L ’economia raccontata ai bambini-10-Gellindo Ghiandedoro e la quercia... generosa!

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L ’economia raccontata ai bambini

Gellindo Ghiandedoro e la quercia... generosa!

1 - Una notte magica I RACCONTI DEL BOSCO DELLE VENTI QUERCE - FIABA DI MAURO NERI - ILLUSTRAZIONI DI FULBER


Notte magica Era da qualche giorno, ormai, che Gellindo Ghiandedoro aspettava con ansia la notte “magica” dell’anno. Sapeva che l’epoca giusta era il cuore dell’estate, quando il caldo diventava insopportabile anche di notte e nell’aria il profumo dei fiori di campo si mescolava con quello dei primi funghetti del sottobosco. Ma era difficile stabilire quando esattamente si sarebbe verificato l’evento e, dopo quattro notti intere trascorse con gli occhi sbarrati nel lettino della tana ad ascoltare fino all’alba i rumori del Bosco delle Venti Querce, Gellindo, la quinta notte, cadde in un sonno ristoratore e profondo. Talmente profondo, che lo scoiattolo non sentì nemmeno quel leggero tremore, quasi fosse un piccolo terremoto, che cominciò a salire dalle radici ben piantate a terra. Vrrrrrrrrrr… poi silenzio. Ancora… Vrrrrrrrrrr… e poi di nuovo silenzio… Quando però quella dolce vibrazione si fece più forte e il tronco della vecchia quercia si mise a ondeggiare in circolo scricchiolando pericolosamente, solo allora lo scoiattolo aprì gli occhi, balzò dal letto e corse a guardar fuori dalla finestra. Avreste dovuto vedere lo spettacolo che seguì: alla luce chiara di una luna piena, un dolce venticello estivo prese a soffiare fra i grossi rami e le fronde sottili della quercia, trasformando il sibilo sottile del soffio in una voce trasparente e argentina che cantò una stupenda canzone…

E se la ghianda d’oro fra le mani ti cadrà, il tuo sogno più importante realtà diventerà! Se la ghianda preziosa sul lettino troverai, tienila stretta e luminosa e più ricco tu sarai! – Sta arrivando! – mormorò Gellindo chiudendo il battente della finestra e un sorriso gli aprì gli occhi e il cuore. – La mia ghianda d’oro sta arrivando anche quest’anno! Succede, infatti, che fra le migliaia e migliaia di ghiande che ogni anno nascono da quell’antica quercia, una, una soltanto è fatta d’oro prezioso e finissimo! È un regalo dell’albero al suo inquilino preferito, a quel Gellindo Ghiandedoro che, dalla tana scavata nel cuore del tronco, fa compagnia notte e giorno alla quercia più vecchia del bosco. Quando il canto si spense piano piano tra le foglie e il venticello si posò leggero sul prato lì davanti, la luce della luna andò a frugare nella chioma verde scuro della quercia, finché si posò su una pallina color dell’oro, facendola brillare in mezzo a tutte. – Eccola, è lassù! – urlò di gioia Gellindo, che agile e veloce s’arrampicò su per il tronco e raggiunse l’ultimo ramoscello sottile sulla destra. Quando strinse in mano la ghianda d’oro, il cuore gli batteva come la grancassa della banda cittadina: anche quell’anno la quercia s’era ricordata di lui e in cuor suo la ringraziò con le più belle parole che riuscì a



trovare. Poi… – Adesso ti porto giù al magazzino “Quattro” della mia tana, – disse lo scoiattolo parlando alla ghianda, – dove potrò custodirti assieme alle tue “sorelle”! Nel piccolo magazzino “Quattro” c’erano, infatti, otto ghiande d’oro: erano il tesoretto di Gellindo, pronto a diventar denaro sonante in caso di bisogno o di emergenza. Quando però Gellindo mise l’ultima ghianda assieme alle altre e ammirò con calma quel luccichio luminoso e invitante, il fiato gli si smorzò in gola e una folle, inspiegabile paura gli attanagliò lo stomaco. – E se mi rubano queste ghiande d’oro? Folle paura Fu così che Gellindo perse l’appetito ed il sonno! La paura di essere derubato lo spinse a prendere le nove ghiande d’oro, a portarsele in tana e a nasconderle sotto al letto. Ma da quel giorno, non lasciò più la stanza in cui dormiva! – Come faccio ad andarmene in giro, se poi qualcuno entra di soppiatto in casa, vede il mio tesoro e se lo porta via? Non sono mica sciocco, io! Qui, rimango, e da qui non mi muovo! Quando però trascorsero tre giorni senza che nessuno vedesse in giro il simpatico Gellindo Ghiandedoro, Bellondina e Candeloro salirono al Bosco delle Venti Querce e andarono a bussare alla porta della tana. Tock! Tock! Tock…

Nessuno rispose! – Gellindo, sono io… sono Bellondina! – urlò la spaventapasseri dai neri capelli a boccoli. – E ci sono anch’io, Candeloro! – Via, andate via! – gridò Gellindo. – Non voglio parlare con nessuno, non voglio vedere nessuno! – Ma perché? È successo qualcosa? Qualcuno ti ha offeso? – chiese Bellondina. – No, non è successo nulla e nessuno mi ha offeso. State buoni e lasciatemi solo e tranquillo! A quel punto i due spaventapasseri fecero spallucce e tornarono al Villaggio. Gellindo, rimasto solo, cominciò a passeggiare avanti e indietro, rimuginando mille brutti pensieri. «Di Bellondina e di Candeloro mi fido, figuriamoci! E nemmeno degli altri spaventapasseri ho paura, oppure degli abitanti del Bosco delle Venti Querce. Sono tutti amici e tutti sanno che ogni anno la quercia mi regala una ghianda d’oro: se volevano rubarmela, avrebbero potuto farlo già da tempo. Però, se passa di qui un forestiero? Ad esempio uno scoiattolo vagabondo che s’impadronisce della mia tana perché io sono in giro e non me la vuole più restituire? Cos’è: si tiene anche il mio tesoretto?…». No no: bisognava prendere le nove ghiande d’oro e portarle fuori, nasconderle da qualche altra parte dove nessuno poteva trovarle! E il piano scattò quella notte stessa. Era una notte buia, questa volta: proprio


quel che ci voleva per l’idea che aveva in mente Gellindo. Con un badile in mano, lo scoiattolo scivolò fuori della tana e corse in mezzo al prato che si stendeva davanti alla vecchia quercia: fare un bel buco profondo mezzo metro fu un gioco da scoiattolino. Più faticoso fu andare avanti e indietro nove volte, per andare a prendere le ghiande preziose da sotto il letto e portarle nella buca, dove poi le ricoprì con un bel po’ di terra. – Oh, così va bene – sospirò il nostro amico, orgoglioso del nuovo nascondiglio. La mattina dopo Brigida la civetta andò a becchettare impertinente sull’imposta della finestra alla quale, dopo un po’, s’affacciò un Gellindo ancora addormentato. La voglia di poltrire però gli passò d’incanto, quando la civetta gli disse: – Tu lo sai chi ha fatto un buco al centro del grande prato? C’è ancora tutta la terra smossa, laggiù! Ah, queste talpe! Se un giorno o l’altro ne vedo una, vedrai quante gliene dico… Gellindo tacque e tenne per sé la delusione cocente: quella notte riprese il badile, riscavò al centro del grande prato, tolse le nove ghiande d’oro e andò a nasconderle in un nuova buca, scavata questa volta sulla riva del ruscelletto lì vicino. Quella notte, però, quando finalmente riuscì a chiuder occhio, fece un sogno terribile. Sognò di essere seduto sulla sponda di quel rivo perso nei propri pensieri e con un fiorellino in bocca, quand’ecco una bella

trota luccicante uscir con la testa dall’acqua. “Ciao, io sono Rosaria la Trota” disse il pesce, “e tu sei Gellindo? Lo Scoiattolo più ricco del mondo?”. “Coosa? E chi te lo ha detto?!”. “Non me l’ha detto nessuno, però questa notte ti ho visto, mentre scavavi una buca per terra sulla riva del torrente e ci nascondevi nove ghiande tutte d’oro! Se non è essere ricchi, questo”. “No, non è vero: io non ho scavato nessuna buca, non ho nascosto le ghiande… Le ghiande sono ancora sotto il letto nella mia tana… Nooooo!” – Noooooo! – e Patapumfff, Gellindo rotolò a terra, tirandosi dietro le coperte e le lenzuola. La notte dopo trasferì il suo tesoro dalla riva del ruscello al folto del bosco, scavando una nuova buca al Prato dei Mirtilli. Ma lì ci capitavano troppi cercatori di funghi e bacche, perciò la notte seguente le nove ghiande furono nascoste in fondo a una tana di volpe che era abbandonata da anni… «Che sciocco sono – si disse però Gellindo la notte seguente. – E se per caso succede che qualche volpe torna da queste parti, cosa fa? Vede una tana vuota, se ne impossessa senza pensarci sopra tanto e le nove ghiande finiscono nelle sue sgrinfie!». Se vi dicessi tutte le buche che Gellindo scavò di notte qui e là per il Bosco delle Venti Querce e tutti i nascondigli che usò per nascondervi le ghiande d’oro, non mi credereste! Avreste dovuto vederlo nuotare


sott’acqua nel Laghetto delle Ninfee, mentre legava le nove ghiande ad altrettante radici di ninfea che penzolavano dall’alto! Oppure appeso alla cima del larice più alto della Valle di Risparmiolandia, mentre cerca di raggiungere il grosso nido di un falchetto per depositarvi il suo tesoro. Che dire, poi, dell’idea di chieder aiuto a talpa Melesenda… “Me le terresti nascoste tu, le ghiande d’oro? Magari in un cunicolo senza uscita, oppure in un buco che nessuno conosce?”. Alla fine di tutto questo andirivieni, Gellindo si ritrovò stanco morto per la fatica e per il sonno nella sua tana e con il suo tesoro nascosto chissà dove nelle viscere della terra. «E se adesso viene un terremoto?

Oppure un’alluvione, l’acqua straripa e inghiotte tutte le gallerie? Proprio sotto terra dovevo nascondere quel che mi è più caro? Ma si può essere così sciocchi?!». E corse al cunicolo di Melesenda spingendo una carriola: svegliò la talpa, e già quella fu un’impresa; si fece poi condurre nel luogo in cui la poveretta aveva messo le ghiande d’oro e recuperò il tesoretto. Grazie alla carriola, con un unico viaggio riportò le nove ghiande al magazzino “Quattro” della sua tana, proprio là da dov’erano partite molti giorni prima. Poi – e questa fu la sua ultima pensata – si trasferì anche lui a vivere nella sua “cassaforte”, portandosi dietro il lettino, la foto di Bellondina e le sette sveglie. (continua)


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