Le guerre di Gellindo Ghiandedoro
Gellindone dei Ghiandedoro e il cavallo stanco I RACCONTI DEL BOSCO DELLE VENTI QUERCE - FIABA DI MAURO NERI - ILLUSTRAZIONI DI FULBER
10 agosto 1487, Calliano (Valle dell’Adige, Trentino) Mancano pochissime ore, ormai, alla battaglia di Calliano, che deciderà le sorti del Trentino, conteso tra i Veneziani e i Tirolesi. Gellindone dei Ghiandedoro, uno tra gli ultimi Capitani di ventura che la storia conosca, vorrebbe tanto partecipare alla celebre battaglia in groppa al suo fido destriero Mostardo, ma quando indossa l’armatura, si allaccia lo spadone, infila l’elmo, impugna con la sinistra lo scudo e con la destra la pesante mazza... il povero cavallino si rifiuta di farlo issare sulla sua schiena. A quel punto che accadrà? Riuscirà il Capitano a convincere il suo destriero, oppure sarà il cavallino stanco ad averla vinta? Comunque vada, Gellindone avrà capito la lezione: meglio lasciar perdere le guerre d’ogni tipo e montare a cavallo per andare alla scoperta delle bellezze del mondo! Nell’accampamento dei Veneziani avvolto nell’oscurità della notte fonda c’era il solito andirivieni nervoso che precede sempre le grandi battaglie. Scudieri che correvano avanti e indietro per recuperare i vari pezzi delle armature; palafrenieri che tenevano a bada i cavalli scalpitanti; inservienti che uscivano ed entravano in continuazione nelle tende variopinte dei Capitani portando tazze di latte tiepido e pane caldo per la colazione; servi che attizzavano i fuochi; fanti che indossavano le corazze leggere… Nessuno parlava, però, nessuno urlava: i trenta Cavalieri al soldo dei Veneziani si stavano preparando all’ormai prossima battaglia nel massimo silenzio. Tra di loro c’era anche Gellindone dei Ghiandedoro, nobile scoiattolo
di un’antichissima famiglia che attendeva silenzioso nella tenda azzurra e arancione che arrivassero i suoi scudieri per vestirlo. Accanto a Gellindone, nell’angolo più buio, c’era anche Mostardo, il suo fido cavallo, il destriero che gli era stato amico in tante battaglie e in altrettanti tornei cavallereschi. – Come va, mio prode Mostardo? – mormorò Gellindone dei Ghiandedoro infilandosi i guanti di lana leggera. Il cavallo sbuffò, scosse il grosso testone e scalpitò nervoso: – Andrebbe bene, padrone mio – rispose Mostardo nel linguaggio dei cavalli che gli scoiattoli comprendono bene, – se non fosse per gli acciacchi dell’età! – Perché, ti senti forse vecchio? – Non è che mi sento, è che sono vecchio, caro il mio cavaliere! Tu,
preso da mille battaglie, non te ne sei ancora accorto, ma ormai non li conto più gli anni che ti porto in battaglia o ai tornei. La mia schiena è a pezzi e le zampe… ecco, guarda!, tremano da sole, tremano di vecchiaia! Proprio in quel momento entrò il capo degli scudieri seguito da altri sei inservienti che portavano ciascuno un pezzo di armatura. Gellindone lasciò perdere il suo cavallo e si avvicinò al centro della tenda per farsi vestire. – Ecco – mormorò triste il buon Mostardo, – e poi non dire che non t’avevo avvisato… – Cosa c’è? – chiese lo scoiattolo attorniato dai suoi serventi, girandosi verso il cavallo. – Hai detto qualcosa? – No no, fa niente – rispose Mostardo scuotendo la testa. Se non avete mai assistito alla vestizione di un Capitano di ventura, be’, questa è l’occasione per farlo. Ci vollero cinque scudieri che, pezzo dopo pezzo, in meno di un’ora rivestirono Gellindone dei Ghiandedoro di pesante acciaio brunito. Cominciarono infilandogli su per le zampe una tunica aderente e scura, fatta di maglia di ferro; poi fu la volta delle scarpe – di acciaio anch’esse – con la punta aguzza; le gambe vennero protette da grossi schinieri snodati all’altezza delle ginocchia; alle mani del cavaliere
infilarono pesanti guanti con le dita snodate; il torace e la schiena furono protetti dalla corazza vera e propria, che scintillava alla luce delle torce. Infine sulla testa infilarono un elmo con tanto di cimiero coi colori azzurro e arancione della casata dei Ghiandedoro e con la celata per coprirsi gli occhi. Dopo di che… – Bene – esclamò il capo degli scudieri, – e ora, messer Gellindone, facciamo entrare la gru! La gru altro non era che un trespolo munito di ruota e catene: il Cavaliere venne assicurato per benino alle catene e poi si misero in quattro a girare i raggi della ruota, alzando Gellindone in aria fin quasi a due metri di altezza. – Adesso prendete il cavallo! – ordinò lo scudiero anziano. E a quel punto accadde l’imprevedibile! Mentre Gellindone dei Ghiandedoro penzolava in maniera poco dignitosa in aria, due inservienti s’avvicinarono a Mostardo, lo afferrarono per le briglie e fecero per tirarlo sotto la gru. Mostardo s’impuntò e non si mosse! – Be’, si può sapere che ti succede? – strillò uno dei due inservienti. – E muoviti, testone di un cavallo! – urlò quell’altro. – Ti proibisco di insultare il mio
destriero, uomo – urlò dall’alto Gellindone, muovendo le zampette come se camminasse sulle nuvole. – Trattatelo con buona grazia e vedrete che Mostardo vi ubbidirà! Allora lo accarezzarono, lo lisciarono, lo attirarono al centro della tenda con carote grosse così e con foglie di verza appetitose… niente da fare! Mostardo sbuffava nervoso, scalpitava irruente, addirittura un paio di volte si alzò sulle zampe posteriori nitrendo furioso, ma non si mosse di mezzo centimetro! A quel punto anche Gellindone dei Ghiandedoro s’arrabbiò. – Ma si può sapere che ti piglia, Mostardo? Il cavallo si calmò, girò la testa verso il suo signore e parlò: – Ma lo sai quanto pesi, Gellindone? Lo scoiattolo corazzato si guardò in giro spaventato: il suo Mostardo non aveva mai parlato in presenza di estranei. Gli scudieri, però, e gli inservienti pareva non avessero sentito nulla. – E quanto vuoi che pesi uno scoiattolino come me? Qualche etto e poco più! Tò, diciamo mezzo chilo a farla grande… – Già, ma quando sei pronto per scendere in battaglia, quanto pensi di pesare? Gellindone fece due conti: la tunica in maglia di ferro, le scarpe a punta, gli schinieri, i guantoni, il pet-
torale e lo schienale d’acciaio, l’elmo, la celata, il cimiero… – Be’, con tutta la corazza arrivo a 100 chili tondi tondi! – Più la spada… – Centocinque… – Più lo scudo! – Centodieci… – E se ci metti la mazza pesante? – Diciamo centoventi chili! – Bene, e tu pensi che alla mia veneranda età possa ancora sopportare una battaglia intera portandomi sulla schiena centoventi chili di corazza e di cavaliere? Ma per chi mi hai preso, Gellindone dei Ghiandedoro? Lo scoiattolo se ne stava sempre lassù, appeso con le catene alla gru, e Mostardo era sempre nell’angolo più buio del tendone, con addosso la gualdrappa azzurra e arancione che toccava quasi terra. – D’accordo, ho capito – sospirò alla fine il Capitano di ventura: – è arrivata per te l’ora della meritata pensione… ma non ti andrebbe di solennizzare l’avvenimento con una bella battaglia? Pensa un po’: questa di Calliano sarà per te l’ultima battaglia, prima di un lungo riposo nella mia tenuta di campagna! Mostardo scosse il capo poco convinto. – Mi spiace veramente, Gellindone, ma io non combatterò la battaglia di Calliano, e nemmeno tu lo farai!
Il Capitano del casato dei Ghiandedoro non prenderà parte a questo massacro… Mostardo tacque un istante, come a voler controllare l’effetto che le ultime parole avevano avuto sul suo padrone. Gellindone lo stava guardando muto e con gli occhi stupefatti. – E non saremo i soli, caro mio! – aggiunse allora il cavallo. – I soli a far che cosa? – chiese Gellindone. – A rifiutarsi di combattere questa battaglia, oggi, ci sarò io, ma ci saranno anche tutti i destrieri degli altri Capitani di ventura al soldo dei Veneziani, che si rifiuteranno di caricarsi sulla schiena i due quintali e passa di peso dei loro padroni che, a differenza tua, sono uomini e anche forti e robusti! Mostardo stava ancora parlando, quando nella tenda entrò di corsa un fante. Il pover’uomo cercò a destra e a sinistra il suo padrone, ma vide solo scudieri, inservienti e un vecchio cavallo con la gualdrappa azzurra e arancione. – E dov’è andato Gellindone dei Ghiandedoro? – domandò il soldato, che ansimava per la fatica della corsa. – Sono quassù, sciocco! – strillò lo scoiattolino appeso per aria. – Ah ecco, lassù… Messer Gellindone, sta succedendo una cosa strana!
– Mai strana come quella che sta accadendo a me! – rispose il cavaliere. – Perché? Cosa vi è capitato, mio signore? Devo chiamare le guardie? Avete bisogno che vi difendiamo? – Già, difendermi da un cavallo in sciopero! Difendermi da un cavallo che si rifiuta di fare il suo dovere, ecco cosa dovresti fare, soldato! – Anche voi?!? – esclamò il fante impallidendo. Gellindone si fece più attento: – Anch’io cosa? – Anche voi, così come tutti gli altri Capitani di ventura al soldo dei Veneziani, avete un cavallo bizzoso che si ostina a non farvi salire sulla schiena? Ma allora è un’epidemia! L’epidemia dei cavalli codardi che non vogliono scendere in battaglia… – Silenzio, soldato! Non ti permettere di insultare Mostardo, sai? – Gellindone era arrabbiato furioso. – Il mio destriero non è vigliacco, è solo… solo un po’ vecchio e stanco! Dopo tante battaglie combattute con coraggio, adesso ha mal di schiena e non se la sente più di portarmi al galoppo contro i nemici… – Mio signore – osò dire il povero fante in ginocchio, – è la stessa identica cosa che gli altri trenta Capitani stanno facendo proprio in questo momento: se ne stanno ognuno nella propria tenda a consolare il povero cavallo stanco e anziano…
Solo a quel punto Gellindone si accorse che la sua posizione non era la più onorevole. Zampettò nervoso, allora, e si mise a urlare: – Tiratemi giù da quassù! Subito, svelti! Voglio consolare anch’io il mio vecchio Mostardo… Toccata terra, Gellindone fece per correre dal suo amato Mostardo, ma il peso della corazza lo tenne piantato al centro della tenda: – Toglietemi di dosso tutto questo ferro, uomini! E fate veloci! Finalmente libero da maglie d’acciaio, da scarpe a punta, da schinieri e da pettorali di ferro battuto, Gellindone poté correre ad abbracciare il povero Mostardo, che con un gesto solo si liberò della gualdrappa azzur-
ra e arancione e nitrì soddisfatto e felice! Andò proprio così, la famosa battaglia di Calliano, che i Veneziano combatterono e persero contro i Tirolesi. E d’altronde che potevano fare, senza i trenta Cavalieri che all’ultimo momento s’erano rifiutati di scendere in campo? Quel 10 agosto 1487 il paese di Calliano assistette non solo alla vittoria dei Tirolesi, ma anche alla fine dei Capitani di ventura. Gellindone dei Ghiandedoro e gli altri trenta cavalieri di nobile famiglia salirono in groppa ai rispettivi destrieri senza corazze, però, senza elmi, spade e scudi, e tornarono a casa trotterellando felici, con gli scudieri che gli