I racconti indiani dell ’Oca Bernardina
9. L ’elefante che vuole volare I RACCONTI DEL BOSCO DELLE VENTI QUERCE - FIABA DI MAURO NERI - ILLUSTRAZIONI DI FULBER
– Ma vuoi far silenzio, ciccione! Quella brutta frase attraversò come un lampo il prato che si apriva ai piedi della grande quercia di Gellindo Ghiandedoro, dove spaventapulcini e spaventapasseri s’erano radunati per ascoltare i racconti “indiani” dell’ora Bernardina. Tutti avevano riconosciuto la vocina squillante del topolino Liquirizio e tutti avevano anche capito a chi fosse indirizzato quell’insulto: be’ sì, Lampurio era uno spauracchietto un po’ troppo sovrappeso, ma dirglielo in faccia era una cosa che non stava bene, non andava fatta! – Liquirizio, chiedi subito scusa a Lampurio! – esclamò Bernardina, seria in volto. – È colpa sua, però, se continua a chiacchierare anche quando tu stai raccontando le tue fiabe! – Ma Bernardina non aveva ancora cominciato e stavo smettendo di parlare proprio quando tu m’hai detto che io sono... – Lampurio non riuscì a pronunciare quella parola brutta e grossa e ingiusta, perché le lacrime gli riempirono gli occhi e scoppiò a piangere appoggiando la fronte sulla spalla di Occhialetta. – Io spero che tu abbia capito il male che hai fatto a Lampurio – disse allora Bernardina parlando alto e forte perché tutti sentissero. – Ognuno di noi ha un difetto, un problema, qualcosa che non va per il verso giusto e se gli altri ce lo facessero notare a ogni pié sospinto, il mondo si trasformerebbe in una guerra continua... Ecco perché bisogna voler bene agli amici e andar d’accordo con tutti! Accadde allora che Liquirizio, senza che qualcuno gli dicesse qualcosa, si alzò,
si avvicinò a Lampurio e gli si sedette vicino. Lo spaventapulcino si girò a guardarlo tirando su col naso e quando vide che il panteganotto gli allungava una zampetta, sorrise, si pulì il naso con il dorso della mano e gliela strinse. Pace fatta! – Quel che è successo proprio qui e proprio adesso – esclamò allora Bernardina, – m’ha fatto venire in mente una storia indiana bellissima e strana... Adesso ve la racconto! Un bufalo, un maiale e un cobra stavano camminando un giorno per la foresta, quando udirono dei lamenti che venivano dal laghetto lì vicino. – Li sentite anche voi, questi pianti? – disse il bufalo che di nome faceva Khala1). Gli rispose il maiale Ganda2): – Sembrano i lamenti di qualcuno che è molto, molto triste! – Andiamo a vedere, il lago è proprio qui dietro! – propose il cobra Sarp3). Enorme fu la sorpresa dei tre amici animali quando, giunti sulle rive del laghetto, videro il grosso elefante Hathi4) che piangeva disperato appeso alla cima di un albero altissimo, dondolando avanti e indietro in modo pericoloso. – Si può sapere che ci fai lassù, Hathi? – urlò il bufalo per farsi sentire. – Quando stamattina sono arrivato al laghetto per bere – singhiozzò l’elefante continuando a restare aggrappato al tronco elastico dell’albero, – mi sono visto riflesso nell’acqua dello stagno e ho preso uno spavento! Il cobra Sarp si rizzò incuriosito: –
Forse era la prima volta che vedevi la tua lunga proboscide? Il bufalo Khala intervenne alzando la voce: – Ma no: ti sei spaventato nel vedere per la prima volta le zanne che ti escono dalla bocca, vero? Ganda il maiale grugnì furioso e urlò: – Ma cosa dite! Il nostro amico Hathi s’è spaventato per le grandi orecchie che fan corona al suo testone gigantesco! Hathi scosse la testa: – Nessuno di voi ha indovinato, amici miei! Io stamattina mi sono spaventato nel vedermi così... così ciccione! Sarp guardò Khala che ammiccò a Ganda che si girò a osservare Sarp: – Ciccione tu? – strillarono in coro i tre
amici animali. Per loro l’elefante era sempre stato così: grande e grosso come una montagna poggiata su quattro pilastri tondi! Un animale ridicolo, insomma, che portava in giro tutto quel peso camminando su zampe che sembravano tronchi d’albero! – Ma tu non sei ciccione – cercò di consolarlo il bufalo. – Sei solo un po’... un po’ grosso! – aggiunse il cobra sorridendo. – Tu sei solo un elefante, e basta! – concluse il maiale. Hathi oscillò ancor più forte in vetta all’albero: – Non occorre che diciate bugie per consolarmi, voi! Stamattina mi sono visto bene, riflesso sull’acqua del lago: sono una montagna di lardo che se cade per terra non è più capace di tirarsi in piedi, è questa la verità! Sarp, Ganda e Khala capirono di trovarsi dinnanzi a un bel problema: il loro amico elefante era caduto in depressione! Quelle depressioni tristi e profonde dalle quali è difficile guarire... – Senti, Hathi – disse allora il maiale, – ma cosa ci fai appeso a quell’albero? – Sto imparando a... volare! – A far che cosa? – strillò strabuzzando gli occhi il serpente cobra. – Sto imparando a volare come fa l’airone – rispose singhiozzando Hathi. – Aspetto solo che mi raggiunga quassù il coraggio e poi mi butto! – Nooo! Aspetta – sbraitò il bufalo, – potresti farti male! – Ma perché ti sei messo in testa di volare? – chiese il maiale portandosi ai piedi dell’albero. – Anche a me piacerebbe essere bello come un cavallo,
colorato come una farfalla e profumato come un fiore, ma non ne faccio una malattia! Si avvicinò anche il bufalo Khala: – Pensa un po’: a me piacerebbe correre leggero e agile come una gazzella, e invece me ne resto tranquillo a ruminare nei prati! Hathi smise di oscillare e cominciò a spiegarsi meglio: – Vedete, quando stamattina ho scoperto di essere un enorme ciccione, nello stesso istante ho vista riflessa sull’acqua dello stagno la figura di un airone leggerissimo che stava volando in cielo. Ecco, mi sono detto: tornerò a essere felice solo quando riuscirò a volare come quell’uccello, perché vorrà dire che non sarò più un ciccione! I tre amici animali si guardarono stupefatti: – Ma se vuoi volare come un airone, forse dovresti cominciare a metterti in dieta! – disse Ganda. – Dieta? E cos’è questa dieta? – Mettersi in dieta vuol dire mangiare molto meno di quello che sei abituato... – Quanta erba e foglie mangi, in un giorno? – domandò Khala. – Be’, fammi pensare: ogni giorno mangio in media un bel po’ d’erba di prato, diciamo come da qui all’altra parte del lago, e poi le foglie di almeno cinquanta alberi! Il bufalo impallidì in cuor suo al pensiero di quella montagna d’erba e di foglie mangiate in un giorno da un solo elefante: ci sarebbe stato da dar da mangiare a una mandria intera di fratelli bufali!
– Be’, diciamo allora che dovresti lasciar perdere d’ora in poi l’erba dei prati e accontentarti delle foglie di dieci alberi! Tempo due mesi, e saresti leggero come un airone, pronto a spiccare il volo! Hathi non se lo fece ripetere due volte: scese dall’albero e si diresse nel cuore della foresta: – Vado a prendermi quel che mi spetta per oggi: le foglie di dieci alberi belli grossi! Di lì a qualche giorno il povero elefante deperì a tal punto che non riusciva più nemmeno a restare in piedi. – Sono debole, amici: le zampe non mi reggono più e la pancia mi brontola per la fame che sembra un temporale d’autunno! – Bevi, allora, bevi tanta, tantissima acqua, e vedrai che starai subito meglio – gli suggerì il cobra. Hathi obbedì e in un paio di giorni praticamente prosciugò lo stagno trasformandolo in una palude fangosa. Malgrado ciò, però, non si sentì più leggero nemmeno di mezzo etto! – Forse devo tornare in cima all’albero e spiccare il volo – disse l’elefante. – No, per carità! – lo bloccò il bufalo. – Devi invece insistere con la dieta, devi mangiare pochissimo e bere tanta acqua... Dai che ci sei, quasi! Soffrì le pene più dolorose, il povero Hathi: si ridusse a mangiucchiare le foglie di un solo albero al giorno e per bere dovette spostarsi ogni giorno per chilometri e chilometri in cerca di pozze sempre nuove. Alla fine si sentì debole come un
vitellino appena nato, ma pronto a volare nel cielo della foresta. – Non riuscirò mai a diventare più leggero di così, perciò forse è giunto il momento di far invidia agli aironi! Ci volle del bello e del buono perché Hathi raggiungesse la cima dell’albero: – Mi sento leggerissimo, amici! – urlò l’elefante oscillando a destra e a sinistra. – Che bello: adesso potrò finalmente coronare il mio sogno! Mi lancioooo... Chiuse gli occhi, il povero Hathi: oscillò sempre più forte e, quando lasciò la presa e si staccò dal tronco, cadde con un tonfo per terra, facendo un buco grosso e profondo così! Per fortuna, malgrado la dieta ferrea alla quale si era sottoposto, l’elefante si portava addosso gran parte ancora della sua ciccia: pertanto non si fece molto male, ma quel che più gli bruciò in fondo al cuore fu il fallimento del suo sogno. – Avete visto? Non riuscirò mai a spiccare il volo, ragazzi! Vi ringrazio, mi siete stati vicini e amici, ma ora me ne vado lontano e di Hathi non sentirete più parlare! Si tirò in piedi, il povero elefante, e imboccò barcollando il sentiero che penetrava nella foresta. Il bufalo, il maiale e il cobra si fecero un cenno d’intesa e gli corsero dietro. Non avrebbero mai abbandonato il loro grosso amico, almeno fino a quando non avessero trovato il modo di realizzare il suo sogno: volare leggero nel cielo come fosse un bell’airone!
L’idea venne qualche giorno dopo a Sarp il cobra: se ne stava mezzo addormentato all’ombra di un cespuglio, il serpente, quando davanti agli occhi che cosa vide? Vide un ragno che stava tessendo la sua ragnatela: agile e leggero si lasciava cadere dall’alto appeso a un filò, che via via annodava fino a formare una tela trasparente, leggera e resistente, capace di sostenerlo mentre andava avanti e indietro preciso e sicuro. E Sarp capì quel che dovevano fare! – Sveglia, Khala! Alzati, Ganda... Hathi, sei pronto per volare? Pronto per volare? – Io sono sempre pronto, dimmi quel che devo fare! – esclamò l’elefante. – Aspettaci qui e non muoverti, mi raccomando! Il maiale e il bufalo, su ordine del cobra, si procurarono un bel po’ di liane lunghe, sottili, leggere e robuste, con le quali imbragarono Hathi. Quando l’elefante fu pronto, ben legato al centro di un intrico di liane che pareva una gigantesca ragnatela, giunse il serpente Sarp in compagnia di... dieci, cento, cinquecento begli aironi, che scesero dal cielo svolazzando e battendo i becchi felici e chiassosi. – Silenzio! Silenzio aironi... – esclamò allora il cobra. – Questo è l’amico di cui vi parlavo... – Ma è un elefante! – sbraitò un airone in prima fila. – Non ci avevi detto che era un elefante... – aggiunse un altro airone. – Grande, grosso e ciccione! – ci tenne a precisare un terzo.
– Vi sbagliate, io non sono un elefante ciccione – protestò Hathi, diventando rosso di rabbia. – Mi sono messo in dieta da chissà quanto tempo e come vedete sono agile e magro come un airone... – Dopo di che guardò i cinquecento aironi lì attorno e aggiunse: – Quasi, come un airone! – Su su, forza – intervenne il cobra Sarp rivolto agli uccelli: – Ognuno di voi afferra col becco il capo di una liana e poi su in alto... si volaaa! Gli aironi obbedirono: d’altronde, loro erano in cinquecento e quell’elefante era da solo, no? Afferrarono con decisione le liane, aprirono le ali tutti assieme e... Fruuu... Fruuu... Fruuu... I cinquecento aironi si alzarono dapprima veloci e baldanzosi, dopo di che – non appena le liane furono ben tese e si trattò di far alzare in volo il povero Hathi – s’impegnarono allo spasimo, remigarono con le loro mille ali tutte assieme impuntandosi nelle correnti d’aria più forti finché... Tack!... l’elefante si staccò da terra un centimetro, cinque centimetri, trenta centimetri... un metro... venti metri... cinquanta metri... cento metri... E a quel punto avvenne l’imprevisto! – Volooo! – urlò terrorizzato Hathi. – Aiutooo, volo! Sto volando in cielo come un airone! Auiutooo... ho pauraaa! Fatemi scendere, voglio scendere, mettetemi giù, subito! Immediatamente! Sono un elefante, io, mica un uccellino! Giù, portatemi a terra, vi
pregooo! Gli aironi alla fine udirono le implorazioni dell’elefante e obbedirono: scesero dal cielo e deposero il loro fagotto nel punto esatto da cui l’avevano sollevato. Dopo di che lasciarono andare le liane e s’involarono verso oriente finalmente leggeri e liberi! Andò a finire che Hathi guarì dalla depressione e da quel giorno non si lamentò più del suo corpaccione da elefante. – È inutile, noi elefanti siam fatti così, grossi e ciccioni che di più non si può! Grazie, amico bufalo, grazie amico cobra e grazie amico maiale: senza voi tre non avrei mai avuto modo di capire che, per essere felice, devo accettarmi per quel che sono! Non s’è mai visto un elefante volare, no? La vita insomma tornò come prima, nella foresta indiana, con un elefante che mangiava ogni giorno l’erba di un prato da qui all’altra parte del lago e le foglie di cinquanta, a volte anche sessanta alberi belli grossi. Tutti furono felice, tranne forse il bufalo Khala, che bofonchiava disperato al pensiero di tutta quell’erba buona e quelle foglie dolci mangiate ogni giorno da un solo elefante. Ma così è la vita! “Khala”, in lingua hindi, significa “nero”. “Gañda” vuol dire “sporco” 3) “Sarp” sta per “serpente”. 4) “Hathi” significa “elefante” 1) 2)
(9 - continua)