Fiabaracconto - L'apprendista strega

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L ’apprendista Strega Fiaba di MAURO NERI - Illustrazioni di F ULBER


1 - Il sortilegio del Grande Gelo


Lunedì (primo giorno) Si era all’inizio del mese di novembre e il gelo arrivò improvviso un lunedì mattina. Non il solito fresco di metà autunno, quell’arietta freddo­lina che ti scivola giù per la schiena e ti fa rabbrividire al pensiero dell’inverno che sta per arrivare. No no, quel lunedì novembrino scoppiò un freddo terribile che ghiacciò le foglie sugli alberi, congelò gli ultimi funghi nei boschi, paralizzò gli steli dei fiori sui davanzali e costrinse spauracchi e scoiattoli a indossare almeno tre maglioni uno sull’altro. Così bardato, con tanto di sciarpa attorno al collo, lo scoiattolo Gellindo Ghiandedoro non sembrava nemmeno lui, quando fece il suo ingresso nella Cioccolateria di Casoletta. – Una cioccolata densa e bollente in tazza grande! – ordinò sedendosi sul bordo del caminetto per scaldarsi, senza accorgersi però che non c’era fuoco. – Mi spiace – rispose Casoletta scuotendo il capo, – mi spiace veramente, ma ho finito la legna da ardere! – E infatti mi pareva che qui dentro si morisse dal freddo come fuori in strada! – commentò lo scoiattolo tirando su col naso. – E come mai è finita la legna? – No, di quella ce n’è ancora, ma questo gelo improvviso l’ha congelata

nella legnaia: i ciocchi sono dei pezzi di ghiaccio, ormai, buoni solo per tenere al fresco l’acqua minerale e l’aranciata! – Si può sapere da dove viene, tutto questo gelo polare? – domandò Quantobasta, che stava sorseggiando una tazza di tè fumante. – Dod ho bai visto un novebbre così – aggiunse Abbecedario, col naso chiuso per un forte raffreddore, lui che era sempre stato sano come un pesce! Gellindo era ancora immerso nei suoi tristi e gelidi pensieri, quando un energico sbatter d’ali lo richiamò alla realtà. Era forse l’Aquila Cassandra che annunciava l’arrivo di una nuova ondata di gelo? Oppure l’Oca Bernardina di ritorno dai Paesi caldi del Sud? No, era solo una grossa cornacchia nera come il carbone e col becco lungo così, che entrò nella Cioccolateria e corse ad appollaiarsi sullo schienale della seggiola più vicina. – Salve amici – gracchiò il pennuto. – Qualcuno mi sa dire dove posso trovare un certo scoiattolo? Solo allora l’uccellaccio nero si girò a guardare nella sala e s’accorse del nostro amico scoiattolino. – Sei Ghiandedoro Gellindo, tu? – chiese la cornacchia. – Dimmi prima chi sei tu – rispose Gellindo. – Mi chiamo Gracida e sono la


cornacchia di Strega Ro­binia per servirvi. – D’accordo, Gracida: io sono proprio Gellindo Ghiande­doro. Possiamo sapere chi è questa Robinia? – Te l’ho detto, sciocco, Robinia è una strega venuta ad abitare da poco dall’altra parte del Bosco delle Venti Querce. – E che vuole da me, questa strega? – Tu intanto seguimi, che poi ci pensa la mia padrona a spiegarti ogni cosa. – Fuori, però… Eeetciummm!... fa freddo… – intervenne Abbecedario, preoccupato per la sorte del suo amico. Una strega è pur sempre una strega, no? – Al vostro amico non capiterà nulla di male, ve lo assicuro. La conosco bene, io, Robinia! Allora, vieni? – Va bene… saluto i miei amici e… – Sia chiaro, Gellindo, che esci da quella porta soltanto se vengo anch’io! – esclamò Bellondina, uscendo dalla cucina in cui era rimasta nascosta fino a quel momento. La brutta Gracida non obiettò, Gellindo annuì soddisfatto e… – D’accordo, andiamo! Fu così che la piccola comitiva formata da una spaventapasseri vestita da fatina, da uno scoiattolo con la gran coda tutta arruffata e da una cornacchia starnazzante, partì per il Bosco delle Venti Querce. Strega Robinia abitava in una

piccola casa costruita dai boscaioli ai piedi di una quercia immensa. Gellindo s’accorse subito che un fil di fumo sottile sottile usciva dal comignolo, segno che là dentro c’era legna da ardere. – È fortunata, la tua padrona, che può combattere questo freddo con della buona legna nel focolare! – Fortunata, dici? Vedrai, vedrai… Eh! Eh! Eh! Nella grande stanza – l’unica della casa, che serviva da cucina, salotto e camera da letto – regnava un disordine incredibile: disordine di vecchi libri impilati un po’ dappertutto, di bocce e boccette piene di liquidi dai colori vivaci, di casse e cassette, bauli e scrigni accatastati alle pareti, di sacchetti trasparenti pieni di polveri rosse, gialle, verdi e nere.. Al centro, seduta su una vecchia poltrona sgangherata, una strega vestita di nero – nero l’ampio mantello, nere le vecchie scarpe, nero il gran cappello dalle falde tagliuzzate da cui spuntavano capelli grigi, lunghi e sporchi – era impegnata a lanciare sortilegi contro il caminetto nel quale ardeva un focherello esile e stentato. «Brucia quei ciocchi e ciocca quei bruci… fuoca quei mucchi e mucchia quei fuochi!» E… Wuuummm!... la fiamma riprese ad ardere con forza, divorando i


tre ciocchi messi uno sull’altro. Ma fu cosa di soli uno-due-tre-quattro e cinque secondi, perché subito dopo la vampa si calmò, il fuoco scese e una nuvoletta di fumo… Sbufff!... uscì dal caminetto ad impestare l’aria della stanza. – Ma com’è possibile che le mie formule non servano a nulla!? – strillò piagnucolando la strega, senza preoccuparsi dei nuovi venuti. – Eppure io le formule magiche le studio bene! Le ho imparate a memoria col metodo di Strega Mandragola: “Leggi cinquecento volte una parola dietro l’altra, al buio illuminato solo da una candela e nel silenzio più assoluto!” Fatto e rifatto almeno millecinquecento volte! Però poi non ce la faccio a ricordarmi la formula e a far funzionare questo fuoco, mannaggia a quelle duemila streghe bastian-contrarie! – Ti salutiamo, Robinia! La strega si fermò di botto, prese gli occhiali, se li mise sul naso bitorzoluto e peloso, si girò a guardare i nuovi entrati e con un sorriso appoggiò i gomiti ai braccioli del suo tronetto sfondato. – E voi chi sareste? Una spaventapasseri vestita da fata e uno scoiattolo con la coda spettinata... – Non sei stata tu a mandare la tua cornacchia a cercare Gellindo? – Saresti tu, per caso, lo scoiattolo Ghiandedoro? – Tutte e due le cose: sono uno scoiattolo e mi chiamo Gellindo Ghiandedoro! – Ho bisogno di te – disse la strega

improvvisamente seria, alzandosi in piedi e camminando sghemba fino alla pila di libri più vicina. Prese un volume dalle pagine grosse e pesanti, andò a pagina dieci e… – Ecco, ascolta: “Vive nel Bosco delle Venti Querce, nella Valle di Risparmiolandia, uno scoiattolo di nome Ghiandedoro Gellindo che mille ne pensa e duemila ne fa, quando c’è da aiutare chi non ce la fa. Se hai un problema, se hai perso qualcosa di caro, se non trovi amici, se ti dimentichi ciò che ti preme… rivolgiti senza paura a Gellindo, lui risolverà ogni cosa!” C’è scritto proprio così, sui miei libri, ed essendo noi proprio nel Bosco delle Venti Querce, ho mandato la mia Gracida a cercarti. – E qual è il problema che ti assilla? – chiese Gellindo, accomodandosi sulla poltrona lasciata vuota. – Non riesco a far funzionare questo fuoco, accidenti! – berciò la strega. – Ho usato tutte le formule che sapevo, ma la fiamma dura solo pochi secondi e poi svanisce, lasciandomi al freddo! Ecco, guarda: “Brucia quei ciocchi e ciocca quei bruci… fuoca quei mucchi e mucchia quei fuochi!” Il fuoco divampò all’improvviso, ma altrettanto veloce si spense nella solita nuvoletta di fumo che… Sbufff!... rese l’aria ancora più irrespirabile. – E cosa mi sai dire del freddo che


c’è fuori? – chiese lo scoiattolo, che cominciava ad avere un sospetto. – Quello è merito mio! – esclamò la strega sorridendo soddisfatta e mettendo in mostra due file di denti gialli, storti e sporchi. – Come sarebbe a dire che è “merito” tuo – strillò Bel­londina, andando a sedersi accanto al suo amico Gellindo. – Che merito c’è a ghiacciare gli alberi, a gelare i ruscelli, a intirizzire i vecchietti, a far tremare e piangere gli spaven­tapulcini, a congelare la legna nelle legnaie? – Perché, sono successe tutte queste cose? – mormorò Robinia con gli occhi stranamente spaventati. – Queste e molte altre ancora – aggiunse Gellindo, saltando giù dal trono e avvicinandosi alla strega. – Al Villaggio degli Spaventapasseri nessuno riesce più a far funzionare le stufe e quindi basta tè bollenti e cioccolate calde… Stanno morendo tutti di fame, perché nessuno più è capace di far bollire l’acqua per la pasta o per la minestra oppure per cuocere le patate… E tu mi dici che questo è “merito” tuo? – Vedi Gellindo – disse Robinia parlando improvvisamente con un tono di voce dolce… pareva quasi una “strega buona”, se la cosa fosse possibile almeno nelle fiabe! – Vedi, fra otto giorni esatti, sulle rive della Palude dei Vampiri Striscianti, si terrà l’annuale riunione delle streghe dei dintorni e questa volta voglio fare

bella figura! – Cosa vorrebbe dire che “questa volta” vuoi fare bella figura? Perché, le altre volte che succedeva? A quel punto Gracida scoppiò a ridere così come possono scoppiare a ridere le cornacchie: allungò il collo, aprì il lungo becco nero e prese a starnazzare rovesciando il capo all’indietro e sbattendo le ali nere senza però alzarsi in volo. – Craaa! Craaa! Craaa! Voi non lo sapete – farfugliò quel piccolo mostro con le penne, – ma Robinia è una strega che non è capace di essere cattiva! Craaa!... Craaa!... Craaaa! – Ha ragione la mia Gracida! – disse la strega. – Io ci metto impegno, concentrazione e anche fantasia, ma quando faccio una magia combino sempre qualche pasticcio che trasforma il male in bene! – E questa volta? – domandò Bellondina curiosa. – Perché questa volta la magia cattiva ti è riuscita e tutta la valle è prigioniera di questo freddo polare? – Mi raccomando, amici: non lo deve sapere nessuno – mormorò la strega, come se qualcuno potesse ascoltarla, – ma quest’anno mi sono fatta aiutare dalla mia perfida amica Cabernetta! È stata lei a lanciare il sortilegio del Grande Gelo e mi ha promesso che terrà la bocca chiusa, così le altre streghe non verranno mai a saperlo… Ma ci pensate che bella figura farò alla riunione con


Mandragola, la malefica regina delle Streghe? – Però tu, da sola, non sai far funzionare la formula per tenere acceso il fuoco, vero? – disse Gellindo con un sorriso. – Proprio così! L’ho studiata, sapete? Ho studiato benissimo la formula per dar vita al fuoco, ma non me la ricordo più… Mi puoi aiutare, Gellindo? – Va bene, ti daremo una mano, però… – Però cosa? – chiese Strega Robinia. – Però perché? – chiese anche Gracida la cornacchia. – Però prima accompagnaci da Cabernetta. Immediatamente! Ormai il gelo era così pungente, che non bastavano più i tre maglioni di lana che Gellindo aveva indossato uno sopra l’altro. Camminare veloci, però, aiutò lo scoiattolo, Bellondina e Robinia a patire meno il freddo. La piccola comitiva attraversò di corsa il Bosco delle Venti Querce, raggiunse la Palude dei Vampiri Striscianti e quando fu davanti a una grotta che si apriva proprio in riva al lago… – Cabernetta! Cabernetta, vieni fuori a vedere chi ti ho portato! – strillò Robinia, soffiandosi sulle dita delle mani per evitare di congelarsi. – Cosa vuoi, sciocca? – strepitò la malvagia uscendo dalla caverna con sette sciarpe attorno al collo e un lungo scialle che spuntava da sotto al

solito cappellaccio da strega. – Voglio presentarti Gellindo e Bellondina, due miei nuovi amici… – Ma lo sai che le streghe non possono avere amici umani? – E infatti loro due sono uno scoiattolo e uno spaventapasseri! – Ah! Allora si può fare… e cosa vogliono, questi due? – Noi vogliamo aiutare Robinia a tenere acceso il fuoco di casa sua – disse Gellindo, per nulla spaventato da quella strega orrenda, molto, molto più orrenda di Robinia. – Io so come fare, però prima voglio che tu faccia sparire il sortilegio del Grande Gelo. Subito, qui, all’istante! – Ma il sortilegio serve a Robinia per far bella figura con il nostro gruppo di streghe! S’è mai vista una strega che non riesce a mettere insieme un sortilegio malvagio che sia uno? Una strega che si dimentica le formule magiche? Che non ha mai-mai-mai commesso una cattiveria in vita sua? – Tu non preoccuparti, Cabernetta – intervenne Robinia. – Mi sono già pentita di averti chiesto l’incantesimo del Grande Gelo… Sapessi quanto stanno soffrendo, quei poveri spaventapasseri giù al Villaggio! Forza, dai: recita la formula che annulla il sortilegio e non se ne parli più! – Contenta tu – mormorò Cabernetta scuotendo il capo, – purché non si sappia in giro che prima ho lanciato io l’incantesimo e che poi, sempre io, l’ho fatto sparire! Ci tengo troppo


alla mia reputazione di strega perfida e malvagia… La strega si alzò sulle punte dei piedi, chiuse gli occhi, puntò le braccia al cielo grigio e gelido di novembre e urlò: “Gran Gelo invernale, sparisci… Gran Gelo novembrino, svanisci… Gran Gelo stregato, scompari!” Poi tacque per un lungo istante e quindi riprese: «”Scompari, stregato Gelo Gran… svanisci, novembrino Gelo Gran… sparisci, invernale Gelo Gran!”» Quasi subito il cielo bigio si aprì e un bel sole tiepido giunse a sgelare ogni cosa: si sciolse il freddo attorno alle chiome degli alberi e agli steli dei fiori, le acque dei rivi ripresero a scorrere e l’aria si riscaldò. Certo, non esplose il caldo, ma d’altronde cosa si poteva pretendere da un bel novembre tiepido? Il clima si fece più mite, la brina scomparve dai campi e anche i ciocchi di legna nelle legnaie tornarono normali, pronti per essere messi sul fuoco ad ardere. – Oh, che bello! – esclamò Robinia

tutta contenta e sorridente. – Grazie, Cabernetta: mi sento proprio meglio, in pace col mondo e con me stessa. Però adesso, Gellindo, devi mantenere la promessa e trovare il modo di tener vivo il fuoco nel mio caminetto! Non ci fu bisogno di nessun aiuto anche perché, tornati a casa della strega, Robinia era così sudata che non le venne nemmeno in mente di accendere il fuoco. – Vi preparo un tè coi biscotti? – Se hai un bicchiere di aranciata fresca, noi saremmo più contenti! – rispose Bellondina. – Brava, hai ragione… Ne vuoi anche tu, Gracida? Avete mai visto una cornacchia arrabbiata? Occhi furenti, becco tirato in una smorfia, ali nere come il carbone allacciate dietro la schiena, zampe nervose che graffiano lo schienale della seggiola… «Proprio a me doveva capitare di essere la cornacchia di una strega che non è capace di combinare nessun guaio malvagio? Cornacchia di una strega… Puaaahhh!... una strega buona? Ma vedrete, voi, vedrete quel che combinerà Gracida fra otto giorni al convegno delle Streghe… Eh! Eh! Eh!... Ci sarà da ridere e qualcuno senz’altro piangerà…»


2 - La magia del tempo perduto Fiaba di MAURO NERI - Illustrazioni di F ULBER


Martedì (secondo giorno) Gellindo Ghiandedoro s’era appena rimesso dalle fatiche di un lunedì gelido e pieno di avventure e stava facendo colazione a base di ghiande, castagne e latte caldo, quando… Tock! Tock!... qualcuno bussò alla porta della tana. Lo scoiattolo non aspettava nessuno e comunque non ebbe problemi a urlare: – Avanti! La porta è aperta, come sempre! – Ciao Gellindo, sono io! – balbettò esitante una Tisana la Dolce stranamente timida e malinconica. – Ehilà, Tisana! Come va? – Sono stranita! – Sei cosa? – Stranita, frastornata… confusa! – E perché? Spiegati meglio – disse Gellindo, lasciando perdere la colazione. – Allora, stamattina mi sono svegliata come sempre – cominciò la buona Tisana con un sospiro. – Sono andata in cucina, ho riempito d’acqua il pentolino e l’ho messo sul fuoco. Quando l’acqua ha cominciato a bollire, ho riempito una tazza e ci ho infilato una bustina di tè… Ho aggiunto un cucchiaino di zucchero, un goccio di latte e ho fatto colazione con quattro biscotti. Dopo di che mi sono alzata e… e… – E cosa? – …e ho messo l’acqua nel pentolino, ho acceso il fuoco e ho aspettato

che l’acqua bollisse. Ho riempito una tazza fino all’orlo, ci ho infilato una bustina di tè, ho aggiunto un cucchiaino di zucchero, un goccio di latte e ho fatto colazione con quattro biscotti. Poi… mi sono alzata, ho messo l’acqua nel pentolino, ho acceso il fuoco e ho… – Ho capito! Ho capito! – la interruppe Gellindo sbalordito. Conosceva molto bene Tisana la Dolce e credeva al suo racconto fino all’ultima parola! – Ed è andata avanti così per un pezzo? Tisana non ebbe il tempo di rispondere, perché… Tock! Tock!... qualcun altro bussò alla porta della tana. – Ciao, Gellindo! – esclamò Abbecedario. – Posso entrare? Disturbo? – Vieni, vieni… problemi anche tu? – Problemi un po’ strani – disse il maestro spa­ven­ta­passeri, che cominciò subito a raccontare. – Questa mattina, prima che cominciassero le lezioni, mi sono messo a correggere i temi dei miei spaventapulcini. Ho cominciato col compito di Occhialetta: l’ho letto due volte, ho corretto qui e là qualche errorino di ortografia e alla fine ho dato il voto: “Ottimo”. Ho messo il compito da una parte e… e… – E cosa? – …e ho ripreso in mano il tema di Occhialetta, l’ho letto e riletto due volte, ho corretto gli stessi piccoli errori di ortografia e infine ho dato il


voto… – “Ottimo”, vero? – Proprio così! Ho messo il compito di Occhialetta sulla pila dei temi corretti e… ho preso per la terza volta il foglio di Occhialetta e… – Va bene, va bene! Ho capito… e quante volte hai ripetuto le stesse cose? Abbecedario stava per rispondere, quando… Tock! Tock!... Per terzo entrò Quantobasta (aveva aperto la saracinesca della farmacia una volta dietro l’altra di seguito per almeno mezz’ora!)… Per quarto arrivò Dìndondolo (i sette rintocchi delle sette del mattino li aveva ripetuti almeno sette volte!)… Per quinta ecco Casoletta (“Ma lo sapete che ho messo in forno le brioche fresche almeno dodici volte di fila senza rendermene conto? Ed erano sempre fresche e cotte puntino!)… Per sesto arrivò Pasticcia, e poi di seguito Bellondina, Chiomadoro, RossoVerdeGiallo… Insomma, nel giro di meno di un’ora tutti-tutti-tutti gli spaventapasseri del Villaggio erano assiepati nel minuscolo salotto della tana di Gellindo. E ognuno aveva la sua brutta avventura da raccontare. – Se ho ben capito – disse alla fine lo scoiattolo, dopo aver ascoltato pazientemente i lamenti di tutti i suoi amici, – è come se per un attimo il tempo si fosse fermato e fosse tornato indietro, vero?

– Proprio così! – disse Còntolo, stanco morto dopo aver aperto e chiuso la cassaforte della Cassa Rurale almeno venti volte una dopo l’altra! – E come mai a me non è successa la stessa cosa? – domandò Gellindo pensieroso. Non aveva nemmeno terminato di parlare, che… Tock! Tock!... – Avanti… La porta è aperta, come sempre! – esclamò sovrappensiero lo scoiattolo. – Ciao Gellindo, sono io! – balbettò esitante una Tisana la Dolce stranamente timida e malinconica. !!!... Gellindo ammutolì all’istante, impallidì, vacillò in preda alle vertigini e… – Io questa stessa scena l’ho già vista! – urlò spaventato. – Sono stranita! – mormorò la spaventapasseri. – …e anche frastornata e confusa, vero? – l’anticipò lo scoiattolo, che seguiva quella scena come se fosse un film già visto. – Allora, stamattina mi sono svegliata come sempre – cominciò la buona Tisana con un sospiro. – Sono andata in cucina, ho riempito il pentolino d’acqua e… – Basta così, Tisana! Non parlare più! – esclamò lo scoiattolo alzando un po’ la voce. E Plufff!... quella scena scomparve e tutto tornò come prima, nel salotto pieno zeppo di


spauracchi spaventati. Gellindo Ghiandedoro si grattò il ciuffo di peli sulla zucca e arricciò irrequieto la coda vaporosa. Aveva un sospetto… c’era un nome che cominciava a farsi strada in fondo ai suoi pensieri. Anzi: a dire il vero i nomi erano due… – Robinia e Gracida! – borbottò scuro in volto. – Mi gioco tutte le scorte per il letargo se non c’entrano loro, in questo pasticcio. Adesso tornate tutti a casa e non preoccupatevi – disse allora rivolto agli amici. – Vedrete che in un paio d’ore le cose torneranno normali. Ve lo prometto! La casetta di Robinia se ne stava tranquilla ai piedi di una quercia immensa. Gellindo si avvicinò quatto quatto, aprì appena l’imposta di una delle due finestrelle che davano sul davanti e sbirciò all’interno. Quel che vide lo lasciò senza parole: al centro della stanza – l’unica della casa, che serviva da cucina, salotto e camera da letto, – in mezzo a pile di vecchi libri e a casse, cassette e scrigni accatastati alle pareti… ecco la strega! Robinia aveva occhi furenti e agitava minacciosa una scopa davanti agli occhi della cornacchia Gracida, legata come un salame alla spalliera di una seggiola. Tick! Tick! Tick! Con un sassolino Gellindo ticchettò sul vetro e… – Ah, ci sei anche tu, Gellindo! –

esclamò la strega spalancando la finestra. – Sei arrivato giusto in tempo per assistere alla trasformazione di questa cornacchia in una pulce col raffreddore! – No, ti prego Robinia! – implorava intanto l’uccellaccio nero come il carbone. – Lascia perdere… non fare magie cattive se non conosci bene le formule, mi raccomando… Nooo! “Trasformati in pulce e starnuta in eterno! In eterno trasformati e starnutati in pulce!” – Nooo! Hai sbagliato anche questa volta, Robinia! – strillò la cornacchia, che… Pafff!... si trasformò in una botte cicciona… una botte piena di vino aspro e cattivo! – Ops! – disse la strega portandosi una mano alla bocca. – Probabilmente mi sono sbagliata… Dovevi diventare una pulce col raffreddore e invece sei una botte piena di aceto! Mah, non ci sono più le formule semplici di una volta… – Fammi tornare cornacchia, ti supplico! – rimbombava intanto la botte di aceto. – Guarda, ripeti con me la formula giusta: “Ho sbagliato le magiche parole… – “Ho sbagliato le magiche parole… – …ma rimedio subito all’errore,… – …ma rimedio subito all’errore… – La formula giusta è…


– La formula giusta è… – Abracadabra.. Tapum Tapum! Robinia s’interruppe e si girò a guardare la botte. – Tapum… Tapum?! – Nooo! “Abracadabra”, ti sei dimenticata “Abraca­da­bra”! – Ah sì, hai ragione: “Abracadabra... Tapum Tapum!” E… Ripafff!... la botte si tramutò in cornacchia… che però continuava a puzzare di aceto! – La volete piantare, voi due, di combinar guai? – intervenne a quel punto Gellindo, che aveva perso la pazienza nell’assistere a quelle magie senza senso. – Robinia, si può sapere perché te la sei presa con i miei amici spauracchi? – Iooo? – esclamò quell’altra spalancando occhi e bocca per la meraviglia. – Io non ho fatto nulla: ho solo provato alcuni piccoli incantesimi un po’ cattivelli, è vero, ma appena appena, però! – Del tipo? – Be’, ad esempio l’incantesimo del “tè-mai-pronto”: anche se metti le bustine nell’acqua bollente, devi riprendere sempre daccapo a far bollire l’acqua fredda! – E poi? – Poi l’incantesimo della porta che si apre e poi si riapre e poi si riapre e poi si riapre… Oppure lo scherzetto delle paste o delle brioche che non finiscono mai di cuocersi nel forno… Poi il sortilegio dei rintocchi di cam-

pana che proseguono all’infinito… Ma erano incantesimi che si fermavano qui a casa mia, al massimo arrivavano nell’orto qua fuori! – Ne sei certa? – chiese Gellindo, che sentiva la rabbia montargli in petto. – Ma sì – ripeté la strega con voce spezzata. – Perché non mi credi, quando ti dico che erano giochetti piccoli piccoli, con effetti che non superavano i dieci metri in tutto?! – E allora mi spieghi perché Tisana la Dolce, giù al Villaggio, s’è ritrovata a riscaldare il tè dieci volte di fila? E perché Quantobasta ha aperto e riaperto la serranda della Farmacia per una mezz’ora intera? E perchè Casoletta ha infilato le brioche nel forno sei-sette-otto volte una dopo l’altra? Ti basta così, oppure vado avanti? Fu a quel punto che a Gracida la cornacchia scappò di becco un Craaaa soddisfatto e beffardo. Robinia si girò a guardare seria in volto il suo perfido uccellaccio. Gellindo Ghiandedoro, invece, balzò in piedi e affrontò la cornacchia… – Si può sapere che c’è da ridere, Gracida? – esclamò lo scoiattolo. – C’è che in questa casa di strega, – gracchiò quel mostro pennuto, – se non ci fossi io a compiere ogni tanto qualche incantesimo malefico, saremmo qui a ricamare tovaglioli e a disegnar fiorellini sulle pareti!


– Cosa vorresti dire? – la incalzò Gellindo. – Dico che è merito mio se quei giochetti di Robinia sono rimbalzati lontano lontano e hanno raggiunto il Villaggio. È grazie alle formule magiche che “io” conosco a menadito, se il tempo s’è fermato, per i tuoi amici spaventapasseri… Eh! Eh! Eh! – E hai fatto tutto questo senza il mio permesso? – strillò la strega furente. – Hai spaventato i miei amici spauracchi senza che io lo sapessi? – Vuoi che cominci io, a spennare questo uccellaccio? – buttò lì Gellindo. – No! Ci penso io a punire la bestiaccia – esclamò Robinia, finalmente con occhi cattivi e gelidi. “Ricama la stoffa… disegna quei fiori! Infiora i ricami e stoffa quei disegni!” E… Pafff!... Gracida si ritrovò imprigionata sulla poltrona al centro della sala, con un tombolo tra le mani e un disegno infinito da ricamare a “punto croce”. – E quando avrai finito – rincarò la strega, – ci sono mille fiori da dipingere sulle quattro pareti della stanza! Robinia poi si sperticò in mille scuse con Gellindo. – Vedi, stavo allenandomi in cattiveria per la riunione delle streghe che c’è fra sette giorni sulle rive

della Palude dei Vampiri Striscianti e in questo libro avevo trovato uno stupendo incantesimo che ferma il tempo e ci fa ripetere dieci, venti, trenta volte la stessa cosa. Ma io volevo che gli effetti della formula si fermassero vicino a me, e invece quella disgraziata s’è messa a combinar pasticci di testa sua… Credi che gli spavantapasseri mi perdoneranno, Gellindo? Ci pensi tu a scusarti per me? Come si faceva a dir di no a quella povera strega sull’orlo del pianto? Come si poteva rifiutare un piacere, ad una strega che, ormai è risaputo, aveva molte-molte-molte difficoltà ad essere cattiva? Gellindo promise che avrebbe calmato i suoi amici. – Però mi devi promettere che in futuro Gracida non combinerà più disastri. Già è difficile convivere con una strega pasticciona, se poi ci si mette anche la sua sciocca cornacchia! Robinia non solo promise, ma in segno di pentimento gettò nel fuoco il grosso libro degli incantesimi del Tempo: la carta bruciò in un istante, liberando nell’aria mille e mille stelline argentate, che s’infilarono attraverso la finestra aperta e salirono verso l’alto. Danzarono nell’aria, le stelle d’argento, e le videro tutti raggiungere il cielo e sparire in direzione del sole. Da quell’istante il Tempo tornò a correre normale… Tic-Tac… Tic-Tac… Tic-Tac… Tic-Tac… Tic-Tac…


3 - Il libro delle magie funeste Fiaba di MAURO NERI - Illustrazioni di F ULBER


Mercoledì (terzo giorno) Alla fine, per evitare altri guai al Villaggio, Gellindo Ghian­dedoro decise che era più conveniente seguire da vicino gli allenamenti con cui Robinia si preparava all’ormai prossima riunione delle sue amiche streghe. Perciò lo scoiattolo si trasferì armi e bagagli nella casetta ai piedi della quercia immensa, per tenere sotto controllo gli esperimenti della streghetta che non riusciva ad essere cattiva. Ma ahimè non fu sufficiente! Andiamo però con ordine. Quel pomeriggio di mercoledì, mentre per precauzione la cornacchia Gracida era chiusa in un armadio imbavagliata e legata come un salame, Robinia decise che era finalmente giunto il momento di aprire e di studiare il “Libro delle Magie funeste” – Se non so che cosa c’è scritto qua dentro – si giustificò la strega, – come faccio a convincere le mie perfide amiche che sono diventata cattiva anch’io? – Ma è proprio necessario che tu debba dare l’impres­sione di essere malvagia? – chiese Gellindo sgranocchiando un biscotto che s’era portato da casa. – Il fatto è, caro il mio scoiattolo, che sono arrivata all’ultima spiaggia, siamo all’ultimo appello, all’ultimo appuntamento con la cattiveria… Mi è rimasta solo un’ultima occasione

per non essere estromessa dal Circolo delle Strìe, cancellata dall’Albo delle Streghe patentate, espulsa dalla Famiglia delle Streghe di Risparmiolandia e radiata dal Club delle Streghe moderne! – E pensi di evitare tutto ciò solo se commetterai una sola piccola-piccola-piccola cattiveria? – Be’, piccola piccola proprio no… Dovrà essere una malvagità un po’ grossa, di quelle che ti tolgono il fiato per almeno tre secondi, che ti strappano un “Ohhh” di meraviglia e che ti fanno dire “Cattivella, però, questa qui!” – E per fare ciò è chiaro che ti serve il Libro delle Magie funeste! Ma dove l’hai nascosto? Robinia si alzò dalla poltrona sfondata, andò all’armadio nel quale era chiusa Gracida, aprì le antine e… – Grumpfff! Glub Glub… Soffoc… non respir… Gumpfff! Liberatemi!... – prese a lamentarsi la cornacchia sbuffando da sotto al bavaglio che le serrava il becco. – Sta’ buona, Gracida! – esclamò Robinia rovistando tra le lenzuola e le coperte. – Buona, che poi ti liberiamo, se fai la brava! Eccolo qua, l’avevo messo proprio in fondo... Era un libro vecchissimo, polveroso e sporco, quello delle magie funeste: un libro grande e grosso, pesante e ingombrante, tanto che Robinia dovette appoggiarlo ad un leggio di legno di quercia, per poi aprirlo alla


prima pagina. – Ecco, leggiamo assieme…

Acqua di polvere, Acqua di vento Acqua di terra che non esiste piu’!”

“Faccia attenzione il lettore malde­ stro che si troverà a leggere queste pa­ gine di magie funeste: qui son racchiuse formule Vere, formule Provate, formule Terribili capaci di far del Male a uomini, animali e cose! Qui troverete un condensato di cat­ tiverie eccellenti, frutto di generazioni e generazioni di Streghe malvagie, piu’ perfide delle Serpi e piu’ velenose degli Scorpioni. Perciò leggete con calma, leggete piano piano. Ma soprattutto… leggete sottovoce!”

Ecco la formula per rubare il profumo ai fiori… Ma ve lo ripeto: leggetela sottovoce, amici miei. Non vorrei mai che la vostra mamma si arrabbiasse con me, se non dovesse più sentire il profumo delle sue rose sul balcone!

– E tu devi studiare proprio questo libro? – chiese Gellin­do dopo un attimo di sbalordimento. – Sta’i tranquillo, amico mio: sarò prudente e leggerò solo le formule che sono sicura di poter controllare! C’era proprio di tutto e di più, nel Libro delle Magie fune­ste, o almeno si popteva trovare tutto ciò che può servire a una strega o a uno stregone per combinare le cattiverie più sopraffine. C’era la formula che inaridiva le sorgenti di ruscelli, torrenti e fiumi… E mi raccomando: non leggetela ad alta voce, non si sa mai... “Acqua di fonte Acqua di fronte Acqua di impronte Acqua di monte

“Profumo di mela dolce d’autunno, Profumo di miele denso d’estate, Profumo di mulo testardo d’inverno, Profumo di miglio soffio di primavera… Profumo che non si sente più! Profumo che non odora… più!” – Guarda guarda! – esclamò Robinia tutta eccitata: – A pagina ventidue c’è la formula per far nevicare in agosto… “Fiocco di Neve… Fiocco di Sole… Cadi nel caldo e sciogli quel gelo… Fiocco d’acqua leggera che bagni ogni cosa, Fiocco di Sole, che illumini le stelle di San Lorenzo… Neve d’agosto… Neve d’agosto… Neve d’agosto!” – E a cosa serve questa formula per spegnere la luce? – domandò a un certo punto Gellindo, che sbirciava pauroso e curioso da dietro le spalle


della strega. – Devi sapere che noi streghe abbiamo tutte lo stesso difetto: siamo terribilmente pigre! – rispose Robinia con un sorriso buono. – E così, quando la sera siamo a letto pronte per dormire e ci accorgiamo d’aver lasciato la luce del lampadario accesa, possiamo scegliere tra due cose: o dormire con la luce accesa, coprendoci gli occhi con il lenzuolo, oppure lanciare questo sortilegio piccolo-piccolo-piccolo per spegnere la lampadina da lontano. Anzi, sai che faccio? Visto che probabilmente è l’unico sortilegio innocuo di tutto il “Libro delle magie funeste”, provo a recitare ad alta voce la formula e vediamo quel che accade! Gellindo non ebbe il tempo di dire “No, lascia perdere… non mi interessa!”, che Robinia si girò a prendere gli occhiali dal tavolo e fece per infilarseli sul naso bitorzoluto e peloso, quando uno sbuffo di vento malandrino penetrò dalla porta d’ingresso lasciata aperta e... Vruuuppp!... corse a girare la pagina del grande libro sul leggio. E nessuno se ne accorse! La strega si rigirò, s’accomodò sulla poltrona, prese fiato e cominciò a leggere. A leggere, però, quel che c’era scritto sulla pagina dopo! “Luce Lux Lys Luz Lumen Liga… Luce del Sole, della Luna e delle Stelle Luce del cielo più azzurro che c’è…

Luce del mattino e Luce della sera… Luce Lux Lys Luz Lumen Liga… Luce sparisci!” E… Pafff!... tutte le luci si spensero, come se qualcuno avesse premuto sull’interruttore dell’Universo! Si spense la lampadina del lampadario, è vero, ma anche la luce del Sole di fuori, quella dei fiori e quella delle nubi, la luce dell’acqua e quella dei prati color verde chiaro e tutto piombò nell’oscurità più assoluta. – Rooo… Robinia! – balbettò Gellindo. – Si può sapere perché vedo tutto buio? Cosa hai combinato? Non doveva spegnersi solo il lampadario della stanza? – Già! – borbottò la strega agitata. – La formula serviva proprio a quello: spegnere la luce della lampada e basta… e invece si sono spente tutte-tutte-tutte le luci! Non vedo più nulla! – strillò la poveretta, che provò a scendere dalla poltrona, fece due passi e… Sbatabammm!... si prese una zuccata nello spigolo della porta aperta. – Ahiaaa, che botta! – Resta ferma dove sei, Robinia! Non muoverti, altrimenti peggiori le cose – le ordinò lo scoiattolo, che prese la pila e provò ad accenderla: nessun fascio di luce ruppe quell’oscurità densa, pesante, neranera-nera! – Strana, però, la formula che hai letto – commentò Gellindo mettendo via l’inutile pila.


– Strana perché? – Boh! Avrebbe dovuto spegnere una lampadina e invece parlava di sole e di stelle, di cieli e di lune… Sembrava la formula per spegnere ogni tipo di luce! – Craaa! – esplose a quel punto la cornacchia chiusa nell’armadio. – Finalmente mi sono liberata di questo bavaglio e anche delle corde che mi legavano – prese a star­naz­zare il mostricciattolo pennuto. – Adesso apro l’armadio, esco e vedrete, voi, cosa vi faccio… Ops! Per duemila cornacchie cieche, cos’è quest’oscurità fonda? – C’è che ho provato a leggere la formula per spegnere la luce del lampadario e… e… Pareva di vederla, la povera Robinia, con la testa piegata, gli occhietti bassi, le mani intrecciate in grembo, le spal­lucce a coprire le orecchie e il cappellaccio con la larga falda tagliuzzata da cui spuntavano capelli grigi, lunghi e sporchi! – E invece senz’altro avrai letto la formula della pagina dopo, quella che spegne tutte le luci! – sbraitò la cornacchia, urlando feroce. – Solo tu potevi combinare un guaio simile! E adesso come facciamo? – Be’ – disse Gellindo, – visto che tu, Gracida, conosci così bene il Libro delle Magie funeste, basta che reciti la formula per far tornare la luce e ogni cosa si mette a posto, come prima! – Già, perché tu pensi che io conosca a memoria tutte le formule di

tutti i libri ammassati in questa casa, vero? E poi credi che sia così generosa da liberarvi da questo impaccio senza chieder nulla in cambio? – E cosa vorresti, Gracida? – chiese Robinia, parlando con voce timida e sottomessa. – Quanto meno ti chiedo di non essere più imprigionata nell’armadio, oh! – Quella voce cornacchiesca, rauca e strascicata, penetrava nel cervello come un cavaturaccioli e faceva girar la testa a chi l’ascoltava troppo a lungo. – E poi d’ora in avanti voglio essere sempre presente a ogni esercizio di cattiveria, a ogni allenamento di malvagità, a ogni esperimento di perfidia! Senza di me, cara Robinia, tu sei solo una strega sciocca e imbranata! Quelle erano offese belle e buone! – Ma come ti permetti di parlare in quel modo a Robinia? – intervenne allora lo scoiattolo. – Lascia stare, Gellindo – lo interruppe la strega: – purtroppo Gracida ha ragione. Se non ci fosse lei a ricordarmi che debbo essere una strega cattiva, io per me passerei il tempo a leggere romanzi d’amore e a divorare bellissime fiabe che finiscono sempre con la stessa frase… “E vissero felici e contenti per moltissimi anni ancora”! D’accordo, Gracida, hai vinto: d’ora in poi tu sarai la mia assistente in malvagità! Sarai sempre al mio fianco, anzi, sulla mia spalla sinistra, e toccherà a te prepararmi a dovere per la riunio-


ne delle streghe che si terrà fra sei giorni esatti! – Così mi piace… Craaa… Craaa… Craaa! Allora aspettate che prendo dall’armadio la “Candela della notte”... – La candela di che cosa? – domandò Gellindo. – La “candela della notte”, la candela che non fa luce, ma che illumina l’oscurità di ombre chiare… – disse la cornacchia, che grazie al suo misterioso moccolo, svolazzò sul leggio e lesse la formula di ritorno… “Luce Lux Lys Luz Lumen Liga… Torna a regnare, torna da me Torna a risplendere la notte e il dì Luce Lux Lys Luz Lumen Liga… Torna a regnare… torna da me!” E… Pafff!... Tutte le luci si riaccesero all’istante: quella del lampadario al

centro della stanza, ma anche quella del sole, la luce dei fiori e delle nubi, la luce dell’acqua e quella dei prati color verde chiaro… Tornò a vederci anche Gellindo Ghiandedoro, che si chinò, prese la sua valigetta e fece per andarsene. – Cosa fai? Dove vai? – esclamò Robinia correndogli dietro. – Adesso hai di nuovo il tuo perfido assistente – rispose lo scoiattolo, guardando in tralice la cornacchia che ghignava soddisfatta, – e io non ti servo più. Ti prometto, però, che starò con occhi e orecchie ben aperti: al primo problema, al più piccolo incidente, al minimo scherzetto cattivo, verremo qui in tanti, in tantissimi, e vi cacceremo entrambi dal Bosco delle Venti Querce! E Gellindo se ne andò senza sbattere la porta.


4 - Una strana Scuola Guida Fiaba di MAURO NERI - Illustrazioni di F ULBER


Giovedì (quarto giorno) Dopo essere stato cacciato dalla casa di strega Robinia, non si può dire che la vita di Gellindo Ghiandedoro tornò ad essere calma e tranquilla. Affidare le sorti di una strega che non è capace di essere cattiva agli artigli di una cornacchia malvagia e senza cuore come la crudele Gracida non era cosa raccomandabile per nessuno! Era immerso in questi tristi pensieri, il nostro scoiattolino, con la fronte appoggiata al vetro di una delle finestrelle della sua tana, quando gli occhi gli si alzarono verso il cielo e la sua attenzione fu catturata da una cosa strana. Anzi, a dire il vero da “due” cose stranissime. – Ehi, ma cosa sono quei due puntini neri all’orizzonte? – mormorò Gellindo, col cuore che prese a galoppare furioso per lo spavento. Aveva subito intuito che doveva trattarsi di qualche doppio guaio in arrivo, e infatti… I due puntini che volavano in cielo uno accanto all’altro si fecero più vicini, divennero due punti, due grossi punti, due enormi puntoni svolazzanti e urlanti… Alla fine lo scoiattolo vide, capì e il cuore gli si fermò in petto! Avete mai visto una strega vestita di tutto punto come una strega – mantellaccio nero, scarpe con le fibbie d’argento, cappello a larghe falde da cui spuntano ciuffi di capelli lunghi, grigi, sporchi e annodati – volare aggrappata alla sua scopa da viaggio? E

avete mai visto una strega terrorizzata che vola accanto a una cornacchia starnazzante, nera come il carbone più nero che esiste e che sghignazza felice?… Craaa! Craa! Craaa!... Eccole lassù, nel cielo del Bosco delle Venti Querce, le due disgraziate: la strega Robinia che stringe il manico della scopa da viaggio e la cornacchia Gracida, che le urla nelle orecchie: – Forza, Robinia… più veloce! Più velocee!! Più veloceee!!! Fammi una bella giravolta, dai! Sei capace di fare un giro della morte senza far cadere il cappello?… Così, guarda come faccio io! La cornacchia si staccò all’improvviso dalla formazione e cominciò a volare verso l’alto del cielo, piegandosi via via all’indietro finché non disegnò in aria un enorme cerchio… Il fatto è che, nel momento esatto in cui il cerchio si chiuse e Gracida si ritrovò in posizione normale di volo, la testa le girava come una trottola e non s’accorse che stava vola… Spatapaccckkk!... Ahiaaa, che botta!... che stava volando contro il grosso tronco della quercia in cui abita il nostro Gel­lindo. Purtroppo quella era solo la prima lezione di “Scuola guida streghesca”… «Imparare a guidare bene la propria scopa è la cosa più importante, per una vera strega!» aveva sentenziato quella mattina Gracida, mettendo in mano all’amica una scopa da viaggio nuova fiammante… e alla povera Robinia, che aveva imparato subito come si


fa a decollare, nessuno aveva ancora insegnato come si fa ad atterrare alla fine del viaggio! – Aiutooo! E adesso come faccio? – si mise a urlare la povera streghetta, che da un lato avrebbe voluto scendere a controllare come stava la sua cornacchia, ma che dall’altro non sapeva come governare e guidare la sua scopa per tornare a terra. Gellindo provò a farsi venire in mente un’idea: là sopra c’era una strega che stava prendendo lezioni di volo da una cornacchia, che però era andata a sbattere contro la quercia più grossa della foresta! Ideaaa! – Brigidaaa! Civetta Brigidaaaa… ho bisogno di te! Solo la voce squillante del nostro scoiattolino riusciva a svegliare la civetta Brigida dal sonno profondo in cui cadeva di giorno. – Eh? Chi mi chiama? Chi mi vuole? Chi non lascia dormire una povera civetta addormentata? – Era veramente furioso, l’uccello notturno celebre per la sua profonda saggezza, ma… – Sono stato io, Brigida, sono Gellindo! …non appena udì la vocina del suo carissimo amico, Brigida si calmò all’istante. – Devi aiutarmi, Brigida! – Aiutarti a far cosa, questa volta? – La vedi lassù in cielo quella strega che gira in tondo? Brigida alzò la testa ed effetti-

vamente vide una strega vestita da strega che stava volando a cavallo del manico di una scopa che aveva tutta l’aria di essere una vera scopa streghesca da viaggio! – Quella è la povera Robinia – spiegò allora Gellindo. – Stava facendo Scuola guida, quando all’improvviso è rimasta senza istruttore! La cornacchia Gracida ha voluto provare quanto fosse dura la corteccia della mia quercia ed è ancora là, nell’erba, che si massaggia la fronte e il becco! – E io cosa dovrei fare? – domandò la civetta ancora mezzo addormentata. – Be’, ad esempio potresti alzarti in volo e aiutare Robinia ad atterrare, in un modo o nell’altro… – Fermi! – urlò a quel punto Gracida alzandosi in piedi e massaggiandosi la schiena. – Ftate fermi e lafiate ftare la mia padrona, ci penfo io a riportarla a terra! Giù le mani da Robinia, Gellindo, avevi dato la tua parola di fcoiattolo che non ti farefti più intromeffo… Gellindo alzò le braccia in segno di resa e… – Posso tornare a dormire, io? – chiese Brigida con un grande sbadiglio. Per tutta risposta Gracida si alzò in volo sbattendo furiosa le ali nere e in pochi secondi raggiunse la sua allievastrega. – Ftai calma, Robinia… Adeffo ti dico cova devi fare per atterrare… Impiegarono mezza mattina, le due in volo, a capirsi: Robinia tentò venti


volte di abbassarsi al livello del suolo, ma all’ultimo momento, quando bastava allungare le gambe per toccar terra, la paura le bloccava lo stomaco e la poverina riprendeva quota con un urlo straziante. Gracida si disperò, strillò a più non posso, si strappò le penne della coda per la rabbia, picchiò perfino la sua allieva sulla schiena con un bastone per farle capire quel che doveva fare e per obbligarla a scendere fino a mezzo metro dal prato in cui doveva atterrare… ma fu tutto inutile! – Te l’avevo detto, Gracida, che tra me e le scope streghe­sche da viaggio non corre buon sangue! – confessò alla fine la povera Robinia con le lacrime agli occhi. – È inutile continuare a provare… Tirami giù da questo coso e lasciami tornare a casa a piedi! – Non sia mai detto che una cornacchia rinunci ad essere maestra di stregoneria! – esclamò l’uccellaccio afferrando per i capelli Robinia e virando all’improvviso verso il basso. – Con le buone o con le cattive, dovrai atterrare là dove dico io! – Aiutooo! Gellindo… Ahiaaa!... questa qui mi vuole morta! – Gellindo, se fai un passo le sfilo la scopa da viaggio da sotto al fondoschiena e lascio che Robinia cada a terra da quest’altezza! – No per carità… ti prego Gracida! Farò tutto quello che vuoi! Sarò una strega perfida, cattiva, malvagia, scellerata, spietata e crudele tutto assie-

me, ma non farmi cadere, ti supplico! La cornacchia tirò ancor più forte la streghetta per i capelli e alla fine le due “amiche” ruzzolarono nel prato: Robinia si ritrovò seduta nell’erba con la schiena appoggiata al tronco della quercia di Gellindo; Gracida andò invece a finire nell’intrico di un cespuglio di rovi spinosi. Tutto ciò accadde sotto gli occhi sbalorditi di Gellindo e quelli mezzo chiusi per il sonno di Brigida. – Ma si può sapere perché tutte le disgrazie devono capitare solo e sempre a me? – si lamentò Gracida, recuperan­do le piume che erano rimaste nel cespuglio di rovi e provando a ripiantarsele sulla coda. – Guardala lì, la signorina – motteggiò all’indirizzo di Robinia. – Se proprio deve cadere dal cielo, lei rotola tranquilla nell’erba soffice e va ad appoggiarsi delicatamente al tronco dell’albero più vicino, mentre io no! Io piombo nel bel mezzo di un rovo pieno di spine e ci rimetto metà delle penne! In piedi, Robinia! Forza, scattare! La strega sorrise debolmente a Gellindo e si alzò in piedi. – Ti ripeto per la trecentesima volta la lezione di stamat­tina – esclamò allora Gracida, prendendo da terra la scopa streghesca da viaggio. – Questa è una scopa da strega – spiegò Gracida, scandendo con cura ogni parola. – È una scopa che non serve per scopare per terra, anzi! Se s’accorge che viene usata per scopi poco nobili


come togliere le ragnatele dagli angoli delle stanze, spingere la polvere sotto ai tappeti, tener aperta la porta della cucina per far corrente d’aria in piena estate… la scopa s’arrabbia, si ribella e ti rincorre per farti assaggiare il manico giù per la schiena! Hai capito, Robinia? La strega, che teneva gli occhi fissi sulle punte delle sue scarpette, fece cenno di sì col capo e alzò le spallucce, perché dentro di sé stava pensando «E a me cosa importa? Tanto, io non sarò mai una strega cattiva!». Sembrò però che quel pensiero uscisse dalla testolina di Robinia e giungesse fino alle orecchie della cornacchia lì di fronte, perché… – Tu dovrai diventare cattiva alla svelta, cara mia: mancano soltanto cinque giorni all’appuntamento con le tue amiche streghe sulle rive della Palude dei Vampiri Striscianti, e per quell’epoca dovrai imparare ad essere perfida come sanno esserlo solo le streghe della peggior specie! Comunque andiamo avanti e rispondi a questa domanda: la scopa streghesca da viaggio serve per... serve per…? – Non lo so! – sussurrò Robinia. – Ma scusami, strega dei miei stivali – la offese la cornacchia, che stava perdendo la pazienza, – una valigia da viaggio serve per…? – Per viaggiare! – Bravaaa! E un bastone? Un bastone “da viaggio” serve per…? – Anche lui per viaggiare!

– Bravissimaaa! E una scopa? Una scopa streghesca “da viaggio” serve per…? … – Serve per…?? – Serve... per far bella figura con le amiche! Gellindo cercò di resistere ma non ce la fece e scoppiò a ridere, soffocando però la risata con le mani sulla bocca. Gracida invece esplose: – Serve per viaggiare! Viaggiare, hai capito? Viaggiare! Viaggiaree!! Viaggiareee!!! Era una scenetta comica vedere la “povera” cornacchia ormai mezza spennacchiata, che s’infuriava per l’en­ nesima volta con la “povera” Robinia, in piedi e a testa china, impegnata ad imparare quelle cose per lei così astruse. – E mi sai dire come dev’esser fatta una scopa streghesca da viaggio? – Dev’essere come… come una scopa, no? – rispose timida la strega che non sapeva esser cattiva. – Ma certo che dev’essere coma una scopa, altrimenti che scopa sarebbe? Hai mai visto una scopa, tu, che non assomiglia a una scopa? Però volevo sapere: con quali materiali dev’esser fatta una scopa streghesca da viaggio? – Legno e saggina? – rispose pronta Robinia, ché quelle cose le aveva lette su uno dei suoi libri di formule magiche. – Sì, ma “quale” legno e “quale” saggina bisogna usare? Lascia stare, te lo dico io – sbottò la cornacchia,


vedendo gli occhi muti e vuoti della sua “allieva”. – Serve un grosso ramo diritto di nocciolo cresciuto nel folto più scuro del bosco, là dove il sole non batte quasi mai. E serve saggina dalle spighe rosse, cresciuta in un prato o in un campo che non è mai stato arato dall’uomo: saggina selvatica, insomma, saggina rossa che non ha mai conosciuto la mano umana! E questa scopa qui – continuò la cornacchia, mostrando quella che stringeva in mano, – è fatta con un bastone di nocciolo che in vita non ha mai visto un raggio di sole e con saggina cresciuta al di là della Palude, dove i contadini non sono mai arrivati. E dimmi: come si fa a “guidare” una scopa streghesca da viaggio? – Be’, la si cavalca prendendola per la cima del manico – esclamò Robinia improvvisamente sveglia e attenta, afferrando la sua scopa e mettendosela tra le gambe, – e si urla il comando… – No, aspettaaa! Devo essere pronta anch’io! – Ui-ì, portami fin lì! – strillò invece la streghina, che si spostò all’istante di venti metri, andando a fermarsi proprio a fianco di Gellindo Ghiandedoro. – Ui-ù… fammi andar lassù! – …Wuuummm, la scopa s’alzò in perpendicolare cinquanta metri sopra la foresta e da lassù Robinia urlò: – Ui-ò, voglio tornare a casa, ohibò! …Swimmm, la scopa scattò in avanti e in meno di mezzo secondo fu all’orizzonte, con a bordo una strega che strillava felice: – Ho imparato, ho

imparato a volare… Adesso sono finalmente capace di guidare la mia scopa! Ce l’ho fatta… – Ui-ù, voglio tornare da Gellindo laggiù! – E in un altro mezzo secondo Robinia sulla scopa fu di ritorno, al centro del prato nel cuore del Bosco delle Venti Querce. – Mi raccomando, Robinia – le sussurrò in un orecchio Gellindo, – perché anche per voi streghe ci sono i limiti di velocità… Eh! Eh! Eh! E Gracida? Che fine aveva fatto la malvagia cornacchia? Davanti allo spettacolo di quei voli veloci e sicuri, avanti e indietro al comando giusto, Gracida se ne stava lì, col becco spalancato e gli occhi imbambolati e increduli, a chiedersi stupefatta come avesse fatto, Robinia, ad imparare così veloce! Quando le venne in mente che il merito era tutto della sua pazienza di cornacchia e della sua bravura di maestra, Gracida si sentì all’improvviso immensamente buona. Fu cosa di un quarto di secondo, però, perché subito quella bontà venne travolta da un’ondata di malvagità assoluta. – La vuoi smettere di strillare a quel modo, Robinia?– esclamò la cornacchia a voce alta e soddisfatta. – E poi chi ha parlato di limiti di velocità?! Voi streghe cattive non sapete che cosa siano i limiti, men che meno quelli di velocità… Ah! Ah! Ah!


5 - Un magico filtro mangia-voce Fiaba di MAURO NERI - Illustrazioni di F ULBER


Venerdì (quinto giorno) Anche le streghe la notte dormono. Sotto le coperte e al calduccio del suo lettino strega Robi­nia dormiva ormai da alcune ore, persa in sogni bellissimi di prati fioriti, ruscelli d’acqua fresca e uccellini che cinguettavano in coro le canzoni più belle. – Robinia! – le sussurrò nell’orecchio una voce roca e aspra. La streghetta continuò tranquilla a dormire. – Robinia, svegliati!! – disse la voce misteriosa alzando un poco il volume. Uno sbadiglio sonnolento fu la sola risposta. – Robinia, ti ordino di svegliarti!!! – Eh? Cosa? Chi mi vuole? Chi mi chiama? – balbettò la poverina stropicciandosi gli occhi, mettendosi a sedere e accendendo la abat-jour sul comodino – Sono io... sono Gracida, la tua cornacchia personale! – sghignazzò l’uccellaccio ancor più nero del cielo di notte. – Che ore sono? – Manca mezz’ora alla mezzanotte, ed è già tardi! – Tardi per che cosa? – Per il lavoretto che ci attende – sbuffò Gracida impaziente. – Forza dai: alzati, fa’ veloce a vestirti ché dobbiamo andare? – Ma dove? – sussurrò spaventata la strega, infilandosi il mantellaccio

scuro sulle spalle e mettendosi in testa il cappello a larghe falde. – Lo sai, vero, che mancano solo quattro giorni all’appuntamento con le perfide streghe della Valle di Risparmio­landia e che in questi quattro giorni devo addestrarti in tutte le arti più malvagie di una perfetta strega? Bene: dopo averti insegnato a guidare la scopa streghesca, adesso passiamo a una nuova lezione... – Quale lezione? – Quella dei… filtri magici! Il cuoricino innocente di Robinia cominciò a battere come impazzito: i filtri magici, le pozioni misteriose, i decotti con gli ingredienti più bizzarri e pericolosi sono cose importanti, per una strega, sono strumenti potenti per far del male a donne e uomini grandi e piccini, oppure agli animali adulti e cucciolotti... – E per quale motivo devo svegliarmi e alzarmi nel pieno della notte? – Perché certi ingredienti, certe radici, certe bacche vanno raccolte solo alla luce fredda della Luna, ecco perché! – esclamò piccata la cornacchia Gracida svolazzando fuori dalla finestra. – Su, forza: prendi un cestino e seguimi! Gellindo non aveva sonno, quella notte, come spesso gli accade quando ha un brutto pensiero che gli sfarfalla in testa. «Povera Robinia – mugugnava lo scoiattolo tra sé e sé, camminando nella penombra del Bosco delle Venti


Querce, – chissà quale sarà la sua fine, nelle mani di quella malefica cornacchia. Lo sappiamo tutti che la poverina non è capace di essere cattiva, che è un’apprendista strega per caso o per sbaglio! E io non so come aiutarla... non so come liberarla dalle grinfie di quel perfido uccellaccio!» Un rumore improvviso di rami spezzati gli fece balzare il cuore in gola e con un balzo saltò a nascondersi tra le foglie della quercia più vicina. E da lassù vide la povera Robinia che camminava su per il sentierino con un cestino al braccio. Gracida non c’era. – Allora, ecco quel che ho già raccolto – mormorò la strega fermandosi proprio sotto Gellindo Ghiandedoro: – dieci peli di lupo, cinque bacche di ginepro bianco, due radici di rabarbaro giovane, tre ciuffi di erba medica malata... e poi dodici semi di rapa piccante, sette gemme di felce fiorita, tre spine di rosa selvatica, sei petali di crisantemo di monte... e fin qui sono a posto, ho quasi riempito il cestino. Mi mancano solo undici “funghetti delle Fate”, quei funghi piccoli e azzurri a puntini bianchi: li ho cercati dappertutto, ma sembrano spariti nel nulla! – Pssstt! Ehi, Robinia... – sussurrò Gellindo nascosto tra le foglie della quercia. La strega alzò gli occhi e riconobbe subito il suo grande amico scoiattolo. – Ciao, Ghiandedoro: che ci fai lassù? Niente nanna, stanotte? – Ho perso il sonno al pensiero di

quella cornacchia mal­vagia! – Non dirlo a me, che adesso dovrei essere sotto le coperte a dormire e a sognare, e invece sono qui che mi arrabatto a cercare cose strane... – Devi preparare qualche torta? Oppure qualche pasticcio? – No: filtri magici, sto cercando gli ingredienti per filtri stregheschi d’ogni tipo! Guarda qui quello che ho già raccolto... peli di lupo, semi di rapa piccante, radici di rabarbaro giovane... – Ti manca ancora qualcosa? – Tu conosci i “funghetti delle Fate”? – Quali? Quelli piccoli, azzurri e a pallini bianchi? Certo che li conosco, ne ho appena visto una famigliola dieci minuti fa... – Allora corriamo, ne raccolgo undici e corro a casa, dove Gracida sta già scaldando l’acqua nella pentola dei filtri. Solo a quel punto Gellindo Ghiandedoro si accorse dell’errore che aveva commesso e si sarebbe mangiato la lingua per la disperazione. Che sciocco era stato: «Ma non potevo restarmene zitto? Perché ho aperto bocca? Perché ho parlato? Perché ho procurato a Robinia anche l’ultimo ingrediente per chissà quale terribile e pericoloso filtro magico?!» Comunque ormai la frittata era fatta: lo scoiattolo guidò l’amica strega nel cuore del Bosco delle Venti Querce e qui, in un praticello attraversato da un ruscelletto, undici minuscoli “funghetti


delle Fate” finirono nel cestino che Robinia teneva infilato nel braccio. – Grazie, Gellindo, sei stato un amico preziosissimo! «Sono stato un amico sciocchissimo, altro che!» commentò il poverino senza aprir bocca. Poi salutò l’amica e scrollando il capo s’avviò per tornare a casa. –...Adesso aggiungiamo per ultimi gli undici “funghetti delle Fate” e mescoliamo, anzi, mescoli tu per venti minuti di seguito! – esclamò la cornacchia Gracida allungando il mestolo a Robinia. Venti minuti sono eterni da passare, specie quando sei stato svegliato nel cuore della notte e ti obbligano a girare il mestolo nel pentolone di un filtro misterioso... Gira e gira e gira e gira e gira ancora... l’apprendista strega ben presto s’appisolò in piedi e fece un lungo sogno... Quando il filtro fu pronto, Gracida ne riempì due bottiglie fino all’orlo. «Adesso andiamo alla Sorgente del Fiume Freddo» disse Gracida aprendo la porta di casa. «Per far cosa?» chiese Robinia. «Questo è un filtro che fa perdere la parola a chi lo beve: allora andiamo a versarne due bottiglie intere nella sorgente che dà acqua al Villaggio degli Spaventapasseri e sarà un gran

bel divertimento stare a vedere quel che accadrà!». Accadde che la povera Casoletta, dopo aver bevuto un bicchiere d’acqua fresca, perse completamente la voce nel giro di un minuto. «Non sento più la mia voce! Oh mamma mia: non ho più voce... Aiutooo! Sono diventata mutaaa!» Quantobasta, invece, si preparò un buon caffè d’orzo con l’acqua fresca del rubinetto e... «Perché questo silenzio improvviso? Perché non sento la mia voce? Oh santo cielo: sono mutooo! Completamente mutooo!» E così Pasticcia, che non parlò più dopo aver mangiato un bel piatto di pastasciutta cotta nell’acqua di casa... «Aiutooo... e la mia voce dov’è andata a finire?» Abbecedario, dopo essersi dissetato alla fontana della piazza... «Ragazzi, torniamo a scuola – urlò agli spaven­ta­pulcini. – Ma perché non mi obbedite? La sentite la mia voceeee? Non sarò per caso diventato mutooo!!» Via via tutti gli altri... Tisana la Dolce con una tazza di tè, Bellondina dopo essersi lavata i denti, Paglia­fresca dopo una lunga sorsata d’acqua bevuta direttamente dal rubinetto di casa, Gellindo dopo aver sgranocchiato una mela risciacquata sotto l’acqua della spina... persero irrime­dia­


bilmente la voce! Tutti, tranne uno. Indovinate chi? Provate a pensare: chi può essere l’unico abitante del Villaggio che non ama l’acqua? Che odia l’acqua perché preferisce rimanere con lo sporco appiccicato addosso piuttosto che farsi una doccia? Ma sì, avete indovinato: Ratto Robaccio, la pantegana che lavora nella discarica, in tutta la vita non ha mai sfiorato nemmeno una goccia d’acqua... e fu proprio lui a salvare la situazione! Ratto Robaccio, intuendo chi doveva essere il responsabile di quell’incantesimo, corse di filato alla casupola in cui abitavano l’apprendista strega Robinia e la sua cornacchia: nascosto dietro all’imposta della finestra sbirciò all’interno e sentì Gracida che diceva: «Cara la mia strega, sii contenta di te stessa: per la primissima volta in vita tua sei stata finalmente e veramente cattiva! Eh! Eh! Eh!» Robinia tirò sul col naso, ricacciò indietro le lacrimucce che gli spuntavano dagli occhi e... «Il filtro che ho versato nell’acqua della Sorgente del Fiume Freddo ha un antidoto? Esiste il modo di far tornare la voce agli abitanti del Villaggio?». «Tutti i filtri magici hanno un loro antidoto – rispose ghignando

l’uccellaccio del malaugurio. – In questo caso, poi, recuperare la voce è semplicissimo: basta masticare una radice di liquirizia e Paffff!... si torna a parlare come prima!» Esattamente a quel punto del sogno Robinia si riscosse, si svegliò e rischiò di cadere nella pentola bollente del filtro magico. Rise soddisfatta tra sé, perché adesso conosceva l’antidoto contro il sortilegio terribile che di lì a poco sarebbe scoppiato. Sotto gli occhi sbalorditi della cornacchia, l’apprendista strega si comportò come se sapesse benissimo quel che doveva fare: riempì esattamente due bottiglie di liquido magico, corse alla Sorgente del Fiume Freddo e vi versò dentro il filtro terribile. Poi tornò a casa, di nascosto si riempì le tasche di radici di liquirizia di cui era golosissima e raggiunse il Villaggio, appena in tempo per assistere alle urla mute dei poveri spaventapasseri, per vedere quegli sguardi spaventati, per raccogliere quelle silenziose richieste di aiuto. – Ehi, ma cosa ti sei messa in mente, sciocca strega! – starnazzò Gracida, non appena la cornacchia s’accorse che la sua “allieva” stava distribuendo a tutti radici di liquirizia. – Come fai a sapere qual è l’antidoto del filtro antivoce? Basta... Stai ferma! E infatti Robinia si fermò solo quando tutti tutti tutti gli abitanti del Villaggio


e del Bosco delle Venti Querce ebbero recuperato la loro voce squillante e argentina. Soltanto allora la streghetta fece un sorriso, alzò le spallucce e tornò a casa danzando sul sentiero. Era proprio felice: ma ci pensate? S’era comportata da strega malvagia compiendo una cattiveria stratosferica, ma

allo tempo stesso aveva liberato i suoi amici spaventapasseri e lo scoiattolo Gellindo Ghian­­dedoro da quell’incantesimo terribile. E se Gracida, quel giorno, urlò inviperita e furiosa fino a notte inoltrata, Robinia cantò le canzoni più belle che conosceva e andò a dormire felice.


6 - Arrivano i... mostri Fiaba di MAURO NERI - Illustrazioni di F ULBER


Sabato (sesto giorno) Nessuno se l’aspettava, al Villaggio degli Spaventapasseri, anzi: erano tutti affaccendati a scegliere i regali per gli amici e a scrivere le letterine a Babbo Natale-Spauracchio, quando arrivarono i primi… mostri! Il topo di campagna Ratto Robaccio se ne stava tranquillo disteso a riposare sopra una montagna di graspi d’uva che si alzava al centro della discarica di rifiuti, quando dal cielo piovvero squittendo disperati mille e mille pipistrellacci grossi come vitelli che volarono a lungo nel cielo urlando disperati… – Vogliamo mangiare – strillavano quei “topi” volanti. – Abbiamo fame… amee… ameeee… – rimbombava l’eco per la valle – Siamo affamati… atii… atiii! Alla stessa ora Dindondolo era impegnato nella sua chiesetta a lucidare con un panno morbido la bella campana di bronzo, quand’ecco che dal bosco vicino uscì correndo un bel gruppo di orchetti terribili: vestiti di pelli e di cortecce, bassi di statura e cicciotti di pancia ma con le braccia incredibilmente lunghe, grosse e robuste, gli orchi trotterellarono sghignazzando fino alla piazza del Villaggio e corsero a tuffarsi uno dopo l’altro nella fontana bevendo l’acqua fino a prosciugarla. – E adesso come facciamo noi spaventapasseri a bere, quando abbiamo sete? – esclamò il campanaro facendosi sulla porta della chiesa.

– Sgrumpff… Splasshhh… Patastrock! – biascicò l’orchetto più vicino, farfugliando nella lingua che solo lui e i suoi amici conoscevano e pulendosi lo sporco tra le dita dei piedoni sporchi e puzzolosi. E se la Cioccolateria di Casoletta venne di lì a poco invasa da uno sciame di grossi calabroni che… Bzzzzzz… Bzzzzzz… Bzzzzzz… presero a volare sopra le torte e le tazze di cioccolata calda, l’orticello di Tisana la Dolce fu preso di mira da due, quattro, otto… sedici draghi volanti che Swiiimmm!... Swiiimmm!… Swiiimmm!… in meno di due minuti rasero al suolo tutte le piante di fagioli e metà di quelle di pomodori. Gellindo Ghiandedoro per parte sua venne visitato da un gigante enorme: era un omone alto più di due larici messi uno sull’altro e grosso… grosso come una vera e propria montagna di cui non vedi la vetta! Ci volle del bello e del buono per convincere quell’enorme mostro a non sradicare la quercia nella quale vive il nostro scoiattolino risparmioso e ad usarla come stuzzicadenti: – Vattene via, brutto gigante cattivo! – urlò invano il povero Ghiandedoro, affrontando quella montagna da spavento. – Lascia stare la mia casetta e non permetterti di sfiorare il mio albero, va bene? A quel punto, e solo a quel punto ahimè, giunse correndo e piangendo e urlando la povera streghetta Robinia. – Gellindo! Oh mio povero Gellindo... Guarda che guaio ho combinato!


Per mille streghe sordastre, proprio a me doveva capitare d’impappinarmi con la formula magica dei mostri? – Cosa cosaa cosaaa? – strillò lo scoiattolo affrontando la streghetta in lacrime. – I mostri sono tue creature? Sono il frutto delle tue magie? Ma non eri una strega che non è capace d’esser malvagia, tu? – Già, proprio così... fino a mezz’ora fa! – rispose Robinia abbassando lo sguardo sulla punta delle sue scarpacce streghesche. – Perché, mezz’ora fa cos’è successo? – È successo che stamattina la cornacchia Gracida ha deciso di insegnarmi qualche trucco per creare le illusioni dei mostri... – Cosa vuol dire “creare le illusioni dei mostri”? – Vuol dire far apparire i mostri più terrificanti e spaventosi, ma solo come figure, solo come cose che sembrano vere, ma in realtà non lo sono! – Ho capito: come essere al cinema, insomma! E allora perché quel gigante, invece, ha già sradicato venti alberi del nostro Bosco? Perché i pipistrelli stanno assediando il povero Ratto Robaccio? Perché gli orchetti hanno veramente prosciugato la fontana del Villaggio? – Ma te l’ho già detto, perché mi sono impappinata nel recitare la formula magica che Gracida mi ha insegnato... Ecco perché questi mostri orrendi sono reali, veri, terribili e soprattutto

pericolosi! Gellindo aveva finalmente capito. La povera Robinia – e non era la prima volta! – s’era sbagliata nel recitare la formula dei mostri “da cinema” e un nugolo di mostri bestiali, ma soprattutto “veri”, erano nati dal nulla e dal nulla avevano preso di mira il povero Villaggio! – Esiste una formula per far tornare tutto come prima? – chiese lo scoiattolo. – Penso di sì, ma bisognerebbe chiederlo a Gracida. – E perché non glielo chiedi? – Perché quella sciocca cornacchia, non appena s’è resa conto del pasticcio malvagio che avevo combinato, tutta felice è corsa in cerca delle mie amiche streghe per mostrar loro di quale cattiveria sono stata finalmente capace! Ghiandedoro si guardò in giro e s’accorse che altri mostri stavano giungendo: statue viventi di roccia grigia e scura cingevano d’assedio la farmacia di Quantobasta... enormi fiori parlanti cantavano orrende canzonacce sotto le finestre di Bellondina... mostriciattoli mezzo scheletri e mezzo asini ragliavano a squarciagola davanti alla Scuola di Abbecedario... – E adesso che facciamo, Robinia? In attesa che torni Gracida, come la mettiamo con tutte queste creature della tua fantasia? – Perché non proviamo a distrarle e a condurle via lontano? – propose la strega.


– E con che cosa? – Con... questo! – esclamò quell’altra, prendendo dalla tasca del suo mantellaccio un bel... piffero! – Cosa sarebbe, quello? – Un piffero... magico! – “Quel” piffero magico? Quello della famosa fiaba? Il piffero che riesce ad incantare i bambini perché il pifferaio non li possa portare nel cuore della montagna? – Quello! Proprio quello! È un regalo che mi ha fatto la mia mamma per il mio duecentocinquantesimo compleanno. “E fanne un cattivo uso, mi raccomando mia cara Robinia” mi disse la mamma... Adesso ci provo e staremo a vedere quel che succede! La streghetta s’inumidì le labbra, si spostò dalla fronte un ciuffo ribelle di capelli grigi, lunghi e sporchi e cominciò a suonare il piffero... Quel che uscì dal minuscolo strumento musicale fu una musica dolcissima, la musica più bella, melodiosa e suadente che mai si sia sentita nella Valle di Risparmiolandia: una musica che prese a girellare per l’aria intorno, salì in circolo su su su fino a toccare le punte delle querce del Bosco e poi scivolò giù giù giù, attorcigliandosi attorno ai fiori parlanti, prendendo per le orecchie gli orchetti nella fontana, pizzicando le ali dei pipistrelli e ammorbidendo i pungiglioni dei grossi calabroni... Robinia cominciò a spostarsi e ad incamminarsi lungo il sentiero che porta alla Palude dei Vampiri Striscianti... e i

mostri le corsero dietro come imbambolati, come ubriachi di bella musica, come invaghiti di quelle note che s’intrecciavano nell’aria trillando allegre e gioiose... Trotterellavano felici i “mezzo asini e mezzo scheletri”... incespicava raggiante il mostruoso gigante... svolazzavano in cerchio i sedici draghi... – Se ne vanno! – sussurrò Casoletta con un debole sorriso. – Chissà se Robinia ce la fa a portarceli via – aggiunse Abbe­cedario. – Incrociamo le dita e stiamo a vedere – rispose Quanto­basta... Robinia continuò a soffiare con forza nel suo piffero, controllando con la coda dell’occhio se i “suoi” mostri erano alle sue spalle e la seguivano. Fu una lunga processione, quella, una strana processione di mostri spaventosi, che giunsero alla fine sulle rive della Palude e... – Entrate! – li invitò la streghetta. – Entrate nel lago, forza! Non abbiate paura per un po’ d’acqua... Sentite che musica invitante... Lo sapeva suonare proprio bene, il piffero, la nostra Robinia. A quel punto, quando tutti i mostri furono in mezzo alla Palude, la musica divenne forte, assordante e trascinante... così trascinante che l’acqua di solito calma e tranquilla del laghetto cominciò a bollire, a gorgogliare e a girare in tondo in tondo in tondo... veloce, sempre più veloce, un enorme gorgo, un gigantesco risucchio catturò uno dopo l’altro tutti i mostri e li fece sparire sott’acqua...


Dopo di che, all’improvviso, la Palude si calmò e un silenzio profondo scese tutt’attorno. Robinia asciugò il piffero e lo mise in tasca. A quel punto giunsero anche Gellindo e i suoi amici spauracchi... – Spariti? I “tuoi” mostri se ne sono andati? – chiese lo scoiattolo col cuore in gola, per la paura e per la fatica della corsa. – Sono stati inghiottiti dalla Palude dei Vampiri Striscianti e sono ritornati nella mia fantasia... – rispose la streghino guardandosi attorno. – Cosa c’è? Aspetti qualcuno? – le chiese Bellondina. – No, non aspetto nessuno, ma... – Ma che cosa? – Fra tre giorni, proprio qui, su questa spiaggia, le streghe malvagie della valle mi giudicheranno e decideranno se sarò stata sufficientemente cattiva da meritare il titolo di strega... – E ci tieni proprio tanto ad essere strega? – Io sono nata così e non posso farci nulla! Certo che mi piacerebbe essere una spaventapasseri come te, Bellon­

dina, oppure come te, Tisana la Dolce, e invece “forse” sono una strega! – Forse? – Già: provate a pensare se le perfide streghe, quelle che dovranno giudicare la mia cattiveria, imbeccate dalla cornacchia Gracida hanno invece visto il bello scherzo che ho combinato ai miei mostri col piffero magico! Mettete che si siano nascoste qui attorno e abbiano assistito al mio atto di bontà... Chissà quali risate si faranno, fra tre giorni esatti e proprio su questa spiaggia... Gellindo venne avanti e andò ad accoccolarsi in grembo a Robinia, che nel frattempo s’era seduta su una roccia. – Per adesso non devi preoccuparti. Hai ancora tre giorni di tempo e da qui ad allora chissà cosa combinerai... Eh! Eh! Eh!... Certo che, comunque, erano proprio dei mostri terribili, quelli che hai creato con la tua fantasia... Mostri orripilanti da far venire la pelle d’oca... Adesso torna a casa, riposati dopo le fatiche di oggi e restiamo tutti in attesa di vedere quel combinerai domattina... Chissà cosa ti insegnerà, di nuovo, la tua tremenda cornacchia Gracida!


7 - Sogni e incubi stregoneschi Fiaba di MAURO NERI - Illustrazioni di F ULBER


Domenica (settimo giorno) – Guarda che ho visto tutto! – disse la cornacchia Gracida con una voce che pareva una raspa che gratta sul ferro. – Hai visto che cosa? – chiese distratta strega Robinia, facendo finta di leggere con attenzione un libro di magia bianca. – Ho visto quel che hai combinato ieri... – E cosa avrei fatto di così interessante? – Il piffero... te lo ricordi il piffero magico di tua madre? – Embè? – L’hai usato per affogare nella palude i mostri che ti erano scappati di mano, non è così? A quel punto Robinia con uno sbuffo chiuse il libro e si girò a guardare negli occhi l’uccellaccio appollaiato sul bordo del caminetto: – Ascolta, vecchia cornacchia polverosa: sono stufa di essere ai tuoi ordini e di pendere dal tuo becco prima con le formule magiche, poi con le magie funeste, quindi con la scopa stregonesca, con i filtri e gli incantesimi e infine con quei poveri mostri di ieri... Vuoi lasciarmi in pace, una buona volta? – Ti lascerò tranquilla solo fra tre giorni, cara mia, dopo che le perfide streghe di questa valle avranno deciso che tu sei una vera strega... una strega malvagia, cattiva, terribile e crudele! Robinia sospirò rassegnata: sua madre era stata una strega e suo padre

uno stregone, streghetta era nata pure lei, duecentosessant’anni fa, e strega sarebbe rimasta per tutta la vita! – E oggi a quale materia stregonesca devo dedicarmi? – sussurrò la poverina, che si sentiva battere in petto un cuore grande, buono e generoso con tutti. Gracida svolazzò dal caminetto fin sull’orlo del tavolo di cucina e sghignazzò con gusto sadico: – Oggi tocca ai sogni, agli incubi, alle allucinazioni e ai miraggi! Prendi questo libro e comincia a leggere a pagina dieci! Robinia aprì alla pagina giusta il grosso volume che portava scritto in copertina Sogni e incubi stregoneschi In appendice: allucinazioni, abbagli e deliri per tutti – Leggi a voce alta e impara memoria! – le ordinò la cornacchia. «Per far nascere un incubo da strap­ palacrime – cominciò a leggere la streghina, – oppure un sogno da angoscia o un delirio che ti tiene sveglio per l’intera notte, devi in­nanzitutto conoscere bene l’aspetto più strano e bizzarro del carat­ tere della persona che vuoi colpire. Sarà proprio quello a provocare i sogni più terribili, quelli che fanno sudar freddo e che ti fanno chiedere: Ma perché ieri sera sono andato a dormire? Non potevo restar sveglio fino all’alba?» – Hai capito? – la interruppe Gracida con un ghigno tremendo. – Allora facciamo così: hai tempo tutto il giorno


per provocare quattro incubi malvagi al Villaggio degli Spaventapasseri. Scegli tu gli spauracchi che meglio conosci e fa’ lavorare la tua fantasia... Questa è la formula magica, sta’ attenta a non sbagliare nemmeno una parola come il tuo solito: Sogno di notte quel che sono di giorno Sono di giorno quel che sogno di notte Incubooo... Deliriooo... Abbagliooo Abbagliooo... Deliriooo... Incubooo! Incubo numero uno La sonnolenza... Incubooo... Delirio­ oo... Abbagliooo... giunse improvvisa... Abbaglio... Deliriooo... Incubooo!... mentre Casoletta era piegata sul lavandino a risciacquare le tazze per la cioccolata. Uno sbadiglio, le palpebre che diventano pesanti, gli occhi che cominciano a pizzicare ed una strana stanchezza che le fa desiderare un bel letto per dormire. Dopo di che... Plumppp!... la povera spauracchia ebbe appena il tempo di raggiungere il divano, che s’addormentò di colpo e cominciò a sognare... Un esercito di budini al cioccolato fon­ dente invase la Valle di Risparmiolandia e raggiunse anche il Villaggio degli Spaven­ tapasseri. Non erano per nulla buoni, quei budini: amari come il cioccolato più ama­ ro che esista, un po’ alla volta penetrarono in tutte le case, riempirono le cucine, le camere da letto e i salotti, ma anche gli

orti, la chiesetta e la Scuola, la Famiglia cooperativa e la Cassa rurale! C’erano budini di cioccolato amaro dappertutto, insomma, un’invasione terribile che lasciò tutti senza fiato. Talmente terribile, che di lì a poco il cioccolato amaro cominciò a scorrere nella fontana della piazza e ad uscire dai rubinetti... “E adesso come faccio a cuocere la pasta?” disse Pasticcia. “E cosa do da bere, ai miei spaventapulcini assetati?” disse Abbecedario. “E con che cosa nutro le pianticelle del mio orto?” dis­ se Tisana la Dolce... Quando la cioccolata morbida e untuosa giunse all’altezza del tetto delle case, con gli spauracchi che nuotavano disperati in quel lago nero e amarissimo, dal cielo scese una scopa volante con a bordo una streghina dispe­ rata... “Nooo! Io non volevo tutto questo... Scusatemi, amici spauracchi: aggrappate­ vi alla mia scopa, forza...” Avvenne quindi che, uno dopo l’altro, gli spaventapasseri furono portati in salvo dalla buona Robi­ nia, e solo al termine, quando nessuno più nuotava in quel mare scuro, la cioccolata svanì in pochi istanti e tutto tutto tutto ritornò come prima! Incubo numero due Ratto Robaccio dormiva beato in cima a una mon­tagnola di lattine vuote di aranciata e di tamarindo con le bolle, quando... Incubooo... Deliriooo... Abbagliooo... un forte rumore... Abba­ glio... Deliriooo... Incubooo!... svegliò la pantegana che odiava lavarsi. Robaccio aprì gli occhi e lì, a meno di un metro distanza, vide un mostro! Un drago


sputaveleno? No! Un orco malvagio? Noo! Un gigante enorme e cattivo? Nooo.. E allora cosa vide, il grosso topo di campagna?! Una saponetta profumata alla lavanda cadde dal cielo, capitò per caso nella di­ scarica del Villaggio degli Spaventapasseri e s’innamorò, la poverina, di Ratto Robac­ cio, la pantegana che lavora in mezzo alle immondizie senza mai farsi una doccia o un pediluvio! “Vieni, mio caro, che ti lavo le zampe!” sussurrò la saponetta con un sorriso. “Lavarmi? Io!? Non sia mai detto che Ratto Robaccio si faccia toccare da un sapone o da un po’ d’acqua!” “Che bei piedi sporchi vedo... vuoi che te li lavi e te li profumi alla lavanda?” “Nooo, i miei piedi mi piacciono così come sono, hai capito?” “E quel musetto da topolino sporco? La­ scia che te lo strofini un poco... dopo sarai più bello!” “Esser bello non mi interessa... e poi alla mia cara Lilly Spatoc­cia piaccio così, oh!” A quel punto dalle nubi raccolte nel cielo sopra la pante­gana si aprì una botola e una cascatella d’acqua fresca cadde a bagnare il nostro amico. “Aiutooo! Per carità, io non voglio bagnarmi! Qual­ cuno mi salvi... non ho nessuna intenzione di lavarmi, non mi piace fare la doccia, non voglio...” E allora intervenne Robinia che allungò una mano, girò l’interrutto­ re, spense quella misteriosa cascatella d’acqua e fece scappar via la saponetta innamorata. “Oh, finalmente! – sospirò la pantegana. – E adesso lasciatemi in pace, ché ho da dormire, io!”

Incubo numero tre Chiomadoro, la bella spauracchia dai capelli ricci, s’addormentò di botto... Incubooo... Deliriooo... Abbagliooo... non appena la spazzola con cui voleva lisciarsi le lunghe chiome color dell’oro... Abbaglio... Deliriooo... Incubooo!... le sfiorò i boccoli. A quel punto una forbice acuminata, che trotterellava allegra in compagnia di una limetta per le unghie, di tre bigodini, di un pettine da crocchia e di sei spilloni-fermacapelli le furono addosso e la circondaro­ no cantando una brutta canzoncina... “Pungi di qua, pungi di là, pungi di sopra, pungi di sotto... pungi di giorno, pungi di notte, siam tutti pungiglioni, siam tutti calabroni!” Chiomadoro rimase senza fiato e senza parole: cercò con la spazzola di allontana­ re quei tipi strani e aguzzi, ma la forbice… Zick! Zeck! Zack!... le tagliò tutti i peli della spazzola lasciandole solo il manico! Scoppiò a piangere allora, la povera spau­ racchia, mentre i bigodini le torturavano i capelli e i sei spilloni, il pettine da crocchia e la limetta per le unghie si piantarono per terra attorno alla spaventapasseri, chiudendola quasi come in una prigione. “Aiutooo! Aiutooo!” strillò allora Chio­ madoro e le sue urla furono udite… da Robinia. La streghina che non riusciva ad essere cattiva si precipitò a casa della bel­ la spauracchia, afferrò la forbice cattiva,


estrasse dal terreno gli spilloni e tutto il resto e corse a gettarli assieme ai bigodini nel fuoco del caminetto. Dopo di che si girò a consolare la poverina, che solo dopo un bel po’ smise di piangere e abbracciò contenta la sua salvatrice. Incubo numero quattro Era ormai sera e Gellindo Ghiandedoro stava per andare a dormire dopo una giornata faticosa trascorsa a far scorte per l’inverno ormai alle porte, quando… Incubooo... Deliriooo... Abba­ gliooo... gli occhietti si fecero all’improvviso di piombo e... Abbaglio… Deliriooo... Incubooo!... lo scoiattolino cadde a terra addormentato come un sasso. Ed anche lui fece un sogno terribile. Mille e mille ghiande si staccarono dalla quercia in cui Gellindo viveva e s’ammassarono davanti alla porticina della tana, bloccandola dall’esterno. Poi mille e mille noci si staccarono dal noce lì vicino e andarono ad ostruire la finestrella del primo piano… Mille e mille mandorle si accata­sta­rono sopra la montagna di noci e bloccarono la fine­strella del secondo piano… Infine mille e mille fichi secchi si accumularono sopra le noci e sopra le mandorle, sbarrando la finestra del terzo e ultimo piano. Ecco: lo scoiattolo adesso era prigioniero del suo cibo, vittima della sua perenne fame invernale, incarcerato proprio dagli alimenti che più preferiva e per i quali andava matto… “Non esco più di casa! Aiutooo… sono

imprigionato qua dentro…

Qualcuno venga a salvarmi!”. Non arrivò nessuno dei suoi amici, anche perché in quel sogno gli spaventapasseri del Villaggio non erano stati invitati. Giunse invece la strega Robinia, che si sedette preoccupata sul cumulo di frutta secca che ostruiva le porte e le finestre della tana di Gellindo e rimuginò tra sé tristi pensieri: “E adesso che faccio? Lascio che il mio amico muoia di solitudine e di fame, accerchiato dal cibo che non può mangiare? No no no: sono cose che non mi piacciono, queste! D’accordo, ho imparato a creare incubi, deliri e allucinazioni, ma anche la malvagità più grande ha un limite!” Robinia schioccò le dita con un sorrisetto furbo e Pafff!... le ghiande, le noci, le mandorle e i fichi secchi sparirono all’istante, lasciando libero lo scoiattolo risparmioso. – Ma cosa hai combinato?! – urlò allora Gellindo, furioso come uno scoiattolo punto da una vespa. – Ti ho liberato dagli incubi che io stessa avevo creato! – rispose la streghina, sbalordita dal comportamento dell’amico. – Già, e hai pensato bene di aiutarmi facendo sparire anche quelle leccornie deliziose, vero? Hai creduto di farmi un favore privandomi del piacere di abbuffarmi di ghiande, fichi e noci, vero?? Ti sei detta: “Ma sì, dai: portiamogli via tutto questo ben di dio, tanto lui si arrangerà, suderà come un matto e si


romperà la schiena per riempire i suoi magazzini di prelibatezze altrettanto buone!!! – Ma quelli… quelli non erano fichi secchi “veri” – balbettò Robinia con le lacrime sull’orlo degli occhi. – Non erano noci, mandorle o ghiande… erano illusioni, allucinazioni, incubi… Gellindo Ghiandedoro, allora, sorrise da orecchio a orecchio e gli occhietti tornarono dolci e comprensivi come sempre: – Appunto, Robinia: vale la pena far disperare gli amici con cose che non esistono? È così divertente disturbare gli altri con sogni malvagi, con abbagli e deliri senza senso? Robinia chinò gli occhi a terra e parlò sottovoce. – No, certo che non ne vale la pena, ma io dovevo farlo… Dopodomani…

– Dopodomani sarai sottoposta al giudizio delle tue amiche streghe, ormai lo sanno tutti a Risparmiolandia – la interruppe Gellindo, che poi continuò abbassando anche lui la voce: – Senza che ci senta quella stupida cornacchia che ti sta sempre appiccicata addosso, sai che ti dico, Robinia? – Cosa? – Torna a casa e racconta a Gracida che hai spaventato l’intero Villaggio con i tuoi incubi. Poi… poi fa’ finta di nulla e obbedisci a tutto quello che l’uccellaccio ti chiederà di fare domani, ultimo giorno prima del grande giudizio. Intanto io e i miei amici spauracchi cercheremo di darti una mano. Non so ancora come, ma una mezza idea mi sta già frullando per la testa. Staremo a vedere!


8 - Vado, spavento e torno Fiaba di MAURO NERI - Illustrazioni di F ULBER


Lunedì (ottavo giorno) Quando Robinia si svegliò dopo una notte agitata e passata quasi tutta sveglia, la cornacchia Gracida era già appol­laiata sulla sponda in fondo al letto. – Domani è il grande giorno! – esclamò l’uccellaccio nero come il carbone. – Grazie per avermelo ricordato – sbadigliò la streghina che non sapeva essere cattiva. – Domani è il giorno del giudizio, è il giorno in cui le streghe della valle ti diranno se sei stata cattiva a sufficienza per essere finalmente eletta strega… – Che me lo dicano loro oppure no – disse Robinia scendendo dal letto, – io strega sono nata e strega rimango! – Già, ma senza il brevetto di “strega perfetta”, senza la spilla di “fattucchiera provetta”, senza la bacchetta di “maga esperta” non vali nulla, non sei nulla… E la tua povera cornacchia, la tua perfida Gracida ti lascerà sola e se ne andrà in cerca di un’altra padrona… – Ti auguro di tutto cuore di essere più fortunata e di andare a servizio di una strega finalmente malvagia! – esclamò Robinia indossando il mantellaccio, calandosi in testa il cappellaccio a larghe tese e facendo per uscir di casa. – Qual è il programma di oggi? La cornacchia svolazzò sul pomolo della porta di casa per impedire a quell’altra di andarsene e… – In questi giorni ho cercato di insegnarti tutto

quel che sapevo in materia di arti stregonesche. Ho tentato di essere la tua maestra di incantesimi, di incubi, di formule magiche e di mostri… ma tu mi hai sempre delusa! Tu sei sempre corsa in aiuto delle tue vittime e le hai salvate da sortilegi terrificanti. Non mi rimane altro che sperare nella forma di stregoneria più semplice e più facile… – E quali sarebbero queste diavolerie facili? – È roba da bambine, altro che streghe! – sospirò la cornacchia scuotendo il capo rassegnata. – Comunque: sai che cosa succede quando ti avvicini a qualcuno di schiena e in punta di piedi? Passetto dopo passetto e trattenendo il fiato arrivi alle spalle della povera vittima e… Bauuu!... le fai prendere un sonoro spavento? Uno spavento che ferma il cuore per alcuni istanti e fa impallidire e vacillare il poveretto, che rischia un infarto? Bene: quella è una stregoneria semplice semplice, ma di sicuro effetto. Se ti impegni, Robinia, e nel corso di quest’ultima giornata riesci a spaventare almeno quattro persone, forse… e dico forse, eh?... le tue amiche streghe potrebbero alla fine convincersi, chiudere un occhio ed ammetterti nella loro congrega! – Spaventare qualcuno arrivandogli alle spalle? – Sì: alle spalle, ma anche di fianco e non vista, oppure nel buio di una stanza chiusa… Insomma: spaventami quattro poveri disgraziati e il gioco è fatto! Avremo le prove della tua cattiveria!


– Va bene, Gracida – esclamò la strega togliendo la cornacchia dalla maniglia della porta. – Ci metterò tutto l’impegno e la buona volontà, ma ci proverò. Voglio essere strega perché strega sono nata, perché strega era la mia mamma ed anche la mia nonna e la bisnonna… Tu aspettami qui: vado, spavento e torno! Robinia si avvicinò di soppiatto alla farmacia di Quan­to­basta: sbirciò dalla vetrina e vide l’amico spauracchio chino di schiena sul bancone, che osservava da vicino il bilancino con cui preparava le sue medicine. All’interno non c’era nessuno: ecco l’occasione ideale per mettere in atto il primo spavento di quella giornata cruciale! Corse sorridendo felice alla porta, mise una mano sulla maniglia e piano piano per non far rumore spinse il battente per entrare, quando sul più bello… Gling-Glong!... una campanella invisibile squillò argentina avvisando Quantobasta che qualcuno stava entrando nella bottega. – Ehilà, Robinia! – esclamò con un sorriso lo spaventapasseri farmacista girandosi. – Hai bisogno di qualche medicina? Posso esserti utile in qualcosa? – Ehm… sì, ecco… cioè no… anzi… anzi sì, avresti delle caramelline contro la delusione? – Contro che cosa? – Contro la de… cioè no, non la delusione, volevo dire contro l’abbassa-

mento di voce… – Come no – disse Quantobasta prendendo una scatolina verde dallo scaffale. – Ecco qui trenta pastiglia balsamiche alle erbe che fanno tornare la voce in meno di mezz’ora. Però… – Però che cosa? – chiese la streghina mettendo in bocca la prima pillola dal profumo di menta. – Però a me pare che la tua voce sia normale! – Sì, certo, la voce che senti è normale, perché ad essersi abbassata è la voce dei miei pensieri. Mi è successo stanotte e… ecco, senti? – disse Robinia facendo silenzio e chiudendo gli occhi come se stesse pensando a chissà che cosa... – Che bello, hai ragione: la voce dei miei pensieri con una sola pillola è già tornata quasi normale! Grazie, Quantobasta, sei un farmacista formidabile! Il primo spavento era fallito miseramente per una campanella dal gling-glong troppo facile, ma Robinia non si perse d’animo e cercò di rifarsi subito. Il ragionier Còntolo, chiuso anche lui da solo nella sua Cassa rurale, era tutto concentrato a contare una grossa mazzetta di banconote, quando la strega giunse davanti alla porta della banca. “Qui campanelle non ce ne sono! Adesso entro di soppiatto e, senza che Còntolo se ne accorga, mi avvicino al bancone e salto per aria urlando: “Dammi tutti quei soldi! Questa è una rapina”… eh! eh! eh!”. Robinia allungò


una mano per aprire la porta, fece per spingere il battente ma s’accorse che la porta era chiusa. Alzò allora gli occhi e vide un cartello bello grande: “Suonare il campanello per annunciarsi. Entrare uno alla volta” “Questo vuol dire che oggi tutti i campanelli ce l’hanno con me!” pensò la strega con l’amaro in bocca. Còntolo però dall’interno la vide e schiacciò un pulsante sotto al bancone per farla entrare. – Ciao, Robinia, qual buon vento ti porta nella mia Cassa rurale? Vuoi prelevare un po’ di soldi dal tuo conto corrente? – Ecco, io… – balbettò la streghetta, – preleverei volentieri un po’ di soldini, ma non ho nessun conto corrente! Noi streghe cominciamo a guadagnare solo quando abbiamo il brevetto, quando siamo ufficialmente cattive: forse, da domani, anch’io… – Io non te lo auguro – esclamò il ragioniere chiudendo la mazzetta di banconote in cassaforte. – Mi piaci troppo così come sei adesso e non vorrei mai che tu cominciassi a fare a gara ad essere la più perfida, la più malvagia… Dimmi comunque che cosa desideri. Perché sei venuta in banca, se non hai nemmeno un conto corrente? – Bè… volevo vederti, volevo sapere se stavi bene e adesso che ti vedo sano, vispo e in piedi, sono tranquilla

e posso andarmene. Ciao, Còntolo! Ci vediamo… Robinia s’accorse ben presto e a sue spese che purtroppo le era difficile se non addirittura impossibile anche la cattiveria più semplice di questo mondo, e cioè far prendere un brutto spavento a qualcuno dei suoi amici. Ci provò con Casoletta: le si avvicinò di spalle camminando in punta di piedi e quando stava per urlarle da dietro la schiena, la spauracchia alzò la testa e vide la streghina riflessa nello specchio che aveva davanti. – Ciao, Robinia: vuoi una tazza di cioccolata bollente? Andò ancora peggio con Tisana la Dolce, che china sulla vasca della fontana per lavare le erbe appena raccolte dall’orto, s’accorse della strega vedendola specchiata sul pelo dell’acqua e… – Ehilà piccolina: guarda che stiamo tutti facendo il tifo per te! Continua ad essere buona, mi raccomando! Tentò di spaventare anche Abbecedario, ma quella volta a salvare il malcapitato dal colpo al cuore ci pensarono gli spaventapulcini che sul più bello la chiamarono in coro… “Ciaooo, Robinia! Vieni a giocare a prendi-prendi con noi?” L’unico che si lasciò avvicinare senza accorgersi della strega fu il vecchio spaventapasseri Empedocle: Robinia trotterellò leggera leggera alle sue spalle, respirò a fondo, si alzò sulle punte dei piedi e… – Empedocleee! – urlò la poveretta con tutto il fiato che aveva in corpo.


L’anziano spauracchio non batté ciglio, sentì lontana lontana una vocina che... – Empedocleee! – ...lo chiamava e allora si girò: – Toh, ecco Robinia… tutto bene? Lo stupore della strega durò esattamente meno di mezzo secondo, perché quasi subito le venne in mente che lo spauracchio, oltre ad essere il più vecchio del Villaggio, era anche sordo come una campana e quindi era veramente impossibile fargli prendere uno spavento in quel modo. Gellindo Ghiandedoro, che aveva seguito da lontano e fin dal mattino la sua amica, a quel punto decise di intervenire per togliere la streghetta da quell’imbarazzante situazione. Lo scoiattolo convocò una piccola assemblea spauracchia e spiegò per filo e per segno quel che Robinia doveva fare in quell’ultimo giorno di prove e riprove: – Dobbiamo aiutarla noi, poveretta, altrimenti le perfide streghe domani la faranno a pezzettini! – E tu cosa consigli di fare? – chiese Bellondina. – Semplice. Se oggi Robinia deve trovare il modo di spaventarci, bene: noi faremo a finta di spaventarci! Avvenne quindi che, tornando Robi-

nia quel pomeriggio a casa, il Villaggio degli Spaventapasseri al suo passaggio si riempì di urla terrorizzate. – Aiuto, che spavento mi hai fatto prendere, Robinia! – strillò Quantobasta facendo rovesciare le medicine sul suo bilancino. – Mamma mia che paura! – urlò Abbecedario lasciando cadere straccio e gessetti al passaggio di Robinia. – Oh, santo cielo che terrore! – esclamò Casoletta, quando la strega passò davanti alla vetrina della Cioccolateria. – Che strega terribile! – Che visione spaventosa! – Robinia, ma sei tremenda oggi! – Sei spaventevole! – …Terrificante! – …Mostruosa! – sbraitò Gellindo Ghiandedoro per ultimo. A quel punto Robinia si fermò e si girò a guardare diritto negli occhi il suo amico scoiattolo. – Non ti sembra di esagerare un po’, Gellindo? Comunque grazie: sei proprio un amico! Tu e tutti gli altri mi avete ridato fiducia! – sussurrò la streghetta con un sorriso. Poi si voltò e riprese la strada per casa, andando incontro al suo destino di “strega per forza”!


9 - Il giorno del giudizio Fiaba di MAURO NERI - Illustrazioni di F ULBER


Martedì (nono giorno) E venne finalmente il giorno del giudizio! Un bel po’ dopo il tramonto, quando la luna piena s’accese nel buio e illuminò la spiaggetta della Palude dei Vampiri Striscianti, dal cielo ad oriente calò una scopa strego­nesca che portava a cavalcioni una strega vestita d’un mantello e d’un cappellaccio color verde scuro: era Vantropia, la fattucchiera delle foreste, la perfida che abitava nel cuore dei boschi più profondi, il terrore dei pastori e dei cer­catori di funghi! Dal cielo ad occidente scese una scopa che aveva a bordo una strega vestita d’azzurro cupo: era Ammenicola, la fattucchiera che odiava i bambini e che si divertiva a tirar loro gli scherzetti più feroci. Da meridione ecco arrivare in volo una strega di rosso vestita. M edusia indossava un mantellaccio unto, sporco e tutto rattoppato: il suo regno era sulle rive del Grande Lago a sud e infatti dall’acqua dei laghi, dei fiumi e dei mari sapeva cavarne sortilegi terribili, tempeste furiose e temporali improvvisi e violenti. Da settentrione, infine, giunse a cavalcioni della sua vecchia scopa stregonesca la terribile, la spaventosa, la mostruosa Mandragola, regina delle streghe della Valle di Ri­spar­miolandia! Era vestita con abiti color dell’argento, ma il mantellaccio era tutto sbrindellato e il cappello pendeva senza forma tutto da un lato.

– Salve, colleghe! – gracchiò Mandragola scendendo dalla scopa. – Come va la vitaccia? – Male, nostra regina! – rispose Ammenicola grattandosi l’orecchio sinistro. – Peggio di così non potrebbe andare – aggiunse Van­tropia mentre con un dito perlustrava i buchi del naso peloso. – Orrendo, è un periodo orrendo! – concluse Medusia, cercando di sgrovigliare i capelli grigi, unti e disordinati. – Ottimo, allora: per noi streghe vivere in mezzo al male è la condizione migliore, vero? Eh! Eh! Eh! E cosa mi dite della nostra amica? – Ti riferisci a… a lei? – farfugliò Vantropia indicando il Bosco delle Venti Querce alle sue spalle. – Parli forse di quel disastro che non ne combina una di malvagia né con le buone né con le cattive? – borbottò Ammenicola, accendendo con un cenno sulla spiaggia un focherello magico e piegandosi sulle ginocchia per scaldarsi le mani lunghe e le dita nodose e stecchite. – Ma sì, dai, e diciamolo una buona volta – strillò a quel punto Medusia, gettando in aria un pizzico di polvere magica e accendendo un fuoco un po’ più grande di quello di Ammenicola: – stiamo parlando di Robinia, della piccola svampita Robinia, figlia di strega e di stregone ma incapace d’essere perfida come noi! Stiamo parlando di una streghina che ci rovina la reputazione e che quindi merita d’esser degradata a semplice donnetta senza arti magiche, senza futuro strego-


nesco, senza… – Abbiamo capito, Medusia – la interruppe la strega Vantropia, battendo il tacco destro sul terreno e facendo nascere dal nulla un falò bello grande e generoso. – Siamo qui per questo, per vedere se Robinia, con l’aiuto della malvagia cornacchia Gracida, è riuscita ad imparare ad essere terribilmente cattiva come si conviene a una strega patentata… – E allora diamoci una calmata, sorelle – esclamò la regina Mandragola, disegnando in aria un grandioso incendio che subito s’accese virulento. – Sento nell’aria grandi sorprese, e a me piacciono un sacco le sorprese, specie se cattive e maligne come mi aspetto… Fu proprio in quell’istante che da dietro al tronco d’un grosso albero sul limitare del Bosco delle Venti Querce uscì e venne avanti la nostra piccola amica, la streghina Robinia. Vestita di nero, con i lunghi capelli grigi che le scappavano da sotto al cappello e con il vecchio mantello che strisciava per terra, la povera fattucchiera raggiunse le amiche, prese da tasca uno cerino, si chinò a terra ed accese un fo­che­rello piccolo piccolo piccolo. Stava per cominciare il tanto atteso “Giudizio”. Robinia aveva trascorso l’ ultima giornata da “apprendista strega” in compagnia di Gellindo Ghiandedoro, del maestro Abbecedario, della buona Bellondina e della saggia Casoletta. – Ma lo capite, amici, in che guai mi

sono cacciata? – aveva cominciato a lamentarsi la strega che non sapeva essere cattiva. – Stasera le streghe della valle giudicheranno la mia cattiveria e sarà chiaro a tutti che io non sono capace di compiere malvagità! – Effettivamente ci hai provato in ogni modo – borbottò Abbecedario grattandosi la testa. – Hai tentato di compiere malvagità fermando il tempo, imparando le formule magiche più terribili, preparando filtri “mangiavoce”, crean­do i mostri più terrificanti, facendoci fare gli incubi più terribili… – …ma poi ogni volta sei corsa a salvarci e a rimettere le cose nel loro ordine! – aggiunse Bellondina con un sorriso. – E proprio di questo parleranno le streghe, all’assemblea di questa sera! – esclamò Robinia con la voce rotta dal pianto. – Gracida non vede l’ora di raccontar loro quel che è successo in questi ultimi giorni e allora sapete che vi dico? Il verdetto è già stato scritto! – Quale verdetto? – chiese Casoletta. – Il verdetto delle mie colleghe streghe stabilirà che io non sono adatta a fare la strega! – In quel caso che cosa ti succederà? – Era stato Gellindo ad informarsi. – Succederà che mi verrà tolta la scopa stregonesca, verrò privata della cornacchia al mio servizio, mi porteranno via tutti i libri di formule magiche, i miei vestiti da strega e… e… – E che cosa? – domandò Bellondina, che pendeva dalle labbra della piccola Robinia.


– E io tornerò ad essere una donna come tutte le altre, senza più poteri magici, né buoni e men che meno cattivi! – Ed è un problema, per te, essere una donna normale? – disse Abbecedario con uno sguardo stupito. – Ma certo che è un problema! Tuo padre, Abbecedario, che lavoro faceva? – Il maestro, come me! – E tuo nonno? E tuo bisnonno? – Erano entrambi maestri ed anche la mia mamma, la mia nonna e la mia bisnonna: tutte maestrine straordinariamente brave! – E se venisse qualcuno a dirti…«Lei, signor Abbecedario, non è capace di insegnare, per cui non può più essere un maestro»… tu cosa faresti? – Cosa farei? Per prima cosa morirei di dolore e poi perderei la voce per la vergogna, scapperei lontano e non mi farei più vedere da queste parti… – E la stessa cosa vale anche per me! Nella mia famiglia sarei la prima a dover rinunciare al titolo di “strega”: l’arte stregonesca che va avanti da venti generazioni finirebbe con me e io correrei a nascondermi sottoterra, nel profondo dell’oceano, sulla cima della montagna più alta… Solo a quel punto Bellondina si accorse che Gellindo Ghiandedoro se ne stava lì perso nei suoi pensieri, con lo sguardo puntato nel vuoto ad accarezzarsi con la zampetta il mento peloso – Gellindo… sei sveglio? Sei qui con noi? – Eh? Cosa?... Con voi? Certo che sono con voi, però…

– Però cosa? – volle sapere Casoletta. – Però, penso che tutti noi dovremmo aiutare la nostra amica! – Dovremmo aiutarla a scappare? A nascondersi sulla cima della montagna più alta? – chiese Abbecedario. – Nooo! Dovremmo aiutarla… ad essere finalmente cattiva! Un gelo profondo cadde tra gli spauracchi e un colpo al cuore tolse il respiro alla povera Robinia. – Ma io non voglio essere cattiva! Non mi interessa far del male agli altri… Io voglio essere strega per inventare pozioni che guariscano dalle malattie, per aiutare qualche giovane spauracchia ad essere più bella con qualche nuova pomata che fa sparire i brufoli o le smagliature della pelle… Questo vuol dire, per me, essere strega! Usare la magia solo per fare del bene agli altri! – Tuttavia – la interruppe lo scoiattolino risparmioso, – per realizzare il tuo sogno, per essere quella che vorresti essere, per trasformarti in una streghina della bontà e della bellezza, questa sera dovrai comunque compiere una grande malvagità, una perfidia terrificante, un sortilegio stregonesco maligno che le tue colleghe streghe ricorderanno per sempre… ed io ho la soluzione per i tuoi problemi! – Tu… tu sai quel che devo fare questa sera? – balbettò incredula Robinia. – Ci ho riflettuto per due giorni interi e alla fine m’è venuta in mente un’idea grandiosa! Stratosferica! Straordinaria! Una malvagità stregonesca senza pari!


– E diccela, allora! – strillò Casoletta impaziente. Gellindo si guardò in giro furtivo, con un cenno invitò gli altri di avvicinarsi e quando i cinque fecero capannello, lo scoiattolo cominciò a bisbigliare sottovoce… Pissi… Pissi… Pissi… Pissi… – Eccoti finalmente qui, piccola strega senza futuro! – berciò la regina Mandragola quando Robinia si fu accomodata accanto al suo focherello da poco acceso. – Sei pronta per essere giudicata dalle tue amiche streghe? – gracchiò Ammenicola con la bava che le usciva agli angoli della bocca. Robinia non parlò, ma col capo fece cenno di sì: era lì sulle rive della Palude dei Vampiri Striscianti proprio per essere esaminata dalle streghe della Valle di Risparmio­landia. – E allora chiamiamo la tua cornacchia… – gongolò Medu­sia, stropicciandosi le mani – Che Gracida venga a testimoniare! – esclamò Vantropia gettando un ciocco di legno magico nel suo fuoco. Il legno s’infiammò all’istante e dai ghirigori del fumo uscì tos­sicchiando la terribile cornacchia Gracida. – Sai dirci, uccellaccio, se la tua padrona s’è finalmente comportata da strega malvagia? – chiese Mandragola, aggiustandosi il vestito sbrindellato. – Volete sapere se Robinia ha fatto qualche perfido incantesimo? Se ha messo in atto qualche sortilegio diabolico? Se ha imparato tutte le formule di

magia nera e le ha messe in pratica? – La voce della cornacchia assomigliava al rumore che fa un’unghia che gratta sul piano della lavagna a scuola: mette i brividi giù per la schiena e asciuga la saliva in bocca! – Devo dirvi se Robinia è riuscita a fermare il tempo, giù al Villaggio degli spaventapasseri? Se ha fatto impazzire qualcuno di paura con mostri terrificanti? Se ha terrorizzato anche un solo spauracchio con qualche incubo terribile? La cornacchia fece una pausa, lasciando cadere alcuni istanti di profondo silenzio sulla spiaggetta illuminata da cinque fuochi e dalla luna in cielo. Poi… – No, care le mie amiche streghe – sentenziò la stupida cornacchia, – l’apprendista strega Robinia “non” ha commesso alcuna malvagità… E Medusia si alzò in piedi inquieta. – “Non” è riuscita a metter assieme nessun sortilegio… E Ammenicola s’avvicinò alla streghina con un ghigno spaventoso. – “Non” ha portato a termine alcun atto cattivo… E Vantropia alzò le braccia al cielo urlando oscure minacce. – Insomma – concluse l’uccello nero più del carbone, – in questi ultimi giorni Robinia è stata una perfetta strega all’incontrario: ha fatto del bene anziché del male, ha aiutato gli spauracchi anziché torturarli con incantesimi e incubi selvaggi… è andata in soccorso di chi soffriva e… – Abbiamo capito, Gracida – la interruppe allora la regina Mandragola. – Sei


stata chiara, adesso puoi tacere. – Poi la strega vestita d’argento si girò in direzione dell’apprendista strega: – Confermi quel che ha detto la tua cornacchia? Robinia non parlò: col capo fece solo cenno di sì, quel che Gracida aveva detto corrispondeva alla verità… e d’altronde quando mai s’era vista una streghina “buona” dire le bugie? – A questo punto il giudizio è belle che fatto! – cantilenò soddisfatta la regina che, dopo un cenno d’intesa con le sue sorelle, proseguì con un tono ancor più gelido. – Ascoltami bene, Robinia: l’assemblea delle streghe della Valle di Risparmiolandia, riunita alla luce della luna piena sulle rive della Palude dei Vampiri Striscianti, ti condanna… – Un momento! – strillò proprio allora la piccola apprendista strega, recuperando come per incanto la voce. – Aspetta, regina, ad emettere la sentenza. Prima ho qualcosa da dirvi! Un silenzio stregonesco calò su quella parte di Palude: anche i fuochi tacquero immobili nell’aria, in attesa che la streghina parlasse. – È vero – cominciò Robinia: – io fino ad oggi non sono stata capace d’essere cattiva. Era più forte di me, ce l’avevo nel sangue, la bontà, e non sapevo proprio cosa farci. Gracida è stata brava: mi ha insegnato a volare con la scopa, a recitare le formule di magia nera, a creare i mostri più orrendi e gli incubi più pazzeschi, ma tutto ciò non faceva per me, era troppo cattivo perché io potessi sopportarlo. Oggi, però, questa sera davanti a voi, voglio dimostrarvi

che, malgrado quel che ha detto la mia cornacchia, io so essere cattiva, io so essere una strega malvagia! Da dietro agli alberi del bosco lì vicino Gellindo e gli amici spauracchi sorrisero sotto ai baffi. Le fattucchiere invece si guardarono l’un l’altra con occhi sbalorditi, mentre Gracida scosse la testa perplessa. – Avete bisogno di un perfido sortilegio, per darmi la patente di strega? – strillò Robinia balzando in piedi. – Devo proprio fare un incantesimo spaventoso, per convincervi che sono una strega a tutti gli effetti? E allora state a sentire… La regina Mandragola sbrindellata d’argento, strega Ammenicola vestita d’azzurro, Vantropia col mantellaccio verde scuro e Medusia di rosso sporco vestita trattennero il fiato e, mentre Gracida volava spaventata lontano intuendo quel che stava per accadere, Robinia urlò alla luna piena in cielo Abratim, abratom Sarcelli… Che queste quattro streghe si trasformino in… Pipistrelli! Quella notte dalla spiaggia della Palude dei Vampiri Striscianti s’alzarono in volo quattro pipistrellacci stranissimi: uno color dell’argento volò diritto diritto verso Nord, squittendo impazzito; un secondo, con le ali rosso-sporco, svolazzò spaventato verso meridione; un terzo, con il manto color azzurro scuro, prese la direzione dell’occidente, mentre verso oriente volò strillando il quarto pipistrel-


lo dalle ali color verde muschio marcio. E della cornacchia Gracida nessuno seppe più nulla! Ebbene sì! Robinia – su consiglio di Gellindo Ghiandedoro, – non s’era smentita. Anche se lei non era capace di commettere cattiverie, in fondo al cuore era comunque una strega e infatti aveva commesso l’atto di crudeltà… e al tempo stesso di bontà… più grande che si potesse immaginare: aveva trasformato le quattro terribili streghe in altrettanti terribili pipistrelli impazziti di paura, liberando al contempo e per sempre la Valle di

Risparmiolandia dalla presenza di quelle quattro malvagie creature. Come termina, questa storia? Termina bene, non c’è alcun dubbio. Da quel giorno Gellindo Ghiandedoro e il Villaggio degli Spaventapasseri ebbero per sempre come amica una strega buona, bravissima a preparare pozioni contro le malattie e profumati unguenti per far sparire i brufoli. Robinia era felice: il sangue stregonesco della sua famiglia poteva continuare ancora per altre venti generazioni e tutti avrebbero saputo che nel mondo delle fiabe esistono anche le streghe buone!

F i n e


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