Nutrire il pianeta con equità
Gellindo Ghiandedoro e il mistero degli orti rinsecchiti I RACCONTI DEL BOSCO DELLE VENTI QUERCE - FIABA DI MAURO NERI - ILLUSTRAZIONI DI FULBER
Bisogna sapere che il capitano Alabarda, capo delle guardie di re Pirofilo, era certamente un tipo serio, coraggioso e senza paura. Secco e magro come il manico di una scopa, portava in giro con fierezza – assieme alla sua divisa rossa – un bel paio di baffi a manubrio, una testa pelata e due occhi ben aperti per tener tutto sotto controllo. Il giorno di questa storia, però, nulla di tutto ciò! Il capitano se ne stava seduto su una panchina del parco con la testa lucida tra le mani, gli occhi pieni di lacrime e il petto scosso dai singhiozzi. – Per mille fichi secchi – esclamò Gellindo Ghiandedoro avvicinandosi al poveretto. – Se il coraggioso capo delle nostre guardie sta piangendo e singhiozzando, dev’essere successo un guaio veramente grosso! – Come no – rispose il soldato, – un vero disastro! – Il castello è sotto assedio? – chiese allora Gellindo preoccupato. – Oh, no! – Allora i nemici sono arrivati ai confini del regno? – Nemmeno per sogno! Per fortuna siamo in pace con tutti... – Allora re Pirofilo ti ha licenziato e ha chiamato un nuovo capo delle guardie? – Ma cosa dici, Gellindo! – E allora cosa c’è di così grave da farti piangere come un bambino che
s’è sbucciato il ginocchio cadendo dalla bicicletta? – Ecco – singhiozzò capitan Alabarda, – a dire il vero... io, nel tempo libero... – Cosa fai, nel tempo libero? – lo incitò lo scoiattolino curioso. – Io coltivo il mio orto poco fuori le mura! Anche se per noi può sembrare un po’ strano che un soldato abituato a maneggiar armi, a impugnare spadoni e ad andare in guerra, come passatempo scelga di fare l’ortolano, Gellindo non fece alcun commento nell’apprendere che il capitano Alabarda passava il suo tempo libero a curare le carote, a raccogliere i pomodorini maturi, a strappar l’erba matta e ad innaffiare la mentuccia nel suo orticello. – E si può sapere che cos’è successo al tuo orto? – domandò Gellindo impaziente. – Era da qualche settimana che le foglie dei pomodori erano diventate gialle, che il rosmarino era secco e che l’insalata s’era come sgonfiata a terra marcendo da un giorno all’altro... – Mancava forse un po’ di concime naturale nel terreno? – L’ho pensato anch’io, ma una dose doppia di concime non ha risolto il problema. E allora... – Allora? – Allora sono andato da un mago...
dallo stregone Prendinàcchere che vive in un bosco qui vicino... Prendinàcchere trascorre notte e giorno a far bollire intrugli misteriosi, coi quali poi prepara fatture, sortilegi, stregonerie, medicamenti miracolosi e... e anche concimi strepitosi! Il mago s’è fatto pagare un bel po’ di monete d’oro e mi ha consegnato un sacchetto di polverina azzurra: il magico, il portentoso, l’incredibile concime “Cresci-orto”! – Concimi strepitosi fatti da un mago stregone? – obiettò Gellindo con una smorfia. – Secondo me, caro Alabarda, questa volta ti sei messo in un bel pasticcio! – Lo penso anch’io – rispose quell’altro in mezzo alle lacrime, – perché dopo dieci giorni di rigoglio stupendo, di verdura florida, verde e matura, di fagioli grossi come kiwi e di erba cipollina alta quasi un metro, stamattina ho trovato il mio orto bruciato dall’arsura, arido e secco! Pomodori e insalate, sedano e piantine di timo, la mia buona menta profumata e il rosmarino che crescevo da cinque anni, la salvia odorosa e il prezzemolo... è tutto da buttare al macero o da farne un focherello pieno di fumo! Gellindo spalancò gli occhi stupito. – Sai che ti dico, capitano Alabarda? Mi puoi accompagnare da questo mago, che voglio tanto conoscerlo? – Se non vuoi altro – disse Alabar-
da tirando su col naso. – Vieni con me, andiamo nel bosco appena fuori le mura! Né Gellindo e nemmeno il capitano delle guardie potevano sapere che in quello stesso istante tutte le donne del regno di re Pirofilo stavano strillando arrabbiate davanti ai disastri dei loro orti rinsecchiti! – Ma guardate i miei peschi ridotti a legna da ardere! – Mamma mia che disgrazia! Le rape e i rapanelli ridotti ad erba secca da portare in discarica! – Aiuto, qualcuno corra a salvare i miei pomodori e i miei cavoli cappucci! – E che devo dire io delle mie verze, che sono tutte da buttare? E sempre in quel momento tutti i contadini stavano imprecando contro le nubi del cielo... – Fino a ieri questo era un bel campo di grano, e oggi guardate qua: è diventato un deserto! – E come faccio a mantenere la mia famiglia, se il miglio e l’orzo son ridotti a cenere? – Mamma mia che disastro: quel che era un bellissimo vigneto, ora è una desolazione di piante secche e riarse! A nessuno di loro, però, venne in mente che forse quelle disgrazie dipendevano dalla polverina azzurra comprata da uno strano stregone
che rispondeva al nome di Prendinàcchere! Il mago in questione abitava nel fondo di una caverna piena zeppa di pentole e pentoloni, di focolari sempre accesi e di vetrine colme d’erbe, di radici e frutta secca, di scaffali che crollavano sotto il peso di antichi libri, bottiglie, fiaschi e ampolle. – E chi ti dice che sia stata la mia polvere “Cresci-orto” a bruciare i pomodori e la mentuccia di Alabarda? – ragliò Prendinàcchere rivolto a Gellindo Ghiandedoro. – Se fino all’altro ieri l’orto del capitano era rigoglioso e sano, si può sapere perché si è rinsecchito dopo aver sparso la tua polverina misteriosa? Mi sai dire con che cosa prepari questo intruglio diabolico? Prendinàcchere non era solo uno stregone malvagio: era anche un tipo assai vanitoso, che di fronte all’occasione di mettersi in bella mostra e di dimostrare tutta la sua scienza, non si tirava mai indietro. E perciò... – Il concime “Cresci-orto” lo ottengo mescolando sabbia del Mar Rosso con cristallo tritato, aggiungendo poi tela di ragno africano, foglie secche di tabacco brasiliano, farina di gessetti bianchi usati il primo giorno di scuola, forfora di scimpanzé indiano, polvere tolta da sotto ai tappeti di casa tua e, infine, zucchero amaro con semi di tamarindo secco macina-
ti all’istante! Formidabile per rovinare qualsiasi orto qui attorno! A quel punto Alabarda esplose con tutta la sua rabbia: – E si può sapere perché ce l’hai con me al punto da rovinare per sempre il mio unico passatempo? – Oh – rispose il malvagio con un sorriso cattivo, – ma il concime “Cresci-orto” non l’ho mica venduto solo a te, sai?! L’hanno comprato praticamente tutti i contadini del regno per i loro campi e tutte le donne per i loro orti di casa! Eh! Eh! Eh! Mi piacerebbe essere libero da queste catene, adesso, per volare in cielo e andare a vedere dall’alto i loro pianti, la loro disperazione, la loro rabbia! Ah! Ah! Ah! Gellindo a quel punto si rivolse ad Alabarda nelle sue vesti di capitano delle guardie di re Pirofilo ed esclamò: – Secondo me è giunto il momento che la giustizia si interessi di Prendinàcchere! Alabarda, arresta questo stregone e portalo immediatamente al cospetto del re e della corte per essere giudicato! C’erano proprio tutti, nel gran salone dei processi. C’erano re Pirofilo e regina Fornetta con le parrucche bianche da giudici in testa, c’era la principessa Cloe e c’erano anche tutti i ministri e i consiglieri imparruccati a dovere. – Venga fatto entrare lo stregone
Prendinàcchere! – esclamò il maggiordomo Pompeo battendo per terra tre volte lo scettro reale. Accompagnato dal capitano Alabarda e dallo scoiattolo Gellindo, venne avanti lo stregone tremendo, imprigionato in una lunga e grossa catena. Re Pirofilo si alzò in piedi e guardò il mago: – Visto che tu hai già confessato la tua colpa, non ci sarebbe nemmeno bisogno di un processo. Ho però convocato questa corte per chiederti una sola cosa: si può sapere perché hai venduto ai miei poveri sudditi concimi pestilenziali che rovinano gli orti e bruciano i campi di grano? Prendinàcchere strinse gli occhi feroci, guardò il re e la corte riunita e poi sbottò: – Perché io odio le persone felici! Mi fanno rabbia le donne che amano i loro fagioli, l’insalata e le zucche! Non posso soffrire i contadini che vivono per le loro viti, per l’orzo, per il mais! È vero: io odio le persone felici! A quel punto Gellindo saltò sulla spalla di re Pirofilo e gli bisbigliò qualcosa all’orecchio. – Bene – aggiunse sua maestà, – e allora ti condanniamo seduta stante ad annaffiare due volte al giorno per i prossimi cinque anni tutti gli orti e tutti i campi che hai distrutto! Se una volta soltanto salterai la tua pena, verrai cacciato al di là dei confini e
non potrai più metter piede nel mio regno. – E ricordati, Prendinàcchere – aggiunse Gellindo Ghiandedoro, – che ai frutti della terra bisogna voler bene, perché sono un dono del cielo... e i doni del cielo vanno trattati con cura e con amore! Qualche giorno dopo Gellindo si trovò a passare per quel tratto di muro addossato al quale c’era l’orto del capitano Alabarda. Il soldato era inginocchiato in mezzo ai filari di fagioli e stava raccogliendo felice i baccelli più belli e pronti per essere aperti. – Buondì, Alabarda! Come va il tuo orto? Il capitano si alzò sorridendo: – Se devo essere proprio sincero, da quando Prendinàcchere passa di qui al mattino e alla sera per annaffiare il mio piccolo regno verde, le cose vanno molto meglio. Certo, qualche volta mi propone di aggiungere all’acqua alcune gocce verdastre del suo ultimo concime “Cresci-orto-ancor-più-forte”, ma non appena vede la mia spada davanti alla punta del suo naso, nasconde tutto e scappa con la coda tra le gambe! Fu così che gli orti rinsecchiti del regno di re Pirofilo tornarono a splendere e i campi a dar frutti generosi. Merito dello scoiattolino risparmioso Gellindo Ghiandedoro.