I proverbi di Gellindo Ghiandedoro

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I proverbi di Gellindo Ghiandedoro Fiaba di MAURO NERI - Illustrazioni di F ULBER


1 - Chi la fa... l ’aspetti


Provate a mettervi nei panni di Casoletta, che si sveglia al mattino dopo una lunga notte in cui ha dormito fissofisso-fisso! Si stiracchia sotto le lenzuola, stropiccia gli occhi, si alza dal letto, si ri-stropiccia gli occhi e si ri-stiracchia in piedi. Poi così, con la vestaglia da notte addosso, va in cucina, prepara una stupenda e profumata tazza di cioccolato denso e scuro, si stropiccia per la terza volta gli occhietti ancora semichiusi, prende dalla credenza la zuccheriera e… Uno… Due… Tre… tre sono i cucchiaini di zucchero che Casoletta mescola a lungo prima di cominciare a sorseggiare quell’ottima cioccolata bollente… – Puaaahhh! Ma che schifo di colazione ho preparato, stamattina? – strilla Casoletta, sputacchiando cioccolata dappertutto. – Cioccolata che sa di… sale!!! Qualcuno ha scambiato lo zucchero col sale! – urla a più non posso la povera Casoletta uscendo di corsa da casa per trovare conforto negli amici. Nel buio dell’angolo più lontano della cucina, intanto, due occhietti spiritosi stanno ridendo soddisfatti e cattivelli! Provate allora, se ce la fate, a mettervi nei panni di Abbecedario. Quella stessa mattina il simpatico maestro entra in classe con un sorrisetto sornione sotto ai baffi e guarda uno ad uno gli spaventapulcini seduti nei banchi in attesa che la lezione di matematica abbia inizio. Abbecedario si avvicina alla scrivania, prende il registro, lo apre e… – Ci siete tutti, stamattina?

– No, maestro Abbecedario, – risponde Rattina Glassé dal primo banco. – Mio fratello Liquirizio s’è perso per strada… – Be’, fa niente: noi andiamo avanti e oggi impareremo le moltiplicazioni! – esclama il maestro, che prende la cancellina e ripulisce il grande tabellone nero pieno zeppo di disegni e di frasi scritte il giorno prima. Quando però fa per rimettere la cancellina al suo posto, il rotolino di feltro scuro rimane attaccato alla mano del maestro, che prova e riprova e prova ancora una terza volta a liberarsi da quell’intralcio, senza però riuscirci! – Ma chi ha impiastricciato di colla questa cancellina? – esclama lo spauracchio, agitando per aria la mano incollata al feltro come fosse la pala di un mulino. E agita di qua, agita di là, alla fine maestro Abbecedario perde l’equilibrio, cade all’indietro e va a sedersi sul cestino della carta straccia, tra le risate degli spaventapulcini divertiti. Se proprio in quel momento qualcuno si fosse girato verso la finestra più vicina alla cattedra, avrebbe visto due occhietti spiritosi che ridono soddisfatti e cattivelli! Se poi andiamo a casa di Tisana la Dolce, la troviamo disperata nella sua dispensa, mentre corre da un barattolo d’erbe all’altro con le mani nei capelli. – Ma chi si è permesso di mischiare tra di loro tutte le mie povere erbe, i semi e le foglie secche, le radici e le gemme? – piagnucola la spaventapasseri sull’orlo delle lacrime. – Ma guarda tu: i


semi di artemisia sono finiti nel barattolo del prezzemolo e l’infuso di aglio adesso è nella bottiglietta assieme all’aceto di prugne! Oh no, le radici di rabarbaro sono mescolate alla polvere di rosmarino… e le gemme di pino mugo contro il raffreddore qualcuno le han messe nel vasetto della pomata di semi di lino! Se Tisana si voltasse proprio in questo momento a guardare dietro lo scaffale della dispensa, vedrebbe nella penombra della stanza due occhietti spiritosi che sorridono soddisfatti e cattivelli! Ma ve le immaginate le urla di rabbia di Quantobasta, quando entra nella sua farmacia e si accorge che qualcuno, nel corso della notte, ha riempito un’enorme damigiana con le sue pillole di tutti i colori… rosse, gialle, verdi e verdine, blu e amaranto? E da dietro la bilancia pesa-persone due occhietti spiritosi sorridono soddisfatti e cattivelli! Provate a pensare al colpo al cuore del povero Caramella quando, alzata la saracinesca della Famiglia Cooperativa, entra nel negozio e vede che le verdure sono state spostate sul bancone dei formaggi e che le buste dei risotti sono finite tra i pacchi degli spaghetti e della pasta corta… che i barattoli di fagioli sono accatastati l’uno sull’altro a formare una torre pencolina che basta un piccolo soffio di corrente d’aria per farla crollare con gran fracasso… che le scope sono state infilate nei frigoriferi… che i sacchetti di lecca-lecca sono finiti tra i

merluzzi salati… E da dietro l’affettatrice del prosciutto e del salame, due occhietti spiritosi stanno ridendo soddisfatti e cattivelli… – Solo tu, Gellindo Ghiandedoro, puoi aiutarci! – esclama Bellondina, a metà di quella strana giornata piena di scherzetti. C’erano volute due ore intere di urla e di gran fracasso, per tirar giù dal letto il povero scoiattolino in letargo. – Innanzitutto bisognerebbe sapere chi è il colpevole di questi scherzi – sbadiglia lo scoiattolo rispamioso impomatandosi la gran coda con due tubetti e mezzo di gel ultra-forte. – E a questo proposito io ho un’idea! – Non dirmi che ti sei appena svegliato e sai già chi è l’autore di tutto questo guazzabuglio! – esclama maestro Abbecedario. – Proprio così, e sei stato tu a fornirmi l’indizio giusto… C’erano tutti, i tuoi alunni, questa mattina in classe? – Certo, tutti, tranne… – Tranne chi? – Liquirizio? – strilla il maestro spalancando gli occhi. – Vuoi dire che il figlio maggiore di Ratto Robaccio s’è inventato questa serie di scherzi? E per quale ragione? – Chissà, i motivi possono essere molti – disse Gellindo uscendo di casa. – Forse l’ha fatto perche qualcuno lo notasse, oppure per vedere che faccia facevate voi grandi, o ancora per divertirsi un po’ alle spalle degli amici spaventapasseri… State però tranquilli: entro domani tutto sarà risolto!


Provate adesso a mettervi nei panni di Liquirizio, dopo una notte passata a sognare quali altri scherzetti architettare per portare un po’ di allegria in quel Villaggio così serio e noioso. Il topastro fa per uscire dalle lenzuola, ma non s’accorge che qualcuno gli ha legato le caviglie ai pomoli del letto e… Patapumf! …il poverino si ritrova col muso schiacciato sul pavimento! Grugnendo di dolore libera le caviglie, attraversa di corsa la stanza, apre la porta, esce e fa per richiudere, ma la mano gli rimane attaccata alla maniglia e… – Ehi, ma che mi succede questa mattina? – sbraita furioso, staccando con uno strattone la mano e urlando di dolore. Si siede a tavola per la colazione: si versa il latte, aggiunge due cucchiai di cacao, ma quando mette nella tazza un cucchiaio di zucchero, la cioccolata comincia a gonfiarsi come un pallone riempito d’aria, finché… Puuummm!... gli scoppia in faccia, gettando latte e cacao dappertutto! Che dire, poi, dei quaderni e dei libri di scuola finiti nelle spazzature? E delle stringhe delle scarpe annodate tra di loro con venticinque nodi stretti stretti? E della sciarpa appesa fuori al freddo, in cima al melo fuori casa? E della penna stilografica riempita di vino rosso, invece che di inchiostro? E dei bottoni della camicia che si staccano uno dopo l’altro al minimo tocco?

E del grembiulino nero col fiocco azzurro, diventato al’improvviso azzurro col fiocco nero? E del suo banco, a scuola, girato contro il muro e inchiodato al pavimento? E del maestro Abbecedario, che spiega la lezione muovendo le labbra come se parlasse, ma rimanendo muto e senza profferir parola? E dei compagni di classe, che evitano di guardarlo, fanno come se Liquirizio non esistesse proprio, non gli rivolgono la parola, non gli rispondono quando lui chiede qualcosa… Solo verso mezzogiorno – quando finalmente maestro Abbecedario e i piccoli spaventapulcini si girano a guardare Liquirizio con due occhietti spiritosi che ridono soddisfatti e cattivelli, il piccolo discolo capisce che cos’è successo. Lui ha cercato di portare un po’ di brio nel Villaggio combinando una serie di scherzetti davvero cattivi. I suoi amici allora si sono vendicati a fin di bene e hanno cercato di fargli capire che… “Chi la fa… l’aspetti!” Liquirizio chiese perdono a tutti: a Casoletta e ad Abbecedario, a Tisana la Dolce e a Quantobasta, a Caramella, a Bellondina, ai suoi fratelli e ai compagni di scuola. Solo a quel punto la pace ridiscese sul Villaggio e la vita continuò tranquilla come sempre. È vero, forse era una vita un po’ noiosa, ma almeno Casoletta poteva far colazione con una buona tazza di cioccolata… sicuramente dolce!



2 - Chi trova un amico... trova un tesoro


L’ultimo spaventapasseri in ordine di tempo arrivato nel nostro Villaggio era giunto in silenzio e di notte, senza farsi annunciare e senza nemmeno presentarsi agli altri. Era andato a mettersi in mezzo a un campo di patate coperto di neve e lì era rimasto, con la sua vecchia chitarra appesa al collo. Già, perché quello era uno spauracchio “suonatore di chitarra”! Cappello floscio in testa, una vecchia camicia a quadrettoni rossa e verde addosso e un paio di pantaloni di fustagno bucati sulle ginocchia, non si poteva dire che lo sconosciuto fosse uno spaventapasseri elegante. Eppure tutti gli altri lo notarono subito e cercarono anche di far amicizia. – Ciao, come ti chiami? – gli chiese la mattina del primo giorno maestro Abbecedario passando apposta dal campo di patate. –… L’altro arrossì intimidito, non rispose e si girò dall’altra parte. – Ehilà, amico, come ti va? – strillò allegro Fra’ Vesuvio a mezza mattina, dandogli una gran pacca sulle spalle. –… Un silenzio glaciale e un’occhiata di traverso furono la sola risposta. – Ti piacerebbe una tazza di cioccolata? – gli propose a mezzogiorno Casoletta, arrivando fino al campo con una tazza fumante e due brioches calde di forno. –… Lo spaventapasseri scrollò il capo,

fece spallucce e con uno sguardo imbarazzato si girò di schiena. – Bella, quella chitarra! – esclamò Gellindo Ghiandedoro, passando di lì a metà pomeriggio. – La sai suonare bene? – Ma insomma – sbottò quell’altro, – volete piantarla una buona volta di importunarmi? Lasciatemi in pace, ché devo riposare! Per nulla spaventato da quella sfuriata improvvisa, lo scoiattolino si accoccolò ai piedi dello spaventapasseri e cominciò a chiacchierare del più e del meno. – Devi aver fatto un lungo viaggio, per essere così stanco! – Già – rispose l’interessato, – ho sulle spalle un viaggio lunghissimo e fatto tutto a piedi, perciò piantatela di importunarmi e fatemi dormire. Gellindo lasciò passare tre o quattro secondi di silenzio profondo, poi riprese… – Quante sono le corde della tua chitarra? – Sei… le corde di tutte le chitarre del mondo sono sempre e solo sei! – E con sei corde sai suonare tutte le musiche? – Certo, ma solo le musiche che conosco, perché quelle che non conosco non le so suonare! Pausa di riflessione e poi… – Giusto, è chiaro le canzoni che non hai imparato, proprio non le sai suonare… Però potresti sempre impararle, vero? – Soltanto se ne ho voglia.


– Dai, mi fai sentire qualche nota? Do… Re… Mi… Mi… Sol… Si… La… La… Lo spaventapasseri si piegò a guardare lo scoiattolo rannicchiato ai suoi piedi. Vide un paio di occhietti furbi e felici, una coda lunga e impomatata con abbondante gel ultra-super-fortissimo. Un tipo che pareva simpatico, insomma… un amico del quale fidarsi… – Ma tu sai suonare qualche strumento? – chiese lo spauracchio piantato in mezzo al campo di patate sotto la neve, guardandosi in giro per paura d’essere sorpreso a chiacchierare con qualcuno. – So far suonare le mie sette sveglie, al mattino per alzarmi dal letto… So suonare le campane di Dindondolo… So suonare il campanello della farmacia di Quantobasta… Senti, mi vuoi dire come ti chiami? Se mi dici il tuo nome, diventiamo finalmente amici e sarà più semplice parlarci tra di noi… – Io mi chiamo… Trabiccolo! Gellindo piegò la testolina un poco a sinistra, guardò l’altro da sotto in su e… – Hai un nome un po’ strano… Perché “Trabiccolo”? Per quale motivo ti hanno messo questo nome? – Me lo sono trovato tra capo e collo appena nato… “Piantate quel trabiccolo in mezzo all’orto!” dicevano di me… “Mettete al trabiccolo questo vecchio capello…”. “Guarda qui questa chitarra: infilatela al collo di quel trabiccolo e i passeri se ne staranno lontani di sicuro!”… E fu così che da allora “Trabiccolo”

fu il nome che mi ritrovai appiccicato addosso… – Vi presento Trabiccolo, lo spaventapasseri chitarrista – esclamò Gellindo a voce alta e girandosi a guardare gli altri spauracchi del Villaggio, che nel frattempo erano accorsi al campo di patate. – Abbiamo un amico in più, cari miei, un amico “musicista”! – Dai, Trabiccolo, facci sentire come suoni la chitarra! – Forza, vogliamo sentirti suonare qualcosa… – Prendi la chitarra e suona quel che vuoi… – Tra-bic-co-lo! Tra-bic-co-lo! Trabic-co-lo! Quel che seguì possiamo veramente considerarlo un vero, piccolo miracolo dell’amicizia. Trabiccolo con un sorriso timido timido impugnò la chitarra, accordò due delle sei corde e cominciò a suonare una stupenda musica. Plìnnn… Plènnn… Plìnnn… le note dolci della chitarra si alzarono sopra il campo di patate sotto la neve e s’inanellarono fino a formare una collana lunga e leggera, che volteggiò sul villaggio, corse ad attorcigliarsi al campanile di Dindondolo e… Donnn… Dannn… Dennn… le campane presero a suonare seguendo la melodia inventata da Trabiccolo. Quella musica celestiale di campane e chitarra s’abbassò a sfiorare il tetto della farmacia e… Driiinnn… Dreeennn… Driiinnn… il trillo allegro e leggero del campanello di Quantobasta si aggiunse al Plìnnn… Plènnn… Plìnnn…


della chitarra e al Donnn… Dannn… Dennn… delle campane. Quella strana orchestra filò di corsa su per la collina, raggiunse la tana di Gellindo, s’insinuò nella fessura di una finestrella un poco aperta e le sette sveglie si riscossero d’incanto, intonando uno stupendo coro di sottofondo… Trèèènnn… Drin Drin drin… Plìnnn… Donnn… Dreeeennnn…. A quel punto Bellondina intonò con voce squillante un canto che s’alzò sopra il campo di patate sotto la neve: Benvenuto, amico nuovo, questa mano io ti stringo… Un sorriso ora ti faccio ed insieme balleremo! Se con noi gentil sarai col sorriso risponderem… nostro amico diventerai ed insieme suoneremo! – Evviva Trabiccolooo! – urlarono

tutti in coro al termine dell’ultimo Plìnnn Plènnn della canzone, ma subito si bloccarono e… Sssshhh!!!... fecero silenzio. Casoletta, Pagliafresca, Pasticcia, Ratto Robaccio, Bellondina e tutti gli altri si girarono a guardare al centro del campo di patate sotto la neve e videro che il povero Trabiccolo s’era addormentato stringendo in mano la vecchia chitarra. Maestro Abbecedario s’avvicinò al povero spauracchio sfinito per la stanchezza, si tolse il pesante cappotto di lana e lo appoggiò piano piano sulle spalle di quell’altro. Dopo di che sussurrò agli amici con gli occhi umidi di commozione… – Ssshhh! Lasciamolo dormire, perché adesso Trabiccolo è troppo prezioso per noi. – Prezioso? Perché… “prezioso”? – domandò Ratto Robaccio. – Perché lo sanno tutti che… “Chi trova un amico, trova un tesoro!”



3 - Quattrino su quattrino si fa un bel fiorino


I suoi amici più stretti lo prendevano sempre in giro, il povero Fra’ Vesuvio. «Forse perché cantava strane canzoncine napoletane dalla mattina alla sera?» mi chiederete voi. No! «Allora perché per una pizza Margherita bella calda avrebbe scalato il Monte Everest a piedi scalzi?». Noo! «Perché quasi sempre le sue barzellette non facevano ridere nessuno?». Nooo! «Perché era un dimenticone e uno sbadato?». Noooo, non solo per quello… Lo prendevano in giro perché Fra’ Vesuvio aveva l’abitudine di mettere in un vaso di vetro le monetine più piccole che si ritrovava in tasca ogni sera! – Ma sei così avaro che non riesci proprio a goderti la vita! – gli diceva allora Pagliafresca, che invece era abituato a spendere e spandere tutto quel che aveva in tasca per comprarsi enormi cartocci di liquirizia. – Fa’ come noi: spassatela alla grande, caro mio, ché i soldi servono solo per vivere meglio! – lo incitava Lingualunga, che non perdeva occasione per andare a bersi un buon tè bollente coi biscotti alla Cioccolateria di Casoletta. – I soldi non sono stati inventati per starsene al chiuso di un barattolo – lo rimproverava Ratto Robaccio, – ma per godersi la luce del sole e passare allegri e felici di mano in mano… Eh! Eh! Eh! Fa’ come me: comprati ogni settimana

una cravatta nuova e vedrai che bella sarà la vita! Fra’ Vesuvio non batteva ciglio e non si lasciava convincere: quando rientrava in casa infilava una mano in tasca, tirava fuori le monetine avanzate e… Dling! Dling! Dleng!... le faceva cadere nel barattolo già mezzo pieno. Un giorno accadde che una notizia improvvisa si mise a girare per il Villaggio degli Spaventapasseri veloce come il vento di primavera. Ed era una bella notizia. – Avviso a tutti gli spauracchi! – si dicevano l’un l’altro gli abitanti del Villaggio. – Domenica c’è gran festa in piazza… Non mancate e portate tutti un regalo! – Un regalo? E per chi? – s’interessavano gli spaventa­pulcini più piccoli. – Un regalo per Bellondina!? È il suo compleanno, ve lo siete dimenticati? No, non se n’erano dimenticati, anzi: tutti si misero d’impegno per far bella figura. Casoletta preparò una torta “millestrati alla crema e al cioccolato” che era la fine del mondo! Tisana la Dolce corse nel bosco a raccogliere i primi fiorellini dell’anno e con quelli distillò una boccetta minuscola ma preziosa di profumo squisito. Maestro Abbecedario scelse dalla sua biblioteca un libro… “Mille segreti per arricciarsi i capelli” e lo incartò con un bellissimo fiocco color dell’oro. Quantobasta scese in città e comprò un minuscolo astuccio di pelle rossa


con dentro una forbicina, una limetta per le unghie, un piccolo pettine e uno specchietto che ci stava tra due dita della mano. Civetta Brigida volò fino in vetta al Monte dei Sette Desideri e lassù trovò una stupenda conchiglia fossile che Bellondina avrebbe potuto usare come fermacarte. Pasticcia preparò una teglia di lasagne al forno, quelle con il formaggio morbido mescolato al sugo che piacevano tanto alla festeggiata. Il vecchio Empedocle intagliò il rametto d’un nocciolo e preparò un piffero con tutte e sette le note. Gellindo ci pensò sopra due giorni e due notti, poi si chiuse in camera e di lui nessuno seppe più nulla fino alla domenica della festa. Mistero! Pagliafresca, Lingualunga e Ratto Robaccio, invece, si ritrovarono la sera alla fontana del Villaggio col cuore gonfio di tristezza. – E noi cosa regaleremo a Bellondina? – chiese Pagliafresca, che non aveva nemmeno il coraggio di guardare gli amici negli occhi. – Guardate qua le mie tasche – fece allora Lingualunga, rovesciando le saccocce. – Solo polvere e briciole di pane vecchio! – Se è per quello – aggiunse Ratto Robaccio, – a me nemmeno il pane vecchio è rimasto! Sono al verde come un prato a primavera! – Salve amici – esclamò Fra’ Vesuvio, avvicinandosi alla fontana con una bor-

sa a tracolla. – Cosa sono quelle facce lunghe e quegli occhi scuri? I tre spiegarono all’amico quel che era success il compleanno di Bellondina era arrivato così all’improvviso, che non avevano avuto il tempo di metter assieme dieci soldi per farle un bel regalo. – Be’ – rispose Fra’ Vesuvio con un sorrisetto, – potete sempre regalare alla nostra amica tutte le tazze di tè bollente che avete bevuto in queste settimane! Oppure i cartocci di liquirizia comprati ieri e ieri l’altro… oppure ancora le ultime cravatte nuove di Ratto Robaccio… – Dai, non prenderci in giro! – esclamarono in coro i tre amici. – Ecco appunto – rispose allora Fra’ Vesuvio, – dite proprio bene: non prendiamoci mai più in giro per nessun motivo, d’accordo? – Cosa vorresti dire? – Dico che mentre voi ve la spassavate tra Cioccolaterie, dolciumi e cravatte, io giorno dopo giorno ho raggranellato un bel gruzzolo di monetine piccole piccole… Eccole qui, le mie “avarizie” – disse Fra’ Vesuvio, tirando fuori dalla borsa a tracolla il vaso di vetro colmo di soldini fino all’orlo. – E sapete che faccio, adesso? Vado in città e compro per Bellondina il regalo più bello che mai si sia visto al Villaggio! Pagliafresca, Lingualunga e Robaccio si guardarono l’un l’altro ognuno con un lacrimone sulla guancia. – E potremmo partecipare anche noi, al tuo regalo? – Ma se non vi ricordate nemmeno com’è fatto un soldino!


– È vero, ma conosciamo tutte le cose che si possono comprare in città… In questo siamo i più esperti dei paraggi! Fra’ Vesuvio sorrise e… – D’accordo amici: scendiamo assieme in città e vediamo che cosa mi proporrete di comprare. Però… – Però che cosa? – Però d’ora in poi non solo non mi prenderete più in giro, ma anche voi farete come me! – Faremo che cosa? – chiesero i tre, che avevano proprio la testa dura. – Farete quel che mi hanno insegnato i miei genitori giù a Napoli… “Quattrino su quattrino, si fa un bel fiorino!” Pagliafresca socchiuse gli occhi e… – Cosa vorrebbe dire questo proverbio? – Vuol dire che risparmiare anche poco, ma tutti i giorni, ti permette alla fine di avere un piccolo tesoretto, un gruzzolo col quale ad esempio puoi fare un bel regalo a Bellondina!

Fu un compleanno indimenticabile. Bellondina si commosse nel vedere con quanto affetto i suoi amici le avevano preparato i regali più belli e simpatici. Anche i tre scavezzacolli Pagliafresca, Lingualunga e Robaccio, con l’aiuto del buon Fra’ Vesuvio, s’erano impegnati al massimo, avevano superato sé stessi e sprizzavano orgoglio quando vennero avanti tenendo per il manubrio una stupenda bicicletta color azzurro-cielo! E Gellindo? Cos’aveva combinato, l’amico del cuore di Bellondina, chiuso in casa per giorni e giorni? Arrivò per ultimo, quando tutti stavano già per addentare la prima fetta di torta “millestrati alla crema e al cioccolato”, salì in piedi su una seggiola e… – In regalo per la mia Bellondina – strillò lo scoiattolino risparmioso, – ho scritto una poesia. Spero che ti piaccia… Si fece silenzio, nella piazza del Villaggio e…

Ma guarda che bello, anche quest’anno di Bellondina siam giunti al compleanno! Ci siamo impegnati, ci siamo affannati e abbiam risparmiato come dei dannati… Ma alla fine eccoci tutti finalmente qua a ridere a festeggiare a cantare ohilalà! E allor lasciate che io alzi un po’ la voce per gridare dalla sorgente alla foce che la cosa più bella è che Bellondina sia l’amica più vera da qui alla Cina! Lasciate che io sussurri sottovoce che farle un regalo è la cosa più dolce! E allora buon compleanno da tutti noi, ché questa torta… la mangiamo poi!



4 - A caval donato non si guarda in bocca


Era sempre una grande festa, quando lo spaventapasseri Passion di Fiaba veniva invitato a scuola da maestro Abbecedario. Le fiabe e i racconti del vecchio “cantastorie” del Villaggio lasciavano a bocca aperta gli spaventapulcini, che seguivano le gesta di quegli eroi con gridolini di spavento, con espressioni di meraviglia e trattenendo il fiato quando si giungeva sul più bello della storia... – Oggi vi voglio raccontare una storia che è successa veramente, tanti e tanti anni fa... – esordì quel giorno l’anziano spauracchio, dopo essersi accomodato su una poltrona e aver fatto sedere per terra gli spaventapulcini che lo circondavano curiosi... L’inverno, quell’anno, aveva stretto uomini e bestie, spaventapasseri e scoiattoli, piante e orticelli in una morsa di gelo terribile. Pensate che i rami degli alberi erano così ghiacciati e carichi di pinnacoli trasparenti, che bastava un soffio leggero di vento per spezzarli, farli cadere nella neve ammucchiata a terra e lasciare il tronco nudo e gelato, con quattro moncherini infreddoliti tesi verso il cielo. Tutti gli spauracchi del Villaggio erano tappati in casa e lì davano fondo alle riserve di legna per avere un po’ di tepore almeno la sera prima di andare a dormire. – E con quest’ultimo ciocco, la legna in legnaia è finita! – si lamentò un giorno di febbraio Mastro Pinaio, lo spaventapasseri che di lavoro faceva il

guardaboschi. – Perché non vai su, al Bosco delle Venti Querce, a raccogliere un po’ di rami caduti? – gli consigliò sua moglie, Bella Betulla. – La legna ghiacciata, cara mia, fa solo fumo e poco fuoco! – rispose Mastro Pinaio infilandosi i guanti per riparare le mani dal freddo intenso della notte. – Vorrà dire, caro mio, che rinunceremo alle seggiole di cucina e una ad una le romperemo per alimentare il fuoco! – Anche se sono così vecchie che si stanno già rompendo da sole, non sia mai detto che le nostre sedie vadano a finire nel focolare – esclamò Mastro Pinaio alzando un po’ la voce. – Siamo sì messi male, ma non fino a questo punto! Il guardaboschi, però, sapeva bene in fondo al cuore che Bella Betulla aveva ragione: se la legna terminava e quella dei boschi là fuori era inutilizzabile, prima o poi avrebbe dovuto chiudere il suo cuore in fondo al petto per non farlo soffrire troppo e si sarebbe visto costretto a bruciare le seggiole, ma via via anche gli armadi, le assi del pavimento e le imposte delle finestre... Stava ancora rimuginando queste tristezze, quando... Tock! Tock! Tock!... qualcuno bussò alla porta. – Chi può essere, a quest’ora della notte? – chiese Bella Betulla. – A chi è venuto in mente di lasciare il calduccio di casa sua per venire fin qui? – Non ci resta che aprire la porta e lo sapremo – rispose Mastro Pinaio, che effettivamente andò all’uscio, lo aprì e...


– Buonasera, spaventapassero – disse una vecchina che se ne stava in piedi in mezzo alla neve, frustata da un vento gelido che s’attorcigliava attorno allo scialletto buttato sulle spalle. – Avresti un po’ di brodo caldo e mezz’ora di tepore accanto al focolare da regalarmi, in questa sera gelida? «È forse la Befana arrivata in ritardo? – si disse Mastro Pinaio aprendo la porta e invitando la sconosciuta ad entrare. – Oppure è una strega malintenzionata e pronta a gettare qualche sortilegio sulla mia casa?» Comunque l’ospite ormai era entrata: la vecchia mormorò un breve saluto a Bella-Betulla, si tolse lo scialle che stese davanti al focolare ad asciugare e si sedette al tavolo. – Se non avete brodo, va bene anche del latte, purché sia caldo! Bella Betulla si alzò e s’avvicinò al focolare. – Abbiamo dell’acqua calda, signora: forse è l’ultima di questa casa, perché da domani non avremo più legna da ardere. Se volete vi preparo un buon tè... – E col tè, cos’hai da mangiare? – Col tè potrei darle l’ultima fetta della torta che ho cucinato ieri l’altro. È l’ultima torta di questa casa perché, senza legna, nel forno potrà andarci a dormire il gatto. – Cosaaa? Avete un gatto? – strillò la vecchia alzandosi in piedi agitata. – Certo, Gatto Spazzino è il nostro micio – intervenne Mastro Pinaio. – L’abbiamo chiamato così perché ci aiuta a tenere pulita la casa...

– E dov’è adesso, questo mostro peloso? Io odio i gatti, tutti i gatti, anche quelli più buoni e gentili... – Sta dormendo in soffitta, non si preoccupi – disse Bella Betulla, mettendo sul tavolo tazza e torta. – E buon appetito! La vecchietta bevve e mangiò senza dir parola, guardandosi attorno per studiare la cucina di quella povera casa. Vide le seggiole vecchie e traballanti, le tende sdrucite alle finestre, le pareti scrostate e sporche di umidità, il tappeto al centro pieno di toppe... Dopo mezz’ora di silenzio profondo, la signora si alzò, prese lo scialle, se lo rimise addosso e... – Adesso vi saluto, miei cari... Avevo chiesto mezz’ora di tepore e di riposo e voi me l’avete concessa... – Se però volete restare per tutta la notte – disse Bella Betulla evitando di guardare suo marito Mastro Pinaio, – potremo farvi un po’ di posto in camera nostra... Fuori c’è troppo freddo e... – No cara, grazie di cuore ma devo proprio andare – rispose la vecchia con un sorriso. Il primo sorriso buono da quand’era entrata in quella povera casa! – Anzi, vorrei sdebitarmi in qualche modo... – Che non vi venga in mente di pagarci per un po’ di tè e di torta! – esclamò Mastro Pinaio. – Io non voglio pagare nulla, ma solo farvi un piccolo regalo. Una mano della signora s’infilò nella minuscola borsetta che portava appesa


al braccio destro, e che fino ad allora nessuno dei due spaventapasseri aveva notato, e ne tolse un... ciocco di legna! – Quasi quasi mi fate un piacere, ad accettare questo legno pesante e ingombrante – disse la vecchietta con un altro sorriso. – Ecco, tenetelo e fatene buon uso, mi raccomando! Quando la sconosciuta se ne fu andata, Mastro Pinaio e Bella Betulla si guardarono stupiti e si passarono di mano quel pezzo di legno. – E adesso che ne facciamo? – si chiesero in coro. – Certo che a volte verrebbe da chiedersi a cosa serve essere ospitali! – mormorò Mastro Pinaio, gettando il ciocco nella legnaia vuota. Quando però quella sera lo infilarono nel focolare e gli diedero fuoco, avvenne una cosa meravigliosa! Mentre il ciocco ardeva tra fiamme alte e gialle, un secondo ciocco apparve per incanto nel focolare, e poi un terzo e un quarto! Al termine della serata, pensate un po’, tra la cenere del fornello Mastro Pinaio e Bella Betulla trovarono lo stesso ciocco di prima ancora intatto, come se non fosse mai bruciato! Lo usarono anche il giorno dopo, per riscaldare la colazione, per preparare il pranzo e la cena, per dar tepore a tutta la casa alla sera e, prima di andare a dormire, rimisero nella legnaia un ciocco di legna pronto per essere bruciato di nuovo! Ma le cose straordinarie erano solo all’inizio! Allo sbocciare della primavera il misterioso pezzo di legna un giorno ven-

ne dimenticato sull’erba del prato davanti a casa: il ciocco allora mise rami e radici, trasformandosi in poche settimane in un bel melo frondoso e, in autunno, carico di frutti. Le mele non raccolte caddero a terra e, l’anno dopo, dieci, trenta... cinquanta meli riempirono il prato, trasformandolo in un bel frutteto! Da allora la vita di Mastro Pinaio e di Bella Betulla cambiò, e fu tutto merito di quel ciocco misterioso. Con la legna ricavata da alcuni meli rifecero le seggiole, i pavimenti e le imposte delle finestre, ripararono anche la porta di casa, lo steccato attorno all’orto e riempirono la legnaia di ciocchi per gli inverni a venire. Raccolsero poi tante e tante mele, che regalarono agli amici spauracchi del Villaggio, ma che vendettero anche ai signori della città, raggranellando un gruzzolo col quale comprarono tende nuove per le finestre, ridipinsero le pareti e cambiarono il tappeto della cucina. – Hai visto, Bella Betulla, quanti miracoli ci ha lasciato quella vecchierella che abbiamo ospitato due inverni fa? – disse una sera di febbraio Mastro Pinaio. – Ho visto, ho visto... sembrava un regalino da nulla, quel ciocco di legna, e invece... – Invece ha ragione il proverbio che dice “A caval donato non si guarda in bocca!” Bella Betulla rimase alcuni istanti in silenzio, poi aggiunse: – Già... chissà però cosa sarebbe successo se quella signora ci avesse lasciato in dono un cavallo vero!



5 - Chi la dura la vince


Non del tutto soddisfatta delle sue qualità gastronomiche, Mamma Pasticcia decise un giorno di iscriversi alla “Scuola di Cucina” del grande cuoco francese Messié Fricassè: venti lezioni nella Grande Città in Valle, due sere la settimana, per diventare quel che si dice una “maga dei fornelli”! Pasticcia si mise d’impegno e seguì con attenzione tutte le lezioni, prendendo appunti e arrabattandosi con un po’ di fatica fra coltelli e grattugie, mestoli e padelle antiaderenti, griglie e forme per timballi. – Oggi siamo arrivati alla nostra penultima lezione – disse dopo qualche settimana Messié Fricassè, parlando con la erre moscia che hanno tutti i Francesi e guardando soddisfatto uno ad uno i suoi allievi. – La prossima sarà l’ultima lezione ma, per poter ricevere il diploma di “mago dei fornelli” dovrete miei cari superare una prova finale… Una prova finale? Un esame per ricevere il diploma? «Ma come, questo non ce l’hanno detto, all’inizio!» piagnucolò Mamma Pasticcia, che fin da spaventapulcina aveva sempre odiato le prove, le interrogazioni, i temi in classe e ogni tipo di esame! Messié Fricassè, che non poteva sapere delle paure di Pasticcia, gongolava soddisfatto nel vedere quei volti spaventati, quegli allievi che si guardavano l’un l’altro in attesa del verdetto finale. – Per poter avere il vostro diploma – continuò allora il grande cuoco fran-

cese battendo a tempo un mestolo sulla mano, – dovrete preparare una torta… una torta alla cioccolata! Se il vostro dolce supererà la prova del mio palato, allora riceverete con tutti gli onori il vostro diploma… altrimenti, arrivederci al prossimo corso! Quella sera Pasticcia, mentre rientrava al Villaggio, aveva la testa in subbuglio. Una torta alla cioccolata? Sembrava la cosa più semplice del mondo, ma Pasticcia sapeva bene quanto fosse esigente, Messié Fricassè: «Originalità, miei cari! – aveva continuato a urlare il grande cuoco per tutta la durata del corso. – Un vero mago dei fornelli si distingue soprattutto per la sua originalità!». E, quel che è peggio, proprio una torta alla cioccolata, doveva andare scegliere per l’esame finale?! Cioccolato al fondente? Cioccolato al latte? Cioccolato alle nocciole? Cioccolato gianduia? Cioccolato bianco? Mamma Pasticcia arrivò a casa che era già notte, ma si mise subito al lavoro. Aveva solo due giorni di tempo per preparare una torta alla cioccolata come si deve… Rimase chiusa in cucina per tutta la notte e, alla quarta torta sfornata poco dopo l’alba, andò a consultare l’esperta di dolci del Villaggio degli Spaventapasseri. – Tu, Casoletta, sei l’unica amica


che può darmi un parere spassionato. Le vedi queste quattro fette di torta? Vengono da quattro diverse torte alla cioccolata. Assaggiale, per favore, e dimmi che cosa ne pensi… Casoletta prese una forchettina e mise in bocca il primo boccone. Lo assaggiò a lungo, ne assaporò il profumo e la consistenza, dopo di che, con una piccola smorfia… – Troppo secca! – esclamò passando alla seconda fetta. – Troppo zucchero! – fu il secondo verdetto. – Troppo tenera… si sbriciola tutta, non vedi? – fu il terzo. – Questa potrebbe andare, ma la cioccolata è troppo amara… – fu il quarto e ultimo commento. Pasticcia aveva le lacrime agli occhi, ma tirò su col naso, ricacciò indietro il pianto e… – Va bene, forse hai ragione: devo impegnarmi di più. Torno in cucina e ci vediamo domani mattina… Pasticciò in casa per tutta la giornata e per l’intera notte, interrompendosi solo per schiacciare un pisolino sul divano fra una torta e l’altra. Cucinò otto torte alla cioccolata, mettendoci tutto la fantasia di cui era capace. Poi tornò da Casoletta con un vassoio sul quale erano allineate otto fette. – Questa è una fetta di torta di cioccolata al peperoncino! – esclamò Pasticcia. Casoletta assaggiò, ci pensò sopra a lungo e… – Troppo peperina! – Questa è una fetta di torta con

cioccolata peruviana… – Troppo pesante da digerire! – Questa è una fetta di torta di cioccolata con la crema pasticcera… – Sarebbe ottima, se non fosse che la crema è troppo fredda e dura! – Questa è una fetta di torta alla cioccolata ai pirati, con pezzettini di noci tritate e rhum… – Troppo umida, troppo imbevuta di rhum… – Questa è una fetta di torta alla cioccolata con marmellata ai frutti di bosco… – Anche questa è troppo dolce… – Questa è una fetta di torta di cioccolata amara al fondente profondo… – Cosa vuoi che ti dica, pasticcia: è troppo amara… – Questa è una fetta di torta alla cioccolata con gelato al limone… – Il gelato s’è sciolto e la cioccolata è gelida… – E questa infine è una fetta di torta alla cioccolata, e basta… Casoletta assaggiò l’ottava fetta, la masticò a lungo e poi sentenziò: – Mi dispiace, Pasticcia, ma è troppo poverella, come torta… Questa volta la povera spaventapasseri si mise a piangere sul serio, coprendo di lacrime quel che rimaneva delle otto fette. – Su dai… – la consolò Casoletta, che si sentiva un po’ in colpa, – non fare così, non piangere! D’altronde me lo hai chiesto tu, di essere severa e obiettiva… – Ma io non piango per i tuoi giudizi


– singhiozzò Pasticcia, – io piango per me, per il mio esame, per la torta alla cioccolata che non riuscirò mai a preparare! Non diventerò mai una “maga dei fornelli”! – Se vuoi, posso aiutarti io… – buttò lì Casoletta. Pasticcia smise all’improvviso di piangere, si asciugò le ultime lacrime con l’orlo del grembiule, afferrò il vassoio e si girò per tornare a casa. – No grazie, Casoletta: l’esame lo devo superare io, sono io che voglio diventare l’allieva prediletta del grande cuoco Messié Fricassè! – Cos’hai detto? – strillò a quel punto Casoletta spalancando gli occhi per la sorpresa. – Maga dei fornelli… – No no, dopo… – Allieva prediletta di… – Fricassè! Hai pronunciato il nome di Messié Fricassè?! – E certo: si chiama così, il mio maestro! Ma tu lo conosci? – Se lo conosco? Ma Messié Fricassè è stato il mio primo maestro, quand’era giovane lui ed ero giovane anch’io… Mi ha anche fatto la corte, a suo tempo, sai? Sapessi quanti biscotti a forma di cuoricino mi ha regalato per convincermi a diventare la sua fidanzata… Ah! – sospirò Casoletta appoggiandosi allo stipite della porta e andando col pensiero a quegli anni felici della giovinezza… – Potessi tornare indietro… gli chiederei il segreto, di quegli ottimi biscotti!

Fu così che a Pasticcia venne in mente un’idea. Anzi: venne in mente l’idea giusta per superare l’esame di cucina! Si asciugò gli occhi, salutò Casoletta e tornò a casa. Si chiuse in cucina per l’ennesima volta, preparò bene in ordine sul tavolo tutti gli ingredienti per il “doppio” dolce che aveva in mente di preparare e si mise al lavoro. Impastò e tagliuzzò, imburrò e mescolò, zuccherò, impastò, assaggiò, guarnì, infornò e attese. Attese ancora… Attese a lungo… poi chiuse gli occhi e s’addormentò! Driiinnn! Driiinnn! Driiinnn! Per fortuna s’era ricordata di impostare la sveglia, altrimenti il suo “doppio” capolavoro sarebbe andato in fumo. Pasticcia cadde dalla seggiola sulla quale s’era appisolata, corse al forno, lo aprì e… – Allora, cari i miei allievi, avete portato le vostre torte al cioccolato? – chiese quella sera il grande cuoco Messié Fricassè. – Fate vedere, su, uno alla volta… e soprattutto fatemi assaggiare… Dopo aver gustato, una dopo l’altra, torte buone, passabili, ottime, appena sufficienti, discrete, così così… Fricassè giunse in fondo alla fila. – Sei rimasta solo tu, Pasticcia. Vediamo cos’hai preparato… Pasticcia mostrò il suo vassoio coperto. – Dai, fammi vedere e fammi assaggiare…


Pasticcia sollevò il coperchio e… Messié Fricassè aprì la bocca e non riuscì più a chiuderla. Spalancò gli occhi e non fu più capace di chiuderli. Le mani cominciarono a tremare e anche il mento, pure le spalle… Lì, sul vassoio, c’era una normalissima torta scura, cucinata con la cioccolata più semplice e a buon prezzo. Un disco di pasta marrone ricoperto di glassa indurita, ma sopra… sopra, in circolo, piccoli e uno vicino all’altro, erano appoggiati tanti biscottini a forma di cuore! Fricassè sentì lacrime di nostalgia riempirgli agli occhi: adesso ricordava anche lui, rivedeva il volto della sua Casoletta, che era stata l’allieva prediletta di quand’erano giovani entrambi… e si rammentò dei biscotti a forma di cuore con cui aveva cercato di conquistare il cuore della spaventapasseri. – Ma tu conosci Casoletta? – chiese il grande cuoco sottovoce. – È la mia migliore amica… – rispose Pasticcia offrendo al cuoco una fetta di torta. – Oh non è necessario! – esclamò Fricassè riprendendo a parlare a voce alta e rifiutando l’assaggio. – L’ho sempre detto che un buon dolce lo si riconosce anche senza mangiarlo! E poi l’originalità, volete mettere l’originalità di questa torta ai cuoricini di biscotto? Pasticcia,

sei stata superlativa! Quasi quasi hai superato il tuo maestro e quindi ti spetta la coccarda bianca-rossa e blu di miglior allieva del mio corso! “Chi la dura la vince!” pensò tra sé e sé Pasticcia, con una lacrimuccia in bilico sull’orlo degli occhi, ma questa volta solo per la gioia e per la grande soddisfazione. Ci fu festa, quella sera, al Villaggio degli Spaventapasseri, in onore di Pasticcia ma anche dei suoi amici di corso, che arrivarono portando ognuno la propria torta da dividere con tutti gli altri. Venne anche Messié Fricassè, con un vassoio colmo di ottimi biscottini a forma di cuore. – Dov’è Casoletta? Dov’è la mia vecchia amica? Voglio parlarle, voglio rivederla… voglio regalarle la ricetta dei miei biscotti! Fu una grande festa che durò per tutta la notte tra canti, balli e molti ricordi. In un angolino della piazza, seduta sulla panchina sotto al grande faggio, Pasticcia mirava e rimirava la sua coccarda tricolore. «Chissà, poi, se la mia torta ai biscottini a forma di cuore sarà piaciuta, a Fricassè e a Casoletta…» Questo non lo sapremo mai, ma certamente non è la cosa più importante di questa bella storia!



6 - Le ore del mattino hanno l ’oro in bocca


Le cose cominciarono a mettersi male quando Ghira Bakira decise di trasformare la sua palestra “Qui Si Balla” in una discoteca a cui diede il nome di “Qui Si Balla… Sempre!”. Lo sanno tutti che gli spaventapasseri amano sopra ogni altra cosa ballare, saltellando per ore e ore sul loro moncherino di legno al ritmo di rumbe e cha cha cha, di balli lisci e di tip tap. Perciò… – Hai sentito che Ghira Bakira ha aperto una discoteca? – cominciarono a sussurrare in giro gli spauracchi. – Una discoteca? – chiesero quelli che ancora non lo sapevano. – Ma una discoteca come quelle vere? – domandarono quelli che non ci credevano. – Una discoteca in cui si balla tutte le sere fin dopo la mezzanotte? – chiesero ancora quelli che tardavano a capire. – Oh, se ne hai la voglia e la forza, puoi danzare anche fin dopo l’alba… E infatti dal primo giorno di apertura gli spaventapasseri del Villaggio divennero clienti abituali della discoteca “Qui si Balla… Sempre!”. In realtà Ghira Bakira teneva aperta la sua palestra con musica a tutto volume dalle dieci di sera fino alle tre del mattino, ma vi assicuro che tutti, proprio tutti gli spauracchi nostri amici ne approfittarono alla grande. – Forza, ragazzi – strillava Casoletta saltellando su un cubo di plastica al centro della sala da ballo, – danziamo tutti assieme! – Facciamo il “trenino”! – gridava a un certo punto della serata Quantobasta,

che afferrava Lingualunga per la schiena e cominciava a girare in tondo chiamando a raccolta gli altri. Tutte le sere a mezzanotte in punto, dopo due ore di danze senza fine, Diggèi Bakira richiamava l’attenzione degli amici… «È mezzanotte, cari miei, è giunta l’ora del nostro disco preferito!»… e inseriva nei suoi computer diabolici il disco di musica strana dal titolo

“Adesso vi faccio vedere io che significa danzare a mezzanotte!” Al ritmo di quella musica infernale che faceva tremare lo stomaco e vibrare il cervello, Bellondina e Chiomadoro, Abbecedario e RossoVerdeGiallo, Fra’ Vesuvio, Pasticcia e tutti gli altri si lanciavano in una danza sfrenata che durava una… due… tre ore intere, fino a quando Diggèi Bakira abbassava all’improvviso il volume, spegneva gli altoparlanti e le luci, apriva le porte e… – Tutti a casa! La discoteca chiude i battenti… E naturalmente vi aspetto ancora questa sera alle dieci in punto! È facile immaginare quel che accadde al Villaggio degli Spaventapasseri fin dal giorno dopo l’apertura della discoteca “Qui Si Balla… Sempre!”. Abbecedario non sentì la sveglia, continuò a ronfare sotto le coperte, la Scuola rimase chiusa e gli spaventapulcini dovettero tornare a casa senza compiti.


Casoletta, che era ancora nel mondo dei sogni, non poté aprire la sua Cioccolateria e Gellindo Ghiandedoro, l’unico che non pativa la febbre della discoteca, dovette rinunciare alla sua solita colazione a base di biscotti dolci e ottima cioccolata calda. Quantobasta non alzò le serrande della Farmacia e Caramella tenne chiusa la Famiglia cooperativa, mentre Còntolo appese un cartello all’ingresso della Cassa rurale:

Chiuso per sonno! Si riapre dopo mezzogiorno. Fin dalla prima mattina RossoVerdeGiallo venne trovato appoggiato al semaforo della piazza, così addormentato che Gellindo dovette arrampicarsi fin sul campanile di Dindondolo e suonare la campana grande dieci minuti senza sosta per svegliarlo! E a proposito, cosa dobbiamo dire di Dindondolo che, da quando si mise a frequentare la discoteca, cancellò dal suo campanile i rintocchi dalle sei alle undici del mattino, lasciando il Villaggio senza tempo, senza ore e quarti d’ora, senza minuti e senza secondi? Tisana la Dolce rinunciò a raccogliere le erbette fresche bagnate di rugiada e i petali dei fiorellini che si schiudevano poco dopo l’alba ai primi raggi di sole, e quindi non riuscì più a fabbricare la metà delle sue pomate e a preparare quasi tutti i decotti che facevano così

bene alla salute! Bellondina si fece prestare tre sveglie da Gellindo Ghiandedoro e s’impose di svegliarsi comunque alle sette, tutte le mattine… Ci riuscì il primo giorno, il secondo fu terribile aprire gli occhi, il terzo dovette aggrapparsi a tutte le forze per scendere dal letto, ma il quarto si girò dall’altra soffocando il volto nel cuscino per non vedere la luce che entrava dalla finestra. Quando però, una decina di giorni dopo, Bellondina si guardò allo specchio e vide una faccina smunta, grigia e triste… Quando Casoletta si vide riflessa nell’acqua immobile di una pentola appena messa sul fuoco e si spaventò nel vedere i suoi occhietti semichiusi, spenti e mezzo addormentati… Quando Abbecedario crollò un pomeriggio all’improvviso, scivolando col mento dalla mano e sbattendo con forza il naso sul libro dei “Promessi Spauracchi” aperto davanti… Quando RossoVerdeGiallo s’innervosì e cominciò a dar multe a destra e a sinistra, arrabbiandosi con tutti quelli che gli capitavano a tiro, urlando e gesticolando come fosse impazzito, e invece era solo stanco morto e addormentato in piedi… ...allora il dubbio prese a serpeggiare per il Villaggio. – Com’è che non siamo più come prima? – si chiesero gli increduli. – Forse è per via della stagione… i primi caldi, la primavera… – buttò lì


qualche illuso. – O forse è perché dormiamo troppo poco! – esclamò deciso qualcun altro. – Ma certo che è per quello! – strillò allora Gellindo, saltando giù dalla sua quercia. – Lo vedete come vi siete ridotti? Siete delle larve di spaventapasseri, avete la consistenza della mollica di pane fresco, vi sgonfiate a ogni minimo sforzo, vi arrabbiate se qualcuno vi guarda un po’ storto, vi sedete su una seggiola e Plofff! vi addormentate di colpo… Sveglia, ragazzi! Guardate che la vita non è fatta solo di danze in discoteca! Danze in discoteca!! Il problema stava tutto lì. – D’accordo – disse allora Abbecedario che, fra tutti, era quello che si sentiva maggiormente in colpa, – ma cosa possiamo farci se noi spauracchi siamo fatti così? Se non riusciamo a star fermi e ci mettiamo a ballare quando qualcuno intona una canzoncina qualsiasi? Gellindo guardò uno ad uno negli occhi i suoi amici e li vide tutti affranti, stanchi, addormentati. No, non si poteva andar avanti così! – Lo sapete che cosa dice il proverbio? – esclamò lo scoiattolino con le zampette sui fianchi. – Dice che le ore del mattino… – …hanno l’oro in bocca! – rispose

Bellondina. – E questo significa che le cose più importanti, quelle che costano maggior fatica, bisogna farle di mattina, quando si riposati dopo una notte di buon sonno! E voi invece di notte andate a ballare! Cinque ore ogni notte di danze scatenate! Sapete allora che cosa propongo? Gli spauracchi fecero una gran fatica, ma riuscirono a tenere le orecchie aperte ancora alcuni istanti per sentir bene quel che Gellindo aveva da dire. – Da questa sera la discoteca “Qui Si Balla… Sempre!” cambierà ancora nome e si chiamerà… “Qui Si Balla… Talvolta!”. La Diggèi Bakira terrà aperta la sua palestra ogni sera dalle otto alle dieci e solo il sabato notte dalle dieci alle due del mattino. E l’orario sarà inflessibile, per tutti! Così voi potrete sfogare la vostra voglia di danzare, ma al mattino sarete arzilli, freschi e svegli come sempre… E accadde proprio così: con il nuovo orario le cose tornarono ben presto come prima e la vita riprese il suo corso normale al Villaggio degli Spaventapasseri. Per la gioia di tutti, ma soprattutto per la felicità di Gellindo Ghiandedoro, che poté ricominciare a far colazione con biscotti dolci e ottima cioccolata calda alla Cioccolateria di Casoletta!



7 - Chi troppo vuole nulla stringe ma l ’unione fa la forza!


Anche quell’anno, come sempre del resto, a metà febbraio arrivò il tempo di prepararsi alla memorabile

Gara di mongolfiere fatte in casa. Com’era ormai tradizione, gli abitanti della Valle di Risparmiolandia davano l’addio all’Inverno e accoglievano l’arrivo della Primavera con una grande gara di mongolfiere casalinghe, alla quale partecipavano tutti i villaggi, compreso naturalmente quello dei nostri amici Spaventapasseri. Erano dieci anni che gli spauracchi partecipavano alla gara senza mai vincere un premio, eppure... – Non c’è alcun dubbio – disse una sera maestro Abbecedario, parlandone alla Cioccolateria di Casoletta: – quest’anno io e i miei spaventapulcini sbaraglieremo il campo, costruiremo la mongolfiera più veloce e vinceremo di sicuro la Coppa Rapidetta! – Noi, invece – intervenne Pagliafresca, – realizzeremo la mongolfiera che volerà più in alto e ci aggiudicheremo la Coppa Stratosferica! – Noi chi? – domandò curioso Gellindo Ghiandedoro. – Io, Quantobasta, Còntolo, Fra’ Vesuvio, Lingualunga, Candeloro e tutti quelli che vorranno aggiungersi anche all’ultimo momento! – Comunque, se volete scommettere sicuri di vincere – concluse Bellondina,

– puntate sulla mongolfiera che costruiremo Chiomadoro, Pasticcia, Casoletta, Tisana la Dolce ed io! Il nostro sarà il pallone aerostatico più originale, quello che vincerà di sicuro la Coppa Mongolfina! Proprio così, cari miei: ogni anno venivano messe in palio per i concorrenti più bravi tre Coppe, una per ogni diversa categoria: La Coppa Rapidetta andava alla mongolfiera più veloce La Coppa Stratosferica alla mongolfiera che vola più in alto nel cielo La Coppa Mongolfina alla mongolfiera più strana, più comica... più originale! Ci voleva quasi un mese di preparazione, ma ne valeva la pena se si volevano costruire mongolfiere in grado di vincere: la più veloce, la più originale, quella che volava più in alto. A partire da metà febbraio ogni sera i concorrenti si chiudevano nelle rispettive cantine per disegnare, tagliare, cucire, rammendare, orlare, martellare, saldare... e di solito alla vigilia del 21 marzo le tre mongolfiere del Villaggio degli Spaventapasseri erano pronte! Quell’anno però qualcosa s’inceppò dopo solo una settimana... – Mi sa che il 21 di marzo resteremo tutti a terra – commentò sbuffando maestro Abbecedario, seduto sulla panchina della piazza. – Problemi con la mongolfiera? – chiese Gellindo, che stava divorando un cono di gelato al limone e alla fragola.


– Ma lo sai che sono dieci anni che non vinciamo nessuna coppa? – esclamò il vecchio spauracchio balzando in piedi. – Sono esattamente dieci anni che partecipiamo convinti alla gara, ma c’è sempre uno di qualche altro villaggio che è più veloce, che vola più in alto, che costruisce l’attrezzo più strano! – Anche quest’anno? – Quest’anno è ancora peggio – sbottò Abbecedario tormentandosi i baffi. – Quest’anno pare che gli spaventa­ pul­cini non abbiano idee: brancolano nel buio disegnando mongolfiere già viste, pesanti, grosse e grasse... altro che velocità! Altro che “Coppa Rapidetta”! Il 21 di marzo la nostra mongolfiera non si alzerà dal suolo! – E cosa dobbiamo dire noi? – esclamò Bellondina, che passava di lì e aveva ascoltato lo sfogo del maestro spaventapasseri. – Nessuna di noi ha l’idea giusta, nessuna riesce a farsi venire in mente qualcosa di veramente originale, di veramente unico... No no, anche quest’anno la Coppa Mongolfina andrà a qualche altro villaggio... Proprio in quell’istante sopraggiunse Candeloro, furioso col mondo e con sé stesso – Basta, io rinuncio alla Coppa stratosferica! Lascio perdere e mi metto a costruire carretti o biciclette! – Problemi con la mongolfiera che deve volare più in alto? – chiese Gellindo, che tratteneva a stento una risata sonora. – Problemi? Sembra che non abbiamo mai costruito una mongolfiera! Lo

sanno tutti che per volare in alto alto alto, il pallone dev’essere affusolato, leggerissimo ma allo stesso tempo potente. Non riusciamo a mettere insieme le due cose e abbiamo già sfasciato quattro mongolfiere! Gellindo Ghiandedoro morse per alcuni istanti la punta della sua coda, perso dietro ai pensieri i più strani. Poi... – Secondo me, amici – disse alla fine lo scoiattolo, – il vostro è solo un problema di... proverbi! – Un problema... di che cosa?! – Ma sì, è chiaro!! Il Villaggio degli Spaventapasseri, dopo dieci anni di digiuno, s’è messo in testa di vincere in un colpo solo tutte e tre le coppe... ma lo sanno tutti che “Chi troppo vuole, nulla stringe”, come dice un primo proverbio. – Secondo te, allora, dovremmo lasciar perdere? – chiese Bellondina. –Se vogliamo dar retta a un secondo proverbio secondo il quale “l’unione fa la forza”, non vi conviene proprio lasciar perdere... Perché invece non vi mettete assieme? Perché non unite le vostre forze e costruite un’unica mongolfiera strabiliante, bellissima, invincibile! Abbecedario, Bellondina e Candeloro si guardarono l’un l’altro negli occhi, dopo di che... – Vuoi vedere che questo scoiattolino ha ragione anche questa volta? – esclamarono in coro. E si rimisero al lavoro! Questa volta raccolsero le forze, misero insieme le idee, pensarono a lungo


ad un bel progetto e costruirono una mongolfiera che era leggera, affusolata e potente per volare nell’alto più alto del cielo. Si accorsero, però, che lo stesso pallone era anche così veloce che nemmeno il vento riusciva a stargli dietro e che la forma a cui avevano pensato... quella di un bello spaventapasseri dai mille colori... al solo guardarla strappava applausi e risate a più non posso! Il Villaggio degli Spaventapasseri, il 21 di marzo di quell’anno, partecipò compatto alla

Gara di mongolfiere fatte in casa. Si presentò alla gara di velocità e sbaragliò il campo volando in orizzontale più forte di un tifone impazzito! Con la stessa mongolfiera si presentò poi alla gara di volo in alto e in men che non si dica il pallone a forma di spaurac-

chio sparì su su su, altissimo nel cielo, che dovettero attendere per più di tre ore perché tornasse a terra! Per l’originalità e la stranezza non ci fu proprio gara: vinse per acclamazione quel pallone allegro e variopinto che assomigliava un po’ a Fra’ Vesuvio e un po’ al vecchio Empedocle, a metà strada tra Tisana la Dolce e Paglia­fre­sca... Quell’anno le tre coppe vennero consegnate nelle mani degli spaventapasseri del nostro Villaggio: gli spaventa­ pulcini e Abbecedario si coccolarono la Coppa Rapidetta; Candeloro e i loro amici più gran di non persero di vista la Coppa Stratosferica, mentre Bellondina e le amiche erano quanto mai orgogliose della loro Coppa Mongolfina... Adesso la Primavera poteva anche cominciare: il Villaggio degli Spaventapasseri era soddisfatto del lavoro svolto e Gellindo Ghiandedoro giustamente orgoglioso per aver aiutato gli amici con i proverbi giusti!

Fine



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