Le fiabe del Bosco delle Venti Querce - I sogni di puledro Teodoro

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Le fiabe del Bosco delle Venti Querce

I sogni di puledro Teodoro I RACCONTI DEL BOSCO DELLE VENTI QUERCE - FIABA DI MAURO NERI - ILLUSTRAZIONI DI FULBER


Premessa La mattina di un lunedì di fine novembre Franco Bollo, il portalettere del Villaggio degli Spaventapasseri dovette fare gli straordinari. Si ritrovò fra le mani infatti un bel po’ di lettere da consegnare a tutti gli spaventapulcini del Villaggio e ai tre topolini della discarica, Rattina Glassé, Liquirizio e Pancrazio. Ma cosa c’era scritto sulle lettere? – Mamma Miopina – strillò Occhialetta correndo in cucina, – guarda, mi ha scritto Gellindo Ghiandedoro! – Cosa? Da quando in qua Gellindo si prende il disturbo di scrivere ai suoi amici, quando lo sanno tutti che abita nel tronco dell’albero più grande del Bosco delle Venti Querce? – Il fatto è che... ascolta, adesso ti leggo: “Cara Occhialetta, sono andato in letargo e non ci rivedremo per un bel po’. Mi spiace però lasciarti sola soletta per tutto l’inverno e allora sai cosa ho fatto? Ho preparato sei letterine per ciascun spaventapulcino. Ogni lettera contiene una fiaba e la riceverai il lunedì di ogni settimana, così avrai modo di leggerla in casa e ci sarò sempre io a farti compagnia! Sei lettere, sei fiabe per un bellissimo inverno! Questa stessa lettera arriverà stamattina anche a tutti i tuoi piccoli amici: sarà come se io sia sempre tra di voi, pensa che bello! Adesso vado veramente a nanna: ci vediamo al mio risveglio... Ciao, Occhialetta!” – Ma guarda tu che bravo Gellindo – esclamò spauracchia Miopina, la mamma di Occhialetta. – Allora me la leggi tu, questa fiaba? – No, io ho lasciato gli occhiali a Scuola. Leggila tu, mamma! – Che peccato: i miei occhiali sono troppo deboli... Come facciamo? – Papà! Papà Occhidifalco, abbiamo bisogno di te! – Per fare cosa? – strillò papà Occhidifalco dall’orto. – Devi leggerci la prima fiaba di Gellindo... – Arrivooo! animali di Gioacchino il contadino. – Cos’hai detto? – fece Clodovea – Sentite, io da grande voglio fare la gallina starnazzando come un’oca. il pompiere! – Da grande... COO! COO! COO!... Questa affermazione, che in il pompiere? Vuoi fare il pompiere? bocca a un bambino sarebbe suo– Certo, che c’è di male? – chiese nata come un proponimento del l’ingenuo Teodoro, che non riusciva tutto normale, in bocca a Teodoro, un bel puledrino di sei mesi appena, a capire il perché di tante risate. – Che c’è di male? COO! COO! suscitò l’ilarità di tutta la stalla degli


COO! – continuò Clodovea rotolandosi nel fieno. – Che c’è... UH! UH! UH!... di male? – Taci, gallina! – tuonò Ionis il somarello. – Hai proprio un cervello piccolo come uno di quei grani di frumento che ti piacciono tanto! Se

uno desidera fare il pompiere, be’, cosa c’è di strano? I sogni non costano nulla e allora... làscialo fare! – Il fatto è che ognuno dovrebbe rimanere al proprio posto – muggì la mucca Nigra. – C’è che i nostri sogni devono comunque fare i conti con


la realtà. È come se io dicessi: «Da grande voglio fare la ballerina!» Ve la immaginate, voi, la vostra amica Nigra in tutù e scarpette da ballo agli zoccoli? Oppure tu, Ionis: che cosa dovremmo pensare, noi, se domattina ti svegliassi dicendo: «Amici miei addio, vado a fare il professore!»? Aveva ragione da vendere, la mucca Nigra, eppure... – Eppure io, quando sarò un bel cavallo, farò il pompiere! – Ma senti, Teodoro – fece Bleck, il grosso cane pastore che se ne stava come sempre sdraiato davanti alla porta della stalla, – con tutte le cose che un puledro può sognare per quando sarà grande, proprio il pompiere dovevi scegliere come mestiere? Potresti metterti d’impegno e diventare un buon cavallo da tiro, ad esempio,oppure da corsa, da salto o da parata... – E io vi dico che sarò un pompiere, e bravo anche! Un bravo cavallopompiere! Belinda la capretta, grande e inseparabile amica di Teodoro, gli si avvicinò e gli disse sottovoce: – Teodoro, è meglio se stai zitto! Questi qui non capiscono nulla! Sono nati animali e animali resteranno per sempre! Tiènteli per te, i tuoi sogni o tutt’al più confìdali a me, che sono una vera amica... ma perché proprio il pompiere?

– Ecco, vedi Belinda, è come se un sogno mi accompagnasse da quando sono nato. È l’immagine di una casa in fiamme. Sono alte, le lingue di fuoco, arrivano al di sopra del tetto, entrano dalle finestre e dalla porta distruggendo tutto quanto. E i pompieri non arrivano! Tutti urlano, le donne si disperano, i bambini strillano, gli uomini corrono di qua e di là, finché non arrivo io al galoppo, con un secchio pieno d’acqua tra i denti. Mi fermo accanto alla casa. Fa caldo, molto caldo, ma non ho paura delle fiamme, io: m’impenno sulle zampe dietro e rovescio l’acqua del


secchio proprio nel cuore dell’incendio, che si spegne all’istante! Poi tutti mi fanno una gran festa... «Evviva il pompiere!», mi urlano, e io sono contento, molto contento, finché mi sveglio e il sogno scompare. La porta della stalla si aprì all’improvviso, mandando a ruzzoloni il povero Bleck, che corse a ripararsi guaendo dietro a una balla di fieno. Entrarono due uomini: uno era Gioacchino il contadino, l’altro uno sconosciuto che nessuno aveva mai visto da quelle parti. Avanzarono chiacchierando, fin quando non furono all’altezza di Teodoro. – Ecco il puledro di cui ti parlavo – esclamò Gioacchino, dando una gran pacca sulla schiena del povero e ammutolito Teodoro. – Giovane, sano, intelligente e resistente, è proprio quello che fa per te. Te lo vendo al prezzo che avevamo stabilito! Te lo vendo? Ma cosa vuol dire? Io non voglio essere venduto! Non voglio andarmene di qui... io voglio fare il pompiere! – È forte, nel tiro? – chiese lo sconosciuto. – Forte come può esserlo un puledro di sei mesi, ma aspetta un anno e ti ritroverai con un cavallo robusto come la roccia! Ecco, mi ritroverò a tirare carretti per tutta la vita! – E con la corsa, com’è messo?

– Un fulmine a ciel sereno! Corre come il vento, caro mio! Ma io non voglio fare le corse, non sono cose per me, quelle! – Sa anche saltare? – Come un grillo vestito da cavallo, caro mio. Scalcia e salta come un canguro! Nemmeno le gare di salto mi va di fare... Lasciatemi qui! – E il portamento com’è? Sai, per le sfilate... – Eccezionale: è di un’eleganza, Teodoro, che non te la immagini nemmeno! Ma perché volete farmi fare le sfilate? Io voglio solo spegnere il fuoco! – Bene, allora siamo d’accordo. Domani torno... – È finita, non c’è più nulla da fare... vorrei morire! – ...col carro dei pompieri e me lo porto via. Tempo dodici mesi e ne farò il più bel cavallo dei pompieri che mai si sia visto in zona. Saprà tirare l’autobotte, correre di filato quando scoppia un incendio, saltare all’occorrenza e, quando in paese ci sarà la festa annuale, sfilerà in parata agghindato come si conviene! Evviva, Belinda, ce l’ho fatta! Sarò un pompiere e... perché piangi, adesso? È vero... tu non vieni, devi restar qui, in questa stalla assieme a questi animali sciocchi... No, Belinda: non voglio andarmene senza di te... – Devi sapere un’altra cosa,


però – stava dicendo Gioacchino a quell’altro. – Teodoro è un bel cavallo, te ne sei accorto anche tu, ma per tenerlo buono e tranquillo deve avere sempre vicino la sua capretta Belinda. Per cui... – D’accordo – lo interruppe l’altro stringendogli la mano, – ti pagherò qualcosa in più e domani torno a prendermi cavallo e capra. Assieme

saranno una bella coppia! Cara Occhialetta, se vuoi sapere che cosa sia la felicità, quella vera, quella che ti fa urlare e saltare e danzare, quella che ti lascia senza parole e incredula di tanta fortuna, be’, prova a immaginare come dovettero sentirsi puledro Teodoro e capretta Belinda...



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