccezionale, ma anche per il conseguente acuirsi di mali già presenti nella nostra società. La politica, lo sviluppo, la globalizzazione, tutto si è concentrato sul sistema, sui meccanismi che “fanno girare l’economia” consentendo ad ogni giro di trasferire la quota maggiore della ricchezza a favore dei centri di potere. Ci si è dimenticati completamente delle persone che in realtà sono l’elemento più prezioso da proteggere e da considerare quando si fanno le scelte politiche ed economiche. La mancanza di attenzione per il bene comune, quasi sempre subordinato agli interessi di parte ha prodotto squilibri ambientali, geopolitici, spreco di risorse naturali e umane. “Si è clamorosamente sottovalutato che la resilienza di qualsiasi sistema è dettata dalla vulnerabilità del suo elemento più fragile: nel nostro caso il fattore umano”1 Se vogliamo evitare il susseguirsi di emergenze future sempre più frequenti è proprio sulla vulnerabilità del fattore umano che si dovrà agire, consentendo alla persona di essere protagonista come cittadino e come ideatore di futuro, superando l’ignoranza e l’avidità di chi subisce il ruolo di consumatore e di prigioniero delle illusioni. È una sfida culturale immensa, ma è anche ineludibile, altrimenti…tempi ancora peggiori verranno. Quando l’onda della pandemia si sarà ritirata, non ci si potrà rilassare per un paese di bengodi ritrovato, in realtà mai esistito; prima o poi i debiti delle crisi qualcuno li dovrà pagare: sarà il banco di prova di una nuova visione dell’equità e delle scelte etiche perché convenienti. Per quanto fin qui detto, è impossibile pensare a una semplice restaurazione del preesistente, se non si vuole passare da una emergenza all’altra. Il perico1

Intervento del Prof. Vittorio Emanuele Parsi durante un evento on line promosso dall’Associazione Ludovico Necchi.

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Movimento lo maggiore, tuttavia, non è quello del ripristino conservativo precoronavirus, quanto quello di una reazione che riporti il mondo a moduli vecchi e superati, facendo leva su un passato riletto con l’ingannevole filtro della nostalgia. Dobbiamo stare attenti che non tornino preponderanti le spinte sovraniste contro forme sempre più ampie di collaborazione internazionale. Dobbiamo stare attenti che non si scambino le lentezze della democrazia per perdite di tempo inutili, sostituendo il faticoso procedere di una sana costruzione delle norme con una rapida decisione di un unico uomo al comando che in nessuna parte del mondo e in nessuna epoca storica ha portato ad altro che a guerre. Temo che sia presente in molti il pensiero assurdo di reagire alle difficoltà curando il malato con medicine più pericolose della stessa malattia. È vero, siamo governati da politici di dubbia credibilità, siamo vittime di una informazione scorretta; è difficile per il comune mortale orientarsi tra tutte le opzioni, le fake news, le opinioni presentate come verità.

Come deve agire un cristiano nella stagione della ricostruzione?

Non c’è dubbio che la forza della preghiera è determinante in qualsiasi percorso di fede. Il lungo tempo dell’isolamento ci ha fatto comprendere che Gesù non è presente soltanto nell’eucaristia, ma anche e soprattutto nei poveri. “Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero forestiero e mi avete ospitato…” ; senza le opere di misericordia ci riduciamo ad essere cristiani part time o della domenica. La storia della Chiesa non è separabile dalle vicende dei poveri. Molte delle speranze di ricostruzione dopo gli interventi in emergenza, sono fondate sulle risposte che saprà dare l’economia - messa in campo dagli uomini di stato - alla povertà. Un’economia che dovrà diventare strumento di trasferimento delle risorse dai consumi effimeri agli investimenti in favore del bene comune (sanità, istruzione, ecc.) liberando lavoro nei settori più utili, ma oggi più trascurati. In tutto questo periodo, da qualsiasi punto di osservazione si è colta la fondamentale importanza della dimensione pubblica della fede. Il futuro dipende da noi. Dipenderà da noi se prevarranno i consumatori globali e i laici devoti (coloro che fondano la salvezza sulle pratiche religiose) oppure se lo scenario futuro sarà abitato da cittadini adulti e da discepoli fedeli al Vangelo. Dipenderà da noi se impareremo a camminare insieme spargendo segni tangibili di carità materiale e, soprattutto, educativa. Per chi da anni pensa ed agisce nell’ambito del Movimento Rinascita Cristiana non è ancora venuto il momento di sciogliere le vele; non si sfugge: la prima catechesi la si fa con la propria vita. 6


Ricordo di Germana Grechi

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o conosciuto Germana parecchi anni fa a Roma ad un seminario biblico. Era la classica signora di Rinascita elegante, bella, non giovanissima e preparatissima. La nostra amicizia è invece nata durante il pellegrinaggio fatto bel 1999 sul cammino per Santiago di Compostela. Da Firenze era arrivata lei sola mentre tutti gli altri partecipanti erano con gruppi cittadini. Mi ha colpito subito che era sempre sorridente e serena e non si lamentava mai né della fatica né dell’alloggio che, a volte, non era proprio comodissimo. Abbiamo cominciato a stare accanto in pullman e a camminare insieme condividendo le nostre vite, le gioie e i dolori; abbiamo cercato di vivere gli spazi della preghiera con la certezza che erano quelli i momenti veramente forti della nostra amicizia. Da allora, anche se non ci si vedeva spesso, sentivo una sintonia profonda con i suoi valori in cui credevo anche io. A qualunque richiesta di aiuto per il nostro Movimento rispondeva sempre di sì, soprattutto per le noiose sbobinature delle conferenze o per le traduzioni da e per il francese richieste dal MIAMSI. Tutti le siamo grati per questo lavoro silenzioso, ma molto importante. Nelle sue confidenze ho sentito fortissimo l’amore per la sua famiglia, in particolare per i suoi nipoti che seguiva con attenzione e dolcezza. Era molto fiera dei “successi“ di Serena in Rinascita e la sosteneva con tenerezza fino a quando non si è ammalata. Era già debole quando il coronavirus l’ha contagiata con violenza, in pochi giorni l’ha portata via in solitudine in una tragica terapia intensiva. Ora riposa a San Miniato ma ha lasciato a tutti tanti cari ricordi. Chicchi Pisoni Se ne è andata in silenzio, come è successo a tanti in questo tempo di coronavirus. Straziante per chi le voleva bene. È stato riferito che era serena fino in fondo...siamo sicuri che con lei c’era il Signore. A noi questo silenzio, pur nella sua tristezza, è sembrato un suggello al suo stile di vita riservato e discreto. Bella, elegante, gentile, affettuosa, Germana era colta e intelligente, ma noi la ricordiamo soprattutto per la sua sincera, profonda e matura fede in Cristo che lei amava e considerava sostegno della Sua vita. La ricordiamo per l’amore alla Parola di Dio che non perdeva occasione di studiare, approfondire ma anche mettere in pratica attraverso la grandissima generosità che dimostrava nelle piccole e nelle grandi cose. Rinascita, che frequentava da tantissimi anni, era per Lei dopo la famiglia l’impegno più sentito. Fedelissima, per nessun motivo tralasciava la riunione di gruppo, sempre presente agli incontri e agli eventi cittadini e nazionali, sempre pronta e felice di mettersi al servizio, accoglieva in casa sua con mille attenzioni le riunioni di Capogruppo e anche di gruppi nuovi e giovani. Come dimenticare gli “appunti” che Germana con grande capacità raccoglieva a ogni conferenza o congresso per poi darli, dopo averli scrupolosamente elaborati a tutte noi che ne facevamo tesoro? Tutte noi di Rinascita la ricorderemo con grandissimo affetto. Grande cara Amica che il Signore ti accolga in Lui hai Sperato! Giovannella Genesio

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Società

Caritas: temiamo

uno “slittamento” etico Elisa Manna, Area Studi della Caritas di Roma

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ncora non sono evidenti le tante conseguenze collaterali della pandemia che sta tenendo sotto scacco il mondo. E, purtroppo, avremo modo di scoprirlo poco a poco. Di fatto, siamo di fronte a un ulteriore scatto in avanti delle nuove forme di povertà, delle nuove sacche di malessere sociale che vanno crescendo come funghi velenosi dopo una tempesta. Proprio in questi giorni, ad esempio, Papa Francesco ha invitato a pregare per le famiglie che hanno perso il lavoro (giornaliero, in nero) che li manteneva e che possono finire tra le braccia degli usurai. Che sottotraccia viaggiasse anche il virus dell’usura già da tempo non è cosa nuova, soprattutto per le parrocchie e i tanti operatori sociali che si confrontano da decenni con il disagio di tante persone, di tante famiglie. Non a caso, nell’ultimo Rapporto annuale della Caritas di Roma sulle povertà, si è scelto di far emergere il fenomeno e di dare ad esso particolare evidenza. Ma la drammatica congiuntura attuale fa percepire in maniera palpabile il rischio di una sua ulteriore crescita. Caritas Italia ha denunciato un aumento dal 20 al 50% delle richieste di aiuti alimentari a causa dell’emergenza corona-virus. La pandemia sta lasciando numerosi nuclei familiari nell’indigenza più assoluta riconducendo la povertà alle dimensioni primarie: l’impossibilità di mangiare e di nutrire i propri figli, una situazione di emergenza che può spingere ad avvicinarsi a realtà prima avvertite come minacciose o illegali. Quando nel 2008 il mondo globalizzato fu interessato da una crisi di liquidità mondiale, alcuni osservatori sociali preconizzarono che il disagio generalizzato avrebbe potuto produrre una sorta di “slittamento” etico, un avvicinamento progressivo di alcuni agglomerati sociali a confini una volta ritenuti estranei e invalicabili; una nuova e diversa disponibilità ad accettare soluzioni compromissorie o rischiose. Forse si è fatto troppo folklore, soprattutto nell’industria culturale e di comunicazione di massa, sulla spericolatezza degli italiani nello sfangare la vita. Del resto chi non ricorda la confusa arte di arrangiarsi, specie in alcune aree più povere del Paese, all’indomani del secondo conflitto bellico mondiale che il cinema ci ha raccontato in maniera magistrale? 8


Società C’è di nuovo, rispetto ad allora, ”il clima sociale” che si respira: se allora la rocambolesca capacità di sbarcare il lunario, anche con qualche scivolamento etico, aveva un sottofondo di allegria, perché ci si era comunque liberati del mostro della guerra e si intuiva, sia pure per approssimazione, che ci sarebbe stata un’Italia da ricostruire, oggi l’atmosfera è molto più cupa: neanche il più ottimista degli analisti sociali si azzarda a prefigurare scenari euforici di rilancio e di crescita. Oggi la questione è limitare le perdite e semmai fare della grande crisi post epidemica l’occasione per costruire una società migliore, più vicina ai veri bisogni delle famiglie, meno a quelli del grande capitale. Perciò, chi ricorre ai prestiti usurai e alle ambigue offerte d’aiuto di “certi personaggi” non lo fa certo con il disinvolto cinismo di chi vuole tentare affari e svolte assistenziali o consentirsi consumi di alta gamma. Oggi si tratta di mantenere quel minimo vitale che consenta di pagare un affitto per quanto modesto (in un contesto in cui le politiche per la casa sono da molti anni abbandonate e rovinosamente slegate dalle altre politiche sociali) e di mettere un piatto caldo a tavola. Vale a dire, che anche il fenomeno del sovraindebitamento delle famiglie, già prima della pandemia assai problematico (nel Lazio riguardava 208mila nuclei familiari, con un incremento del 14% dopo un decennio di crisi) oggi diventa una questione diversa e più grave. La rete dei centri d’ascolto parrocchiali e dei centri diocesani si rivela più che mai una rete di salvataggio, la forza gentile di operatori e volontari un’assicurazione per la sopravvivenza dei più fragili. Dopotutto, se una cosa si è capita è che bisogna promuovere una nuova attenzione ai territori. Per saperne di più: www.caritas.it

Caritas Europa: Rapporto sulla povertà 2020 Il 19 febbraio 2020, alla vigilia della Giornata mondiale della giustizia sociale, Caritas Europa presenta il suo nuovo “Cares Report”, Rapporto sulla povertà nel continente europeo. Alla ricerca ha contribuito anche Caritas Italiana: le difficoltà incontrate nell’accesso ai servizi sono state rilevate intervistando le persone vulnerabili che vivono una situazione di povertà ed esclusione sociale e usufruiscono dei servizi Caritas. In riferimento a una mappa di varie tipologie di servizi, ciascun paese ha scelto ambiti specifici (sociale, sanitario, educativo), evidenziando soprattutto le barriere e le difficoltà che si frappongono a una piena esigibilità dei diritti. Dalla ricerca emerge come i beneficiari della rete Caritas, che cercano di accedere ai servizi di base, identificano la mancanza di informazioni comprensibili, la burocrazia, regole rigide e requisiti formali per le richieste come le principali barriere che ostacolano l’accesso a questi servizi. Per far fronte a queste sfide, il Rapporto di Caritas Europa presenta 12 raccomandazioni politiche, alle istituzioni dell’Unione Europea, volte a facilitare l’accesso ai servizi delle persone più vulnerabili.

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Società

La scuola in lockdown: tra dad e lavoro agile

di Elena Zacchilli

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Dirigente scolastico liceo Machiavelli di Roma

l 4 marzo scorso, dopo un rincorrersi di conferme, “forse” e smentite e probabili liti intergovernative su chi dovesse dare l’annuncio per primo, veniva comunicata la sospensione delle attività didattiche delle scuole italiane a seguito di emergenza coronavirus e diffondersi del pericolo di contagio. Traduzione dei giornali: “le scuole sono state chiuse”. Primo errore, in quanto le scuole risultavano chiuse a studenti e docenti, ma non al personale ATA (in parole povere collaboratori scolastici, ovvero bidelli, assistenti amministrativi, ovvero personale di segreteria, assistenti tecnici e, non ultimo, Dirigente, che si trova a dover coordinare il tutto in attesa di qualche possibile indicazione e, di lì a poco, a dover far fronte alle proteste del suddetto personale che reclama la vera “chiusura” della scuola e “lavoro agile” per tutti a tutela anche della propria e dell’altrui salute). Le prime indicazioni arrivano in questi termini: “I dirigenti scolastici attivano per tutta la durata della sospensione delle attività didattiche nelle scuole modalità di didattica a distanza avuto anche riguardo alle specifiche esigenze degli studenti con disabilità”; facile a dirsi, e con quali risorse e con quali mezzi, propri, dei docenti e delle famiglie? E dove è scritto che gli insegnanti sono obbligati a farlo? Per ora da nessuna parte, per cui bisogna stimolare, invogliare, suggerire, consigliare, e chi più ne ha più ne metta, ma non certo obbligare. Ognuno di noi, pertanto, dopo lo smarrimento iniziale e le prime notti insonni (naturalmente con le dovute eccezioni dei fanatici dell’informatica che avevano già tutto pronto e non vedevano l’ora di convocare Collegi virtuali di 150-200 persone), si è rimboccato le maniche, ha riunito dapprima in presenza sparpagliati in aula magna poi a distanza in video conferenza i collaboratori più fidati e i docenti più esperti del settore per studiare le possibili soluzioni in attesa di ulteriori indicazioni, possibilmente chiare e condivisibili, da parte della Ministra o chi per lei. Cito da un provvedimento di una collega di un Istituto Comprensivo in provincia di Rimini: “L’emergenza sanitaria del periodo impone una riflessione attenta sull’utilizzo di tutti di strumenti e di tutte le risorse che consentono la didattica a distanza. Ciò rappresenta per noi un grande momento di crescita collettiva nell’ottica del miglioramento continuo. La filosofia resta quella di una scuola “Senza luogo e senza tempo”. E’ di estrema importanza fornire sicurezza ai nostri studenti affinché non si sentano soli e smarriti. Didattica a distanza non significa replicare la 10


Società didattica in presenza e mai la didattica a distanza potrà sostituire quella in presenza. Il percorso di un docente per mettere in atto un uso sensato delle nuove tecnologie è lungo, complesso e graduale e richiede desiderio di rinnovamento, capacità di adattamento, attitudine alla scoperta continua, formazione e autoformazione. Nell’emergenza tutti noi siamo stati chiamati a “ricostruire” con modalità diverse quel meraviglioso rapporto che lega docenti e studenti, improvvisamente lacerato dalle distanze. La nuova metodologia, anche se non scelta e poco conosciuta, rappresenta un momento per scoprire validi processi di insegnamento-apprendimento.” Bellissime parole, che riescono o quanto meno provano a dare un senso allo smarrimento collettivo, purtroppo non solo degli studenti, ma degli adulti che dovrebbero dare loro sicurezza e non farli sentire soli e smarriti. Non è però una novità che l’età media dei docenti italiani è tra le più alte in Europa, la conoscenza tecnologica dei docenti stessi è da sempre una delle priorità da perseguire, mai raggiunte appieno dalle attività di formazione, e la copertura con la connettività a banda larga del territorio italiano è a macchia di leopardo. Date queste premesse, nella migliore delle ipotesi è successo che i docenti più seri e volonterosi abbiano chiesto aiuto ai loro più tecnologici allievi per impostare qualche videolezione in sincrono (espressione in grande auge ora nella scuola italiana, contrapposta alle attività asincrone, ovvero, in quest’ultimo caso, il docente assegna i compiti su Registro elettronico o su piattaforma e l’alunno esegue e rinvia, intasando in molti casi la casella mail del docente), con questa o quella piattaforma arcinota per chiamate a distanza. Da qui la babele delle soluzioni e il proliferare di nomi come zoom, jitsi, google classroom, teams, edmodo e così via, e il pressoché totale sconcerto delle famiglie, alle prese con il proprio “lavoro agile” (per chi ha avuto l’opportunità di convertire in tal modo la propria occupazione quotidiana) e con la “scuola a distanza” dei figli, con mezzi e strumenti diversi dall’uno all’altro e conseguenti accuse alla scuola eventualmente ritenuta meno “tecnologica” dell’altra o meno pronta a far fronte a tutte le problematiche. E mentre la pedagogia della lezione on line ben spiega che la stessa ha modalità e tempi del tutto diversi da quella in presenza, per ovvie e intuibili motivazioni relazionali, antropologiche, di socialità, ecc., il genitore più efficientista si lamenta che non tutti i docenti intrattengano davanti al video studenti spesso pronti a silenziare i microfoni per chattare tra di loro o a denunciare un’improvvisa mancanza di connessione al momento dell’interrogazione; 11


Società dall’altra parte, tutte quelle situazioni di famiglie in difficoltà, con molti ragazzi (a volte i più seri e attenti) che seguono le lezioni attraverso il proprio telefonino in attesa di ricevere i dispositivi in comodato d’uso che la scuola può fornire loro (dopo un’affannosa caccia sul mercato perché improvvisamente spariti e rincarati), o con ragazzi disabili per cui la mediazione a distanza del docente di sostegno e dell’assistente specialistico non bastano a sopperire all’assenza di un contatto affettivo diretto (ragazzi privati nel frattempo anche dell’assistenza degli operatori domiciliari di cui usufruivano in orario extrascolastico). Nel frattempo si rincorrono le proroghe della chiusura delle scuole (sempre annunciate il giorno prima della scadenza, possibilmente di sabato o domenica, e perfino il Sabato Santo), le nuove indicazioni e i rinvii delle decisioni ufficiali, accompagnati però dal proliferare degli annunci su facebook o attraverso i media, ad acuire il senso di incertezza e instabilità. Siamo così arrivati alla fine dell’anno scolastico, lavoriamo ancora da casa, abbiamo imparato a fare riunioni collegiali on line, consigli di classe con genitori e studenti (accendete i microfoni, spegnete i microfoni, Tizio non riesce a entrare, Caio segue in chat, ecc.), faremo così anche gli scrutini, con ulteriori nuovi adempimenti frutto dei numerosi annunci che si sono susseguiti: tutti promossi, forse sì, forse no, forse a settembre si rientra e si recupera, forse si fa lezione con mezza classe in presenza e l’altra a distanza, forse si entra una classe ogni quarto d’ora –ma non c’è qualcuno al Ministero in grado di fare una semplice divisione: per far entrare più di 50 classi in un unico edificio a partire dalle 8.00 di mattina a che ora dobbiamo prevedere che entri l’ultima? Per tornare alle pie intenzioni e ai buoni propositi di cui sopra (“fornire sicurezza ai nostri studenti affinché non si sentano soli e smarriti”), come sempre nella scuola italiana c’è stato chi si è rimboccato le maniche e ha raddoppiato o addirittura triplicato i tempi di lavoro (e lo stare a casa come sappiamo non ha aiutato nella scansione del tempo e della propria giornata, diventata senza orario) per cercare di far fronte all’emergenza e di costruire una nuova realtà didattica che certo non ha potuto sopperire alla mancanza della scuola nella sua quotidianità fatta di tante cose, e prima di tutto di socialità e relazioni, educative e non, ma che ha dignitosamente cercato di trasmettere agli studenti la percezione della presenza e dell’impegno dei loro docenti; ma quel senso della progettazione e della programmazione comune, con la capacità di individuare finalità e obiettivi e di intravvedere una prospettiva, che dovrebbe essere alla base non solo della singola comunità educante, ma anche di uno Stato che si fa carico delle problematiche relative all’educazione dei giovani anche e soprattutto nei momenti di difficoltà, ad oggi si fa molta fatica ad individuarlo, soprattutto in chi per ruolo e compito istituzionale dovrebbe costituire il punto di riferimento. 12


Piano di Lavoro

Nella speranza infatti

siamo stati salvati (Rom 8,18-25) di Paola Giustiniani “Perciò la comunità dei cristiani si sente realmente ed intimamente solidale con il genere umano e la sua storia” (GS). Da questo testo del Concilio e dalla meditazione sulla Lettera ai Romani fatta nel gruppo di S.Maria in Trastevere nasce la riflessione di Paola

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he cosa abbiamo imparato in questa lunga segregazione così dolorosa eppure per altri versi ricca e proficua di riflessioni? Approfitteremo di questa tragedia almeno per rimediare a tante fragilità ed errori nel nostro mondo? Per quanto mi riguarda solo due esempi in cui le mie convinzioni si sono rafforzate. Una prima riguarda il fatto che il traguardo raggiunto nel nostro paese credo sia stato la compattezza e la solidarietà degli italiani di fronte alla gravità del problema. I cittadini si sono dimostrati più coesi e responsabili di quanto essi stessi si considerino. Per dirla con il filosofo francese Bruno Latour: “La convinzione che siamo incapaci di muoverci collettivamente è sbagliata. Questi due mesi di tragico esperimento dimostrano il contrario: sì possiamo”. Quando c’è condivisione e consapevolezza da parte dei cittadini, c’è

spinta ideale e fattiva verso un’unica direzione, c’è in una parola democrazia. I governi (qualunque essi siano) agiscono di conseguenza. Per fare un esempio: credo che gli italiani abbiano compreso che anche coloro, che dispongono di un reddito alto, hanno bisogno della sanità pubblica, non basta quella privata. La Lombardia è la prova. Anni e anni di tagli nei bilanci hanno prodotto gravi fragilità (vale per le amministrazioni di ogni colore politico). Il concetto che non ci si salva da soli vale per tutti i campi, ma emblematico rimane quello che ci ha mostrato l’esperienza della pandemia Coronavirus 19. Una seconda convinzione riguarda la scuola. Non mi sembra che a livello di consapevolezza e condivisione stia accadendo la stessa cosa per la scuola. Manca la spinta verso un medesimo processo democratico. Nonostante il grande impegno da parte di tanti insegnanti, la didattica on line ha evidenziato ancor di più carenze preesistenti e differenze nelle varie parti del paese e nella condizione socio-culturale delle famiglie. Tutto ciò sembra riguardare solo chi è coinvolto in prima persona in quanto usufruisce direttamente del servizio: studenti, genitori, nonni. Non mi pare che si sia compreso che il vuoto 13


Piano di Lavoro educativo presto riguarderà il futuro di tutti i cittadini e il danno sarà grave per la comunità intera. La Scuola è bene comune come la Sanità. Se a settembre (come molti temono) non si riuscirà a far ripartire in tutto il paese e a tutti i livelli l’istituzione scolastica, i rischi saranno molto gravi. È appena il caso di ricordare che sono stati stanziati 1,5 miliardi per la Scuola e 3 per l’Alitalia. Cercare di migliorare dipende da noi, da quanto saremo in grado di comprendere, metabolizzare, condividere. Naturalmente questo processo è importantissimo per quanto riguarda l’economia e i cambiamenti climatici, riguardo i quali, profetici sono stati gli interventi di Papa Francesco.

Gli avvertimenti e le così dette “sirene” ci stanno mettendo in guardia da vari anni, forse sono state, a Milano, quelle assordanti delle ambulanze a spingerci drammaticamente a riflettere. Insisto dobbiamo trovare i modi per far sì che la conoscenza di drammatici problemi, venga assorbita, accettata, metabolizzata dalla maggior parte dei cittadini. La mia personale speranza di cristiana, salvata e redenta da Cristo, non può dunque non essere nel risveglio delle coscienze e nella partecipazione attiva. Tutti possiamo comunicare, condividere, essere disponibili, fare da esempio. Che “i Cristiani sono il sale della terra” è oggi più che mai vero.

OPINIONI A CONFRONTO La particolare contingenza pandemica ha messo in evidenza le falle del nostro sistema Paese: eccessiva burocrazia ha impedito le procedure di urgenza sia in campo sanitario sia in campo economico; anni di tagli economici nell’ambito della sanità ha portato il Paese al collasso; la Lombardia, data l’emergenza, ha drenato la maggior parte delle risorse destinate a tutta Italia come mascherine, tute, tamponi, poi ci sono stati singoli gesti di responsabilità e generosità, come quelli del Sindaco di Bergamo, che ha mandato tablet ai ragazzi indigenti di una zona degradata di Palermo. Gli ultimi sono diventati ancora più ultimi in un sistema sociale che non ne tiene conto. Il “tanto vituperato” reddito di cittadinanza di base avrebbe, in questa occasione, reso meno drammatica la situazione. Ma questo implica un sistema sociale ben più civile del nostro ed implica anche che i cristiani non diventino “protestanti puritani” quando si ipotizzano questi tipi di aiuti, invocando “il merito” di coloro cui sarebbero destinati tali aiuti. Basterebbe anche cominciare dalle tante donne che lavorano in casa, prendendosi cura dei mariti, figli e, spesso, parenti anziani. Di certo una società più solidale sarebbe anche più equa e cristiana. E teniamo conto che i fondi ci sono, basta pensare a tutti quelli che hanno versato meno di vent’anni di contributi che vengono drenati dallo Stato e mai restituiti agli aventi diritto, si potrebbe parlare di appropriazione indebita di Stato! Forse dobbiamo rivedere la nostra visione di democrazia e di civiltà. Tiziana Iannotta

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Società

Covid-19 una sfida globale per la salute e la solidarietà

di Renzo Pegoraro L’articolo è apparso sull’Osservatore Romano dell’11-12 maggio 2020, ne pubblichiamo una nostra sintesi

N

egli ultimi decenni, specie nei Paesi Occidentali, più ricchi, l’umanità si è sentita sempre più “potente”, cioè dotata di conoscenze scientifiche, mezzi tecnologici e risorse economiche, che permettono di intervenire con incisività sulla natura, sugli uomini, sui sistemi sociali. E tutti i processi produttivi, le relazioni sociali, i ritmi di vita, hanno subito una forte accelerazione: le comunicazioni sono sempre più veloci, gli spostamenti delle persone sono rapidi e di massa, la “globalizzazione” ha interconnesso tutto e tutti. Ma in questi ultimi mesi, potenza e rapidità si sono arrestati: un piccolissimo virus, venuto da lontano, ci ha fermati e ci ha ricordato, in maniera improvvisa e drammatica, che l’essere umano è fragile, vulnerabile, mortale. Con fatica e sofferenza, abbiamo ripreso consapevolezza di queste caratteristiche della condizione umana. …

Recuperare umiltà e solidarietà

Sarà importante, quanto prima, riflettere a tutti i livelli culturali, sociali e politici, su cosa è accaduto, sull’esperienza vissuta, su come affrontare le sfide sociali ed economiche che si stanno affacciando alla ripresa di tempo e spazio secondo la loro “normalità”. Cosa stiamo imparando da questa epidemia? Sono emerse visioni della vita e modalità di organizzare la società che necessitano di una profonda revisione, ridimensionando una pretesa generale di “dominio” che ha segnato tutti. Anche la scienza, la medicina, la tecnologia hanno dovuto ammettere (con un po’ di fatica) di non essere in grado di spiegare tutto, di dare indicazioni utili e coerenti, d risolvere ogni problema. La logica, affermatasi in questi anni, di sostenere sempre la competizione, di favorire la concorrenza in ogni ambito della vita sociale, per cercare risultati secondo il “tutto e subito”, ha rivelato la sua fragilità e pericolosità quando vi è una minaccia pubblica grave come una pandemia. Maggior umiltà di tutti, più collaborazione tra mondo scientifico, professionisti della salute, politici, economisti, esperti della comunicazione, istituzioni religiose, potrebbe aiutarci a gestire meglio future emergenze simili, ma soprattutto favorire vere misure di prevenzione di ciò. Solidarietà e aiuto reciproco dovrebbero diventare la reale “profilassi” per evitare e/o ridurre l’impatto di simili pandemie. E questo assieme a un profondo ripensamento, con relativi cambiamenti dei modelli di sviluppo, del nostro rapporto con la natura, per una “cura ecologica” dell’ambiente, più

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Società sfruttato e maltrattato che rispettato e coltivato. Appare sempre più urgente lo sviluppo di una “bioetica globale”, che superi una concezione individualistica e solo tecnologico-specialistica, per cercare una visione globale dei fattori determinanti della salute e per una cura globale. … La salute è un bene personale e comune, che chiede un forte impegno pubblico per sviluppare strutture e servizi adeguati ai bisogni, utilizzando le risorse economiche e umane a disposizione secondo criteri di efficacia e giustizia, con attenzione prioritaria al territorio e alla prevenzione.

Nuove politiche sanitarie

Si tratta, allora, di ricomprendere quei valori morali che devono guidare le politiche sanitarie per utilizzare bene le risorse limitate, secondo principi etici di beneficio, giustizia, solidarietà; evitando discriminazioni e la caduta su logiche solo efficientiste o utilitaristiche. Andranno, quindi, meglio definite le priorità e le urgenze in termini di salute, l’organizzazione dei servizi, la preparazione e il sostegno agli operatori sanitari, spesso messi a dura prova, come in questi giorni ma anche in condizioni più normali. Va meglio sviluppata la modalità di governance, nelle situazioni consuete e in quelle di emergenza. Una pandemia chiede una risposta di public health e di integrazione di sistema tra ospedali, territorio, autorità sanitarie e politiche, popolazione e mass -media. Ci sono già delle competenze e dei protocolli di triage elaborati da tempo per epidemie locali o mondiali e per situazioni di grave impatto emergenziale come le grandi catastrofi (terremoti, alluvioni.). L’attuale emergenza sta mettendo in luce, per il nostro Paese, i problemi e le questioni trascurate, i punti deboli di un Sistema sanitario che ha principi ispiratori di grande eticità e civiltà (universalità, solidarietà, uniformità), ma ha risentito di scelte politiche e organizzative che hanno compromesso certi risultati. In certi contesti, visto anche il rischio di una “frammentazione” del Sistema per una non ben gestita regionalizzazione, si è poco investito sulla comunità, sulla salute pubblica, cioè in prevenzione, stili di vita sani, riduzione dell’inquinamento, promuovere stili di vita personali e curare presto e bene le persone per avere una comunità più sana. La medicina e la sanità si sono sempre più concentrati su risultati a breve-medio termine, sull’investimento tecnologico avanzato, su prestazioni specialistiche e settoriali, trascurando gli interventi sul territorio e una migliore organizzazione della medicina di base e dell’epidemiologia. È materia complessa, con diversi livelli di responsabilità, ma che andrà ripresa per il futuro. … Dovremmo tutti sviluppare un “supplemento di saggezza” che ci permetta di imparare dall’esperienza vissuta e di riorganizzare la sanità secondo principi di solidarietà e collaborazione. Sarà il nostro più efficace “antivirus” capace di attivare le risorse della scienza ma anche quelle della persona, del nostro comune impegno per aiutarci, curarci, correggere certe derive della società.

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Movimento

Dopo il Covid-19

dalla Responsabile Nazionale

di Serena Grechi

R

inascita. Questa parola, questa realtà, mi accompagna da venti anni, quanti sono gli anni che ho passato nel Movimento Rinascita Cristiana. Devo dire però che mai l’ho sentita viva e fremere dentro di me come ora! Rinascere, dopo essere stati colpiti dal coronavirus con tutta la sua malefica potenza è duro e faticoso. Non parlo solo del dolore fisico, ma soprattutto della sofferenza psicologica; un’esperienza di morte e di vita sconvolgente. Mai avrei creduto di vivere di persona le parole del salmo 23 (22) “Iaweh è il mio pastore”. Sì, mi sono ritrovata in quella ‘valle oscura’ e lì ho trovato il Signore, il buon pastore che mi aspettava, mi faceva strada con il suo ‘bastone’ e il suo ’vincastro’, mi sosteneva e mi dava la forza per uscirne. Ho sentito sulla mia pelle la forza e la potenza delle preghiere di tutta la comunità di Rinascita e di tante altre persone, perfino di alcune che, a detta loro, si dichiaravano atee. Ero stremata e Lui mi ha dato da bere; mentre ero prigioniera di quella ‘palla’ che mi sparava la vita nei polmoni rattrappiti dalla malattia, ho chiesto il Suo aiuto e Lui non me lo ha fatto mancare. La paura che sentivo dentro di me e che leggevo negli occhi di tutti è sparita: la certezza di una guarigione, anche se lontana, si è fatta avanti e mi ha sorretto: “Felicità e grazia mi saranno sempre compagne tutti i giorni della mia vita”. E in quel luogo di dolore ho visto la bellezza dell’uomo in tutti coloro, infermieri e medici che a ritmi e orari sfibranti si battevano per salvare più vite, mossi da quella forza interiore che li spinge ad aiutare, a strappare alla morte giovani e vecchi, senza sentire stanchezza e fatica. Pochi, soli, con turni pressanti hanno mostrato al mondo che lo spirito di solidarietà e di altruismo esiste. Questo male che ha ferito il mondo intero ha fatto anche conoscere che l’amore trionfa, che l’uomo non è di per sé male. L’uomo è male e bene dentro; e spesso è per le circostanze della vita che manifesta solo il male, l’egoismo, l’avidità, la violenza, ma in realtà in ognuno di 17


Movimento noi c’è anche l’amore e la solidarietà. La difficoltà è riuscire a riconoscere questa nostra ricchezza interiore e ad esprimerla. Le guerre e le ingiustizie fanno sì che questo bene venga sospinto nel fondo dei nostri cuori per cui trovare la forza di dissodare il terreno per far rinascere quella pianta d’amore che è stata messa nei cuori di ognuno di noi dalla misericordia di Dio, certe volte sembra impossibile, quasi inconcepibile. Invece dobbiamo sforzarci di credere che da questa pandemia il mondo ne uscirà trasformato in meglio. Questo mondo sospeso ora nel silenzio di ognuno di noi, scandito solo dai numeri di morte che tutti i giorni ascoltiamo, cambierà paradigma. Sarà diverso e migliore. Il nostro sforzo dovrà tendere a non considerare questo devastante periodo come un incidente di percorso dell’evoluzione umana, ma a viverlo come un vero cambiamento spirituale, qualcosa di più profondo che ci faccia rinascere. Dovremo essere capaci di riscoprire nella forza della nostra fragilità, la forza di cambiare le cose. Noi siamo ‘relazione’ e dobbiamo continuare ad esserlo nelle forme nuove di relazione che sicuramente nasceranno, relazione con gli altri, con chi ci è vicino, con chi ci è lontano, con la terra che ci accoglie e che intorno a noi nonostante il mondo sia sospeso, va avanti: i fiori sbocciano, la vita nei prati e sugli alberi fiorisce. Rinasce, come rinasce miracolosamente la vita nel pianto e nel sorriso di ogni neonato che in questi giorni si affaccia fiducioso alla vita e ci dice: “L’amore ti farà resistere!” Ci ritroviamo a meditare la Parola mentre ascoltiamo il sussurro delle foglioline appena nate e solo così comprendiamo quanta bellezza e quanto amore ci sono stati donati senza a volte avvertirlo appieno.

In questo periodo segnato dal soffio dello Spirito ricevuto nella domenica di Pentecoste il nostro lavoro e il nostro impegno continua, pur nelle difficoltà dovute all’impossibilità di incontrarci ci siamo scambiati mail, dove tutti hanno contribuito con suggerimenti alla costruzione del nostro Piano di Lavoro. I Consiglieri ci hanno dato spunti interessanti che Francesca e Licio hanno messo insieme per definire una bozza da far circolare. Con l’aiuto di signore romane tra cui l’ex responsabile Nicoletta Tino è stato possibile realizzare il tutto. Questo ci fa vedere che dove c’è la volontà e il desiderio di fare si riesce con successo a portare in fondo progetti. Tutto ciò ci ha fatto capire che, pur nella difficoltà, se abbiamo idee e progetti questi possono essere portati avanti; infatti il nostro lavoro fatto di pensiero e riflessione sulla Parola ci aiuta molto a non perdere di vista i nostri obiettivi. Il Piano di lavoro di quest’anno ci ricorderà che la Speranza non ci deve mai abbandonare e che un mondo migliore è possibile se lavoriamo insieme e indirizziamo le nostre scelte su quei valori in cui crediamo. Vi auguro a tutti un’estate serena anche se forse limitata negli spostamenti. 18


Parole e fatti

Parole e fatti… Dal mese di febbraio al 18 maggio i gruppi di Rinascita sono entrati anch’essi, come tutta Italia in lock-down e ne sono anche usciti. Questo non ha affatto impedito la comunicazione tra di loro e lo spessore spirituale dello scambio avvenuto nelle forme più varie: dal telefono, all’e-mail, al whatsapp, allo streaming per i più giovani e più tecnologici. Questa ricchezza è stata documentata da cinque fogli di notizie inviate a tutti quelli il cui indirizzo era in segreteria. Ci è sembrato tuttavia interessante dare in questo numero un assaggio di quella che è stata la riflessione condivisa nel movimento in questo periodo. Roberta Masella ha curato questa breve rassegna. NOVARA - Vi ringrazio, carissimi, per la vostra vicinanza. Siamo barricati in casa ma, guarda caso, i mezzi di comunicazione in qualche modo ci aiutano a sentirci vicini. Come gruppo utilizziamo Whatsapp così ognuno di noi può dire i suoi pensieri o segnalare qualcosa. Ne escono tante riflessioni e anche tanta speranza. Ieri tramite youtube abbiamo assistito alla supplica che il nostro Vescovo ha rivolto alla Madonna nel nostro Santuario mariano di Re e ogni giorno possiamo vedere e ascoltare qualcosa dal progetto “passionovara”. Abbracci Giuliano Subani TRENTO - Anche a nome dei membri del mio gruppo di Rinascita ringrazio del bellissimo ricordo in occasione di questi momenti veramente destabilizzanti e di profonda ansia. Fa immensamente piacere condividere con voi la presente realtà di insicurezza e di spavento. A Trento la situazione non risulta così drammatica come in altre province, inoltre noi 19


Parole e fatti possiamo contare su un apparato sanitario esemplare ed una organizzazione che ci aiuta ad affrontare seriamente le difficoltà del momento. Noi over 70 siamo stati invitati a non lasciare le nostre abitazioni se non per gravi motivi o sporadiche e veloci passeggiate lontane dalla gente, per cui difficilmente al momento potremo fare incontri di Rinascita. Sono costantemente in contatto con i membri del mio Gruppo, ai quali ho appena girato il vostro ricordo e cerchiamo di fare Rinascita aiutando in questi momenti chi può avere bisogno del nostro intervento (classico esempio accogliere i bimbi di condomini costretti al lavoro e con i figli a casa dalla scuola, spesa e piccole attenzioni a chi risulta più provato e spaventato di noi… e così via…). A voi un sentito ringraziamento ed un cristiano ricordo, affinché al termine di questa prova, tutti noi si possa procedere con incrollabile fiducia in Dio nei nostri progetti che ci fanno sentire orgogliosi di appartenere al Movimento di Rinascita Cristiana. Renata Perini MILANO - Grazie! Anche noi, siamo con voi: potrei inviarvi delle comunicazioni video drammatiche e serie: qui per l’insipienza di molti giovani, ma non solo, in poco più di 5 giorni i numeri si sono raddoppiati di giorno in giorno! Alcuni scettici, altri superficiali, altri ignoranti, molti menefreghisti, molti per snobbismo culturale, privi di senso civico e di responsabilità, anche preti hanno disobbedito con messe clandestine e moltissimi hanno reso la situazione degli ospedali drammatica, pur essendo stati avvisati: ogni giorno tutti si impegnano nella sanità , fino allo stremo delle proprie forze: eppure alcuni sono stati capaci di minimizzare e non ascoltare il grido di anestesisti e operatori di rianimazione! … Il Covid ci ha messo molto nella sua capacità di diffondersi contagiando velocemente: ma tutti erano al corrente, ma non hanno rinunciato a nulla, che turbasse i loro programmi, non sempre costruttivi, e per niente solidali! Ora non possiamo nemmeno aiutare le nostre famiglie i nipoti, che però restano la nostra gioia: sia questa occasione un momento di ripensamento, di riposizionamento, di riflessione per rinascere, uscendo da questa esperienza meno fragili e paurosi, più consapevoli che si è forti insieme che tutti devono contribuire a cambiare e migliorare se stessi. Anna Maria Valtolina

• Siamo prossimi alla Pasqua e vi propongo di condividere i nostri pensieri

e le nostre osservazioni legandole alle domande dell’agire. La clausura ci impedisce di fare il nostro incontro quaresimale cittadino, ma credo che nel condividere le nostre riflessioni, le nostre reazioni ed i nostri passi positivi (che esistono anche qui ed oggi), facciamo innanzi tutto il nostro bene e contribuiamo al cammino di RC e di chi ci è accanto. Mi impegno a saper vedere nelle attuali difficoltà non solo un problema da affrontare e risolvere, ma anche un 20


Parole e fatti richiamo a ritrovare il senso del limite dell’uomo. Ci siamo illusi di potere sapere e organizzare tutto, di essere autosufficienti, di non aver bisogno degli altri. Se ritroviamo il valore di essere limitati, questo ci aiuterà a saper dare fiducia e ad affidare la nostra vita a Dio. Non si tratta di una visione fatalistica della vita, ma di non anteporre le nostre scelte alla Parola. Troppe volte abbiamo adattato il Vangelo ai nostri programmi, senza domandarci se non diventavamo ostacolo al Suo progetto. Se riusciremo a domandarci sempre “Signore sto facendo la mia o la Tua volontà?” saremo testimoni veritieri del Suo Amore per tutti gli uomini. Luisa e Luigi Vannutelli GENOVA - Facciamo appello a tutta la forza che ci viene dalla fede e affrontiamo qualcosa che mai la più fervida immaginazione avrebbe previsto, che spaventa e disorienta. Cerchiamo risposte di senso a quanto sta accadendo e i pensieri si accavallano. Ci hanno senz’altro aiutato le bellissime parole di conforto e speranza di don Licio. Per mio conto, per superare l’isolamento, cerco di tenere i contatti con tutti i gruppi sperimentando uno “smart working” e per le meno tecnologiche c’è sempre il buon vecchio telefono. Giovanna Lazzeri ROMA - Grazie don Licio! E grazie a tutta Rinascita, che coltiva la speranza in questo difficile e tragico momento. Un ricordo e una preghiera particolari ai malati colpiti dal virus e alle loro famiglie; per i defunti a causa dell’epidemia; per gli operatori sanitari. Rileggendo le varie riflessioni due frasi mi hanno colpito e voglio tenerle a mente nei momenti di sconforto davanti a tanto dolore intorno a noi…il seme della vita ha cominciato a germogliare (nei grandi gesti di sacrificio e di condivisione che vediamo o sappiamo) e l’altra Dio è innamorato dei suoi amici…come per Marta Maria Lazzaro prova amore profondo, soffre e piange per loro, li consola mi piace pensare che anche per tutti quelli che soffrono e muoiono nella solitudine ci sia Lui ad abbracciarli stretti…forse per gli “altri fratelli” dobbiamo fare qualcosa anche noi, quando potremo uscire ci sarà tanto da fare… Lidia Bianchi CATANIA - È proprio vero che il Signore non abbandona, nemmeno quando sembra che tutto stia precipitando. Questa riflessione mi è venuta in mente nel ricevere l’affettuoso messaggio di Francesca, don Licio ed Elisabetta. L’impossibilità di vedersi e frequentarsi sta facendo scoprire mezzi di comunicazione che in passato abbiamo poco usato fra di noi di Rinascita Cristiana. Grazie perché vi ricordate di noi, serve a farci sentire ancora di più una grande famiglia unita nella Fede e nell’Amore 21


Parole e fatti per Cristo. Noi di Catania domani alle ore 18,00 ci uniremo idealmente per recitare il Santo Rosario trasmesso su TV2000. Cerchiamo così di mantenere una bellissima consuetudine che perdura da anni: ritrovarsi in casa della cara amica Trice Pluchino il 25 Marzo per pregare insieme fraternamente. M.Grazia Vitale Scuto

Carissimi tutti. In questo tempo di clausura rifletto sul suo significato e cerco risposte. Come a me è successo in passato, la lunga malattia può essere un punto di incontro con la Passione di Cristo, il nostro dolore come il Suo, le nostre cadute come le Sue, la nostra paura come la Sua. E l’accettazione di questo grande mistero può essere catarsi, “non sia fatta la mia ma la Tua volontà”, gioia della donazione del nostro dolore affinché altri non debbano soffrire… Fidarci di Lui, nella consapevolezza della nostra fragilità e nell’umiltà di non poter sempre aver il controllo su tutto. Tiziana Iannotta VIBO VALENTIA - È un momento difficile per tutti noi, in cui i pensieri per l’emergenza sanitaria, le preoccupazioni e la tristezza per chi soffre e per chi non c’è più si accavallano alla nostra ansia per il futuro, la nostra umanità terrena corre veloce a cosa sarà, come faremo, ce la faremo? In momenti come questo più che in altri si valorizza la nostra fede come dono grandissimo, perché senza di essa lo sconforto vincerebbe, le tenebre oscurerebbero la luce. Invece sappiamo che il Signore è con noi, sappiamo che la preghiera è un’arma potente, che ci dà coraggio e ci dà conforto. E ci scopriamo uniti, immersi in una comunione universale, fatta di preghiera profonda, di messaggi di conforto reciproco, di vicinanza che abbraccia l’Italia dal Nord al Sud. I nostri gruppi sperimentano modi nuovi per essere connessi, per farsi forza e sappiamo che non siamo soli… Forse questa prova sarà un’opportunità per ritardare la nostra vita, per rallentare le nostre corse, per rimettere un po’ a posto i nostri valori, per separare con maggiore convinzione ciò che è importante e necessario da ciò che non lo è. Daila Miceli MESSINA - Amici tutti di Rinascita, vi giunga il pensiero dei Gruppi di Messina per condividere questo momento di vita così difficile ed impegnativo, per cercare di capirne il senso e accogliere l’invito della Mamma Celeste: “Fate tutto quello che Lui vi dirà”. L’attività sociale, avviatasi con interesse ed entusiasmo, è stata sospesa sin dal 9 marzo, infatti gli incontri dei gruppi hanno subito una brusca interruzione, sicché le comunicazioni di riflessioni e di emozioni sono affidate a chat create su Whatsapp. In tal modo abbiamo potuto contribuire all’acquisto di mascherine per il Personale medico ed infermieristico! Ma la 22


Parole e fatti sensazione di fondo è quella di essere stati investiti da una emergenza tanto grave quanto improvvisa, che ha spazzato via la nostra liberà e le nostre sicurezze quotidiane e contro cui possiamo fare poco o nulla. Ci sembra, come avvenne ai discepoli di Gesù sul lago di Tiberiade, di essere stati costretti a salire sulla barca per raggiungere l’altra riva, proprio mentre il vento era contrario. Come i discepoli ci siamo sentiti soli e abbiamo avuto timore. Poi, come Pietro, abbiamo rivolto lo sguardo al Signore e abbiamo sentito le Sue parole: “Sono Io, non avere paura! “e come Pietro ci siamo affidati e ci affidiamo a Lui per raggiungere l’altra riva, per condividere l’insicurezza di quanti sono diversi e lontani da noi. Dentro le tempeste della vita, a volte, crediamo di essere lasciati soli, Gesù sembra assente, poi appare come un fantasma sul mare, poi è una voce che incoraggia e, infine, una mano salda che afferra. Intreccia la Sua forza alla nostra, sostiene la nostra speranza, scruta, insieme a noi, l’orizzonte per scorgere le prime luci dell’alba. Ecco il nostro cammino sulla barca della vita in un mare spesso agitato! Ringraziamo, amici cari, il Signore per avere rafforzato la comunione tra gli uomini disegnando nel tempo un anello di fraternità e collaborazione. Stiamo vivendo una quaresima impegnativa e attendiamo fiduciosi la Pasqua. Siamo vicini a tutti voi con il pensiero e la preghiera. Paola Romano REGGIO CALABRIA - “Vox clamans in deserto “sono le parole che risuonano insistentemente nella mia mente in questi giorni. La ricerca dell’OLTRE pare abbia obnubilato la mente e la coscienza dell’uomo moderno, sempre più competitive, arrogante, cinico. L’OLTRE in tutti i campi nella ricchezza, nel potere, nel piacere. Il delirio di potenza ci ha resi sordi e ciechi: non abbiamo degnato della minima attenzione la parte più dolorante della società globale, se non nei convegni o nelle aule parlamentari per acquistare consensi o nelle varie associazioni per sentirci caritatevoli. Non sono riuscite a fermarci nemmeno le undici epidemie o pandemie virali nell’ultimo secolo; oggi il Covid 19 ci impone una sosta. Nell’insolito silenzio delle nostre case, siamo costretti a fermarci e forse a guardarci dentro, a guardare fuori. A mio avviso non è un caso che questa terribile pandemia si stia consumata in questo periodo tanto significativo per noi cattolici, come la Pasqua. Oggi più che mai siamo chiamati ad assumerci le nostre responsabilità: non possiamo essere dei “Pilato”, sperando che il Signore ci salvi per amore. Cristo è già morto per noi e dobbiamo avere rispetto per il suo sacrificio. Affinché la Pasqua sia un autentico “Passaggio” anche per noi, forse dovremmo cominciare a liberarci dall’egoismo, dal protagonismo, dall’antagonismo e aprici al dialogo e alla condivisione. Siamo tutti nella stessa barca. Le cerimonie Pasquali quest’anno hanno assunto un significato speciale, in modo par23


Parole e fatti ticolare ha avuto un impatto emotivo fortissimo su molti di noi la via Crucis. Probabilmente ha giocato un ruolo importante la nostra esperienza con i detenuti delle carceri di Arghillà, dove abbiamo toccato con mano la sofferenza, il dolore, l’annientamento, spesso, di molti detenuti, che giustamente espiano le loro colpe, ma anche la pervicace chiusura ad ogni forma di pentimento per il male commesso, di altri. Memma Sergi

• Le riflessioni dei detenuti, inoltre, ci hanno fatto ricordare le storie trava-

gliate dei nostri fratelli del carcere di Arghillà che spesso siamo andati a trovare. Dalle testimonianze di chi è detenuto in carcere e di chi vi presta la propria ammirevole opera con umana partecipazione, è scaturito un profondo senso di consapevolezza che dal buio più profondo si può uscire rinnovati, per scoprire la Luce che fa scoprire il vero senso della vita. Chiediamo al Signore che questi momenti difficili siano propedeutici ad un rinnovamento spirituale che ci faccia ancora di più apprezzare i veri valori che devono guidare i nostri passi. Con la Speranza, che mai ci abbandona, e la convinzione che il Signore ci aiuterà ad uscire da questo isolamento per incontrarci ancora nelle nostre riunioni di gruppo e nei convegni ricchi di spiritualità e di fraterna amicizia, a nome di tutti i gruppi di Rinascita di Reggio C. porgo i più sentiti auguri di una Santa Pasqua a tutti gli amici di Rinascita e in particolare alle nostre colonne, cioè Elisabetta, Francesca, don Licio, che ringraziamo per la sua vicinanza con le meditazioni che ci offre, e soprattutto a Serena, augurandole anche una pronta e completa guarigione. Rina Crucitti Bova

Invio a tutta la redazione di “Rinascere” i miei più cari auguri di Buona Pasqua. Il nome della nostra rivista è molto significativo in questo giorno in cui la passione di Cristo si conclude con la sua resurrezione. Ognuno di noi, in questo periodo di forzata reclusione sente più che mai il bisogno di ritornare alla normalità, di stare con gli altri, di relazionarsi. La quaresima è coincisa con la quarantena ed è stata vissuta da noi cristiani con grande compenetrazione, in modo particolare gli ultimi tre giorni sono stati da me vissuti con profonda intensità spirituale. Oggi, giorno di Pasqua, si rinnova in tutti noi quella speranza cristiana che si chiama “fede”, che ci fa credere che, come dice lo slogan di questo periodo, “tutto andrà bene”. Buona Pasqua. Mariella Bagnato Vigilante FOGGIA - Abbiamo accolto con piacere la possibilità di condividere con tutti voi pensieri e speranze. Specie in questo periodo così difficile e impegnativo, abbiamo bisogno di sentirci più vicini per vincere la paura, il senso di impotenza, lo scoramento. La nostra Diocesi, attraverso i social, ci coinvolge spiritualmente con le meditazioni, la “lectio 24


Parole e fatti divina”, le celebrazioni eucaristiche. Anche noi di Rinascita, siamo sempre connessi e ci scambiamo riflessioni e notizie. Siamo sicuri che, superata questa grave emergenza che ci ha reso ancora più consapevoli della nostra fragilità umana, saremo diversi, migliori, più responsabili e solidali verso il nostro prossimo.

Papa Francesco, commentando il passo del Vangelo (Gv 14,1-14) afferma che la preghiera è l’accesso al Padre attraverso Gesù, perché il Padre è in Gesù e Gesù è nel Padre; la preghiera è onnipotente perché Gesù dice: Io sono con il Padre: voi chiedete e io farò tutto perché il Padre lo farà con me. Pregare richiede coraggio e franchezza per lottare con Dio ma anche con la nostra reticenza e la nostra incredulità. La preghiera è un dialogo con Dio, è il respiro dell’anima, è mettere la propria vita nelle mani del Signore. Dobbiamo pregare Dio perché ci aiuti a pregare, a far crescere la nostra fede, a metterci a nudo davanti a Lui, a denunciare le nostre debolezze, le paure, l’orgoglio, i compromessi che spesso facciamo con noi stessi. Pregare con fede vuol dire fare il vuoto dentro di noi, accogliere il Signore, custodirlo come un amico, un confidente, pronto sempre a perdonarci e a rialzarci. Tina Armiento FIRENZE - Il tempo in questo periodo sembra immobile, sempre uguale giorno dopo giorno, sospeso fra speranza e timore. Ci fanno paura le cifre che si vengono riportate ogni giorno dalla Protezione Civile. Molti anziani in questi pochi mesi se ne sono andati in silenzio, senza conforto dei loro cari, senza che nessuno potesse loro tenere la mano mentre stavano morendo. Il Coronavirus ha portato via la loro dignità ed alla società i nostri vecchi, la cui testimonianza di vita era un dono prezioso; se ne sono andati quegli anziani a cui la nostra epoca ed il nostro stile di vita non è riuscito a rivolgere attenzione, ma forse la cui pensione era di aiuto alle famiglie più povere e magari ai nipoti senza lavoro. Sono usciti di scena, portandosi dietro le loro testimonianze. Qualcuno cerca di farci credere che si possa costruire il futuro senza avere memoria del passato, forse perché in questo modo non dobbiamo fare i conti con le nostre responsabilità. Abbiamo così perduto l’amore per noi stessi, l’amore per chi ci ha fatto crescere e diventare “persone”. Le sofferenze, i lutti ed i molteplici problemi causati da questa pandemia ci spingono ad un rinnovato ascolto della parola di Dio che sempre si rivolge a noi, anche quando sembra prevalere il suo silenzio per poter vivere questo tempo affidandoci alle preghiere, alle riflessioni e nutrendoci più abbondantemente alla parola di Dio. Dio non cambia il corso degli eventi. Lui comunica agli uomini la sua stessa forza per viverli, affrontarli e superarli; non ci abbandona mai, è qui con noi. Anche Gesù nel Getsemani ha chiesto a Dio di allontanare da Lui il calice 25


Parole e fatti della Passione, ha sperimentato il silenzio del Padre. Eppure è andato incontro al suo destino, nella consapevolezza che non sarebbe stato solo. Dio va cercato dove meno ce lo aspettiamo accanto ai medici, agli infermieri, nelle terapie intensive accanto a chi con la fatica del proprio lavoro ogni giorno lotta per far vincere la vita sulla morte. Stefania Caprilli CASTELLAMMARE DI STABIA - Grazie a tutti voi per la vostra vicinanza. Lo stare insieme oggi ha nuove modalità, che ci fanno avvertire la prossimità. L’augurio che faccio a noi tutti per questa Pasqua, è che il seme straordinario “gettato” dentro di noi possa abitarci, regalarci la presenza di Gesù, la sua speranza, la sua misericordia, la sua capacità di amare e servire. Maria Esposito

• Primo maggio! Ore dodici! All’improvviso, nel silenzio che da giorni pesa

sulla città, le sirene della Fincantieri e delle navi che sono nel porto hanno cominciato a suonare! Contemporaneamente ecco lo squillo delle campane delle nostre chiese! Amici carissimi di Rinascita, che sorpresa e che emozione! Sarà perché i vecchi hanno il pianto facile, ma non riesco a fermare le lacrime. Mi sono resa conto di quanto mi mancassero questi suoni noti, cari, che hanno accompagnato le ore della mia vita. All’improvviso, con prepotenza, hanno interrotto la triste esperienza del vuoto e del silenzio di questo periodo. Qualcuno mi ha voluto ricordare che il cristiano non deve mai perdere la speranza. Passerà! (“Dio non turba mai la gioia dei suoi figli…”). Un abbraccio a tutti. Carmen Ruggiero

ABBIAMO RIMPIANTO ANCHE CIÓ CHE CI INFASTIDIVA Un turbine ha sconvolto la nostra vita all’improvviso, ci ha trovato impreparati, ci ha lasciato sgomenti. All’inizio tutti pensavamo che sarebbe stata breve la nostra segregazione, poi giorno dopo giorno la prigionia si è protratta quasi senza termine e ci siamo ritrovati spesso soli e chiusi fra quattro o più mura, tutti intenti con ritmicità ossessiva a pulire, disinfettare l’impensabile, perfino l’aria che respiravamo. Come automi senza cervello abbiamo ripetuto e ripetiamo tutti i giorni il rito purificatorio nell’ ingenua convinzione di tenere sotto controllo la nostra e l’altrui esistenza. Uscire per fare la spesa è stata una spedizione punitiva. Varcare la soglia di casa non aveva più quel valore liberatorio di evadere, di respirare un po’ d’aria marina, di incontrare qualche volto amico o fare altro ancora, ma piuttosto diventava un momento angosciante di cui avremmo fatto volentieri a meno. Unico rifugio consolatorio, unica fonte di salvezza è stata la preghiera, 26


Parole e fatti l’ascolto della Parola di Dio, i momenti di raccoglimento in un dialogo, mai così autentico, con Dio. Si potrebbe obiettare che questo riguarda i credenti e gli altri? Hanno certamente cercato altri punti di riferimento, altri spazi: i social, la lettura, la cucina. La città in certi momenti è apparsa come un pae­ saggio immobile, deserto quasi pietrificato: non più vociare di bambini e ragazzi, strombazzare di macchine o profumi, a volte nauseabondi, di rosticcerie e pub. Come abbiamo rimpianto anche quello che prima ci infastidiva! I rapporti familiari e amicali si sono spostati sui vari computer o meglio ancora sui cellulari con le rituali videochiamate; siamo diventati all’improvviso famiglie virtuali. Meglio di niente! Tutto questo non è avvenuto in modo indolore, ma nella tragica consapevolezza di cosa stesse accadendo fuori dal nostro rifugio, nell’Italia, nel mondo. Abbiamo cercato di dare un significato a questa pandemia, ci siamo interrogati, a volte il senso d’inadeguatezza ci ha quasi annientati. Quante volte ci è sembrato di affacciarci sull’orlo di un baratro! Cosa ci ha fermato? La mano di Dio. Certamente abbiamo dato più pregnanza alla nostra fede, abbiamo capito quanto siamo piccoli ed egoisti; credevamo di restare sani in un mondo malato, come ha detto papa Francesco, è vero! Se gli altri popoli soffrivano per guerre, persecuzioni, malattie, ci siamo limitati a un’espressione di compatimento, ma nulla cambiava per noi. Ora abbiamo capito, speriamo tutti, che il mondo non può salvarsi se non cambiamo le regole della convivenza, se non ci sentiamo veramente fratelli in Cristo e seguiamo quel vegliardo dall’andatura un po’ incerta, ma un gigante di fede e di amore, che, solo, ha pregato Dio in una piazza S. Pietro completamente vuota, in quel grigio e piovoso 27 marzo, per impetrare il nostro perdono e la nostra salvezza. Rita di Lorenzo

Ricordo dell’amica Edda Ghilardi Vincenti Nei mesi scorsi è venuta a mancare una persona amica di Rinascita e a me in particolare tanto cara: Edda Ghilardi Vincenti. Aveva una bellezza senza tempo, uno sguardo azzurro che metteva in luce la sua rara sensibilità; una donna di profonda cultura sempre pronta al sorriso, dolce con tutti e che sapeva sempre instaurare con le persone una relazione feconda. Era una poetessa e aveva ricevuto molti riconoscimenti e premi per la sua produzione letteraria, aveva anche fondato un circolo culturale in cui si parlava di poesia... Aveva insegnato lingua inglese al Collegio S. Alessandro di Bergamo e anche qui è stata sempre molto apprezzata. Negli ultimi tempi era sofferente per alcune patologie ma Edda si mostrava comunque serena e sempre molto disponibile all’interno del suo gruppo. Aveva quella capacità di far percepire alle persone il suo universo poetico che la rendeva unica. Arrivederci Edda, un giorno ci rivedremo e continueremo a parlare anche di poesia in un Luogo che è tutto Poesia. Patrizia e le amiche di Rinascita Cristiana

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Rafforzare la capacità di discernimento

Piercarlo Maggiolini

Care amiche e amici di Rinascita, alla vigilia di una faticosa (e guardinga!) ripresa delle celebrazioni liturgiche, non facciamoci illusioni: il “ritorno” (sarà un ritorno?) alla “normalità” (ma preferirei dire a una “nuova normalità”) sarà lento. Ma ciò, lungi dall’attenuarla, deve rafforzare la nostra capacità di discernimento di questi “tempi nuovi”, di cogliervi anzi i “segni dei tempi”. Scriveva in un articolo del 2012 Aggiornamenti sociali: «Quando si fa sera, voi dite: “Bel tempo, il cielo rosseggia”; e al mattino: “Oggi burrasca, perché il cielo è rosso cupo”. Sapete dunque interpretare l’aspetto del cielo e non siete capaci di interpretare i segni dei tempi?» (Matteo 16, 2-3). Gli avvenimenti drammatici che segnano la nostra storia interpellano in profondità persone e società sulla condizione umana: catastrofi cosmiche (terremoti, epidemie) o eventi politici (rivoluzioni, guerre, genocidi). E si sollevano gli interrogativi: perché? come? di chi è la colpa? All’inizio del secolo dei Lumi, il terremoto che distrusse Lisbona (1755) offrì a Voltaire e ai filosofi l’occasione di lanciare questi grandi interrogativi critici, che ancora risuonano dopo la Shoah, l’AIDS e gli tsunami. Da sempre, prima la fede ebraica e poi la fede cristiana si sono fatte carico di queste domande e interpretazioni storiche. Cristo stesso fu un giorno interpellato sul senso di una catastrofe (il crollo della torre di Siloe) e di un incomprensibile avvenimento politico-religioso (il massacro a opera di Pilato di alcuni devoti galilei che stavano offrendo sacrifici rituali, Luca 13, 1-5). La parabola della meteorologia usata da Gesù si inscrive precisamente in questo interrogativo: di che cosa i tempi sono segno? Ecco dunque, non solo possiamo ma dobbiamo interpretare i segni dei tempi, alla luce della Parola di Dio, aiutati da voci autorevoli (come quella di Papa Francesco, ma non solo) o molto semplicemente da chi – soprattutto nei media – ci richiama l’attenzione magari su fenomeni apparentemente secondari ma che aiutano a rivelare la condizione che stiamo vivendo e soprattutto le sue prospettive. Vi sottolineo la frase riportata da Nigrizia: “Il periodo buio creato da questa pandemia può essere un’occasione
per entrare in contatto con noi stessi e con Dio, rivalutare il nostro modo
di vivere, apprezzare ciò che è essenziale e riscoprire il valore della fratellanza e della solidarietà” (Stephen Ogongo, attivista per i diritti umani e fondatore di Cara Italia)

Quattro documenti per pensare Il virus è una punizione di Dio? Da Civiltà Cattolica 4077, 2 maggio 2020 da una ragionata risposta alla luce del Vecchio e Nuovo Testamento. Nel silenzio, un’azione comune, di un teologo della facoltà di filosofia dei gesuiti di Belo Horizonte in Brasile. Terzo documento Nel coraggio di cambiare, di un vescovo congolese tratti da un dossier di Nigrizia di maggio 2020. Dal Venerdì di Repubblica del 15 maggio Meno money, meno transfer richiama l’attenzione sul fatto che l’impoverimento di numerosi immigrati in Italia si ripercuote pesantemente sulle loro famiglie nei paesi d’origine. Davvero “tutto è connesso”!

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Chiesa

Se non cambia con la vita la liturgia diventa un teatrino

di Marinella Perroni Nei giorni di Pasqua l’impatto dell’emergenza sanitaria sulla preghiera della Chiesa ha portato più che mai allo scoperto le difficoltà nella ricezione della riforma liturgica. Papa Francesco, con la preghiera nella grande piazza deserta e la Via Crucis, ha smosso scenari ormai irrimediabilmente superati. L’articolo è tratto dalla rivista Il Regno del 20 aprile 2020.

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ai, forse, la liturgia è stata al centro dell’attenzione – e non soltanto di quella dei credenti – come durante la settimana santa. In particolare, poi, durante il triduo pasquale. La situazione drammaticamente inedita che da più di due mesi ha stravolto i nostri usi e costumi, inoculando paura e incertezza nelle vene del nostro quotidiano, ha fatto implodere i già stanchi “equilibri liturgici” che garantivano che tutto si ripetesse in modo sempre meccanicamente uguale. Che poi le chiese fossero sempre più vuote sembrava poco rilevante. Se mai questa prova così dolente avrà qualcosa da dire alle chiese, la riflessione dovrà partire proprio dalla liturgia. Non è un caso, d’altra parte, che il primo documento del concilio Vaticano II sia quello che riguarda la riforma liturgica. Né è un caso che in questi mesi, in cui tutti siamo stati travolti dalla pesantezza dell’imponderabile, abbiamo visto accadere di tutto proprio riguardo alla liturgia. A ulteriore testimonianza di quanto da tempo, in realtà, era chiaro, e cioè che per la Chiesa cattolica, purtroppo, l’esperienza liturgica si riduce esclusivamente alla celebrazione della messa. Soprattutto, però, a testimonianza di come l’ostinata resistenza alla ricezione del Vaticano II e alle sue aspettative ecclesiologiche riguardo ai ministeri e all’ecumenismo si rifletta pesantemente nell’incapacità di coniugare lex orandi e lex credendi all’interno dei tempi e degli spazi della città secolare. Non è questo il luogo per esaminare perché la Chiesa cattolica faccia tanta fatica a lasciarsi alle spalle la forma di Chiesa costantiniana e il modello liturgico tridentino e abbia pervicacemente preferito mondanizzarsi piuttosto che riformarsi. Basti dire che mai come ora essa appare ancora arroccata, dal punto di vista delle istituzioni, in un’interpretazione del non prevalebunt evangelico a dir poco puerile e paralizzata dal rifiuto di dare ascolto a quei teologi coraggiosi e lungimiranti che, da tempo, avevano indicato le strade da percorrere per aprirsi al futuro. È su questo sfondo che Francesco ha preso su di sé, durante la quaresima e soprattutto durante il triduo pasquale, tutto il peso di una liturgia ormai mes29


Chiesa sa di fronte alle sue responsabilità. La sua figura è stata dominante. Certamente, in virtù del verticistico centralismo romano sostenuto dalla potenza di fuoco comunicativa del Vaticano, ma anche grazie alla sua personale caratura spirituale… Da Roma, Francesco non ha parlato al mondo, ma ha parlato con il mondo, e i suoi gesti, seppur a volte non del tutto scevri da rievocazioni medievali, sono però riusciti a dare corpo allo psicodramma nel quale l’intero pianeta è piombato negli ultimi mesi. Va detto che non tutti i credenti, infatti, hanno ancora acquisito la capacità di (o sono nella situazione adatta per) mettere in pratica le diverse indicazioni offerte dalle chiese locali per diventare soggetti in grado di celebrare la Pasqua nelle proprie case e con le proprie famiglie. E così per tre volte papa Francesco ha dovuto riempiere l’enorme vuoto di una basilica di San Pietro e infondere vita alla inerte teatralità di una celebrazione eucaristica fatta di troppi oggetti, di troppi movimenti e di troppe riverenze. Se non ci fosse stato il respiro di un papa, anziano e affaticato ma indomito, la scena sarebbe stata surreale, una sorta di teatrino in cui uno sparuto manipolo di “soldatini di stagno”, rispettosi del distanziamento sociale, ma rigorosamente schierati in ordine gerarchico pretendevano di rappresentare l’intero corpo ecclesiale. Per fortuna, per Francesco celebrare significa pregare con intensità ed egli riesce così a coinvolgere non solo gli astanti, ma anche i milioni e milioni presenti solo virtualmente. Francesco riesce a essere televisivo senza utilizzare stratagemmi scenografici e, anzi, rende sbiadita e perfino un po’ ridicola qualsiasi scenografia. Imprime infatti alla celebrazione eucaristica il carattere di una spiritualità robusta, quella ignaziana, per la quale la profonda devozione individuale non scade mai in forme di insano pietismo. Il tono delle sue parole, ma anche quello del suo silenzio fanno sì che nessuno possa semplicemente assistere, ma che ciascuno si senta chiamato a partecipare. Per due volte, poi, lo sterminato popolo virtuale che ha preso parte alle celebrazioni del papa ha fatto esperienza della possibilità di uscire dal tempio e di trasformare la piazza in luogo di una celebrazione liturgica che non fosse la messa. Finalmente, liturgia e vita si sono saldate insieme, non artificialmente, come nelle preghiere dei fedeli precotte che vengono “recitate” con meccanica ripetitività, ma lasciando che la vita irrompesse nella preghiera, anzi, che la preghiera scaturisse dalla vita. 30


Chiesa Indicendo il 27 marzo un lungo momento di preghiera dal respiro planetario, il papa gesuita non ha preteso di riempire il vuoto di una piazza San Pietro ma ha fatto percepire l’assenza di tutti come la presenza di ciascuno, lo ha reso così luogo abitato nel quale raccogliere l’angoscia del mondo e dal quale innalzare la preghiera di supplica. La sera del venerdì santo, poi, Francesco non ha “presieduto”, ma ha partecipato alla Via crucis, assommando nella sua figura tutti i credenti e non credenti che da tempo ormai hanno imparato a rivivere l’antica pratica devozionale. Lo ha fatto dando finalmente la parola a coloro che, in un sotterraneo della storia come il carcere, vivono cammini di dolore e di speranza in carne e sangue, cammini che, come i salmi biblici, sono già di per sé preghiera. E all’autorità di quelle parole, finalmente non “prestate”, Francesco non ha voluto aggiungere nessun’altra parola: con quel suo silenzio ha compiuto con autorevolezza magisteriale un gesto di cui, non a caso, si ha paura di parlare, perché mette radicalmente in discussione quell’uso/ abuso della parola tipicamente clericale durante le nostre liturgie. Le nostre nonne dicevano che Dio manda il freddo secondo i panni ma, forse, si può anche dire che Dio manda i panni secondo il freddo: a una chiesa cattolica che da troppo tempo ormai vive celebrazioni imbalsamate un anziano papa gesuita sta suggerendo che può ripartire solo dalla vita: se spegne la vita dentro formule e riverenze, la liturgia perde la sua funzione originaria e la sua forza originante.

Riscoprire l’interiorità, oltre il ritualismo Da una Intervista a Vito Mancuso

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elebrare la fede nel tempo della pandemia da coronavirus è anche il tema che abbiamo discusso con Vito Mancuso, filosofo e teologo, già docente di Teologia moderna e contemporanea presso la Facoltà di Filosofia dell’Università San Raffaele di Milano e di Storia delle dottrine Teologiche presso l’Università degli Studi di Padova, autore di numerosi volumi di grande successo di pubblico, l’ultimo dei quali, edito da Garzanti, è La forza di essere migliori. 31


Chiesa Mancuso, ormai da oltre un mese assistiamo a celebrazioni eucaristiche senza la partecipazione dei fedeli. Ha senso celebrare senza popolo? In realtà ci sono preti che dicono messa da soli regolarmente. Certo diventa un’altra cosa. Si trasforma in una preghiera individuale del celebrante che, secondo la teologia cattolica, può diventare un grande momento di intercessione per tutti coloro che vorrebbero partecipare ma non possono farlo. Ripeto è un’altra cosa rispetto ai banchetti rituali intorno ai quali è nata la comunità cristiana: i credenti si riunivano, mangiavano insieme e facevano memoria di Cristo morto e risorto. Viene meno la dimensione comunitaria. Però chi sono io per dire che non abbia senso? Per un prete ha senso celebrare anche senza popolo: una presenza solitaria di fronte al mistero, come è stata in fondo, per secoli, la messa tridentina. Anzi si può recuperare il valore di quella tradizione, che per secoli ha generato una pietà eucaristica religiosa, con il prete che non era immediatamente al cospetto del popolo, ma era al cospetto di Dio. Per cui non c’è bisogno di recitare le parole perché qualcuno le capisca, non c’è bisogno di fare gesti teatrali, non c’è bisogno di essere pedagogo di nessuno, devo essere pedagogo di me stesso. Io credo che se riuscissimo a capire che ha valore sia la celebrazione eucaristica con i fedeli, sia la messa senza popolo, recuperando il valore che possono trasmettere entrambe le impostazioni, faremmo un passo in avanti. Questo vale per il prete. Ma i fedeli che non possono partecipare alla Messa, quali forme di celebrazione o di preghiera possono riscoprire? Il valore della Parola. O anche il silenzio. L’esperienza religiosa, non solo quella cristiana ma quella umana, contempla da sempre una dimensione comunitaria. Non c’è nessuna religione che non abbia nel proprio codice genetico la dimensione comunitaria. Ma non c’è religione che non abbia anche la dimensione individuale. Ci sono forme varie di presenza, di celebrazione comunitaria, di riti, ma anche insegnamenti che invitano a raccogliersi in se stessi. È quello che dice Gesù nel capitolo 6 del Vangelo di Matteo: «Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà». Questo segreto, questa cripta, è la nostra interiorità. La connessione con Dio è lo spirito, e questo attiene alla solitudine. Fare silenzio di fronte al cielo, di fronte ad una pianta, ad una nuvola, diventa una forma di celebrazione dell’esserci. E le celebrazioni comunitarie nelle case, come del resto faceva il popolo di Israele in esilio, oppure le comunità cristiane prima dell’era costantiniana? Sarebbe bellissimo. La Chiesa cattolica dovrebbe incoraggiare queste forme di celebrazione. Molti già lo fanno quotidianamente, si raccolgono insieme, leggono una pagina di Vangelo, spezzano il pane vero. Certo il monopolio clericale quando sente queste cose reagisce in maniera aggressiva e reprime sul nascere queste forme di celebrazione, perché appunto viene meno il mo32


Chiesa nopolio. Ma secondo me quella che abbiamo davanti è un’occasione propizia per riscoprire queste forme. Del resto è la dimensione e la pratica di numerose comunità sparse in molte parti del mondo, dove non è possibile celebrare la messa quotidiana… Esattamente. Penso all’Amazzonia, o ai cristiani hanno vissuto in regimi totalitari comunisti dove non si poteva celebrare l’eucaristia. In fondo qual è la finalità ultima del rito? Forse quella di riempire le chiese? Di fare una bella processione? Di cantare tutti insieme? Secondo me la finalità ultima del rito è quella di riempire l’anima del singolo individuo di spirito, così da essere davvero in comunione con il divino. Un divino che si può pensare come Signore Gesù, come Spirito, ma anche in altri modi e in altre forme. La cartina di tornasole che fa capire se l’esperimento è riuscito oppure no è l’anima del singolo, non la bella celebrazione collettiva. Quello è ritualismo, il rito per se stesso. I riti sono un grande momento, un laboratorio dove avvengono delle cose. Ma la reazione chimica che deve avvenire è la trasformazione dell’anima del singolo, della coscienza, dell’interiorità che entra in comunione con il divino. Dovremmo ricordarcene anche quando torneremo a celebrare insieme, affinché ci sia profonda spiritualità e non vuoto formalismo. Quindi questo è un momento propizio? Può esserlo. Questo tempo, Cronos, se lo si interpreta bene, può diventare un Kairos, un momento propizio. Certo può diventare anche un momento sfavorevole. Le situazioni limite sono così: ti possono distruggere o ti possono elevare, a seconda di come si vivono, di come si interpretano. A proposito del celebrare senza popolo, che impressione hai avuto dell’immagine di papa Francesco solo in piazza San Pietro? Un’icona potentissima della spiritualità di questo tempo. Una manifestazione dell’impotenza del divino e della religione, come è stato per la Shoah. Scoprirsi impotenti, soli, vuoti, desolati. Io credo che questa sia la via di accesso. Lo cantava anche Leonard Cohen: “C’è una crepa in ogni cosa. Ed è da lì che entra la luce”. La ferita profonda può diventare feritoia da cui entra la luce. Luca Kocci, Adista Notizie n° 16 del 25/04/2020

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Chiesa

Dalla Caritas: per i poveri il prezzo più alto?

di Pier Giuseppe Accornero

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disastri del cornavirus e gli italiani si scoprono terribilmente fragili. Un terrificante aumento del 114 per cento delle persone che si rivolgono alle Caritas diocesane rispetto al periodo di pre-pandemia. Questo risulta da una prima rilevazione su 70 Caritas diocesane in tutta Italia, un terzo del totale. La sede nazionale ha intensificato il contatto e il coordinamento delle 218 Caritas diocesane, a partire da quelle più colpite al Nord. Le Caritas diocesane evidenziano nella quasi totalità un aumento dei problemi di occupazionelavoro e di quelli economici. Il 75,7 per cento segnala un incremento dei problemi familiari; il 62,8% dei problemi dell’istruzione; il 60 della salute, compreso il disagio psicologico e psichico, e dell’abitazione. La gente segnala nuovi bisogni, come la solitudine, le relazioni, i conflitti, le ansie e le paure, il disorientamento e la disinformazione. C’è un consistente aumento delle richieste di beni e servizi, in particolare cibo e beni di prima necessità, distribuzione di pasti da asporto e a domicilio, sussidi e aiuti economici a supporto della spesa o del pagamento di bollette e affitti, sostegno socio-assistenziale, lavoro e alloggio. Cresce la richiesta di aiuto e di orientamento sull’accesso alle misure pubbliche di sostegno, per fronteggiare l’emergenza sanitaria, di aiuto nella compilazione delle domande e per la richiesta di dispositivi di protezione individuale (mascherine, guanti, ecc.). La rete Caritas cerca di mettere in pratica «la fantasia della carità» più volte richiesta da papa Francesco. Così - informa un comunicato - «l’attivazione di nuovi servizi di ascolto e di accompagnamento telefonico con circa 15 mila contatti in poche settimane; la trasformazione della fornitura dei pasti in modalità da asporto o con consegne a domicilio; la fornitura di dispositivi di protezione individuale e igienizzanti; le iniziative a supporto della didattica a distanza con la fornitura di tablet e computer; il sostegno a famiglie nomadi, giostrai e circensi; l’assistenza ai senza dimora rimodulata per garantire la sicurezza; l’acquisto di farmaci e prodotti sanitari». Ci sono poi iniziative inedite, come #TiChiamoIo, per offrire vicinanza telefonica alle persone che si rivolgono ai centri di ascolto; come il progetto «Message in a bottle. Messaggio in bottiglia» ideato per far recapitare, assieme ai pasti da asporto, messaggi e poesie. Una ricchezza – sottolinea la Caritas «che passa dalle tante strutture delle Chiese diocesane destinate a medici e infermieri, a persone in quarantena, a senza fissa dimora». Quasi 1.450 posti messi a disposizione della Protezione civile e del Sistema sanitario nazionale 34


Chiesa da 48 diocesi; altre 45 strutture, per oltre 1.000 posti in 33 diocesi disponibili per persone in quarantena o dimesse dagli ospedali; 64 strutture per oltre 1.200 posti in 42 diocesi per l’accoglienza di persone senza fissa dimora. Don Francesco Soddu, rammenta le esortazioni del Concilio Vaticano II sulla libertà e la dignità di ogni persona bisognosa: «Non avvenga che si offra come dono di carità ciò che è già dovuto a titolo di giustizia. Si eliminino non soltanto gli effetti ma anche le cause dei mali» perché «non siano i poveri, gli ultimi, gli emarginati e gli indifesi a pagare il prezzo più alto della crisi».

LE OMELIE DI PAPA FRANCESCO A SANTA MARTA Giorni tristi, pesanti, quelli della forzata permanenza a casa dovuta alla pandemia causata dal corona-virus. Qui a Reggio Calabria non abbiamo avuto molti casi di ammalati. … Oggi, dopo tre mesi trascorsi in solitaria meditazione, posso senz’altro dire che l’unico grande conforto in quei giorni, è stato l’ascolto giornaliero della Messa celebrata dal Papa a S.Marta e trasmessa alle ore 7 dalla televisione. Le parole del Papa pronunciate nelle omelie, sono state una grande lezione sull’essere cristiani, appartenenti alla Chiesa cattolica. I Vangeli sono stati da Lui commentati con una visione del mondo moderna e attuale e ogni omelia mi è apparsa come una perla di saggezza e lungimiranza profetica. Io le ricordo così. Ho ascoltato che ignorare con l’indifferenza chi ci istiga all’odio è l’arma migliore per difendersi; ho ascoltato che le nostre azioni, i nostri gesti, devono essere sempre volti alla benevolenza e al perdono e che non serve giudicare gli altri ma comprenderli; ho imparato che le ricchezze sono il Signore di questo mondo e che la rigidità di cuore è solo una sicurezza per noi stessi; ho imparato che l’accidia ci toglie la volontà di andare avanti; ho imparato che lo spirito di mondanità della Chiesa è male e che i vizi e la superbia ci conducono nelle tenebre. In una delle ultime omelie ho avvertito l’amorevole sollecitudine di Padre spirituale rivolto all’umanità intera pervasa dal senso di orfanezza che c’è nel mondo di oggi e che si avverte nel disorientamento degli uomini senza una guida morale, in preda alle sofferenze causate dalle guerre, dalle pandemie e dai disastri ambientali. Il senso di orfanezza è sempre presente in tutte le popolazioni che non riescono a trovare la strada giusta che solo il Padre può indicare. Gesù lasciò gli apostoli dicendo: - non vi lascerò orfani – e infatti mandò lo Spirito Santo per assisterli nell’opera di apostolato che, come dice San Pietro va fatta con dolcezza, rispetto e mitezza, senza imposizioni né ricatti ma come libera scelta. Grande conforto ho provato in questo ascolto. Il Papa non ha dimenticato nessuno a cominciare dai più umili, fino ai più potenti: con semplicità, senza usare né toni né parole altisonanti, ha pregato per i politici, per i responsabili della pace nel mondo, dal più importante al più modesto, affinché Dio li illumini nel prendere decisioni giuste e umane per il bene di tutti i popoli della Terra. Inoltre, rivolgendosi ai cittadini, li ha esortati a rispettare le regole fissate dal Governo lasciando da parte le idee politiche e le tattiche elettorali. Ciò che maggiormente mi ha commossa è stato l’invito ai fedeli e ai Vescovi a pazientare fino a quando il pericolo del contagio non si sarà allentato. “Ogni casa è una Chiesa” ha detto; ed ancora: “Non si cambia il cavallo quando si è a metà del fiume”. Mariella Bagnato Vigilante

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Documenti

L’attualità

dell’Apocalisse di Giovanni

di Vincenzo Caprara

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hi non ricorda Apocalypse now, il famoso film che Francis Coppola girò nel 1979 con un tenebroso Marlon Brando, apocalittica odissea attraverso la follia dell’uomo e della guerra in cui droga, violenza sesso, terrore, tutto si confonde e distrugge. Simbolica catastrofe dell’uomo che abdica alla sua umanità senza futuro se il protagonista decide di farsi togliere la vita perché non ha più alcuna speranza di redenzione. Apocalisse quindi, ancora una volta, come distruzione, catastrofe: ecco il significato che ha assunto nel linguaggio comune il titolo e il testo dell’ultima opera del Nuovo Testamento, opera che ha affascinato e sconcertato fin dai primi secoli perfino i Padri della Chiesa, da Origene a Girolamo. Da sempre per il grande pubblico l’Apocalisse di Giovanni è sinonimo di profezia terribile sulla fine del mondo e dunque di predizione di cataclismi futuri che ne segneranno il collasso definitivo. Ma non si tratta in realtà della composizione di un individuo isolato e sognatore, distaccato dal mondo e fuori dal tempo: non è neppure un testo esoterico che tenda a informare un gruppo privilegiato e segreto di iniziati. L’Apocalisse rappresenta piuttosto l’impegno ecclesiale di formare una mentalità autenticamente cristiana. Quindi per comprenderne il significato bisogna fare riferimento al significato originale che la parola ha in greco “rivelazione, manifestazione della verità, della salvezza, della gloria. Siamo quindi ben lontani dal significato che è stato erroneamente attribuito all’opera che invece, intrisa del simbolismo fantastico tipico del linguaggio biblico, ha una precisa funzione: evocare simbolicamente il cambiamento radicale operato dall’ intervento divino nella storia. Proprio perchè questo significato simbolico non è stato compreso che il termine apocalisse si è ridotto a divenire sinonimo di “immane disastro”. Di una fine senza scampo. Chi scrive (siamo alla fine del I sec. d.C.) non intende fuggire dal mondo e dal suo tempo, ma partendo proprio dalla situazione storica e concreta della sua età (non mancano sotto il velo dell’allegoria concreti riferimenti) orienta la riflessione verso il senso teologico della storia che trova nell’evento pasquale di Cristo il proprio centro di comprensione.

L’autore vive nel primo secolo dopo Cristo

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Documenti Ho pensato proprio a questo testo quando mi sono ritrovato a riflettere sulla strana coincidenza tra quanto è avvenuto in questi ultimi mesi, quella epidemia presto divenuta pandemia che sta scuotendo tutte le certezze del mondo e il ritorno, nello stesso periodo, del mistero della pasqua, del Cristo che vince la morte e apre alla speranza, quel Cristo che regge le sorti del cosmo nella fede dei credenti. Il Cristo si presenta come vincitore in questo avvincente testo di fronte a una umanità impotente e disorientata come ci appare impotente e fragile in questi giorni questa nostra umanità nonostante gli sforzi e i tentativi della scienza in ogni parte del globo. Senza dubbio l’opera di Giovanni è sicuramente un testo complesso, ma allo stesso tempo un libro affascinante e ricchissimo di suggestioni per alimentare e guidare la fede dei credenti. A guardar bene, non si presenta tanto come un testo fantasioso pieno di visioni catastrofiche del futuro più o meno imminente, quanto l’opera di un credente in Cristo che desidera aiutare i suoi compagni di fede a entrare nel mistero di salvezza di Dio che si attua nella storia. Questo è il messaggio centrale: il progetto di Dio sulla storia non è un messaggio incomprensibile o impenetrabile che deve essere svelato mediante strane e complesse profezie, ma è il manifestarsi progressivo della sua volontà di salvezza che si attua in Cristo e da Cristo si irradia, se pur per vie non sempre immediatamente intelligibili, lungo i sentieri della storia. Giovanni ha scritto il suo libro per aiutare i suoi compagni di fede a ripercorrere il cammino di conversione da lui stesso attuato e individuare, oltre la complessità degli avvenimenti, il senso e il disegno che in essi Dio ha inserito attraverso Cristo e il suo mistero di salvezza attuato nella Pasqua. Per raggiungere il suo scopo Giovanni fa una rilettura sia dell’Antico Testamento che non viene espressamente citato, ma continuamente richiamato per le tematiche, le immagini, i concetti e i generi letterari sia della più recente tradizione evangelica con un linguaggio che è insieme simbolico e narrativo. Che l’Apocalisse voglia essere un messaggio di speranza può sembrare strano a una prima lettura colpiti come si è dalla violenza di immagini rovinose e terrificanti che subito ci colpiscono. L’opera della salvezza, annuncia Giovanni, non elimina dall’esterno tutti i malvagi con le loro diaboliche macchinazioni, ma è un evento di trasformazione dal profondo che riguarda ogni singola persona e contemporaneamente tutte le strutture del mondo. È una novità che si realizza lentamente, ma in continua tensione verso il compimento finale, che richiede ai credenti un impegno deciso e un atteggiamento di consapevole collaborazione. L’ultima parte del libro evoca questo grande cambiamento mediante i simboli di due donne e due città che rappresentano l’idea della ‘relazione’ come L’apocalisse e l’attualità del suo messaggio

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Documenti terreno decisivo dell’intervento di Dio. “La donna era vestita di porpora e di scarlatto, indorata con gioielli d’oro, pietre preziose e perle, con in mano un calice d’oro pieno delle schifezze e delle immondezze della sua prostituzione” (17,4). Una donna “ubriaca di sangue” che viene chiamata Babilonia. A noi lettori moderni interessa forse poco, ma il riferimento è possente e attuale: è il simbolo per eccellenza della superbia e del rifiuto di Dio. L’immagine apocalittica poteva al tempo dell’autore aveva sicuramente riferimenti ben precisi, ma riesce ugualmente a parlare ai credenti di ogni tempo, anche a noi, se pensiamo a quante implicazioni può suggerire. Babilonia la grande, il simbolo del potere del male (oggi diremmo della bramosia del guadagno, del possesso della ricchezza e delle risorse della terra, della supremazia politica ed economica) cade. La storia resta saldamente nelle mani di Dio. Ed ecco che Giovanni può affermare: “Vidi poi un cielo nuovo e una terra nuova, perchè il primo cielo e la prima terra se n’erano andati e il mare non c’è più. La città santa, la Gerusalemme nuova, vidi scendere dal cielo, da Dio preparata come una sposa adornata per il suo sposo…..” (Ap 21,1-4). È la realtà ‘nuova’ che la Chiesa testimonia e sperimenta, una Chiesa purificata e fortificata: la città- sposa, immagine della comunione con Dio resa possibile dal mistero pasquale. La città santa (Isaia 52,1) proviene direttamente da Dio, cioè non è mera conquista dell’uomo. Gerusalemme-sposa è la trasfigurazione finale dei fedeli a cui si rivolge con trepidazione Giovanni, un’‘ecclesia’ di divinizzati; è il rinnovamento radicale, il superamento definitivo del mondo di prima. L’espressione volutamente insistita, nuovo, nuova è molto forte e riprende un’analoga espressione caratteristica dei Salmi in cui, per esempio, canto nuovo non indica semplicemente una nuova melodia, ma l’attuazione progressiva che Dio vuole fare della sua novità nella storia dell’uomo. Nell’Apocalisse quest’ azione continua di rinnovamento di Dio viene attribuita a Cristo cui compete un’organizzazione del regno di Dio su tutta la terra. Quel mondo senza male, intravisto nel primo racconto della Genesi, e presto distrutto dall’ambizione dell’uomo, si realizza in queste ultime pagine della Bibbia. Il mondo nuovo, sarà il mondo cosmico e il mondo degli uomini vivificato e trasformato dai valori di Cristo che con la sua presenza, attuata gradatamente nell’arco della storia, avrà colmato i vuoti attuali. Il mare non c’è più, si precisa: il mare, simbolo abissale del male che ha intessuto del suo veleno la storia contrapponendosi alla forza positiva dell’amore di Cristo nell’arco della storia, è destinato a scomparire. Anzi il mare stesso in questo nuovo mondo improntato dalla presenza luminosa di Cristo cambierà natura, diventerà trasparente. Ecco che “apocalisse” non è più sinonimo di distruzione, ma di speranza, rivelazione di una nuova, inedita vita senza più dolore. Non solo: questa GeruUna realtà nuova una speranza nuova

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Documenti salemme nuova è il nuovo popolo di Dio costituito da tutti i popoli della terra riuniti finalmente in Cristo, nuova tenda condivisa con il Dio dell’Alleanza la cui presenza significa una nuova vita per l’intera umanità. “E asciugherà ogni lacrima/ dai loro occhi: la morte non ci sarà più, nè lutto, ne’ grido, ne’ affanno ci saranno più, perchè le prime cose sono passate.” È la dichiarazione della forza consolante e liberatrice che scaturisce dalla presenza immediata di Dio: lacrime, pianto e morte scompaiono. La presenza di Dio comporta il superamento di ogni negatività, di ogni sofferenza. Le cose di prima passeranno! È la certezza del messaggio di Cristo risorto ed è anche per i credenti di oggi, in questo periodo di smarrimento, conforto e speranza, un invito a un rinnovamento di coscienze e mentalità. “Ecco, io faccio nuove tutte le cose” (21,5). È Dio che ce lo assicura agendo nella storia dell’umanità tramite Cristo. La forza inarrestabile del dinamismo della risurrezione di Cristo si fa già sentire nel superamento della violenza, dell’ingiustizia, perfino della mortalità che gli uomini possono e devono realizzare. Anche e soprattutto oggi, in questi momenti così drammatici, quando tacciono le campane delle chiese e rompe il Basilica di Santa Prassede, Roma silenzio solo il minaccioso suono delle sirene delle autoambulanze, proprio in questi momenti di paura impotente, dobbiamo credere che le “parole” di promessa di Dio sono “fedeli e veritiere” (21,5) come fedele e veritiero è Cristo Gesù. La certezza di Dio che è presente nella storia anche nei momenti in cui è devastata dalle avversità, ci porta a credere che donerà “a chi ha sete” acqua dalla sorgente della vita. Nella lotta contro le avversità non siamo soli, anzi Giovanni dice che “il vincitore erediterà questi beni; io sarò il suo Dio ed egli sarà mio figlio” (21,7). Avere accanto Dio nell’affrontare il male e il dolore di oggi è la grande consolazione che Cristo, che ha combattuto e vinto la morte, dà ad ognuno di noi oggi, come ai credenti di duemila anni fa. L’Apocalisse di Giovanni ci pone con speranza davanti al futuro che non è utopia ne’ angoscia, ma speranza fondata sulla certezza della vittoria di Cristo immolato e risorto per tutta l’umanità. 39


Piano di Lavoro

Dalla nostra inchiesta… È difficile ed imbarazzante riprendere in mano i nostri appunti su un’inchiesta che ormai sembra lontana nel tempo.

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on ci è dato vivere in uno splendido isolamento: i mezzi d’informazione e comunicazione, i nostri familiari, con scelte talvolta molto differenti dalle nostre, i vicini, gli amici ci scuotono dal nostro modo di essere e pensare, imponendoci di esserci non come mummie, ma partecipi alla politica con mente e cuore e con le nostre convinzioni di fede, debole e bisognosa di approfondimento. Oggi fede non è più un insieme di dogmi, di formule, di pratiche, che pure, data l’età, continuiamo a seguire fedelmente. Nella Chiesa non sempre respiriamo aria di libertà, di novità evangelica. Molti ecclesiastici si arroccano su posizioni da giudici e censori come gestori della dottrina, contraddicendo quasi l’umanità di Papa Francesco. È talvolta ragione di sofferenza, ma l’unità è sempre da cercare. Tutti possiamo essere promotori di evangelizzazioni nell’ambiente di vita di ogni giorno: per questo è importante l’apporto del gruppo di R. C., spazio di preghiera e confronto aperto e non giudicante, al di là delle differenze culturali anche forti tra di noi: siamo chiamati ad una conversione di carità nel rispetto delle diversità (la convivialità delle differenze). 40

Fedeltà al Signore e fiducia negli uomini dovrebbe costituire una bussola per ciascuno di noi e nel gruppo: aspiriamo a costruire come cittadini un futuro più democratico e fraterno, ispirati al cristianesimo del primo secolo. Ci troviamo di fronte ad un mutamento d’epoca: individualismo, intimismo e narcisismo hanno segnato forse la nostra spiritualità giovanile, il Concilio ci ha aperto a un altro orizzonte di futuro (“Gaudete et exultate” N° 90). È una prospettiva di apertura che ci fa sentire giovani. Gli altri? La vita? Il mondo? La Chiesa? Il bene comune abbraccia tutti gli aspetti. Il Signore, ricco di misericordia, non ci ama come monadi. Il futuro della Chiesa e dell’umanità, dell’Italia come delle terre più lontane riguarda anche noi e fa dire: “I have a dream” (Isaia 11). Il futuro buono non è solo per noi: siamo chiamati a guardare lontano, il futuro è nel divenire della storia (dovremmo fare più memoria critica) con lo sguardo verso l’eternità a partire sin da ora e qui (parabole del regno). La lettura della storia recente ci induce ad abbandonare la pretesa di avere operato e sentirci nel giusto. Impegniamoci personalmente ed insieme per tendere ad una verità più piena e rispettosa della dignità di ogni uomo vicino (Costituzione) e lontano.


Piano di Lavoro Pace, giustizia, salvaguardia del ­creato sono i valori da perseguire per servire la Chiesa e il mondo insieme ad altri siano essi del mondo cattolico o no (la differenza non è tra il cristiano e l’ateo, ma tra il pensante e il non pensante, Martini): Dio non è al servizio del nostro benessere individuale o sociale, non siamo chiamati solo a gesti di carità, ma anche di speranza, come orizzonte comune per tutti. Troppo a lungo la Chiesa si è identificata come difensore di valori, proprietà dei cattolici. Ma quali valori?

Abbiamo riletto “Considero valore” di Henry De Luca. Oggi religione e fede non sono più la stessa cosa, secondo i sociologi il cristiano è uscito dalla cultura del cristianesimo per interrogarsi sulle radici: la missione è qui e ora con chi incontriamo, senza avere paura di etichette, difendendo il Papa impegnato a purificare la Chiesa, alimentando rapporti umani e di confronto. Nel nostro piccolo vorremmo una politica vicina ai poveri con l’uso di un linguaggio meno violento. Paola Zelioli

Leggere i segni dei tempi

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i frequente, parlando tra noi di Rinascita, ci siamo interrogati sulla presenza di voci profetiche ai giorni nostri; di frequente abbiamo anche azzardato che non ci sono all’orizzonte voci profetiche se non quella, inascoltata come è nella storia della profezia, di Papa Francesco. Questa emergenza del coronavirus, che stiamo vivendo, ci spinge a piluccare notizie qua e là, ad approfondire qualche aspetto del problema, a guardare anche indietro alla ricerca di preavvisi e segnali. E allora ci si rende conto che il mondo della cultura, della scienza e anche dell’imprenditoria qualche avvertimento l’aveva lanciato “leggendo i segni dei tempi”, soprattutto gli effetti dei nostri comportamenti umani; mi riferisco a casi noti ai più di noi.

Bill Gates, nel marzo 2015, dichiarava: “La prossima guerra che ci distruggerà non sarà fatta di armi ma di batteri”. Spendiamo una fortuna in deterrenza nucleare e così poco nella prevenzione contro le pandemie, eppure un virus oggi sconosciuto potrebbe uccidere nei prossimi anni milioni di persone”. Ancora prima, nel 2012, David Quammen, ormai di casa anche tra noi, metteva mano al suo libro Spillover. Il libro, tra saggio sulla medicina e reportage, si è avvalso dell’osservazione di scienziati al lavoro nelle foreste congolesi, nelle praterie australiane e nei mercati delle affollate città cinesi; a seguito di interviste e ricerche sui territori colpiti da precedenti epidemie, Quammen ipotizzava il salto di specie degli agenti 41


Piano di Lavoro patogeni dagli animali all’uomo e arrivava a concludere “il colpevole numero uno della zoonosi è ancora un’altra specie animale: la nostra”. Sempre nel 2015, in un documento, la Lancet Commission on planetary healt ricordava come tutte le infezioni fino ad allora conosciute fossero da associarsi alla drastica perdita di biodiversità degli ecosistemi, Devastazione ambientale e deforestazione rappresentano un elemento scatenante, perché rimuovono i germi dai loro limiti ecologici naturali e li introducono in un nuovo ricco habitat chiamato popolazione umana. Il 24 maggio 2015 viene pubblicata l’enciclica “Laudato sii”. Ha raccolto il riconoscimento universale di uno sguardo attento e preveggente sul destino dell’umanità ospite del Pianeta Terra. Nell’enciclica Papa Francesco osserva quello che sta accadendo alla nostra casa, valuta le conseguenze della crisi ecologica (che ha una radice umana) e offre la strada di una ecologia integrale come nuovo paradigma

di giustizia, perché la natura non è “mera cornice” della vita umana. Queste voci, laiche e religiose, hanno avvertito i segni dei tempi, ci hanno detto che bisognava guardare oltre il presente su cui sembriamo appiattiti, che un futuro sostenibile dipende da noi, dalla nostra sensibilità, dai nostri stili di vita. Ma non c’è stato, per lo più, ascolto. Forse non sono le voci profetiche che mancano; come in ogni tempo non vengono ascoltate perché sono scomode, cozzano contro poteri e interessi dominanti. C’è da augurarsi che questi mesi, che ci hanno regalato tanto tempo per stare con noi stessi, abbiano affinato l’attitudine all’ascolto. È di ascolto attento che abbiamo bisogno: ascolto della Parola, ascolto di noi stessi, ascolto del prossimo, ascolto del mondo; un ascolto attento ci riscatterà e permetterà, a noi cristiani, di cogliere il soffio dello Spirito. “Che la nostra lotta e la nostra preoccupazione per questo pianeta non ci tolgano la gioia della speranza” (Laudato sii, 244) Roberta Masella

Una revisione di vita Osserviamo che:

Il Coronavirus ha messo un freno al nostro correre, suscitando reazioni contrastanti: senso del limite, incertezza per il futuro, ma anche più tempo per riflettere, più consapevolezza di essere dei privilegiati. Abbiamo avuto paura della morte per noi e per i nostri cari. Chiusi in casa,

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nel silenzio assordante, abbiamo avvertito la mancanza di relazioni, di contatti fisici. Ci è mancata la celebrazione Eucaristica, ma s’è riversata su di noi un’abbondanza di riflessioni sulla Parola di Dio. Si è avuta la consapevolezza che il VIRUS supera i muri, che il problema ha dimensione planetaria. Molte perso-


Piano di Lavoro ne hanno perso il lavoro, molti mancano del necessario per vivere. La sanità pubblica si è scoperta inadeguata per mancanza di risorse. Per contro si sono registrati tanti atti di solidarietà, di abnegazione e di coraggio. Lo Stato si sta adoperando per venire incontro a tanto disagio sociale, confidando nell’Europa che faticosamente comprende di dover essere solidale. Riflettendo: tutto questo ci pare un segno dei tempi che ci porta a riconsiderare il tema della morte all’interno della nostra cultura che l’aveva rimossa. Sono emerse diverse mentalità: c’è chi vorrebbe drastiche misure di contenimento e chi si sente troppo limitato nella libertà; chi lotta per la salvaguardia della vita umana e chi per la ripresa economica; chi si interroga se il virus sia un prodotto di laboratorio sfuggito di mano e chi ritiene sia potenziato dall’inquinamento in cui siamo immersi. In ogni caso l’umanità deve collaborare per trovare una via d’uscita. Il confronto con la Parola di Dio ci aiuta a Valutare e fare discernimento: La Creazione non è il Paradiso, ma una realtà fragile (Mt 24, 6-14) nella quale siamo in cammino insieme a tutta l’umanità (G.S. 1 e 39). Se vogliamo vivere con saggezza, dobbiamo capire quante cose inutili, secondarie e relative ci impediscono di cogliere il senso profondo della vita (Lc 12, 13-21). La consapevolezza del limite non deve farci disperare, perché con San Paolo (Rm 8, 14-25) crediamo che Dio è nostro Padre e noi siamo con Lui in una relazione filiale dalla quale rice-

viamo la forza dello Spirito Santo e la sua Parola che è maestra di vita Da questa relazione filiale discende il comandamento del­l’Amore fraterno (1° Gv 4, 7-12) a partire dal rispetto per la dignità di ogni uomo e dalla partecipazione alle sofferenze e alle necessità degli ultimi. La preghiera di Gesù nell’orto degli ulivi (Mt 26, 36-44) per noi oggi significa interpretare il tempo presente, avendo fiducia in Dio, per affrontare gli eventi con una fede operosa, creativa e audace, trafficando i doni che Dio ci ha dato (Mt 25,14-35). Conseguenze per l’Agire: Vivere i rapporti con gli altri con sincerità e amore, superando pregiudizi e aggressività, anche nel linguaggio, con più dialoghi e meno monologhi. Impegnarci personalmente e come gruppo, con azioni di condivisione, perché a nessuno manchi il necessario. Operare quotidianamente per il rispetto dell’ambiente: nella oculatezza degli acquisti, nei consumi, nella raccolta differenziata… Esercitare la dimensione pubblica della nostra fede, prestando attenzione alle informazioni che riguardano la Vita sociale ed il Bene comune, a partire dalla nostra città, Fare rete con tutte le Associazioni che hanno a cuore un diverso progetto di società che metta al centro la Persona e non il Mercato, che predisponga adeguate strutture mediche, scuole e servizi vari, piuttosto che armamenti, una più equa distribuzione della ricchezza capace di creare fonti di lavoro e benessere collettivo. Gruppo Mambelli

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Opinioni a confronto

I tempi lenti della saggezza di Renzo Seren

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etto tra di noi, non so se è un effetto dell’isolamento casalingo o una conseguenza dei cedimenti fisici dell’età o, ancora, di una precedente inconfessata pigrizia caratteriale. Certo è che in questo periodo ho rivisto il mio rapporto con il tempo. Gli antichi romani usavano dire festìna lente (affrettati lentamente). È un ossimoro che mi ha sempre intrigato perché riesce ad esprimere nei fatti un significato tutt’altro che contradditorio. Non si può tentennare, tergiversare a lungo quando è il momento delle decisioni, ma nel contempo non si possono eludere tutte le cautele necessarie affinché gli effetti di queste decisioni non si traducano in un danno. Tutti noi abbiamo sperimentato nel compiere il nostro lavoro quotidiano quanto sia importante non farsi assalire dall’ansia di fare in fretta. Non è la fretta a velocizzare il compimento di un lavoro, semmai può aumentare il rischio di commettere errori ai quali si deve porre rimedio con ulteriore dispendio di risorse. Se è vero che la pigrizia genera lentezza è altrettanto vero che solo la calma può migliorare le nostre opere. Mi sono ricordato di una pagina de “I miserabili” di Victor Hugo: “Non si è oziosi solo perché si è assorti. C’è un lavoro che si vede ed un lavoro 44

che non si vede. Contemplare è lavorare; pensare è agire. Le braccia conserte lavorano, le mani giunte fanno. Lo sguardo rivolto al cielo è un’azione. Talete restò quattro anni immobile. Fondò la filosofia”. Non posso certo parlare in generale, ma per me l’educazione ha significa-

to un impegno costante a fare. La sera doveva cogliermi stanco fisicamente…così facendo sono arrivato stanco anche alla sera della vita e c’è voluta questa sosta forzata perché me ne rendessi pienamente conto. Che senso hanno le affermazioni “il tempo è denaro”, “non perdere tempo”, “lottare contro il tempo”? Il tempo non è un nemico, non lo si valuta per quanto può produrre in termini materiali, non è mai perso neppure quando si sogna ad occhi aperti. Il pensiero di avere perso tempo contribuisce soltanto a farne perdere dell’altro. Eppure quelle affermazioni sul tempo mi hanno accompagna-


Opinioni a confronto to sin dal primo giorno sui banchi di scuola. Molti non la penseranno come me, ma in virtù della loro bontà accetteranno questo mio sfogo che in realtà è anche il mio pensiero sugli errori che hanno condotto una società evoluta tecnologicamente a intopparsi non appena si è presentato un fatto nuovo imprevedibile. Correre più veloci del tempo, più veloci della nostra stessa anima ci ha portato ad una situazione dalla quale potremo uscire soltanto se cominceremo a riconsiderare i tempi lenti della saggezza. Dire quello che si pensa è un elemento di indubbia schiettezza e sincerità, ma non è forse più saggio pensare quello che si dice anche se richiede più tempo, più impegno, più preparazione e qualche volta anche una onesta ritrattazione degli impulsi iniziali? Sono cose che ultimamente mi dico spesso, ma mi sento così piccolo e inadeguato a parlare di saggezza che arrossisco davanti a Dio dal quale posso solo sperare misericordia per la mia insipienza. Di una cosa sono convinto. Ci troveremo ad affrontare una ricostruzione

di proporzioni enormi che riuscirà se sarà affrontata con la determinazione di rivedere i modelli di sviluppo, la mentalità dominante, i rapporti con le persone e l’ambiente. Tutti punti che mi piacerebbe declinare ampiamente, ma in questa occasione mi interessa sottolineare che sarà importante anche il rapporto con il tempo. Davanti a difficoltà gravi come quelle che si intravvedono oggi, la tentazione è quella di volere tutto e subito, di risolvere i problemi in una volta per sempre, oppure, di arrendersi ritenendo insormontabili gli ostacoli che ci si parano davanti. È come osservare una montagna immensa e minacciosa. Con calma, una alla volta, le difficoltà le possiamo sciogliere affrontandole con discrezione, senza l’ansia del successo immediato. Così si può raggiungere la grande montagna salendo un passo alla volta per il sentiero. Se guardi verso la montagna puoi avere l’impressione della inviolabilità, ma se guardi il sentiero ed inizi a mettere un passo dopo l’altro, arriverai a destinazione. Il tempo gioca a favore se acquista i ritmi lenti della saggezza.

Tutto cambia, nulla cambia di Giovanna Hribal

“S

e vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi” questa frase cinica, che il nipote Tancredi rivolge allo zio, principe di Salina, nel Gattopardo, è citata spesso ma forse capita poco: il vecchio

principe è amareggiato, smarrito, davanti ai rivolgimenti politici e sociali del 1860, ma conserva una dignità aristocratica di fronte a quello che giudica un involgarimento irrimediabile dei tempi. Il nipote invece af45


Opinioni a confronto fronta baldanzosamente il nuovo che avanza, fino a sposare la figlia dell’uomo che ha sostanzialmente rovinato lo zio e eroso il suo stesso patrimonio e a schierarsi con i Garibaldini, senza nessuno scrupolo, pur di conservare i suoi privilegi e rimpinguare le sostanze familiari. Si fa sostenitore di un cambiamento imposto dalle circostanze, pur di non cambiare nulla davvero. Cosa ha a che fare questa premessa letteraria con il momento che stiamo attraversando? Siamo costretti a confrontarci con cambiamenti di fatto, che non abbiamo voluto e non abbiamo previsto, che non dipendono da noi, e la prontezza con cui alcuni si affrettano a salutare questo doloroso stravolgimento come un’occasione imperdibile di rinnovamento spirituale e sociale ha qualcosa di artificioso e di sospetto. Il disperato desiderio di normalità di chi ha dovuto chiudere la propria attività lavorativa, come un parrucchiere, un artigiano, un barista o come l’imprenditore che è arrivato ad uccidersi per l’angoscia di non riuscire a pagare i suoi operai, non ha nulla di indegno e dovrebbe essere rispettato. I cambiamenti spirituali, quelli veri, profondi, non avvengono sotto la spinta di circostanze esterne, hanno bisogno di tempo e di riflessione, hanno bisogno di condivisione e coinvolgimento. La nostra normalità era tanto spregevole? Non sembrerebbe, a giudicare

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dal comportamento di tanti medici e infermieri, dall’abbondanza delle donazioni, dall’impegno caritativo diffuso, dai gesti quotidiani e silenziosi di vicinanza a chi è in difficoltà, dal vicino di casa più anziano all’amica in crisi per una convivenza forzata che non era preparata ad affrontare. Invocare cambiamenti epocali è ipocrita e inutile, le cose cambieranno da sole, stanno già cambiando e accompagnare nel cambiamento chi ne soffre di più è un atto di carità. I sogni palingenetici sono forse la strada migliore perché “tutto rimanga com’è “e cogliere i segni dei tempi non vuol dire salutare come purificatori la sofferenza e il dolore ma cercare di alleviarli. Cristo ci interroga sempre, in circostanze eccezionali come nella banalità del quotidiano, e la nostra risposta non dovrebbe essere né quella amareggiata e sterile del vecchio principe né quella superficialmente innovativa del giovane Tancredi. Nell’omelia della messa dell’otto maggio Papa Francesco ha con la sua abituale chiarezza e semplicità indicato l’atteggiamento necessario ad un accompagnamento che si ispiri a quello di Cristo nei confronti dei discepoli: vicinanza e verità. Non atteggiamenti consolatori (non andrà tutto bene!) ma presenza rispettosa e affettuosa nella consapevolezza che la sofferenza non si può evitare ma insieme e con consapevolezza la si affronta meglio.


“Il nostro tempo corre veloce. Troppo veloce per soppesare le parole che pronunciamo. Troppo veloce, forse, per pensare “Dio”, parola che, nel rotolare degli anni ha conosciuto una vera e propria mutazione”. Gabriella Caramore ha curato dal 1993 al 2018 la trasmissione di Rai Radio 3 Uomini e profeti: uno sguardo laico, plurale, interdisciplinare sul mondo contemporaneo delle fedi e un approfondimento dei testi fondativi e delle figure di rilievo delle varie sapienze. In questo piccolo volume ci conduce alla scoperta della parola Dio per capire se ancora oggi abbia un senso nelle vicende umane. Civiltà Cattolica 2 maggio 2020 pp. 114-125 Un ampio e impegnativo articolo del padre Giovanni Cucci, aiuta a leggere le circostanze attuali in modo più approfondito di quanto non accada con i mezzi di comunicazione abituali, non attraverso cifre più o meno attendibili e commenti d’occasione ma con un’analisi delle ricadute psicologiche della pandemia. Si mette in rilievo, ad esempio, la portata negativa del

panico, che “spinge a comportamenti irrazionali e per lo più distruttivi”, accrescendo la gravità dei problemi, come si è visto nelle corse agli approvvigionamenti alimentari o di farmaci, anche in assenza di effettiva necessità. La paura, diversamente dal panico, può suggerire anche atteggiamenti utili, come la prudenza e la pazienza, che sanno comandare alla fretta e alla superficialità. La pazienza è tutt’altro che passività, suggerisce infatti un comportamento “proattivo”, cioè la capacità di guardare in faccia il problema e chiedersi che cosa si possa fare, attivando capacità critiche. Capacità veramente indispensabili, soprattutto in questo periodo, nei confronti delle fake news, relative sia alla diffusione del virus che alle possibili terapie e soluzioni. La fatica della riflessione è la fatica di essere liberi e aiuta anche gli altri a diventarlo, promuovendo sia la consapevolezza di sé che l’empatia necessaria a fronteggiare periodi di emergenza. La pro attività è anche di grande aiuto per affrontare la morte, tema che questa epidemia ha riproposto alle società occidentali con una intensità e una frequenza che si credevano scomparse, richiedendo un ripensamento dei valori esistenziali e delle relazioni affettive. Questi giorni difficili, riletti alla luce di esperienze dolorose ma affrontate con fiducia e speranza, forniscono insegnamenti preziosi e dimostrano che la qualità delle relazioni e una profonda vita interiore sono aiuti potenti contro il male. Suggerimenti validi non soltanto in tempo di pandemia! Giovanna Hribal

Recensioni

Gabriella Caramore, La parola Dio Einaudi, Euro 12,00

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RESPIRO DI DIO, respiro dell’universo

Il mondo ha bisogno dei poeti e degli artisti, come dell’erba verde e dei bambini. Spesso lo sviluppo potente della scienza e della tecnologia, assopiscono in noi la meraviglia e nascondono la bellezza. I poeti ce le conservano e ce le comunicano. Sono strade che ci introducono nei segreti della vita, insospettati sentieri verso la verità. Ed anche verso Dio.

Rinascere Periodico bimestrale di informazione e di collegamento del Movimento Rinascita Cristiana Via della Traspontina, 15 - 00193 Roma - Tel. 06.6865358 - Fax 06.6861433 - segreteria@rinascitacristiana.org www.rinascitacristiana.org - c/c postale n. 62009485 intestato a Movimento Rinascita Cristiana Direttore Responsabile: Francesca Tittoni Comitato di Redazione: Francesca Carreras, Maria Grazia Fergnani, Giovanna Hribal, Alberto Mambelli, Roberta Masella, Gege Moffa, Elvira Orzalesi, P. Licio Prati, Renzo Seren. Stampa: La Moderna srl - Via Enrico Fermi, 13/17 - 00012 Guidonia (Roma) – tel. 0774.354314 Associato all’Unione Stampa Periodica Autorizzazione del Tribunale di Roma N° 00573/98 del 14/12/98 Italiana Finito di stampare nel mese di Giugno 2020

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