Anastasio e Persovinto: l ’invasione degli Orchetti I RACCONTI DEL BOSCO DELLE VENTI QUERCE - FIABA DI MAURO NERI - ILLUSTRAZIONI DI FULBER
Capitolo 1:
Gellindo scompare!
Un bel giorno, anzi, un giorno molto molto brutto Gellindo Ghiandedoro… sparì di casa! Proprio così, cari miei: il piccolo scoiattolo risparmioso, l’amico prezioso degli spaventapasseri della Valle di Risparmiolandia, uscì al mattino di casa senza lasciar detto dove andava e non vi fece più ritorno! La povera Bellondina se ne accorse solo la sera del giorno dopo, quando passò dalla tana del suo amico del cuore per salutarlo prima di andare alla lezione di ballo liscio da Ghira Bakira. La bella spaventapasseri trovò la tana fredda e deserta, il letto rifatto e i fiori che avevano bisogno d’un po’ d’acqua: lo scoiattolo risparmioso era svanito nel nulla, se n’era andato da chissà quanto tempo, senza lasciare un biglietto, un indizio, un a traccia… – Gellindooo! – cominciò a urlare Bellondina correndo su e giù per i sentieri del Bosco delle Venti Querce, – Gellindo, dove sei!? Perché te ne sei andato senza dirmi nulla? Hai litigato con qualcuno? Ti abbiamo fatto uno sgarbo? Forse ti sei arrabbiato con me? Volevi venire anche tu da Ghira Bakira a ballare la mazurka e la polka? Niente da fare: nessuno, men che meno Gellindo Ghiandedoro, rispose alle invocazioni di Bellondina, che singhiozzando disperata corse dal maestro Abbecedario e dal farmacista Quantobasta in cerca di conforto
e di aiuto. – Non è da Gellindo, andarsene senza lasciar detto nulla – borbottò lo spaventapasseri Abbecedario grattandosi il mento. – Se avesse ricevuto un torto da qualcuno di noi, l’avremmo saputo subito – commentò serio in volto Quantobasta. Comunque la voce che Gellindo era improvvisamente sparito e non lo si trovava più ben presto si mise a correre per il Villaggio degli Spaventapasseri veloce come il volo dell’aquila Cassandra e in meno di un’ora tutti gli spauracchi erano assiepati nella piazzetta, alla luce dei lampioni. – Dobbiamo andare a cercarlo! – esclamò Fra’ Vesuvio, che s’era già attrezzato con una potente pila, la thermos di tè caldo e un maglioncino di riserva. – Già, ma da dove cominciamo? – chiese Ratto Robaccio, la pantegana che viveva nella discarica del villaggio. – La Valle di Risparmiolandia è enorme e noi non sappiamo quale direzione abbai preso il nostro amico scoiattolo! –Eppure da qualche parte dobbiamo pur cominciare – piagnucolò Casoletta torcendosi le mani, – perché tra un po’ incomincia l’inverno e Gellindo per forza di cose deve andare in letargo! A quella parola, alla parola “letargo”, tutti ma proprio tutti gli spau-
racchi si bloccarono e si guardarono perplessi l’un l’altro. Casoletta aveva fatto loro ricordare che tra qualche giorno il freddo dell’inverno avrebbe obbligato il loro amico scoiattolo a chiudersi in casa, ad rannicchiarsi sotto cinque grosse coperte di lana e ad addormentarsi per uno-duetre-quattro mesi di seguito! Ma naturalmente Gellindo sarebbe come sempre sopravvissuto a quel lungo inverno solitario, perché ad ogni autunno riempiva le quattro dispense della sua casetta con noci, nocciole, ghiande e… – Castagneee! – urlarono in coro i trenta spaventapasseri del Villaggio. – Gellindo è andato al Bosco dei Vecchi Castagni – urlò Brigida la civetta svolazzando a mezz’aria tutta agitata. – Ci va ogni anno a fine ottobre, perché laggiù le castagne sono grosse, dolci e soprattutto molte, moltissime… Su forza: andiamoci anche noi! Subitooo! – Ma è notte – esclamò Chiomadoro, ché poverina aveva paura del buio. – Da’ la mano a Bellondina e non preoccuparti – la rincuorò Tisana la Dolce. – Ci siamo tutti noi a difenderti, sta’ tranquilla! Effettivamente il buio del Bosco dei Vecchi Castagni lo si poteva tagliare con il coltello, anche perché in cielo la Luna era nascosta da un tappeto di nuvole dense e scure. – Gellindooo!
– Gellindo Ghianxdedorooo!! – Dove seiii?! – Vieni fuori, lo sappiamo che sei quiiiIII! – Silenzio! – strillò a un certo punto Lingualunga, – fate silenzio! Tutti zittirono obbedienti, tranne Fra’ Vesuvio che chiese: - Hai sentito qualcuno? - Ssshhh! Laggiù, dietro a quei cespugli, c’è qualcuno che piange. Non lo sentite? Sì, effettivamente adesso che tutti finalmente tacevano, si poteva sentire un piccolo gemito, rotto da singhiozzi leggeri. Là dietro c’era qualcuno che piangeva… Abbecedario e Quantobasta fecero quattro saltelli, spostarono le frasche dei cespugli e… - Gellindo, ma che ci fai qui? – esclamarono in coro tutti quanti. Là nell’erba, seduto con la schiena appoggiata al tronco di un nocciolo, lo scoiattolo stava aggomitolato nella sua enorme coda per difendersi dal freddo e piangeva, piangeva, piangeva… uuhh, come piangeva! Ci vollero le carezze di Casoletta, le coccoline di Bellondina, i bacetti di Rattina Glassé e gli scherzetti allegri di Fra’ Vesuvio per calmare lo scoiattolo e finalmente per ascoltare la sua storia. – Anche quest’anno, come tutti gli anni, a fine ottobre era arrivato il tempo di andar per castagne e tutti sanno che qui al Bosco del Vecchi Castagni ce n’è sempre per tutti, di
castagne grosse, dolci e mature. Ieri mattina ho chiuso casa e sono venuto qui armato di cesti e sacchetti: prima di andare in letargo dovevo riempire l’ultimo deposito, il quarto, quello che avevo lasciato libero proprio per queste castagne e invece… invece… – Invece? – lo interrogò RossoGialloVerde nella sua divisa da vigile notturno. – Niente da fare, cari miei: quest’anno di castagne non c’è nemmeno l’ombra! Ho cercato ai piedi di tutti gli alberi, ho frugato tra le foglie secche, sono anche salito su, per vedere se c’erano ricci freschi ancora attaccati ai rami: niente! Quest’anno le castagne non le trovi neanche a cercarle col lanternino! – Beh, ma hai pur sempre le tue noci, le ghiande e le nocciole… - lo consolò Bellondina. – Sì, ma son troppo poche. Io avevo calcolato di riempire un intero deposito di castagne, il deposito che mi sarebbe servito per il quarto mese di letargo… E invece morirò di fame senza accorgermene, mentre dormo…Plufff!... e… Sigh!... Gellindo non c’è più! – Non dire queste cose nemmeno per scherzo – tuonò Abbecedario sedendosi accanto allo scoiattolo e porgendogli… una castagna grossa così! – Ehi, ma dove l’hai trovata? esclamò Gellindo sbarrando gli occhi. – L’ho trovata là, ai piedi di quel
grosso castagno – rispose il vecchio maestro con un sorriso. – Vedete, amici – continuò Abbecedario rivolgendosi agli altri spauracchi, – a volte basta anche un solo piccolo indizio, una labile traccia, un minuscolo particolare per farti capire tante, tantissime cose. Basta saper ragionare, che è poi quel che insegno ogni giorno ai miei piccoli spaventapulcini. Allora state a sentire. Quest’unica grossa castagna ci dice alcune cose, ma solo una di queste cose è quella che ci interessa veramente… – E qual è? – chiese Casoletta un po’ disorientata. – Ci dice che non è vero che quest’anno non ci siano castagne… Sono venute eccome, ed anche belle grosse, dolci e buone… – Ma allora perché nel bosco non ce n’è nemmeno una? – domandò Candeloro – E qui, a darci un aiutino arriva una seconda traccia – disse Abbecedario, che si alzò, si avvicinò al grosso castagno e si piegò su un ginocchio, avvicinando la lanterna al suolo. – La vedete quest’orma? Questa bella lunga… La riconoscete? Allora: è ben vero che gli spaventapasseri del villaggio non hanno grande esperienza di impronte, visto che le loro son tutte uguali: un buchetto lasciato per terra dal bastone che li tiene in piedi. Ma di impronte così strane… grosse come quelle di orsacchiotto e lunghe come quelle di un
elefantino… le avevano viste in giro esattamente dal giorno in cui nel Bosco delle Venti Querce era arrivato… – Anastasio... L’orchetto Anastasio! – strillò Ratto Robaccio saltellando in tondo. - Quell’impronta è di sicuro la sua! Ma che ci faceva, Anastasio, nel Bosco dei Vecchi castagni? – si chiese la pantegana, raffreddando l’entusiasmo. – Probabilmente stava facendo la stessa cosa del nostro amico scoiattolo: raccogliere castagne!
– Ma bisogna essere un esercito di orchetti, per portar via da terra e dagli alberi tutte-tutte-tutte le castagne dal bosco! – intervenne Gellindo. Quella giusta osservazione cadde come una mannaia a tagliare in due l’osurità della notte freddolina e già piena di paure. Gli spauracchi tacquero e i loro cuoricini si bloccarono terrorizzati. Già: un esercito di...orchetti!! Ma lo sapete com’è fatto veramente un Orco?
Capitolo 2:
La foresta va a fuoco!
L’orco è un omone grande, grosso e peloso, con i capelli neri sporchi e lunghi e una barba folta e riccia che pare gli esca addirittura dai buchi delle orecchie! La faccia orribile, poi, è completata da due occhi tondi da vitello, seri e cattivi, da un naso grosso e foruncoloso come un cavolfiore, mentre dalla bocca spuntano i due denti davanti, sempre sporchi e marci. Veste di pelli e di frasche d’albero, mentre i piedoni enormi sono nudi e infangati a dovere. L’”orchetto” non è altro che un orco in miniatura, un bambino di orco insomma, un cucciolo capriccioso di mostro che ama trascorrere la giornata facendo scherzi a chi gli capita a tiro. Sapete quando piove a dirotto e, passando per caso a piedi sotto a un albero, un improvviso scroscio di gocciole finisce sotto al maglione bagnandovi la schiena? Bene: è stato senz’altro un orchetto ad agitare le fronde per gelarvi fin nelle ossa. E quando tira un venticello teso e frescolino che sul più bello solleva un frullo di polvere che vi entra negli occhi? È sempre un orchetto che si diverte a farvi piangere! Come quando giurereste di aver lasciato la gomma, oppure la penna o il panino con la marmellata proprio lì, sul tavolo o sul davanzale della cucina, e invece niente, la gomma, la penna o il panino sono spariti e non li trovate più? Anche quello è senza alcun dubbio uno scherzo cattivo tirato dal primo
orchetto di passaggio... Orchetto Anastasio – che abitava in una vecchia tana sottoterra, nel cuore del Bosco delle Venti Querce – era tutto questo ma, ahimè, era anche qualcosa di più. Oltre agli scherzi, alle beffe e ai pesci d’aprile, Anastasio mangiava in continuazione, abbuffandosi senza vergogna: in altre parole si rimpinzava lo stomaco dall’alba al tramonto e non disdegnava di rubacchiare in questa o in quella cantina un prosciutto stagionato, una bella forma di formaggio, cinque mele messe a conservare al fresco, un fiaschetto di vino novello, un barattolo di marmellata ai mirtilli… Quando Gellindo e gli spaventapasseri raggiunsero la tana di volpe che Anastasio aveva trasformato nella casa di un perfetto orchetto, cioè un buco sporco, buio, disordinato e anche un po’ puzzolente, la trovarono stranamente silenziosa. L’unico rumore era quello basso e stonato di qualcuno che all’interno russava a tutto spiano. Dov’era andato a finire l’esercito degli orchetti? – Anastasio, esci subito da lì! – gli intimò lo scoiattolo risparmioso, mentre gli spauracchi suoi amici si nascondevano dietro la sua grande coda. Tutti erano convinti che di lì a poco sarebbero usciti cento-duecentotrecento orchetti: pensate invece che sorpresa quando dal buco della tana fece capolino il testone riccioluto di
Anastasio, che si guardò in giro con una smorfia terribile. – Cos’è tutto questo chiasso?... Kruuuggg! – ruttò il mostriciattolo senza mettersi una mano davanti alla bocca. – Io e i miei cugini stavamo dormendo dopo una bella scorpacciata di castagne, e adesso venite voi a tirarci giù dal letto! Spero abbiate buoni motivi, altrimenti... – I motivi ci sono tutti – esclamò maestro Abbecedario raschiando dal fondo del cuore tutto il coraggio che gli era rimasto. – E poi noi vogliamo vederli, tutti questi cuginetti... Ce li puoi presentare? – Se non volete altro... Timoteo... Ermelindaaa... – urlò Anastasio girandosi verso il fondo della tana, – svegliatevi e uscite, c’è qualcuno qua fuori che vuole conoscervi! Se già l’orchetto Anastasio da solo era uno spettacolo di sporcizia e di puzze terribili, quando si aggiunsero l’orchetto Timoteo, vestito di stracci e con gli occhietti chiusi, e l’orchetta Ermelinda furibonda, coperta di frasche e coi capelli crespi e sporchi che strisciavano per terra, gli spauracchi e Gellindo spalancarono gli occhi stupefatti e si tapparono il naso. – E gli altri dove sono? – domandò Bellondina, sbattendo le palpebre per l’incredulità. – Gli altri chi? – Anastasio, ma ci vuoi prendere in giro? – strillò a quel punto Gellindo. – Noi vogliamo vedere tutti i trecento
orchetti assieme ai quali hai rubato le castagne giù, al Bosco del Vecchi Ricci! – Trecento? Trecento orchetti? – balbettò Anastasio anche lui strabuzzando gli occhioni tondi da vitellino. – Guarda che sei tu che mi stai prendendo in giro! Ma se in tutto il mondo intero gli orchetti saranno sì e no quaranta-quarantacinque... toh, al massimo cinquanta contando anche gli orchetti appena nati, mi vuoi dire come faccio ad avere trecento cuginetti solo io? – Vorresti dire che tu e i tuoi cugini Timoteo ed Ermelinda – disse il farmacista Quantobasta – avete rubato “da soli” tutte-tutte-tutte le castagne del Bosco dei Vecchi Ricci? – E ci abbiamo impiegato una notte soltanto...Ih! Ih! Ih! – sogghignò soddisfatta Ermelinda, infilandosi un ditone nel buco destro del naso. – Ma quelle castagne sono proprietà di tutti – cominciò a dire Gellindo, sperando di far ragionare quei tre terribili orchetti. – Tutti possono andare in quel bosco e raccogliere uno, due, al massimo tre cestini di castagne... – Ed è proprio quello che abbiamo fatto noi – sibilò cattivello Timoteo. – Abbiamo raccolto tre cesti ogni due minuti, mettendo così assieme una montagna di castagne... PRRRR! – e chiuse il suo discorso con una puzzetta. – E dove sono, adesso, tutte le
castagne che avete rubato? Anastasio guardò Gellindo in fondo agli occhi, sorrise in modo strano, si toccò la pancia e... – Qui, caro mio: quasi tutte le castagne sono già finite nelle nostre tre pance! Gellindo e i suoi amici, purtroppo, non erano esperti in materia orchesca e quindi non potevano sapere che quando gli orchetti si prendono un’indigestione, diventano delle pesti tremende ancor più di quel che già sono normalmente. Se, poi, l’indigestione è di castagne, la loro cattiveria diventa senza limiti. – E adesso che facciamo? – chiese sconsolata Bellondina sulla via di casa, tenendo per la zampa il suo amico del cuore Gellindo Ghiandedoro. – Beh, per prima cosa devo trovare un altro bosco di castagni – mormorò lo scoiattolo affamato. – Quattro mesi di letargo sono lunghissimi e, se non riesco a riempire di castagne il quarto deposito della mia tana, sono spacciato! – Te lo ripeto un’altra volta – intervenne alzando la voce Abbecedario: – finché al villaggio ci sono gli spaventapasseri, nessuno è spacciato. Vedrai che se non sono castagne, troveremo fichi secchi o noccioline, semi di zucca o ghiande stagionate, ma al tempo del letargo il tuo quarto deposito sarà pieno fino all’orlo.
– E con gli orchetti, come ci comportiamo? – buttò lì Casoletta. – Quello è il vero problema, cari miei – rispose Quantobasta... – Lo sentite anche voi questo odore? – strillò a quel punto Tisana la Dolce. Gellindo, Brigida la civetta, Fra’ Vesuvio e tutti gli altri annusarono l’aria e... – Per mille spauracchi col raffreddore – urlò RossoVerdeGiallo mettendosi le mani nei capelli. – Questo è odore di fumo, è puzza di fuoco... – Un incendio!? – Aiuto, la foresta va a fuoco! – Qualcuno vuole distruggere il Bosco delle Venti Querce! – Tutti a casa – gridò più alto degli altri RossoVerdeGiallo, – andiamo a prender acqua... facciamo una catena e cerchiamo di spegnere le fiamme... Forza, tutti ai miei ordini! Dovete sapere che RossoVerdeGiallo, oltre ad essere il vigile urbano del Villaggio degli Spaventapasseri, all’occorrenza ne diventa anche l’investigatore, il poliziotto e il vigile del fuoco. Ed era giunta l’ora di dimostrare quel che sapeva fare come pompiere. Casoletta, Bellondina, Pasticcia, Chiomadoro e le altre spauracchie corsero a prendere i secchi, i secchielli, i catini e le tinozze che tenevano in casa. Ratto Robaccio, Candeloro, Lingualunga, Pagliafresca e gli spaventa-
passeri più giovani si diedero da fare a riempire alla fontana ogni recipiente che gli capitava tra le mani e tutti gli altri, spaventapulcini compresi, corsero avanti e indietro per portar acqua a Gellindo, a Quantobasta, Fra’ Vesuvio, Abbecedario e RossoVerdeGiallo che s’erano messi in prima fila a combattere l’incendio. Accadde però che più acqua veniva gettata sul fuoco, più le fiamme divampavano come se l’acqua fosse benzina, anche se – strano a dirsi – non c’era affatto calore. – Lo sapete che un attimo fa una fiammata mi ha investito da capo a piedi – disse Abbecedario con un secchio d’acqua in mano, – e non mi sono bruciato nemmeno la punta di un capello? – Fermatevi tutti!! – urlò a quel punto Brigida, che svolazzando in alto dava indicazioni su dove stava andando quel disastro infuocato. – Ma sei matta? – esclamò Gellindo, in un bagno di sudore per le corse avanti e indietro. – Per niente, non sono affatto impazzita, solo che adesso ho capito cos’è successo! Mettete giù secchi e secchielli e state a sentirmi... Gli spaventapasseri obbedirono e tutti videro che, senza l’acqua delle tinozze e dei catini, le fiamme si abbassarono velocemente, persero
forza finché... si spensero! – Questo è un classico incendio stregato – disse allora Brigida, accoccolandosi sul ramo più basso di una quercia. – È un falso incendio fatto di fiamme che prendono vigore solo se gli si getta sopra dell’acqua! Insomma, è quel che si dice un “fuoco fatuo”, un frutto della nostra immaginazione e della cattiveria di qualcuno che noi conosciamo bene! – Fammi capire – disse a quel punto Gellindo, parlando a nome di tutti, – ci stai dicendo che in realtà il Bosco delle Venti Querce non sta andando in fumo? Che quelle lingue di fuoco sono solo delle allucinazioni? – Ecco, sì – rispose Brigida: – sono proprio delle fantasie provocate da un incantesimo. – E chi può essere così malvagio da... – Abbecedario bloccò la frase a metà, perché aveva capito benissimo chi poteva essere la causa di tutto ciò. – Non dirmi, Brigida, che dietro a tutto questo ci sono tre mostriciattoli... tre orchetti terribili... tre piccole creature orrende... – Non solo – mormorò la civetta abbassando gli occhi, – aggiungo anche cari miei che siamo solo agli inizi di una tremenda avventura... Abbiamo fatto arrabbiare tre orchetti e, ahimè, prima della fine ne vedremo delle belle...
Capitolo 3:
La pioggia che non bagna!
– Devo proprio ammettere che sei in gamba, cugino Timoteo – farfugliò l’orchetto Anastasio sputacchiandosi addosso le castagne che gli riempivano la bocca. – Quello del “fuoco finto” è un simpatico trucchetto che mi ha insegnato lo zio Persovinto – rispose Timoteo, cercando di togliersi con le dita un pezzo di castagna che gli era rimasto incastrato fra i denti. – A me invece – intervenne orchetta Ermelinda, che non voleva essere da meno, – sempre lo zio Persovinto ha insegnato il trucco dell’acqua che si vede ma che non c’è... – E come sarebbe questo scherzetto? – domandò incuriosito Anastasio. Ermelinda si tirò su, mise in bocca l’ennesima castagna e masticando a bocca aperta barbugliò: – Adesso vi faccio vedere... – Oh guarda che fortuna: è appena finito l’incendio e adesso arriva un po’ di pioggia a ripulire ogni cosa – esclamò Fra’ Vesuvio, che fu il primo a sentire le gocciole cadere dal cielo. In meno di dieci secondi le nuvole in cielo si aprirono e un’autentica cascata d’acqua cadde dall’alto, inondando i campi, i viottoli e le valli più piccole. I torrenti s’ingrossarono paurosamente e i ponticelli rischiarono d’esser portati via da quella furia inattesa e violenta. – Corriamo tutti ai ripari! – strillò
la civetta Brigida, volando a rifugiarsi sotto le fronde della quercia più vicina. – Venite, venite tutti a casa mia – urlò allora Gellindo Ghiandedoro. – È la più vicina e là ci salveremo tutti! “Tutti”... per modo di dire! D’accordo che la tana dello scoiattolo risparmioso occupava l’intero tronco della quercia più grossa del Bosco e si sviluppava su quattro piani, ma gli spaventapasseri del villaggio erano una trentina e tutti belli grossi e cicciottelli... Ci entrarono tutti, ad eccezione di maestro Abbecedario, che era più grosso degli altri e che rimase seduto nell’erba e sotto l’acqua come un pero cotto. Però... – Ehi, anche se sono qua fuori sotto questo diluvio – urlò il vecchio maestro per farsi sentire da quelli dentro, – vi devo informare che non sono affatto bagnato! – Come sarebbe a dire? – chiese Gellindo facendo capolino sull’ingresso. – Sarebbe a dire che, malgrado questa pioggia violenta, il mio vestito è asciuttissimo e non ho nemmeno una goccia d’acqua che si sia infilata sotto la camicia giù per la schiena! Gellindo allungò una zampa, la mise sotto le gocce e... – Per le code dritte di diecimila scoiattoli infuriati! – strillò il poveretto sbarrando gli occhi. – Abbecedario ha ragione, amici: quella qui fuori non è una pioggia come tutte le altre piogge
che conosciamo... È una pioggia che non bagna! È una pioggia finta, una “pioggia fatua”... Uscite tutti, venite fuori e lo scoprirete anche voi... E la loro fu una scoperta veramente imbarazzante: le gocce là fuori sembravano vere e anche i torrenti impetuosi facevano paura. Però, se immergevi una mano o un braccio in quell’acqua, se ti ci tuffavi dentro, non ti bagnavi per nulla! Rimanevi asciutto come se fossi rimasto a prendere il sole disteso sull’erba del prato... – Vuoi vedere – mormorò allora Tisana la Dolce aggrottando la fronte pensierosa... – vuoi vedere che, dopo il fuoco finto, quei tre terribili orchetti “ruba-castagne” si stanno divertendo alle nostre spalle con questo bel temporale d’acqua “falsa”? La povera Tisana non ebbe nemmeno il tempo di finir di parlare, che un ululato terrificante si alzò dal fondo della valle, un fischio grave e roco percorse i campi e i prati, accarezzò le punte degli alberi del Bosco delle Venti Querce e poi scese all’improvviso verso terra, investendo con violenza terribile la compagnia degli spaventapasseri. Era un vento feroce, quello, un vento che s’attorcigliava di continuo in cento e cento frulli, come mille piroette divertenti e dispettose che prendevano la polvere del sentiero e la gettavano negli occhi dei poveri disgraziati spauracchi, facendoli pian-
gere di dolore. Era un vento insistente e tenace: soffiava con un Wwwuuummm potente che assomigliava tanto alla musica di un gigantesco pianoforte, uno di quegli organi di chiesa che però suonava sempre la medesima nota... Wwwuuummm... Wwwuuummm... Wwwuuummm... E non era un vento fasullo, quello, non era un vento “finto”... – Aiutooo, Gellindooo! – strillò Bellondina alzandosi in volo, rapita da una folata più forte delle altre... – Arrivo, Bellondina... Vengo io a salvarti!! – gridò tra le lacrime lo scoiattolino che prese coraggio, saltò su quello stesso colpo di vento e venne portato via, su verso il cielo, da quella forza invisibile... Wwwuuummm... Wwwuuummm... Quel ventaccio scoperchiò i tetti delle case del Villaggio... ...Din... Don... Dan... si portò via lontano le campane della chiesa di Dindondolo... ...scompigliò le immondizie che Ratto Robaccio aveva accatastato con cura nella discarica e le lanciò in ogni direzione... ...portò disordine e distruzione negli orti degli spaventapasseri e distrusse le piante di fagioli e di pomodori, i campi di granoturco e i frutteti di mele, di susine e di pere... Quando alla fine quel finimondo si placò, ai poveri spauracchi non rimase altro da fare che controllare
i danni e piangere su tutto quel disastro. Ma soprattutto... –Avete visto Gellindo e Bellondina? – chiese Casoletta con gli occhi gonfi di lacrime. – L’ultima volta erano lassù per aria – le rispose Candeloro, – e stavano volando stretti l’uno all’altra in direzione del Bosco delle Venti Querce... – Allora tutti con me – fece maestro Abbecedario, lasciando perdere il suo orto a pezzi. – Prima di ogni altra cosa, andiamo a cercare i nostri amici! – Caro il mio Anastasio, non pensavo proprio di avere per cugino un orchetto terribile come te – ridacchiò l’orchetta Ermelinda dondolandosi al ramo più basso della quercia più vicina. – Vedi, mia cara – rispose quell’altro, – se a voi due zio Persovinto ha insegnato dei trucchetti per scatenare disastri “finti” in modo da terrorizzare la gente senza fargli però del male, come incendi che non bruciano e temporali che non bagnano, nonno Spernacchio invece mi ha confidato alcune formule magiche di cataclismi veri, verissimi, superveri! – Proprio come il vento di poco fa – lo interruppe Timoteo, che non staccava gli occhi tondi di vitellino dal cuginetto così bravo, così forte, così in gamba... In meno di dieci minuti era diventato il suo idolo! – Già, come il vento che tutto
strappa, che tutto solleva, che tutto si porta via – cantilenò Anastasio rimirandosi le unghie sporche e pettinandosi il ciuffo di capelli ricci, spettinati e unti. – E che fine hanno fatto lo scoiattolo e la sua amica spaventapasseri che quel vento ha portato via? – chiese Ermelinda staccandosi dal ramo e saltando a terra con i piedoni lunghi e sporchi. L’orchetta non terminò nemmeno di parlare, che dall’alto degli alberi... Wwwuuummm... Aaahhhiiiaaa!... Patapumff... rotolommm!... Gellindo e Bellondina vennero giù come due proiettili abbracciati tra di loro e rotolarono fin davanti alla tana di Anastasio, che... – Eccoli qua, questi due impiastri – berciò l’orchetto mettendosi in bocca una dopo l’altra cinque castagne grosse così! Gellindo, senza badare al bernoccolo che gli stava crescendo in fronte e al colpo doloroso che gli infiammava il fondoschiena, aiutò l’amica ad alzarsi e... – Andiamocene, Bellondina, ché qui non è aria per noi! – Ecco sì, bravo: vattene – esclamò Timoteo, – ma prima prendi questo! – E una fiammata investì lo scoiattolo, senza però bruciarlo. – E tu, bellina, fatti una bella doccia... Eh! Eh! Eh! – aggiunse Ermelinda, che scatenò una piccola cascata di acqua “finta” proprio sopra la povera
spauracchia dolorante. Per quella sera stessa fu convocata l’assemblea del Villaggio e all’appuntamento in piazza non mancò nessuno. C’erano i trenta spaventapasseri dal primo all’ultimo, le pantegane della discarica, gli animali del Bosco delle Venti Querce e si fecero vedere anche l’oca Bernardina e l’aquila Cassandra. Il problema dei tre orchetti dispettosi venne discusso in lungo e in largo e qualcuno perfino litigò, perché avrebbe voluto passare subito alle maniere forti. – Dobbiamo fargli capire a quei tre che qui non possono fare quel che vogliono! – esclamò Lingualunga arrabbiato nero. – Perché non li attacchiamo questa notte? Ci mettiamo tutti assieme, conquistiamo la loro tana e li cacciamo lontani a forza di bastonate giù per la schiena! – propose lo spaventapasseri Candeloro – Rispondere alla violenza con la violenza è la cosa più sciocca che possiamo fare – disse Abbecedario. – È vero – lo appoggiò Gellindo, che aveva la testa fasciata per la botta di poco prima. – Noi possiamo anche far fuggire quei tre, ma prima o poi loro o altri come loro torneranno e saremo daccapo! – E allora cosa proponete, voi “scienze”? – li sfidò Fra’ Vesuvio, che fra tutti era quello che avrebbe
volentieri usato subito la forza per risolvere il problema. – Io propongo di andare ancora una volta a parlare con Anastasio – disse Bellondina. – Dei tre è il più pericoloso perché, se Timoteo ed Ermerlinda conoscono alcune formule per scatenare dei “finti” disastri, lui ne conosce alcune con cui può scatenane catastrofi vere, verissime e... dolorose! – E chi ci va, a parlare con quei babbei? – Io – disse Gellindo facendo un passo avanti. – E io ti accompagno! – fece Bellondina. – C’è un posto anche per me? – disse Abbecedario. – Bene, basta... basta così – strillò Gellindo, per farsi sentire dai ventitrenta spaventapssseri che urlavano «Anch’io, anch’io... voglio venire pure io... No, scegliete me, ché sono forte e so menar le mani meglio di chiunque altro...» Alla fine decisero che Gellindo, Abbecedario e Bellondina il giorno sarebbero andati a parlare con i tre orchetti, mentre gli altri avrebbero lavorato sodo per rimettere in ordine il villaggio distrutto dal vento violento. E, almeno per quella notte, la pace scese sulla Valle di Risparmiolandia. A guardar bene, però, nel cuore del Bosco delle Venti Querce, proprio là dove in una vecchia tana di
volpe vivevano gli orchetti Anastasio, Timoteo ed Ermelinda, una lucetta tremula era accesa davanti all’ingresso e tre ombre piccole, grassottelle e puzzolenti stavano chiacchierando sottovoce tra di loro... – Allora sei pronto, Timoteo? – stava dicendo Anastasio con un sorriso cattivo disegnato in volto. – Come no – rispose quell’altro. – Non s’immaginano nemmeno la sorpresa che li attende, quelli del villaggio... Ah! Ah! Ah! – Se domani si farà vedere qualcu-
no – aggiunse Ermelinda soffiandosi il naso con le dita, – avrà un’accoglienza degna degli orchetti più terribili che ci siano al mondo... – Ma certo, certo che verranno, quelli lì... si faranno vedere eccome – disse Anastasio scrutando nel buio del Bosco. – Le conosco troppo bene, quelle anime ingenue... Verranno, vedrete se verranno... E allora toccherà a Timoteo dargli la lezione che si meritano... Eh! Eh! Eh! E solo allora il silenzio della notte scese anche in quella parte del Bosco.
Capitolo 4:
Gli alberi parlanti!
Al mattino dopo Gellindo Ghiandedoro, Bellondina e Abbecedario partirono per la tana dei tre orchetti quand’era ancora buio. Si fecero forza stringendosi uno vicino agli altri e s’incamminarono incontro al loro destino. Ancora non sapevano, poverini, quel che li attendeva! – Voi pensate che quei tre mostri ci stiano aspettando? – sussurrò Bellondina aguzzando gli occhi per penetrare nell’oscurità di un’alba che tardava a schiarire il cielo. – Secondo me – la rincuorò Gellindo, – gli orchetti stanno russando nella loro tana puzzolente come tre piccole locomotive, facendo incubi terribili dopo quell’enorme indigestione di castagne! – Io non ne sarei così sicuro – mormorò invece il saggio Abbecedario, che conosceva la vita molto meglio degli altri due! – E infatti mi pare che il Bosco delle Venti Querce sia un po’ strano, oggi… Il vecchio spauracchio maestro aveva ragione: appena messo piede nella foresta scura e ancora addormentata, quasi per incanto due… dieci… cento grossi occhi chiari si aprirono nelle cortecce degli alberi. Erano occhi misteriosi. Erano occhi seri e cattivelli. Erano occhi che ridevano soddisfatti per chissà quale malefatta… Se ne accorse anche Bellondina. – Gellindo, vedi anche tu, quel che
vedo io? Lo scoiattolo risparmioso si guardò in giro e finalmente… – Se ti riferisci a quei grossi occhiacci, sì: adesso vedo anch’io quel che vedi tu! A quel punto i tronchi delle querce presero vita, gli occhi si spalancarono, enormi nasi emersero dalle cortecce e gigantesche bocche si aprirono e cominciarono a mormorare… Sssstranieri persi in quessssto bossssco dove andate ssssenza luce in mano? Lo ssssapete che oggi arrivano in fessssta i nosssstri amici orchi? I tre terribili… 0rchetti? Fu allora la volta dei funghi, degli ultimi funghi d’autunno, quelli che riescono a sopportare il freddo gelido delle notti e che s’accontentano del sole freddo che di giorni si fa strada tra le fronde degli alberi. Bianchi come la neve e trasparenti come fossero fatti di porcellana, i funghi cominciarono a ingrossarsi e a crescere veloci sotto agli occhi dei nostri tre poveri amici… – Saranno per caso pericolosi, questi fungacci? – chiese la povera Bellondina, che però non ottenne risposta. I suoi due amici infatti se ne stavano muti e stupefatti, bocca e occhi spalancati, a rimirare lo spettacolo dei funghi che si gonfiarono come fossero palloni riempiti d’aria calda, che… Floppp! Floppp! Floppp!...
si staccarono dal terreno e si alzarono in volo lenti, ondeggiando tra gli alberi per raggiungere il cielo aperto. Ma non era finita! Anche il terreno e l’erba del bosco divennero strani: il suolo cominciò dapprima a tremare, come se mille e mille talpe si fossero messe tutte assieme e nello stesso istante a scavare nuove gallerie. Poi l’erba prese a ondeggiare come se una grande mano invisibile ci prendesse gusto ad accarezzare i prati e a far loro il solletico. Infine brandelli quadrati di prato si staccarono da terra e come tanti tappeti volanti cominciarono a volare imbizzarriti di qui e di là, sfiorando le teste dei nostri poveri amici. – Fatemi capire – balbettò allora Abbecedario. – I tronchi delle querce cantano nenie tristissime, i funghi si trasformano in palloni che si alzano verso il cielo e pezzi di prato si mettono a volare come strani tappeti volanti… – Sapete cosa vi dico? – sussurrò Gellindo guardandosi attorno spaventato. – Secondo me siamo solo all’inizio di una giornata che sarà durissima, lunga e terribile! – Per colpa di chi? – domandò Bellondina. Né Abbecedario e nemmeno Gellindo, che avevano capito fin dall’inizio chi ci fosse dietro a quelle stranezze, ebbero il tempo di rispondere, perché dal buio della foresta la voce dell’orchetto Timoteo si mise a urla-
re: – È tutto merito nostro, carina, se adesso vi faremo ballare la mazurka e poi la polka, il walzer e il tip-tap! State un po’ a vedere… EH! EH! EH! Dalla penombra della prima mattina emersero cinquanta, cento, centicinquanta grosse farfalle svolazzanti e colorate che afferrarono con le zampette il maestro, Bellondina e Gellindo e li trascinarono in un ballo vorticoso che durò la bellezza di tre ore e un quarto! Stanchi morti e senza fiato, i tre poveretti si ritrovarono a metà mattina sulle rive della Palude dei Vampiri Striscianti. – Non ce la faccio più! – ansimò Bellondina. – A me piace un sacco ballare la mazurka e il tip-tap, ma tre ore e un quarto di seguito è veramente troppo! – E cosa devo dire io, allora? – balbettò Abbecedario sdraiato a terra. – Pensate che a me ballare non è mai piaciuto, odio il walzer e non parlatemi di polke! – Sssssshhh! Fate silenzio… ascoltate! – esclamò Gellindo balzando in piedi nonostante il mal di schiena. Tompp! Tompp! Tompp!... Buuummm! Buuummm! Buuummm!... Tompp! Tompp! Tompp! Un forte rumor di frasche e di rami spezzati annunciò l’arrivo di… – Ehi, ma chi è che se la prende con noi adesso? Un gigante? – strillò Bellondina. – Un dinosauro?
– Un mostro? – Un orco? – Tre orchetti uno sulle spalle dell’altro? No, cari miei. Dalla foresta che si stendeva al di là della palude si alzò un gigante-dinosauro-mostro-orcoorchetto tutti assieme, una montagna di carne sbuffante che spezzava e rovesciava le grosse querce come fossero stuzzicadenti! Era… era… – Aiutooo! – strillò Bellondina correndo a nascondersi dietro a Gellindo. – Guardate che drago enorme! – Che drago cattivo – aggiunse Abbecedario. – Che drago… brutto! – esclamò Gellindo. Grande, era veramente grande quel mostro, visto che il lungo collo si alzava fin sopra le fronde degli alberi; cattivo, aveva tutta l’aria di esserlo, per via di due occhiacci velenosi, verdi e tondi che scrutavano attorno in cerca di prede. Brutto sì, era proprio veramente: anzi, a dire il vero assomigliava vagamente a qualcuno che i nostri amici avevano visto di recente… – Ma quella faccia terribile non vi ricorda qualcuno? – mormorò Gellindo indietreggiando e spingendo via lontano la povera Bellondina. – Ma sì – gridò Abbecedario, – guardate quegli occhi verdi e tondi, quelle sopracciglia scure e folte, quei capelli lunghi e sporchi, quei dentoni spezzati e le unghie smaltate di gri-
gio… L’avete riconosciuta? Non è altri che… l’orchetta Ermelinda! A quel punto il drago si sgonfiò con un soffio sinistro, la montagna di carne si afflosciò sulla riva del lago, trasformando quella massa gigantesca nel corpo sgraziato e cicciottello dell’orchetta Ermelinda! La terribile mostriciattola fece due balzi e si fermò sotto al naso del povero Abbecedario, scrutandolo dal basso con occhiacci furenti. – Tu non dovevi riconoscermi! – blaterò la cattiva. – Non dovevi farlo! Tu dovevi tacere e tenere per te quel segreto! Zio Persovinto me lo disse chiaramente, il giorno in cui m’insegnò la formula per il sortilegio del drago: «Potrai spaventare e far stramazzare di paura chiunque incontrerai sul tuo cammino, ma se qualcuno ti riconoscerà, se qualcuno dirà il tuo nome, se qualcuno si metterà a strillare ai quattro venti “Ma quel drago è Ermelinda!!”, allora il tuo potere svanirà all’istante e dovranno passare sette anni, sette mesi, sette settimane, sette giorni e sette ore prima di ritornare ad essere un’orchetta cattivella»... Proprio in quell’istante il tronco di un grosso albero lì accanto fece una smorfia di dolore: la bocca si aprì e un urlo orrendo… Noooooo!... fece arretrare Abbecedario, Bellondina e Gellindo. Il tronco si sgonfiò, il naso rimpicciolì, la bocca sparì e i due occhiacci si trasformarono in occhioni
tristi e lacrimosi. Contemporaneamente da dietro a quel tronco uscirono di corsa gli orchetti Anastasio e Timoteo, che andarono ad abbracciare la povera sorellina. – No, Ermelinda, non arrabbiarti, non piangere, non disperarti… – la consolò Anastasio. – Vedrai che continuerai ad essere la cattivona di sempre… – aggiunse con le lacrime agli occhi Timoteo. – …sarai sempre la terribile orchetta che a noi piace tanto, vero? – chiese il povero Anastasio rivolgendosi ai tre sbalorditi testimoni. – Ehm… no, cioè… sì sì – balbettò Abbecedario. – Sì certo, è vero: vedrai che continuerai ad essere l’Ermelinda che piace tanto agli orchetti… Vero Bellondina? Non ho ragione, Gellindo? – Come no – fece lo scoiattolo, che intanto prese Bellondina per la mano e il maestro per l’angolo della giacchetta e cominciò a incamminarsi lungo il sentiero che li avrebbe riportati al Villaggio. – Sono sicuro che vostro zio Persovinto aveva torto: Ermelinda continuerà ad essere la pestifera orchetta che a noi… ehm… piace tanto, però adesso vi salutiamo, vi lasciamo in pace e ritorniamo a casa… Ciao, amici orchetti! A presto! E via di corsa! Trottarono a perdifiato per un’ora intera, girandosi di tanto in tanto per vedere se qualcuno li inseguiva. Quando giunsero al Villaggio, trova-
rono in piazza tutti gli spauracchi che li attendevano impazienti. Abbecedario, Gellindo e Bellondina raccontarono l’avventura vissuta nel Bosco delle Venti Querce, gli alberi parlanti, i funghi gonfi d’aria calda, i tappeti d’erba volante, le farfalle ballerine e il terribile drago che in realtà era l’orchetta Ermelinda… – Il fatto è – concluse il maestro, – che nel preciso momento in cui abbiamo riconosciuto nel drago l’orchetta Ermelinda, come d’incanto il drago è sparito trasformandosi nella povera Ermelinda… – Povera? E perché quell’orca dovrebbe essere “povera”? – esclamò Casoletta incuriosita. – Perché il sortilegio di suo zio Persovinto è scomparso all’istante e adesso per sette anni, sette mesi, sette settimane, sette giorni e sette ore Ermelinda sarà buona, dolce e generosa con tutti! E, assieme a lei, anche Timoteo e il loro cugino Anastasio, saranno gli orchetti più gentili, ordinati e socievoli di tutta la Valle di Risparmiolandia! Gli spaventapasseri si guardarono con occhi meravigliati. – Vorreste dire che tutti e tre gli orchetti non ci faranno più dispetti? – esclamò RossoVerdeGiallo. – Che Anastasio non ruberà più a Gellindo le castagne del Bosco dei Vecchi Ricci? – rincarò la dose Chiomadoro. – Ma ne siamo proprio sicuri sicuri
sicuri? – domandò Quantobasta. – Non dovremo più preoccuparci di loro per sette anni, sette mesi eccetera eccetera? – aggiunse Pagliafresca. Abbecedario guardò Gellindo e Bellondina, che però non seppero dargli alcuna assicurazione. E allora: – Non c’è che un modo, per saperlo. – Quale? – chiesero in coro gli altri. – Andare a chiederlo al diretto
interessato! – Tornare nella tana dei tre orchetti? – strillò spaventata Bellondina. – Ma no – la rincuorò Abbecedario. – Sarà sufficiente andar a far visita al loro zio… all’orco Persovinto! – Ah, meno male – sospirò Gellindo, che solo un istante dopo realizzò quel che aveva realmente proposto l’anziano spauracchio. – Cooosa? Andare dallo zio Persovinto?? Oh nooo!
Capitolo 5:
L ’orco Persovinto!
L’orco Persovinto abita in un castello che svetta in cima ad un dosso spelacchiato, nella terra fredda che si stende al di là dei confini a Nord della Valle di Risparmiolandia. Chiamare “castello” quella torre vecchia, sbilenca e mezza diroccata è un po’ esagerato, è vero, ma Persovinto è molto orgoglioso della sua casa e, se proprio volete farlo contento, basta che spendiate qualche parola di complimento per quella stupenda magione, per quel maniero importante, per quella dimora che denota potenza e autorità! È per questo che quando Gellindo Ghiandedoro, accompagnato da Bellondina e da maestro Abbecedario, giunse dallo zio dei tre terribili orchetti che stavano facendo disperare il Villaggio degli Spaventapasseri, e si rivolse a lui con un semplice: – Buondì, orco Persovinto! ...l’orco guardò lo scoiattolo da sopra in giù con due occhi severi e non rispose. Persovinto non era come tutti gli orchi che si rispettino e che conosciamo: non era grande e grosso come una montagna, insomma, bensì magro magro, con un volto scavato e rugoso, un naso enorme a punta e una testa lucida sulla cima e incorniciata da un cespuglietto di capelli neri e sporchi tutt’attorno, che s’univa a una barbetta ispida e dura come il filo spinato. Gli occhi erano neri come il carbone, le mani adunche e forunco-
lose avevano unghie a punta come artigli e addosso portava vestiti di pelli stracciate e vecchie. Solo dopo aver scrutato a lungo i tre nuovi venuti, l’orco aprì bocca e parlò con una voce roca e stridula. – Che ci fate, voi, al castello di orco Persovinto? – Quale castello? – domandò Abbecedario guardandosi attorno. – Non mi dirai che questa torre che sta in piedi per miracolo è un... castello? – Certo che lo è, spaventapasseri dei miei stivali! È Il castello di Persovinto, l’orco che conosce tutti i segreti delle magie! – Se non sbaglio, però, – intervenne allora Bellondina, – la tua torre... ehm, cioè, il tuo castello sta perdendo i pezzi, vero? Quei buchi lassù, sotto il tetto, sembrano fatti da poco... A quell’osservazione il mento barbuto di Persovinto cominciò a tremare piano piano, gli occhiacci si chiusero per bloccare le lacrime improvvise e il petto venne scosso da singhiozzi profondi. L’orco si trattenne per uno... due... tre secondi e poi scoppiò a piangere come una vigna tagliata di fresco! Ci volle tutta la pazienza di Abbecedario e l’opera di convincimento di Gellindo per calmare l’orco, che alla fine tirò su col naso, si asciugò gli occhi e cominciò a raccontare tra gli ultimi singhiozzi. – È da due settimane che sono perseguitato dalla malasorte. È da
due settimane che ogni notte qualche malandrino di passaggio si diverte a distruggere la torre in cui abito: toglie un mattone di qua, un sasso di là, un merlo di sopra, un sostegno di sotto e poi, all’alba, sparisce chissà dove. Ed è da due settimane che io lavoro tutti i giorni, dall’alba al tramonto, per rimettere a posto quei disastri! – Scusa, Persovinto – lo interruppe Gellindo, – ma non hai appena finito di dire che conosci tutti i segreti delle magie? – Certo... – E allora approfittane, no? Fa’ una magia, lancia un sortilegio, accendi un incantesimo e scopri chi è quello sciocco che ti sta distruggendo la casa! – Il castello... si chiama “castello”! – Sì, insomma... questa torre! – Non mi è possibile! – rispose Persovinto scuotendo il crapone mezzo pelato e mezzo cespuglioso. – E come mai? – chiese Abbecedario. – Non posso usare le mie magie su di me, è questa la verità! Mannaggia, potrei accendere il sole a mezzanotte e sorprendere quel furfante mentre toglie l’ennesimo sasso dalla mia torre... potrei lanciargli contro venti cani rabbiosi per farlo scappar lontano... potrei... potrei... potrei... ma non posso! – E perché non monti di guardia al castello? – propose Bellondina. – Non dev’essere difficile restare sveglio
fino a mezzanotte e aspettare che arrivi il mascalzone. – Credi che non ci abbia provato? Il fatto è che a un certo punto, poco prima dello scoccare del dodicesimo rintocco, un sonno tremendo mi prende le ossa, mi entra nella testa e mi chiude gli occhi! PUMFFF! Cado a terra addormentato stecchito e mi risveglio solo dopo le sei del mattino, pronto a faticare per rimettere a posto i disastri combinato da quell’altro... Gellindo pensò e ripensò a lungo al modo di aiutare l’orco Persovinto. Poi gli occhi gli si illuminarono e... – Ho trovato, orco! – Cosa? – Ho trovato il modo per scoprire chi sia quell’essere strano che di notte ama distruggere il tuo bel maniero... Metti un pentolone pieno d’acqua sul fuoco e procurati dieci chili di farina bianca! Persovinto fece quel che lo scoiattolo gli aveva chiesto e quando l’acqua si mise a bollire, i dieci chili di farina vennero versati nella pentola e... bolli che ti bolli che ti bolli, l’acqua si addensò fino a formare una massa di colla collosa incollante! – Ecco qua – esclamò allora Gellindo, che teneva in mano un grosso pennello. – Adesso cospargiamo la tua torre di colla e poi restiamo in attesa! Qualche minuti prima dello scoccare della mezzanotte, Abbecedario
afferrò Persovinto e lo trascinò distante dal castello: trecento metri bastarono, per evitare che l’orco cadesse vittima del sortilegio e piombasse nel suo solito sonno profondo. Intanto... Intanto un’ombra piccola e grassottella si staccò dal boschetto ai piedi del dosso e trotterellò su per la stradina che conduceva alla torre. Gellindo e Bellondina, che s’erano nascosti dietro all’uscio principale, videro lo sconosciuto avvicinarsi e cominciare a scalare su per la parete. Ma i movimenti del brigantello rallentarono all’improvviso e strani mugolii si alzarono nel pieno della note... – Ehi, ma che succede! – strillò dall’alto una voce che Gellindo ben conosceva. – Perché non riesco a staccare le mani dal muro? Perché i piedi si sono incollati di sotto? Ehi... aiutoooo! Venite a staccarmi di quiiii! Aiutooo... Fu Abbecedario che staccò il mariuolo dalla torre, usando il bastone di una lunga scopa. Fu Bellondina che legò come un salame il furfantello con una grossa fune lunga venti metri. Fu Persovinto che gli illuminò il volto con una torcia accesa e... Fu Gellindo che salutò l’ospite con un sorrisetto strano: – Carissimo Anastasio, che ci fai dalle parti del castello di tuo zio? Era proprio lui, cari miei, la causa
della disperazione di Persovinto. Era l’orchetto Anastasio che, ogni notte da due settimane, si divertiva a distruggere la torre che il povero orco magro magro ricostruiva poi di giorno! Era proprio lui che con un incantesimo addormentava il povero padrone di casa e faceva della sua dimora quel che voleva! – Ci puoi dire, Anastasio, il perché?– chiese Abbecedario, sedendosi accanto al lestofante imprigionato come un salame. – Il perché di che cosa? – squittì l’orchetto, guardandosi attorno furente. – Perché ce l’hai con tuo zio!? Perché gli fai dispetti terribili!? Perché distruggi di notte la sua casa? Che male ti ha fatto? – Non mi ha fatto niente, zio Persovinto – borbottò Anastasio. – Il fatto è che così mi diverto di più... mi piace far disperare gli altri e, se sono della mia famiglia, è ancora meglio! C’è più soddisfazione a far penare quelli che mai penserebbero a te, che mai ti darebbero la colpa di quel che gli capita... E voi che ci fate, invece, da zio Persovinto? – Noi siamo venuti a chiedere consiglio – gli rispose Bellondina. – Dopo i guai incredibili che state combinando giù, al Bosco delle Venti Querce e al Villaggio degli Spaventapasseri, volevamo sapere se è vero che voi orchetti non ci farete più dispetti per sette anni, sette mesi, sette settima-
ne, sette giorni e sette ore... – Inoltre – aggiunse Gellindo, – vorremmo sapere da vostro zio come comportarci con voi e fino a che punto potevamo spingerci per trasformarvi definitivamente in orchetti “buoni”... – Perfetto! – esclamò a quel punto orco Persovinto. – Vendicatemi voi e trovate il modo per far ragionare quest’orchetto disperato! È colpa mia, è vero, è colpa di chi gli ha insegnato a commettere le malvagità più assurde, ma adesso sono pentito... e voglio che anche Anastasio si penta! Gellindo guardò negli occhi Abbecedario e Bellondina e, dopo un cenno d’intesa.... – D’accordo, noi tre prendiamo in custodia Anastasio e
torniamo al nostro Bosco. In cambio, caro Persovinto, ti chiedo solo una cosa... – Dimmi! Lo scoiattolo si avvicinò all’orco magro magro, s’arrampicò su per i vestiti di pelli stracciate e vecchie e raggiunse finalmente l’orecchio destro, nel quale bisbigliò a lungo strane e misteriose parole... Bisbi... Bisbi... Bisbi... alle quali l’orco rispose con altri bisbigli sussurrati... Bisbi... Bisbi... Bisbi... e alla fine... – Allora d’accordo così! – esclamò Gellindo saltando giù dall’orco e prendendo per mano Anastasio-legato-a-salame. – Noi torniamo a casa e... e ti faremo sapere com’è andata, caro Persovinto!
Capitolo 6:
Il terribile... duello!
Nello spiazzo al centro del Bosco delle Venti Querce s’erano dati tutti appuntamento per accogliere degnamente Gellindo Ghiandedoro, la bella Bellondina e maestro Abbecedario, che teneva al guinzaglio l’orchetto Anastasio legato come un salame con doppia corda. La civetta Brigida, Pagliafresca, Casoletta e tutti gli altri vollero sapere com’era andata con Persovinto… – Un orco gentile, non c’è che dire – rispose Gellindo, – un orco, poveretto, che ha dovuto sopportare anche lui la cattiveria di suo nipote, di questo Anastasio qui, che una ne fa e altre cento ne pensa! – Lasciatemi andare! – urlava intanto l’orchetto dimenandosi come un ossesso. – Slegatemi subito, altrimenti… altrimenti vi faccio vedere io! In un angolo dello spiazzo, seduti su un tronco steso a terra, gli altri due orchetti Timoteo ed Ermelinda giocavano allegri con alcuni fiorellini… – Siamo buoni… siamo cattivi… siamo buoni… siamo cattivi – recitava Ermelinda contando i petali di una margherita, – …siamo buoni… siamo cattivi… SIAMO BUONIII!! Visto che lo dice anche il fiore? Siamo tornati ad essere due orchetti buoni buoni… Dopo aver raccontato agli amici quel che era successo a casa di Persovinto, Gellindo chiese silenzio e… – Adesso state tutti attenti – disse lo scoiattolino avvicinandosi ad Ana-
stasio. – Dei tre orchetti che ci tempestavano di dispetti, due sono innocui e lo saranno ancora per sette anni, sette mesi, sette settimane eccetera eccetera, mentre il terzo, questa piccola peste legata a salame, è ancora pericolosa. E allora, caro Abbecedario, ti chiedo di slegare Anastasio e di lasciarlo libero… – Ma come! Ne sei sicuro? – domandò il maestro. – Ho detto di slegarlo… – È ancora un pericolo, però: l’hai detto anche tu – intervenne Bellondina. – Ve lo ripeto: lasciatelo libero, ci penso io, a lui! Avvenne, allora, che quando Anastasio fu liberato dalla doppia corda che lo teneva prigioniero, dapprima si guardò attorno infuriato, con le mani appoggiare ai fianchi e nuvolette di fumo che gli uscivano dalla bocca e dalle orecchie. Poi corse con gli occhi a cercare Gellindo Ghiandedoro e… – Eccolo lì, quel moscerino. Stai attento a questa magia, scoiattolo dei miei stivali – urlò l’orchetto: – Abratim-Abratom-Sarcocchia... che Gellindo si trasformi in una... RANOCCHIA! E… Pufff!... in meno di mezzo secondo lo scoiattolino si trasformò in una ranocchia con una gran coda verde e umida di dietro! Ma la “Gellindo-rana” non si fece intimorire e con voce gracchiante urlò: – AbratimAbratom-SARCERTOLA… che Anasta-
sio diventi una piccola... LUCERTOLA!
E… Pofff!... Anastasio si trasformò in una minuscola lucertolina, che urlò con tutto il fiato che aveva in corpo: – Abratim-Abratom-SARCANO… che questa ranocchia si tramuti in un... PELLICANO! E… Pafff! La piccola rana s’ingigantì, mise le zampe, il collo, le piume e soprattutto protese in avanti un becco enorme, con un’altrettanto enorme borsa che penzolava di sotto. Dopo di che la “Gellindo-lucertola” urlò a sua volta: – Abratim-AbratomSARCINO… che questa lucertola diventi un PINO! – AAbratim-Abratom-SARCORE… che questo pellicano si trasformi in un
FIORE! – rispose l’”Anastasio-pino”. – Abratim-Abratom-SARCALLA… che questo pino diventi una FARFALLA! – urlò il “Gellindo-fiore”. – …Si trasformi in un PERO! – … diventi un PALO DELLA LUCE! – …un BRUCO! – …una TORTA! – …una NUVOLA! – …un’AQUILA! – … una GHIANDA! –… una MUCCA! – …?? La mucca pacioccona piegò il collo, avvicinò la bocca alla grossa ghianda e con una linguata… GNAMMMM!... se lo mangiò in un sol boccone! A questo punto capirete anche voi in quale pasticcio s’era ficcato Gellindo. Quella ghianda sparita in fondo
al pancione della mucca, era il nostro scoiattolo oppure quel mariuolo di Anastasio? Gli spaventapasseri del villaggio non sapevano proprio cosa fare: il duello s’era trascinato troppo a lungo e le trasformazioni s’erano susseguite a un ritmo troppo veloce, perché qualcuno avesse avuto il tempo di tenere il conto. – Mu… mucca mia bella – balbettò Bellondina sull’orlo del pianto, – puoi dirmi se tu sei il mio amico Gellindo, oppure quel cattivo di Anastasio? Silenzio! – Se non sei capace di parlare, basta solo che tu faccia di sì con la testa se sei il nostro Gellindo, oppure no se sei Anastasio… La mucca rimase immobile, con gli occhioni tondi come due bocce dell’albero di Natale. – E adesso che facciamo? – singhiozzò Casoletta, correndo ad abbracciare Bellondina. – Fate in modo che a qualcuno venga una bella idea! Subito! Abbecedario si grattò la zucca, Pagliafresca mordicchiò il cannello della finta pipa di legno vero, Fra’ Vulcano si tolse il berretto e lo stropicciò tra le mani… Solo Quantobasta ebbe un’idea: – Facciamo così: prendiamo la mucca e piano piano la portiamo da Ratto Robaccio, giù alla discarica del Villaggio. La leghiamo bene a un palo e aspettiamo. Magari questa magia è
temporanea, forse tra dodici ore svanisce del tutto e allora sapremo se è stato Gellindo a mangiarsi Anastasio, oppure… oppure ahimè viceversa! Trascorsero dodici ore e poi altre dodici senza che nulla accadesse. Ne passarono altre ventiquattro e ventiquattro ancora. Nessuno si accorse, però, che là dove il primo giorno di prigionia la mucca aveva fatto cadere una grossa cacca, proprio là era attecchita una piccola ghianda, che crebbe in poco tempo fino a diventare una sottile quercia con tante foglioline verdi e tenere. Ed era una quercia che parlava, cari miei! Era una quercia che, la sera, raccoglieva attorno a sé gli spaventapulcini del Villaggio e raccontava loro fiabe bellissime, storie avventurose, racconti di viaggi lontani… Ben presto tutti si convinsero che quella quercia altri non fosse che il loro Gellindo Ghiandedoro. Bellondina andava a trovarla fin dall’alba e le faceva compagnia fino a dopo il tramonto del sole: la annaffiava ogni due ore e spostava di continuo i rami delle altre piante che potevano farle ombra. Gli spauracchi Quantobasta, RossoVerdeGiallo e Còntolo si trasferirono nella Grande Città in Valle, misero le tende nella biblioteca e si fecero portare tutti i libri che parlavano di magia e di formule magiche, per cercare quella che potesse fare al caso
loro. Lessero decine di grossi libri e impararono a memoria centinaia di sortilegi, ma non ebbero fortuna, si ritrovarono ben presto a mani vuote e rientrarono tristi e scornati al Villaggio. Fu Abbecedario, questa volta, ad avere l’idea giusta. – Tutto è nato dall’orco Persovinto – si disse una notte il maestro, alzandosi dal letto e preparandosi a partire per un lungo viaggio. – È stato lui a insegnare a Gellindo il modo per sfidare a duello l’orchetto Anastasio… e quindi soltanto lui sa come far tornare in vita il nostro amico! Persovinto ascoltò con attenzione il racconto di Abbecedario, scuotendo il capo e sbuffando ogni qual volta lo spaventapasseri citava il nome dell’orchetto Anastasio. Al termine, l’orco alto e magro, con la faccia triste e il grosso naso a punta entrò in casa e ne uscì poco dopo con una borsa di pelle a tracolla. – Andiamo! – mormorò allo spaventapasseri sbalordito. – Dove andiamo? – Al Bosco… torniamo al tuo Bosco delle Venti Querce – rispose Persovinto. – Se mio nipote Anastasio ha combinato questo bel guaio, tocca a me porvi rimedio! Ci volle poco, a dire il vero: qualche parolina misteriosa sussurrata alle foglie della piccola quercia, uno strano unguento spalmato sul tronco sottile e un tremolio leggero percorse la
pianticina. Quel tremore, poi, si fece sempre più forte finché… Craccckkk!... la corteccia del tronco si ruppe, i rami caddero assieme alle foglie e uno scoiattolino con una ghianda in bocca sbucò dal nulla con un salto e con uno strillo di gioia. – Finalmenteee! – gridò Gellindo, correndo ad abbracciare Bellondina, Casoletta, Abbecedario e tutti gli altri. – Finalmente posso muovermi, posso correre, sgranchirmi, ballare, saltare, pirlare… Grazie, orco Persovinto, grazie per tutto quello che hai fatto per noi. Ma… adesso come la mettiamo con la mucca? Persovinto rimise l’unguento nella
borsa a tracolla, scrollò le spalle e s’avviò verso la discarica del Villaggio. – Con “Anastasio-mucca” me la vedo io. Subito e da solo! Gellindo guardò perplesso i suoi amici e i suoi amici guardarono perplessi Gellindo. – Non sia mai detto che il nostro nuovo amico Persovinto affronti da solo una mucca strana come quella! – disse sottovoce lo scoiattolo. – Perciò fate silenzio, mi raccomando, non fate rumore e… venite con me! Lo seguiremo da lontano, ma voglio vedere che cosa succederà all’orchetto Anastasio!
Capitolo 7 (e ultimo):
Il terribile duello!
Ciò che avvenne quel giorno alla discarica del Villaggio rimarrà scritto per sempre nella storia della Valle di Risparmiolandia. Se ben ti ricordi, avevamo lasciato l’orchetto Anastasio – al termine di un interminabile e magico duello con Gellindo Ghiandedoro – trasformato in mucca legata ad un palo piantato al centro della piana di rifiuti puzzolenti. E infatti eccola lì, la placida “Anastasio-mucca”, che si guarda in giro curiosa e affamata, tenuta d’occhio dalle pantegane Ratto Robaccio e Lilli Spatoccia. – Chissà che cosa ha intenzione di fare, orco Persovinto, per risolvere questo doppio problema – disse Robaccio, sgranocchiando il torsolo di una mela marcia. – Perche “problema doppio”? – chiese Spatoccia pulendosi i denti con un ossicino di pollo. – Semplice: perché al buon Persovinto non basterà trasformare questa mucca nel suo pestifero nipotino Anastasio, ma dovrà anche renderlo buono, mansueto e tranquillo come gli altri due cuginetti, Ermelinda e Timoteo. Fu a quel punto che successe il fattaccio! Sovrappensiero, Robaccio prese il torsolo che stava mangiucchiando e, preso da improvvisa generosità, lo gettò alla mucca. Che lo prese al volo e in un baleno lo mangiò leccandosi i baffi con la grossa lingua.
Muuuuuuuuu… La mucca si bloccò con un muggito lungo e penoso. Muuuuuuuuu… Gli occhioni tondi e umidi si socchiusero e divennero seri e pensierosi. Muuuuuuuuu… Due sbuffi nervosi allargarono le froge del nasone. Muuuuuuuuu… Lo zoccolo sinistro scalpitò sul terreno… Muuuuuuuuu… e il bestione in meno di mezzo secondo si ritrasformò nel tremendo orchetto Anastasio! – Ciao, pantegane dei miei stivali! – esclamò Anastasio, sputacchiando veleno a destra e a sinistra. – Grazie per il torso di mela che m’ha fatto tornare quel che ero prima del duello con quello scoiattucolo di Gellindo… ma adesso fatti in là, ché devo andare a svegliare i miei due cuginetti! Non l’avesse mai detto: se c’erano due cose che facevano andare in bestia il povero Ratto Robaccio, la prima era l’acqua per lavarsi. La seconda erano i modi sgarbati e violenti. Senza dire una parola, Ratto Robaccio allungò una zampa, tolse senza fatica il palo da terra, lo brandì come fosse una mazza e… Spatapammm… il bastone raggiunse in pieno il fondoschiena orchesco, sollevando Anastasio alto sopra la discarica. Swwwiiimmm... l’orchetto volò per cento, centocinquanta, duecento metri e andò a cadere proprio in cima ad una catasta di cassette di legno vecchie e rotte. Nemmeno il tempo di ragionare un attimo, che…
Spatapammm… Swwwiiimmm… Robaccio raggiunse l’orchetto e gli assestò un secondo colpo nel sedere. E poi un terzo, un quarto, un quinto. In meno di dieci minuti l’orchetto Anastasio fece il giro dell’intero Bosco delle Venti Querce quasi fosse una pallina da golf che andava a cercare qui e là un qualche buca per nascondersi. Ma non c’erano buche, quel giorno: almeno, non per Anastasio! Spatapammm… Swwwiiimmm… – E che non ti venga più in mente di trattarmi male… Spatapammm… Swwwiiimmm… – Sarò anche un topo di campagna con poco cervello, ma un po’ di buona educazione non fa mai male! Spatapammm… Swwwiiimmm… – E se certe cose non le capisci con le buone, allora è giusto farti ragionare in modo più convincente! Spatapammm… Swwwiiimmm… Fu lo spettacolo di una pantegana arrabbiata che prendeva a bastonate nel sedere un orchetto furioso ad accogliere Persovinto, che giunse alla discarica pronto ad affrontare una mucca magica nella quale si nascondeva quel suo nipote senza criterio. E dietro l’orco Persovinto ecco arrivare di corsa Gellindo Ghiandedoro, Bellondina e tutti gli altri spaventapasseri di Risparmiolandia. – Ratto Robaccio, fermati! Metti giù quel bastone!!! – esclamò maestro Abbecedario alzando la voce. Robaccio si fermò, s’accorse di tutta quella
folla ferma immobile a osservarlo a bocca aperta, cercò di nascondere il palo dietro la schiena e… – Ehilà, amici, qual buon vento vi porta alla discarica? Ecco, stavo proprio ragionando con il giovane Anastasio e cercavo di fargli capire che è sempre meglio trattare gli altri con gentilezza, piuttosto che correre il rischio di far arrabbiare qualcuno… – Zio! Zio Persovinto – si mise a urlare a quel punto Anastasio, correndo a rifugiarsi tra le braccia dell’orco alto, magro e col naso a punta. – Ti prego, fa’ smettere quel cattivaccio! Mi ha fatto male, molto male… ho il fondoschiena rosso come un melone maturo! Persovinto si staccò da Anastasio e lo guardò dall’alto in basso con occhi scuri. Severi. – Puoi dirti fortunato, Anastasio – disse l’orco parlando a voce alta perché tutti lo potessero sentire. – Fortunato perché – domandò l’orchetto tirando su col naso. – Perché quel che t’ha fatto Ratto Robaccio è nulla, in confronto al castigo che avevo in mente io per te! Hai presente quella nuvoletta lassù in cielo? Tutti alzarono lo sguardo in alto ed effettivamente videro una nuvola che aveva vagamente l’aspetto in un orchetto bianco e grigio. – Tu dovevi trasformarti in quella nuvola e un venticello fresco ti avrebbe portato lontano lontano. Robaccio
invece ti ha salvato da un triste destino e adesso tocca solo a te rimediare ai tuoi guai! – Tocca a me, che cosa? – chiese l’orchetto. – Pensare al male che c’è in te, ai disastri che hai combinato e pentirti delle lacrime che hai provocato. Ma solo se saprai individuare la persona giusta alla quale chiedere scusa, solo allora potrai tornare ad essere un orchetto con la testa sulle spalle. Certo che Anastasio aveva capito. Diciamoci la verità: sotto sotto era proprio stufo anche lui di combinare guai a ripetizione, di sentirsi sempre nell’occhio del ciclone, di raccogliere solo male parole e sguardi cattivi. L’orchetto cercò con gli occhi Gellindo Ghiandedoro e… – Spero proprio che tu sia la persona alla quale chiedere scusa. Mi puoi perdonare, scoiattolo Gellindo, per il male che ti ho combinato? Gellindo lo perdonò all’istante, ma... – Hai fatto bene, Anastasio, a rivolgerti innanzitutto a Gellindo – disse Persovinto, – ma non è lui quello che risolverà i tuoi problemi! L’orchetto parlò con maestro Abbecedario… – Prometto che non ti farò più arrabbiare! …si rivolse a Casoletta… – Se tu lo vorrai, sarò tuo amico per sempre! …s’inginocchiò ai piedi della civetta
Brigida… – Chiedimi qualsiasi cosa, Brigida, e sarai immediatamente accontentata! …scongiurò RossoVerde Giallo… – Basta multe, basta rimbrotti, basta brutte parole! …e infine corse anche da Timoteo e da Ermelinda. – D’ora in poi, mi raccomando, non fate più quel che vi dico io di fare! – Sei stato bravissimo, Anastasio – lo rincuorò lo zio, – però hai chiesto scusa a tutti tranne che alla persona più importante! Forse questo specchio ti aiuterà… L’orchetto si avvicinò, prese lo specchio e lo avvicinò al volto. Quel che vide lo lasciò senza fiato: ecco lì un orchetto disperato, con gli occhi spiritati e cattivelli, con le mani chiuse a pugno e lo stomaco duro come il tronco di una betulla. Ma è mai possibile vivere in quel modo? – Sai, zio Persovinto – mormorò l’orchetto con gli occhi bassi, – penso di aver capito a chi devo chiedere perdono. Devo guardarmi in fondo al cuore, chiacchierare un po’ con l’Anastasio buono che c’è in me ed è a lui che devo domandar scusa… A quel punto l’intero villaggio di spaventapasseri corse a circondare l’orchetto, ad abbracciarlo, a coccolarlo. E da quel giorno finalmente la pace tornò nel Bosco delle Venti Querce. Zio Persovinto ritornò alla sua torre diroccata mentre Timoteo, Erme-
linda e Anastasio si costruirono una casetta di tronchi e assi poco distante la quercia nella quale abitava Gellindo Ghiandedoro. – D’ora in poi – disse Anastasio allo scoiattolino risparmioso, – il tuo letargo sarà protetto da tre orchetti devoti e pronti a tutto. Potrai dor-
mire in pace e quando a primavera ti sveglierai sarai bello fresco e riposato! Il sorriso di Gellindo si mescolò ai sorrisi di Bellondina, di Abbecedario e di tutti gli altri. Avevano perso tre terribili orchetti e avevano guadagnato tre simpatici amici. Il cambio era stato vantaggioso per tutti!
Fine