2007-2017: 10 anni di grandi viaggi
Le incredibili avventure INDIANE Fiabe di MAURO NERI Illustrazione di FULBER
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Le incredibili avventure indiane (1)
Un ritardo inspiegabile
(Premessa)
All’alba di quel giorno di fine giugno lo scoiattolo Gellindo Ghiandedoro s’arrampicò fin sulla vetta della sua enorme quercia, s’appollaiò sull’ultimo sottile ramoscello e se ne stette lì, immobile e dondolante per aria, a scrutare l’orizzonte lontanissimo delle montagne meridionali. All’alba di quel giorno di fine giugno Dindondolo s’inerpicò su per la stretta scaletta di legno del campanile della chiesa, giunse in cima col fiatone, s’appoggiò alla campana grande per tirare il fiato, poi si sporse dalla finestrella e si mise a controllare l’orizzonte lontanissimo delle montagne meridionali. All’alba di quel giorno di fine giugno Ratto Robaccio si alzò, sbadigliò e si stiracchiò, fece un sol boccone di una fetta di pan vecchio e si portò al centro della discarica, dov’era piantato da sempre un palo altissimo: Robaccio lo scalò fino in cima, restò aggrappato alla punta e si mise a controllare l’orizzonte lontanissimo delle montagne meridionali. All’alba di quel giorno di fine giugno gli abitanti del Villaggio degli Spaventapasseri corsero a cercare ognuno un punto di osservazione situato il più in alto possibile... Casoletta salì sul tetto della sua Cioccolateria, la civetta Brigida scelse una nuvoletta ferma immobile nel cielo sopra il Bosco delle Venti Querce, Maestro Abbecedario raccolse i suoi spaventapulcini e tutti assieme corsero sul culmine di un dosso vicino al paesello... e tutti si misero a controllare l’orizzonte lontanissimo delle montagne meridionali. Ma chi stavano cercando? Forse stavano aspettando qualcuno? – Cosa ne dici se le regalassimo una vera bussola, così non perde più l’orientamento? – strillò Gellindo rivolto a Brigida, che proprio in quell’istante stava passando sopra di lui aggrappata al batuffolo della nuvola di cotone. – O magari una cartina geografica, così ritrova sempre la strada per tornare a casa... – urlò di rimando la civetta. – È mai possibile che sia così sbadata? – si chiese Casoletta, con gli occhi puntati a sud. – Mai vista un’oca così smemorata! – esclamò infine Maestro Abbecedario. Ecco chi stavano aspettando! Ecco chi aveva perso la strada per tornare a casa!! Ecco il motivo di tutta quell’angoscia: l’oca Bernardina non s’era ancora fatta vedere!!!
Stava per arrivare l’estate, anzi, la bella stagione era già cominciata da un bel po’ e la simpatica oca giramondo non aveva ancora fatto ritorno dai Paesi Caldi del Sud. «Avrà perso la strada?» si chiedevano stupiti gli abitanti del villaggio. «Forse avrà trovato un posto migliore nel quale passare i mesi dell’estate.» «Oppure si sarà malata...» «Magari in questo momento se ne sta, ferita e immobile, su qualche spiaggia lontana...» «E se fossero stati dei cacciatori?» «L’oca Bernardina presa di mira dai cacciatori? Ma scherziamo? L’oca Bernardina è troppo buona, è troppo simpatica, è troppo... troppo...» «È anche troppo grassottella e tutta quella ciccia può far gola a qualche scriteriato!»
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LE INCREDIBILI AVVENTURE INDIANE (1)
Ma infine, dopo tanto penare, dopo tanti brutti pensieri, dopo tanta preoccupazione... – Eccola laggiù, la vedete? – strillò Dindondolo sporgendosi dalla finestrella in cima al campanile. – Ma dove? – risposero in tanti. – Come dove: laggiù a sud, verso le montagne meridionali! – rispose un po’ piccato lo spauracchio sacrestano. – Di chi stai parlando? – chiesero molti altri. – Come sarebbe a dire “di chi sto parlando”: ma di lei, no? Dell’oca Bernardina! Eccola laggiù, la grossa oca: sta remando in cielo con due enormi ali bianche che sostengono a malapena un corpo tondo e paffutello; Bernardina taglia l’aria col becco arancione e col collo sottile e lungo, ma lo si vede da lontano che è stanca, che non ce la fa più a restare in cielo, che sta per cadere di sotto da un momento all’altro...
– Dobbiamo aiutarla! – strillò Gellindo scendendo di corsa dalla quercia. – Forza, su: corriamole incontro! Correre incontro a un’oca sfinita per la stanchezza di un lungo viaggio non serve a nulla, lo scoiattolino lo sapeva bene, ma non c’era altro da fare, a meno che... A meno che non intervenisse la civetta Brigida, che s’alzò in volo e squittendo disperata chiamò a raccolta l’aquila Cassandra, il gabbiano Capobianco, il falco Falchetto e il passero Pistacchio! Non fu facile sostenere il peso della grossa oca, ma tutti assieme riuscirono a portare la loro amica fin sul prato del Bosco delle Venti Querce e a deporla ai piedi dell’albero in cui vive Gellindo Ghiandedoro. Non aveva quasi più fiato, la povera Bernardina, che si guardava in giro senza sapere se ridere o piangere: voleva riprendere a respirare normale solo per poter dire “grazie” ai suoi amici, ma dovette aspettare alcuni lunghi minuti, mentre tutti gli abitanti del Villaggio accorrevano da ogni dove per far festa alla nuova venuta. – Grazie di cuore, amici miei! – riuscì finalmente a balbettare la grossa oca, che tirò un lungo sospiro e si alzò in piedi. Barcollava un po’ e le girava anche la testa: – Non vi immaginate nemmeno che cosa m’è successo! Se ve lo raccontassi, non ci credereste, ve l’assicuro! – Oh sì che ci crederemmo! – risposero in coro gli spaventapulcini Lampurio, Frigerio, Occhialetta, Mignolo e i topolini Rattina Glassé, Liquirizio e Pancrazio, che già pregustavano uno dei famosissimi racconti della zia oca. Bernardina osservò uno a uno i suoi minuscoli amici, spauracchietti e topini sim-
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(PREMESSA)
UN RITARDO INSPIEGABILE
patici e sempre sorridenti: quante storie aveva raccontato loro, in tutti quegli anni, avventure vissute durante i suoi viaggi verso i Paesi Caldi del Sud con cento e cento affascinanti personaggi coraggiosi, forti e leali. «Ma certo» si disse la grossa oca, «se raccontassi tutto quello che ho visto e vissuto in quest’ultimo viaggio, sono certa che i miei piccoli amici ci crederebbero eccome!» – Va bene – disse infine l’oca. – Lasciate che tiri il fiato, che mangi qualcosa e poi ci vediamo qui, ai piedi della quercia di Gellindo, diciamo tra un paio d’ore, d’accordo? Non occorre aggiungere che nessuno degli spaventapulcini e dei topolini si allontanò dalla grande quercia per nemmeno mezzo secondo e, anzi, allo scoccare delle due ore, quando zia Bernardina piombò dall’alto starnazzando e ruzzolando sul prato, ad aspettarla c’erano anche Casoletta, Abbecedario, Tisana la Dolce, Bellondina, Empedocle, Passion di Fiaba, Lingualunga, Mamma Pasticcia, Fra’ Vesuvio e tutti tutti tutti gli altri spauracchi grandi e piccini. D’altronde, se al villaggio c’era l’oca Bernardina, per far passare il tempo non servivano né giochi e men che meno la televisione: bastava sedersi in cerchio, far silenzio e stare ad ascoltare...
se... però no, non è quello il mio difetto più grave... – Sei... sei un po’... un po’ chiacchierona? – balbettò incerta e timida Rattina Glassé. – Un po’ chiacchierona? – rise divertita l’oca tenendosi la pancia. – Puoi ben dire che sono una gran chiacchierona... Ah! Ah! Ah!... Però non è a questo che mi riferivo... – Sei sempre in giro per il mondo! – disse Occhialetta alzando una manina. – Be’, ma quello non è un difetto: se io restassi sempre qui, al vostro villaggio, quali avventure potrei raccontarvi, dopo? No no, vedo che non indovinate e allora ve lo dico io: il mio più grande difetto è che sono... sbadata! – Mio papà Robaccio dice sempre che sei un’oca distratta! – aggiunse Liquirizio.
– Voi lo sapete, vero?, qual è il più grande difetto di vostra zia? – cominciò col dire l’oca Bernardina. – Sei un po’ cicciottella perché mangi troppo! – esclamò Lampurio, addentando un grosso panino con la cioccolata. – È vero, piccolo mio, hai ragione: mi piace la buona cucina e, quando sono qui da voi, Mamma Pasticcia sembra che si diverta a prepararmi le leccornie più gusto-
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– Poco fa Maestro Abbecedario ha detto che sei una... smemorata! – precisò Volpetto. – E io ho sentito dire stamattina da Casoletta che sei proprio una sventata! – concluse Frigerio. L’oca Bernardina sorrise: – Ma guarda un po’ in che gran considerazione mi tengono, qui al mio paese... Eh! Eh! Eh!... Però avete tutti ragione: me lo dico sempre anch’io che ho la testa per disturbo... Il fatto è che ho sempre mille cose a cui pensare e spesso non ce la faccio a star dietro a tutto... E infatti lo scorso autunno, quando sono partita da qui per far rotta verso i Paesi Caldi del Sud dove avrei passato i mesi dell’inverno, mi sono messa a volare a occhi chiusi, pensando e ripensando a tutto quello che era successo l’ultima estate: le feste e i giochi, le belle mangiate e le nuove amicizie... Insomma, quando riaprii gli occhi per vedere dove mi trovavo, un colpo al cuore mi tolse il fiato e quasi mi fece cader di sotto. Ecco, proprio così: lì, sotto di me, doveva esserci il mare, il grande Mar Mediterraneo, e invece... invece c’era un’infinita distesa di sabbia e sassi, un deserto che non avevo mai visto! – Ma dov’eri finita? – chiese Mignolo. – Non stavi andando verso Sud? – Verso Sud, dici? Verso i miei adorati Paesi Caldi? No: correndo dietro ai miei ricordi, avevo sbagliato rotta e mi stavo dirigendo veloce e sicura verso... Oriente! Un Ooohhh di meraviglia e di sconcerto percorse l’uditorio: – Ma ti riferisci proprio a quell’Oriente? – disse Occhialetta. – L’Oriente della Cina, insomma? – Ecco, non proprio della Cina – rispose Bernardina. – Voi non potete immaginare che cosa fanno i Cinesi a un’oca bella e in
forma com’è la vostra cara zia! No no: mi riferisco a una terra che c’è prima della Cina: insomma, stavo volando diritta e veloce verso... l’India! Improvvisamente il prato del Bosco delle Venti Querce si riempì di grossi elefanti che caracollavano lenti e in fila indiana tenendosi per il codino, mentre frotte di scimmie urlavano dondolandosi dai rami degli alberi, sfiorando pavoni che facevano la ruota e anziani col turbante tranquillamente seduti su letti di chiodi, mentre le tigri ruggivano dall’oscurità e i serpenti sibilavano da dietro ai tronchi... – Stai dicendoci che quest’ultimo inverno non l’hai passato nei Paesi Caldi del Sud, ma in India? – intervenne Maestro Abbecedario, incuriosito al massimo come i suoi piccoli spaventapulcini. – Proprio così, cari miei: l’India dei Maragià, l’India delle giungle e dei deserti, l’India dei grandi fiumi, l’India dei templi fatti d’oro, l’India dei santoni, l’India dei mille misteri e delle mille avventure... – E puoi raccontarcele, queste avventure? – chiese il topolino Pancrazio. L’oca Bernardina tacque: piegò le zampe, appoggiò il grosso sedere sull’erba, scondinzolò per sistemarsi a dovere le piume, si sedette con cura, incrociò le ali e sorrise: – Cari miei, son qui proprio per questo!
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(1 - continua)
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Le incredibili avventure indiane (2)
I tre asinelli profumati e lo scoiattolo Bangiupàl L’oca Bernardina aspettò paziente che tutti gli spaventapulcini prendessero posto ai piedi della
grande quercia di Gellindo Ghiandedoro, controllò che gli spaventapasseri adulti si sedessero sulle seggioline pieghevoli portate da casa, s’accomodò sull’erba e tossicchiò per schiarirsi la gola. Dopo di che cominciò a raccontare il suo primo “racconto indiano”. I tre asinelli stavano riposando muso contro muso all’ombra di una tettoia. Il più giovane si chiamava Adrak e aveva un pelo grigio come la lama di una spada. Il mezzano era marroncino e di nome faceva Kesar. Il terzo, il più vecchietto dei tre, aveva un manto pallido e chiaro e il suo padrone l’aveva chiamato fin da piccolo Dalcini. Non erano asinelli come tutti gli altri, quei tre che riposavano all’ombra della tettoia. Se qualcuno di voi avesse provato ad avvicinarsi e ad annusarne l’odore, avrebbe avuto una sorpresa. Anzi, avrebbe avuto ben tre sorprese! L’asino dal pelo grigio infatti odorava in modo intenso di zenzero, una spezia profumatissima che in India viene molto spesso usata per condire i piatti da portare in tavola. L’asino marroncino, invece, aveva un odore più dolce e delicato: profumava di zafferano, una polvere speziale che viene usata per dare un colore giallo e un sapore squisito ai cibi. Il terzo asino, quello più anziano, si portava appresso un profumo molto forte e dolce: odora di cannella, una spezia che serve per dar sapore a ogni alimento, dal latte al riso, dalla carne alla verdura. Se adesso uno di voi corre a prendere un dizionario di lingua indù e cerca la traduzione dei nomi di queste spezie, capirà
che quelli dei tre asinelli non erano nomi dati a casaccio: adrak, infatti, per gli abitanti dell’India sta a significare “zenzero”; kesar vuol dire “zafferano” e dalcini, a questo punto lo avrete capito da soli, è il nome che danno alla “cannella”. Il fatto è, vedete, che quei tre asini erano di proprietà di uno speziale un po’ a corto di cervello, un venditore di spezie che lavorava nel cuore più antico della città di Delhi e che si chiamava Masala: abituati fin da piccoli a trasportare sempre il medesimo tipo di spezia, i tre asini un po’ alla volta si erano impregnati di quegli odori caratteristici, tanto che ne avevano preso pure i nomi: Adrak, Kesar... Dalcini! Quel giorno, però... – Ecco qua, Adrak – esclamò Masala, svegliando all’improvviso l’asinello grigio e caricandolo senza preavviso con quattro sacchi colmi di cannella in polvere. – Forza, che dobbiamo fare una consegna urgente! Questa cannella è attesa al Grand Hotel della città! Il venditore slegò la cavezza dell’asino, afferrò il bastone e con due belle botte sulla schiena ordinò all’asino grigio d’incamminarsi. Ma Adrak girò la testa, annusò i sacchi, fece una smorfia e rimase immobile. – Be’, che succede? – berciò l’uomo tirando la cavezza. – Ti vuoi muovere, be-
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LE INCREDIBILI AVVENTURE INDIANE (2) stiaccia cocciuta? Adrak s’impuntò con le zampe e non ci fu verso di sradicarlo da lì! Lui si chiamava Adrak, “zenzero”, e mai nessuno l’avrebbe convinto a diventare un asino “porta cannella!” Masala cominciò allora a sudare, a forza di imprecare e di bastonare la schiena, le cosce e la pancia del povero animale ribelle; poi rinunciò, prese i quattro sacchi di cannella in polvere e li spostò sulla schiena dell’asino Kesar. – E adesso vediamo se con te le cose vanno meglio! Vana speranza, caro mio: anche l’asinello marroncino odorò i sacchi, sentì un profumo strano e nuovo e non si mosse nemmeno di mezzo centimetro. Lui era specializzato nel trasporto dello zafferano e mai e poi mai si sarebbe piegato a portar sulla schiena della semplice cannella! Lo speziale, infine, sbuffò di rabbia, prese i quattro sacchi e li gettò furibondo sulla schiena del vecchio asino Dalcini, le cui ginocchia artritiche si piegarono sotto quell’enorme peso. Ma Dalcini riconobbe il profumo della sua adorata cannella, cercò in fondo al cuore le ultime forze che gli rimanevano e si mosse in direzione del Grand Hotel della città di Delhi. Masala non perdonò i due asinelli impertinenti e quella sera stessa li portò nell’orto dietro casa, li legò al tronco di un fico bengalese e, bastone in mano, diede il via a una sonora punizione. – Ma come vi permettete di rifiutarvi di lavorare? E giù due bastonate sul collo... – Si può sapere chi credete d’essere? E via con quattro “carezze” sulla schiena... – Pensate forse d’esser capitati nella
stalla di un Maragià? Ed ecco sei randellate sulle cosce. – Mi spiace, cari miei, ma io sono uno speziale, e sono le spezie quelle che i miei asini dovevano trasportare! E tanto per finire, ecco otto mazzate sugli stinchi... – Guarda che, se vai avanti così, dovrai comprarti due asini nuovi, perché questi poveretti, ancora una bastonata e cadono a terra stecchiti! Era stata una vocina a bloccare per aria l’ottava legnata, una vocina che veniva dall’alto. Masala alzò gli occhi e vide solo le foglie del fico. – Qui, sono qui, sciocco! Abbassa un po’ quegli occhi! Lo speziale abbassò lo sguardo e finalmente riconobbe, aggrappato al tronco dell’albero, un bello scoiattolino grassoccio, col pelo chiaro a macchioline più scure e una lunga coda striata per lungo di nero. Se ne stava appiattito sul tronco dell’albero e, messo così di piatto, il suo corpicino si confondeva con la corteccia chiara e striata di scuro. – E come fa uno scoiattolo a parlare? – domandò Masala, mezzo spaventato e mezzo stupito. – In India ci sono milioni di scoiattoli, è vero: si può dire che non c’è albero senza che ce ne sia uno nascosto tra i rami, ma uno scoiattolo parlante, questa non l’avevo ancora sentita! – Non solo, caro mio – squittì l’animaletto, – io sono uno scoiattolo che parla, ma anche uno scoiattolo che ha un nome! – E quale sarebbe, questo nome? – Mi chiamo Bangiupàl1)... scoiattolo Bangiupàl! – Senti, Bangiupàl – disse scortese lo speziale, – io non so chi ti fa fatto prendere
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I TRE ASINELLI PROFUMATI... le difese di questi due asini testardi: vedi di stare un po’ zitto e lascia che gli dia la lezione che si meritano! – Tu puoi dargli la lezione che vuoi, ma non potrai mai cambiare la verità... – Perché? Quale sarebbe la verità? – La verità è che, se i due asinelli si sono rifiutati di trasportare quel che volevi tu, di sicuro la colpa è solo e tutta tua! – E come fai a dire un’eresia così grande? Bangiupàl si staccò dalla corteccia e corse rapido giù per il tronco, saltò nell’erba e trotterellò fino agli zoccoli di Adrak. – Mmmh, senti che buon profumo di zenzero! Vedi, quest’asinello grigio, fin da piccolo è stato abituato a trasportare sempre e comunque zenzero, poi zenzero e ancora zenzero... Tanto che il suo manto s’è impregnato di buon profumo di zenzero e proprio tu alla fine lo hai chiamato Adrak, cioè “zenzero”... Poi lo scoiattolo, con due saltelli fu accanto agli zoccoli di Kesar: – Ottimo questo profumo di zafferano! E che dovrebbe fare, questo povero asinello, che fin da piccino è stato caricato sempre e solo con sacchi di zafferano? Improvvisamente dovrebbe mettersi a trasportar cannella? Ma allora non dovevi nemmeno chiamarlo Kesar, e cioè “zafferano”... Masala non credeva alle proprie orecchie: uno scoiattolino si permetteva di dargli lezioni di vita? – Ascolta, insulsa bestiolina, io i miei asini li chiamo come mi pare e mi piace, ma li carico anche con quel che decido io, va bene? Un giorno zenzero, il giorno dopo zafferano e quello dopo ancora cannella: decido io il che cosa e il chi, d’accordo? Bangiupàl si strinse la testolina fra le
spalle: – Se ti accontenti di essere d’accordo con te stesso, fa’ pure, ma poi non metterti a piangere quando gli asinelli cadranno morti sotto le tue bastonate! Nei giorni a seguire lo speziale provò e riprovò a caricare Adrak con sacchi di zafferano e Kesar con ceste di radici di zenzero: dopo duecento bastonate dovette rassegnarsi a invertire i carichi e solo allora gli asini, claudicanti e feriti, si mossero coi carichi giusti sulla schiena. «Vuoi vedere che quello scoiattolino un po’ di ragione ce l’aveva?» mormorò una sera di qualche giorno dopo lo speziale Masala, che si recò da solo nell’orto e andò a sedersi ai piedi del fico. – Bangiupàl, vieni giù! – mormorò l’uomo dopo un lungo silenzio. – Cosa vuoi? – chiese lo scoiattolo, fermandosi aggrappato al tronco testa in giù, all’altezza delle orecchie dello speziale. Masala tirò un profondo sospiro e cominciò a parlare sottovoce: – Sai Adrak e Kesar? Oggi li ho quasi uccisi a furia di bastonate! Per due giorni non potrò utilizzarli e dovrò sovraccaricare di lavoro il buon vecchio Dalcini... – Che però, mettiti il cuore in pace, trasporterà solo e unicamente cannella, ascolta quel che ti dico! – E secondo te tutto questo è colpa mia? – È colpa del modo in cui li hai abituati! – esclamò Bangiupàl alzando un po’ la voce. – Vedi, se tu fin da piccoli li avessi allenati a trasportare qualsiasi spezia, purché sempre dello stesso peso, oggi non avresti di questi problemi! – Ma io una volta commerciavo solo zenzero, zafferano e cannella. È solo da poco tempo che vendo anche coriando-
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LE INCREDIBILI AVVENTURE INDIANE (2) lo, cumino, pepe e tamarindo, curcuma e cardamomo, noce moscata e peperoncino rosso... E cosa faccio? Vado al mercato del bestiame e compro altri dieci asini, uno per ciascuna spezia? Non sono mica uno speziale milionario, io! – No, non sei milionario ma nemmeno molto intelligente, a dire il vero – disse Bangiupàl con un sorrisetto ironico. – Perché un modo ci sarebbe... – E qual è questo modo? – chiese speranzoso Masala. – Te lo dico se mi prometti che d’ora in avanti mai e poi mai picchierai ancora i tuoi asini! Lo speziale ci pensò un solo istante e poi accettò... – Va bene, dimmi quel che devo fare... In poche, pochissime settimane, Masala abituò i suoi tre asinelli a trasportare qualsiasi tipo di spezia: sapete come fece? Dapprima mescolò alcuni pizzichi di peperoncino rosso con lo zenzero, e Adrak nemmeno se ne accorse. Poi i pizzichi divennero ogni giorno sempre più abbondanti, finché alla fine l’asinello grigio trasportava indifferentemente zenzero o peperoncino rosso. La stessa cosa avvenne per Kesar, che dopo pochi giorni se ne andava in giro per la vecchia di Delhi portando da un lato della schiena due sacchi di zafferano e dall’altro lato due sacchi di curcuma in polvere. Con Dalcini, che era il più anziano, Masala ci mise più attenzione: alla cannella mescolò del pepe nero leggero, del cumino e un po’ di tamarindo. L’asino nemmeno si accorse di tutti quei profumi nuovi e continuò il suo lavoro come se nulla fosse. – Lo sai, Bangiupàl, che devo proprio ringraziarti? – disse una sera lo speziale,
seduto ai piedi del fico nell’orto. – Mi ringrazi per aver salvato da morte certa quei due poveri asinelli? – Certo, è per merito tuo se adesso Adrak, Kesar e Dalcini trasportano tutte le spezie mescolate tra di loro, ma non è solo per questo che ti sono grato. È successa una cosa strana e imprevedibile: proprio quelle spezie mescolate fra di loro hanno fatto colpo e sono piaciute i miei clienti, che adesso vanno pazzi per la cosiddetta “Miscela Masala”, cento spezie mescolate assieme per leccornie prelibate e nuove! Sto diventando ricco, e tutto per merito tuo! – Non è vero che è stato merito mio: devi ringraziare anche i tuoi asinelli, che involontariamente ti hanno obbligato a unire fra di loro spezie diverse, ma devi ringraziare anche te stesso, che hai saputo ricrederti e accettare i consigli di uno scoiattolo amico! Da quel giorno la città vecchia di Delhi ebbe tre asini nuovamente felici, uno speziale al settimo cielo e uno scoiattolino che se la godeva e se la rideva allegro dal folto della chioma del suo fico bengalese! (2 - continua)
In lingua hindi, quella che viene parlata in India, bañgiuphal significa “ghianda”.
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Le incredibili avventure indiane (3)
Alla ricerca del tesoro più bello – Ma sono proprio così numerosi gli animali, in India? – chiese la spaventapulcina Occhialetta, che era espertissima di geografia, visto che divorava un sacco di libri ed era sempre attaccata alla televisione a guardare documentari che parlavano dei misteri dei cinque continenti. – Sono tantissimi, ma soprattutto sono molto strani! – rispose l’oca Bernardina con un sorriso. – Strani e soprattutto... molto esigenti! – aggiunse in tono misterioso. – Che cosa significa? – domandò la topolina Rattina Glassé – Significa che quando gli animali indiani si mettono in testa qualcosa, nessuno e nulla li può fermare, tranne naturalmente il simpatico scoiattolino Bangiupàl! L’oca aveva ormai catturato l’attenzione di grandi e piccini. Bastava solo che qualcuno la invitasse a cominciare... – Allora, vuoi raccontarci una buona volta la storia che t’è venuta in mente? – la sollecitò Gellindo Ghiandedoro ridendo sotto ai baffi. Bernardina si schiarì la voce, si accomodò per bene sull’erba e una nuova avventura “indiana” prese il via! Lo scoiattolo Bangiupàl stava dormicchiando all’ombra della folta chioma di un acero indiano, godendosi il sole caldo della primavera inoltrata, quando un improvviso terremoto lo fece ruzzolar di sotto. Per fortuna cadde sull’erba folta del prato e non si fece male, ma quasi subito s’accorse che il sole era sparito! – Ehi, come mai c’è tutta quest’ombra? – esclamò lo scoiattolino. – Mi sembra d’esser caduto dietro a una montagna! Altro che montagna: Bangiupàl era precipitato all’ombra di un... elefante! Un enorme pachiderma grigio, con le orecchie, il muso e la proboscide tutta ornata da disegni di mille colori, s’era seduto ai piedi dell’acero, appoggiando la schiena al tronco. Un elefante triste, un elefante che piange, un elefante che scuote l’albero coi singhiozzi, ecco qual era stata l’origine di quel terremoto terribile! – Si può sapere perché stai piangendo? – domandò lo scoiattolo uscendo dall’ombra per godersi nuovamente quel sole stu-
pendo. – Sono anni che sto cercando la felicità, ma ancora non l’ho trovata! – rispose il grosso animale. – Mi chiamo Hathi1) e lo scopo della mia vita è quello di cercare di essere finalmente felice! – Io invece sono Bangiupàl – rispose l’animale piccino, – e forse posso aiutarti a realizzare il tuo sogno! – Dici sul serio? Sai dov’è nascosta la felicità? – Certo che so dov’è la felicità, ma non so dirti se è nascosta oppure no! – E mi potresti accompagnare? Verresti con me in cerca della mia felicità? – Sai che ti dico, Hathi? Anche se poco fa mi hai fatto prendere un grosso spavento e mi hai tirato giù dall’albero, ma mi sei simpatico. Se mi lasci salire in groppa, possiamo partire subito! Bangiupàl e l’elefante Hathi lasciarono l’acero indiano, imboccarono una strada che andava a oriente e s’incamminarono
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LE INCREDIBILI AVVENTURE INDIANE (3)
chiacchierando di questo e di quello. Sul far della sera i due strani animali si fermarono nei pressi di un vecchio tempio indù e si prepararono a passare la notte al riparo di un ponte. Il loro fu un sonno pieno di sogni stupendi e all’alba, dopo essersi dissetati sulle rive di un fiumiciattolo, fecero per riprendere il loro viaggio, quando... – Ehi voi due, dove state andando? – gracidò una voce squillante. Hathi e Bangiupàl si girarono e videro una scimmia-macaco che li osservava dal parapetto del ponte. – Scusa, e tu chi saresti? Da dove salti fuori? – chiese lo scoiattolo. – Lo vedete quel tempio dall’altra parte della strada? Io vivo lì, assieme a tutta la
mia famiglia di macachi... Bandar2) è il mio nome e non so cosa darei per trovare finalmente la felicità! – Anche tu? – esclamò lo scoiattolo facendo un balzo per la sorpresa. – ma allora è un vizio! – Perché, anche voi siete in cerca della felicità? – Lui – disse Bangiupàl indicando il grosso Hathi, – è lui che s’è messo in testa di trovare la felicità! – E questo scoiattolo – intervenne a quel punto l’elefante indicando con la proboscide Bangiupàl, – afferma di sapere dove si trova, questa felicità! – Ma ne sei sicuro? – lo interruppe Bandar saltando giù dal parapetto. – Tu sai dov’è la felicità? – Se vuoi scoprirlo tu stesso, monta in groppa ad Hathi e vieni con noi! – Posso veramente? – chiese la scimmietta con gli occhi sbarrati. – Ma sì, dai – borbottò l’elefante, – dove ce ne sta uno, ci state anche in due! E il viaggio della minuscola comitiva riprese. A mezzogiorno in punto Hathi si fermò sul limitare di un bananeto. – Ho troppa fame, amici, e queste banane sono una vera leccornia! È risaputo che le banane piacciono sia agli elefanti sia alle scimmie: Bangiupàl dovette adattarsi e i tre ne fecero una vera scorpacciata. – Oh, a pancia piena si ragiona meglio! – sospirò Hathi sdraiandosi sull’erba. – Mai mangiate banane così dolci e fresche!! – esclamò Bandar accoccolandosi tra le zampe del pachiderma. – Ghiande e nocciole sarebbero anda-
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ALLA RICERCA DEL TESORO PIù BELLO te meglio, ma non posso lamentarmi!!! – concluse lo scoiattolo, saltellando su per la proboscide finché raggiunse il ciuffo di peli in vetta alla zucca enorme dell’amico elefante. – D’accordo, le banane sono buone, ma mai come i semi di zucca! Chi era stato a parlare con quella voce così squillante da sembrare uno scampanellio d’argento? Hathi odiava i semi di zucca. A Bangiupàl piacevano un sacco, ma sapeva bene che lì attorno zucche non ce n’erano. Bandar non era scimmia da semi di zucca, su questo non c’era da discutere! Lo scoiattolo si mise in piedi e da lassù si guardò in giro, ma non vide nessuno. – Sono quassù, sciocco! Bangiupàl alzò gli occhi e lassù in mezzo al cielo azzurro, appollaiato a un filo della luce, finalmente vide un bel pappagallo verde. – Ciao, amici – disse il nuovo arrivato, – mi chiamo Khanak e sono un pappagallo da cerca! – E cosa sarebbe un pappagallo da cerca? – domandò la scimmia Bandar. – Esistono pappagalli da strillo, pappagalli da ornamento, pappagalli da guardia... e io sono un pappagallo che sta cercando... – Non dirmi che stai cercando pure tu la felicità! – urlò Bangiupàl, che già temeva quale sarebbe stata la risposta. – Ma lo sai che sei uno scoiattolo intelligente? – disse il Khanak. – Non so come hai fatto a indovinarlo, ma sono anni che sto cercando proprio la felicità! – Allora bando alle ciance – esclamò l’elefante alzandosi in piedi, – poche chiacchiere e monta in groppa, pappagallo: met-
tiamoci tutti dietro a Bangiupàl, che ci porterà a scoprire diritti diritti nel luogo in cui c’è la felicità! E l’allegra comitiva partì di nuovo. Camminarono in tutto dodici giorni, impiegando quel tempo a discorrere del più e del meno. Parlarono di tutto, i quattro animali: della loro infanzia, dei genitori lasciati a casa, degli amici che forse un giorno avrebbero rivisto e, chilometro dopo chilometro, un po’ alla volta impararono a conoscersi. – Be’, all’inizio sembravi la solita scimmia sciocca – disse la sera del dodicesimo giorno il grosso Hathi, – e invece devo dire che sei proprio un macaco simpatico e intelligente! – Grazie, elefante – rispose la scimmia, – anche tu non sei l’animale dal cervello piccolo di cui mi hanno sempre parlato: sei forte, sei coraggioso e anche generoso... sei un mito insomma! – E io? – domandò il pappagallo Khanak sentendosi estromessi dalla discussione. – Io che tipo vi sembravo, quando ci siamo conosciuti? Bandar ci pensò su un momento e poi rispose: – Ecco, davi l’impressione di essere un pappagallo nel vero senso della parola! – E cioè? – Sembravi un pappagallo che non sa prendere una decisione, che ripete sempre quel che dicono gli altri... Insomma, parevi uno che non ha mai una idea sua ma che va sempre al traino dei suoi amici, e invece bisogna proprio dire che sei un bel tipino... – Sei testardo – disse Hathi, – ma testardo in senso buono! Sei convinto delle tue idee, ma sai ascoltare anche le idee degli altri, ed è bello discutere con te, perché non si sa mai dove andrà a parare la discus-
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LE INCREDIBILI AVVENTURE INDIANE (3) sione... Lo scoiattolo Bangiupàl ascoltava in silenzio e sorrideva sotto ai baffi. Seguì con attenzione tutto quello scambiarsi lodi e complimenti... “Non ho mai incontrato un elefante così allegro come te, Hathi!”... “Mi avevano sempre detto che i pappagalli sono uccelli insulsi, e invece devo dire che da te, Khanak, ho imparato molte cose, in questi giorni!”... “Si fa presto a dire sciocco come un macaco... Se tutti ti conoscessero, mia cara Bandar, certe fandonie non circolerebbero più!” – Bene, amici – esclamò quel punto lo scoiattolino balzando sulla strada, – è giunto il momento che io vi saluti e che ritorni al mio acero! Hathi, Bandar e Khanak si bloccarono stupiti e spaventati assieme. – Cosa vorresti dire? Che il nostro viaggio è finito? – Che qui attorno c’è il nascondiglio della felicità? – Be’, potevi dircelo e ci saremmo messi subito a cercarlo! – Non occorre cercare alcunché – rispose Bangiupàl con un largo sorriso: – vedete, la felicità non è una cosa che si può nascondere, che si può tenere in mano o mettere sotto terra. La felicità è uno stato d’animo e voi, questo stato d’animo l’avete finalmente trovato! Hathi guardò diritto negli occhi Bandar, che si girò a guardare Khanak, che si alzò a guardare Hathi. – La felicità è uno stato d’animo? Ma sai che non riusciamo a capire? – mormorò la scimmia. – Ma scusate – disse allora lo scoiattolo
avviandosi per la strada che l’avrebbe riportato a casa, – adesso che vi conoscete, che siete amici, che vi confidate i segreti l’un l’altro, non siete forse contenti? Non state forse bene? – Certo che stiamo bene, è bello avere degli amici! – farfugliò l’elefante. – E star bene, avere degli amici, sentirsi contenti in fondo al cuore non vuol forse dire... essere felici? Dopo un lungo istante di silenzio, fu il pappagallo questa volta a sbottare: – Ci stai dicendo che essere felici significa essere in pace con gli altri? – Questo e molto altro ancora – urlò Bangiupàl che era già lontano, – ma il resto della felicità lo scoprirete giorno dopo giorno. Vedrete, sarà bellissimo! E lo scoiattolo scomparve dietro la curva in fondo al prato. La scimmia Khanak, l’elefante Hathi e la scimmia Bandar salutarono col pensiero il loro piccolo amico, poi si presero a braccetto e se ne andarono in cerca di un luogo in cui piantar le tende: il loro sarebbe stato il trio più strano, più assortito ma più felice dell’India intera! E così fu! (3 - continua)
1) Hathi, in lingua hindi, significa elefante. 2) Bandar, invece, significa scimmia. 3) Khanak, per parte sua, vuol dire scampanellio.
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Le incredibili avventure indiane (4)
Il pavone solitario e il suo amico aquilone Bernardina guardò uno a uno gli spaventapulcini accoccolati ai suoi piedi e sorrise: eccoli lì, pronti ad ascoltare un altro racconto! E meno male che l’oca migrante aveva sempre qualche avventura nuova da narrare, storie raccolte qui e là in giro per il mondo: anche quella volta non avrebbe deluso i suoi piccoli amici! – Mi sapete dire qual è l’uccello più vanitoso? – chiese l’oca Bernardina. Gli spauracchietti ci pensarono su, si guardarono l’un l’altro, si consultarono cogli occhi con Maestro Abbecedario che stava sorridendo alle loro spalle e poi Occhialetta alzò la mano e rispose per tutti: – Noi pensiamo che l’uccello più vanitoso di tutti sia il... pavone! – Ma che bravi, avete indovinato al primo colpo! Allora: durante il mio viaggio in India ho conosciuto Mor1), un bel pavone che veniva dalle grandi foreste del sud... Mor però non era un pavone vanitoso, anzi: era solo un pavone un po’ particolare... state a sentire! Viveva da solo Mor, un grosso pavone che, dopo aver lasciato le impenetrabili foreste meridionali in cui era nato, era emigrato tanti anni prima nella città indiana di Agra. A differenza di tutti gli altri pavoni, Mor amava starsene in solitudine pensando ai fatti suoi: era andato a vivere in un bel giardino che dava su una grande piazza invasa dalle cento bancarelle di un mercato rionale. Finché un giorno... Sarà stato perché Mor ormai era un po’ avanti negli anni e quindi non ci vedeva più bene come una volta, fatto sta che una mattina, alzando gli occhi al cielo dal suo giardino, vide una cosa che lo meravigliò molto e lo lasciò senza fiato. – E quella cosa lassù, cos’è? – borbottò il bel pavone. La “cosa” lassù non era altro che un rettangolino blu e giallo che volava libero in alto, disegnando infinite figure sull’immenso cielo azzurro di Agra. Volava a scatti e a giravolte sopra l’enorme piazza del mercato chiassoso e variopinto: c’erano venditori di granaglie e di vecchie biciclette, di dolcetti d’ogni specie e di fagottini di verdure fritte; in un angolo si vendevano arachidi tostate, semi di zucca sa-
lati, spezie d’ogni tipo, scarpette con le punte all’insu, radici di rabarbaro, patate arrostite nella cenere... Seduti per terra si vedevano calzolai al lavoro, falegnami che aggiustavano seggiole, commercianti di vernici colorate per tingere le sete, mendicanti, suonatori di flauti e incantatori di serpenti... In tutta quella confusione di rumori, urla, suoni, profumi e colori, Mor notò quella mattina solo una figurina azzurra e gialla che volava in cielo! – Che bello! – mormorò il pavone svolazzando in cima all’inferriata che recintava il giardino. Cosa c’era di così bello? direte voi. Cosa poteva essere quella “cosa” colorata che scendeva a sfiorare le bancarelle su cui erano messe in mostra matite e penne biro, caramelle e focaccine, nastri colorati e rocchetti di fil di seta, specchi e vecchie maniglie, chiavi d’ogni tipo e statuine sacre scolpite nel legno di sandalo... per poi alzarsi e impennarsi improvvisa nel cielo sopra la piazza del mercato? L’abbiamo già detto: Mor viveva sempre da solo e forse aveva bisogno di qualcuno a cui voler bene, ma aveva già un po’ d’anni
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LE INCREDIBILI AVVENTURE INDIANE (4) sulle spalle e gli occhi gli si erano indeboliti. Accadde insomma che quel mattino il bel pavone decise di diventare amico di un... aquilone! Sono migliaia e migliaia gli aquiloni che svolazzano qui e là nel cielo della bella città di Agra e in tutte le città indiane gli aquiloni che sferzano il cielo sono milioni e milioni! Però Mor, il pavone solitario di questa nostra storia, divenne amico proprio di quell’aquilone, della figurina gialla e blu che volava quel giorno nel cielo sopra il mercato rionale. Provò a chiamarlo, il nostro povero amico: – Ehi tu, ciao! Vieni giù! – starnazzò il grosso uccello allungando il collo per essergli un po’ più vicino, ma quell’altro nemmeno se ne accorse, nemmeno lo sentì. – Mi chiamo Mor e vorrei diventare tuo amico! Niente da fare: l’aquilone continuò le sue evoluzioni silenziose, spinto da folate di vento teso e tiepido. E allora sapete cosa fece, il nostro Mor? Semplice: si ricordò che era un pavone, si ricordò che tutti i pavoni in fin dei conti sono degli uccelli e infine si ricordò che gli uccelli posseggono delle ali e sanno quindi alzarsi in volo! Avete mai visto un pavone volare? Tutt’al più un pavone svolazza da terra fin sopra l’inferriata di un giardino oppure vola via quando c’è un pericolo, ma è più che altro un lungo salto, il suo, goffo e incerto. Mor invece tese la coda, con un minuscolo balzo saltò giù dalle sbarre di cinta, allargò le ali, cominciò disperato e furioso a batterle per rimanere in aria e... Patapumf... cadde dall’alto sul tetto di una bancarella che vendeva vecchi orologi! – Ma cos’hai combinato, maledetta bestiaccia! – strillò il mercante col turbante bianco, che afferrò un bastone e cominciò a rincorrere quello strano pavone “volante”!
Evidentemente era un venditore giunto da poco in città, altrimenti mai e poi mai si sarebbe permesso di minacciare il portafortuna di tutti i mercanti della zona! Mor fuggì a balzelloni, dopo di che, col salto più lungo mai fatto in vita sua, raggiunse il ramo più alto d’un albero in mezzo alla piazza. Da lassù controllò che il suo “amico” aquilone fosse ancora lì, a danzare in cielo, e poi ripeté il decollo di poco prima. Questa volta non fu un disastro: saltando giù dall’alto di un bell’albero, ebbe più tempo per mettere in funzione le ali, per vincere la forza di gravità e per alzarsi all’ultimo istante in un volo radente le bancarelle che pian piano lo portò su in cielo, sopra il mercato. Il pavone Mor stava volando sul serio! Certo, il peso della coda gli impacciava i movimenti e le piccole ali ben presto si stancarono e s’indebolirono, ma Mor era felice: stava andando a raggiungere il suo nuovo amico! Se per gli uomini è vero che “camminando s’impara a camminare”, per gli uccelli dev’essere la stessa cosa, no? “Volando s’impara a volare”! E infatti il nostro pavone tenne duro, strinse il becco, cercò di non sentire il male alle povere ali e di lì a poco cominciò a volare accanto alla figurina gialla e azzurra. Eccolo lì, il suo amico. – Ciao, io sono Mor, e tu come ti chiami? E come poteva sapere, Mor, che gli aquiloni non parlano? Lo straccetto di carta colorata ebbe però un sussultò, si rovesciò e si lasciò cadere di sotto come se volesse dire: – Io il nome non ce l’ho, nessun aquilone ha mai avuto un nome, ma se vuoi volare con me... ecco, seguimi! Vieni! Mor bloccò l’ala destra in volo e diede alcune frustate con la sinistra: il suo corpo massiccio e il grosso fascio di penne della coda
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IL PAVONE SOLITARIO E IL SUO AMICO AQUIILONE virarono a destra e il pavone si gettò di sotto, mettendosi sulla scia del piccolo amico. Già di per sé un pavone che vola è uno spettacolo eccezionale. Un pavone, poi, che vola in formazione con un aquilone è di sicuro un evento straordinario... – Mamma, guarda che bello lassù! – strillò una bambina che stava andando a scuola a bordo di un risciò. La mamma alzò d’istinto la testa, anche lei vide quel grosso uccello che stava piroettando sopra il mercato e lanciò un urlo di meraviglia che richiamò l’attenzione dell’autista del risciò e delle persone che camminavano lì vicino. Tutti alzarono gli occhi e tutti lanciarono strilli emozionati e meravigliati. Insomma, in pochi istanti l’intero mercato si bloccò e cento, duecento, cinquecento persone si trovarono col naso per aria a seguire l’uccello e l’aquilone in disegni, figure ed evoluzioni sempre più difficili e complicate! Quando a un certo punto Mor dovette scendere a riposare sul ramo da cui s’era levato in volo, un grosso applauso salì dalla piazza, con urla di “Evviva”, “Bravo”, “Stupefacente”... Mor non aveva un padrone, perché era un pavone di tutti e di nessuno. Era il beniamino dei venditori del mercato, che lo consideravano il loro portafortuna e ogni giorno gli gettavano volentieri alcune manciate di semi o qualche frutto maturo da mangiare. Insomma: tutti nella piazza quel giorno si sentirono orgogliosi del loro amico Mor, che venne adeguatamente rifornito con alcune manciate di granaglie e con un paio di ceste di frutta fresca e matura. Fu così che per un po’ di tempo l’aquilone giallo e blu, esattamente alle otto di tutte le mattine, veniva lanciato in volo da mano misteriosa per farlo danzare allegro alla luce
del primo sole. Non appena se ne accorgeva, il pavone Mor usciva dal suo riparo e raggiungeva l’amico del cuore col quale duettava in aria fin quasi a mezzogiorno. Avvenne, quindi, che per tutto quel periodo gli affari del mercato al mattino languirono paurosamente, perché le migliaia di persone che accorrevano da tutta la città per ammirare quella danza strana in cielo, di sicuro non si mettevano a far compere. Quando però tra gli applausi della folla l’aquilone veniva ritirato dalla medesima mano misteriosa e Mor faceva ritorno nel suo bel giardino giusto in tempo per il pranzo, allora i cittadini di Agra che erano accorsi al mercato si riversavano tra le bancarelle e in poco tempo compravano tutte le merci esposte! Insomma, il volo dell’aquilone e del pavone divenne ben presto la principale attrazione della città: ne parlarono i giornali e anche le televisioni, i turisti giunsero da lontano per scattare almeno una foto a quella coppia strana e i mercanti delle bancarelle fecero affari d’oro. Poi una mattina... – Mamma, ma come fa quel grosso pavone a volare così leggero che sembra una rondine? – disse una ragazza rivolta a sua madre. – La forza dell’amicizia, cara mia, fa fare le cose più incredibili! – Ma guarda che evoluzioni! Che piroette! Sembrano due ballerini che danzano in cielo... due burattini che sono mossi da fili invisibili... La ragazza stava ancora parlando, quando avvenne che uno di quei fili invisibili, quello che teneva legato l’aquilone alla mano del suo invisibile padroncino, si spezzò e lo straccetto azzurro e giallo venne strattonato dal vento e portato via lontano!
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LE INCREDIBILI AVVENTURE INDIANE (4) Mor si spaventò e la folla del mercato lanciò un urlo. Il pavone si fermò per aria e guardò l’amico di tante danze correr via veloce sopra i tetti della città di Agra: non ci pensò sopra un istante di più, lanciò un’occhiata di sotto, sottovoce salutò gli amici mercanti e poi volò via anche lui, mettendosi all’inseguimento dell’amico aquilone. La vita, al mercato rionale, tornò ben presto alla normalità, ma nulla fu più come prima. Era venuto a mancare il portafortuna dei mercanti, non c’era più quel vecchio pavone che con la sua sola presenza faceva fare ottimi affari a tutti quanti. La sera, nello smontare le bancarelle ancora piene di merce, a qualcuno veniva un po’ di nostalgia. – Ma dove sarà, adesso, il nostro bel pavone? – si chiese una sera il venditore di arachidi tostate. – Forse starà portando fortuna a qualche altro mercato della città! – rispose il calzolaio, riponendo in un cesto i suoi attrezzi da lavoro. – Che bei tempi, quelli in cui il nostro amico se ne stava nel giardino laggiù a starnazzare tranquillo e felice... – Poi s’è presentato in cielo quel maledetto aquilone ed è stata la fine di tutto! – Io odio gli aquiloni di Agra! – Con tutti i guai che combinano, li proibirei per legge! S’alzò improvviso un refolo di vento serale che sollevò le sete colorate e fece sbattere i tettucci delle bancarelle. Fu un refolo “malandrino” che, quasi in risposta alle lamentele dei mercanti di poco prima, con un fruscio mandò un minuscolo aquilone giallo e blu che correva libero in cielo a impigliarsi tra le foglie e le fronde del grande albero al centro del mercato, seguito subito dopo da...
– Ehi, guardate, ma quello non è il nostro Mor? – urlò un venditore balzando in piedi. Il grosso pavone volava ondeggiando per la fatica e a malapena riuscì a raggiungere l’inferriata del suo giardino: fece per posarsi sulla cima, ma precipitò dall’altra cadendo a terra svenuto. Venne subito soccorso dai mercanti, che lo curarono, gli diedero da bere e da mangiare e lo obbligarono a riposare per alcuni giorni, dandosi il turno per assisterlo e stargli vicino. Quando fu guarito, Mor uscì dal suo riparo e ricominciò a vivere la sua vita di prima: solitario ma felice di essere al centro dell’attenzione dell’intero mercato. – Questo è il pavone che ha volato in cielo assieme agli aquiloni! – mormorava la gente passando di lì e allungandogli una nocciolina o uno spicchio d’arancio. – Questo è l’amuleto di tutti gli abitanti di Agra: è un animale sacro, è il dio della fortuna! A Mor, quando si sentiva proprio triste e solo, restava un’unica consolazione: bastava che alzasse gli occhi per vedere il suo amico aquilone ancora impigliato nei rami del grosso albero e per ritrovare così quella pace e quell’allegria che aveva vissuto per un po’ di tempo in cima al cielo, danzando nell’aria come un vero ballerino. Nessuno avrebbe mai più potuto portargli via quei ricordi e quell’amicizia profonda e vera. – Ciao, amico mio aquilone! “Ciao, mio grosso amico coraggioso!” pareva gli rispondesse ogni volta quello straccio azzurro e giallo. (4 - continua)
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Mor, in lingua hindi, significa proprio “pavone”.
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Le incredibili avventure indiane (5)
I ladri dei colori del Carnevale – Lo sai, Bernardina, che tra due settimane sarà Carnevale? Era stato Frigerio a parlare. – Come no – rispose l’oca sorridendo, – e so anche che tutti voi vi vestirete in maschera e vi divertirete un sacco a lanciarvi coriandoli, stelle filanti e scherzetti d’ogni tipo! Tutti scoppiarono a ridere al pensiero dell’allegria contagiosa che gira sempre per l’aria nelle giornate di Carnevale. Quando poi tornò la calma, fu ancora Frigerio a parlare. – Ma in India c’è il Carnevale? Bernardina rimase per un istante pensierosa, poi gli occhi le si allargarono soddisfatti e rispose con un sorriso: – Come no! In India, nelle grandi città ma anche nei paesi piccolini, ogni anno festeggiano uno strano carnevale: si chiama il Carnevale di Holi. Talmente strano, questo carnevale, che l’anno scorso hanno corso il rischio di saltarlo! – E come mai? – chiesero in coro grandi e piccini. – Perché venne a mancare in tutta l’India la materia prima per divertirsi... Ma andiamo con ordine: state a sentire... Per fortuna capitava raramente, eppure quella notte frescolina di marzo Bangiupàl proprio non ce la faceva a prender sonno. Appollaiato nel folto della chioma del suo albero preferito, lo scoiattolino aveva cercato in tutti i modi di addormentarsi: aveva pensato alle cose più belle successe nella giornata finita da poco... aveva contato mentalmente tutte le nocciole della sua riserva nascosta... aveva sognato le cose più belle che gli sarebbero accadute il giorno dopo... e adesso, nel cuore di quella notte insonne, eccolo lì, con gli occhi sbarrati che scrutavano nel buio del quartiere della città vecchia di Delhi. Fu il rumore di alcuni passi furtivi a distrarre il nostro piccolo amico indiano: Bangiupàl balzò in piedi e sbucò col capino da dietro a una delle grandi foglie dell’albero per controllare chi fosse. Ci volle un po’ per abituarsi alla luce argentea della luna in cielo, ma alla fine la vide: un’ombra nera, sbucata da un vicolo sulla destra, stava camminando nella notte rasente i muri della piazzetta, al centro della quale s’alzava l’albero dello scoiattolo.
Era un uomo vestito di scuro, che portava in testa uno straccio marrone come turbante e a tracolla aveva una grossa borsa di vimini vuota. «Strano che qualcuno se ne vada in giro a quest’ora di notte e da solo!» pensò Bangiupàl. «An che se non c’è nessuno in giro, sembra che non abbia nessuna intenzione di farsi vedere». Lo sconosciuto, giunto all’altezza dell’albero si fermò, appoggiò la cesta al tronco, si accoccolò a terra e rimase in silenzio e in attesa. Passarono meno di cinque minuti ed ecco una seconda ombra arrivare dal vicolo opposto: anche quell’uomo aveva uno straccio marrone arrotolato intorno alla fronte e un enorme borsone di vimini appeso alla spalla. Vide il primo accoccolato, fece un cenno col capo, s’avvicinò all’albero, gettò il cesto sopra quello dell’altro e anche il nuovo venuto si accucciò accanto all’amico. Bangiupàl aveva paura d’esser scoperto e se ne stava fermo immobile sul suo ramo,
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LE INCREDIBILI AVVENTURE INDIANE (5)
con le unghiette delle zampe aggrappate alla corteccia. Il cuoricino di scoiattolo si mise a sussultare spaventato quando i due misteriosi figuri cominciarono a parlottare tra di loro sottovoce. – L’appuntamento è per questa notte, vero? – disse il primo venuto. – Come no – rispose il secondo: – questa è la notte della vigilia del Carnevale, è la notte ideale per la nostra impresa! – Però mi avevano detto che saremmo stati in molti... – Abbi pazienza: gli altri componenti della banda dei Da-aku1 sono poco lontani, vedrai. Bangiupàl era solo uno scoiattolo, è vero, e come tale sapeva ben poco sulla vita degli uomini che vivevano attorno al suo grande albero. Però quella parola, “Da-aku”, l’aveva sentita spesso: «Vieni qui, piccolo da-aku!» urlavano i mercanti che erano stati derubati da qualche bambino affamato. «Dove corri, da-aku! Non scappare, lasciati prendere... ti faccio rincorrere dalle guardie!» Da-aku voleva dire “ladro”, insomma: brigante, mariuolo, ladruncolo, malfattore... delinquente! Quei due, quelle due ombre scure accoccolate ai piedi del “suo” albero, facevano parte della terribile banda dei Da-aku, i famosi ladri che tiranneggiavano da anni la città vec-
chia di Delhi! – Vedi? Stanno arrivano gli altri! – mormorò la prima ombra alzandosi in piedi. Lo scoiattolo guardò nella direzione indicata da quel lestofante e vide due... cinque... dieci... oh, mamma mia, quante ombre scure stavano arrivando da ogni viottolo! In meno di mezzo minuto la piazza fu tutta brulicare d’ombre, di stracci marroni avvolti attorno alle fronti e di grosse borse vuote di vimini intrecciato. Nessuno parlava: si capivano a gesti e solo quelli che parevano i capi sussurravano pochi ordini per distribuire gli incarichi. – Voi cinque andate ai quartieri orientali... – Sei vengano con me: visiteremo le botteghe dei quartieri occidentali! – I più coraggiosi mi seguano: andremo nella parte meridionale della città vecchia, e non dimenticatevi le borse, mi raccomando! Divisi in gruppi, i ladri della banda dei Daaku ben presto se ne andarono nella notte e di lì a una decina di minuti la piazza ripiombò nel silenzio profondo di una notte illuminata da una grossa luna d’argento. Bangiupàl aveva seguito col cuore in gola quel che avveniva sotto ai suoi occhi e, quando anche l’ultimo ladro ebbe girato nel viottolo di sinistra sparendo alla vista, lo scoiattolo ebbe un sussulto: «E io che faccio? – si chiese. – Resto qui e faccio finta di niente, oppure mi metto sulle tracce di quei briganti e vado a vedere quel che hanno intenzione di fare?» Il nostro piccolo amico dalla coda vaporosa non era granché coraggioso, è vero, però in compenso era un gran curiosone, come del resto succede a tutti gli scoiattolini. Saltò allora giù dall’albero e squittendo di paura si mise a correre verso il vicolo sulla sua sinistra: dopo la prima svolta vide in fondo alla
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I LADRI DEI COLORI DEL CARNEVALE viuzza sette ombre scure che erano dirette ai quartieri poveri sulle rive del grande fiume Yamuna. Accelerò l’andatura, li raggiunse e non li mollò più. Fino all’alba di quella notte paurosa e misteriosa! La mattina dopo ci fu gran ressa davanti alle botteghe che vendevano vernici e colori d’ogni tipo. Il Carnevale indiano, infatti, prevede che grandi e piccini si lancino l’un contro l’altro non coriandoli, non stelle filanti, non palline colorate, bensì schizzi di tutti i colori, tanto che a sera uomini, donne, bambini e anziani si ritrovano dipinti di rosa, di blu, di celeste, di giallo, d’oro e d’argento... – Vorrei un sacchettino di rosso, un altro di arancio e anche un po’ di blu... – Per me, invece, un bicchierino di vernice viola, qualche cucchiaino di vernice azzurra e mezza oncia di verde smeraldo... – Hai per caso del lillà vivace e chiaro? – Signor mercante, io voglio del color fragola e un po’ di quel verde intenso che l’anno scorso era così bello... Vi lascio immaginare la sorpresa degli abitanti della città vecchia di Delhi quando, alle loro richieste, si sentirono rispondere: – Mi spiace, ma oggi non abbiamo colori! – Stamattina abbiamo aperto la bottega e di colori non ce n’erano più! Spariti! Svaniti nel nulla! – Lasciate perdere il Carnevale, per quest’anno: qualcuno ha pensato bene di rubarci tutte le vernici e tutti i colori! – Ho controllato e in tutta Delhi non c’è un negozio di colori che abbia anche una sola mezza oncia di un qualsiasi tipo di tinta! Ma ve lo immaginate, voi, un Carnevale senza coriandoli? senza stelle filanti e senza trombette di carta? Be’: per gli Indiani di Delhi, un Carnevale senza colori da tirarsi
addosso era press’a poco come... come una torta senza zucchero! Una cosa insipida e insulsa! – E adesso che siamo senza colori, come facciamo? – cominciarono a lamentarsi gli uomini. – Noi vogliamo divertirci con il rosso, il verde e il blu! – strillarono i bambini scoppiando a piangere. – È tutto l’anno che aspettiamo questo giorno, e non è giusto far sparire i colori proprio a Carnevale! – urlarono arrabbiate le donne. – Abbiamo risparmiato soldino su soldino, e ora che potremmo divertirci, non possiamo comprare nemmeno un’oncia del colore preferito? – borbottarono i nonni. – Colori? Avete bisogno di colori? – urlò a quel punto un tipaccio dagli occhi infidi, che aveva uno straccetto marrone attorno al capo e che portava appesa alla spalla una cesta di vimini colma di barattoli e di sacchetti colorati. – Eccomi qui con tutti i colori che desiderate, miei cari signori! La voce si sparse in un baleno per tutta la vecchia Delhi: «Venite, correte... Abbiamo trovato chi ha colori da vendere! Che fortuna, seguitemi! Io so dov’è questo misterioso venditore di tinte!... Correte, venite con me...». – Mi puoi dare dieci once di colori misti? – domandò una signora al losco figuro. – Come no: dieci once con dieci colori diversi fanno... diecimila rupie2)! – Cosaaa? – strepitò la signora furente. – Ma siamo matti? Diecimila rupie per dieci once di colori è un furto! – Sarà anche un furto – rispose il manigoldo, – ma è l’unica possibilità che vi resta per festeggiare degnamente il Carnevale... Dieci once con dieci colori diversi a... quindicimila
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LE INCREDIBILI AVVENTURE INDIANE (5) rupie! L’incredulità si sparse tra la gente: ma come, se mezzo minuto fa il costo era di diecimila rupie, perché ora è improvvisamente aumentato a quindicimila? – E se qualcuno di voi ancora si lamenta – disse il furfante, – il prezzo sale immediatamente a ventimila, va bene? Poveri abitanti di Delhi: dovettero dar fondo a tutti i loro risparmi per acquistare mezza oncia di colore a testa a un costo esorbitante. Ma gli affari del malfattore erano cominciati da poco, che dall’alto di un albero al centro della piazza centrale della città vecchia si udì una vocina di scoiattolo che chiamava tutti a raccolta. – Venite qui, gente! Non lasciatevi imbrogliare da quel Da-aku! Da quel ladro! Bangiupàl urlava come un ossesso per attirare l’attenzione di grandi e piccini. – E come fai a dire che io sono un ladro? – sghignazzò l’unico venditore di colori dei dintorni, quello che aveva un turbante marrone in testa. Lo scoiattolo balzò giù dall’albero e andò ad appollaiarsi sul tetto di una bancarella. – Io ho visto te e i tuoi colleghi ladri, questa notte, mentre rubavate i colori da tutte le botteghe della città! Adesso tu sei qui a venderci i colori rubati stanotte e i tuoi complici saranno nelle altre piazze della vecchia Delhi a far la stessa cosa. Siete tutti dei ladri! – E hai delle prove di quel che dici? – Non mi servono le prove – rispose Bangiupàl, – e quei colori potete anche tenerveli! Non ci servono più! Il ladro impallidì e fece due passi indietro. – Come sarebbe a dire che non vi servono più i colori... e il vostro Carnevale? – Per il nostro Carnevale ci arrangeremo, non preoccuparti, ma intanto tu corri ad av-
visare i suoi compari: gli abitanti della vecchia città di Delhi, oggi, non compreranno nemmeno un’oncia di colore! Stanotte avete faticato per niente e ci penseranno le guardie a recuperare la refurtiva e a mettervi in prigione! Il ladro, allora, vedendosi scoperto si girò e scappò via di corsa, trascinando per terra il borsone pieno di colori. E le guardie presenti in piazza si misero subito al suo inseguimento. – E noi adesso che facciamo? – domandò un bambino rivolto a Bangiupàl. – Con che cosa festeggeremo il Carnevale, quest’anno, visto che di colori non ce ne sono più? Lo scoiattolo sorrise e da dietro la coda tirò fuori una boccetta di... profumo! – Quest’anno, cari miei, niente colori, ma solo profumi! – esclamò Bangiupàl. – La vecchia città di Delhi si sfiderà fino a stasera in una grande, epica e profumatissima battaglia combattuta con i profumi più buoni che ci siano in circolazione! E così fu, cari miei: l’anno scorso niente vernici, ma solo spruzzate di profumi... chi alla violetta, chi alla rosa, chi al limone, chi all’aloe, chi all’incenso, chi all’arancia e chi al coriandolo... Tutti si divertirono un sacco, tutti ad eccezione della banda dei Da-aku: vennero arrestati, processati e condannati a pagare una multa salatissima, che ancor oggi viene usata per acquistare profumi e vernici per tutti i bambini della città! Per almeno dieci anni quello della vecchia Delhi sarà il Carnevale più variopinto e più profumato dell’India (5 - continua) intera! 1) Da-aku, in lingua hindi, significa “brigante”, “malandrino”. 2) La rupia è la moneta dell’India. Al cambio attuale, 1 euro equivale a 65 rupie.
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Le incredibili avventure indiane (6)
Il contadino che cercava un misterioso tesoro – È proprio un paese strano, questa India, vero? – disse la topolina Rattina Glassé. L’oca Bernardina drizzò il collo e piegò di lato la piccola testa: – Strana, dici? No, l’India non è strana, è soltanto diversa! Sono diversi il paesaggio, la lingua, le tradizioni... In una cosa, però, gli indiani sono uguali a noi... Gli spaventapulcini e le simpatiche panteganotte pendevano dal becco di “zia” Bernardina. – Voglio raccontarvi la storia di un contadino di nome Kisan che voleva a tutti i costi trovar moglie... State a sentire! L’oca Bernardina si sedette sull’erba, si tolse il cappello di paglia e lo depose ai suoi piedi, dopo di che si guardò in giro soddisfatta, aspettò che tutti facessero silenzio, tossicchiò appena e infine cominciò a raccontare... Alla periferia della grande città indiana di Rampur, là dove le povere case dei contadini indiani lasciano finalmente il posto ai campi di riso e di grano, viveva un giovanotto di nome Kisan1). La famiglia di Kisan lavorava ormai da generazioni un piccolo appezzamento di terra poco distante dalle rive del Gange, il fiume sacro dell’India: coltivavano ortaggi e frutta che poi Kisan andava a vendere nel mercato giornaliero di Rampur. Il giovane era ormai arrivato all’età giusta per metter su famiglia, ma in tutta Rampur non c’era una ragazza che gli andasse bene. Chi era troppo ricca, chi troppo altezzosa, chi troppo nervosa, chi abitava troppo lontano, chi troppo vicino... Insomma, Kisan in fatto di ragazze era proprio incontentabile e correva il rischio di restare zitello per colpa della sua cocciutaggine, finché un giorno... Un giorno, mentre stava raccogliendo le zucchine nell’orto, vide una bellissima farfalla dalle grandi ali gialle e rosse che svolazzava in cerca di un bel fiore su cui posarsi. E all’improvviso si ricordò di un’antica leggenda che gli aveva raccontato un giorno il vecchio santone che viveva in una catapecchia giù, sulle rive del Gange. Prese quella
leggenda, la mise nell’angolo più segreto del suo cuore e decise di partire immediatamente. Prese una borsa di tela, la riempì delle sue poche cose, salutò i genitori e gli amici e fece per andarsene, quando venne bloccato sulla porta di casa. – Ma si può sapere dove stai andando, Kisan? – gli chiesero i parenti. – Cosa vai a cercare? – gli domandarono gli amici, che lo vedevano impaziente di partire, irrequieto, nervoso e con lo sguardo puntato sulla strada che andava verso meridione. – Devo andare a cercare un tesoro – rispose il ragazzo, che si liberò dall’abbraccio dei suoi e se ne andò. Accadde però che la storia di quel giovane contadino che se ne andava in giro in cerca di tesori fece ben presto il giro di tutta l’India, portata di qui e di là dalle rondini, che notoriamente sono uccellini molto pettegoli e altrettanto vagabondi. – Sei quello che ha perso il ben dell’intelletto a causa di un tesoro? – lo rimbrottò un giorno un oste grasso e dall’animo un po’ cattivello. – Ehi, amici, c’è qui quel matto che sta cercando un tesoro... Vorrà dire che d’ora in
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LE INCREDIBILI AVVENTURE INDIANE (6) avanti lo soprannomineremo Khasciana! Ah! Ah! Ah! Infatti Khasciana, che in lingua hindi significa proprio “tesoro”, divenne da quel giorno il soprannome del nostro giovane amico. A Kisan non piaceva che gli altri lo chiamassero “tesoro” e, anzi, s’arrabbiava quando i bambini lo rincorrevano e gli urlavano alle spalle «Stai cercando un tesoro? Eccolo lì, il tuo khasciana d’argento e d’oro!», indicando di volta in volta la cacca di una mucca sacra, oppure i ciottoli di un torrentello, oppure ancora i resti del pranzo di chissachì! Un giorno Kisan-Khasciana giunse nella vecchia Delhi e, gira di qua, gira di là, gli capitò di trovarsi nella grande piazza del mercato in mezzo alla quale s’alzava un grande albero. – Ciao, ragazzo, ti sei perso? – squittì dall’alto una vocina simpatica. – Stai cercando qualcuno? Kisan alzò gli occhi per vedere di chi fosse quella voce acuta e, tra le foglie dell’albero, vide un grosso scoiattolo dal pelo fulvo. – Sei stato tu a parlare? Ma non s’è mai sentito di uno scoiattolo che parla! – Non dirlo a me – rispose Bangiupàl. – Ogni volta che qualcuno mi chiede come faccio a parlare, mi tocca inventare una scusa sempre diversa. Dunque, a te risponderò che parlo perché un giorno dalla cima dell’albero su cui vivo sono cadute mille e mille e mille parole e dormendo a bocca aperta le ho mangiate tutte. E adesso quelle stesse parole mi escono dalla bocca una in fila all’altra... eh! eh! eh! Dai, dimmi tu invece che cosa stai cercando... Non ti ho mai visto da queste parti... – Mi chiamo Kisan, vengo da lontano, da molto lontano – rispose il giovane, – e sto cercando un tesoro... Bangiupàl balzò in piedi e strabuzzò gli oc-
chi: – Non dirmi che... che tu sei quel giovane contadino che se ne va in giro per l’India in cerca di tesori!? Tu sei quel Khasciana di cui tutte le rondini di passaggio non fanno altro che parlare? Il ragazzo si sedette e girò le spalle allo scoiattolo. – Ho detto qualcosa che non va? – chiese l’animaletto. – Ci sei rimasto male perché ti ho chiamato Khasciana? Le rondini me lo avevano detto che tu ti arrabbi, quando qualcuno usa quel soprannome, ma che vuoi farci: la vita è fatta di nomi e di soprannomi strani... Io, ad esempio, mi chiamo Bangiupàl, che poi significa “ghianda” e non è granché come nome, non credi?... E poi che male c’è ad andare in giro in cerca di un tesoro. Ma tu puoi dirmi che tipo di tesoro vai cercando? Kisan, alla fine sospirò e si voltò a guardare Bangiupàl: tutto sommato era uno scoiattolo simpatico, quello, nulla a che vedere con gli osti impiccioni o coi ficcanaso antipatici. Fu così che il ragazzo cominciò a raccontare, parlando sottovoce. – Un giorno, quando ero ancora al mio paesello su, in riva al fiume Gange, nell’orto ho visto una farfalla bellissima, dalle ali color del sole e del sangue. Da allora mi sono messo in mente che devo cercare il luogo in cui nascono le farfalle gialle e rosse: quando l’avrò trovato, allora la mia felicità sarà al culmine e potrò tornare a Rampur per continuare a lavorare nel campo della mia famiglia! Certo che come tesoro era veramente strano, si disse lo scoiattolo scrollando la testolina. Niente ori, niente argenti, niente casse di pietre preziose o calici tempestati di rubini e di diamanti... – Farfalle gialle e rosse? È questo il tesoro che stai cercando? Kisan fece cenno di sì col capo e riprese a parlare ancor più sottovoce, come se te-
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IL CONTADINO CHE CERCAVA UN MISTERIOSO TESORO prendesse quel che gli stava dicendo. – Se vuoi posso accompagnarti! Il giovane vagabondo non rispose nemmeno: saltò in piedi, afferrò la sacca, se la mise a tracolla e attese che Bangiupàl gli dicesse da che parte andare.
messe che qualcuno lo spiasse: – Un vecchio santone che vive in una casetta sulle rive del grande fiume sacro, un giorno mi disse che in ciascuna farfalla gialla e rossa è imprigionato lo spirito di una fanciulla in età da marito, bella, dolce e buona. Se qualcuno riesce a catturare anche una sola di quelle farfalle appena nate, lo spirito si trasforma nelle sembianze di una ragazza pronta a innamorarsi del giovane che l’ha liberata... E voglio essere io, quel giovane! Bangiupàl, che d’amore non se n’intendeva più di tanto, proprio non capiva che motivo ci fosse di andarsene via di casa e di diventare lo zimbello degli sconosciuti per rincorrere una farfalla gialla e rossa... Però Kisan gli era simpatico e allora decise di aiutarlo. – Io so dove nascono le farfalle gialle e rosse – scandì bene perché quell’altro com-
Camminarono cinque giorni e cinque notti, e alla fine giunsero in una bella valle piena di prati, percorsa da un torrentello. – Nascono qui le farfalle gialle e rosse? – domandò Kisan. – Le vedi queste betulle al di là del muretto della strada? – Certo che le vedo! – E cosa c’è, appeso ai rami delle betulle? Kisan guardò bene e, appese ai rami sottili di quegli alberelli, vide mille e poi altre mille e ancora mille palline color dell’oro e dai riflessi rossi. – Sembrano tante piccole mele mature... – No – esclamò lo scoiattolo, – quelli sono bozzoli pronti a far nascere mille e poi altre mille e ancora mille farfalle dalle ali gialle e rosse! Ecco, guarda! Il ragazzo seguì la direzione indicata dal dito dello scoiattolo: una delle palline appese al ramo più vicino tremò leggera come se un vento delicato la sfiorasse facendole il solletico, poi la trama sottilissima di cui era fatta si lacerò e dal buio del bozzolo uscì una stupenda farfalla che dispiegò al sole le sue grandi ali gialle e rosse. Era nata una nuova farfalla! Kisan si ricordò della leggenda e reagì d’istinto: allungò una mano, attese che la farfalla si posasse sul palmo e poi con l’altra mano la bloccò senza farle del male. E accadde l’imprevisto! Anzi, accadde quel che Kisan sperava e s’aspettava. Un peso enorme costrinse il giovane ad aprire le mani e a
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LE INCREDIBILI AVVENTURE INDIANE (6) lasciar volare via la farfalla. Lì, nell’aria tiepida di quel giorno miracoloso, prese forma la figura di una giovane dal capelli castani, lunghi e lucidi: aveva occhi color dell’ambra, un viso tondo e regolare, un sorriso che avrebbe sciolto anche il ghiaccio più duro... – Ciao, ragazzo – sussurrò la giovane. – Il mio nome è Titlì2), e il tuo? Kisan non sapeva che cosa rispondere: era felice, strafelice per aver trovato finalmente il tesoro così a lungo cercato, ma non poteva capacitarsi d’esser anche così fortunato da aver trovato una giovane così bella, così dolce, così gentile! – Sei muto, poverino? – Oh no no: parlo, eccome se parlo – balbettò arrossendo il contadino. – Mi chiamo Kisan ed è da molto tempo che ti sto cercando! – Stavi cercando proprio me? È Titlì quella che volevi incontrare? Kisan non rispose: col cuore in gola allungò una mano e con un piccolo gesto chiese alla fanciulla di dargli la sua. Titlì mise la sua mano in quella del giovane e i due se ne andarono giù per il prato inondato di fiori variopinti, lasciando Bangiupàl sulla riva del torrentello. Sorrideva, lo scoiattolo, ed era molto, molto felice anche lui! Qualche anno dopo nella piazza del mercato della vecchia Delhi, ai piedi del grande albero che si alza nel mezzo, giunse una famigliola, mamma, papà e bambina, che stesero una tovaglia, imbandirono un piccolo banchetto di nocciole, ghiande, castagne secche, pinoli e noccioline. Vedendo tutto quel ben di dio disposto per benino, Bangiupàl scese veloce dal suo albero e s’avvicinò alla tovaglia. Vi lascio immaginare la sua sorpresa quando udì la mamma chiamare il papà: – Mi
passi quei fichi secchi, Kisan? – Ma certo, mia bella Titlì! So per certo che questo bel scoiattolo va matto per i fichi secchi! Piccola Uscia3), corri dal tuo papà, che voglio presentarti un amico senza il quale tu e nemmeno la mamma ci sareste! Fu gran festa, quella che la famigliola di Kisan fece al nostro bravo scoiattolo: cercarono in tutti i modi di convincerlo a trasferirsi a Rampur, sulle rive del Gange, ma Bangiupàl sorrise e ringraziò per il pensiero: – Questa è la mia casa e qui voglio vivere, ma voi potrete venire a trovarmi ogni volta che vorrete! E poi dovete sapere che anch’io ho un segreto. – Quale segreto? – domandò Titlì sgranando i begli occhi scuri. – Be’, sto cercando anch’io un tesoro... – Un tesoro come il mio di allora? – esclamò Kisan sorridendo felice. – Quasi: sto cercando il posto in cui nascono le farfalle rosa e fulve! – Rosa e fulve? – ripeté il giovane contadino. – Stai cercando bozzoli rosa e fulvi appesi ai rami delle betulle? E cosa succede quando uno di quei bozzoli si rompe? – Be’ – arrossì Bangiupal, – dovrebbe nascere una stupenda farfalla dalle ali rosa e fulve, e con una coda vaporosa e lunga... Titlì finalmente capi: – Pronta a trasformarsi in una bella... – Ssshhh! – la interruppe lo scoiattolo. – La parte bella del mistero ancora non la sveliamo, d’accordo? Ma ormai tutti avevano capito quel che stava cercando Bangiupàl. E chissà che nel frattempo non sia stato accontentato! (6 - continua)
Kisan, in lingua hindi, significa “contadino”. Titlì significa invece “farfalla” 3) Uscia, infine, vuol dire “alba”. 1) 2)
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Le incredibili avventure indiane (7)
Il bramino credulone e la volpe astuta – Ma è vero, “zia” Bernardina, quello che ho letto e cioè che in India ci sono molti animali feroci? – chiese lo spaventapulcini Frigerio. La grossa oca sorrise: sapeva bene che i suoi piccoli amici amavano i racconti un po’ “forti”, le storie piene di colpi di scena, di belve assetate di sangue, di duelli che non finiscono più... – Se ti riferisci ai serpenti cobra e alle tigri, be’, in India ce ne sono in gran numero, ma è un Paese così vasto, così immenso, che è difficile incontrare un cobra oppure una tigre per strada... Però... – Però che cosa? – Però adesso che ci penso, un giorno mi hanno riferito di una storia che non so se sia vera... volete che ve la racconti? Dei grandi e dei piccini che s’erano radunati in cerchio davanti all’oca giramondo, nessuno rispose: rimasero lì a bocca aperta in attesa che la “zia” cominciasse a raccontare... Brahman era un sacerdote della casta dei “bramini”. Dovete sapere che i bramini, in India, sono considerati i depositari della sapienza e infatti tocca a loro educare i giovani e trasmettere ai propri discepoli gli insegnamenti della religione induista. Ma anche tra i bramini esistono le eccezioni, anche tra di loro ci sono insegnanti che non dimostrano grande intelligenza e prontezza di spirito e Brahman ahimè era uno di questi! State a sentire... Un giorno Brahman stava percorrendo un sentiero nel cuore di un’enorme foresta, quando s’imbatté in una povera tigre che si lamentava da dietro le sbarre di ferro della gabbia in cui era rinchiusa. – Ti prego, buon uomo – guaì la belva con le lacrime agli occhi, – ti supplico: liberami da questa prigione, apri il chiavistello che mi tiene rinchiusa qui dentro e lasciami andare libera! – Già – rispose Brahman sedendosi accanto alla gabbia, – e io sono così sciocco da farti uscire da lì? Se lo facessi, sai che accadrebbe? Mi salteresti addosso e mi sbraneresti, come fanno tutte le tigri che si rispettino! – Oh no – rispose pronta la tigre, – tu apri
il portello e, quando sarò fuori, ti prometto che non ti toccherò nemmeno con un artiglio! Il sacerdote si lasciò convincere quasi subito: girò il chiavistello, aprì la gabbia e fece uscire la tigre, che subito ruggì potente e fece per saltargli addosso con le fauci spalancate! – Ehi, un momento! Tu mi hai promesso di lasciarmi andare libero senza farmi del male... hai detto che non mi avresti sfiorato nemmeno con u’unghia! – Già – grugnì soddisfatta quell’altra, – e io manterrò la parola: non userò gli artigli, per mangiarti, ma solo le zanne che mi ritrovo in bocca... Eh! Eh! Eh! Mai fidarti di una tigre affamata, sciocco bramino, specie quando se ne sta prigioniera chiusa in gabbia! – Aspetta! – strillò l’uomo alzando un braccio per fermare il balzo della bestia. – Aspetta e ascolta: io con te mi sono comportato bene, perciò penso di aver diritto ad almeno una possibilità di aver salva la vita... – E cosa proponi di fare? – Se io trovo qualcuno disposto a prendere le mie difese, tu non mi mangerai, va bene?
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LE INCREDIBILI AVVENTURE INDIANE (7)
La tigre ci pensò sopra un po’ e poi, conoscendo molto meglio dell’altro come andavano le cose nel mondo, decise di stare al gioco: – Va bene, facciamo così: visto che oggi mi sento molto generosa ma anche sicura di me stessa, ti do quattro possibilità: pensa un po’, potrai chiedere a quattro esseri viventi di qualsiasi tipo se meriti di aver salva la vita. Tu trovane almeno uno che si metta dalla tua parte e io ti lascerò andare! Brahman, pensando d’esser furbo, per primo scelse l’albero che si alzava proprio
alle spalle della tigre: non s’era mai sentito di un albero che ce l’avesse con l’uomo a tal punto da non prendere le sue difese: – Senti tu, albero – esclamò con tono ruvido il sacerdote, – hai forse qualche motivo di rancore nei miei confronti? Tu ti faresti in quattro per salvarmi la vita, vero? L’albero oscillò a destra e poi a sinistra, rimase per un lungo istante in silenzio come se dovesse pensarci su e poi rispose frusciando con le mille e mille foglie della sua folta chioma: – Io non mi farei né in quattro e nemmeno in otto o in sedici, per salvarti la vita, egoista di un uomo! Io odio tutti gli uomini per la loro profonda crudeltà! – Ma quale crudeltà! – si lamentò Brahman. – Quando mai s’è sentito che gli uomini sono crudeli con gli alberi? – E tu cosa diresti dell’uomo che pianta un seme per terra, lo annaffia ogni giorn, assiste allo schiudersi del primo germoglio e poi, anno dopo anno, controlla che la pianticina cresca sempre più forte e rigogliosa finché non diventa un bell’albero dal grosso tronco... E a quel punto uno si aspetterebbe una gran festa per celebrare la bellezza di quell’albero enorme e invece... invece no: voi sciocchi correte a prendere seghe ed asce e in poche ore distruggete quel capolavoro che ha impiegato decenni per crescere! Lo abbattete, lo scortecciate, lo tagliate a pezzi e lo trasformate in ridicoli mobili di legno quando va bene, oppure in tanta legna da ardere quando va male! La tigre scrollò il capo: – Hai bruciato la prima possibilità, bramino. Ora te ne rimangono solo tre! Di lì a poco giunse un asinello. – Ascolta, asino – disse Brahman accarezzando la schiena dell’animale da soma, – tu che vivi da sempre a fianco dell’uomo, che
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IL BRAMINO CREDULONE E LA VOLPE ASTUTA bevi l’acqua della sua fontana e mangi il fieno che lui ti mette nella mangiatoia, mi salveresti la vita se mi vedessi assalito da una tigre feroce? L’asinello frustò l’aria con la coda e rispose immediatamente: – I..oo non ho alcuna intenzione di salvare la vita a un uomo, che notoriamente è uno sfruttatore d’asini! I..oo so bene che voi uomini ci sfamate e ci dissetate, ma lo fate solo ed esclusivamente per il vostro interesse! Se provaste un giorno a pensare al peso della legna che ci legate sulla schiena, a cui poi aggiungete il peso del grano maturo, che va ad aggiungersi al peso dei mattoni che ci costringete a trasportare, capireste quanto poco sia l’affetto che gli asini nutrono per gli uomini! E poi che accade, quando noi s’invecchia? Ci legate al primo crocicchio della strada e ci abbandonate lì, in preda ai disgraziati che si divertono a farci soffrire! No no – concluse l’animale da soma rivolto alla tigre, – se è per me, costui lo puoi mangiare anche subito! L’asinello se ne andò e il bramino si guardò in giro preoccupato. – Ti rimangono solo due possibilità – mugolò la belva, – cerca di scegliere bene! Dopo un po’ arrivò un bel cane. Forse Brahman aveva trovato l’animale giusto! – Ascolta, cane, ho bisogno di trovare qualcuno che voglia bene all’uomo, e mi dicono che tu sei il nostro migliore amico! Il “quattrozampe” scodinzolò annoiato, si sedette e osservò a lungo il sacerdote che si stropicciava nervoso le mani. – Il fatto che il cane sia il miglior amico dell’uomo, lo dite solo voi! Ma avete mai provato a sentire come la pensiamo noi? Ci avete mai chiesto se ci piace sul serio essere educati ad abbaiare furiosi contro chiunque si avvicina alla vostra casa? A rincorrere le povere lepri per
campi e boschi? A gettarci a comando nell’acqua gelida di un torrente solo per riportarvi il sasso che avete lanciato, che così vi sentite soddisfatti e superiori? Avete mai provato a pensare a quanto soffriamo nel dover com-
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LE INCREDIBILI AVVENTURE INDIANE (7) battere in duelli furibondi tra di noi per far vincere a qualcuno di voi un sacco di soldi? Tutto ciò e molto altro ancora solo per una scodella di brodaglia insipida? No no, caro il mio bramino: non venire a chiedermi di muovere una zampa in tuo favore... se questa tigre vuol far banchetto, si accomodi! Io resto qui a godermi lo spettacolo! La tigre si girò a guardare il povero Brahman: – Mi sa che si sta mettendo proprio male per te. Ti è rimasta una sola possibilità e sono proprio curioso di vedere chi scegli, questa volta! Di lì a qualche minuti passò da quelle parti una bella volpe. Il sacerdote ebbe solo pochi istanti per valutare se valeva la pena di interpellarla e alla fine decise per il sì: – Senti volpe, a te l’uomo non ha mai fatto nulla di male, vero? Hai sempre potuto scorrazzare di qua e di là, saccheggiando i nidi degli uccelli e le tane degli animali più piccoli, perciò devi aiutarmi... – E cosa dovrei fare? – Ecco, a questo punto solo tu puoi salvarmi dalle grinfie di questa maledetta tigre. Aveva promesso di non sbranarmi, la traditrice, se la toglievo da quella gabbia in cui era tenuta prigioniera, ma poi non ha mantenuto la promessa e... – Già – lo interruppe la volpe, – perché tu sei così intelligente da fidarti di quel che ti promette una tigre chiusa in gabbia che vuole recuperare la libertà? – Una tigre prigioniera e... affamata! – aggiunse la belva, sorridendo sarcastica sotto ai baffi. A quel punto la volpe si girò a guardare la tigre. – Scusami amica, ma sul serio tu vuoi farmi credere che, grande e grossa come sei, sono riusciti a rinchiuderti in quella gabbietta lì?
– Come no! Non è stato facile, ma alla fine ce l’hanno fatta a mettermi là dentro! – Nooo, non ci credo! – sbraitò la volpe. – Nessuno potrà mai convincermi che una tigre gigantesca come te sia stata rinchiusa in quel budello di sbarre che a malapena conterrebbe un’antilope... magra! Chissà quanti uomini ci saranno voluti, per spingerti in quel buco! – Nessun uomo, caro mio, mi ha spinta da dietro – rispose altezzosa la tigre. – Ecco, guarda: ho fatto così! La belva s’avvicinò alla gabbia, col muso aprì del tutto la porticina e con una movenza sinuosa s’infilò all’interno, accoccolandosi a terra. La volpe non lasciò passare nemmeno mezzo istante: con un balzo raggiunse la gabbia, chiuse con gran fracasso la porta a sbarre e girò il chiavistello per chiuderla definitivamente! – Ecco fatto! – esclamò la furbetta con un sorriso da orecchio a orecchio, mentre la tigre aveva ripreso subito a ruggire, a piangere, a lamentarsi. – Hai visto, bramino, come si fa a liberarsi di chi non mantiene le promesse? Non ci si mette a giocare con loro sperando di averla vinta, ma si agisce con astuzia e freddezza, come ho fatto io nel rinchiudere di nuovo la belva in gabbia. E spero che questa lezione ti sia servita! Noi non sappiamo se Brahman capì la lezione e ne fece tesoro: sappiamo solo che, andandosene da lì, la volpe si girò per controllare, vide l’uomo nei pressi della gabbia e le parve di sentire la tigre che diceva: «Ti prego, buon uomo, ti supplico: liberami da questa prigione, apri il chiavistello che mi tiene rinchiusa qui dentro e lasciami andare libera...
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(7 - continua)
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Le incredibili avventure indiane (8)
Il re degli uccelli – Li sentite tutti questi uccelletti che cinguettano nel bosco? – disse zia Bernardina con una mano dietro l’orecchio per sentire meglio. – Già – rispose ridendo il topolino Liquirizio, – sembra che anche le rondini e i passeri vogliano ascoltare la tua prossima fiaba “indiana”! – Dici? – commentò l’oca soddisfatta. – Forse hai ragione, Liquirizio... anzi, sapete cosa vi dico? Mettiamoci tutti a fischiettare sottovoce... Zufolarono grandi e piccini per un paio di minuti, attirando nel prato davanti alla grande quercia di Gellindo Ghiandedoro tutti gli uccellini dei dintorni. Quando i pennuti furono ben ben schierati sui rami più bassi del gigantesco albero, Bernardina fece un inchino ai nuovi arrivati e... – In vostro onore, miei cari uccelletti, ora vi racconterò una bella fiaba “indiana” che sembra inventata apposta per voi... Si tratta della storia del “re degli uccelli”. State a sentire... Un giorno gli uccelli di tutta l’India decisero che era finalmente giunto il momento di eleggere un loro rappresentante. Quando tutti gli uccelli furono raccolti in un immenso prato al centro della giungla più grande, ebbe inizio un’interminabile discussione. – Abbiamo bisogno che uno di noi ci guidi – disse il Pavone aprendo la sua enorme coda in un bellissimo ventaglio. Forse lui voleva essere eletto per la sua bellezza! – C’è la necessità che uno di noi si incarichi di parlare con gli altri animali per evitare risse e malintesi – disse il Falco dai possenti artigli. Forse lui voleva essere eletto per la sua forza. – I leoni hanno il loro re e le tigri la loro regina: e noi siamo forse da meno? – strillò l’Airone volando alto nel cielo. Forse lui voleva essere eletto per la sua eleganza. – Certo, anche noi abbiamo diritto al nostro “re degli uccelli”! – urlarono tutti quanti come invasati. Tutti tranne uno: il Gufo fu l’unico uccello a restare zitto. – Tu taci perché non sei d’accordo con noi? – chiese il Gabbiano rivolto al Gufo. – Oh no, certo che sono d’accordo! Anch’io penso che un nostro rappresentante
sarebbe utile, ma sto pensando a quali qualità deve possedere l’uccello per essere eletto nostro re! – Dev’essere innanzitutto un bell’uccello, per non sfigurare con gli altri animali! – disse il Pavone. – Ma no: la bellezza non c’entra nulla con quel che ha da fare il re degli uccelli. Caso mai, per imporsi ai nostri nemici, è proprio la forza quella che gli può servire – disse il Falco. – La bellezza? La forza? Ma va là: è l’eleganza quella che fa la differenza, cari miei! Il nostro re dev’essere l’uccello più elegante nel muoversi e nel volare! – disse l’Airone alzandosi in volo e piroettando al di sopra delle cime degli alberi. A quel punto il Gufo intervenne: – Ecco, amici miei: io penso che la bellezza, la forza e l’eleganza siano doti molto importanti, ma la bellezza, la forza e l’eleganza senza la saggezza servono a ben poco! Tutti gli uccelli rifletterono a lungo su quelle parole: sapevano che il Pavone con la sua coda sarebbe stato un re molto bello; che il Falco con i suoi artigli sarebbe stato un re forte; che l’Airone con il suo volo armonioso
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LE INCREDIBILI AVVENTURE INDIANE (8) sarebbe stato un re elegante, ma se nessuno di loro fosse stato anche saggio? Che fine avrebbe fatto il regno degli uccelli? Fu così che, all’unanimità meno tre voti soltanto, gli uccelli riuniti nell’immenso prato al centro della giungla più grande elessero come loro re proprio il... Gufo! Si era ancora nel bel mezzo dei festeggiamenti, quando scese dal cielo ansimante di fatica il Corvo. – Scusate il ritardo, ma ho perso un po’ di tempo per finir di mangiare una cassetta di frutta marcia in una discarica lontano da qui. Allora, chi eleggiamo come nostro re? – Abbiamo già fatto, caro il mio Corvo affamato – disse il Piccione, trattenendo a stento una risatina. – Come sarebbe a dire che avete già fatto? Avete scelto il nostro re senza aspettarmi? Senza chiedermi che cosa ne penso io? – Be’ – disse l’Aquila, – ognuno di noi ha espresso la propria idea, ne abbiamo discusso a lungo e poi abbiamo deciso. – E si può sapere chi è stato eletto? – Abbiamo scelto il Gufo! Il Corvo s’alzò in volo urlando come un ossesso: – Avete eletto il Gufo? Quel vecchio barbogio che sa solo sputar sentenze a destra e a sinistra? – L’abbiamo scelto perché riteniamo che la saggezza sia la dote più importante per chi ci deve rappresentare. – La saggezza? Puàh – berciò il corvo gracchiando furibondo. – Che ve ne fate della saggezza, quando nella vita bisogna essere soprattutto furbi? È l’astuzia, date retta a me, quella che ci tiene in vita! Saperne una più degli altri, ecco quel che serve per sopravvivere. Ed è risaputo che il Corvo è l’uccello più furbo che ci sia sulla terra... Eh! Eh! Eh!
– E tu allora cosa proponi? – chiese il Tacchino. – Io non propongo nulla: io annullo l’elezione appena fatta e vi ordino di ripeterla! – Ma io sono stato eletto quasi all’unanimità – protestò il Gufo, – e non è giusto rifare l’elezione così presto! Devo avere un po’ di tempo per dimostrare che la dote più importante è proprio la saggezza! Il Corvo non si diede per vinto e vedendo che almeno metà dell’assemblea cominciava a vacillare e a rumoreggiare quando il Gufo parlava, decise di approfittare di quella divisione. – La conoscete la storia del Corvo affamato, vero? Be’, ve la racconto ancora una volta. Il Corvo se ne stava un giorno sulla riva di un grande lago: erano tre giorni che non mangiava e sapeva che in quell’acqua c’erano pesci grossi e succulenti, pronti per essere divorati. Tuttavia non ce n’era nemmeno uno che nuotasse a pelo d’acqua: i pesci parevano scomparsi! Allora il Corvo mise
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IL RE DEGLI UCCELLI in campo tutta la sua astuzia: volò al centro del lago e scoppiò a piangere. Pianse a lungo, lamentandosi col mondo intero, finché i pesci emersero dall’oscurità del lago e gli si avvicinarono. «Cosa c’è da piangere, Corvo?» domandò il pesce più vicino. «Piango per voi, miei piccoli amici!» rispose quel furbone. «E perché piangi per noi? Che motivo c’è?» «C’è che gli uomini hanno deciso di prosciugare questo lago e di bonificarlo per trasformarlo in terreno da coltivare... È per voi che sto piangendo, al pensiero della misera fine che farete quando questo lago resterà senz’acqua. Però...» «Però che cosa?» chiesero i pesci anche loro sul punto di piangere. «Però io conosco un modo per salvarvi... Vi prendo uno a uno nel becco e vi porto in volo nel lago qui vicino... siete contenti?» Inutile dire che i pesci non s’accorsero dell’astuzia del Corvo e si lasciarono pescare uno dopo l’altro, finendo direttamente nello stomaco di quel furbone! Ecco perché sono sempre più convinto che il re degli uccelli dev’essere il più furbo di tutti noi, e cioè il sottoscritto! Metà assemblea applaudì a scena aperta, inneggiando al “loro” re! Il Gufo attese paziente che tornasse il silenzio e poi prese la parola. – La storia che ci hai appena raccontato è vera – disse, – però non finisce con il Corvo che pasteggia tranquillo e beato a base di pesci. La storia va avanti e parla di un Gufo che s’avvicinò a un Granchio di lago e gli sussurrò nell’orecchio alcune parole misteriose. E cosa successe a quel punto? Successe che il Granchio andò dal Corvo e gli parlò: «Ti prego, amico mio, tra un pesce e l’altro salva anche me! Portami in salvo nel lago qui vicino!» Al Corvo non piacevano i granchi, perché aveva paura di quelle grosse tenaglie appuntite, però non poteva tirarsi indietro: c’era il
pericolo che i pesci s’accorgessero del trucco e sarebbero scappati sui fondali del lago. «E va bene, Granchio, vieni qui che ti porto in salvo!» esclamò abbassando il becco per afferrarlo. Il Granchio mise allora in atto quel che il Gufo gli aveva suggerito poco prima: fece un salto e piantò le sue tenaglie nel collo dell’uccello, facendolo fuggir via gracchiando furioso. I pesci furono così salvi e la pace tornò a regnare sulle rive di quel lago. L’astuzia aveva creato l’inganno, ma la saggezza aveva rimesso al loro posto le cose! L’altra metà dell’assemblea, quella che parteggiava per il Gufo, scoppiò in un applauso se possibile ancor più forte del precedente: insomma, gli uccelli indiani erano divisi in due fazioni contrapposte e allora prese la parola la Rondine. – Cari amici, ci siamo cacciati in un bel guaio! Astuzia e saggezza si stanno contrapponendo e, secondo me, né l’una né l’altra vinceranno con certezza. Perciò sapete che cosa propongo? Tutti attesero in silenzio che la Rondine continuasse a parlare: – Propongo che per quest’anno si rinunci ad eleggere il nostro re. Ci penseremo sopra per dodici mesi e l’anno prossimo ci ritroveremo qui, forse con le idee più chiare su ciò che vogliamo. Intanto vi chiedo di seguire comunque la via della saggezza, senza disdegnare di quando in quando anche un po’ d’astuzia per tirarvi fuori dai guai. Ma sempre e comunque senza far del male agli altri. Capito, Corvo? Il Corvo assentì e se ne andò. Il Gufo sorrise soddisfatto e se ne andò anche lui... e a quel punto l’assemblea degli uccelli “indiani” venne sciolta. E tu, per chi avresti votato? Per il Gufo saggio o per il Corvo furbo?
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(8 - continua)
Le incredibili avventure indiane (9)
L’elefante che vuole volare – Ma vuoi far silenzio, ciccione! Quella brutta frase attraversò come un lampo il prato che si apriva ai piedi della grande quercia di Gellindo Ghiandedoro, dove spaventapulcini e spaventapasseri s’erano radunati per ascoltare i racconti “indiani” dell’ora Bernardina. Tutti avevano riconosciuto la vocina squillante del topolino Liquirizio e tutti avevano anche capito a chi fosse indirizzato quell’insulto: be’ sì, Lampurio era uno spauracchietto un po’ troppo sovrappeso, ma dirglielo in faccia era una cosa che non stava bene, non andava fatta! – Liquirizio, chiedi subito scusa a Lampurio! – esclamò Bernardina, seria in volto. – È colpa sua, però, se continua a chiacchierare anche quando tu stai raccontando le tue fiabe! – Ma Bernardina non aveva ancora cominciato e stavo smettendo di parlare proprio quando tu m’hai detto che io sono... – Lampurio non riuscì a pronunciare quella parola brutta e grossa e ingiusta, perché le lacrime gli riempirono gli occhi e scoppiò a piangere appoggiando la fronte sulla spalla di Occhialetta. – Io spero che tu abbia capito il male che hai fatto a Lampurio – disse allora Bernardina parlando alto e forte perché tutti sentissero. – Ognuno di noi ha un difetto, un problema, qualcosa che non va per il verso giusto e se gli altri ce lo facessero notare a ogni pié sospinto, il mondo si trasformerebbe in una guerra continua... Ecco perché bisogna voler bene agli amici e andar d’accordo con tutti! Accadde allora che Liquirizio, senza che qualcuno gli dicesse qualcosa, si alzò, si avvicinò a Lampurio e gli si sedette vicino. Lo spaventapulcino si girò a guardarlo tirando su col naso e quando vide che il panteganotto gli allungava una zampetta, sorrise, si pulì il naso con il dorso della mano e gliela strinse. Pace fatta! – Quel che è successo proprio qui e proprio adesso – esclamò allora Bernardina, – m’ha fatto venire in mente una storia indiana bellissima e strana... Adesso ve la racconto! Un bufalo, un maiale e un cobra stavano camminando un giorno per la foresta, quando udirono dei lamenti che venivano dal laghetto lì vicino. – Li sentite anche voi, questi pianti? – disse il bufalo che di nome faceva Khala1). Gli rispose il maiale Ganda2): – Sembrano i lamenti di qualcuno che è molto triste! – Andiamo a vedere, il lago è proprio qui dietro! – propose il cobra Sarp3). Enorme fu la sorpresa dei tre amici animali quando, giunti sulle rive del laghetto, videro il grosso elefante Hathi4) che piangeva disperato appeso alla cima di un albero, dondolando avanti e indietro in modo pericoloso.
– Si può sapere che ci fai lassù, Hathi? – urlò il bufalo per farsi sentire. – Quando stamattina sono arrivato al laghetto per bere – singhiozzò l’elefante continuando a restare aggrappato al tronco dell’albero, – mi sono visto riflesso nell’acqua dello stagno e ho preso uno spavento! Il cobra Sarp si rizzò incuriosito: – Forse era la prima volta che vedevi la tua lunga proboscide? Il bufalo Khala alzò la voce: – Ma no: ti sei spaventato nel vedere per la prima volta le zanne che ti escono dalla bocca, vero? Ganda il maiale grugnì furioso e urlò: – Ma cosa dite! Il nostro amico Hathi s’è spaven-
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LE INCREDIBILI AVVENTURE INDIANE (9) tato per le grandi orecchie che fan corona al suo testone gigantesco! Hathi scosse la testa: – Nessuno di voi ha indovinato, amici miei! Io stamattina mi sono spaventato nel vedermi così... così ciccione! Sarp guardò Khala che ammiccò a Ganda che si girò a osservare Sarp: – Ciccione tu? – strillarono in coro i tre amici animali. Per loro l’elefante era sempre stato così: grande e grosso come una montagna poggiata su quattro pilastri tondi! Un animale ridicolo, insomma, che portava in giro tutto quel peso camminando su zampe che sembravano tronchi d’albero! – Ma tu non sei ciccione – cercò di consolarlo il bufalo. – Sei solo un po’... un po’ grosso! – aggiunse il cobra sorridendo. – Tu sei solo un elefante, e basta! – concluse il maiale. Hathi oscillò ancor più forte in vetta all’albero: – Non occorre che diciate bugie per consolarmi, voi! Stamattina mi sono visto bene, riflesso sull’acqua del lago: sono una montagna di lardo che se cade per terra non è più capace di rimettersi in piedi! Sarp, Ganda e Khala capirono di trovarsi dinnanzi a un bel problema: il loro amico elefante era caduto in depressione! Quelle depressioni tristi dalle quali è difficile guarire... – Senti, Hathi – disse allora il maiale, – ma cosa ci fai appeso a quell’albero? – Sto imparando a... volare! – A far che cosa? – strillò strabuzzando gli occhi il serpente cobra. – Sto imparando a volare come fa l’airone – rispose singhiozzando Hathi. – Aspetto solo che mi raggiunga quassù il coraggio e poi mi butto! – Nooo! Aspetta – sbraitò il bufalo, – potresti farti male!
– Ma perché ti sei messo in testa di volare? – chiese il maiale portandosi ai piedi dell’albero. – Anche a me piacerebbe essere bello come un cavallo, colorato come una farfalla e profumato come un fiore, ma non ne faccio una malattia! Si avvicinò anche il bufalo Khala: – Pensa un po’: a me piacerebbe correre leggero e agile come una gazzella, e invece me ne resto tranquillo a ruminare nei prati! Hathi smise di oscillare e cominciò a spiegarsi meglio: – Vedete, quando stamattina ho scoperto di essere un enorme ciccione, nello stesso istante ho vista riflessa sull’acqua dello stagno la figura di un airone leggerissimo che stava volando in cielo. Ecco, mi sono detto: tornerò a essere felice solo quando riuscirò a volare come quell’uccello, perché vorrà dire che non sarò più un ciccione! I tre amici animali si guardarono stupefatti: – Ma se vuoi volare come un airone, forse dovresti a metterti in dieta! – disse Ganda. – Dieta? E cos’è questa dieta? – Mettersi in dieta vuol dire mangiare molto meno di quello che sei abituato... – Quanta erba e foglie mangi, in un giorno? – domandò Khala. – Be’, fammi pensare: ogni giorno mangio in media un bel po’ d’erba di prato, diciamo come da qui all’altra parte del lago, e poi le foglie di almeno cinquanta alberi! Il bufalo impallidì in cuor suo al pensiero di quella montagna d’erba e di foglie mangiate in un giorno da un solo elefante: ci sarebbe stato da dar da mangiare a una mandria intera di fratelli bufali! – Be’, diciamo allora che dovresti lasciar perdere d’ora in poi l’erba dei prati e accontentarti delle foglie di dieci alberi! Tempo due mesi, e saresti leggero come un airone, pronto a spiccare il volo!
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L’ELEFANTE CHE VUOLE VOLARE Hathi non se lo fece ripetere: scese dall’albero e si diresse nel cuore della foresta: – Vado a prendermi quel che mi spetta per oggi: le foglie di dieci alberi belli grossi! Di lì a qualche giorno il povero elefante deperì a tal punto che non riusciva più nemmeno a restare in piedi. – Sono debole, amici: le zampe non mi reggono più e la pancia mi brontola per la fame che sembra un temporale d’autunno! – Bevi, allora, bevi tanta, tantissima acqua, e vedrai che starai subito meglio – gli suggerì il cobra. Hathi obbedì e in un paio di giorni praticamente prosciugò lo stagno trasformandolo in una palude fangosa. Malgrado ciò, però, non si sentì più leggero nemmeno di mezzo etto! – Forse devo tornare in cima all’albero e spiccare il volo – disse l’elefante. – No, per carità! – lo bloccò il bufalo. – Devi invece insistere con la dieta, devi mangiare pochissimo e bere tanta acqua... Dai che ci sei, quasi! Soffrì le pene più dolorose, il povero Hathi: si ridusse a mangiucchiare le foglie di un solo albero al giorno e per bere dovette spostarsi ogni giorno per chilometri e chilometri in cerca di pozze sempre nuove. Alla fine si sentì debole come un vitellino appena nato, ma pronto a volare nel cielo della foresta. – Non riuscirò mai a diventare più leggero di così, perciò forse è giunto il momento di far invidia agli aironi! Ci volle del bello e del buono perché Hathi raggiungesse la cima dell’albero: – Mi sento leggerissimo, amici! – urlò l’elefante oscillando a destra e a sinistra. – Che bello: adesso potrò finalmente coronare il mio sogno! Mi lancioooo... Chiuse gli occhi, il povero Hathi: oscillò
sempre più forte e, quando lasciò la presa e si staccò dal tronco, cadde con un tonfo per terra, facendo un buco grosso e profondo così! Per fortuna, malgrado la dieta ferrea alla quale si era sottoposto, l’elefante si portava addosso gran parte ancora della sua ciccia: pertanto non si fece molto male, ma quel che più gli bruciò in fondo al cuore fu il fallimento del suo sogno. – Avete visto? Non riuscirò mai a spiccare il volo, ragazzi! Vi ringrazio, mi siete stati vicini e amici, ma ora me ne vado lontano e di Hathi non sentirete più parlare! Si tirò in piedi, il povero elefante, e imboccò barcollando il sentiero che penetrava nella foresta. Il bufalo, il maiale e il cobra si fecero un cenno d’intesa e gli corsero dietro. Non avrebbero mai abbandonato il loro grosso amico, almeno fino a quando non avessero trovato il modo di realizzare il suo sogno: volare leggero nel cielo come fosse un bell’airone! L’idea venne qualche giorno dopo a Sarp il cobra: se ne stava mezzo addormentato all’ombra di un cespuglio, il serpente, quando davanti agli occhi che cosa vide? Vide un ragno che stava tessendo la sua ragnatela: agile e leggero si lasciava cadere dall’alto appeso a un filò, che via via annodava fino a formare una tela trasparente, leggera e resistente, capace di sostenerlo mentre andava avanti e indietro preciso e sicuro. E Sarp capì quel che dovevano fare! – Sveglia, Khala! Alzati, Ganda... Hathi, sei pronto per volare? Pronto per volare? – Io sono sempre pronto, dimmi quel che devo fare! – esclamò l’elefante. – Aspettaci qui e non muoverti!
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LE INCREDIBILI AVVENTURE INDIANE (9) Il maiale e il bufalo, su ordine del cobra, si procurarono un bel po’ di liane lunghe, sottili, leggere e robuste, con le quali imbragarono Hathi. Quando l’elefante fu pronto, ben legato al centro di un intrico di liane che pareva una gigantesca ragnatela, giunse il serpente Sarp in compagnia di... dieci, cento, cinquecento begli aironi, che scesero dal cielo svolazzando e battendo i becchi felici e chiassosi. – Silenzio! Silenzio aironi... – esclamò allora il cobra. – Questo è l’amico di cui vi parlavo... – Ma è un elefante! – sbraitò un airone in prima fila. – Non ci avevi detto che era un elefante... – aggiunse un altro airone. – Grande, grosso e ciccione! – ci tenne a precisare un terzo. – Vi sbagliate, io non sono un elefante ciccione – protestò Hathi, diventando rosso di rabbia. – Mi sono messo in dieta da chissà quanto tempo e come vedete sono agile e magro come un airone... – Dopo di che guardò i cinquecento aironi lì attorno e aggiunse: – Quasi, come un airone! – Su su, forza – intervenne il cobra Sarp rivolto agli uccelli: – Ognuno di voi afferra col becco il capo di una liana e poi su in alto... si volaaa! Gli aironi obbedirono: d’altronde, loro erano in cinquecento e quell’elefante era da solo, no? Afferrarono con decisione le liane, aprirono le ali tutti assieme e... Fruuu... Fruuu... Fruuu... I cinquecento aironi si alzarono dapprima veloci e baldanzosi, dopo di che – non appena le liane furono ben tese e si trattò di far alzare in volo il povero Hathi – s’impegnarono allo spasimo, remigarono con le loro mille ali tutte assieme impuntandosi nelle correnti d’aria più forti finché... Tack!... l’elefante si
staccò da terra un centimetro, cinque centimetri, trenta centimetri... un metro... venti metri... cinquanta metri... cento metri... E a quel punto avvenne l’imprevisto! – Volooo! – urlò terrorizzato Hathi. – Aiutooo, volo! Sto volando in cielo come un airone! Auiutooo... ho pauraaa! Fatemi scendere, voglio scendere, mettetemi giù, subito! Immediatamente! Sono un elefante, io, mica un uccellino! Giù, portatemi a terra, vi pregooo! Gli aironi alla fine udirono le implorazioni dell’elefante e obbedirono: scesero dal cielo e deposero il loro fagotto nel punto esatto da cui l’avevano sollevato. Dopo di che lasciarono andare le liane e s’involarono verso oriente finalmente leggeri e liberi! Andò a finire che Hathi guarì dalla depressione e da quel giorno non si lamentò più del suo corpaccione da elefante. – È inutile, noi elefanti siam fatti così, grossi e ciccioni che di più non si può! Grazie, amico bufalo, grazie amico cobra e grazie amico maiale: senza voi tre non avrei mai avuto modo di capire che, per essere felice, devo accettarmi per quel che sono! Non s’è mai visto un elefante volare, no? La vita insomma tornò come prima, nella foresta indiana, con un elefante che mangiava ogni giorno l’erba di un prato da qui all’altra parte del lago e le foglie di cinquanta, a volte anche sessanta alberi belli grossi. Tutti furono felice, tranne forse il bufalo Khala, che bofonchiava disperato al pensiero di tutta quell’erba buona e quelle foglie dolci mangiate ogni giorno da un solo elefante. (9 - continua) Ma così è la vita! “Khala”, in lingua hindi, significa “nero”. “Gañda”, invece, vuol dire “sporco” 3) “Sarp”, infine, sta per “serpente”. 4) “Hathi”, sempre in lingua hindi, significa “elefante” 1) 2)
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Le incredibili avventure indiane (10)
E per finire... due storie di tigri indiane –– È vero che domattina parti, zia Bernardina? Non si può dire che Occhialetta stesse piangendo. Il suo visino di spaventapulcino però era veramente triste, così come malinconici erano gli occhi di tutti gli altri spauracchietti, dei topi di discarica e degli spaventapasseri seduti sull’erba. Ormai s’erano abituati a radunarsi ogni sera nel prato davanti alla grande quercia di Gellindo Ghiandedoro per ascoltare le straordinarie storie indiane dell’oca migrante: chi gliel’avrebbe detto che dal giorno dopo sarebbero stati più soli? Ci pensò proprio Bernardina a dare le spiegazioni giuste: l’oca si schiarì la gola e cominciò a parlare: – Me lo dite, piccoli miei, come farei a raccontarvi tutte queste belle avventure, se me ne restassi sempre qui ai piedi della quercia di Gellindo? Il destino di un’oca migrante come sono io è quello di attraversare i cieli da Nord a Sud e da Est a Ovest per osservare dall’alto da vita degli animali, degli spaventapasseri e degli uomini! Essere sempre in viaggio per raccogliere odori e colori, voci e ricordi... questo deve fare un’oca migrante! Poi all’improvviso Bernardina si bloccò come se proprio in quell’istante le fosse venuta in mente una cosa importante: – Sentite, per farmi scusare della mia partenza improvvisa, sapete che faccio? Oggi vi racconto non una, bensì due storie! Due belle avventure indiane che vi faranno compagnia fino al mio ritorno. D’accordo? Allora cominciamo subito... Un giorno il piccolo scoiattolo Bangiupàl si trovò a dover attraversare un’immensa foresta poco fuori la città di Delhi, quando la sua attenzione venne catturata dal rumore di molti singhiozzi. – Ehilà, qui c’è qualcuno che sta piangendo... Andiamo a vedere! Guidata da quei lamenti, Bangiupàl arrivò in uno spiazzo erboso in cui c’erano tutti gli animali della giungla, scimmie e lupi, elefanti e serpenti cobra, aironi e pavoni che piangevano in coro addolorati... – Si può sapere cosa avete da piangere? – domandò lo scoiattolo balzando in un colpo solo sulla cima di un sasso coperto di muschio. – Piangiamo perché non ci rimane molto altro da fare! – rispose un’elefantessa barrendo rabbiosa. – Piangiamo per colpa della terribile Bura1) e per tutto il male che ci sta facendo! – aggiunse una gazzella.
– Scusate, amici, ma fatemi capire – disse allora Bangiupàl: – questa Bura, chi è? Fu un serpente cobra a sibilare la risposta: – Devi sssapere che Bura è il nome di una tigre feroce che abita nel cuore fondo della giungla! – E cosa vi fa, questa tigre? A quel punto da un albero scese urlando una scimmia: – Ci mangia, ecco quel che ci fa, sciocco scoiattolo! Bura aveva deciso, qualche tempo fa, che questa foresta doveva essere solo ed esclusivamente sua, perciò si mise d’impegno e cominciò a divorare ogni giorno tutti gli animali che le capitavano a tiro. Alla fine qualcuno di noi ebbe il coraggio di farsi avanti e propose alla tigre famelica un patto: “D’ora in poi potrai mangiare un solo animale al giorno e tieni presente che questo conviene soprattutto a te: se ci divori tutti dal primo all’ultimo, poi che cosa ti resterà da mangiare? Invece così potrai vivere in questa foresta finché vorrai!” Bura accettò il patto: il
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LE INCREDIBILI AVVENTURE INDIANE (10)
giorno dopo divorò un elefante, quello dopo ancora un airone, il terzo giorno passò a un lupo e così via... finché... – Finché? – domandò incuriosito Bangiupàl. – Finché oggi nessuno di noi vuole consegnarsi alla tigre: siamo stufi di essere dissanguati animale dopo animale, giorno dopo giorno... Lo scoiattolo ci pensò su per alcuni istanti e poi parlò: – Sapete che faccio? Oggi dalla tigre mi presento io! Bura viveva in una grotta isolata, dietro a una montagnola sassosa. – Ce ne hai messo a presentarti – ruggì il mostro affamato. – Ecco, devi scusarmi per il ritardo – balbettò Bangiupàl facendosi coraggiosamente avanti, – ma sono stato trattenuto dall’altra tigre che vive in questa foresta... Bura si bloccò, arricciò il naso e alzò le labbra per far vedere le zanne pronte a ferire: – Come sarebbe a dire “un’altra tigre”? C’è per caso una seconda tigre, in questa giungla? E che ci fa nel “mio” regno?
– Ecco, proprio di quello stavamo discutendo io e lei: due tigri in una stessa giungla non possono convivere... e l’altra tigre ha deciso che devi andartene tu! Bura lanciò un urlo terribile: – Dimmi dove vive questa caccola di tigre! Era proprio quel che lo scoiattolo voleva: – Lo vedi quel sentiero che corre diritto diritto fuori dal bosco? Percorrilo tutto di corsa e quando arrivi a un dosso, tranquilla: dietro c’è solo un saltino di mezzo metro da fare e poi ti trovi in un bel prato. La seconda belva vive proprio lì! – D’accordo – sbraitò Bura, – vorrà dire che le capiterò da dietro all’improvviso e in meno di un secondo rimarrò la sola tigre dei paraggi. Eh! Eh! Eh! La tigre imboccò il sentiero di corsa e sempre correndo all’impazzata arrivò al dosso. Non rallentò in salita e, giunta sulla cima, si gettò dall’altra senza guardare. Tanto, che volete che sia, per una tigre, mezzo metro di salto... Mezzo metro? Il volo fu lungo almeno trecento, quattrocento metri, al termine dei quali un tonfo terribile decretò la fine di un animale vorace e prepotente. Bura venne trovata qualche giorno dopo tra le rocce sul fondo del burrone, trasformata in un bel tappeto nero e arancione! Tornò così la serenità, nella giungla, e Bangiupàl poté tornarsene a casa soddisfatto, non dopo aver ricevuto un sacco di regali da tutti gli altri animali. Un anziano santone aveva tre discepoli. Uno si chiamava Anarth2), il secondo Dafan3) e il terzo Murkh4). Un giorno i tre giovani decisero che ormai avevano imparato abbastanza: – È giunto fi-
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E PER FINIRE... DUE STORIE DI TIGRI INDIANE nalmente il momento di mettere in pratica i tuoi insegnamenti, Maestro – disse Murkh con un inchino, – e non vediamo l’ora di scoprire le meraviglie del mondo! Il santone scosse il capo: dall’alto della sua saggezza sapeva bene, lui, che nella vita non si ha mai finito di imparare. Comunque se i suoi tre allievi volevano mettere in pratica di persona quel che avevano imparato, non sarebbe stato di certo lui a fermarli. – Andate pure, miei cari, ma prendete con voi il mio servo Nokhar5), vi potrà esser utile! – Ma cosa vuoi che ce ne facciamo di quello stupido contadinotto – strillò Anarth. – Sarà stupido e anche contadinotto, ma vi prego di obbedirmi per l’ultima volta: lasciate che ad accompagnarvi venga il buon Nokhar! Accadde che quella sera stessa, dopo una bella camminata di alcune ore, i tre discepoli e il servo si fermassero a riposare all’ombra di un boschetto. Lì, sparse nell’erba ai piedi di un albero, Dafan trovò alcune ossa. – Ehi, guardate qui! Ci sono delle ossa di tigre... Dai: proviamo a mettere in pratica gli insegnamenti del vecchio saggio e facciamo tornare in vita questo scheletro di belva! Detto, fatto! Murkh radunò le ossa, mettendo da una parte quelle grandi e dall’altra gli ossicini più piccoli. Toccò poi a Dafan ricostruire lo scheletro: – Ecco qua, non è stato difficile – esclamò alla fine. Fu Anarth a quel punto a parlare: – Bene, adesso io farò ricrescere la pelle attorno a queste ossa! Quando le ossa furono ricoperte da un manto nero a strisce arancioni, Murkh balzò in piedi e urlò: – Fermi, ora tocca a me! Ag-
giungerò alle ossa e alla pelle un bel po’ di muscoli, così faremo rivivere questa tigre! Fu Nokhar, il servo sciocco e figlio di contadini, a intervenire: – Scusate, ragazzi, ma vi sembra proprio il caso di riportare in vita una tigre? – Be’, che male c’è? – sghignazzò Murkh, usando le braccia per disegnare in aria strane e misteriose figure magiche. – Ecco qua: dopo le ossa e dopo la pelle, ecco finalmente i muscoli di una tigre in carne e ossa! La tigre apparve veramente dal nulla: era magra, gracile e stecchita, ma anche affamata e feroce come non mai. Se Nokhar ebbe la prontezza di saltare sull’albero più vicino, arrampicandosi fin sulla cima, non altrettanto pronti furono i tre discepoli: finirono ahimè in pancia alla belva, che se ne andò leccandosi i baffi. Nokhar tornò quella sera stessa a casa del saggio, al quale raccontò quel che era successo. Il vecchio scrollò il capo e sussurrò malinconico: – I miei tre allievi pensavano di aver imparato la saggezza fino in fondo. Non avevano capito, i disgraziati, che la saggezza non si finisce mai di impararla e che la sapienza, senza un pizzico di sana prudenza, non ti potrà mai salvare la vita!
“Bura”, in lingua hindi, significa “cattivo”. “Anarth”, invece, vuol dire “catastrofe” 3) “Dafan” sta per “funerale”. 4) “Murkh”, sempre in lingua hindi, significa “sciocco” 5) “Nokhar” vuol dire “servo”. 1) 2)
FINE
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Divertirsi tutti assieme in allegria
2007-2017
10 anni di avventure con
Gellindo Ghiandedoro www.risparmiolandia.it