I Giallindi: Gellindo investitore privato

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I Giallindi: Gellindo investigatore privato I RACCONTI DEL BOSCO DELLE VENTI QUERCE - FIABA DI MAURO NERI - ILLUSTRAZIONI DI FULBER


Giallindo 1:

La strega Gran Gracchia e il furto di... sonno!


Ebbe tutto inizio una mattina di settembre, quando il Villaggio degli Spaventapasseri si animò molto prima del solito. Non era ancora l’alba, che già Casoletta aveva aperto la sua Cioccolateria, subito seguìta da Caramella, che alzò con gran fracasso la serranda della Famiglia Cooperativa, e da Quantobasta, che infilò il camice bianco, s’aggiustò gli occhialini sul naso, si mise dietro al bancone della sua Farmacia e sospirò sbadigliando per il gran sonno che si sentiva addosso! Era ancora notte, insomma, e già i nostri amici spauracchi erano in piena attività: Tisana la Dolce a toglier erbacce nel suo orto, Dindondolo a lucidare la campana grande del chiesetta… Pasticcia era già in cucina a padellare con lasagne al forno e melanzane ripiene, Bellondina stava facendosi bella davanti allo specchio, mentre Chiomadoro si pettinava i lunghi capelli biondi affacciata alla finestra… – Ma si può sapere perché vi siete svegliati così presto, stamattina? – esclamò Gellindo Ghiandedoro, che era stato tirato giù dal letto da tutto quel fervore di lavori, di serrande alzate, di campane che tintinnavano. – Perché non siamo mai andati a dormire, caro mio – ribatté maestro Abbecedario, che a quell’ora aveva già corretto tutti i compiti degli spaventapulcini del giorno prima. – Mi stai dicendo che questa notte

nessuno di voi spaventapasseri è andato a dormire? – chiese Gellindo, facendosi andare di traverso la cioccolata bollente che stava sorseggiando seduto a un tavolo della Cioccolateria di Casoletta. – A dire il vero abbiamo provato tutti ad andare a letto, ieri sera, ma nessuno di noi ha chiuso occhio! – rispose il vecchio maestro con uno sbadiglio lungo tre minuti Lo scoiattolo rimase con la tazza a mezz’aria, colpito da quella notizia. – Nessuno di voi stanotte ha dormito!? Abbecedario assentì col capo e alzò le spalle. – Abbiamo tentato di addormentarci in tutti i modi, ti assicuro. Abbiamo contato migliaia e migliaia di pecorelle che saltavano sul recinto… Niente! Abbiamo pensato alle nostre cose più belle, a quelle più dolci e riposanti… Niente niente! Abbiamo bevuto tazze e tazze di latte tiepido… Niente, niente niente! Siamo rimasti tutti svegli… ticckete tacckete… ticckete tacckete… ad ascoltare i minuti che passavano piano piano… – Ma ci sarà pure un motivo, un qualcosa o un qualcuno che non vi ha fatto addormentare – esclamò lo scoiattolo sconcertato. – Se c’è un motivo, solo tu Gellindo lo puoi scoprire! – intervenne Pagliafresca, che era appena entrato nella Cioccolateria con due occhi rossi, stanchi e grandi così! – è vero – disse Casoletta pulendosi le mani nel grembiule bianco, – sei


tu il nostro investigatore privato, sei tu quello che risolve anche i casi più misteriosi e strani! Datti da fare, piccolino, e cerca di scoprire perché nessuno di noi stanotte è riuscito a dormire! Gellindo si mise immediatamente al lavoro. La sua nonna a glielo aveva sempre detto: “Quando ti prendi un impegno, ogni secondo che passa è tempo buttato via!”, perciò lo scoiattolino si procurò una pila, riempì una grossa thermos di caffè forte e attese che calasse la sera. Alle undici, quando in cielo uno spicchio di luna si alzò per dichiarare a tutti che era giunto il momento di andare a nanna, Gellindo andò a sbirciare alla finestra della casa di Quantobasta e controllò che tutto fosse a posto. Ahimè: il farmacista era già in pigiama, sotto le lenzuola e con un libro in mano: leggeva ormai da un’ora e non pareva avesse voglia di spegnere la luce, di girarsi dall’altra parte e di addormentarsi. Anche Pasticcia non dormiva: era ancora in cucina a impastare farina, uova ed acqua per far la pasta, così, tanto per passare il tempo… Tisana la Dolce leggeva e rileggeva libri di ricette, di decotti e di infusi che aveva letto già almeno trenta volte… e il sonno non voleva arrivare! Bellondina era seduta davanti al televisore, ipnotizzata da un vecchio film di spaventapasseri-cow boy, e non sembrava sentire la neces-

sità di alzarsi e di andare a nanna… Gellindo passò di casa in casa per tutto il Villaggio e dovette giungere alla conclusione che anche quella seconda notte nessuno spauracchio avrebbe dormito. Quindi, il giorno dopo tutti sarebbero stati doppiamente stanchi, doppiamente nervosi, doppiamente irritabili! Lo scoiattolo aveva bisogno di riflettere e andò a sedersi sull’orlo della fontana in piazza. Sorseggiò un goccio di caffè, lasciò che la lunga coda si bagnasse nell’acqua e accese la pila per guardarsi attorno quand’ecco… “E questo cos’è?” esclamò Gellindo, cogliendo dal pelo dell’acqua un ciuffo di peli grigi. Afferrò il ciuffetto, lo avvicinò alla pila, lo guardò da vicino e… “Sembrano capelli, lunghi capelli sporchi e unti… Sporchi?!? Unti?!? Per mille scoiattoli addormentati: ma questi sono capelli di strega!” Gellindo saltò giù dal bordo della fontana e sventagliò in giro la pila in cerca di altri indizi. Di lì a poco trovò un secondo ciuffo di capelli sporchi sulla stradina che saliva al Bosco delle Venti Querce, e il nostro investigatore andò in quella direzione. Giunto nel cuore del bosco, sul sentiero che andava verso la Palude dei Vampiri Striscianti trovò degli altri capelli… e si mise a correre in direzione della palude. Arrivò ben presto sulle rive del laghetto e fin da lontano vide un’ombra


di strega che saltellava urlando sulla spiaggetta. Lo scoiattolo si nascose dietro un cespuglio di noccioli e stette in ascolto. – Mia bella Luna ti ringrazio – stava canterellando la strega, – per avermi permesso anche quest’anno di mangiare il sonno degli spauracchi! Eh! Eh! Eh!... Miei poveri spaventapasseri, per sette notti dovrete sopportare strega Gran Gracchia… Ah! Ah! Ah!... Mi ciberò del vostro sonno e per nove anni, nove mesi, nove settimane e nove giorni sarò sazia e vi lascerò in pace! Ecco chi era la causa del furto di sonno! La terribile strega Gran Gracchia, Gellindo la conosceva per fama, che si faceva viva solo di tanto in tanto per rubar il sonno alle creature infelici della Valle di Risparmiolandia… Ma quella sera la strega aveva deciso di raccontar tutto e continuò a chiacchierare rivolta allo spicchio di luna… – Se sapessero, quegli sciocchi spaventapasseri, che basterebbe sorprendermi a mezzanotte in punto addormentata all’ombra di un maggiociondolo fiorito! Sarebbe sufficiente svegliarmi di soprassalto e farmi bere una tazza di the d’erba medica e io svanirei come strega, sparirebbero tutte le mie perfidie e le malvagità per cui sono famosa… Sarebbe la fine di Gran Gracchia e la pace tornerebbe per sempre al Villaggio, ma soltanto io conosco queste cose… solo io e te, mio bello spicchio di Luna, sappia-

mo dell’incantesimo del the d’erba medica… Ah! Ah! Ah! A quel punto la cattiva si accoccolò sulla riva della palude, si calò il cappellaccio sugli occhi e s’addormentò all’istante, cominciando a russare con un rumore sferragliante che assomigliava a quello del sega di un boscaiolo. Gellindo, dal buio del cespuglio di noccioli, aveva seguito ogni gesto della malvagia e ascoltato ogni parola: adesso sapeva tutto! Sapeva chi era il responsabile del furto di sonno ai danni degli amici spauracchi, ma conosceva anche il modo per liberarsi una volta per tutti dalla presenza di quella strega cattiva. A mezzanotte in punto… …la strega addormentata sotto un maggiociondolo fiorito… Un semplice the d’erba medica e… Plufff!... Basta strega, basta incantesimi e, soprattutto, basta sonno rubato! Pareva tutto semplice, ma Gellindo ben presto s’accorse che c’erano alcune difficoltà alle quali non aveva pensato. Tornò di corsa al Villaggio illuminando la strada con la pila e, giunto in piazza, chiamò a gran voce tutti gli spaventapasseri, che accorsero all’istante: tanto, nessuno di loro stava dormendo! – Allora – disse lo scoiattolo rivolto ai suoi amici spauracchi: – Ho capito tutto!


– Hai capito… cosa? – domandò Casoletta tra uno sbadiglio e l’altro. – Ho scoperto l’autore dei furti di sonno… è strega Gran Gracchia… – Quella mascalzona impenitente! – esclamò Lingualunga balzando in piedi – Avremmo dovuto capirlo subito che si trattava di lei… Ogni tanto si fa viva, quella cattiva, e allora son sempre guai! – Già – lo interruppe Gellindo, – però ho anche scoperto come liberarci per sempre di lei e delle sue stregonerie! Basta sorprendere la strega addormentata all’ombra di un maggiociondolo fiorito, svegliarla all’improvviso e farle bere una tazza di the all’erba medica. Tutto qui, credetemi! E allora statemi a sentire, dobbiamo dividerci i compiti. La prossima notte Quantobasta, Dindondolo, Abbecedario e Pagliafresca andranno sulla riva della Palude dei Vampiri Striscianti e vi troveranno Gran Gracchia nel mondo dei sogni. La solleveranno senza svegliarla e piano piano la porteranno in spalla fino all’orto di Tisana la Dolce. Tu ce l’hai un maggiociondolo, vero, Tisana? – Certo, molto bello e anche grande… però… – Però che cosa? Ce l’hai o non ce l’hai, questa pianta? – Ti ho detto di sì – rispose Tisana la Dolce stropicciandosi le mani nervosa, – però, come dice il suo nome, il maggiociondolo fiorisce solo nel mese di maggio… e noi adesso siamo

in settembre! – Oh santo cielo, e adesso come facciamo? Non possiamo aspettare il prossimo maggio – esclamò lo scoiattolino, che ci pensò su alcuni istanti prima di urlare saltellando felice: – Ci sono! Ho trovato! Imbroglieremo il maggiociondolo! – Il “mio” maggiociondolo? – piagnucolò Tisana spaventata. – E cosa volete fargli? – Abbiamo tutta la giornata di tempo per costruire una serra, per accendere alcune lampade e anche un fornello… Faremo in modo che al maggiociondolo sembri d’essere in maggio e la cosa è fatta: entro sera sarà fiorito da cima a fondo! Lavorarono per tutto il giorno, gli spaventapasseri, malgrado gli occhi pesanti e assonnati, e la sera, poco prima della mezzanotte, il maggiociondolo era uno splendore di fiori gialli, che parevano tante stelline imprigionate nella serra illuminata e riscaldata. Solo quando giunsero Quantobasta, Dindondolo, Abbecedario e Pagliafresca che portavano in spalla la strega Gran Gracchia, recuperata sulle rive della Palude dei Vampiri Striscianti, le luci della serra vennero spente e la perfida fu deposta ai piedi della pianta in fiore. Gellindo Ghiandedoro contò uno… due… tre… quattro e… cinque… Saltò addosso alla strega e la svegliò tirandole i lunghi capelli grigi e sporchi. – Ehi, ma che succede! – berciò la


vecchia con voce roca e aspra. – Vuoi lasciarmi stare, brutto scoiattolo della malora? Che vuoi… cos’è quella tazza? – Bevi, Gran Gracchia! – strillava intanto Gellindo, cercando di appoggiare l’orlo della scodella alle labbra secche della strega. – Bevi questo the e assaggia quant’è buono! The d’erba medica: il miglior the di Tisana la Dolce! Bastarono alcune gocce di bevanda tiepida perché la strega si calmasse all’istante. – Buono, questo the – mugolò la vecchia con voce improvvisamente dolce e buona. – Lo posso bere tutto? Non attese risposta e… glu… glu… glu… lo bevve d’un fiato. E la strega svanì! Cioè, sparirono i lunghi capelli grigi, unti e sporchi, sparirono uno dopo l’altro il naso bitorzoluto, le labbra secche, i denti rotti e gialli, gli occhi sottili e malvagi, le mani nodose e la gobba sulla schiena… Svanirono nel nulla anche il capellaccio e i vestiti da strega, sostituiti da una cuffietta e da abiti normali da spaventapasseri d’una certa età… Sparì la perfida, insomma, ma Gran Gracchia no: quel che era stata una strega, adesso era diventata una vecchina dolce e deliziosa, sorridente anche se senza denti, con i capelli riuniti a crocchia sulla nuca e uno scialle di lana ricamato a fiori sulle spalle. – E tu chi saresti? – domandò Caso-

letta. – Oh, il mio nome non è cambiato, sono sempre Gran Gracchia – rispose la donna anziana tirandosi faticosamente in piedi, – ma non sono più la cattiva strega che non dormiva mai e che era costretta a rubarvi il sonno ogni nove anni, nove mesi, nove settimane e nove giorni! Basta: adesso sono tornata ad essere una normale spauracchia, una vecchietta che cerca un orticello in cui vivere tranquilla, senza far del male a nessuno, men che meno ai miei amici spaventapasseri. Fu così che Gran Gracchia si fermò a vivere per sempre nel nostro Villaggio: le venne regalato un campicello di patate e lì si abituò a vivere. Di giorno intratteneva gli spaventapulcini raccontando loro le sue straordinarie avventure di quand’era strega; la notte… be’, la notte la vecchierella non riusciva a dormire – qualcosa della sua precedente vita le era rimasto appiccicato addosso, che volete farci? – e quindi vigilava sulla tranquillità del Villaggio e sul sonno dei suoi nuovi amici. Anche quella volta l’investigatore privato Gellindo Ghiandedoro aveva risolto un complicato mistero: una quisquiglia, però, in confronto a quel che lo aspettava! Se volete sapere quale altro terribile mistero attende il nostro scoiattolino risparmioso, correte subito al prossimo capitolo”



Giallindo 2:

I saltimbanchi del capitano Giòns


Non perdetevi lo spettacolo dei SALTIMBANCHI DEL CAPITANO GIÒNS Acrobazie e Giocolerie all’aperto, Maghi prestidigitatori, Pagliacci e Mangiafuoco, Gemelli volanti e Contorsionisti… I SALTIMBANCHI DEL CAPITANO GIÒNS vi aspettano questo pomeriggio in piazza SPETTACOLO A OFFERTA Era impossibile non venirlo a sapere, visto che quel sabato mattina vennero trovate decine e decine di volantini appesi da mani sconosciute su tutte le case del Villaggio degli Spaventapasseri. – Hai visto che è arrivato il circo? – disse Bellondina sedendosi sulla panchina accanto al suo amico Gellindo Ghiandedoro. – È un circo in piccolo, però, quello dei saltimbanchi del Capitano Giòns – rispose lo scoiattolo sgranocchiando una ghianda. – È un circo senza tendone e senza animali, che si fa in piazza o sulla strada… – Meglio così: a me non piacciono i domatori che obbligano gli animali a far cose insulse come applaudire con le zampe, fare l’inchino al pubblico oppure correre in cerchio come dei matti! Comunque ci vieni, questo pomeriggio, in piazza a vedere i saltimbanchi? – Come no! A me son sempre piaciuti i mangiafuoco e i contorsionisti…

Gellindo stava ancora chiacchierando con Bellondina, quando dalla Famiglia Cooperativa si alzò un urlo disumano. Era il povero Caramella che strillava come un ossesso: – Al ladrooo! Aiuto, mi hanno derubato! Correte… prendeteloooo! Al Ladroooo! Contemporaneamente dalla Cioccolateria venne un secondo urlo. Questa volta era Casoletta: – Aiutooo! Aiutooo! Al Ladrooo! Qualcuno venga ad aiutarmi… sono stata derubataaaa! Aiutooo! Di solito il Villaggio degli Spaventapasseri era un luogo tranquillo: non era quasi mai successo che la calma venisse interrotta dalle urla di qualcuno che era stato derubato. Che i ladri, poi, fossero addirittura due ed entrambi in azione nello stesso istante, era una cosa da non crederci! – Bellondina, tu corri da Casoletta, mentre io vado a sentire quel che è successo a Caramella! – strillò Gellindo, saltando giù dalla panchina e correndo in direzione della Famiglia


Cooperativa. – Era un tipo piccolino vestito di rosso – farfugliò Caramella agitato e sudato, – con una calza sul viso: è entrato di corsa, ha arraffato soprattutto dolciumi, biscotti e caramelle, pasticcini e pan dolce… Ha infilato tutto in un sacco ed è fuggito in direzione della discarica del Villaggio! In quel momento entrò nel negozio Casoletta: – Anche il mio ladro era mingherlino e con pantaloni e camicia rossi… È entrato di filato nella Cioccolateria a volto coperto, ha messo in un sacco cioccolatini e bignè, biscotti freschi e spumiglie ed è scappato prendendo la strada che scende alla discarica! Gellindo guardò perplesso Casoletta e Caramella, poi anche Bellondina e tutti gli spaventapasseri accorsi alle urla degli amici: – Secondo voi com’è possibile che lo stesso ladro rubi contemporaneamente il pan dolce a Caramella e i cioccolatini a Casoletta? In due botteghe diverse, che stanno la prima da una parte e la seconda dall’altra del Villaggio? – Se è per questo – disse a quel punto Casoletta, – il “mio” ladro zoppicava un po’ con la gamba destra! – Adesso che me lo dici, anche il “mio” trascinava la gamba destra e portava due guanti azzurri! – aggiunse Caramella – I guanti… sì! Certo: anche il ladro della Cioccolateria aveva i guanti… ed erano proprio azzurri! – sussurrò

sconsolata la povera Casoletta. Gellindo cominciò allora ad andare avanti e indietro, sbuffando nervoso. – Ma com’è possibile: un furto qui e un furto là, alla stessa ora, allo stesso minuto, praticamente allo stesso secondo! Un ladro qui e il medesimo ladro là, vestiti nell’identica maniera, con un sacco uguale e affamati praticamente delle stesse cose! Non è possibile, lo capite anche voi! Qualcosa di strano, però, rodeva in fondo al cuore del nostro scoiattolo “investigatore privato”: era un particolare che Gellindo sapeva d’aver visto, ma che proprio non riusciva a ricordare. – Fatemi uscire, ché devo prendere un po’ d’aria… qui dentro si soffoca e non riesco a pensare come vorrei! All’aperto, però, le cose non migliorarono: gli spaventapasseri s’erano radunati davanti alla Famiglia Cooperativa e commentavano i due misteriosi furti chiacchierando spensierati ad alta voce. – Hai sentito che il ladro di Casoletta “non” ha rubato i pasticcini al limone? – L’avevo detto, io, che mettere il limone nei dolci era una cosa insensata! – E invece il ladro di Caramella ha rubato tutta tutta tutta la liquirizia che c’era nel negozio! Dev’essere un goloso, quel malandrino… – Certo però che… proprio oggi dovevano mettersi a rubare? – Perché? Cosa c’è di particolare, oggi?


– Ma non hai letto i volantini che sono appesi in giro? Ci sono i saltimbanchi! I Saltimbanchi del Capitano Giòns, questo pomeriggio in piazza, ma penso che non se ne farà nulla. Con due furti misteriosi come questi, avremo cose più urgenti a cui pensare, altro che divertirci coi pagliacci e i mangiafuoco… Gellindo aveva ascoltato parola per parola quell’ultima frase, perché finalmente s’era fatta un po’ di luce in fondo al cuore: quel particolare che non gli veniva in mente, adesso ne era convinto, aveva a che fare con i Saltimbanchi del Capitano Giòns! – Scusa, Abbecedario, mi andresti a prendere uno di quei volantini appesi ai muri delle case? Quelli del circo in piazza… Grazie! Allora, adesso leggiamo quel c’è scritto: i Saltimbanchi del Capitano Giòns, acrobazie e giocolerie in piazza… va bene, fin qui non c’è problema… poi maghi prestidigitatori, pagliacci e mangiafuoco… Ecco! Guardate qui… leggete bene! “I Gemelli volanti”! – Gellindo si guardò in giro, e vide solo sguardi perplessi e interrogativi. – Ma sì, amici: i ladri di dolciumi, anche se sono vestiti allo stesso modo e sembrano la stessa persona, in realtà sono due… gemelli! Sono i Gemelli volanti del Capitano Giòns! Il mistero era stato svelato, tutti se ne resero conto con un generale sospiro di sollievo, ma… – E adesso che si fa? – domandò Casoletta.

– Si fa che andiamo tutti da questo Capitano Giòns per vedere se lui ne sa qualcosa! – rispose lo scoiattolo, prendendo Bellondina e Abbecedario per mano e avviandosi verso la discarica del Villaggio. Uno alla volta, tutti gli altri spauracchi seguirono il loro investigatore privato che andava in cerca di verità e di giustizia! I due carrozzoni della compagnia dei Saltimbanchi del Capitano Giòns erano parcheggiati nello spiazzo davanti alla discarica, proprio vicino alla casetta in cui abitavano le due pantegane di campagna Ratto Robaccio e Lilli Spatoccia. Anzi: i due topoloni erano seduti sul tavolo all’aperto e stavano ingozzandosi di biscotti e cioccolatini, di bigné e pan dolce, in compagnia di un tipaccio che al solo vederlo metteva i brividi. Grande e grosso come una montagna di lardo, lo sconosciuto aveva un barbone nero che gli arrivava fino a metà del petto, due braccia pelose grosse come tronchi di quercia, un paio d’occhi scuri, torvi e cattivi, e il naso a patata rosso come una ciliegia matura! – Robaccio – berciò quell’individuo, pulendosi una macchia di crema dalla giacca nera, – sbaglio o vedo arrivare un gruppo di spaventapasseri guidati da uno scoiattolo? Ma che mondo è mai, questo? – Sono tutti amici, Giòns, non preoccuparti… Gruppp! – rispose il ratto


con un ruttino. – Lo scoiattolo si chiama Gellindo e gli altri sono tutti spaventapasseri inoffensivi... Gruppp! – Pensa che i loro più grandi amici sono proprio i passerotti dei dintorni! Eh! Eh! Eh! – sghignazzò Spatoccia. – Ciao Lilli… Ciao, Robaccio – disse Gellindo quando fu all’altezza del tavolo ingombro di dolci d’ogni tipo. – Mi volete presentare? – Già fatto – rispose Lilli Spatoccia. – Abbiamo già detto chi sei al nostro amico, il simpatico Capitano Giòns! – E così lei è il capo dei saltimbanchi – disse Gellindo mettendosi in posizione di sfida, coi pugnetti ben chiusi sui fianchi. – Più che capo – rimbombò la voce rauca di quel bestione con la barba, – io sono il “padrone” dei saltimbanchi… Sono il proprietario dell’acrobata e giocoliere Augusto, del pagliaccio Ambrogio e del mangiafuoco Vulcano, del Mago Arturo e di Elisir, la bella contorsionista… – Mi pare che all’appello ne manchino due, di saltimbanchi, vero? – Dici? Allora… Augusto, Ambrogio, Vulcano, Arturo, la piccola Elisir… Oh certo… Ah! Ah! Ah! Mancano i due gemelli volanti, Agenore e Baricentro, i maghi del volo, le due libellule che saltano più in alto dei canguri e delle gazzelle… Eh! Eh! Eh! – È proprio con loro due che avrei bisogno di parlare, signor Giòns. – Con Baricentro e con Agenore? E perché, poi? – mormorò il gigante pie-

gandosi sullo scoiattolo e parlandogli in un orecchio. – Mi vuoi dire, piccolino, per quale motivo hai bisogno dei due gemelli violanti? Hai forse voglia di imparare a volare? A quello posso pensarci io: basta uno dei mei ceffoni e voli fino in Cina! Ih! Ih! Ih! – Dai, Giòns, non fare così – intervenne Ratto Robaccio, preoccupato per come si stavano mettendo le cose. – Gellindo è mio amico e voglio che sia trattato bene anche dai miei amici! – Sia ben chiaro – esclamò Giòns alzando la voce e facendo arretrare di due metri tutti gli spauracchi, – che io non sono affatto amico di queste due pantegane che puzzano più della discarica qui di fronte, perciò con questo scoiattolo posso fare quel che voglio… – E swiiimmmm… il terribile ceffone partì… ma il terribile ceffone non arrivò mai a destinazione! Gellindo fu più veloce, infatti: piegò d’istinto la testa e la manaccia di Giòns gli sfiorò appena i peli impomatati della testa. – Capitano Giòns, lascia stare quel povero scoiattolo! Erano state due voci in coro, a parlare: due voci che appartenevano ad Agenore e a Baricentro, i gemelli volanti vestiti di rosso che uscirono dal carrozzone più vicino. Erano veramente magri, i ladruncoli: magri e deboli. Vennero avanti zoppicando entrambi dalla gamba destra e fronteggiarono il loro padrone. – Cosa vi salta in testa, disgraziati! – strillò Giòns alzando la mano sui due


gemelli. – Tornate nel vostro carrozzone assieme agli altri. Non voglio vedervi qui fuori! Sparite! Agenore andò barcollando a sedersi accanto a Spatoccia. – Scusami, Lilli, ma sono proprio stanco. E da tre giorni che non mangiamo… – Vuoi un biscottino? – disse la pantegana intenerita. – Lascia giù quel biscotto! – sbraitò Giòns con due occhi rossi di rabbia. – Decido io quando mangiano, i miei saltimbanchi, e quando invece devono far dieta per mantenersi in forma! – Giòns – mormorò quasi piangendo Baricentro, – tu però ci stai facendo morir di fame! Non solo: ci torturi, anche, mandandoci qui e là per i negozi a rubacchiar dolci e cioccolatini… – I dolci ingrassano – ribatté il mostro di cattiveria, – e se voi gemelli ingrassate, che salti fate, poi? Altro che gazzelle e libellule: mi diventate degli ippopotami pigri e lenti! Finalmente Gellindo riprese coraggio dopo il mancato ceffone e… – Ma allora è colpa tua, Capitano Giòns! Hai obbligato tu Agenore e Baricentro a rubare alla stessa ora alla Famiglia Cooperativa e alla Cioccolateria! E il bottino non lo hai nemmeno diviso con loro e con i loro amici saltimbanchi: te lo sei tenuto tu, invitando a pranzo solo Ratto Robaccio e Lilli Spatoccia! – Gellindo – intervenne a quel punto Robaccio, – sia chiaro che Lilli ed io non c’entriamo! Noi non sapevamo… non potevamo sapere… Guarda Age-

nore, prendi questo cioccolatino, anzi: mangiali tutti. Sono tuoi e di tuo fratello… sono per tutti i saltimbanchi chiusi nei due carrozzoni! Lo scoiattolo si girò a guardare le due carrozze ferme sotto al sole e fece un cenno d’intesa a Quantobasta. Lo spaventapasseri farmacista corse ad aprire le porte e fece uscire uno dopo l’altro i poveri saltimbanchi, tutti magri, accaldati e affamati: l’acrobata Augusto, il pagliaccio Ambrogio e il mangiafuoco Vulcano, il Mago Arturo ed Elisir, la bella contorsionista… Gli spauracchi si fecero subito intorno ai saltimbanchi, offrendo loro dolcetti e biscotti, cioccolatini e pan dolce… – Mangiate, su… dovete riprendere le forze e d’ora in poi ci saremo noi a difendervi e a proteggervi! E accadde proprio così: i saltimbanchi si fermarono al Villaggio tre mesi, nel corso dei quali recuperarono le energie, ma anche l’allegria e la voglia di vivere, grazie agli ottimi pranzetti di mamma Pasticcia e di Casoletta, ma soprattutto per merito dell’affetto che tutto il Villaggio gli dimostrò. E il Capitano Giòns? Quel mostro di malvagità sparì dalla circolazione, inseguito dai rimproveri di Gellindo e dalla fama di cattivo che non lo lasciò più. Mi dicono che è andato a rintanarsi in fondo a una vecchia miniera nel paese di Chissaddove, lontanissimo da dove abitiamo noi e da dove abitano i nostri amici spaventapasseri.



Giallindo 3:

Abbaso la Squolla... non volliamo gli maestri!


Abbaso la Squolla! – Bisogna proprio dire che in giro ci sono ancora molte persone ignorantelle, vero? – commentò Maestro Abbecedario grattandosi pensieroso il mento. – Chi ha scritto questo, però – commentò Gellindo Ghiandedoro, – li batte tutti di gran lunga! Quattro errori in una frase di tre parole è praticamente un record! Raccontami cos’è successo. Abbecedario si sedette sulla panchina del parco giochi della Scuola e cominciò a parlare. – Stamattina mi sono svegliato come sempre dopo l’alba, ho fatto colazione, mi sono vestito e sono uscito per andare nell’orto dietro la scuola a togliere un po’ d’erbacce e a dar acqua all’insalata. Appena mi sono girato per aprire il rubinetto dell’acqua, ho visto questa frase sul muro, scritta con una bomboletta spray color rosso fuoco. – Qualche sospetto? – Non mi pare… – Uno spaventapulcino a cui è andato male il compito di matematica? – A parte che i miei alunni non farebbero mai questi erroracci di ortografia, no… nessun tema di matematica, nessuna interrogazione, nessun bisticcio… No no: dev’esser qualcuno di fuori… magari qualche spauracchio del Villaggio… Gellindo ci pensò sopra alcuni istanti, poi scrollò la testa: – Nooo, li conosciamo tutti, gli spaventapasseri,

e tutti tutti tutti sono orgogliosi della loro scuola. A nessuno verrebbe mai in testa di scrivere una frase del genere, sporcando poi un’intera parete che ci vorranno due settimane di lavoro per cancellarla! – Non resta che pensare ad una persona da fuori, qualcuno che non è del Villaggio… – E in questo caso sarà difficilissimo scoprire chi sia… – concluse lo scoiattolo “investigatore privato”. – Sai che ti dico? – Dimmi! – Io una mezza idea ce l’avrei! Abbecedario si girò a guardare l’amico: – Vuoi dire che solo guardando quella scritta, t’è venuto in mente chi può essere il colpevole? – Ascoltami: prova a pensare a qualcuno che conosci molto bene e che, dopo aver scritto sul muro “Abbaso la Squolla” è convinto di non aver fatto nemmeno un errore di ortografia. Pensaci bene, su! Chi ti viene in mente? Il Maestro aggrottò la fronte e si spremette le meningi, socchiudendo gli occhi per lo sforzo. Poi, all’improvviso, una lampadina si accese sopra la sua testa, le rughe si spianarono e un gran sorriso gli si disegnò sulle labbra: – Non dirmi che… che è stato… – Se stiamo pensando alla stessa persona, amico mio – esclamò Gellindo Ghiandedoro, – allora andiamo a


controllare assieme! Ratto Robaccio quella mattina se ne stava sdraiato su una vecchia poltrona davanti a casa sua, in attesa che si levasse il sole e che cominciasse l’orario di lavoro in discarica. Sbocconcellava distratto un tòrsolo di mela canterellando sottovoce, quando vide Gellindo e Abbecedario scendere di corsa dalla stradina che portava al Villaggio. – Ehilà, amici – esclamò Robaccio balzando in piedi e gettando via quel che restava del tòrsolo, – qual buon vento vi porta fra le immondizie? – Veniamo subito al dunque, Ratto – esclamò Gellindo stranamente serio in volto. – Tu per caso tieni in casa una bomboletta di spray color rosso? – Uno spray rosso? – chiese la pantegana, digerendo con un ruttino la mela mangiata poco prima. – Non mi sembra… Cioè, così sui due piedi dovrei rispondere che no, non ho nessuna bomboletta spray, men che meno di color rosso. Ma perché lo volete sapere? – Di questo parleremo dopo – ribatté lo spauracchio maestro. – Possiamo controllare in casa? – Ma certo, fate come volete, tanto Lilli Spatoccia non c’è… È andata a far visita alle sue amiche pantegane giù in città… Ritorna dopodomani! Non impiegarono molto tempo, lo scoiattolo e Abbecedario, per trovare quel che cercavano: in una grossa scatola di cartone piena fino all’orlo di

palloni sgonfi, ruote di bicicletta senza raggi, sacchetti di plastica vuoti, lanterne senza vetro, cacciaviti spuntati e cappelli sfasciati, trovarono una bella bomboletta spray di color… rosso! – E questa da dove viene? – chiese Gellindo, guardando diritto negli occhi l’amico Robaccio. – E cosa vuoi che ne sappia – rispose il topo con voce tremante. – Forse è sempre stata lì… oppure l’ha trovata Lilli in discarica e l’ha portata a casa senza dirmelo… Forse è stato il piccolo Liquirizio… gli piace tanto dipingere a quel topolino… ma perché mi guardate in quel modo? Cosa sono quegli sguardi seri? Ho… ho combinato forse qualcosa di brutto? – È successo, caro il mio Robaccio – disse lo scoiattolo scandendo ben bene ogni sillaba, – che qualcuno stanotte e di nascosto ha scritto sul muro principale della Scuola di Abbecedario “Abbasso la Scuola”, cioè, a dire il vero ha scritto “Abbaso la Squolla” con la “esse-qu”, usando una bomboletta spray… – …di color rosso! – concluse il maestro. Ratto Robaccio ci pensò sopra un lungo minuto e poi… – Se pensate che sia stato io, vi sbagliate! – disse con un sorriso e con un sospiro di sollievo. – E perché ne sei così sicuro? – Perché l’autore di quella frase non sa scrivere bene: io avrei scritto “Abbaso la Scquola” con la “esse-ci-qu” e


non con la “esse-qu”! Gellindo guardò Abbecedario e scosse la testa; Abbecedario guardò Gellindo e si mise le mani nei capelli. – Adesso noi ce ne andiamo, Robaccio – esclamò a quel punto lo scoiattolo. –Rimettiamo la bomboletta nella scatola e ti salutiamo. Ciao! Quella notte Gellindo Ghiandedoro e Abbecedario si nascosero dietro la porta della Scuola e rimasero in attesa. A mezzanotte scoccata da poco, un’ombra si staccò dal buio della strada, aprì il cancelletto della scuola, si avvicinò al muro già imbrattato di rosso, prese rapido da tasca una bomboletta e scrisse veloce come un fulmine una seconda frase…

Non volliamo gli maestri! …pure quella piena zeppa di errori d’ortografia. Abbecedario e Gellindo uscirono di corsa dal loro nascondiglio, ma ormai il danno era fatto per la seconda volta. Accesero allora la luce dell’ingresso, illuminarono il colpevole ed ebbero ahimè la conferma dei loro sospetti. – Ratto Robaccio!! – strillarono. – Allora sei proprio tu il colpevole! – piagnucolò lo scoiattolino con una vena di tristezza nella voce. – Signor Robaccio – esclamò invece il maestro con la voce che tremava per la rabbia, – lei ha tradito la fiducia del Villaggio, lei ha tradito la nostra amici-

zia, lei… lei… Ma perché non risponde? – concluse rivolto a Gellindo. Si fecero più sotto e s’accorsero subito che c’era qualcosa che non andava, nel loro amico. Gli occhi di Ratto, infatti, erano sbarrati, tondi e vuoti… senza alcuna espressione… Guardavano nel buio come se non vedessero nulla, solo il nero della notte! Gellindo Ghiandedoro capì subito: – Sembra che Robaccio sia stato ipnotizzato! – Ipnotizzato? – Abbecedario non credeva alle proprie orecchie. – Ipnotizzato e… perché? da chi? Come facciamo a svegliarlo? – Di solito si fa così, no?! – esclamò Gellindo, che mollò due schiaffetti sulle guance della pantegana. – Ehi… Ohi… Ahiaaa! – farfugliò Robaccio svegliandosi e massaggiandosi le guance. – Perché mi prendete a schiaffi? Cosa ci faccio, qui? Perché non sono a casa mia a dormire? – E io invece ti chiedo perché hai scritto questo… – strillò Abbecedario indicando la scritta “Non volliamo gli maestri!” – …dopo aver scritto la notte scorsa questo! – continuò puntando il dito sull’altro scarabocchio “Abbaso la Squolla!” Ratto Robaccio lesse, si strinse nelle spalle e si girò a guardare gli amici. – Credetemi, io non ne so nulla! D’accordo, mi avete sorpreso mentre scrivevo quelle parole piene di errori… secondo me “volliamo” si scrive con una “elle” e “maestri” con la “di”, “mae-


sdri”…, ma io non me lo ricordo. So solo che il mio amico Sillabario, questa sera, è venuto a trovarmi dopo cena e… – Cosa hai detto? – urlò maestro Abbecedario strabuzzando gli occhi. – Ho detto che il mio amico Sillabario… – E tu come fai a conoscere Sillabario? – strillò l’anziano spauracchio. – L’ho conosciuto due giorni fa: s’è presentato a casa mia quando Lilli era appena partita per andare dalle sue amiche in città… Mi ha chiesto un boccone da mangiare, un goccio d’acqua da bere e abbiamo chiacchierato del più e del meno. È simpatico, Sillabario: lo sai, Abbecedario, che è più giovane di te, ma ti assomiglia un poco? – E certo che mi assomiglia: è mio fratello! Gellindo ebbe un balzo al cuore. Ratto Robaccio ammutolì per la sorpresa. Abbecedario, per parte sua, si mise una mano sulla fronte sudata e respirò a fondo. – Tuo fratello? – Lo scoiattolo e la pantegana urlarono in coro. – Tu hai un fratello che si chiama Sillabario – proseguì Gellindo parlando da solo, – e non lo hai mai detto a nessuno? Abbecedario abbassò gli occhi a guardarsi la punta delle scarpe e si stropicciò nervoso le mani. – Ecco, Sillabario è il mio fratellino minore, più giovane di dieci anni: da piccolo era un bravo spaventapulcino, diligente e studioso proprio come me. Insomma: eravamo la gioia dei nostri genitori…

Poi un giorno… – Poi un giorno mi sono stufato di essere l’ombra del mio fratellone più grande – esclamò uno spaventapasseri che entrò dal cancelletto aperto. Sembrava uscito da una fotografia di Abbecedario scattata dieci anni prima: stesso volto, stessa bombetta in testa, stessa giacca grigia a righine bianche e stessa cravatta gialla. – Mi sono stufato e sono scappato di casa. – Mamma ha pianto per tre mesi, giorno e notte – sussurrò Abbecedario con le lacrime agli occhi. – E papà ti ha cercato per mari e per monti… – Sono scappato per non vederti più – sibilò cattivo Sillabario. – Abbecedario è il più bravo… Abbecedario è il migliore… Abbecedario sì, che farà strada nella vita… perché non impari da tuo fratello Abbecedario? Perché non fai come lui? Perché non sei come lui? È vita, questa, secondo voi? – esclamò Sillabario con le lacrime agli occhi… – E così hai aspettato fino ad oggi, per vendicarti. – Era stato Gellindo a parlare. – E per farlo, hai messo in mezzo il povero Ratto Robaccio… – No – disse sottovoce Sillabario, – no, io non voglio vendicarmi. Dopo anni e anni passati a lavorare nei circhi e nelle fiere a ipnotizzare la gente per due soldi, volevo solo che Abbecedario si accorgesse di me! Volevo solo che Abbecedario tornasse a volermi bene come si vuol bene a un fratello più piccolo! Solo per questo ho ipno-


tizzato la pantegana, ordinandole poi di scrivere quelle brutte cose sul muro della scuola. Perché poi io sarei intervenuto, avrei ripulito quegli scarabocchi, mi sarei presentato e Abbecedario mi avrebbe finalmente accettato come fratello! Il vecchio maestro stava piangendo come una vigna ferita: fece due passi, si avvicinò a Sillabario e lo abbracciò. – Ma tu non hai bisogno di queste brutte cose, per farti voler bene! Tu sei mio fratello e basta! Un fratello che pensavo di aver perso per sempre, e che invece adesso è qui con me, a casa mia… E che da qui non se ne andrà tanto facilmente! Anche quest’avventura, cari miei, finì con una grande festa, alla quale venne invitato tutto il Villaggio. Ospiti d’onore furono Sillabario e Ratto Robaccio, che spiegò in lungo e in largo a tutti quelli che incontrava che cosa avrebbe scritto lui, sul muro della scuola, se solo non fosse stato ipnotizzato. – “Scuola” si scrive con la “ci-qu” e “maestri” con la “di”, così si scrive! Al termine Abbecedario chiese silenzio e volle Sillabario e Gellindo accanto a sé. – Mio fratello ha sbagliato, adesso lo sa anche lui: ha sbagliato a fuggir di casa e ha sbagliato a imbrattare e a rovinare le cose degli altri, e per questo pagherà. Da domani, aiutato da Ratto Robaccio, ripulirà il muro della scuola e lo ridipingerà come nuovo. Però…

però anche Gellindo ha qualcosa da dirvi. Lo scoiattolo “investigatore privato”, che aveva contribuito a risolvere anche quel mistero, si fece avanti e cominciò a parlare. – Se vogliamo dire tutta la verità, molti e molti anni fa sbagliò un poco anche Abbecedario, quando non prese le difese del suo fratellino e non lo aiutò a diventar grande come si deve. Ma a tutto c’è rimedio, perché tutto si può risolvere con la buona volontà e con un pizzico di generosità. Vi comunico allora che a partire da domani la Scuola del Villaggio ha finalmente un bidello come si deve. Toccherà a Sillabario tener pulite le aule e in ordine il parco giochi; controllerà che gli spaventapulcini non si facciano male e, magari, quando Abbecedario sarà occupato, farà anche il maestro supplente! Contento, Sillabario? – Cioè, vuoi dire che qualche volta sarò maestro anch’io? Come mio fratello? – E magari anche meglio di me! – lo incoraggiò Abbecedario con un gran sorriso. – L’avete mai visto un maestro che tiene buoni i suoi alunni… ipnotizzandoli? Ah! Ah! Ah! Un uragano di applausi e una cascata di “Bravo”… “Sei un mito, Sillabario!!”… “Sei grande!!!” concluse quella serata. Intanto all’ombra di un ciliegio Ratto Robaccio stava mugugnando tra sé: “Scuola con una “elle” o con due? No no, sono sicuro… con due!”



Giallindo 4:

Il mistero dei cucchiaini d ’argento


– Ci sono voluti sei mesi – mormorò Pasticcia, guardando Gellindo Ghiandedoro fisso negli occhi e tenendo una mano su una scatola chiusa, appoggiata al piano del tavolo. – Sei mesi per fare cosa? – chiese lo scoiattolo “investigatore privato”, cercando di indovinare che cosa poteva esserci in quella scatola. – Sei mesi a mangiare cioccolatini a colazione, pranzo, cena e perfino di notte, quando mi sveglio perché ho fame. Cioccolatini sempre della stessa marca “Spauraciokko... I cioccolatini preferiti dagli spaventapasseri!”. – E alla fine cos’hai ottenuto? Una bella indigestione da cioccolata con relativa nausea, vero? – No – esclamò Pasticcia cominciando ad aprire la scatola sul tavolo. – Cioè sì, un po’ di nausea m’è venuta, ma ho raggranellato anche duemilaottocentosettantacinque bollini della favolosa raccolta a punti “Premi spauracchi... I regali che desideravi!”… ed ho vinto dodici cucchiaini d’argento. Guarda! – disse la spaventapasseri aprendo orgogliosa la scatola. Gellindo diede un’occhiata a una serie di stupendi cucchiaini d’argento che luccicavano ai riflessi dorati della lampadina. Poi li contò… uno... due... tre... quattro... cinque... sei... sette... otto... nove!… – Ehi, ma qui ce ne sono soltanto nove! Non dovevano essere dodici – esclamò lo scoiattolo, guardando l’amica improvvisamente triste. – E per quale motivo pensi che ti

abbia chiamato, Gellindo? Solo per parlarti dei miei cioccolatini? Oppure dei Premi Spauracchi? Certo che mancano tre cucchiaini: Qualcuno me li ha rubati! – E quand’è successo? Pasticcia prese un cucchiaino d’argento e andò ad appoggiarlo sul davanzale della finestra aperta che dava sulla strada. – Ecco, appena Franco Bollo mi ha portato il pacco postale, l’ho aperto e subito mi sono messa a lavare i cucchiaini: li volevo belli puliti e splendenti per mostrarli alle mie amiche, a Casoletta, a Tisana la Dolce, a Bellondina e alle altre. Ho lavato il primo, l’ho asciugato e l’ho messo su questo davanzale; poi il secondo e quindi il terzo. Solo allora ho alzato gli occhi per controllare e… Oh no!! – strillò la povera spauracchia sbarrando gli occhi e mettendosi le mani nei capelli. – Cosa c’è da urlare a quel modo! – sbottò spaventato Gellindo, che subito s’accorse di quel che era accaduto. Il cucchiaino che Pasticcia aveva appoggiato poco prima sul davanzale della finestra aperta che dava sulla strada… era sparito! Volatilizzato! scomparso nel nulla… – No no no… – scoppiò a piangere Pasticcia, – non è possibile che il ladro sia entrato in azione sotto ai nostri occhi. Ma come ha fatto? Eravamo presenti tutti e due, nessuno ha lasciato questa stanza, abbiamo solo chiacchierato un po’ e Pluff! Sono rimasta con solo otto cucchiaini d’argento!


– Tanto per cominciare chiudi quella scatola! – le ordinò Gellindo, che con un balzo fu sul davanzale della finestra e guardò fuori. Non c’era nessuno sulla strada, ad eccezione di quattro spaventapulcini che giocavano nella piazzetta in fondo. Lo scoiattolo alzò gli occhi e vide solo il cielo sereno al tramonto in quella fine settembre tiepida e profumata. Dall’altra parte della stradina c’era l’orto di Tisana la Dolce e… – Andiamo da Tisana… forse lei può aver visto qualcosa! – disse lo scoiattolo, saltando giù dalla finestra e attraversando la strada con due balzi. La povera Pasticcia si strinse la scatola dei cucchiaini al petto e seguì l’investigatore che era appena entrato in azione. – Mi dispiace, ma non ho visto nessuno di particolare che gironzolava attorno alla casa di Pasticcia – disse Tisana la Dolce servendo un ottimo thè tiepido alla pesca. – Perché? Avrebbe dovuto esserci qualcuno? È successo qualcosa di brutto? A quel punto Pasticcia e Gellindo informarono l’amica del furto dei primi tre cucchiaini d’argento e di quello avvenuto cinque minuti prima praticamente sotto ai loro occhi. – Cucchiaini d’argento? – esclamò alla fine Tisana la Dolce aprendosi in un bel sorriso. – Cara la mia Pasticcia: io sono alcuni giorni ormai che ho eliminato da questa casa tutto ciò che

brilla, tutto ciò che è liscio e riflette la luce del sole o anche solo quella delle lampadine. Tutti gli oggetti che baluginano di giorno o di notte… PUFFF!... in questa casa spariscono all’istante: specchietti e forbicine nuove, fermagli e spille, coperchietti di latta e ditali, bottoni di metallo e monetine… Ho dovuto chiuderli nei cassetti e fuori tengo solo oggetti di legno, di stoffa o di ferro scuro! Gellindo guardava con occhi assenti la buona Tisana che stava spiegando il perché e il per come delle cose: il suo minuscolo cervello di scoiattolo era già in pieno lavoro, per cercare le risposte ai mille perché di quel mistero. – Mi lasci fare una prova? – disse ad un certo punto a voce alta, interrompendo l’amica che stava consolando la povera Pasticcia. – Fare una prova di che! – domandò Tisana riprendendo fiato. – Dammi una cosa che non ti interessa ma che luccica… – Questo bottone andrebbe bene? – disse la spauracchia, prendendo un bottoncino di metallo lucido dal fondo di un cassetto. – Perfetto! Adesso state a vedere. – Gellindo aprì la finestra, appoggiò il bottone sul davanzale, si girò e corse a nascondersi dietro a un paravento. Quindi allungò la testa per controllare il bottoncino di metallo lucido… che non c’era più! – Ma com’è possibile! – strillò lo scoiattolo.


– Qui c’è qualcuno che ci prende in giro! – rincarò la dose Pasticcia. – E il mio bel bottoncino, adesso, chi me lo dà di ritorno? – piagnucolò Tisana con le lacrime agli occhi. Non era possibile che qualcuno avesse rubato il bottone nei due secondi di tempo che Gellindo aveva impiegato per girarsi e raggiungere il paravento! Nessuno poteva essere così veloce, a meno che non avesse le ali ai piedi… Le ALI? A dire il vero fin dall’inizio c’era stata un’ideuzza che aveva cominciato a girellare pianin pianino nella testa di Gellindo. Un’idea che poi era cresciuta lentamente, facendosi strada in mezzo alle mille e mille altre cose che turbinavano nel cervello del nostro piccolo investigatore privato. Le ali di un uccello? – Lo sapete, amiche, che sono passati ormai tre anni da quando abbiamo cacciato Leandra? A quel nome Pasticcia impallidì di terrore e Tisana la Dolce arrossì di rabbia mal repressa. – Stai parlando proprio di quella Leandra lì? – mormorò sottovoce Tisana. – Della Leandra che conosciamo noi? La terribile… Gazza Ladra? – Ma pensateci un po’: chi, se non Leandra, è così veloce nel rubare qualcosa che luccica? – disse Gellindo. – Chi, se non Leandra, impazzisce quando da lontano vede un cucchiaino d’argento oppure un bottoncino di metallo lucido?

Dovete sapere che la gazza ladra Leandra era stata per molti anni il terrore del Villaggio: soprattutto delle povere spaventapasseri che dovettero rinunciare del tutto a spille e fermaglietti, a collanine e orecchini, ad anelli e ciondoli d’argento. Alla fine la tremenda gazza fu fatta prigioniera, rinchiusa in una gabbia e portata in piazza per essere sottoposta a processo. L’assemblea degli Spaventapasseri appositamente convocata decise che quello non era posto per lei. “Abbiamo deciso che devi andartene, Leandra! Gli spaventapasseri Pagliafresca, Lingualunga e RossoGialloVerde ti accompagneranno al di là delle montagne e ti lasceranno in un luogo da cui non dovrai mai più andartene!”. Da quel giorno erano passati tre anni, un tempo lunghissimo se ci pensate, più che sufficiente comunque per cancellare in tutti il ricordo della terribile gazza… In tutti, tranne che in Gellindo Ghiandedoro. – E adesso che facciamo? – chiese Pasticcia. – Io non mi ricordo nemmeno com’è fatta, questa Leandra – aggiunse Tisana scuotendo la testa sconsolata. – Tanto per cominciare – disse Gellindo con voce sicura, – dobbiamo scoprire dov’è andata a cacciarsi. Quando sapremo dove ha fatto il nido, potremo recuperare i cucchiaini d’argento di Pasticcia e il bottoncino di Tisana… Forza, andiamo a cercare Leandra!


Il villaggio intero, con l’aggiunta di Brigida la civetta, di Ratto Robaccio, Lilli Spatoccia e dell’oca Bernardina, si mise alla ricerca del nido di Leandra. Frugarono in ogni orto, salirono in cima a tutti gli alberi, si spinsero fino alla Palude del Vampiri Striscianti, ma di Leandra non trovarono traccia alcuna. – Se vogliamo trovare il luogo in cui abita – disse allora Gellindo, prendendo il comando delle operazioni, – dobbiamo far sì che Leandra rubi qualcosa di particolare e che ci conduca a casa sua… Che ne dite di una lunga catena fatta con fogli di carta colorata, appesa con un lunghissimo filo a un cucchiaino d’argento? – Sarebbe in quinto che mio sparisce – esclamò Pasticcia, – ma poiché tutto è partito da me… Il cucchiaio luccicante con la lunga coda colorata venne lasciato su una panchina in piazza e tutti gli Spaventapasseri corsero a nascondersi dietro i muretti, le porte di casa oppure i lampioni. Stavano ancora sistemandosi nei propri nascondigli, quando dal cielo calò veloce un uccello che con un frullo d’ali atterrò sulla panchina. Un lungo becco a punta prese il cucchiaino d’argento e due robuste ali si alzarono in volo srotolando in aria una lunghissima collana di carta colorata. – Forza! Seguiamo Leandra! – urlò Gellindo saltando fuori da dietro la fontana. – E cerchiamo di non farcela scappare! Leandra – perché ormai bisogna

considerarla una cosa ufficiale: la ladra era proprio lei! – si diresse diritta e tranquilla verso la discarica, sorvolò la casetta in cui abitavano Robaccio e Spatoccia e subito dopo la vecchia piscina di plastica azzurra in cui sguazzavano felici i tre panteganotti Liquirizio, Pancrazio e Rattina Glassé. Giunto al centro della discarica, l’uccello fermò le ali e si lasciò cadere proprio sopra una vecchia automobile scassata. La gazza ladra atterrò sul tettuccio e con due saltelli… Ti-Tick!… Ti-Tack!!... entrò nel vano motore e sparì. Gli occhi di Gellindo, però, sono molto buoni: lo scoiattolo, che aveva seguito da lontano l’atterraggio della ladruncola, individuò subito l’automobile scassata e la raggiunse con fare deciso. Con un salto entrò anche lui nel vano motore e… E Leandra se ne stava lì, accucciata sopra un piccolo tesoro di cucchiaini d’argento, bottoni di metallo lucido, specchietti e fermagli, spille e spilline, in compagnia di due minuscoli pulcini di gazza, due simpatiche “gazzette” che si divertivano a giocare con tutti quei bagliori, con tutte quelle cose lucenti e brillanti. – Eccola qui, finalmente, questa ladra! – esclamò ansimando Pasticcia, facendo capolino alle spalle di Gellindo. Anche lei vide quel che c’era nel vano motore e anche lei si fermò immobile e sbalordita. – Allora, Leandra. come la mettiamo?! – strillò Tisana la Dolce, arri-


vando di corsa. Pure lei vide la bella famigliola nel nido prezioso e pure lei ammutolì stupefatta. Così come videro e zittirono all’istante tutti gli altri spaventapasseri. – Ehm, ciao Leandra! – disse allora Gellindo, prendendo l’iniziativa. – Ciao, scoiattolo. Come stai? È tanto che non ci vediamo vero? – Già… stavamo così bene, quando non c’eri… Potevano guardarci negli specchietti, appenderci tutte le spille che volevamo, lasciare in giro i bottoni di metallo lucido… – Che vuoi farci, Gellindo – rispose Leandra, prendendo col becco l’ultimo dei cucchiaini e mettendolo tra le zampe del suo pulcino più piccolo. – Noi gazze siamo fatte così e non possiamo cambiare! A noi piace tutto ciò che brilla e io voglio troppo bene ai miei pulcini, per privarli di tutte queste belle cose… – E se io riuscissi a farti cambiare carattere? – buttò lì Gellindo, al quale già frullava per la testa una nuova idea. – Cambiare carattere? Io? E come? – chiese la gazza ladra. – Cambiare carattere? Lei… Leandra? E come? – ripeterono in coro tutti gli spaventapasseri riuniti al centro della discarica. – Sillabario, vieni qui vicino, un momento – disse allora Gellindo con un sorriso. Sillabario, il fratello più piccolo di Abbecedario, famoso in tutto il mondo spauracchio per essere stato da gio-

vane un grande ipnotizzatore, venne avanti e si fermò accanto all’auto scassata. – Sei ancora capace di ipnotizzare gli altri? – chiese lo scoiattolo. – Certo, Gellindo: sono cose, quelle, che purtroppo non si dimenticano mai… Però noi eravamo d’accordo, ti ricordi? Niente brutti scherzi e soprattutto niente ipnotismi, se non voglio avere storie con voi spaventapasseri! – Questa volta però è diverso – sussurrò Gellindo. – Questa volta siamo noi a chiedertelo… Vorresti per favore ipnotizzare la bella Leandra, ordinandole di non rubare più oggetti luccicanti e preziosi? Avvenne, cari miei, che Sillabario fu così bravo a ipnotizzare la gazza ladra, che Leandra cambiò veramente vita. Rimase sempre affezionata alle cose luccicanti, tanto che aprì un negozietto di bigiotteria proprio accanto alla Cioccolateria di Casoletta – “Anelli e pietruzze” si chiamava la sua bottega – ma prima restituì a Pasticcia i cinque cucchiaini d’argento, a Tisana la Dolce il bottoncino di metallo liscio e a tutto gli altri gli specchietti e le forbicine che aveva rubato. Si fermò per sempre a vivere al Villaggio degli Spaventapasseri contenta per le sue piccole “gazzette”, che crebbero felici in mezzo agli anellini luccicanti e ai riflessi colorati di mille e mille e mille pietruzze preziose!



Giallindo 5:

Il caso della topolina scomparsa


Era ormai da qualche settimana che al Villaggio degli Spaventapasseri non succedeva nulla di particolare e di strano! E già quella era una stranezza! Tutto filava liscio, come quando lo spauracchio RossoVerdeGiallo si mette all’incrocio in piazza e dirige il traffico con perizia e decisione: Casoletta nella sua Cioccolateria alle prese con biscotti e pasticcini… Tisana la Dolce china nell’orto a toglier erbacce… Abbecedario chiuso a scuola a correggere i compiti dei suoi spaventa pulcini… Gellindo ai piedi della sua quercia, perso in mille pensieri… Lilli Spatoccia che piange disperata al centro della sua discarica… COOOSAAA? E come mai la povera pantegana piange sconsolata senza nemmeno un fazzoletto per asciugarsi gli occhi? – È scappata! Se n’è andata stanotte… e non tornerà più, lo so! Aiuutoooo! Qualcuno mi consoli! – Ehilà, Spatoccia, che c’è da piangere e da strillare in quel modo? – le disse Gellindo, che era s’era precipitato di corsa a quelle urla disperate. – C’è che se n’è andata! È scappata, questa notte… al buio e come un ladruncolo… – Se n’è andata, chi? – La mia piccola, la mia bella, la mia povera Rattina Glassè! – Rattina Glassé è scappata di casa?! – esclamò Abbecedario, accorso anche lui a sostenere la povera

Lilli. – Quell’esserino così tranquillo, buono e servizievole… è fuggito di casa? Impossibile! – E invece no, caro mio – singhiozzò la pantegana, – se n’è proprio andata sbattendo la porta… Ma io me lo sentivo e glielo avevo detto, anche, a Robaccio: “Se Rattina vuole iscriversi al corso di danza, dobbiamo accontentarla!” – Un corso di danza per giovani pantegane? – chiese Gellindo incuriosito. – Ma no, cosa c’entrano le pantegane… – spiegò Lilli tirando su col naso. – Stiamo parlando del corso di danza classica di Ghira Bakira alla sua palestra “QuiSiBalla”… E quest’anno Rattina Glassé s’era messa in mente che doveva partecipare anche lei! Ma come si fa ad immaginarsi una pantegana che danza col tutù? Il mio povero Robaccio s’è preso un attacco di vergogna che s’è chiuso nel primo bidone di immondizie e non vuol poi uscire… – E infatti io da qui non esco! – mugugnò il topastro dal bidone più vicino. – Posso sopportare un figlio bravo a dipingere e un altro che batte tutti in matematica, ma una figlia che danza sulle punte no, questo non lo posso accettare! Gellindo Ghiandedoro capì subito che due erano i problemi da risolvere: il primo, e il più urgente, era quello di riportare a casa la povera Rattina Glassé… In secondo luogo bisogna-


va far capire a quel vecchio topo di discarica che non c’era nulla di male a ballare sulle punte dei piedi e che un bel tutù di tulle leggera e vaporosa era una cosa bellissima! – Lasciate fare a me – disse allora lo scoiattolo rivolto a Casoletta, ad Abbecedario e agli altri spauracchi corsi in aiuto della loro amica pantegana. – Voi consolate la povera Lilli, e io torno prima di sera con Rattina Glassé. Trovare Rattina Glassé non fu difficile. Anzi: lo scoiattolo andò a colpo sicuro e risolse il mistero al primo colpo. Gellindo infatti andò a bussare alla palestra “QuiSiBalla” e quando la bella Ghira Bakira venne ad aprire… – Ciao, Ghira… tu lo sai perché sono qui, vero? – Senti, Gellindo – esclamò la maestra di danza seria in volto, – io accetto tutte le stranezze di questo mondo, vado d’accordo con tutti e sono paziente e gentile anche con le persone maleducate, ma se qualcuno mi dice che una povera topolina non può danzare sulle punte, mi fa… mi fa… mi fa arrabbiare come una ghira furiosa! Gellindo guardò l’amica e le sorrise: – Fa arrabbiare anche me, Ghira, e quindi ti capisco. Ma infuriarsi non serve a nulla anzi, aggrava ancor di più la situazione. Ascolta, qui ci sono due persone da aiutare. La prima è la

piccola Rattina: se vuole iscriversi al tuo corso di danza classica, dobbiamo fare in modo che possa farlo con tutta tranquillità… – Hai detto che le persone da aiutare sarebbero due: e la seconda chi è? – È il povero Ratto Robaccio… – Quella pantegana puzzolente non ci capisce nulla, di danza! S‘è permesso di prendere in giro le mie allieve, solo perché indossano dei bellissimi tutù bianchi come la neve! E poi ha spaventato la povera Rattina, costringendola a scappar di casa… Io, quello, non ho nessuna intenzione di aiutarlo!| – E invece dobbiamo farlo, cara mia… – continuò Gellindo, entrando nella palestra e guardandosi in giro. – Dove l’hai nascosta? Rattina Glassé, so che sei qua dentro… vieni fuori, che ti devo parlare… – Vengo solo perché sei tu, Gellindo! – mormorò la panteganotta, balzando fuori dal dietro a un divano. – Lo sai, Rattina, che là fuori c’è tua mamma Lilli che piange sconsolata in mezzo alla discarica? La topolina guardò fuori dalla finestra, ma non rispose. – E lo sai che tutto il Villaggio è accorso per consolarla e farla smettere di piangere? La topolina non spiccicò parola. – Scappar di casa non ha mai risolto nessun problema, credimi! – la rincuorò lo scoiattolo.


– È proprio quel che le ho detto anch’io – fece Ghira Bakira avvicinandosi alla piccola e mettendole una mano sulla spalla. – Ma poi lei mi ha confessato le parole di scherno di suo padre e mi ha parlato del le risate che quella pantegana senza cervello s’è fatto alle spalle di sua figlia e alle spalle di tutti coloro che amano la danza, e ho deciso di aiutarla! – D’accordo – esclamò lo scoiattolo con decisione. – Mi avete convinto. Cara Bakira, ho trovato il modo per aituare la nostra Rattina e, nello stesso tempo, di convincere anche suo padre! Ascoltate… E… Pissi… Pissi… Pissi… i tre confabularono a lungo, ridacchiando soddisfatti di quando in quando. Era già notte quanto Gellindo si ripresentò alla discarica. Ad attenderlo c’erano tutti gli spauracchi del Villaggio e la famiglia di Ratto Robaccio “quasi” al completo: Lilli ancora in angosce e con gli occhi rossi di pianto, Liquirizio e Pancrazio che cercavano di consolarla e Ratto ancora chiuso nel bidone di immondizie più vicino. – Allora, l’hai trovata la mia piccolina? – chiese Lilli, vedendo lo scoiattolo avvicinarsi con gli occhi scuri, e seri. – La tua piccolina tornerà a casa solo quando a chiede3rglielo sarà suo padre. – Cosa che non accadrà mai, almeno finché quella screanzata se ne

andrà in giro con le scarpine da ballo e con il tutù addosso! – brontolò il bidone lì accanto. – Ma ascoltami, Ratto: – disse Gellindo con un mezzo sorriso, – l’hai mai vista danzare, la tua Rattina Glassé? No? E allora solleva il coperchio di quel bidone e… sta’ a vedere! Una musica dolcissima si alzò dalla notte intorno: una musica di violini che riempì l’aria con una melodia sottile e struggente, quasi una ninna-nanna cantata ad una bimba che non vuol dormire! Dall’oscurità, poi, emersero alcune ombre chiare… una… due… tre… cinque… otto spaventapulcine della Scuola di Ghira Bakira vennero avanti ballando leggere tenendosi per mano due a due: corsero in fila a circondare il bidone nel quale era rintanato Ratto Robaccio e intrecciarono un allegro girotondo saltelleranno sulle punte. E a quel punto… A quel punto dal nulla si materializzò una figurina sottile come uno sbuffo di vento. Un tutù color dell’argento, due scarpette da ballo chiare e sottili e alla fine ecco lei: Rattina Glassé piroettò sicura sulle punte dei piedini di panteganotta, piegando il capo ora a destra ora a sinistra e sventolando nell’aria un lungo nastro dai mille colori. Era bella da piangere, Rattina, e ballava in modo straordinario, come un fiocco di neve portato dal vento, come una stellina scesa dal cielo fin sulla terra, come una fatina


che scrive le sue formule magiche direttamente nell’aria attorno. La ballerina, sotto lo sguardo attento e sorridente della maestra Ghira Bakira, con un balzo saltò sull’orlo del bidone, piegò un attimo la schiena e stampò un bel bacio sulla fronte di Ratto Robaccio. Che si mise a piangere pure lui, ma questa volta per la commozione e la felicità. Mamma mia, quant’era brava la sua Rattina Glassé! Per mille pantegane sotto la doccia, come ballava bene! – Chi l’avrebbe mai detto? – sussurrò a quel punto Ratto commosso. – Te l’avevano detto in molti – gli disse allora Gellindo Ghiandedoro. – Te l’aveva detto la tua Lilli e anche la

stessa Rattina… Ma tu hai voluto fare di testa tua. Lo sai, adesso, quel che devi fare, vero? Robaccio fece una smorfietta con le labbra, tirò su col naso per bloccare il pianto, prese la sua Rattina Glassé tra le braccia e la strinse forte forte. – Potrai mai perdonare il tuo vecchio papà? Rattina si allontanò un poco per osservare bene gli occhi di suo padre e… – Già fatto! Un applauso fragoroso accolse il lieto fine di quella storia. Da quella sera il mondo dovette abituarsi a fare a meno di una pantegana di discarica, ma in compenso poté contare su una ballerina di danza classica in più!



Giallindo 6:

Il caso dei ladri di castagne


Nel cuore del Bosco delle Venti Querce svettano verso il cielo cinque vecchi castagni che ad ogni ottobre si riempiono di ricci grossi, gonfi e spinosi. È la riserva di cibo su cui Gellindo Ghiandedoro può contare quando s’avvicina il tempo del letargo e infatti, fin da fine settembre, il nostro scoiattolino tiene sott’occhio giorno dopo giorno a che punto sia la maturazione delle sue squisite castagne. Il nostro minuscolo amico ha anche dato un nome, ai “suoi” cinque castagni, a cui vuol bene quasi fossero suoi fratelli: Riccidautunno si chiama il primo; Marrone-di-drena il secondo; Castione il terzo; Castagnaccio il quarto e Roncegno il quinto Vi lascio immaginare la sorpresa di Gellindo quando un mattino il poveretto raggiunse i suoi castagni e… – Dove mai sono finite le castagne?!?!? – strepitò il poveretto ai piedi di Riccidautunno desolatamente senza ricci! Non che fossero sparite tutte le castagne di tutti e cinque i vecchi castagni: però Riccidautunno, uno su cinque, era stato com-ple-ta-men-te depredato di tutti-tutti-tutti i suoi frutti! Gellindo corse disperato a chiamare Abbecedario, Quantobasta e Bellondina. – Correte a vedere anche voi: dovete essere miei testimoni! Un ladro mi ha derubato di tutte le castagne di Riccidautunno… Dovete vedere il disastro con i vostri occhi!

Abbecedario, Bellondina e Quantobasta accompagnarono Gellindo ai piedi del castagno spogliato e si resero conto di persona che tutti i ricci del povero albero erano spariti. – Guardiamo per terra qui attorno: magari il ladro ha lasciato delle tracce – propose Bellondina. I quattro amici frugarono tutta quella parte di bosco, sollevarono le foglie di castagno, spostarono sassi e scesero nelle vallette laterali, ma non trovarono nulla di sospetto! – Vorrà dire – piagnucolò il povero Gellindo, – che stanotte mi armerò di pazienza e farò la guardia ai quattro castagni rimasti. – E io resterò qui a farti compagnia! – esclamò Quantobasta. La notte trascorse lenta e frescolina, ma il bosco rimase nel più assoluto silenzio: non si ruppe nemmeno un ramoscello, non si spostò un sasso… non cadde a terra un solo riccio, ma al mattino… – Guarda lì, Quantobasta! – strillò Gellindo scoppiando in lacrime. – Guarda Marrone-di-drena! Il farmacista, con la testa che gli ciondolava da alcune ore per il sonno, si stropicciò gli occhi, alzò lo sguardo e… Marrone-di-drena, un bel castagno specializzato in castagne grosse, nere e dolci, era stato spogliato da tutti-tutti-tutti i ricci. – Ma com’è possibile? – mormorò sbalordito Quantobasta. – Siamo rimasti qui tutti e due per la notte


intera, non abbiamo chiuso occhio per controllare i quattro castagni e il ladro ce l’ha fatta sotto al naso?! In un baleno la notizia delle castagne sparite fece il giro di tutto il Villaggio degli Spaventapasseri e la sera del secondo giorno tutti gli spauracchi amici di Gellindo si fecero trovare al Bosco delle Venti Querce. – Stanotte ci divideremo in tre gruppi – disse Fra’ Vesuvio. – Ogni gruppo si preoccuperà di difendere un castagno e vedremo se il ladro riuscirà anche questa volta a derubare il povero Gellindo! L’albero Castione venne affidato a Pagliafresca, Dìndondolo, Casoletta, Lingualunga e RossoVerdeGiallo; Castagnaccio venne letteralmente circondato da una catena spauracchia formata tra gli altri da Còntolo, Tisana la Dolce, Empedocle, Bellondina e Chiomadoro; il terzo e ultimo castagno, Roncegno, venne preso in custodia da tutti gli altri, Ratto Robaccio e Lilli Spatoccia compresi. Fu una notte assai agitata, quella, perché i poveri spaventapasseri si mettevano a urlare ad ogni minimo rumore, a strepitare per ogni foglia che si muoveva, a sobbalzare ogni volta che uno di loro starnutiva o tirava su col naso… All’alba, però… – Andiamo a controllare, Abbecedario? – disse Gellindo, che aveva gli occhi rossi di sonno e le mascelle indolenzite a furia di sbadigliare. – Ecco: l’albero Roncegno è a posto…

guarda quanti ricci ci sono tra le foglie, mi vien già l’acquolina in bocca!... Anche Castagnaccio è in ordine... siete stati bravissimi, amici – disse rivolto a Bellondina e agli altri. – Non resta che Castione… – e qui il nostro povero scoiattolo goloso di castagne si bloccò con la bocca aperta. Il castagno Castione, infatti, si alzava superbo al centro del bosco, mostrando orgoglioso le sue fronde… senza più ricci! – Ratto Robaccio… Lilli… Pasticcia… vi siete accorti che qualcuno ha rubato le castagne da sotto ai vostri occhi? – Ce ne siamo accorti solo questa mattina – brontolò Robaccio, – e abbiamo perlustrato tutta la zona qui attorno in cerca di tracce… – Ma non avete trovato nulla, vero? – lo anticipò Abbecedario con un tono di voce serio e preoccupato. – Non sappiamo come può essere successo – disse allora Pasticcia alzando la voce. – Eravamo in dieci, seduti in circolo attorno all’albero Castione. Nessuno di noi s’è alzato, per tutta la notte nessuno si è mosso, eppure stamattina i ricci non c’erano più! A voler fare due conti, dei cinque castagni solo due erano rimasti con i ricci appesi ai rami, Roncegno e Castagnaccio. Riccidautunno la prima notte, Marrone-di-drena la seconda e adesso il povero Castione erano stati invece depredati dal ladro misterioso e silenzioso. – Abbecedario, vuoi aiu-


tarmi sul serio? – chiese allora Gellindo, parlando sottovoce. – Come no! Non a tua disposizione! – Allora mandiamo tutti gli altri a casa e stasera… pissi… pissi… pissi… – lo scoiattolo spiegò al vecchio maestro il piano che aveva in mente. Quando la notte scese sul Bosco delle Venti Querce, Gellindo s’arrampicò veloce su per il tronco del grosso albero Roncegno e andò a nascondersi tra le foglie e i ricci superstiti. Abbecedario, invece, salì un po’ più lento e goffo, ma alla fine si immerse nella chioma fluente e spinosa di Castagnaccio e si mise in attesa. A mezzanotte Gellindo fischiettò leggero leggero in direzione dell’albero Castagnaccio, e un fischio leggero leggero di risposta lo rincuorò: Abbecedario era sveglio e in vigile attesa. All’una un brivido percorse il Bosco delle Venti Querce, un brivido di gelo che s’infilò fra i tonchi delle querce e dei miseri castagni mezzi derubati: ma poi quel tremore si spense e tutto tornò tranquillo come prima. Alle due la luna fece capolino da dietro il monte e i suoi raggi d’argento dipinsero di gelo le foglie lucide dei castagni. Alle tre si udì in lontananza la campana della chiesa del Villaggio che suonava tre rintocchi piano piano per non svegliar nessuno. Quindi la pace

tornò a distendersi sopra ogni cosa. Alle quattro Gellindo era stanco di canticchiare sottovoce tutte le canzoni che conosceva e gli occhi cominciarono a farsi pesanti. Avrebbe pagato una fortuna in ghiande e in noci, per poter avere un letto, un materasso morbido e una coperta tiepida sotto cui rannicchiarsi… – Ehi, Gellindo! – sussurrò dall’albero vicino Abbecedario. – Ehm… Grumpf… Uuuoooaaaoooo! – sbadigliò lo scoiattolo. – Hai visto qualcosa? Hai sentito qualcuno? – No… mi sono accorto solo che stavi per addormentarti e per cadere di sotto! – Grazie, Abbecedario… il fatto è che sono tre notti che non dormo… Alle cinque un pallido chiarore cominciò a farsi strada in cielo a oriente. Una pennellata d’argento che sfumava il nero cupo della notte annunciava l’ormai prossima alba. Alle sei ci si vedeva già abbastanza bene e… – Gellindo, come va lì da te? – sibilò Abbecedario. – Bene: adesso controllo… Da me i ricci ci sono tutti! – rispose soddisfatto lo scoiattolo. – e da te? Il castagno Castagnaccio pareva dormisse ancora cullato dall’aria fresca della prima alba. Il maestro si stiracchiò per bene e si guardò in giro per controllare i ricc… Quali ricci? Dov’erano i ricci?


Perché c’erano solo foglie e rami? Vuoi vedere che… I ricci, i ricci di Gellindo, i ricci dell’albero Castagnaccio… – Sono spariti! – urlò Abbecedario saltando giù dal castagno arrabbiato furibondo. – Gellindo, vieni a vedere anche tu! Scendi subito dal tuo albero… Qui c’è qualcuno che ci sta prendendo in giro! I ricci belli grossi che la sera prima si pavoneggiavano sui rami di Castagnaccio, erano svaniti nel nulla! – E cosa posso fare, adesso, per salvare almeno le castagne dell’ultimo albero? – domandò Gellindo tra i singhiozzi. – Ehi, ma quelli che cosa ci fanno lì? – gridò il poveretto smettendo all’istante di piangere e indicando una fila di ricci che qualcuno aveva perso lungo il sentiero che usciva dal Bosco delle Venti Querce. – Vedi anche tu, Abbecedario, quel che vedo io? Questa volta il ladro ha fatto la pentola ma non il coperchio! Secondo me, se seguiamo la traccia di quei ricci riusciremo a risolvere questo mistero! Il mistero delle castagne rubate si risolse quando l’ultimo riccio lasciato per terra venne trovato davanti alla casetta in cui viveva… l’Oca Bernardina! Era una casetta minuscola, situata nel punto più alto del Villaggio da dove l’oca poteva spiccare con facilità il volo. E quella mattina dalla casa di Ber-

nardina usciva un profumo delizioso di… – Ma questo è profumo di torta di castagne! – esclamò Gellindo, che andava matto per quel dolce sopraffino. – Io però non ho mai sentito di un’oca a cui piacesse mangiare torta di castagne – borbottò Abbecedario grattandosi il mento con un sorriso strano. – Per saperne di più, è sufficiente bussare alla porta! – propose lo scoiattolo. – Ah, mi avete scoperta, alla fine! – esclamò sorridente Bernardina, quando venne ad aprire la porta di casa con una torta fumante in mano. – Volete favorire? Entrate, su, che vi preparo un’ottima colazione! E fu veramente una colazione prelibata, quella che mise in tavola l’Oca Bernardina. Cioccolata densa e fumante, con fette di torta di castagne a non finire! Gellindo Ghiandedoro si rimpinzò di torta fin quasi a scoppiare. – Ah, potessi andare in letargo con un po’ delle tue torte, Bernardina… – Ma è proprio quello che ho intenzione di fare, caro il mio piccolo amico! – rispose Bernardina, tagliando l’ennesima fetta. – Ecco perché ho preso i ricci dagli alberi del Bosco delle Venti Querce… Ecco perché l’ho fatto volando leggera leggera di notte, per non farmi né vedere né sentire da nessuno! Ecco perché anche stanotte ho fatto incetta di castagne:


per prepararti una riserva di ottime torte di castagne. Guarda un po’! – esclamò Bernardina, aprendo le ante della credenza di cucina: impilate una sull’altra e avvolte ognuna in carta sottile, cinquanta, cento, duecento torte di castagne sembravano in attesa di essere mangiate da un momento all’altro. – E per chi sono, tutte queste torte? – domandò Gellindo che non credeva ai propri occhi e al proprio naso. – Sono tutte per te, Gellindo! È un regalo della tua vecchia amica Bernardina, ma è anche un modo un po’ originale per dimostrarti che tutti, qui al Villaggio, ti vogliono bene! Forza, ragazzi: adesso potete uscire! Gli spaventapasseri del Villaggio, Ratto Robaccio e Lilli Spatoccia compresi, balzarono fuori da sotto al tavolo e da sotto al lavandino, dalla camera da letto e dal frigorifero; entrarono d’un balzo dalle finestrelle che davano sulla strada e qualcuno uscì dagli armadi e dai comodini. Si erano tutti nascosti negli angoli più impensati della casetta di Bernardina,

per fare una sorpresa al loro amico… Anche Abbecedario faceva parte di quella grande sorpresa… – Ma tu allora… sapevi? – balbettò frastornato lo scoiattolo, rivolto all’amico maestro. – Fin dall’inizio, fin dalla prima notte, caro mio… Ed anche Bellondina, Casoletta e tutti gli altri… – Vi siete messi d’accordo… – …per farti tutti assieme questo grande regalo – disse Bellondina facendosi avanti con una torta in mano. – Tu sei così generoso con tutti, così buono e pronto ad aiutarci, che abbiamo deciso di farti trascorrere un letargo “dolcissimo”. Basta noci, quest’inverno, e basta castagne secche e ghiande mezze marce: Bernardina, Casoletta e tutti noi abbiamo pensato di riempire i depositi di casa tua con queste ottime, fragranti, dolcissime e tenere… – TORTE DI CASTAGNE! – urlarono in coro gli spauracchi, stringendo in un caldo abbraccio il loro piccolo e confuso amico. Che corrise, addentò una fetta di torta e riprese a mangiare soddisfatto e allegro!



Giallindo 7:

Bisticci di funghi


Pagliafresca stava rimuginando tra sé e sé chissà quali brutti pensieri, camminando avanti e indietro nella piazzetta del Villaggio, scuotendo la testa sconsolato e rosicchiando nervoso la sua vecchia finta pipa di vero legno. Non lo si era mai visto così pensieroso, lui che di solito amava canterellare felice, oppure raccontar barzellette allegre a chiunque incontrava per strada. Toccò a Gellindo Ghiandedoro far luce su quel comportamento misterioso. – Ciao, Paglia – esclamò lo scoiattolo saltando sul bordo della fontana. – Come va la vita, oggi? – Come vuoi che vada, Gelly: da una tristezza all’altra, ecco come va! Amava parlare così, Pagliafresca, con quel modo di usare i diminutivi e di tagliare i nomi a suo piacimento. Per lui Bellondina era Bella, Quantobasta più semplicemente Cubbì, Abbecedario Abbiccì, Tisana la Dolce Tissy e così via. – Addirittura da una tristezza all’altra? – chiese lo scoiattolo facendosi subito più attento. – Ma è successo qualcosa di grave? – Di gravissimo, vorrai dire. Di tremendo, catastrofico, terribile… – Non fare lo sciocco, Paglia, e dimmi subito quel che ti è accaduto! – Stamattina sono andato per funghi… – D’accordo, e poi? Ne hai trovati?

– Ce n’era una montagna, nel tuo Bosco delle Venti Querce, da raccoglierne quattro carri colmi colmi! – Bene: ma dove sta la stranezza? Perché sei così triste e arrabbiato? – Erano tutti-tutti-tutti funghi velenosi! – Nel senso che non c’era nemmeno un fungo buono? – Niente! Non c’era un finferlo, un porcino, una russola buona: nulla! Solo Amanite muscarie, quelle dal cappello rosso a puntini bianchi, che lo sanno tutti: sono velenosissime! – Ma tu li conosci, i funghi buoni? – chiese Gellindo, che sapeva bene quanto Pagliafresca fosse superficiale in ogni cosa. – Gelly, guardami negli occhi: di fronte a te hai un provetto raccoglitore di funghi mangerecci, buoni, ottimi e ottimissimi… e sono stato il miglior allievo al corso di “micologia” di Errevuggì! – Errevu… chi? – Ma si, dai: Errevuggì, RossoVerdeGiallo, lo spauracchio vigile urbano, ma anche grande esperto di funghi buoni e di funghi matti! Pensa: l’altro giorno ho superato l’esame al primo colpo ed eccomi qua, col cestino miseramente vuoto e col coltello “pulisci-funghi” lucente come se l’avessi appena lavato! Gellindo sorrise, appoggiò una zampetta sulla spalla del povero spaventapasseri e… – Senti, Paglia, non perché non mi


fidi di te, ma così, solo per curiosità: vuoi che andiamo assieme su al Bosco delle Venti Querce? Magari nel frattempo chissà quanti porcini e quanti finferli sono cresciuti… – Vengo soltanto perché sei un amico, Gelly! – disse Paglia, invitando lo scoiattolo a entrare nel cestino vuoto. – Forza, salta dentro e andiamo a vedere, anche se so già quel che “non” troveremo! Girarono in lungo e in largo per tutto il Bosco delle Venti Querce, camminando per ore e ore: effettivamente di funghi ce n’erano dappertutto e a quintali, ma erano tutti-tutti-tutti Amanite muscarie rosse a puntini bianchi! Erano circondati da un mare color rosso ciliegia, sul quale galleggiavano milioni e milioni di piccoli petali candidi! – Che cosa strana! – commentò alla fine Gelly. – Che cosa triste, vorrai dire – ribatté Paglia. – Io vado matto per la polenta coi finferli, ma anche per il risotto ai funghi e le tagliatelle ai porcini… Mi sa che quest’anno dovrò rinunciarci e digiunare! Gellindo, serio in volto, con una zampa sul mento e con l’altra a grattarsi il ciuffo sulla testa, cominciò a camminare avanti e indietro nel praticello davanti alla sua tana, rimuginando tra sé e sé chissà quali brutti pensieri. Poi all’improvviso si fermò, si guardò e scoppiò a ridere.

– Cosa c’è di così allegro? – domandò Paglia. – C’è che mi sono accorto di comportarmi nello stesso modo in cui tu ti comportavi stamattina in piazza, quando io mi dicevo: “Non ho mai visto Pagliafresca così pensieroso e triste”! Adesso so che la mancanza di funghi buoni può far male, molto male… Sai allora noi cosa facciamo? – Dimmi! – Andiamo a far visita a Brìsolo, lo gnomo protettore dei funghi matti… – Ti riferisci a Brì, a quel nanetto a forma di fungo che vive là dove il Bosco delle Venti Querce è bagnato dalla Palude dei Vampiri Striscianti? – Parlo proprio di lui: è l’unico che forse saprà rispondere a tutte le nostre domande. Vieni! – Brìsoloooo! Vieni fuori, Brìsoloooo! – urlava Gellindo sulle rive della Palude dei Vampiri Striscianti. – Dove sei, Brì… fatti vedere, dai, ché abbiamo da parlarti! – gli faceva eco Paglia. – Brìsoloooo! – Brì!! – Cosa c’è da urlare a quel modo, amici! – esclamò dopo un po’ un esserino piccolo e grassottello, bocca grande e naso a patata, due occhietti vispi e allegri e un gran cappello scuro a forma di scolapaste in testa. Assomigliava proprio a un fungo, il piccolo Brìsolo, e invece era lo gnomo dei funghi matti! – Mi stavate cercando?


– Devi ascoltare quel che ha da raccontarti Pagliafresca – gli disse Gellindo dopo aver abbracciato l’amico nanerottolo. – Gli è successo una cosa stranissima, stamattina nel Bosco delle Venti Querce, che solo tu potrai spiegare… – Se è dell’invasione di Amanite muscarie che volete parlarmi, amici miei – li prevenne Brì, – vi dico subito che io non so proprio che farci!| – Ma… allora tu… tu sai già tutto! – balbettò Paglia sbalordito. – Qui nel Bosco delle Venti Querce è da molto tempo che tutti sanno – rispose Brìsolo guardando Gellindo in modo strano. – Tutti lo sanno, ad eccezione di quelli che preferiscono l’amicizia degli spaventapasseri alla nostra, vero scoiattolino? Gellindo fece finta di non aver capito l’allusione. – Cos’è che sanno tutti? – Che l’altro giorno è scoppiato un gran bisticcio tra i funghi buoni e quelli velenosi. Quando s’è trattato di dividersi le zone del Bosco, entrambi pretendevano i posti più soleggiati di giorno e più umidi di notte… “Voi avete sempre avuto i luoghi migliori” dicevano i funghi velenosi… “Ma noi non siamo pericolosi come voi…” rispondevano i finferli e i porcini, “noi cresciamo per essere mangiati, non come voi, che per bene che vada venite calpestati e schiacciati dai raccoglitori!” Le litigate sono proseguite per alcuni giorni, finché ieri, per

protesta contro i dispetti e le male parole, i funghi buoni hanno deciso di rimanere sotto terra! – Fammi capire, Brì – lo interruppe Paglia: – i funghi buoni hanno litigato con quelli velenosi e alla fine questi ultimi hanno avuto la meglio perché i funghi buoni si sono ritirati sotto terra rifiutandosi di crescere? E voi funghi matti? Voi funghi né buoni né velenosi, che avete fatto? – Abbiamo preso le parti dei funghi buoni e abbiamo deciso anche noi di sparire dalla circolazione, a partire dalla notte appena finita! Pagliafresca era rimasto senza parole e Gellindo Ghiandedoro non sapeva se ridere o piangere. – Ma come – esplose alla fine Paglia, – per una sciocca questione di sole e di pioggia, noi cercatori provetti, che abbiamo superato un difficilissimo esame, siamo rimasti senza funghi buoni? E che colpe abbiamo? Che c’entriamo noi con le vostre discussioni? Coi vostri bisticci? – Pagliafresca non ha tutti i torti, Brìsolo – intervenne allora Gellindo. – Un bosco senza funghi buoni, funghi matti e funghi velenosi, non è un bosco normale! Voi state facendo pagare agli altri i vostri dissapori, ma è come se le querce e i castagni non producessero più né ghiande né castagne, solo perché hanno litigato con gli abeti e i larici! Brìsolo rimase in silenzio, serio in volto e senza argomenti per ribat-


tere. Anche perchè era chiaro che Gellindo e Paglia avevano ragione da vendere. – Ascolta, gnomo – esclamò alla fine lo scoiattolo: – forse ho la soluzione al vostro problema. Stammi a sentire… – E pissi… pissi… pissi… Gelly sussurrò nell’orecchio del nanetto il piano che gli era venuto in mente. L’appuntamento, il giorno dopo, era fissato alle cinque in piazza, ma Gellindo aveva fatto circolare la voce e già alle quattro e mezzo cominciarono ad arrivare Chiommy e Tissy, Bella e Errevuggì, Cubbì ed Abbiccì… le pantegane Robby e Lilli giunsero per ultime, in compagnia di Gellindo Ghiandedoro e di Pagliafresca che sbadigliava di sonno. Tutti stringevano in mano un cesto e in tasca avevano un coltello “puliscifunghi”. Già: l’idea di Gellindo era proprio quella. Una grande gita nel Bosco delle Venti Querce, per controllare se il suo piano aveva funzionato. – Ascolta, Brì – aveva bisbigliato il giorno prima nell’orecchio dello gnomo dei funghi matti: – solo tu, solo voi funghi matti potete convincere i funghi velenosi a far la pace coi funghi buoni. Le Amanite muscarie hanno avuto campo libero nel Bosco per una notte intera: sono cresciute là dove volevano, diventando funghi grossi, enormi, giganteschi… Bene, adesso

però tocca ai finferli e ai porcini, per una questione di giustizia! Facciamo così: se per una notte hanno regnato nel Bosco i funghi velenosi, la prossima notte sarà la volta dei funghi buoni e di quelli matti. Poi per una notte toccherà ancora ai funghi rossi a puntini bianchi e via di seguito, alternandovi con buona pace per tutti: una notte i velenosi e la notte dopo i buoni e i matti… Poi arriverà l’inverno e andremo tutti in letargo, ma la prossima primavera non voglio più sentir parlare di litigate e di bisticci. Il prossimo anno tutto ritorna normale come sempre: nel Bosco delle Venti Querce dovranno trovar spazio tutti i giorni dell’estate i funghi buoni assieme a quelli matti e a quelli velenosi, d’accordo? Paglia e gli altri si accorsero subito che il patto proposto da Gelly a Brì aveva funzionato: i funghi rossi a puntini bianchi, infatti, erano spariti come d’incanto e al loro posto un mare di funghi matti ma anche di funghi buoni colorava il sottobosco di mille e mille colori e lo riempiva di profumi prelibati. Profumi di porcini e di finferli, di russole e di mazze da tamburo… Ne raccolsero il giusto, i nostri amici spauracchi, e si divertirono allora a scegliere i più belli, i più sani e i più buoni: fecero poi gran festa a Gellindo e regalarono a Paglia una finta pipa di vero legno.



Giallindo 8:

Dov’è finito Halloween?


Mai Gellindo Ghiandedoro avrebbe pensato di dover affrontare un giorno il mistero più fitto e impenetrabile che poteva presentarsi: la sparizione di tutti-tutti-tutti gli spaventapasseri del Villaggio, grandi e piccini! Così, all’improvviso! Senza nessun preavviso, alla fine di ottobre!! Dalla notte al giorno… Pufff!... tutti scomparsi!!! Gellindo, quindi, da un giorno all’altro si ritrovò solo soletto a girellare per il Villaggio deserto… Chiusa la Cioccolateria di Casoletta… Sbarrata la Farmacia di Quantobasta… Con le serrande abbassate la Famiglia Cooperativa di Caramella… …e anche la Cassa Rurale di Còntolo! Abbandonata la Scuola di Abbecedario… Desolatamente vuota la bella Chiesa di Dìndondolo… Urlò invano, lo scoiattolo, i nomi di tutti i suoi amici… ma dov’era andata la sua Bellondina? E Pagliafresca? Lingualunga? Frà Vesuvio e la sua allegria? Il vecchio Empedocle? La dolce Tisana la dolce? Immerso in questi tristi pensieri, Gellindo attraversò l’intero paesello e si ritrovò quasi per caso sul limitare della discarica, dove abitavano… – Ratto! Ratto Robaccioooo! Lilli Spatoccia! Ci siete almeno voi?

– E dove vuoi che andiamo – piagnucolò il topolone Robaccio, uscendo di casa con le lacrime agli occhi. – Be’, che c’è da piangere? – esclamò meravigliato il nostro piccolo amico dalla coda vaporosa. – E tu cosa faresti, eh? – esclamò Lilli Spatoccia tra i singhiozzi, spuntando alle spalle della pantegana suo marito… – cosa faresti se una mattina ti svegliassi e non trovassi più i tuoi topolini? – Non ditemi che anche Rattina Glassè, Liquirizio… – …già, e pure il buon Pancrazio – concluse interrompendolo Robaccio, – spariti tutti e tre! Senza lasciar detto nulla, nemmeno un biglietto! – Ma lo sapete che gli spaventapasseri e gli spaventapulcini sono svaniti nel nulla, anche loro senza avvisare? – mormorò pensieroso Gellindo. – Non rimane che una cosa, da fare… – Aspettare che tornino? – disse Lilli Spatoccia. – Affogare la tristezza mangiando e bevendo finché scoppiamo? – propose Ratto Robaccio. – Ma che dite! Non ci resta che andare a cercarli, perché magari sono nei guai e hanno bisogno del nostro aiuto! Fu così che i tre amici chiusero le porte delle rispettive case e si misero in cerca degli amici scomparsi. – Quelle laggiù ti sembrano sufficien-


temente grandi? – mormorò Casoletta, abbassandosi dietro al muricciolo che delimitava il campo del contadino Gioacchino. RossoVerdeGiallo, che era accucciato accanto a lei, si alzò al di sopra del muro e controllò nel buio della notte illuminata da una grande luna in cielo. Dopo alcuni istanti tornò giù e… – La terza verso sinistra, a partire dal melo solitario in mezzo al campo… quella può andar bene! – D’accordo – sussurrò Casoletta, – allora va’ a dirlo anche agli altri… Lo spauracchio vigile urbano, che per l’occasione aveva rinunciato a indossare la sua fiammante divisa e vestiva una vecchia tuta rossa e rattoppata, strisciò sui gomiti lungo il muretto, raggiunse l’anziano Abbecedario e Quantobasta, che erano sdraiati dietro al tronco di un grosso abete e sussurrò: – Lo vedete quel melo in mezzo al campo di Gioacchino? Contate la terza verso sinistra: quella fa per noi! – Va bene – rispose Abbecedario sempre parlando sottovoce, – lo dico ai ragazzi: ci penseranno loro! Il vecchio maestro, senza ascoltare i doloretti alla schiena e ai muscoli delle gambe, si mise a correre nel boschetto a schiena piegata in avanti e piombò trafelato dietro a un grande masso. Lingualunga, Fra’ Vesuvio, Franco Bollo e Pagliafresca erano in attesa di ordini. – Tocca a voi, ragazzi! – esclamò

il maestro col fiatone. – In mezzo al campo del contadino c’è un melo solitario: contate la terza verso sinistra e prendetela! Senza farvi vedere, mi raccomando! Accadde tutto in meno di mezzo minuto: i quattro giovani spauracchi corsero veloci fino al muretto che delimitava il campo e lo saltarono d’un balzo. Uno dietro l’altro, poi, strisciarono fino a raggiungere la base del melo, contarono… Uno… Due e… Tre! Afferrarono tutti assieme il grosso frutto e tirarono, finché… Flopppp!... quel che cercavano si staccò dal terreno. – Corriamo via alla svelta! – esclamò allora Franco Bollo. – Ma pesa come un vulcano in fiamme, questo “coso”! – si lamentò Fra’ Vesuvio. – Però siamo in quattro a portarlo, dai! – lo incoraggiò Pagliafresca. – Se poi fate anche silenzio, forse Gioacchino non si accorge di nulla! – li rimproverò Lingualunga, e i quattro scapparon via rapidi e muti com’eran venuti. – Rattina! Dal buio della notte nessuna Rattina rispose e il piccolo Frigerio si preoccupò. – Rattina Glassè, sono venuto a darti il cambio! Rrrooonnn… zzzzzz… Rrrooonnn zzzzzz… – Rattina, ma tu stai dormendo!


Svegliati, dai! Dovevi fare la guardia all’orto del contadino Gioacchino e ti sei addormentata! – Eh? Cosa? Dormire io? Ma che dici… avevo solo chiuso gli occhi perché… perché… mi dava fastidio il sole, ecco! – cercò di scusarsi la topolina. – Già, il sole che ha ancora da spuntare! – obiettò con un sorriso lo spauracchietto. – Tu dovevi restar sveglia per tener d’occhio quella cosa laggiù nell’orto finché venivo io a darti il cambio… e invece ti sei appisolata! – Solo un minuto, un minuto soltanto… te lo garantisco! E poi quella cosa è sempre là, ferma immobile come ieri sera… – La panteganotta si girò a guardare e... Si bloccò di botto! Rimase senza parole e a bocca aperta!! Il fiato le venne a mancare e anche la parola!!! – Cos’hai da strabuzzare gli occhi, Rattina? – le domandò Frigerio. – Perché non parli e mi guardi spaventata? Si può sapere cosa c’è di così orripilante? – Vedi anche tu quel che vedo io? – balbettò alla fine la topolina. – Io vedo solo l’orto del contadino Gioacchino… fagioli secchi appesi alle piante e pomodori rinsecchiti che d’autunno nessuno raccoglie più… dopo di che, laggiù all’ombra di quelle grandi foglie dovrebbe esserci quel che ci interessa e…

Frigerio s’interruppe di colpo, gli andò di traverso la saliva e divenne rosso ciliegia per lo sforzo di non mettersi a tossire. – Adesso l’hai visto anche tu! – commentò soddisfatta Rattina Glassé. – Ma ieri sera non era così… così… così gigantesca! – mormorò sbalordito lo spaventapulcini. – In una notte sola è diventata dieci… venti volte più grande! – Vuol dire che, per prenderla, dobbiamo farci aiutare dagli altri – concluse la topolina. – Vado a chiamarli subito! Solo quando giunsero anche Occhialetta e Pancrazio, Liquirizio, Frulletto e Lampurio, i piccini riuscirono a staccare dal terreno quel ”coso” enorme, a metterselo sulle spalle e a portarlo nel loro nascondiglio. Adesso che anche l’ultimo di loro aveva trovato la sua “cosa”, poteva cominciare la parte più divertente della loro “missione”. Gellindo, Ratto Robaccio e Lilli Spatoccia girarono in lungo e in largo per l’intera Valle di Risparmiolandia alla ricerca degli scomparsi, grandi e piccini. Chiesero aiuto al popolo delle Marmotte e all’aquila Cassandra: le prime perlustrarono tutti i prati e i campi dei dintorni, la seconda volò da un angolo all’altro della valle, ma senza alcun risultato. – Chissà quanto freddo e quan-


ta fame soffriranno, i miei piccolini – piagnucolava in continuazione la povera Lilli. – Affamati loro? – berciò arrabbiato Ratto Robaccio, che a furia di camminare gli era venuto un appetito colossale. – Affamati noi, vorrai dire! Ho lo stomaco che è un buco profondo come un burrone senza fine, che mangerei in un sol boccone tutti i rifiuti della nostra discarica, e tu pensi a quegli incoscienti che se ne vanno in giro senza lasciar detto a casa dove andavano? – Calmati, Rattuccio mio bello – lo consolò Lilli Spatoccia. – Sai che facciamo? In attesa che il mistero si risolva, facciamo un salto da Gioacchino il contadino a chiedergli se gli è rimasto qualcosa in dispensa… – Qualcosa da mangiare? – rispose un Gioacchino incredibilmente malinconico. – Ma se m’è rimasto solo un pugno di paglia per le mie bestie in stalla… – Ma scusa, e il tuo campo? E il tuo orto? – chiese Gellindo. – Sono deserti, caro il mio scoiattolo, come se fossero passate le cavallette! – Sapete allora cosa facciamo? – propose Gellindo improvvisamente pieno di energie. – Torniamo al Villaggio e vi offro una torta di castagne a testa! Mi hanno riempito di torte il deposito per il letargo: quattro in meno cosa volete che siano?! Al termine di quest’avventura

molto-molto-molto misteriosa, lo scoiattolo Ghiandedoro, Ratto Robaccio, Lilli Spatoccia e Gioacchino il contadino si ritrovarono seduti sul bordo della fontana in piazza a divorare ognuno un’ottima torta di castagne, accompagnata da nocciole e castagne ben cotte. Non erano però giunti nemmeno a metà del dolce, che dal vicolo in fondo alla piazza venne avanti… Un corteo stranissimo! Una sfilata meravigliosa di colori e di profumi!! Era la soluzione di tutti quei misteri, il finale a sorpresa di quelle sparizioni senza motivo!!! Vennero avanti danzando e cantando allegre dieci… venti… trenta gigantesche zucche gialle e arancioni, ognuna scolpita in modo diverso: apriva la sfilata un teschio con quattro occhi e due nasi, seguito da un drago fumante, da un cagnaccio spaventoso, da una strega minacciosa, da uno stregone terrificante… E finalmente Gellindo capì ogni cosa! Capì che sotto a quelle enormi zucche erano nascosti tutti i loro amici… Gli amici che se n’erano andati di casa per preparare di nascosto quella fantasmagorica sorpresa: una sfilata di Halloween che metteva paura e faceva ridere allo stesso tempo… – Scherzetto o dolcetto? – cantilenavano intanto gli spaventapulcini nascosti sotto grosse zucche scolpite


e tagliate a forma di nanetto o di streghetta, ridacchiando allegri quando veniva loro offerta una grossa fetta di torta di castagne. – Dolcetto o scherzetto? – ripetevano allora i più grandi, e avreste dovuto vedere la felicità di Paciocco travestito da diavolo mentre sgranocchiava nocciole e castagne ben cotte! – Ma dove le avete trovate, tutte queste zucche? – chiese alla fine il povero Gioacchino. – Le zucche, poverine, stavano marcendo nel tuo campo e nel tuo orto – gli rispose il maestro Abbecedario, orgoglioso della zucca a forma di mappamondo che portava infilata sulla testa. – Noi abbiamo fatto il lavoro che avresti dovuto fare tu, ma lo sanno tutti che d’autunno i contadini sono troppo stanchi, dopo le fatiche dell’estate. E allora abbiamo provveduto noi a raccoglierle: con alcune ci siamo divertiti a fare gli artisti, ma tutte le altre le abbiamo conservate per te! Il corteo a quel punto si aprì per far

passare Pagliafresca, Quantobasta e Passion di Fiaba che tiravano un grande carro pieno zeppo di zucche, zucchine, zucchette e zuccone d’ogni tipo, d’ogni colore e d’ogni sapore! Fu una gran festa di Halloween, quella, a base di finti spaventi e di risate folli. Al termine Gioacchino regalò a tutti gli spaventapasseri e agli spaventapulcini una bella zucca da tagliare a fette e far cuocere al forno. – E questi tre fiocchi, invece, sono per Gellindo, Robaccio e Lilli Spatoccia! – esclamò il contadino porgendo agli amici tre nastri rossi annodati. – E cosa ce ne facciamo, visto che non si possono mangiare? – chiese un Ratto Robaccio perplesso. – Dovete conservarli fino all’autunno del prossimo anno – rispose Gioacchino, – così quando i vostri amici spariranno di nuovo, all’improvviso e senza un motivo, voi guarderete il vostro fiocco rosso e vi ricorderete il perché: sono andati a raccogliere le mie zucche per preparare un altro indimenticabile Halloween!



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