Le guerre di Gellindo Ghiandedoro - Jelindó Ghianded’òr e il trombettiere prussiano

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Le guerre di Gellindo Ghiandedoro

Jelindó Ghianded’òr e il trombettiere prussiano I RACCONTI DEL BOSCO DELLE VENTI QUERCE - FIABA DI MAURO NERI - ILLUSTRAZIONI DI FULBER


18 giugno 1815 – Waterloo (Belgio) Il giovane Enrico, trombettiere dell’esercito prussiano, cade prigioniero dei francesi guidati da Napoleone. La sua sorte sarebbe ahimè segnata, se non intervenisse Jelindó Ghianded’òr, uno scoiattolino allevato di nascosto da un sergente francese e divenuto ormai la mascotte del reggimento. Per liberare il giovane prigioniero Jelindó decide di rivolgersi in alto, molto in alto: direttamente al gran capo dell’esercito francese…) Era uno scoiattolo proprio felice, il piccolo Jelindó Ghianded’òr. Raccolto nel bosco da un sergente di fanteria dell’esercito francese quand’era appena nato, s’era fatto la tana direttamente nello zaino del militare, nutrito e coccolato di nascosto dal suo fedele sergente ma anche dagli altri soldati del reggimento, dopo che il piccolo clandestino venne scoperto per caso. Finché un giorno un anziano soldato s’avvicinò al graduato e gli sussurrò: – Ti sei accorto, sergente, che da quando abbiamo trovato il tuo minuscolo amico nessuno di noi si è più ferito in battaglia? Astorre, così si chiamava il sergente, ci pensò sopra un attimo e poi sorrise: – Mi sa che hai ragione, soldato. Sai cosa ti dico? Forse abbiamo trovato la mascotte giusta per il nostro reggimento! E così fu: da quel giorno Jelindó venne nominato “portafortuna ufficiale” di quei soldati, vezzeggiato da tutti e sfamato mattina e sera con

noci, nocciole, mandorle, ghiande e castagne secche. Il 18 giugno 1815 il sergente Astorre col fucile in mano, il suo piccolo amico Jelindó abbarbicato in cima allo zaino e l’intero reggimento di fanti, assieme a più di settantamila soldati francesi, erano schierati nei campi e nei boschetti vicino al paese di Waterloo, in Belgio: di fronte a loro si stendeva a perdita d’occhio l’esercito nemico, composto da fanti e cavalieri prussiani, inglesi, scozzesi, irlandesi, olandesi… Sulla sinistra, in vetta a un colle, il grande generale, l’imperatore Napoleone Bonaparte era in groppa a un bellissimo cavallo bianco, circondato dai suoi fidi generali. – Attenzione, soldati – urlò il sergente Astorre, – l’imperatore sta per parlarci! Nel silenzio di quell’alba d’inizio estate, Napoleone s’alzò sulla sella con la mano infilata nella giubba, si guardò attorno a lungo e infine parlò con voce alta e forte: – Soldati fran-


cesi, oggi qui a Waterloo si decidono le sorti della vostra Francia! Ve lo chiede l’imperatore in persona: non combattete per me, fatelo per le vostre famiglie, per i vostri paesi, per i vostri figli, fatelo per voi… e la vittoria sarà di sicuro nostra! Un urlò accolse le parole del grande capo: urlò Astorre, urlarono i fanti del reggimento, squittì anche Jelindó Ghianded’òr… e la battaglia ebbe inizio. Sparavano i cannoni, crepitavano i fucili, gridavano ordini i sergenti, nitrivano spaventati e nervosi i cavalli, suonavano i trombettieri: ben presto i campi e i boschi vennero coperti da nuvole di fumo, tanto che non fu più possibile distinguere le divise scure dei francesi da quelle chiare dei nemici. E dall’alto della collina Napoleone dava ordini in continuazione, facendo partire giovani soldati a cavallo ora a destra, ora a sinistra. Jelindó, dall’alto dello zaino, seguiva ogni mossa di Astorre e controllava alle sue spalle che i fanti del reggimento fossero tutti in piedi. A quel punto giunse al galoppo un portaordini: – Ehi tu, sergente: l’imperatore ordina che i tuoi uomini affrontino i soldati prussiani allineati laggiù, davanti al bosco di pioppi! Astorre si girò a destra, vide il bosco a meno di duecento metri e ai piedi dei pioppi c’era una fila intermi-

nabile di fanti nemici pronti per l’attacco. Aspettavano solo lo squillo del loro trombettiere. – Fa’ attenzione Astorre – squittì lo scoiattolino tirando il suo padrone per il bavero, – quei nemici sono moltissimi e stanno per attaccare! La senti la loro tromba? Il sergente non fece caso alle raccomandazioni del suo piccolo amico. Si voltò invece verso il suo aiutante e gli gridò: – Lo vedi quel trombettiere prussiano in piedi sul muretto? È molto distante dal suo reggimento: fallo tacere! Ma era un bambino, quel trombettiere! Il cuoricino dello scoiattolo sobbalzò: – Ma è un bambino! Non sparategli! – strillò nelle orecchie del suo sergente. Astorre sbuffò e urlò all’aiutante: – D’accordo, metti giù il fucile e vedi invece di farlo prigioniero! Tre fanti francesi corsero piegati in due dietro al muricciolo e, giunti all’altezza del trombettiere, gli piombarono addosso e gli legarono le mani. – E adesso che ne facciamo? Astorre non ebbe esitazione: – Tu – ordinò al suo aiutante, accompagnalo nelle retrovie e consegnalo alle guardie dell’imperatore. A lui ci penseranno loro! Jelindó piangeva lacrime amare in fondo al cuore, nel vedere quel povero ragazzo biondo strattonato dal soldato francese e portato via a forza.



– Che cosa gli faranno, le guardie dell’imperatore, Astorre? – Cosa vuoi che ti dica – rispose il sergente caricando il suo fucile. – Farà la fine di tutti i prigionieri presi in battaglia… Una gran brutta fine! Lo scoiattolo non ci pensò un istante di più. Con un balzo saltò giù dallo zaino e atterrò nel prato. Astorre fu preso alla sprovvista e incespicò per non cadere: – Ehi, ma dove corri? Jelindó, torna subito qui! Tu sei la nostra mascotte… sei il portafortuna del reggimento! Non puoi abbandonarci! “È vero – si disse lo scoiattolino correndo su per la collina, – sono la mascotte del reggimento, ma prima devo far qualcosa per quel ragazzo! E in fretta, anche!” Si chiamava Enrico Guglielmo: era prussiano, aveva solo dodici anni e una grande passione, suonare la tromba! Certo, quel giorno Waterloo non era il luogo ideale per dar sfogo alla sua vocazione musicale, ma ad Enrico non importava il pericolo: a lui piaceva solo suonare la tromba e, se l’unico posto in cui poteva farlo era il cuore di una delle battaglie più importanti nella storia dell’umanità, pazienza: avrebbe corso il pericolo, ma avrebbe suonato! Peccato, però, averlo fatto per così poco tempo! – Generale Girard, abbiamo un prigioniero – esclamò il fante francese

spingendo il ragazzo ai piedi del generale a cavallo. Erano in cima al colle dal quale Napoleone stava guidando in battaglia il suo esercito. Il generale guardò solo un istante il giovane prigioniero poi si girò dall’altra parte: – Portalo via da qui! Legalo a un albero e torna di corsa al tuo reggimento! L’imperatore ha bisogno del tuo fucile, non della tromba di questo nemico! A quel punto giunse di corsa Jelindó, che assistette alla triste scena del piccolo trombettiere mentre veniva legato al tronco di una betulla. Dopo di che l’aiutante del suo Astorre tornò di corsa al reggimento. – Ciao, io mi chiamo Jelindó Ghianded’òr, e tu? Il ragazzo si guardò in giro spaventato e spalancò gli occhi quando s’accorse che a parlare era stato un piccolo scoiattolo seduto ai suoi piedi. Strani questi scoiattoli francesi, pensò il trombettiere. – Mi chiamo Enrico… Di solito voi francesi che cosa fate ai trombettieri presi prigionieri? Il cuore dello scoiattolo si strinse al pensiero di quel che attendeva il povero ragazzo al termine della battaglia… – Non lo so – mentì Jelindó, – ma sta’ tranquillo: farò di tutto perché non ti venga fatto del male. Aspettami qui! E lo scoiattolo scappò via in di-


rezione del gruppo di cavalieri che stazionava in vetta al colle. I generali che attorniavano Napoleone seguivano le fasi della battaglia con gli occhi incollati ai cannocchiali e riferivano al grande capo via via come si svolgevano i combattimenti. Napoleone non aveva bisogno del cannocchiale: aveva una vista acuta, lui, e aveva scelto proprio quel colle per poter guardare dall’alto i suoi soldati senza avere il sole negli occhi. – Ricordatemi che stasera devo premiare il sergente di quel reggimento laggiù: è per merito suo se i prussiani adesso sono in difficoltà senza trombettiere! – Ehm… – tossicchiò qualcuno da sotto il cavallo. – Signor imperatore – squittì una vocina sottile… – Signor Napoleone! – Chi è? Che c’è? – sbottò il grande capo piegandosi per guardar sotto la pancia del suo cavallo. – E tu chi sei? Uno scoiattolo parlante? Che ci fai là sotto? Jelindó si fece forza, respirò a fondo e saltò in groppa al cavallo bianco, atterrando in grembo a… Napoleone! – È vero, è stato proprio bravo il sergente Astorre a prender prigioniero quel trombettiere nemico – esclamò lo scoiattolo, – però sono certo che lui non vuole nessuna medaglia! L’imperatore sorrise all’idea che il

terribile Bonaparte in quel momento stava discorrendo tranquillo con uno scoiattolino! – Ne sei sicuro? – disse. – Ne sono strasicuro! Astorre io lo conosco bene: è un tipo semplice e umile, non va in cerca di premi e si accontenta solo di far bene il suo dovere. Ecco: ha visto quel trombettiere un po’ staccato dai suoi commilitoni e ha pensato bene di toglierlo dalla battaglia! – Perfetto, cosi si fa! È grazie a tante cose piccole come queste che si arriva alla sera con la vittoria in tasca ed è proprio per questo che voglio ringraziare il sergente Astorre. Dovrebbero fare tutti come lui! – Se proprio insistete, allora so io quale sarebbe il premio giusto per il sergente! Napoleone era incuriosito da quello scoiattolino intelligente e arguto, ma aveva una battaglia da mandar avanti e stava perdendo del tempo prezioso. – D’accordo: dimmi che cosa devo fare secondo te e, se mi garba, darò ordine che venga fatta! Jelindó sentì il cuore mettersi a ballare impazzito: era giunto il momento della verità. – Ad Astorre, ne sono certo, basterebbe poter disporre a proprio piacimento del futuro del prigioniero: affidategli il trombettiere, imperatore, e il sergente ve ne sarà grato per tutta la vita! Napoleone era concentrato sull’ala


destra del suo esercito che stava per soccombere sopraffatta dalle armate inglesi. La battaglia richiedeva il suo intervento, prima però doveva risolvere quel piccolo problema del trombettiere: – E cosa pensi che ne farà, il tuo sergente, di quel ragazzo? – Be’, penso che gli darà la lezione che si merita e gli farà passare la voglia di suonare l’attacco ai soldati prussiani! – È proprio un tipo convincente, questo Astorre… è un sergente, vero? Va bene, facciamo così: custodisci il prigioniero fino al termine della battaglia e poi consegnalo al sergente maggiore! Jelindó guardò perplesso il suo imperatore: – Ma scusate, Napoleone, il prigioniero non dovevo riconsegnarlo al sergente Astorre? – Appunto, te l’ho appena detto! Consegnalo al sergente maggiore Astorre, che ho appena promosso sul campo per meriti militari! E ora lascia che vada avanti col mio lavoro, su… Jelindó Ghianded’òr sprizzava gioia da tutti i peli della coda: fece un profondo inchino all’imperatore, saltò giù dal cavallo bianco e corse da Enrico per annunciargli la libertà ritrovata. Già, perché lo scoiattolo tagliò coi dentini aguzzi le corde che tenevano legato il trombettiere alla betulla e il ragazzo si ritrovò libero. – Rimani con me fino al termine della battaglia, però – gli raccomandò

Jelindó. – Non appena possibile ti porterò dal mio amico, il sergente maggiore Astorre, e vedrai che sarà lui a ridarti la libertà! Quel che i libri di storia non dicono lo sappiamo solo noi: i pochi minuti in cui Napoleone non guidò il suo esercito per chiacchierare con lo scoiattolo Jelindó Ghianded’òr furono cruciali per l’esito della battaglia: i francesi infatti persero proprio sul lato destro e Napoleone dovette riconoscere l’amara sconfitta. Astorre accolse con un groppo in gola la promozione a sergente maggiore meritata sul campo e ascoltò con attenzione il resoconto dell’incontro del suo Jelindó con l’imperatore in persona. Astorre accettò volentieri di lasciar libero il giovanissimo trombettiere e tutto il reggimento festeggiò la sua mascotte ritrovata. Il giovanissimo Enrico (Heinrich Wilhelm Dove è il suo nome tedesco completo) tornò libero e fece rientro subito in Prussia. La disavventura da cui era uscito grazie al coraggio e alla generosità di uno scoiattolino gli fece però capire che il suo futuro non era nella musica e men che meno nella tromba: studiò allora scienze naturali e divenne uno dei più importanti meteorologi prussiani. E questa è storia vera!



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