Sir Gellindotto de’ Ghiandedoro e i cavalieri della Tavola Rotonda
8 - l ’ultimo duello I RACCONTI DEL BOSCO DELLE VENTI QUERCE - FIABA DI MAURO NERI - ILLUSTRAZIONI DI FULBER
Fu lo squillo solitario di una tromba ad annunciare l’inizio della fase finale del gran Torneo al castello delle Marmotte Addormentate e a richiamare sulle tribune gli spettatori che erano scesi per rifocillarsi e sgranchirsi le gambe. Quando anche l’imperatore Empedocle Quinto e sua nipote, la bella Ondina, furono accomodati sui loro troni, l’Alfiere scese al centro della lizza, srotolò un papiro e lesse a voce alta: Per l’autorità che gli viene dall’essere imperatore di tutte le Terre di Montagna, Sua Altezza Imperiale Empedocle Quinto della dinastia degli Ottoni Altisonanti decreta e ordina che al vincitore del duello finale di codesto ambito Torneo sia data la possibilità di sposare la bella Ondina, principessa della Contea delle Marmotte Addormentate. L’Alfiere guardò l’imperatore e attese un cenno. Empedocle Quinto, scuro in volto e con le spalle cadenti, fece un piccolo cenno di assenso e un urlo si alzò dalla folla. La principessa Ondina invece scoppiò a piangere e nascose il viso tra le mani. Col nero destriero trattenuto a stento da un giovane sgherro, venne avanti il capitano Fon Raspe, che imbracciava la lunga lancia da torneo: il cavallo era interamente bardato di nero e grigio, così come nero e grigio era l’abito leggero che copriva la corazza di Fon Raspe, nero e grigio era il grande cimiero, nero
e grigio col muso feroce di una tigre nel mezzo era il vessillo che stringeva con la mano libera. Interamente bianco era invece lo sconosciuto misterioso: bianco il cavallo e bianca anche la sua la bardatura, bianca la tunica sopra la corazza e bianco con una luna azzurra al centro il vessillo. A fargli da scudiero il misterioso cavaliere aveva scelto Franco Bollo, l’amico fedele di Sir Gellindotto de’ Ghiandedoro. – Combattete secondo le regole e abbiate rispetto per la vita dell’avversario. Questo non è un combattimento in battaglia, ma solo giostra per stabilire un vincitore! – urlò l’Alfiere perché i due contendenti lo sentissero anche sotto l’elmo pesante d’acciaio che attutiva ogni rumore esterno. Per tutta risposta il cavaliere bianco chinò la testa, mentre Fon Raspe scoppiò a ridere sghignazzando senza ritegno. E venne dato il via alla prima prova finale: lo scontro nella lizza con le lance lunghe da torneo. Scalpitavano i due cavalli, quando sia Fon Raspe sia lo sconosciuto si liberarono dei loro vessilli e misero la lancia in resta. – Fa’ vedere chi sei, Fon Raspe! – urlò il suo scudiero e l’incitamento venne accolto da una selva di ululati e improperi da parte del pubblico. – Combatti con coraggio, cavaliere misterioso! – urlarono in coro Gellindotto, Legendarius, Dondulus e Pagliamorbida, e al loro incitamento si aggiunsero gli evviva e gli applausi degli
spettatori della lizza. Il primo scontro andò a vuoto: i cavalieri trattennero i rispettivi destrieri, li girarono e ripresero la corsa. Al secondo passaggio la punta della lancia di Fon Raspe colpì di striscio al petto l’avversario, che reagì puntando la sua lancia allo scudo del capitano, centrandolo in pieno. Colpito con violenza, il malvagio venne disarcionato e cadde malamente nella sabbia. Un primo urlo si levò dalle tribune. A quel punto il cavaliere bianco, visto l’altro seduto a terra e incapace di alzarsi in piedi, gettò via la lancia, corse da Franco Bollo, si fece passare lo spadone e tornò nella lizza. Con un balzo scese da cavallo e si avvicinò al bruto che, aiutato dal suo scudiero, s’era già rimesso in piedi e lo attendeva con il suo spadone in mano. Il clangore del ferro si alzò a rompere il silenzio della lizza: pesavano assai, le lunghe spade, e a ogni colpo la fatica aumentava, il fiato diventava sempre più corto e via via le gambe s’indebolivano. A un certo punto Fon Raspe parve impazzire all’improvviso: lasciò perdere le regole del duello e cominciò a roteare la sua grande spada sopra il cimiero, facendosi sotto e minacciando di colpire in testa il rivale, cosa del tutto proibita in un combattimento da torneo! – Fon Raspe! Capitano Fon Raspe, combatti con lealtà! – lo riprese l’Alfiere, ma quell’altro si fece ancor più sotto, sventagliando la lama affilatissima a meno di due centimetri dalla celata dell’elmo dal cimiero bianco. Gellindotto de’ Ghiandedoro si fece
passare uno spadone e stava per entrare in lizza a difesa del suo protetto, quando lo sconosciuto riuscì a infilare un piede tra i due del perfido e con uno sgambetto ben assestato lo fece cadere a terra. Un applauso dall’intensità incredibile rimbalzò sulle mura del castello e riempì lo spazio della lizza. – Si passi alla spada corta! – ordinò l’Alfiere. Il cavaliere bianco gettò via subito il suo spadone e Franco Bollo s’affrettò a portargli lo spadino da duello. Fon Raspe invece no! Avanzò al passo di corsa stringendo in mano ancora lo spadone e con quello attaccò frontalmente il nemico. Lo capirete anche voi, no? Uno spadone di quasi due metri contro uno spadino lungo meno di un metro non ha storia: Fon Raspe, urlando furioso, si lanciò sull’altro, sopravanzandolo in altezza e in armi... Il duello sarebbe finito nel sangue del più debole, se proprio in quei momenti cruciali non fosse capitata una cosa incredibile! Una nuvoletta... ma sì, una piccola, insulsa nuvoletta di color grigio scuro nacque dal nulla una ventina di metri sopra il capo del capitano rabbioso, e cominciò a piovere! No, non si mise a piovere sul castello, sui vessilli appesi, sulla folla assiepata in tribuna. No, cominciò a piovere proprio solo ed esclusivamente su Fon Raspe, che in breve si ritrovò bagnato zuppo. Non contenta, la nuvoletta s’addensò ancor di più e scurì fino a diventare una minuscola nube da temporale. E
come tutte le nubi da temporale che si rispettino, si scatenò dall’alto una piccola saetta che zigzagò per quei venti metri d’altezza e andò a scatenarsi con un lampo e un tuono proprio sulla punta dell’elmo di acciaio “bagnato” del capitano Fon Raspe. La scossa elettrica non fu forte, ma sufficiente per sbalzare all’indietro l’energumeno per cinque sei metri, lasciandolo intontito, dolorante e, quel che più importa, senza più spadone in mano! Lo sgherro corse a portargli lo spadino leggero e il duello riprese. Ad armi pari emerse quasi subito un fatto incontrovertibile: il ciccione Fon Raspe era molto meno mobile e agile del cavaliere bianco, che saltellava leggero a destra e a sinistra schivando tutti i colpi. Quando invece era lui ad allungare il braccio, la punta dello spadino toccava con estrema facilità ora il braccio, ora il petto, ora il ventre dell’avversario furente. A mano a mano che il duello procedeva, Fon Raspe combatteva sempre più lento, mentre lo sconosciuto manteneva un’agilità e una freschezza invidiabili. Provò ancora un paio di volte, il cattivo, di infrangere le regole: cercò ad esempio di abbrancare l’avversario per gettarlo a terra, oppure di portargli via la spada con un calcio ben assestato al polso, ma fu tutto inutile. Dopo mezz’ora di combattimento, quando Fon Raspe cominciò a dondolare avanti e indietro, a incrociare le gambe e a scivolar per terra a causa della stanchezza, il cavaliere bianco
abbassò la spada e fece tre passi incontro all’altro offrendogli il petto perché lo colpisse. Tentò Fon Raspe di sollevare l’arma, ma lo spadino sottile pareva esser tornato spadone pesante e ingombrante... All’ennesimo tentativo, l’arma gli scivolò di mano e andò a piantarsi nella sabbia: l’omone con un ultimo urlo di rabbia si lasciò cadere in ginocchio e infine piombò nella sabbia faccia all’ingiù. Sconfitto! Vi lascio immaginare le urla di gioia dei quattro cavalieri della Tavola Rotonda, che corsero a portare in trionfo il loro protetto. Fu un bagno di folla, di urla e di battimani quello che accompagnò il misterioso sconosciuto vestito bianco ai piedi della tribuna imperiale, dove ad attenderlo c’era l’imperatore soddisfatto e la principessa Ondina seria, ma leggermente più rilassata. Quanto meno il rischio di dover sposare quel mostro era svanito! – Misterioso sconosciuto – esclamò l’imperatore dopo aver chiamato il silenzio, – se adesso vuoi esser dichiarato vincitore del Torneo del castello delle Marmotte Addormentate, devi rivelarci la tua identità! L’uomo vestito di bianco portò una mano all’elmo, ma prima si girò in direzione della principessa e si mise in ginocchio. Quando si tolse la celata, il primo urlo – e di gioia – fu quello di Ondina: – Ma tu sei il mio Tiramissù! Scese di corsa i gradini della tribuna, la fanciulla in lacrime, e corse a gettarsi
tra le braccia del menestrello, che ricambiò l’abbraccio scoppiando a piangere, pure lui di felicità! Ci volle del bello e del buono per far capire all’imperatore come stavano le cose e ci pensò il buon Mago Abecedarius a raccontargli della storia d’amore di Ondina con il cantastorie e delle sofferenze che i due giovani avevano patito in attesa di quel torneo. – Ma Ondina non può sposarsi con un menestrello! – balbettò il vecchio imperatore. – Lui non è un nobile! – E perché, mio sire – intervenne allora Gellindotto de’ Ghiandedoro, – forse Fon Raspe vanta diritti di nobiltà che noi non conoscevamo? Il bando del torneo ha parlato chiaro: chiunque si fosse presentato nella lizza e avesse vinto, avrebbe potuto sposare tua nipote. S’è presentato Tiramissù in incognito, ha vinto, perciò... – Ma no... come fa un menestrello a guidare un impero... Non è possibile! – Non avere dubbi, Empedocle Quinto – esclamò Sir Legendarius. – Hai visto il coraggio che Tiramissù ha sfoderato nell’affrontare tutte le prove della giostra e del torneo? S’è rivelato coraggioso, forte, rispettoso delle regole, corretto con l’avversario, cosa pretendi di più? Certo, ha avuto l’aiuto inaspettato di un prezioso mago – e Legendarius sorrise sornione ad Abecedarius, – che ha fatto scatenare quel piccolo temporale, ma s’è subito ripreso il centro del duello e ha combattuto con fierezza! – Sentite, amici – ansimò Empedocle, – vi assicuro che avrei detto la stessa cosa se avesse vinto Fon Raspe e, anzi,
ciò che sto per dirvi era proprio l’ultima arma che mi era rimasta per evitare le nozze: mi spiace perché io voglio bene a Tiramissù e sarei felice di averlo come mio nipote, ma gli manca la nobiltà... – A questo provvedo io! Tutti tacquero e si girarono per vedere chi era stato a parlare. Sir Pagliamorbida fece due passi in avanti e si mise alla destra del menestrello. – Se Tiramissù è d’accordo, chiedo all’imperatore di decretare seduta stante che il qui presente giovane menestrello diventa a tutti gli effetti mio... figlio adottivo! L’imperatore ci pensò su un pochino, ma poi capì che Pagliamorbida gli stava offrendo su un piatto d’argento la possibilità di far felici in un colpo solo la sua bella Ondina, il suo popolo e anche sé stesso! Perciò: – Con l’autorità che mi deriva dall’essere imperatore delle Terre di Montagna, ordino e decreto che con effetto immediato il qui presente menestrello Tiramissù venga adottato come proprio figlio da Sir Pagliamorbida, acquisendo all’istante il diritto di fregiarsi del titolo di Cavaliere della Tavola Quadrata ed erede della Contea delle Isole Meridionali! – E questo che cosa significa? – chiese esitante Ondina, che in tutta quella confusione aveva ormai perso il filo della storia. Fu Gellindotto a risponderle: – Vuol dire che da questo momento il tuo Tiramissù non è più solo un valente menestrello, ma anche un valente menestrello nobile e, come tale, avete la possibili-
tà di sposarvi, se ancora lo desiderate! Il sorriso della ragazza che si rifletteva nel sorriso del giovane fu l’unica risposta possibile: un abbraccio davanti a tutti suggellò un amore che aveva corso il rischio di perdersi chissà dove! Il capitano Fon Raspe venne cacciato dall’impero assieme a tutti i suoi sgherri. La guardia dell’imperatore venne riorganizzata da Tiramissù, che già in quell’occasione dimostrò senso di giustizia e capacità di persuasione: raccolse alcune decine di giovani che, sotto la guida dei cavalieri della Tavola Quadrata, impararono a usare le armi con fierezza e abilità. Di lì a poco quei giovani vennero tutti promossi capitani dell’esercito imperiale, che si ritrovò rinforzato e pronto a difendere i confini da qualsiasi attacco nemico. Furono poi celebrate le nozze di Ondina e di Tiramissù, alle quali presenziarono come ospiti d’onore i quattro Cavalieri della Tavola Quadrata e Mago Abecedarius, che durante il pranzo
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divertì i bambini con infiniti giochetti di magia. Naturalmente bianca! Qualche tempo dopo Sir Legendarius, cavaliere delle Terre Antiche, Sir Dondolus, cavaliere delle Terre d’Oriente e Sir Gellindotto de’ Ghiandedoro, accompagnato dal suo fido Franco Bollo, si ritrovarono a cavallo pronti per tornare ognuno alla rispettiva casa. – Vi saluto, miei amati cavalieri – disse Mago Abecedarius con voce rotta dalla commozione, mentre Sir Pagliamorbida stava sulla porta del castello con le lacrime agli occhi. – A voi vien chiesto di tornare nelle vostre Terre per farle diventare ancor più ricche e prosperose; noi due, invece, Pagliamorbida e io, siamo stati invitati a restare al castello delle Marmotte Addormentate. Io in qualità di primo ministro dell’imperatore, Pagliamorbida come padre tutore del futuro imperatore Tiramissù Primo! A ognuno il suo compito, insomma... Ma siate sempre orgogliosi d’esser i prodi e generosi!!
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