Le guerre di Gellindo Ghiandedoro - Gellindus Ghiandedaurus e gli elefanti dei Cartaginesi

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Le guerre di Gellindo Ghiandedoro

Gellindus Ghiandedaurus e gli elefanti dei Cartaginesi I RACCONTI DEL BOSCO DELLE VENTI QUERCE - FIABA DI MAURO NERI - ILLUSTRAZIONI DI FULBER


(Gli elefanti dei cartaginesi, vere “macchine da guerra” temibili e terribili, non parteciparono alla famosa battaglia di Canne, in Puglia, che vide comunque i romani soccombere di fronte all’esercito africano; secondo alcuni ciò dipese dal fatto che nessun pachiderma riuscì a sopravvivere dopo aver superato i passi alpini; secondo altri fu invece uno scoiattolo di nome Gellindus Ghiandedaurus a “convincere” gli elefanti a scappar lontano dalla battaglia di Canne con uno stratagemma a dir poco incredibile!) Tutti sanno che gli scoiattoli sono animaletti vivacissimi d’estate e dormiglioni d’inverno, gran lavoratori, risparmiosi e sempre affamati… Pochi sanno però che gli scoiattoli sono soprattutto degli animali… curiosi! Nessuno di loro, infatti, sa resistere alla tentazione di avvicinarsi a due che stanno chiacchierando del più e del meno, oppure di andar a spiare in quella borsa chiusa abbandonata a lato della strada, oppure ancora di correre a scoprire da dove proviene la musica strana che gira per l’aria… Gellindus Ghiandedaurus non faceva eccezione e perciò al tramonto di quel giorno d’inizio agosto, quando vide due soldati romani seduti su un muretto e impegnati in un’accesa discussione, non seppe farsi i fatti suoi e saltellò di nascosto fin dietro al muricciolo da dove poté sentire quel che i due legionari si stavano dicendo. Il più anziano sospirò rassegnato ed esclamò: – Mi sa, caro Glaucus, che domani la piana di Canne – e nel dire ciò, con un gesto ampio del braccio indicò la vasta pianura che si stendeva al di là della stradina di

campagna, – sarà invasa dai soldati africani di Annibale! Il giovane soldato Glaucus stava masticando nervoso il gambo di una pianta di grano maturo: – Lo sai, Marcus, che i soldati cartaginesi sono ferocissimi, coi loro nemici? Hanno portato il terrore in Spagna, in Gallia e nella grande pianura del fiume Po, su a nord: ora sono arrivati in Puglia e domani per tutti noi sarà un gran brutto giorno! Tacquero, i due legionari, ma solo per pochi istanti. Marcus riprese quasi subito: – E quel che è peggio è che ci saranno gli elefanti! – Li hai mai visti tu, gli elefanti! Sai come son fatti? – chiese il giovane. Il soldato dai capelli grigi si asciugò il sudore dalla fronte e si tolse l’elmo: – Sono montagne di carne appoggiate su zampe grosse come i tronchi dei castagni più vecchi! Hanno orecchie che sembrano vele di nave e zanne chiare e aguzze che assomigliano agli spadoni dei nostri gladiatori, ma più lunghe e più pesanti! E infine hanno una proboscide che sventola nell’aria, che se ti piglia in


pieno ti fa fare un volo di venti metri! Glaucus si stropicciò le mani nervoso e lasciò che lo sguardo corresse sull’immensa piana di fronte a loro: – E i cartaginesi arriveranno qui a Canne con molti di questi elefanti? Marcus sbuffò e sorrise: – Dicono che il loro esercito sia formato da cinquantamila fanti di cento razze diverse, da diecimila soldati a cavallo e da trecento… sì, caro mio, da trecento elefanti addestrati al combattimento… Il cuore di Gellindus fece una capovolta e il piccolo scoiattolo rimase per un istante senza fiato: ma ve li immaginate trecento di quei mostri enormi e cattivi? L’animale più grande che Gellindus conosceva erano le mucche al pascolo nei campi pugliesi, e le mucche non hanno orecchie enormi e zanne pericolose e proboscidi terribili! Povero Glaucus e povero Marcus, pensò lo scoiattolino: chissà che fine faranno, all’arrivo dell’esercito di Annibale! “E se io?...” L’idea spuntò piano piano nella testolina di Gellindus, come fa la pianta del fagiolo a bucare il seme, a farsi strada nella terra e a conquistarsi finalmente il primo sole! L’idea era semplice, come semplici sono sempre tutte le idee che funzionano: “Bisogna fare qualcosa – pensò lo scoiattolo, – perché questi poveri legionari non debbano affrontare i tremendi elefanti dei cartaginesi!”

Già, ma cosa fare? “Non mi resta che chiedere aiuto a qualcuno… chissà, forse Gioacchinus Agricola, il contadino mio amico, mi potrà dare il consiglio giusto!” Anche se era già notte fonda, Gioacchinus era nella stalla a mungere mucche e capre e fu con gran gioia che vide arrivare lo scoiattolo suo amico. – Gli elefanti sono animali pericolosissimi – disse il contadino, quando Gellindus ebbe terminato di spiegargli il motivo della sua visita, – soprattutto perché noi non li conosciamo. Sappiamo qualcosa solo per sentito dire, ma basarsi sul sentito dire è sempre molto, molto rischioso! – D’accordo – ribatté testardo lo scoiattolo, – però queste montagne di carne avranno pure un punto debole, avranno paura di qualcosa, saranno terrorizzate da un’arma particolare… Gioacchinus Agricola si alzò in piedi e s’avvicinò alla sua mucca preferita che, placida e tranquilla, aveva il muso infilato nel fieno della mangiatoia. – Vedi Gellindus, la mia Regina è una mucca grande e grossa, forte, sana e anche coraggiosa quando c’è da far fuggire qualche lupo malintenzionato. Lei però ha un solo terrore: i topolini di campagna! Gellindus sbarrò gli occhi: – I topolini di campagna? E perché le



mettono così paura, i topini? – A causa di quei due minuscoli denti che spuntano davanti, coi quali i ratti si divertono a rosicchiare gli zoccoli della mia Regina! – Sì vabbè, ma cosa c’entrano i denti dei topi con gli elefan… Gellindus Ghiandedaurus capì all’improvviso quel che l’amico contadino gli voleva dire: – Anche gli elefanti hanno gli zoccoli, vero? – chiese speranzoso lo scoiattolo. – Be’, quelli che hanno avuto la sventura di vedere almeno un elefante dicono che, alla base di quelle quattro gambone, ci siano unghie così grosse che sembrano dei veri e propri zoccoli… Ci scommetto l’intero raccolto di quest’estate che la paura della mia Regina è identica al terrore dei pachidermi di Annibale per qualsiasi tipo di topo! Gellindus saltò in braccio a Gioacchinus, gli scoccò un grosso bacio sulla guancia… – Grazie, amico mio: sei stato utilissimo! – e scappò via in fretta e furia. Corse verso nord per qualche ora, Gellindus, incontro all’esercito cartaginese e alle prime ore dell’alba arrivò sulle rive di un fiume, dove fece la conoscenza con l’esercito di Annibale. Non aveva mai visto così tanti soldati tutti assieme: c’erano migliaia e migliaia di africani con la pelle scura,

migliaia e migliaia con la pelle olivastra e ancora migliaia e migliaia con la pelle bianca come quella dei romani; molti tenevano in mano giavellotti leggeri, altri portavano spade lunghe e tozze, oppure sottili e acuminate; quelli con la pelle scura avevano appese alla cintura terribili fionde lancia-sassi… Migliaia erano anche i soldati a cavallo: nitrivano e s’impennavano, i destrieri, sbuffando e scalpitando sulla sabbia del fiume, mentre i cavalieri restavano in equilibrio agitando lunghi giavellotti con la destra e imbracciando piccoli scudi tondi con la sinistra… E laggiù, ancora coperti dalla nebbiolina dell’alba, ecco spuntare uno dopo l’altro… i mostri! Erano proprio terribili, gli elefanti, pensò subito Gellindus, che li vide venire avanti camminando tutti assieme. A ogni passo tremava il terreno, oscillavano gli alberi intorno e s’alzavano nuvole di polvere. Ancor più paurose erano le urla dei guidatori: sulla schiena di ogni elefante era abbarbicato un giovane soldato che urlava a squarciagola e teneva in mano un bastone appuntito col quale incitava il grosso animale ad affrontare le acque del fiume. Eccoli lì, i trecento elefanti… e il pensiero di Gellindus Ghiandedaurus andò al povero Glaucus e al suo amico Marcus, rimasti giù, a Canne, ad attendere la tremenda battaglia.



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