Le guerre di Gellindo Ghiandedoro
Gellindo Ghiandedoro e la festa di onomastico I RACCONTI DEL BOSCO DELLE VENTI QUERCE - FIABA DI MAURO NERI - ILLUSTRAZIONI DI FULBER
1 settembre 1918 – Punta San Matteo (Val di Sole, Trentino) Settembre 1918, Punta San Matteo, fronte trentino-lombardo della prima guerra mondiale: a 3.400/3.600 metri di quota si fronteggiano l’esercito italiano e quello austro-ungarico, con due file di trincee scavate nel duro terreno gelato che distano tra di loro poche decine di metri. Entrambi gli eserciti sono impegnati, quello trentino a difendere Punta San Matteo strappata da poco al nemico, quello austriaco a riconquistarla a ogni costo. Il primo settembre capita lassù anche lo scoiattolino Gellindo Ghiandedoro che ha in testa un unico pensiero: far capire ai contendenti che l’amicizia è più importante di ogni guerra e che, quando è vera, dura molto più a lungo! Lasciatelo in pace, quando uno scoiattolo sta facendo scorte per il prossimo letargo. Non disturbatelo mentre è in cerca di noci e nocciole, di ghiande e castagne: ci va di mezzo il suo sonno, se non riesce a riempire la tana di buone leccornie da leccarsi i baffi! Vi lascio allora immaginare la rabbia che gli prese, quando… Brooommm… Broommm… Broommm… Gellindo Ghiandedoro, a spasso per i boschi della Val di Sole in cerca di viveri per il lungo inverno, sentì un sordo brontolio rimbombare da una delle cime del monte Otles! E cosa poteva mai essere? Un temporale improvviso? Ma cosa dici! Il cielo era sereno e l’aria tersa e frescolina, quel primo settembre del 1918. Era già l’epoca della caccia? Ma sì, cacciatori che andavano in cerca di prede armati di… cannoni!? Perché quel rombo era di sicuro il
rumore di dieci, venti, cento cannoni insieme che scuotevano le rocce dell’Ortles. Gellindo si fermò spaventato con una nocciola in mano, tese le orecchie e si mise in ascolto. Brooommm… Ratatatarattt!... Brooommm… Ratatarattt!... Brooommm… Quei tuoni potenti e brontoloni erano intervallati da scariche di fuciliere e di mitragliatrici! Brooommm… Ratatatarattt!... Brooommm… Ratatarattt!... Brooommm… Il minuscolo cuore di scoiattolo si fermò per un istante al pensiero che lassù, in cima a quella vetta increspata di rocce e di ghiaccio, c’erano uomini che stavano sparando! Anzi, che “si” stavano sparando l’un l’altro! Era la guerra, Gellindo Ghiandedoro lo sapeva bene: era la prima guerra mondiale, che si combatteva
da est a ovest e da nord a sud di tutta Europa, che si combatteva anche lassù, ai piedi della Punta San Matteo! Brooommm… Ratatatarattt!... Brooommm… Ratatarattt!... Brooommm… E se c’erano uomini che si sparavano, pensò lo scoiattolino, c’erano di sicuro anche uomini feriti che soffrivano, che gridavano per il dolore, che chiamavano la loro mamma, come se le loro mamme potessero raggiungerli e coccolarli, curarli, fasciarli e farli guarire! Il cuore dello scoiattolo si strinse di paura e di apprensione: “Devo fare qualcosa!” si disse Gellindo, che strinse la nocciola nella zampa, respirò a fondo e scattò di corsa su per il sentiero che saliva alla Punta San Matteo. Egidio Puddu, alpino che veniva dalla Sardegna, non s’immaginava certo che potessero esserci montagne fatte di roccia e di ghiaccio! Sulla sua bella isola, i mesi di agosto e di settembre erano ancora caldi di sole estivo e bollenti erano anche i sassi e le rocce delle colline e dei monti più alti. Lui c’era stato in vetta al monte Gennargentu e aveva respirato a pieni polmoni l’aria tiepida che odorava di mare! – Sto morendo di fame e di freddo, sergente! – si lamentò l’alpino
Puddu, alzando la voce per farsi sentire sopra il rumore assordante dell’ennesima salva di fucili, con le pallottole austriache che fischiavano vicine e sollevavano sbuffi di schegge quando colpivano l’orlo delle trincee scavate in fretta e furia nel ghiaccio. – Credi di esser l’unico a soffrire la fame e il freddo, soldato Puddu? – rispose il sergente degli alpini caricando di nuovo il suo moschetto. – La fame e il freddo che hai tu, li sentiamo anche noi, caro mio! – Sì, ma lei da dove viene, signor sergente? – Da Pieve di Cadore, esattamente dall’altra parte del Trentino… – Ecco, vede? – ribatté il piccolo Puddu, che sarà anche stato un pastore di capre, ma lui la geografia la conosceva bene! – Se non sbaglio il suo paese è in mezzo alle montagne e quindi lei è abituato al freddo, vero? Il sergente stava per rispondere che d’accordo per il freddo, però per quel che riguardava la fame erano tutti sulla stessa barca, ma si mangiò le parole perché improvvisamente calò un grande silenzio: tacquero le mitragliatrici, tacquero i fucili, tacquero anche i cannoni… Stavano salendo le prime ombre della sera e l’attacco era stato interrotto. Non sparavano più gli austro-ungarici dall’altra parte della valletta, non
rispondevano più gli italiani da questa parte: sarebbe stata l’ennesima notte di attesa e di silenzio. L’alpino Puddu appoggiò il fucile rovente alla parete di ghiaccio della trincea, si scaldò le mani col fiato e si accoccolò per terra: solo allora vide che in un angolo dello stretto corridoio ingombro di assi e di fango qualcuno aveva ammonticchiato un pugno abbondante di noci e di nocciole. Il soldatino sardo, intirizzito e affamato, si guardò in giro, ma nessuno stava badando a lui: quelle noci e quelle nocciole erano un regalo misterioso tutto e solo per il povero Egidio Puddu, che quel giorno festeggiava solitario il suo onomastico! E ne fece una bella scorpacciata! Il trentino Egidio Poletti, Kaiserjaeger del terzo Reggimento austroungarico, la guerra se l’era fatta proprio tutta: arruolato a Storo il primo di agosto del 1914, aveva combattuto in Galizia, poi in Trentino sugli altipiani orientali e infine lì, in Val di Sole, dove aveva fatto la conoscenza con la Guerra Bianca combattuta sui nevai e sui ghiacciai eterni! – Ho fame e freddo, signor Kaporal! – si lamentò il povero Poletti, ben nascosto nella trincea scavata nel giaccio. – Sono tre giorni che combattiamo senza metter niente sotto i denti… ma lo sanno i nostri
generali che quassù ci sono soldati che stanno morendo di fame? Il Kaporal non trovò una risposta convincente: era la centesima volta che i suoi soldati gli chiedevano il perché di quella battaglia assurda, combattuta per riconquistare la Punta San Matteo a più di 3.600 metri di quota, sparando come matti verso le trincee italiane a centocinquanta metri di distanza, con gli alpini che rispondevano a tono e non accennavano ad arrendersi. – Tieni duro, Kaiserjaeger Egidio Poletti – rispose alla fine il Kaporal, – tenete duro tutti quanti e pensate a star coperti: vedrete che torneremo presto a casa! – Se non ci fosse questa guerra – disse il Poletti chiudendo il cappotto grigioceleste fin sotto la gola, – a quest’ora sarei all’osteria di Storo con gli amici a brindare alla mia festa… – E cos’hai da festeggiare il primo di settembre? . – E’ Sant’Egidio, oggi… è il mio onomastico ed è sempre una bella scusa per far un po’ di baldoria! Ma quassù osterie non ce ne sono e i miei amici di Storo chissà dove son finiti! Il Kaporal scosse la testa, si mise il fucile in spalla e se ne andò nel buio della trincea. Il soldato Poletti tirò su col naso, si stropicciò le mani per scaldarsele e fece per sedersi su
una cassetta di legno vuota, quando gli occhi gli caddero su una montagnola di noci e nocciole ai suoi piedi. Si piegò piano piano sulle ginocchia, raccolse quel tesoretto e lo nascose in tasca con un sorriso stanco… Quella sera avrebbe avuto qualcosa con cui festeggiare il suo onomastico! Gellindo Ghiandedoro era soddisfatto del suo stratagemma: certo, aveva dato fondo alla scorta per il letargo, ma ne era valsa la pena perché aveva fatto felici due soldati che – guarda tu che coincidenza – avevano lo stesso nome e quindi festeggiavano l’onomastico lo stesso giorno. Ma restava ancora qualcosa da fare. “E’ mai possibile – si disse lo scoiattolino, – che soldati così giovani e pieni di vita, che dovrebbero giocare, divertirsi e lavorare assieme… debbano invece essere nemici e combattersi dall’alba al tramonto?” L’idea, quella bella idea gli venne così, all’improvviso, proprio come una lampadina che… Clink!... s’accende e illumina la notte. Gellindo scese di corsa in valle e andò in cerca del suo amico Gioacchino il contadino. – Per favore, Gioacchino – lo supplicò lo scoiattolo, – prendi un foglio di carta e scrivi quel che ti dico.
Il contadino obbedì: prese un foglio e scrisse quel che il suo amico Gellindo gli dettò. Bene! Adesso prendi un altro foglio e scrivi una seconda volta la stessa frase! Giacchino sbatté gli occhi meravigliato, ma vedendo il sorriso del suo amico scoiattolo fece cenno di sì col capo, prese un secondo foglio e tornò d’impegno a scrivere. Quella sera nel buio della trincea una mano misteriosa infilò un foglio di carta stropicciato nella tasca del pastrano dell’alpino Egidio Puddu e svegliò il soldatino addormentato. Pochi minuti dopo, a centocinquanta metri di distanza, la medesima mano misteriosa infilò nel giaccone del Kaiserjaeger Egidio Poletti un foglio piegato in quattro e svegliò il soldatino che russava in trincea. Egidio Puddu ed Egidio Poletti, mezzo addormentati, lessero le medesime parole: “Amico Egidio, ti aspetto a mezzanotte in punto a metà strada fra la tua e la mia trincea. Vieni da solo e senza amici: festeggeremo assieme il nostro onomastico! Firmato: il tuo amico Egidio che sta dall’altra parte” Gellindo Ghiandedoro aveva fatto le cose in grande, per la festa che aveva deciso di organizzare. Da Gioacchino il contadino s’era fatto regalare mezza forma di formaggio, due filoni di pane e una fiaschetta
di buon latte appena munto. Egidio Poletti l’”austriaco” ed Egidio Puddu l’”italiano” all’inizio si guardarono timorosi e anche un po’ sospettosi; poi, davanti a quel vero e proprio banchetto di leccornie sopraffine, la fame e l’amicizia ebbero la meglio. Fu una festa “super”, fu un onomastico indimenticabile, consumato nel silenzio di una notte di guerra e che si concluse con una lunga stretta di mano e un abbraccio fraterno! – Tanti auguri di buon onomastico, Egidio! – disse Puddu. – Tanti auguri di buon onomastico, Egidio! – rispose Poletti. Quel che Gellindo Ghiandedoro non seppe mai è che il giorno seguente i Kaiserjaeger austroungarici ricevettero l’ordine di riconquistare la Punta San Matteo all’arma bianca! Fu una battaglia aspra e difficile, la battaglia più alta in quota mai combattuta da esseri umani, con assalti alla baionetta e tanto, tanto dolore. Verso mezzodì di quel giorno infausto avvenne che il povero soldatino sardo Egidio Puddu fu sopraffatto nella trincea da un Kaiserjaeger che gli piombò addosso dall’alto con un urlo terribile. Puddu
si bloccò spaventato e alzo le mani per coprirsi gli occhi, ma ebbe il tempo di riconoscere il nemico: ma certo, era lui, era Egidio Poletti di Storo che col moschetto in mano stava obbedendo ai suoi ordini. Egidio Poletti si bloccò con la baionetta in aria, impallidì e si guardò attorno. Egidio Puddu si lasciò andare a terra indifeso, pronto ad arrendersi. – Alzati e scappa! – gli ordinò il Poletti. – Parli sul serio? – gli rispose il Puddu in lacrime. – Certo! Non sia mai detto che io uccida un amico! – Ma noi siamo amici? – Come no… da questa notte siamo amici per la pelle e per sempre! Scappa ti dico… scappa di là – gli ordinò indicando un sentiero che scendeva a valle verso sinistra. – Da quella parte non troverai nessuno e per te la guerra sarà finita! – E perché non vieni anche tu con me? – gli propose Egidio Puddu. Il Poletti ebbe un’esitazione, aprì e chiuse i pugni più volte e poi lasciò cadere le spalle: – Scappa, Egidio, ti supplico! Scappa lontano… Vedrai che un giorno ci rivedremo e sarà tutta un’altra cosa!