Rivista Maria Ausiliatrice n.1/2012

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Nยบ 1 - 2012 ANNO XXXIII BIMESTRALE

gennaio-febbraio

Con lui sulle strade del mondo pag. 2 V erso il 2015

Alla riscoperta di Don Bosco

pag. 6 L a nascita di un bimbo Una gioia per il mondo

pag. 42 E ssere cristiani E imprenditori solidali


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Imminente! Sul prossimo numero un’ampia intervista a Remo Girone inaugurerà la rubrica “Segni e valori”. Attraverso la fotografia e le parole, l’attore si racconta sul set del film su San Leonardo Murialdo prodotto da Nova-T.


Il saluto del Rettore

A Valdocco in festa per Don Bosco Cari amici, abbiamo iniziato un nuovo anno, certamente pieno di preoccupazioni, ma anche di speranze, nonostante le difficoltà che si stanno vivendo, da parte soprattutto di tante famiglie. Al popolo in esilio, nelle strettezze, nella precarietà e nella lontananza dalla propria terra, il profeta Geremia scrive con decisione: «Io, infatti, conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo – dice il Signore – progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza. Voi mi invocherete e ricorrerete a me e io vi esaudirò; mi cercherete e mi troverete, perché mi cercherete con tutto il cuore» (Ger 29,11-13). Siamo chiamati anche noi, in questa situazione difficile e problematica che stiamo vivendo, a credere in un “futuro di speranza”, affidandoci al Signore e alla sua Provvidenza, certi di essere ascoltati. A tutti auguriamo di cuore, nella certezza di questa speranza, un anno ricco di grazia, di serenità e di pace. Impegniamoci a fondo per essere noi strumenti della Provvidenza, portatori di quella serenità e di quella pace che vengono dal Signore! Il mese di gennaio è per noi il mese che ci ricorda Don Bosco, la cui festa ricorre il giorno 31, festa a cui invitiamo tutti per invocare la protezione del nostro Santo. Proviamo a riflettere. Chi sarebbe Don Bosco se non si fosse fidato della Provvidenza? Ricordiamo le sue peregrinazioni per Torino con i suoi ragazzi, scacciato da tutti, incompreso da più parti, persino da quelli più vicini. Senza una casa, senza collaboratori, senza salute, senza soldi… si è affidato alla Provvidenza con fiducia, “quasi testarda” è stato detto da alcuni, e il Signore non si è fatto attendere! «Non abbiate paura» ci direbbe ancora Giovanni Paolo II! Guardiamo ai nostri Santi e affidiamoci con fiducia al Signore, come loro, chiedendo a Lui per intercessione di Maria Ausiliatrice e di Don Bosco, di farsi presente e di ridare a tutti fiducia, serenità e speranza. È con questa fiducia e speranza che tante persone passano per la nostra Basilica, affidando a Maria Ausiliatrice e a Don Bosco le loro preoccupazioni: il lavoro, la crescita dei figli, la fedeltà alla propria vocazione, le difficoltà della famiglia, la salute, la conversione propria o di una persona cara, la riconciliazione di una coppia di sposi… E con gioia vediamo passare anche tanti giovani. Ogni giorno ne siamo commossi e riconoscenti spettatori: rigraziamo il Signore! Mentre allora vi rinnovo l’invito per la festa di Don Bosco, assicuro per tutti il nostro ricordo e la nostra preghiera in Basilica. Don Franco Lotto, Rettore lotto.rivista@ausiliatrice.net IL SALUTO DEL RETTORE


A tutto campo

L’importanza storica di Don Bosco a quasi duecento anni dalla nascita. Come essergli fedeli discepoli oggi. Come vivere ancora la tensione che egli ha vissuto tra intuizione e incarnazione nel tessuto sociale in cui operava?

C

ari lettori,

Essere fedeli a Don Bosco e alla sua missione significa coltivare un amore costante e forte nei confronti dei giovani, specialmente i più poveri. Qui il Rettor Maggiore in mezzo ad un gruppo di ragazzi. Foto Archivio ADMA

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il 16 agosto 2015 festeggeremo i 200 anni della nascita di Don Bosco. Il triennio che ci separa dall’evento ci aiuterà a conoscere meglio le vicende della sua vita, e attraverso queste apprezzarlo ancor più come educatore, pastore, fondatore, guida, legislatore. Si tratta di una conoscenza che conduce all’amore e all’imitazione. Non a caso, per il 2012 appena iniziato, ho scelto questo come tema della “Strenna” annuale.

foto Mario Notario

La storia e le orme di Don Bosco

L’importanza storica di Don Bosco è da rintracciare, oltre che nelle “opere” e in alcuni elementi pedagogici relativamente originali, soprattutto nella sua percezione concreta e affettiva della portata universale, teologica e sociale del problema della gioventù “abbandonata”, e nella sua grande capacità di comunicarla a collaboratori, benefattori e ammiratori. Siamo noi oggi fedeli discepoli di Don Bosco? Viviamo ancora la tensione che egli ha vissuto fra ideale e realizzazione, fra intuizione e sua incarnazione nel tessuto sociale in cui si trovava ad operare? Essere fedeli a Don Bosco e alla sua missione significa coltivare in noi un amore costante e forte nei confronti dei giovani, specialmente i più poveri. In particolare, riferendoci ai giovani di oggi, cerchiamo di comprendere il loro nuovo modo di essere. Molti di loro sono dei digital natives che attraverso le nuove tecnologie cercano esperienze di mobilitazione sociale, possibilità di sviluppo intellettuale, elementi di progresso economico, forme di comunicazione istantanea, opportunità di protagonismo… Anche in questo campo vogliamo condividere la loro vita ed i loro interessi. Animati dallo spirito creativo di Don Bosco, noi educatori, ci facciamo vicini come digital immigrates, cercando di aiutarli a superare il gap generazionale con i loro genitori o il mondo degli adulti.


A partire dalla conoscenza della storia di Don Bosco, dunque, i punti di riferimento e gli impegni della Strenna del 2012 sono i seguenti. La carità pastorale caratterizza tutta la storia di Don Bosco ed è l’anima delle sue molteplici opere. Da qui, il suo voto apostolico: «Ho promesso a Dio che sino all’ultimo respiro della mia vita sarà per i miei giovani poveri». Questo è il nostro marchio e la nostra credibilità presso i giovani! Nella storia di Don Bosco conosciamo le tante fatiche, rinunce, privazioni, sofferenze, i numerosi sacrifici che egli ha fatto. Attraverso i bisogni e le richieste dei giovani, Dio sta chiedendo a ogni membro della Famiglia Salesiana di sacrificare se stesso per loro. Perdere qualcosa, o meglio, perdere tutto per arricchire la vita dei nostri giovani è il sostegno della nostra dedizione e del nostro impegno. Nel verbale di fondazione della Congregazione Salesiana e soprattutto nello sviluppo storico della molteplice opera di Don Bosco, possiamo conoscere le finalità della Famiglia Salesiana, che a poco a poco si andavano delineando. Noi siamo chiamati ad essere apostoli dei giovani, degli ambienti popolari, delle zone più povere e missionarie. Oggi più che mai ci impegniamo a comprendere e assumere criticamente la cultura mediatica e ci serviamo dei mezzi di comunicazione sociale, in particolare delle nuove tecnologie. In questo modo noi possiamo dilatare sempre di più il grande cuore di Don Bosco, che avrebbe voluto raggiungere e servire i giovani in tutto il mondo. Come Don Bosco, oggi Dio ci attende nei giovani! Attraverso la conoscenza della sua storia, dobbiamo ascoltare gli interrogativi di Don Bosco rivolti a noi. Cosa possiamo fare di più per i giovani poveri? Quali sono le nuove fron-

tiere nella regione dove lavoriamo, nel paese in cui viviamo? Abbiamo orecchi per ascoltare il grido dei giovani di oggi? Quali sono le nuove frontiere in cui oggi dobbiamo impegnarci? Ascoltiamo il grido dei giovani e offriamo risposte ai bisogni più urgenti e più profondi, ai bisogni più concreti e a quelli spirituali. Dalla sua vicenda personale noi possiamo conoscere le risposte di Don Bosco di fronte ai bisogni dei giovani. Certo le difficoltà non mancano: l’indifferentismo, il relativismo etico, il consumismo che distrugge il valore di cose ed esperienze, le false ideologie. Dio ci sta chiamando e Don Bosco ci incoraggia ad essere Buoni Pastori, ad immagine del Buon Pastore, perché i giovani possano ancora trovare Padri, Madri, Amici; possano trovare soprattutto Vita. Di più, la Vera Vita, la vita in abbondanza offerta da Gesù! Le Memorie dell’Oratorio di San Francesco, scritte da Don Bosco per richiesta esplicita del Papa Pio IX, sono un punto di riferimento imprescindibile per conoscere il suo cammino spirituale e pastorale. Sono state scritte anche perché assumendo le motivazioni e le scelte di Don Bosco, ognuno di noi e ogni gruppo della Famiglia Salesiana potessimo fare lo stesso cammino spirituale e apostolico. Esse sono state definite “memorie di futuro”. Perciò quest’anno impegniamoci a conoscere questo testo, a comunicarne i contenuti, a diffonderlo, soprattutto a metterlo nelle mani dei giovani: esso diventerà un libro ispiratore anche per le loro scelte vocazionali.

Affresco di Cristo Buon Pastore, Cappella delle Reliquie - Basilica di Maria Ausiliatrice. foto Mario Notario

Don Pascual Chávez Villanueva, Rettor Maggiore

A TUTTO CAMPO

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Leggiamo i Vangeli

Non è questione di parole! Diventare discepoli di Cristo. (Mc 1,16-20)

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Gesù ci viene incontro nelle occupazioni quotidiane come è accaduto per i discepoli intenti a occuparsi delle reti da pesca. La chiamata è un gioco di sguardi, bisogna aprire occhi e cuore a Gesù e cogliere che nel suo invito a seguirlo c’è la nostra felicità.

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esù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel vangelo”» (Mc 1,14-15). Non si cerchino altre parole del Signore prima di queste nel Vangelo di Marco. In precedenza egli era sceso al Giordano, poi forte dello Spirito si era recato nel deserto. Nessuna sua espressione viene però ricordata. Quelle che abbiamo appena letto sono proprio le prime parole del Figlio di Dio ricordate dall’Evangelista, quindi le più importanti. Rilevanti al punto da motivare tutto quello che Gesù avrebbe iniziato subito a compiere: dato l’annuncio, bisognava infatti fare in modo che la gente lo accogliesse. Ecco perché il Gesù di Marco è il Signore che cammina instancabilmente per incontrare le persone e mostrare che il Regno è loro vicino.

Sguardi e paroLe Due coppie di fratelli che senza conoscere Gesù sono chiamati e lo seguono: serve forse altro a mostrare che il Regno si è fatto vicinissimo a noi grazie a Cristo? Non un miracolo, né un insegnamento: la prima opera che Gesù compie per mostrare che in lui il Regno dei Cieli è veramente sceso qui in terra, è invece la chiamata a diventare suoi discepoli. Simone, Andrea, e poi Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo: pescatori da sempre. Vivevano a Cafarnao che si specchiava sulle acque del Mare di Galilea. Simone e Andrea stanno ancora gettando le reti in mare, Giacomo e Giovanni invece sono già a riva e le stanno riassettando insieme a loro padre e ai garzoni. Tutti sono alle prese col loro quotidiano quando Gesù passa e li vede. Certo! Egli è venuto, è all’opera nella vita di ogni giorno e preferisce decisamente incontrarci proprio dove ci troviamo, tra le occupazioni di sempre. Leggiamo il seguito del racconto con attenzione: a raggiungere quegli uomini,


aZioni intenSe Quei quattro uomini si sentono scrutare dallo sguardo di Gesù e ritengono per loro l’invito straordinario che interpella la loro libertà. Da parte loro neppure una parola, ma due azioni intense: «Subito lasciarono le reti e lo seguirono» (v. 18). Similmente accade per Simone ed Andrea: «Essi lasciarono il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui» (v. 19). Essi lasciano tutto: non solo ciò di cui avevano bisogno per il lavoro, ma anche gli affetti! Eppure – è sorprendente – non chiedono nessun chiarimento. Diventare discepoli non è questione di parole! L’Evangelista ripensando a quel giorno luminoso in riva al lago, ci vuole insegnare che quando il Signore chiama a seguirlo come discepoli, gli si deve rispondere così, con la vita non con le parole. Non importa se non capiamo perfettamente dove l’essere suoi discepoli ci condurrà. Guardiamo ai quattro pescatori di Cafarnao: cosa avranno capito quando appresero che sarebbero diventati pescatori di uomini? Eppure si fidarono. A noi, come a loro è richiesta una decisione ed azione immediate. Uno slancio sostenuto dalla fiducia. Poi ci sarà il tempo per camminare dietro Gesù, per stare con lui, per approfondire la fede, per capire, per testimoniare; per qualcuno – Pietro – c’è stato addirittura il tempo per recedere, tradendo: «Non conosco quest’uomo di cui

parlate!» (14,71), ma anche per tornare, amando: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene» (Gv 21,15). Diventare discepoli di Gesù esige risolutezza, capacità di operare tagli coraggiosi alla nostra vita, proprio come avvenne per quei quattro uomini Santi: essi per sempre ci offrono la misura del tenore delle risposte da dare al Signore. Diventare discepoli di Gesù non è questione di parole, ma di costante disposizione a seguirlo.

La rete abbandonata sono le nostre abitudini e sicurezze che il Vangelo stravolge chiedendoci di pensare in grande.

Marco Rossetti rossetti.rivista@ausiliatrice.net

BOCCI VALERIO

Le paraBoLe Spiegate ai ragaZZi Editrice Elledici Pagine 64, € 4,90 Pescatori che gettano le reti, contadini che zappano la terra, ragazzi che giocano sulla piazza... la vita di tutti i giorni nelle parabole raccontate da Gesù per spiegare il regno di Dio che cresce nel mondo. Una storia in dieci puntate, costruite in questo sussidio come una fiction e con l’innovativa tecnica dell’ipertesto su carta, per una catechesi affascinante e comunic-attiva.

GIANCARLO ISOARDI

ISOARDI GIANCARLO

dio È come Lo Zucchero Editrice Elledici Pagine 72, € 5,50 Questo libro è una raccolta di racconti, testimonianze, riflessioni, domande che provocano e mettono in discussione. Arricchite da citazioni bibliche, queste pagine sono una folata di freschezza che aiuta a mettere un po’ di quello zucchero che è Dio nella nostra vita.

DIO È COME LO ZUCCHERO

prima ancora della parola di Gesù è il suo sguardo, restituitoci da Marco in tutta la sua intensità (vv. 16.19). Solo dopo le parole, essenziali: «Su, dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini» (v. 17). Uno sguardo tagliente, un parlare penetrante irrompono impetuosi in quegli animi!

(nessuna controindicazione per i diabetici!) Trenta racconti. Sembrano solo storielle, ma possono diventare vere lezioni di vita.

LEGGIAMO I vANGELI

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In cammino con Maria

Il miracolo della nascita La meraviglia indicibile di ogni donna per la crescita di un figlio, prima nascosto dentro di sé e poi vivace e amabile davanti a sé. Anche Gesù coglie in profondità i sentimenti della madre nel parto e ne parla con finezza, applicandoli al suo mistero pasquale.

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l Natale di Gesù e la festa della maternità di Maria mi fanno pensare ad un’usanza imparata dall’infanzia e praticata tuttora con semplicità e affetto sincero: scrivere una lettera alla mamma nel giorno del mio compleanno. La nascita è un evento memorabile per il figlio o la figlia, ma non lo è meno per la madre. Il bambino che esce dal grembo materno per entrare nel mondo è sempre un avvenimento sacro, un miracolo stupendo. Anche Gesù è affascinato dal meraviglioso momento della generazione della vita nuova: egli coglie in profondità i

Lo stupore con cui la madre contempla il figlio è lo stupore con cui nel Natale siamo invitati a contemplare la meraviglia di un Dio che si fa uomo per farsi abbracciare e cullare da Maria e con lei da tutta l’umanità.

sentimenti della madre nel parto, ne parla con finezza applicandoli al suo mistero pasquale: «La donna, quando partorisce, è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell’afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo» (Gv 16,21). Come allora non giubilare con Maria nel ricordo della nascita di Gesù? Come non ringraziare la madre per il dono del figlio? Durante la vita terrena di Gesù, una donna, presa da ammirazione per Gesù, esclama con spontaneità ad alta voce in mezzo alla folla: «Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!» (Lc 11,27). Questa esplosione spontanea fa eco a quella di Elisabetta: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo» (Lc 1,42). La sensibilità femminile intuisce la grandezza e la bellezza della maternità di Maria.

criSto È frutto deLL’amore di dio acceSo neL gremBo di maria Nel racconto commovente del Secondo libro dei Maccabei sul martirio dei sette fratelli eroici emerge la bellissima figura della madre. «La madre era soprattutto ammirevole e degna di gloriosa memoria». Ai suoi figli, pronti a morire per il Signore, ella confida con candore e te-

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volgeva ogni cosa, mentre la notte giungeva a metà del suo corso, il tuo verbo onnipotente, o Signore, è sceso dal cielo, dal trono regale» (Sap 18,14-15).

iL paStore “incantato” deL preSepe, SimBoLo di chi ha iL cuore SempLice

nerezza: «Non so come siate apparsi nel mio seno; non io vi ho dato lo spirito e la vita, né io ho dato forma alle membra di ciascuno di voi» (2Mac 7,22). È lo stupore della madre di fronte al miracolo della vita, uno stupore indicibile che cresce con la crescita del figlio, prima nascosto silenziosamente dentro di sé e poi vivace e amabile davanti a sé. Quanto sarà grande lo stupore di Maria di fronte al piccolo Gesù, che non è soltanto figlio suo ma figlio di Dio! La sua timida domanda «Come è possibile?» all’annuncio dell’angelo (Lc 1, 34) le apre un’avventura che va di meraviglia in meraviglia, il suo gesto materno di avvolgere il bambino con le fasce segna l’inizio del suo coinvolgimento sempre maggiore nel progetto misterioso di Dio. «Nel ventre tuo si raccese l’amore, per lo cui caldo ne l’etterna pace così è germinato questo fiore» canta Dante nel suo Paradiso. Cristo è frutto dell’amore di Dio acceso nel grembo di Maria, è il fiore più bello aperto sullo stelo immacolato della madre. Dio ha stupito l’umanità raccogliendo tutto se stesso nel grembo di Maria e poi, in un vagito che ha squarciato la notte del buio e del freddo. È un mistero inaudito! Persino tutta la Creazione partecipa con stupore, quasi trattenendo il fiato, a quella irripetibile notte di Betlemme: «Nel quieto silenzio che av-

Un bambino che nasce è un avvenimento sacro. È il mistero della vita che si rivela all’improvviso in un nuovo sguardo sul mondo.

C’è un personaggio del presepe che raffigura questo sentimento così prezioso agli occhi di Dio: il pastore incantato, con la bocca spalancata, le braccia aperte, il cappello in mano; colui che offre al Bambino soltanto il suo stupore. Egli rappresenta tutti quelli che hanno un cuore semplice, aperto, sensibile e permeabile dall’amore. Egli riassume tutti i testimoni del mistero dell’incarnazione: Maria e Giuseppe, i pastori e i magi. Egli impersona lo stupore, quell’atteggiamento di meraviglia, di silenzio orante, di estatica attenzione, che è purtroppo sempre più sconosciuto nella nostra esperienza di fede e nelle nostre feste. Lo stupore è il segno di giovinezza spirituale, mentre l’inaridimento dello spirito di meraviglia e della riverenza di fronte al mistero indica l’indifferenza e stanchezza, grettezza di cuore e sterilità di vita. Maria, la madre che contempla estasiata il bambino nato dal suo grembo, la donna che coglie e magnifica il Signore per le «grandi cose» operate in lei e nella storia ci aiuti a non abituarci al mistero e al miracolo e mantenga in noi, vivo e fresco, il seno dello stupore. Maria Ko Ha Fong kohafong.rivista@ausiliatrice.net IN CAMMINO CON MARIA

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In cammino con Maria

Non sono un’arte minore Esposti “pezzi” antichi e moderni, realizzati anche con antichi strumenti da falegname, con uova di gallina, oppure all’uncinetto, al tombolo, in sughero o pasta di sale. Poi, incisioni, olografie e stampe antiche. Tutto per aiutarci a ravvivare la nostra devozione alla Madonna.

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Con la nascita di Gesù, rappresentata nei presepi, Dio non è più distante, è uno di noi! In basso, la fantasia di un falegname: gli antichi strumenti del suo mestiere diventano personaggi del presepe.

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redici. Tante sono le edizioni della mostra di presepi e la devozione popolare mariana allestite nella cripta della nostra Basilica, in occasione delle scorse feste natalizie. E anche questa volta, dal 17 dicembre 2011 all’8 gennaio 2012, è stato un successo di visitatori, non soltanto bambini. Il presepe, lo sappiamo, è stato “inventato” da san Francesco d’Assisi: nella notte di Natale del 1223, in una grotta di Greccio, in provincia di Rieti, prepara una mangiatoia, dove pone un neonato e, accanto, un bue e un asinello. Il primo presepe come lo intendiamo noi oggi, con le statuine che raffigurano personaggi della Natività, è probabilmente quello realizzato da Arnolfo di Cambio, nel 1283. Da allora, si realizzano statue di legno o terracotta, esposte davanti a un fondale

o su una fantasiosa ricostruzione di paesaggio palestinese. In quest’arte, oltre alle “scuole” toscane e ai “plasticatori” dei “Sacri monti” piemontesi, spiccano gli artisti del regno di Napoli, che ambientano la Natività nella vita del Sei-Settecento: artigiani e popolane, borghesi e nobili sono proposti in mercati, taverne o palazzi, mentre filano, pescano, persino attorno a un banchetto o mentre ballano.

centinaia di “peZZi” da tutto iL mondo La 13ª mostra che si è svolta a Valdocco, era aperta da otto quadri degli incisori ottocenteschi Jos. Fuhrich e A. Petrak, che celebrano il “Trionfo di Cristo”, preparato dai patriarchi e dai profeti dell’Antico Testamento, presentato da Giovanni Battista, da Giuseppe e Maria, annunciato dagli Angeli, dagli Evangelisti e dai Dottori della Chiesa, vissuto dagli Apostoli, dai Santi e dalle Sante. Il primo presepio esposto era, anzi è perché così è tuttora conservato, un gioiello incastonato in un’arcata: nella semplicità, ritrae la luminosa scena della Natività, in ambiente palestinese, con tutti i personaggi orientati verso la mangiatoia dove giace Gesù Bambino. Gli “attori” si muovono, intenti alle diverse attività: il pastore abbevera le pecore, il panettiere inforna il pane, le donne svolgono i lavori domestici e c’è anche chi si riposa. L’attenzione, però, è rivolta alla capanna dove Maria solleva ed abbraccia il Bambino Gesù, mentre Giuseppe lo adora in atteggiamento devoto.


Del tutto originale è la scena nata della fantasia di un falegname: gli antichi strumenti del suo mestiere diventano personaggi del presepe. La pialla impersona Maria che tiene in grembo il Bambino; due “squadre” diventano le sue braccia; tre succhielli o trivelli a mano, i trapani di un tempo, si trasformano in Magi, con la corona; la tenaglia di legno si trasforma nella figura di un pastore. Così, grazie alla fantasia di un artigiano, gli antichi arnesi del mestiere di san Giuseppe, animano la scena attorno alla mangiatoia, anch’essa ricavata da un antico attrezzo. Sotto la solenne vetrata del Card. Cagliero, si ammirava un presepio che riproduce diverse scene di vita campestre e pastorale: sembra di essere immersi nel sereno paesaggio costruito da sugheri e ceppi, ricoperti dal sempreverde muschio, al seguito dei pastori e delle greggi. Tutto è ricostruito con precisione, anche le cataste di legno, i recipienti in rame, la lana delle pecorelle. Grande meraviglia ha suscitato, poi, un presepio con effetti luminosi. In un paesaggio prospettico, con ruderi di palazzi antichi e casupole di povera gente, ecco la “vita” di tanti personaggi intenti alle attività quotidiane, diverse al variare della luce.

maria inVocata con i “titoLi” piÙ Vari In contemporanea, si è svolta la rassegna dedicata alla devozione popolare mariana. Nel corso dei secoli, nei momenti lieti e tristi, gli uomini si sono rivolti a Maria come a buona mamma, ne hanno cantato le lodi e sperimentato la sua protezione. L’hanno invocata con i più bei titoli: Madonna del Soccorso, dell’Aiuto, Ausiliatrice; Madonna della Consolazione, del Buon Consiglio, della Misericordia, della Salute, del Suffragio, della Pace, e altro ancora. Hanno venerato il suo Nome, il suo Cuore Immacolato, la sua Divina Maternità... Non solo: Maria è presente in tutte le vicende umane. Ecco, così, la

Madonna delle Lacrime che piange sul Figlio deposto dalla Croce e sulle sofferenze degli uomini; oppure porta sollievo a chi soffre, apparendo in momenti e luoghi impensati: la Madonna dei Fiori, della Rosa, dell’Olmo, del Salice, del Frassino, della Quercia... O ancora, eccola in atteggiamento materno, con in braccio il Bambino che tiene tra le mani una rondinella, o un cardellino. E poi, la Madonna vigila con amore sulle attività dell’uomo e lo protegge: Madonna del Lavoro, del Mare, del Pozzo, delle Acque, del Fuoco, persino dei Soldati... Tutti questi e altri “titoli” con i quali Maria è venerata erano evidenziati da centinaia di incisioni, olografie, stampe antiche e “santini”, esposti in mostra. Un’occasione per ammirare “pezzi” di un’espressione artistica talora erroneamente definita minore e per ricordarci che “per Mariam ad Jesum”: Maria ci accompagna all’incontro con Gesù.

Dall’alto: un tipico presepe napoletano; Maria, in atteggiamento materno, tiene tra le mani una rondinella o un cardellino. In basso: altri presepi particolarmente originali, da muro e fatti con uova e mollette.

Mario Morra morra.rivista@ausiliatrice.net

IN CAMMINO CON MARIA

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Maria nei secoli

Le visite di Maria Francia: 1830 Rue du Bac, 1846 La Salette, 1858 Lourdes. Maria, Madre sempre premurosa verso i suoi figli, regala loro tre “visite” per proteggerli e incoraggiarli, esortarli e invitarli alla penitenza, mettendoli in guardia dai pericoli. “Fate quello che Lui vi dirà”.

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ecolo delle rivoluzioni: così è stato giustamente definito il secolo XIX. Con l’introduzione delle macchine nacquero la rivoluzione industriale e, con essa, l’urbanizzazione e i conflitti tra capitale e lavoro sicché la plurisecolare civiltà rurale, con i suoi riti e i suoi simboli, si avviò alla scomparsa. Di pari passo nuove idee, spesso ostili al Cristianesimo, si diffusero tra intellettuali e uomini politici. Tramontarono le antiche monarchie e i regimi liberali imposero dappertutto la democrazia parlamentare: chi ha più voti ha sempre ragione. Cambiò il modo di pensare e di vivere della gente ed alcuni di quei fenomeni iniziati o sviluppatisi nel secolo XIX continuano anche ai nostri giorni. Il Papa attuale, impensierito per le loro ripercussioni, li ha definiti “dittatura del relativismo”, cioè vero e falso, bene e male non esistono più.

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La Vergine di Lourdes ha infine un messaggio per tutti. Eccolo: siate donne e uomini liberi! Ma ricordate: la libertà umana è una libertà ferita dal peccato. Ha bisogno essa stessa di essere liberata. Cristo ne è il liberatore. Difendete la vostra libertà! Beato Giovanni Paolo II, pellegrino a Lourdes, 2004

Culla di questi profondi e complessi cambiamenti fu un paese europeo di antichissime tradizioni cristiane, la Francia. Forse proprio perché preoccupata dell’orientamento e delle conseguenze di queste vicende, la Vergine Santa scelse tre luoghi di quella nobile nazione per mostrare la sua sollecitudine materna e comunicare messaggi che invitano alla preghiera, alla penitenza e alla conversione.

La medagLia miracoLoSa “Questa nostra pietosa Madre è apparsa in forma e figura di gran Signora a due pastorelli, nella parrocchia di La Salette, e comparve per il bene di tutto il mondo” . Don Bosco

Nel 1830, a Rue du Bac, presso il monastero delle suore vincenziane, a Parigi, una giovane religiosa, Catherine Labouré, venne svegliata di notte da un angelo, apparsole con le sembianze di un bambino, la condusse in Chiesa dove la Vergine le si manifestò e le parlò. In occasione di successive apparizioni, la Madonna chiese a suor Labouré di far coniare una medaglia, promettendo grazie a tutti coloro che l’avrebbero portata con sé. Fu il direttore spirituale di questa suora, il padre Aladel, a convincere l’Arcivescovo di Parigi dell’origine soprannaturale dell’apparizione. Le medaglie furono coniate, secondo le indicazioni date dalla Madonna alla giovane suora. E la promessa della Vergine venne puntualmente confermata dalle innumerevoli guarigioni e dai favori spirituali ottenuti. I fedeli spontaneamente cominciarono a definire quella medaglia “miracolosa”. D’allora in


poi sono moltissimi coloro che la custodiscono devotamente e l’appendono al collo. In essa appare la giaculatoria che tutti conosciamo: “O Maria, concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a voi”.

Le lacrime di Maria a La Salette Qualche anno dopo, nel 1846, la Madonna apparve ancora a due pastorelli, Massimino Giraud e Melania Calvat, nei pressi di un villaggio alpino, a 1800 metri di altezza, La Salette. Nel parlare loro, come riferiranno senza mai contraddirsi anche a distanza di molti anni, la Madonna versò lacrime: è una Madre preoccupata per la sorte dei suoi figli che vede allontanarsi dal Vangelo ed aderire al male. Come sempre, i Pastori della Chiesa valutano con prudenza e saggezza gli avvenimenti. Il Vescovo di Grenoble, che esercita la sua giurisdizione su La Salette, dopo sei anni di attenta riflessione, dichiarò: “Noi giudichiamo che l’Apparizione della Madonna ai due pastorelli, il 19 settembre 1846, su una montagna della catena delle Alpi, situata nella parrocchia de La Salette, reca in se stessa tutti i caratteri della verità e i fedeli hanno fondate ragioni per crederla indubitabile e certa”. Sorse un Santuario ed un centro di accoglienza dei pellegrini che non hanno mai cessato di recarsi a La Salette per accogliere il messaggio di Maria ed impegnarsi nella vita cristiana.

Maria appare a Lourdes come l’Immacolata Ancora più celebre di questo luogo è il Santuario francese di Lourdes, noto in tutto il mondo. In questa cittadina ai piedi dei Pirenei la Madonna è apparsa per diciotto volte a Santa Bernardette Soubirous, nel 1858. Confermando il dogma proclamato dal Beato Papa Pio IX quattro anni prima, la stessa Madre di Dio, parlando nel dialetto compreso dalla piccola veggente, del tutto illetterata, si presentò come l’Immacolata Concezione. Richiese

Nel 1846, la Madonna apparve ai due pastorelli Massimino Giraud e Melania Calvat.

La Basilica di Lourdes, meta di milioni di pellegrini ogni anno.

di andare in processione nel luogo dove Ella era apparsa, presso il fiume Gave, e dove fece sgorgare quell’acqua miracolosa in cui milioni e milioni di pellegrini si bagnano e che ottiene la guarigione miracolosa di non pochi malati, come accertato dal rigorosissimo Bureau medical. Anche a Lourdes la Madonna ha lasciato un messaggio: “penitenza, penitenza, penitenza”. Don Bosco stesso, grande santo mariano del secolo XIX, raccontò ai ragazzi di Valdocco questi prodigiosi avvenimenti durante la novena dell’Immacolata Concezione dell’anno 1858. Mentre dunque il mondo cambiava nel secolo XIX la Madonna è venuta a visitarci. Si è presentata, splendida nella sua bellezza incomparabile ed indicibile, come tutti i veggenti hanno attestato, a ragazzi umili e poveri, religiosamente ignoranti e privi di cultura, secondo la logica prediletta dal Figlio. Ha fatto capire che la storia può assumere una direzione sbagliata e che gli uomini, dimentichi di Dio, facendo un uso improprio della libertà, possono trascinare il mondo verso il male creando disordini materiali e morali, grandissime sofferenze, distruzione e morte. Non è forse quanto sta accadendo, da tanto tempo oramai, sotto i nostri occhi e ai nostri giorni? Come spiega il più grande mariologo vivente, René Laurentin, la Madonna, essendo la più vicina a Cristo, è, nella comunione dei Santi, anche la più vicina ai membri del suo Corpo Mistico, la Chiesa. Per questo motivo, Ella viene a visitarci con bontà e gentilezza e, per evitare che disastri irreparabili si abbattano, al mondo intero, soprattutto ai cristiani, ripete incessantemente, anche se con parole diverse, quello che disse a Cana di Galilea: “Fate quello che Lui vi dirà”. Roberto Spataro spataro.rivista@ausiliatrice.net

MARIA NEI SECOLI

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Maria nei secoli

Al Prado, una Maria “bambina” L’opera è una delle ultime realizzate dal pittore spagnolo. L’artista ha rappresentato una Madonna giovane, poco più di una bambina, per sottolinearne l’assoluta purezza. Il dipinto, sottratto dai francesi durante l’occupazione napoleonica, è tornato in Spagna soltanto nel 1941.

E

steban Murillo nacque in Spagna, a Siviglia, il primo gennaio 1618, ultimo di quattordici fratelli. Rimasto precocemente orfano, fu allevato dalla sorella che lo mise a bottega dal pittore Juan Castillo. Lì, oltre la pittura spagnola coeva, conobbe quella fiamminga. I suoi primi lavori furono influenzati dalle opere di artisti iberici come Zurbaran, Ribera e Alonso Cano. Presto si rese autonomo, impostando uno stile personale. I suoi quadri acquisirono importanza coincidendo col gusto borghese e aristocratico, specie nelle tematiche religiose. Nel 1645 dipinse ben tredici tele per il chiostro della chiesa di “San Francisco el Grande” a Siviglia, tra le opere che più lo resero famoso. In seguito, la realizzazione di due quadri per la Cattedrale di Siviglia segnò l’avvio della sua specializzazione nelle due tematiche che più gli diedero notorietà: le Vergini con il Bambino e le Immacolate.

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daLLe teLe Su San franceSco a QueLLe con fanciuLLe e gioVani Dopo due anni a Madrid, tra il 1658 e il 1660, tornò a Siviglia dove cooperò alla fondazione dell’Accademia di Pittura di Siviglia della quale fu direttore, condividendo la carica con l’artista Herrera de Mozo. Per i Cappuccini di Siviglia Murillo eseguì una serie di tele per narrare le vicende di San Francesco; le opere si salvarono durante l’invasione napoleonica e furono restaurate dal pittore sivigliano Joaquìn Bejarano (per ringraziarlo, i frati gli regalarono la pala centrale che ora si trova a Colonia). Murillo dipinse anche soggetti non religiosi; famose sono le sue tele di genere con fanciulle, giovani e pitocchi inserendosi nell’alveo fecondo della pittura realistica spagnola. Morì a Cadice il 3 aprile 1682.


Una schiera di angioletti tutti uguali, tranne uno L’Immacolata - detta anche de los Venerables o Immacolata Soult - è conservata nel museo madrileno del Prado. Fu commissionata nel 1678 da don Justino de Neve per uno degli altari della chiesa dell’ospizio de los Venerables di Siviglia. Sottratta dai francesi durante l’occupazione napoleonica (dal maresciallo Nicolas Jean-de-Dieu Soult), dopo una permanenza al Louvre, ritornò in Spagna nel 1941. L’opera è una delle ultime realizzate dal Murillo e risale ai tempi della sua piena maturità. Il pittore ha rappresentato una Madonna giovane, poco più di una bambina, per sottolineare la sua assoluta purezza: non è stata toccata dalla macchia del peccato originale. Poggia i piedi su una eterea nuvola, e dal bordo delle vesti spunta una falce di luna, con evidente riferimento al testo dell’Apocalisse: «la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle» (Ap 12, 1-2). Dalla tunica bianca si sprigiona una forte luminosità accentuata dal contrasto con il mantello blu; tutto del suo atteggiamento, le mani raccolte sul seno e lo sguardo rapito verso l’alto, evidenziano lo stato di soprannaturale felicità. Attorno al corpo, un’aura di luce accoglie la schiera di piccoli e paffuti angioletti, tutti con lo stesso sembiante, eccetto uno in basso a destra, dal viso fortemente caratterizzato, che forse è il ritratto di un piccolo parente o il figlio di un amico. Natale Maffioli maffioli.rivista@ausiliatrice.net MARIA NEI SECOLI

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La Parola qui e ora

Che cercate? Venite e vedrete L’incontro di Gesù con i primi discepoli. È nell’ordinario della vita quotidiana che si riconosce l’evento nuovo e unico, la presenza del Messia, come annuncia Andrea a suo fratello Pietro. Ma per “trovare” il Signore, bisogna cercarlo.

L’uomo spesso vive nella cecità, brancola nel buio dell’autosufficienza e dell’autoreferenzialità. Gesù ci invita invece a vederlo, a cercarlo ogni giorno in semplicità.

Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa Maestro –, dove dimori?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro. (Gv 1, 35-42)

S

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iamo tornati nel tempo ordinario, non caratterizzato da alcuna speciale ricorrenza. E viene scelta una pagina di Vangelo che sottolinea appunto le cose ordinarie e fondamentali: «Chi sei?», «Dove abiti?». I nuovi discepoli si

fermano a “casa” di Gesù, stanno con lui: come noi andiamo a trovare amici e conoscenti, possibilmente senza obblighi o calcoli mondani, ma proprio per passare il tempo insieme, conoscersi, consolidare i legami di amicizia fra le persone.


Settimanale della Chiesa torinese

il nostro tempo Settimanale cattolico nazionale

Marco Bonatti

Corso Matteotti 11, 10121 Torino Tel. 011.5621873 - Fax 011.533353 e-mail: abbonamenti@prelum.it

ENZO BIANCO

Invito a scoprire Don Bosco

nel Bicentenario della nascita (16 agosto 2015) BIANCO ENZO

don BoSco La Vita per i ragaZZi • La data

• L’invito

Conoscenza della storia di Don Bosco Pedagogia di Don Bosco Spiritualità di Don Bosco Missione di Don Bosco con i giovani e per i giovani.

Editrice Elledici libretto racconta Pagine 96,•€Questo 6,50 Don Bosco, nato il 16 agosto 1815, ha ormai 200 anni ma non li dimostra. È Con Don Bosco, da duecento anni il bambino al centro. giovane come il movimento spirituale Ma con Gesù, il bambino al centro da duemila. la Famiglia Salesiana - a cui ha dato vita. Questo libretto, finalizzato alla conoscenza di Don Bosco, racconta: la storia del Santo, il suo progetto pastorale (il bambino collocato al centro, sull’esempio di Gesù), l’origine dei Salesiani e della loro Congregazione, e infine come è sorta la Famiglia Salesiana.

DON BOSCO LA VITA PER I RAGAZZI

In realtà il messaggio è un altro: è nell’ordinario che si riconosce l’evento nuovo e unico, la presenza del Messia, come annuncia Andrea a suo fratello Pietro. Il fatto è che, per “trovare” il Signore, bisogna cercarlo. Lo spiega Agostino: «Solo cercandolo si lascerà trovare; non lo cercheremmo se non l’avessimo trovato; trovarlo è cercarlo ancora: vederlo è non essere mai sazi di desiderio. Fa’ che stanco non smetta di cercarti, ma cerchi il tuo volto sempre con ardore. Dammi la forza di cercare. Tu che ti sei fatto incontrare, e mi hai dato la speranza di sempre più incontrarti. Davanti a te sta la mia forza e la mia debolezza: conserva quella, guarisce questa. Davanti a te sta la mia scienza e la mia ignoranza: dove mi hai aperto, accoglimi al mio entrare; dove mi hai chiuso, aprimi quando busso. Fa’ che mi ricordi di te, che intenda te, che ami te». Dio è dentro di noi, nell’ordinario della nostra vita quotidiana. Ed è lì che, liberamente, possiamo cercarlo, scoprendo nello stesso tempo che di ordinario, in un’esistenza salvata, non c’è nulla.

Indagine sul Santo nel Bicentenario della nascita (16 agosto 2015)

marco.bonatti@lavocedelpopolo.torino.it LA PAROLA QUI E ORA

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Amici di Dio

Come Dio, per grazia San Basilio Magno Vescovo, fondatore della Basileide e indomito difensore della fede cattolica contro l’eresia ariana. Fu l’ispiratore del monachesimo orientale che influenzerà quello occidentale di Benedetto, ed è un Maestro di vita spirituale anche per noi.

A

ll’uomo contemporaneo, moderno o post moderno, che ha ancora il coraggio di chiedersi «Che cos’è l’uomo?» o «Che cosa ci faccio in questo mondo?», così risponde Basilio: «L’uomo è una creatura che ha ricevuto da Dio l’ordine di diventare Dio per grazia». Non c’è male. Cercate in tutti i filosofi o scrittori un obiettivo così grande e impegnativo. Altro che “pensiero debole” o progetti a breve termine nutriti di pessimismo e nichilismo. Basilio lega il destino dell’uomo a Dio stesso. Il motivo? Semplice: perché Dio, in Cristo, ha legato il proprio “destino” al nostro. Per sempre. C’è qualcosa di più grande e permanente dell’Essere supremo fondamento di tutti gli esseri? Questo Dio deve essere sempre davanti agli occhi del giusto: la vita quindi sarà un pensare e lodare Lui.

aLLa ricerca deLLa propria VocaZione Basilio nacque a Cesarea di Cappadocia (attuale Turchia) nel 329. Da una famiglia agiata economicamente e ricca sul versante culturale e cristiano. Respirò fin da bambino i valori cristiani vissuti anche a costo di sacrifici. I suoi nonni paterni ad esempio godevano dell’aureola di martirio, perché durante la persecuzione per sette anni vissero nascosti nei boschi. Respirò in famiglia anche l’ideale monastico, che non lo lascerà mai. Gli studi li fece a Cesarea, a Costantinopoli ed infine ad Atene, dove ebbe la

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Il pensiero di Dio una volta impresso come sigillo nella parte più nobile dell’anima, si può chiamare lode di Dio, che in ogni tempo vive nell’anima... L’uomo giusto riesce a fare tutto alla gloria di Dio, così che ogni azione, ogni parola, ogni pensiero hanno valore di lode.

fortuna di conoscere Gregorio Nazianzeno (diventeranno grandi amici). Conobbe anche un certo Giuliano (l’Apostata). E l’ideale monastico? Sempre presente. Ma era veramente la sua vocazione? Si accorse di avere ancora bisogno di discernimento. Ed eccolo viaggiare e visitare monaci ed eremiti armeni, palestinesi, egiziani... Ammirato dalla loro radicalità di vita secondo il Vangelo divenne monaco. Ma continuava a riflettere. Ed arrivò la domanda cruciale: «Ma l’amore del prossimo dove lo praticavano, se vivevano isolati?». Aveva intuito che per amare Dio non bastava la contemplazione, ci voleva anche l’azione fatta di istruzione


Dio” per grazia... di Dio. Aveva organizzato bene anche i finanziamenti (benefattori) e senza il ministero della Sanità dell’Impero Romano. E qui ritorna sulla scena Giuliano: era imperatore. Questi sentendo parlare dell’opera si infuriò con i governatori perché nonostante il tanto denaro pubblico e le “risorse umane” (schiavi) non erano riusciti a fare niente di simile, mentre “quello” senza appoggi politici... Dimenticava che dietro Basilio c’era un Altro. ai poveri, di opere di carità e di sopportazione dei propri fratelli (vita insieme). Nacque il progetto del “cenobio” (vita in comune). Le sue intuizioni poi confluirono nelle famose Regole, che avranno un influsso enorme sulla Chiesa. Benedetto da Norcia lo chiama “il beato padre san Basilio” riconoscendone così il merito.

dio “coLLaBora” con noi

BaSiLio VeScoVo contro VaLente imperatore Sacerdote nel 364 diventò subito collaboratore del Vescovo Eusebio di Cesarea e alla sua morte ne raccolse la missione. Non era ricco di anni (solo 40) ma lo era di esperienza, di cultura e di coraggio che dimostrò subito. Prima di tutto nel difendere la fede cattolica contro l’imperatore Valente, seguace dell’arianesimo. Basilio si era rifiutato di sottoscrivere una dichiarazione in favore di esso. Era una vera ribellione. Ecco i due contendenti: un Vescovo cattolico malaticcio, povero e armato solo di cultura e di fede in Dio. E l’imperatore romano con il suo immenso potere. Chi vincerà? Strano ma il più forte cedette. Valente capì chi aveva davanti e lasciò perdere. Anzi, in seguito si avvalse proprio della sua “consulenza” per alcune questioni ecclesiali donandogli, come ricompensa, dei terreni usati subito per costruire la Basileide o Città di Basilio. Si trattava di un ospedale con reparti separati e specializzati, secondo le malattie. Diceva che anche i malati erano chiamati a “diventare

O abisso della bontà e dell’amore di Dio! Ma noi nonostante questo smisurato amore, ci sottraiamo al suo servizio. Perché Dio è in mezzo agli uomini? Gli uomini ne indagano il motivo mentre dovrebbero adorare la sua bontà. O uomo, che fare con te? Finchè Dio rimane nelle altezze, tu non lo cerchi; quando discende accanto a te e conversa con te nella carne, non lo accogli ma cerchi il motivo per il quale hai potuto diventare familiare con Dio. (da Omelia sulla Natività di Cristo 2-3)

Basilio è anche un Dottore della Chiesa per le sue opere di teologia, di esegesi e di ascesi. A differenza del fratello Gregorio di Nissa un vero speculativo, lui era pratico ed essenziale. In questi scritti si dimostra un maestro spirituale ed un padre per tutti. Su un concetto ritorna sovente: Dio è il bene sommo dell’uomo, e possedere Lui è realizzarsi come uomini, perché è la misura e la fonte della felicità. E’ necessario però “camminare alla presenza di Dio” cioè praticare una costante ascesi per attuare la conformazione a Cristo e per non ostacolare lo Spirito in noi. Anche all’uomo di oggi Basilio propone l’immagine di un Dio non “nemico” ma “cooperatore” della sua grandezza e felicità. Per cui l’uomo, ogni uomo, è chiamato a «diventare Dio per grazia» di Dio. Ecco la sfida che, secondo Basilio, Dio lancia all’uomo di tutti i tempi. Mario Scudu archivio.rivista@ausiliatrice.net

Articolo tratto da Anche Dio ha i suoi campioni di Mario Scudu. AMICI DI DIO

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Chiesa viva

Cari fratelli, il male esiste! La forte riflessione che Benedetto XVI ha condiviso con i suoi compatrioti.

N

on dobbiamo tacere il fatto che il male esiste!». Papa Ratzinger, il Papa venuto dalla Germania, dal 22 al 25 settembre scorso è tornato in visita pastorale alla sua patria, e in 16 densi interventi ha guidato i suoi concittadini a rimeditare la loro fede. Filo conduttore è stato il problema del male, evidente in tante pagine della recente storia tedesca, ma anche nell’esperienza quotidiana di ogni uomo. Male che percepiamo già nei telegiornali. I quali cominciano sempre con un “buon giorno”, e poi spiegano perché non lo è.

iL maLe deLLe dittature «Cari fratelli e sorelle - ha ricordato il Papa ai suoi compatrioti -, avete dovuto sopportare una dittatura “bruna” [nazista] e una “rossa” [comunista], che per la fede cristiana avevano l’effetto che ha la pioggia acida... La maggioranza della gente in questa terra vive ormai lontana dalla fede in Cristo e dalla comunione della Chiesa» [Erfurt, 24 settembre, Omelia]. Papa Benedetto ha richiamato «la Shoah, l’eliminazione dei concittadini ebrei in Europa. Prima del terrore nazista in Germania viveva circa mezzo milione di ebrei, che costituivano una componente stabile della società tedesca. Dopo la seconda guerra mondiale, la Germania fu considerata come il Paese della Shoah in cui come ebrei non si poteva più vivere... Il terrore del nazionalsocialismo si fondava su un mito razzista, di cui faceva parte il rifiuto del Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, del Dio di Gesù Cristo e delle persone credenti in Lui. L’onnipotente di cui parlava Adolf Hitler era un idolo pagano. Di che cosa sia capace l’uomo che rifiuta Dio, l’hanno rivelato le orribili

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immagini provenienti dai campi di sterminio» [Berlino, 22 settembre].

iL maLe neL mondo di oggi Passando al tempo presente, il Papa ha espresso la sua inquietudine per la Chiesa: «Da decenni assistiamo a una diminuzione della pratica religiosa, constatiamo un crescente distanziarsi di una parte notevole di battezzati dalla vita della Chiesa» [Friburgo, 25 settembre, Discorso]. Parlando ai giovani nella veglia notturna a Friburgo si è richiamato esplicitamente alla fragilità umana: «Noi sperimentiamo sempre di nuovo il fallimento dei nostri sforzi e l’errore personale, nonostante le nostre buone intenzioni». Quindi ha segnalato la presenza del male negli stati, nei singoli, e nella Chiesa. Negli stati: «Il mondo in cui viviamo, nonostante il progresso tecnico, a quanto pare non diventa più buono. Esistono tuttora guerre, terrore, fame e malattia, povertà estrema e repressione senza pietà. E anche quelli che nella storia si sono

Esistono ancora guerre, fame e povertà estrema “Voi siete la luce del mondo“ . In queste situazioni siamo chiamati a far risplendere nel mondo la luce di Dio con la nostra carità.


ritenuti portatori di luce, senza però essere stati illuminati da Cristo unica vera luce, non hanno creato alcun paradiso terrestre, bensì dittature e sistemi totalitari». Nei singoli: «Il male esiste. Lo vediamo in tanti luoghi di questo mondo, ma anche – e questo ci spaventa – nella nostra stessa vita. Sì, nel nostro cuore esistono inclinazione al male, egoismo, invidia, aggressività». Nella Chiesa. Il Papa ritiene che «il danno per la Chiesa non viene dai suoi avversari, ma dai cristiani tiepidi. “Voi siete la luce del mondo“… Anziché mettere la luce sul lampadario, si può coprirla con un moggio. Chiediamoci: quante volte copriamo la luce di Dio con la nostra inerzia e ostinazione, così che essa non può risplendere?». Fin qui il Papa ai giovani, nella veglia.

aLLora, che fare?

Nello spirito dell’insegnamento di Gesù, ci vuole un cuore aperto, che si lasci toccare dall’amore già nella preghiera.

«La Chiesa non deve forse cambiare? Non deve forse adattarsi al tempo presente, per raggiungere le persone di oggi che sono alla ricerca e in dubbio? A Madre Teresa fu chiesto quale fosse la prima cosa da cambiare nella Chiesa. La sua risposta fu: “Lei e io!”» [Friburgo, 24 settembre, Discorso]. Il Papa ha ricordato che «Dio rispetta la nostra libertà, ma attende il nostro sì. Dio, l’Onnipotente, esercita il suo potere in maniera diversa da noi uomini: ha posto un limite al suo potere, riconoscendo la libertà delle sue creature. Noi siamo riconoscenti per il dono della libertà, ma quando vediamo le cose tremende che a causa di essa avvengono, ci spaventiamo». Scendendo al concreto: «Affinché la sua misericordia possa toccare i nostri cuori, ci vuole apertura a Lui, libera disponibilità di abbandonare il male, di alzarsi dall’indifferenza e di dare spazio alla sua Parola. Dio rispetta la nostra libertà, non ci costringe. Egli attende il nostro sì, e per così dire lo mendica» [Friburgo, 25 settembre, Omelia].

Le condiZioni per Vincere iL maLe Molte ne ha indicate il Papa. Per esempio: «Cari amici, il rinnovamento della Chiesa, che può realizzarsi solo attraverso la disponibilità alla conversione, e una fede rinnovata». Perciò «la vita cristiana deve misurarsi continuamente su Cristo: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù” (Fil 2,5)». Altre condizioni: Il servizio alla Chiesa «richiede anzitutto una competenza oggettiva e professionale». Ma prosegue, «nello spirito dell’insegnamento di Gesù, ci vuole di più: il cuore aperto, che si lasci toccare dall’amore». In concreto «nella preghiera, nella partecipazione alla Messa domenicale, nella meditazione della Sacra Scrittura e lo studio del Catechismo della Chiesa Cattolica…» [Friburgo, 25 settembre, Omelia]. C’è qualcosa da imparare anche dagli angeli… «San Bonaventura disse una volta che gli Angeli, ovunque vadano, per quanto lontano, si muovono sempre all’interno di Dio». Quindi imparare da loro a andare verso gli altri, rimanendo sempre radicati nel Signore [Friburgo, 25 settembre, Discorso ai seminaristi]. Così si è espresso Benedetto XVI durante la visita pastorale in Germania, percorrendo il fil rouge del male nel mondo. E Robert Spaemann, dell’Università di Monaco, ha sintetizzato: «Il Papa ha toccato il cuore di noi tedeschi. E ci ha ridato la gioia di essere cristiani». Enzo Bianco bianco.rivista@ausiliatrice.net

CHIESA vIvA

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Chiesa viva

Come conoscere la bellezza del Vangelo Il cristiano non può mai pensare che credere sia un fatto privato, perché la fede implica una testimonianza e un impegno pubblici. Non si cammina mai soli, ma in compagnia: la testimonianza e l’annuncio possono aprire il cuore di quanti sono in ricerca della verità.

P

er dare impulso alla missione della Chiesa «di condurre gli uomini fuori dal deserto, in cui spesso si trovano, verso la vita e l’amicizia con Cristo», Benedetto XVI indice un “anno della fede” che inizierà l’11 ottobre 2012 – nel 50° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II da parte del beato Giovanni XXIII – e che terminerà il 24 novembre 2013, solennità di Cristo Re dell’universo: «Sarà un momento di grazia e di impegno per una sempre più piena conversione a Dio, per rafforzare la nostra fede e annunciarlo con gioia all’uomo del nostro tempo». Il pontificato di Papa Ratzinger ha nella “nuova evangelizzazione” la chiave di lettura più importante e insistente. Lo documentano alcuni fatti: l’insistenza con cui ne parla quasi ogni giorno; l’istituzione, il 21 settembre 2010, del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, affidato all’arcivescovo lombardo Salvatore Fisichella; la decisione di dedicare il XIII Sinodo dei Vescovi, che si svolgerà in Vaticano dal 7 al 28 ottobre 2012, al tema “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”. Durante il primo incontro internazionale dei “nuovi evangelizzatori” – figura inedita nel panorama ecclesiale – sabato 15

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L’anno della fede punterà anche sull’importanza del sentirsi Chiesa, parte cioè di una cordata che punta in alto.

L’uomo non può eludere le domande che toccano il significato di sé e della realtà ma spesso viene allontanato dalla ricerca dell’essenziale e gli viene proposta una felicità effimera che lascia solo tristezza e insoddisfazione.

e domenica 16 ottobre, alla Concelebrazione eucaristica e poi all’Angelus, Papa Benedetto ha dato l’annuncio dell’“anno della fede”: «Voi siete tra i protagonisti dell’evangelizzazione nuova che la Chiesa ha intrapreso e porta avanti, non senza difficoltà, con lo stesso entusiasmo dei primi cristiani, e voi siete impegnati sulle frontiere della nuova evangelizzazione. Imparate da Maria a essere umili e coraggiosi, semplici e prudenti, miti e forti». L’annuncio del Vangelo nei Paesi di antica tradizione cristiana era una missione che Giovanni Paolo II indicò alla Chiesa come sfida urgente e appassionante, soprattutto dell’Occidente materialista in preda al relativismo più sfrenato. Il pontefice inquadra nella nuova evangelizzazione il senso teologico della storia: «I rivolgimenti epocali e il succedersi delle grandi potenze stanno sotto il supremo dominio di Dio; nessun potere terreno può mettersi al suo posto. La teologia della storia è un aspetto essenziale della nuova evangelizzazione perché gli uomini del nostro tempo, dopo la nefasta stagione degli imperi totalitari del XX secolo, hanno bisogno di ritrovare uno sguardo complessivo sul mondo e sul tempo, uno sguardo libero e pacifico che il Concilio Vaticano II ha trasmesso nei suoi documenti, e che Paolo VI e Giovanni Paolo II hanno illustrato con il loro magistero».


La nuova evangelizzazione deve sempre essere preceduta e accompagnata dalla preghiera e «ogni missionario deve tener presente che è il Signore che tocca i cuori chiamando le persone alla fede» e che, per essere efficace e fedele, la evangelizzazione «ha bisogno della forza dello Spirito». I nuovi evangelizzatori «sono chiamati a camminare per primi in questa via che è Cristo, per far conoscere agli altri la bellezza del Vangelo. Su questa via non si cammina mai soli, ma in compagnia: la testimonianza e l’annuncio possono aprire il cuore di quanti sono in ricerca della verità, affinché possano approdare al senso della vita».

Benedetto XVI, Beato Giovanni XXIII accanto una seduta del Concilio Vaticano II.

Con la lettera apostolica “Porta fidei”, 11 ottobre 2011, il Papa spiega motivazioni, finalità e linee direttrici dell’“anno della fede”: «Il cristiano non può mai pensare che credere sia un fatto privato perché la fede implica una testimonianza e un impegno pubblici. La fede, proprio perché è atto di libertà, esige la responsabilità sociale di ciò che si crede». Già Paolo VI indisse un “anno della fede”, dal 29 giugno 1967 al 30 giugno 1968, nel XIX centenario del martirio degli apostoli Pietro e Paolo, che si concluse con la “professione di fede del popolo di Dio”, uno dei più mirabili documenti di Papa Montini. Benedetto XVI ritiene che, trascorso mezzo secolo dall’apertura del Concilio, «sia opportuno richiamare la bellezza e la centralità della fede, l’esigenza di rafforzarla e approfondirla a livello personale e comunitario, in prospettiva missionaria». E questo vent’anni dopo la pubblicazione del “Catechismo della Chiesa Cattolica”, redatto dopo il Concilio Vaticano II, che avvenne con la costituzione apostolica “Fidei depositum” e che, significativamente, Giovanni Paolo II promulgò l’11 ottobre 1992, trentesimo anniversario dell’inaugurazione del Concilio. Pier Giuseppe Accornero redazione.rivista@ausiliatrice.net

L’uomo contemporaneo «è spesso confuso e non riesce a trovare risposta a tanti interrogativi che agitano la sua mente in riferimento al senso della vita e alle questioni più profonde. L’uomo non può eludere le domande che toccano il significato di sé e della realtà. Invece spesso viene allontanato dalla ricerca dell’essenziale e gli viene proposta una felicità effimera di un momento che lascia tristezza e insoddisfazione. Dobbiamo credere nell’umile potenza della Parola di Dio e anche se il male fa più rumore, c’è sempre il terreno buono per l’annuncio del Vangelo anche tra indifferenza, incomprensione e persecuzione». CHIESA viva

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Chiesa viva

…E tutto mi sa di miracolo Perché adesso Gesù non fa più miracoli, oppure bisogna chiederglieli per così tanto tempo che alla fine uno si stufa?

O

ggi Francesco ha un quesito importante: «Mia nonna vuole sapere perché quando Gesù viveva qui, fra gli umani, faceva miracoli a tutti quelli che glielo chiedevano, mentre adesso non ne fa più, oppure bisogna chiederglieli per così tanto tempo che alla fine uno si stufa». Bella domanda; talvolta me la faccio anch’io, ma adesso devo trovare velocemente una risposta. «Beh, forse gli uomini del suo tempo avevano più fede di noi», dico, subito contraddetta da un coro di proteste. «Non è assolutamente vero! Quelli avevano sempre Gesù con loro, potevano vederlo e parlargli, mentre noi non lo vediamo e dobbiamo soltanto credere che c’è!». «Allora, forse erano migliori di noi». «Ma dai! Se erano così buoni, perché l’hanno fatto morire in croce?». Ogni tentativo di spiegazione risulta poco convincente. Mi rifugio nella logica e nel buon senso. «A volte Dio non fa miracoli perché chiediamo cose contrarie al nostro vero bene o contrarie alla sua legge. E poi, lo ha detto Gesù stesso nel Vangelo che non dobbiamo mai smettere di chiedere, come ha fatto l’amico importuno che è andato a cercare il pane di notte. Lui ci ha insegnato a chiedere con fede, a chiedere tutti insieme, nel suo nome, con pazienza e insistenza di figli. Ha detto anche che se avessimo una fede piccola come un granello di senapa, ma autentica, potremmo spostare le montagne! Dunque non dobbiamo stancarci di pregare, ricordando anche che il tempo di Dio è diverso dal nostro. Poi, se impariamo a guardare con attenzione, ci accorgiamo che i miracoli esistono ogni giorno accanto a noi.

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Non vediamo il miracolo delle montagne che si spostano ma se guardiamo con fede alla nostra vita cogliamo ogni giorno le innumerevoli meraviglie che ci rimandano ad un Dio onnipotente e buono.

È un miracolo l’inizio di ogni vita umana: gli scienziati da secoli tentano di riprodurla in laboratorio senza riuscirci! È un miracolo l’avvicendarsi delle stagioni, come quello del giorno e della notte. Anche su questi fenomeni la scienza si è interrogata a lungo, riuscendo, dopo tanti studi e tanti errori, a scoprire le leggi che regolano l’universo». Il discorso sembra funzionare e ci porta a scoprire miracoli come la circolazione del sangue e il battito del cuore, la possibilità di avere una famiglia, una casa, la scuola, mentre i bambini di tante parti del mondo non hanno questa fortuna. Ci lasciamo con l’impegno di provare a credere sul serio e di pregare perché si realizzino i piccoli miracoli quotidiani necessari alla nostra serenità: la salute, la pace, il lavoro. L’ultima parola spetta alla timida Martina, che interviene accarezzandosi la lunga treccia bionda: «Sapete una cosa? Oggi Gian Luca non mi ha tirato i capelli nemmeno una volta! Non era mai successo: questo è davvero un miracolo!». Anna Maria Musso Freni redazione.rivista@ausiliatrice.net


Poster

Don Bosco, un grande italiano D

“Che cosa volete dunque fare? - Fare quel po’ di bene che posso ai giovanetti abbandonati adoperandomi con tutte le forze affinché diventino buoni cristiani in faccia alla religione e onesti cittadini in mezzo alla civile società” . (Don Bosco a colloquio con il marchese Roberto d’Azeglio, in Giovanni Bosco, Memorie dell’Oratorio, Editrice LAS Roma, pag. 183)

a qualche mese abbiamo finito le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia (1861-2011). L’inizio dell’avventura dell’Italia Unita fu il 17 marzo 1861, a Torino, che passava così da capitale del Regno di Sardegna a fresca capitale del neonato Regno d’Italia. E proprio a Torino il 17 marzo 2011, presente il Capo dello Stato, si dava inizio alle celebrazioni dell’anniversario. La città, ha mostrato tutto il suo fascino ospitando i grandi eventi di queste celebrazioni con mostre, spettacoli, e grandi raduni nazionali. Indimenticabili gli Alpini, i Bersaglieri, i Granatieri di Sardegna e i Carabinieri. Grande concorso di gente entusiasta, migliaia di tricolori alle finestre rimasti per mesi. Fatti tutti che hanno meravigliato i turisti di questi mesi, che credevano di trovare, secondo lo stereotipo, una città fredda e indifferente. Questa celebrazione è stata anche una buona occasione per ripensare storicamente i (cosiddetti) ‘padri della patria’. Furono rivisitati criticamente personaggi come Cavour, Vittorio Emanuele II, Garibaldi, Mazzini, Pellico ecc. La conseguenza? Qualcuno di questi è stato ridimensionato a livello politico, militare e umano. Collocati un po’ più in basso dal piedestallo in cui si trovavano. Insomma non sono stati solo questi personaggi già citati (e altri), idealizzati e imposti a scuola a generazioni di italiani: a “fare” l’Italia e gli Italiani sono stati tanti altri, anche sul versante della Chiesa Cattolica. Una puntualizzazione, questa, che trova sempre più consenso. Ne ricordiamo uno: Don Bosco. Decisamente un grande uomo, un educatore geniale, un fondatore di robusti ordini religiosi, e anche, perché no?, un grande italiano. Perché grande? Per quello che

ha fatto, e continua a fare oggi, mentre gli altri personaggi sono ormai solo… delle pagine di storia. Don Bosco era fiero di essere piemontese e fiero di essere italiano. Ha lavorato tanto per “fare gli italiani” sia con il suo impegno personale dal punto di vista spirituale, culturale, professionale, per quasi 50 anni, sia con l’impegno dei suoi Figli e Figlie (Salesiani e Suore Salesiane). Don Bosco si preoccupò molto anche di tanti italiani che erano costretti ad emigrare per lavoro. Ai suoi Figli Missionari raccomandava di aver cura prima di tutto di questi, perché non perdessero né l’identità cristiana né quella italiana. Provvidenzialmente da ragazzo aveva imparato tanti mestieri che poi insegnerà anche ai suoi ragazzi. Era convinto che attraverso il lavoro il giovane costruiva la propria identità, come cristiano e cittadino, e poteva inserirsi da protagonista nella società. Sarà lui stesso che continuerà i contatti con i suoi allievi ormai impegnati come garzoni presso i datori di lavoro. Fa impressione ed è tuttora un merito grandissimo per Don Bosco l’aver stilato nel 1852 uno dei primi contratti di lavoro per un suo ragazzo assunto a lavorare. Dopo 150 anni, nelle scuole salesiane, professionali o di altro tipo, si continua a formare “buoni cristiani e onesti cittadini”, cioè onesti italiani. Queste sono le parole di Don Bosco stesso che qualificano anche oggi l’impegno educativo della Famiglia Salesiana per migliaia di giovani. Mario Scudu archivio.rivista@ausiliatrice.net


RIvISTA MARIA AUSILIATRICE N. 1-2012


Non dobbiamo mai lasciarci sfuggire un’occasione che il Signore ci presenta per fare del bene. Camminate coi piedi per terra e col cuore abitate in cielo.


MARIA, GRANDE MARIA

AMOREVOLEZZA

Maria, grande Maria la più grande fra tutte le felici Marie, grandissima fra le donne Te vuole il mio cuore amare, la mia bocca lodare, la mia mente venerare, la mia anima pregare,. Madre Signora, dalla quale abbiamo un tale fratello, come ti potremo ringraziare e lodare?

Vorrei che mi insegnassi ad amare, Signore, semplicemente ad amare. Per questo sono pronto ad offrirti il mio cuore. Prendilo con te, perché impari a vivere.

S. Anselmo di Aosta (1033-1109), Vescovo e dottore della Chiesa

TU CHE CI AMI PER PRIMO O Dio che ci hai amato per primo Noi parliamo di te come un semplice fatto storico, come se una volta soltanto tu ci avessi amato per primo. E tuttavia lo fai da sempre. Molte volte, ogni volta, durante tutta la vita tu ci ami per primo. Quando ci svegliamo al mattino, e volgiamo a te il nostro pensiero, tu sei il primo, tu ci hai amato per primo. Se mi alzo all’alba e volgo a te in un medesimo istante, il mio pensiero, tu mi hai già preceduto, tu mi hai amato per primo. Quando mi allontano dalle distraizioni e mi raccolgo per pensare a te, tu sei stato il primo. E così sempre. E noi ingrati, parliamo come se una volta sola tu ci avessi amato così per primo. Soeren Kierkegaard (1813-1855), filosofo danese

Amare là dove mi trovo. Amare coloro con i quali mi trovo. Amare come hai detto tu ”Il prossimo come te stesso”. Ecco proprio quello che vorrei. Un amore vero che sia l’espressione del mio cuore. Un amore che io possa donare senza secondi fini. Un amore umano franco e generoso, maturato nel mio cuore, sotto la tua guida. Per questo ti affido il mio cuore, Signore, educalo bene, fagli conoscere tutte le dimensioni della tua missione. Singore, ti dono il mio cuore per questi grandi ideali. da Daniel Federspiel, Pregare con Don Bosco, Elledici


Don Bosco oggi

Siole ant l’asìl Le ricette di Mamma Margherita. Tra i ricordi dell’alpino Pietro, anche le cipolline mangiate in trincea.

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on era ad alta velocità il treno partito dalla stazione di Aquileia il 29 ottobre scorso e giunto a Roma il 2 novembre. Era un museo-sacrario che ripercorreva, con le stesse tappe e la stessa commossa partecipazione di popolo, il tragitto compiuto nel 1921 dal Milite Ignoto, simbolo dei caduti di tutte le guerre non identificati e forse insepolti. Dal 4 novembre 1921, il Milite Ignoto riposa presso l’Altare della Patria, custode di gloria e di pace, come aveva scritto un poeta soldato, nel sacello costruito con le rocce del Grappa. Ricordava bene quel viaggio il vecchio Petin (Pietro), unico reduce dalla Grande guerra in un piccolo borgo sui colli astigiani, e ne parlava spesso ai nipoti. Sopravvissuto ai compagni, avrebbe partecipato a una guerra più lunga e dolorosa, salvandosi anche dai campi di sterminio nazisti. Petin viveva di ricordi e di rimpianti, e tra i ricordi più belli c’era quello della processione che aveva riaccompagnato sul Grappa la statua della Madonna, semidistrutta dal combattimento del 14 gennaio 1918. La Madonnina, restaurata da un artista di Venezia, il 4 agosto 1921 fu ricollocata sulla cima di quel monte, dove l’aveva voluta nel 1901 il patriarca Giuseppe Sarto, futuro Papa Pio X. Con altri alpini, Pietro aveva portato a braccia la statua sino alla piccola cappella sulla cima.

In guerra anche un barattolo di semplici sottaceti poteva far sentire il calore di una mamma lontana.

Le guerre avevano segnato così profondamente l’animo del laborioso agricoltore, ex “ragazzo del ’99”, che non volle essere sepolto nella tomba di famiglia, ma nel Parco della Rimembranza antistante il cimitero, perché là avrebbe potuto ascoltare meglio, il 4 novembre di ogni anno, la banda musicale del paese che suona la “Canzone del Piave”. Con il rombo del cannone, il vecchio Pietro ricordava nostalgicamente anche i momenti di tregua e le cene in trincea, dove condivideva con i commilitoni le “siole ant l’asìl”. Erano, questi, sottaceti che sua mamma aveva preparato seguendo una ricetta conosciuta da generazioni (e chissà, forse, seguita anche da Mamma Margherita), e che lei aveva nascosto furtivamente nello zaino militare di Petin, salutando la tradotta che partiva per il fronte. Ecco la ricetta: togliere la pellicola esterna alle cipolline bianche piccole, sistemarle in barattoli di vetro e coprirle con un liquido bollente composto da mezzo litro di acqua, 3 dl di aceto, 20 g di sale. Chiudere il barattolo e gustare i cipollotti dopo due mesi, conditi con olio e pepe. Anna Maria Musso Freni redazione.rivista@ausiliatrice.net DON BOSCO OGGI

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Don Bosco oggi

Maria ci dona la gioia del cuore Maria ama e prega perché tutti possiamo sperimentare l’amore del suo Figlio. Allora la nostra vita diventa, come la sua, un inno alla gioia e la nostra preghiera si apre al ringraziamento e alla lode.

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aria è una mamma attenta a ciascuno dei suoi figli e vede che spesso il nostro cuore non è nella gioia e nella pace. Maria vuole che noi viviamo in grazia di Dio. Maria ci guarda uno per uno. La gioia riflette la grazia del cuore, manifesta la presenza del Risorto nei nostri cuori. Se sulla terra non splendesse il sole, sarebbe un inverno senza fine. Così quando nel nostro cuore non c’è Cristo Risorto, la notte scende nel nostro cuore e la gioia scompare dal nostro volto. La conversione è apertura del cuore per sperimentare in noi l’amore di Gesù che ci abbraccia con la sua tenerezza. Maria ci ama e prega per la nostra conversione, perché possiamo sperimentare l’amore del suo Figlio. Allora anche la nostra vita diventa, come quella di Maria, un inno alla gioia e la nostra preghiera si apre al ringraziamento e alla lode. don Pierluigi Cameroni Animatore spirituale pcameroni@sdb.org

ASSOCIAZIONE DI MARIA AUSILIATRICE

SiciLia Assemblea regionale – Domenica 18 Settembre 2011, a San Cataldo, elezioni del consiglio regionale di Sicilia. Sedici i centri ADMA partecipanti. Erano presenti anche gli animatori regionali, don Edoardo Cutuli e suor Carmelina Cappello, la vicaria ispettoriale delle FMA, suor Gina Sanfilippo, e l’animatore mondiale, don Pierluigi Cameroni, che ha ricordato lo spirito e il messaggio del VI Congresso Internazionale di Maria Ausiliatrice.

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madrid Nuovo consiglio ispettoriale – Un consiglio numeroso per animare le oltre 20 associazioni locali (nell’Ispettoria, diversi gruppi non sono inseriti direttamente in un’opera salesiana tradizionale), oltre a due coordinatori regionali per zone di La Mancha e Salamanca. La presidente è Gloria Blanco e l’animatore è don Anselmo Velasco.

torino Valdocco, XXI Giornata Mariana – È stata vissuta domenica 2 ottobre 2011, con la partecipazione di quasi 400 persone. Il tema della Giornata è stata la riconsegna dello spirito e degli impegni scaturiti dal grande evento del VI Congresso Internazionale di Maria Ausiliatrice. Sono entrate a far parte dell’ADMA 43 persone.

cucuta (coLomBia) Domenica 2 ottobre 2011, nella città di Cucuta, si è inaugurato il “Dispensario San Giovanni Bosco”, per le persone ammalate, e l’ufficio della parrocchia Maria Ausiliatrice. Il progetto è stato sostenuto dall’ADMA di quella città.

fiLippine

naVe (BreScia) Gruppo di coppie e famiglie giovani. L’itinerario proposto è in sintonia con il tema scelto dal Santo Padre per il VII Incontro mondiale delle Famiglie, che si svolgerà a Milano nel 2012: “La famiglia: il lavoro e la festa”.

29° incontro nazionale – Il 23 ottobre 2011, è stato festeggiato il 29° Incontro Nazionale, presso il pre-noviziato “Don Bosco” di Canlubang, Laguna. Vi hanno partecipato circa 300 soci ADMA provenienti dai diversi gruppi delle Filippine. In sintonia con il VI Congresso Internazionale, è stato scelto il tema: “Totus Tuus Maria, Man Saan Kailanman”.

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A casa di zia Jessy Grazie all’impegno dell’Associazione Giovanile Salesiana per il territorio, un edificio popolare del Comune offre unità abitative dedicate ad anziani, alla permanenza temporanea di persone e a famiglie affidatarie. E poi, ci sono uno “spazio anziani”, un’area bimbi attrezzata e altri locali comuni.

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er alcuni una grande città è sinonimo di solitudine ed indifferenza, ma per un gruppo di residenti di Torino dal 2008 esiste una nuova ed accogliente realtà, quasi un sogno che si concretizza: abitare “A casa di zia Jessy”. Questo il nome del “condominio solidale”, che si ispira al nome della via Romolo Gessi, adiacente a piazza d’Armi, dove è ubicato un immobile di proprietà del Comune, nel quale si è dato il via ad un interessante progetto.

un poSto per gente normaLe Si tratta di “un luogo diverso per gente normale” – come recita lo slogan coniato per questo modo di sperimentare l’integrazione e la solidarietà – unico per questa città e pensato per rispondere in modo innovativo a bisogni abitativi sempre più urgenti. Completamente ristrutturato da un edificio popolare dell’ATC, ha visto l’impegno di partner come la Divisione Servizi sociali e la Divisione Edilizia residenziale pubblica e periferie del Comune di Torino, il finanziamento della Compagnia di San Paolo, l’impegno di AGS per il territorio di Torino, coadiuvati da famiglie affidatarie di sostegno residenti nel medesimo stabile. In un “condominio solidale” chi abita è posto al centro di un progetto che tiene in considerazione la storia delle singole

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persone e dove ognuno è valorizzato e apprezzato come individuo unico. Gestito da AGS per il territorio – che ha vinto un bando pubblico promosso dal Comune – questo progetto fa capo a tre famiglie affidatarie che vivono permanentemente in condominio, alle quali sono “affidati” i nuclei segnalati dai servizi sociali. Ha come obiettivi principali quello di sperimentare un modello di convivenza nel quale garantire percorsi di autonomia e sviluppo per soggetti “fragili” che terminano un iter assistenziale classico, e quello di dare l’opportunità di esercitare protagonismo e cittadinanza attiva ai nuclei di anziani residenti (in via permanente) e alle famiglie con bambini (in via transitoria, per un periodo di 18 mesi) in uno scambio reciproco fatto di accoglienza e condivisione tra persone con provenienze e storie diverse, per non ghettizzare od essere ghettizzati, superando le differenze in modo transgenerazionale e transculturale.

una marcia in piÙ Una forte azione di “accompagnamento solidale” è un qualcosa con una marcia in più rispetto all’assistenza sociale comunemente intesa, perché portata avanti da chi ha da sempre l’obiettivo di creare

Anziani, bimbi, famiglie sono la forza del “condominio solidale” realizzando una comunità che cresce nello scambio reciproco di esperienze e solidarietà.


INFO web www.condominiosolidale.org

un mondo migliore. La “ricetta” è composta da diciotto unità abitative dedicate ad anziani, che erano in lista di attesa per l’assegnazione di appartamenti di edilizia popolare (alcuni con problemi legati principalmente al loro stato di salute) e che finalmente sono visti come risorsa, come possibile sostegno e aiuto per lo sviluppo del progetto stesso; da altri otto alloggi dedicati alla permanenza temporanea di persone “in uscita” da un percorso assistenziale (in genere donne sole con figli minori, che sono accompagnate nella ricerca di una casa e di un’occupazione); e ancora, quattro unità abitative riservate a famiglie affidatarie – l’ingrediente principale che serve da lievito – cioè nuclei familiari composti da una o più persone che con spirito di servizio si sono rese disponibili a risiedere nel condominio e a prendere in affido le persone che temporaneamente vi abitano, accompagnandole verso i loro obiettivi individuali. A piano terra, poi, c’è uno “spazio anziani”, in gestione alla Circoscrizione 2, che offre servizi di assistenza a tutti i residenti della zona, e alcuni locali comuni, con una area bimbi attrezzata, una grande sala, una zona cucina: qui si stanno avviando alcune iniziative di promozione per il territorio ed è qui dove l’équipe si ritrova.

microcoSmo ideaLe La gestione di questo microcosmo ideale (per sei anni, rinnovabili) avviene, infatti,

ad opera di una “squadra” formata da famiglie affidatarie, dalla coordinatrice del progetto, da educatori e facilitatori delle Cooperative Sociali E.T. e da “Un Sogno per Tutti”, entrambe socie AGS per il territorio. Tramite il sostegno reciproco e la partecipazione ad attività di socializzazione si vuole far raggiungere la definitiva autonomia dei residenti in via temporanea, e il consolidamento del condominio stesso in qualità di risorsa come network virtuoso anche dopo il termine dell’esperienza abitativa e la definitiva autonomia, in modo da “produrre” emulazione positiva per tutti coloro che l’avranno attraversata. Indispensabili la programmazione e la gestione partecipata creando uno spazio aperto al territorio, che crei uno “scambio” di esperienze e risorse tra questa realtà particolare di convivenza e la realtà sociale del quartiere nel quale il condominio è presente. Nato come risposta alternativa a richieste di case popolari sempre più varie e imprevedibili fino a qualche decennio fa, ispirato a modelli di housing nordeuropei, grazie alle caratteristiche dei Cooperatori Salesiani, è un perfetto equilibrio di pubblico, privato e sociale low cost per il servizio che speriamo venga “copiato ed esportato” il più possibile. Anna Rita Messe redazione.rivista@ausiliatrice.net

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Pierre Octave Fasani, salesiano Si può essere religiosi e anche artisti. Donò a Papa Giovanni Paolo II un ritratto che lo mostra in compagnia di Don Bosco, e l’opera è entrata a far parte delle collezioni vaticane.

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i può essere religiosi e anche artisti. Una scelta di vita non esclude l’altra. E Pierre Octave Fasani era, appunto, salesiano e artista. Capire la sua arte vuol dire entrare nel profondo del suo cuore: la scelta fondamentale della sua vita è stata per il Signore alla sequela di Don Bosco, ed è per questo che il suo impegno di artista affonda le radici nella sua apertura all’assoluto divino. Pierre Octave era nato a Bourg Saint Maurice, in Francia, il 18 aprile 1925 in una famiglia di origine bresciana, emigrata per ragioni di lavoro. Sin da giovanissimo dimostrò uno spiccato interesse per le arti grafiche e dopo la scuola elementare approdò a San Benigno Canavese (Torino), nell’istituto salesiano per la formazione professionale, ove dimostrò interesse per l’ebanisteria e la scultura. Entrò nel mondo dell’arte figurativa con un’esposizione personale alla galleria Carver di Torino, dove Carlo Carrà lo notò e lo incoraggiò. Con l’entusiasmo

Alcune delle opere di Pierre Octave Fasani, l’artista salesiano noto per la sua tecnica del bois brulé con la quale realizzò una celebre Via Crucis.

una dupLice tenSione foto Mario Notario

Nel 2000 l’incontro tra Pier Octave Fasani e Giovanni Paolo II al quale donò un ritratto che lo mostra in compagnia di Don Bosco, oggi parte delle collezioni vaticane.

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che lo caratterizzava, si gettò a capofitto affermandosi nel 1962 con la grande opera “Cristo delle Genti”, che fu esposta a Roma in occasione del Concilio Vaticano II. Nel 2000, Pier Octave Fasani incontrò il pontefice Giovanni Paolo II nella sua visita all’antica Abbazia benedettina di Fruttuaria. In quell’occasione donò al Papa un ritratto che lo mostra in compagnia di Don Bosco, e che è entrato a far parte delle collezioni vaticane. Morì a Torgnon (Aosta) il 6 agosto 2004, giorno della Trasfigurazione del Signore.

La storia dell’arte annovera grandi artisti religiosi, tutti vissuti immersi nel loro tempo, utilizzando un linguaggio artistico proprio del periodo in cui sono vissuti. Anche se non hanno certificato il loro stato di religiosi con i loro lavori, tuttavia hanno manifestato il fine del proprio vivere, la tensione verso il divino e da questa nasce la carità, l’amore verso il prossimo. Dunque, un religioso che è anche artista, manifesta questa duplice tensione nella sua arte. E Fasani è stato un religioso, che ha vissuto sulle orme di Don Bosco, ha manifestato il suo amore


o e pittore foto Mario Notario

foto Mario Notario

per Dio nella grande attenzione all’uomo, con tutte le modalità di un artista. La figura umana è stata sempre al centro della sua produzione artistica. Non ha mai creato grandi pale d’altare, ma lavori in cui esprimeva la sua partecipazione innanzitutto al vivere umano, alle sofferenze dell’uomo, alle sue gioie, agli affetti spezzati e anche alla speranza riposta in Cristo Signore e Salvatore.

iL doLore deLL’uomo Nelle opere di Pier Octave si intuisce che ha sentito in modo eminente il dolore degli uomini del suo tempo, forse facendosi carico di questo pesante fardello. Lo si vede specialmente nei volti di Cristo, spesso caratterizzati dai segni della passione, nelle sue Madonne con Bambino, dove non c’è mai il dialogo fatto di sguardi intensi tra madre e figlio, privilegiando il dono che Maria fa del Figlio suo all’umanità. Sono soprattutto i grandi cicli che ci offrono l’agio di entrare, anche se superficialmente (perché l’animo di ogni uomo e specialmente di un artista, non è facilmente decifrabile) nella sfera più intima dove il suo dono a Dio come religioso

alimenta le sue intuizioni di artista. La serie di dipinti dedicati all’Apocalisse, più che incentrata sulla fine dell’uomo e del mondo, mi pare aperta ad una riflessione sul fine dell’uomo. L’autore del testo sacro, usando immagini a dir poco inquietanti, si rivolge all’uomo vivente, al credente, e gli indica la direzione del suo operare per accogliere Cristo, Signore del tempo e della storia e far parte con lui, che è il Salvatore, del regno promesso. Fasani, forse suggestionato dalla tremende incisioni di Albrecht Dürer, evoca i flagelli, i tormenti descritti dall’agiografo, ma non solo questi. Le tavole ricche di luce che rappresentano la Donna vestita di Sole, oppure il mistico agnello infondono gioia e speranza e lo scalpitare dei suoi cavalli, più che verso la consumazione nella sofferenza, scandiscono la direzione della salvezza.

iL VoLto di criSto Le tavole della “Via Crucis” sfuggono alla tradizione iconografica del genere e hanno come singolare soggetto unicamente i volti di Cristo (dove sono evidenziati in particolare gli occhi) e dei personaggi che intervengono nella sacra evocazione. All’intensità dello sguardo è demandato il compito di manifestare ciò che non può essere espresso con i gesti. L’occhio è lo specchio dell’anima, aveva detto Gesù, e qui, davvero, l’incrociarsi degli sguardi intesse un dialogo che, partendo dal più profondo dell’animo, rivela i sentimenti più intimi e profondi. La stessa scelta del bois brülé (del legno bruciato) da tecnica pittorica assurge a valore religioso. Proprio perché il fuoco è un principio attivo e creatore e purificatore, diventa l’elemento più appropriato per incidere quel battesimo di sangue e di fuoco in cui il Cristo ha desiderato essere immerso. Qui il fuoco ha inequivocabilmente la valenza del “tutto è compiuto”, tutto è stato consumato. Natale Maffioli maffioli.rivista@ausiliatrice.net DON BOSCO OGGI

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Don Bosco oggi

Il “giro del mondo” di L’iniziativa voluta dal Rettor Maggiore in preparazione ai 200 anni della nascita del nostro Fondatore. Qui ricordiamo alcuni eventi e le tante emissioni filateliche in Paesi della sola America Latina.

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l pellegrinaggio dell’urna di Don Bosco, che sta attraversando i cinque continenti dove sono presenti i Salesiani, è una iniziativa voluta dal Rettor Maggiore Don Pascual Chávez Villanueva, in preparazione al bicentenario della nascita del Fondatore, che si celebrerà nel 2015. Partita dal Santuario di Maria Ausiliatrice di Valdocco-Torino il 25 aprile 2009, l’urna ha iniziato la peregrinazione nel Lazio per poi approdare nella “Regione Salesiana America Cono Sud”. Qui ricordiamo vari eventi e soltanto alcuni dei tanti francobolli che vari Paesi dell’America Latina hanno dedicato ai Salesiani. Il 29 giugno 2009 l’urna è stata accolta nella cattedrale di Santiago in Cile, prima tappa dell’avventura americana. In questo Paese, la Famiglia Salesiana è presente da 122 anni. Le Poste cilene hanno ricordato Don Bosco, in occasione del centenario della morte, e nel 1989 anche Laura Vicuña, nata appunto a Santiago, a ricordo della beatificazione. Il 18 luglio, l’urna è arrivata in Argentina e ha peregrinato nelle sue varie Regioni. Le Poste argentine hanno ricordato più volte vari momenti e iniziative dell’Opera Salesiana. Tra l’altro, nel 1986, il centenario della nascita di Ceferino Namuncurà, figlio dell’ultimo Cacicco, oppositore della conquista della terra da parte dei bianchi, educato dai Salesiani e primo argentino ad essere beatificato. Nel 1989 in ricordo del

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centenario della morte di Don Bosco con l’immagine della chiesa “Nostra Signora della Mercede” di Ushuaia, nella Terra del Fuoco, la missione salesiana più a sud del mondo.

un VoLo in BoLiVia Il 9 settembre la reliquia di Don Bosco arriva a Montevideo, in Uruguay; dal 29 ottobre al 15 novembre ha peregrinato in Paraguay e infine, in Brasile fino al 28 febbraio 2010. Poi, il “volo” in Bolivia: il 28 febbraio 2010 l’urna è giunta a Santa Cruz de la Sierra. Il 17 marzo l’urna ha fatto il suo ingresso in Perù. Il viaggio è proseguito fino al 7 aprile, toccando varie città dove sono presenti i Salesiani, in particolare la capitale Lima, dove nel 1891 giunsero i primi tre sacerdoti e nove suore. Numerosi i francobolli emessi da questi Paesi. L’8 aprile l’urna di Don Bosco è giunta a Huaquillas, in Ecuador; poi la capitale Quito e dopo ancora altre città sino al 28 aprile. L’inizio dell’attività salesiana in Ecuador è coinciso con la morte del fondatore, nel 1888. Il 25 maggio la reliquia arriva in Venezuela. Dopo Caracas, la sosta anche ad Amazonas dove giungono le popolazioni indigene; la peregrinazione in questo Paese si è conclusa il 16 giugno. Anche le Poste di questi Paesi hanno ricordato vari avvenimenti Salesiani. In particolare, il Venezuela ha emesso ben 20 francobolli a tema salesiano!


Don Bosco neLLa haiti deL dopo SiSma

patrono dei BimBi meSSicani

Il 17 giugno l’urna inizia il pellegrinaggio nelle Antille, nell’Ispettoria “San Giovanni Bosco” di Santiago de Cuba. Nell’isola caraibica si trattiene fino al 21 giugno passando per Camagüei, Santa Clara e L’Avana. L’attività nelle Antille ha avuto inizio nel 1897 a Curaçao, nelle Antille Olandesi. Fino al 24 giugno l’urna è pellegrina nelle missioni di Porto Rico. Il 25 giugno la “reliquia insigne” arriva a Santo Domingo, nella Repubblica Dominicana, dove i Salesiani sono presenti dal 1934. Le Poste del Paese hanno ricordato nel 1981, il centenario della morte di Madre Mazzarello e nel 1988, quella di Don Bosco. Il 9 luglio le reliquie sono giunte ad Haiti dove la popolazione ancora lotta contro le conseguenze del grave sisma che ha devastato il Paese a gennaio. Il 17 luglio l’urna è giunta a Città di Panama; poi è in Costa Rica, il 20 luglio: poi, in Nicaragua, il 24 luglio 2010. Tra i vari francobolli di questi Paesi, quello emesso il 9 aprile 2002 dal Nicaragua in ricordo di “Suor Maria Romero - Patrona de Centro America e Caribe”. Il 26 luglio l’urna è atterrata in Honduras, dove i Salesiani sono arrivati nel 1909. Le Poste dell’Honduras, nel 1990, hanno emesso due francobolli per ricordare questa circostanza; nel 2000 uno con l’immagine di Maria Ausiliatrice e nel 2001, un foglietto con 17 valori raffiguranti scene della vita del Card. Oscar Rodriguez Maradiaga, nato nel 1942, salesiano. Il 28 luglio le reliquie sono approdate a El Salvador. Qui, nel 1897 sono arrivati i primi Salesiani ed è partita l’espansione dell’Opera in Centro America. Le Poste di El Salvador nel 1966, per ricordare i 150 anni della nascita di Don Bosco hanno sovrastampato il francobollo emesso l’anno precedente.

E dopo, altre sei serie commemorative di avvenimenti Salesiani. Il 31 luglio l’urna è arrivata in Guatemala, dove i Salesiani sono giunti nel 1929. Il 4 agosto l’urna giunge in Messico, dove viaggia per circa 40 giorni tra le missioni salesiane, per concludere infine la visita nei Paesi Latino Americani. La Famiglia Salesiana è presente in Messico da 120 anni e l’urna ha visitato 40 città sparse in 19 dei 32 Stati del Paese, percorrendo oltre 15 mila chilometri. Don Bosco da 75 anni è stato ufficializzato come il “Patrono della gioventù e dei bambini messicani”, ed è messicano anche il Rettor Maggiore don Pascual Chávez Villanueva.

INFO web Per qualsiasi informazione su questi e altri francobolli a soggetto religioso, rivolgersi al “Gruppo Filatelia Religiosa don Pietro Ceresa” (via Maria Ausiliatrice 32, 10152 Torino), che pubblica il notiziario “Filatelia Religiosa Flash” e il sito www.filateliareligiosa.it

Angelo Siro redazione.rivista@ausiliatrice.net

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Don Bosco oggi © Nino Musio

Non c’è Valdocco senza Garelli Dal primo incontro nella chiesa torinese di San Francesco d’Assisi all’avventura di Valdocco: un’avventura che prosegue ancora.

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a prima notte trascorsa da Don Bosco al Convitto Ecclesiastico passa in un battibaleno. Per lui la giornata del 3 novembre 1841 è stata micidiale. Giunge alla sera spossato dalla fatica della camminata da Chieri a Torino. A questo si somma lo shock psicologico del primo impatto con una gioventù intravista nei suoi aspetti di disagio, povertà ed abbruttimento morale. Completa il tutto la tensione emotiva che l’inserimento in una nuova realtà esistenziale comporta. Il risultato della somma totale è che il povero giovane prete non necessita di alcuna ninna nanna particolare per piombare in un profondo sonno ristoratore, non disturbato da sogni, incubi o “paturnie” esistenziali.

L’incontro di Don Bosco con Bartolomeo Garelli © Nino Musio

Don Bosco ha sempre dimostrato con i fatti la sua bontà verso i più trascurati. Visitando i giovani in carcere ha restituito loro virtù e capacità di affrontare la vita con onestà e fiducia. © Nino Musio

Così al risveglio è pronto e deciso a confrontarsi con la sua nuova realtà di vita. Si ritrova in compagnia di altri 45 compagni di ventura provenienti dalla città di Torino e da altri paesi che cadono sotto la giurisdizione della diocesi. Le relazioni fra “cittadini” e “paesani” non sono delle migliori in quanto i primi vedono i “barot” delle campagne come dei pericolosi concorrenti nell’occupare i migliori, intesi in senso di soldi, posti che il mercato ecclesiastico di allora mette a disposizione. La presenza illuminata e piena di buon senso del teologo Guala, supportato dalla santità di don Cafasso, riesce a contenere le tensioni senza riuscire a spegnerle del tutto.

cafaSSo SuggeriSce… La vita del Convitto si concretizza quotidianamente in una conferenza, al mattino, di don Guala ed una, alla sera, di don Cafasso. Tra l’una e l’altra i giovani preti sciamano per la città a fare esperienza, sul terreno della pastorale, presso parrocchie, convitti, scuole, ospedali, ospizi e carceri. Don Bosco, su suggerimento di don Cafasso, sceglie queste ultime. Quello che constata lo sconvolge. Scopre la parte più brutta del cuore umano. È la prima volta che si imbatte nelle devastazioni provocate nelle persone dalla miseria, dal male e dal peccato. Dopo aver assistito all’impiccagione di un giovane, non si perde d’animo, non si limita a sterili piagnistei, si rimbocca le maniche e

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si getta nella mischia. Come? Ce lo racconta lui stesso. Nel 1850 nello scrivere all’Opera Pia della “Mendicità istruita”, per bussare a quattrini, così si presenta: “Il sacerdote Giovanni Bosco nel desiderio di procurare ai giovani abbandonati tutti quei vantaggi civili, religiosi e morali che per lui fosse possibile nel corso dell’anno 1841 cominciò a radunarne un dato numero in un luogo aderente alla chiesa di san Francesco d’Assisi. Le circostanze del sito limitavano il numero ai settanta od agli ottanta”.

Largo aLLa caritÀ! Mentre i suoi compagni di corso si spremono le meningi e si arrabbiano fra di loro se è meglio seguire il “probabilismo” o il “probabiliorismo” in morale, il nostro Santo non spreca tempo in inutili chiacchiere ma, guidato dal Guala e dal suo innato buon senso contadino, si schiera per il “probabilismo” di Sant’Alfonso che lascia ampio spazio alla carità. È proprio essa che lo spinge per le strade a rendersi conto dell’emergenza giovanile della città di Torino che comincia ad essere investita dal progresso portato dalla nascente società industriale. Il fiorire tumultuoso di attività economiche genera un verminaio di nuove possibilità lavorative soprattutto nella zona di Porta Palazzo, molto vicina al Convitto. Si aprono negozi che danno vita a nuove professioni: ambulanti, fabbri, stallieri, spazzacamini, lustrascarpe, muratori, garzoni. Tutti cercano ragazzi da assumere al di fuori da qualsiasi tutela sociale, esponendoli così a qualsiasi tipo di sfruttamento. I giovani arrivano dalle vallate alpine piemontesi, dal Canavese, dalle Langhe e Monferrato, dal Novarese, dalla Lomellina… Tra il 1837 ed il 1847 la popolazione aumenta di oltre ventimila unità. Mancano abitazioni, scuole, centri di aggregazione. I ragazzi dopo essere stati sfruttati senza pietà sul lavoro, girano abbandonati a se stessi arrabbiati, senza cultura, senza riparo contro le intemperie ed i pericoli.

Don Bosco raggiunge i ragazzi dove sono, si preoccupa per il loro lavoro e si prende cura dei loro problemi personali. © Nino Musio

cLero “imBaLSamato” Il Re ha altro a cui pensare; la bigotta borghesia sabauda, nella sua maggior parte, si limita a qualche accenno di saltuario assistenzialismo; il clero, salvo pochissime eccezioni, è sperso tra inutili beghe teologiche, imbalsamato sovente in un vuoto bigottismo cultuale od impaurito e spiazzato nell’ affrontare le nuove realtà pastorali suscitando l’acida ironia dell’aggressivo e dominante anticlericalismo piemontese. I giovani girano alla larga da tutti, preti compresi. Bighellonano guardinghi, sospettosi verso chiunque si avvicini a loro. Vivono di sfruttamento ed espedienti che spesso li portano a delinquere. I benpensanti si crogiolano in inutili moralismi. E Don Bosco? Fa il prete e proprio durante lo svolgimento delle sue mansioni sacerdotali, a soli 35 giorni dal suo arrivo a Torino, nella sacrestia della chiesa di San Francesco d’Assisi, incontra provvidenzialmente un povero giovane, capitato lì non si sa come né perché. Deve salvarlo dalle legnate che il solerte “chierico di sacrestia”, così lo presenta nelle “Memorie dell’Oratorio”, Giuseppe Comotti, gli sta rifilando. Il nome del ragazzo è Bartolomeo Garelli. La data è l’8 dicembre 1841. Dall’incontro fra questo giovane, che il sacrista chiama con il termine piemontese, piuttosto scortese, “tuder”, ed un giovane prete, arricchito da un Ave Maria recitata insieme, prende avvio l’avventura educativa salesiana nel mondo di cui tutti noi dobbiamo essere partecipi in prima persona nei fatti, e non solo coinvolti in una facile “memoria” puramente celebrativa. Ermete Tessore tessore.rivista@ausiliatrice.net DON BOSCO OGGI

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Sfide educative

Al liceo parlo cinese Dall’anno scolastico 2012-13, All’Istituto Maria Ausiliatrice di Torino l’ambizione è quella di far nascere un polo internazionale dall’infanzia al liceo, per preparare i ragazzi al meglio alle sfide del mondo di domani.

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hi ha figli in età scolare, soprattutto nel delicato momento della scelta delle superiori, oggi è preso dallo sconforto. La crisi economica che nel nostro Paese significa un giovane su tre senza lavoro, la necessità di familiarizzare già sui banchi di scuola con gli strumenti informatici, l’imperativo di conoscere le lingue non più in modo “scolastico”, sono motivi sufficienti per non prendere la scelta sotto gamba. Che cosa possiamo fare per aiutare davvero i nostri ragazzi a prepararsi ad affrontare la vita? Di quali

INFO web Per saperne di più, si veda il sito: www.liceoausiliatrice.it Inoltre “open day” il 21 gennaio 2112, dalle 16 alle 18.

All’Istituto Maria Ausiliatrice il carisma educativo di Don Bosco passa anche attraverso l’apertura al mondo e alle sue lingue.

competenze hanno bisogno? A queste domande ha provato a rispondere il corpo docente dell’Istituto Maria Ausiliatrice – che comprende Scuola dell’infanzia, primaria, secondaria e Licei linguistico e delle Scienze umane – gestito dalle Suore Salesiane, a Torino, nella piazza omonima al numero 27. L’idea è quella di tentare la carta dell’“apertura al mondo”, in sintonia con il carisma di Don Bosco, che ha inviato i suoi figli e le sue figlie nei luoghi più remoti del pianeta, diventando uno dei Santi più conosciuti in ogni latitudine. «Proporre una scuola ad indirizzo internazionale – spiega la direttrice dell’Istituto, suor Emma Bergandi – significa fare una scelta di responsabilità nei loro confronti. Significa voler dare loro quegli strumenti linguistici che permetteranno loro di vivere nel mondo globale. Ormai non possiamo più accontentarci del nostro piccolo orizzonte e non soltanto perché manca il lavoro ma perché, come diceva il francese Lucien Tesnière, grande studioso di sintassi: “Timeo hominem unius linguae”, ho paura di un individuo che abbia una sola lingua, perché non è in grado di capire cosa gli accade intorno».

come a oXford Dal prossimo anno scolastico, dunque, l’ambizione è quella di far nascere un polo internazionale dall’infanzia al Liceo,

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per guardare al futuro dei ragazzi e per prepararli al meglio alle sfide del mondo di domani. «Per il 2012-13 – continua suor Emma – accanto ai percorsi tradizionali che rimarranno invariati, saranno inseriti percorsi ad indirizzo internazionale, partendo dalla scuola dell’infanzia, con potenziamento della lingua inglese (ci sarà una nuova sezione con 10 ore in lingua inglese la settimana) anche con insegnanti madrelingua. Nella primaria attiveremo una sezione con indirizzo internazionale, dove – sul monte ore totale dalla prima alla quinta elementare – saranno proposte lezioni in lingua inglese, con insegnanti in madrelingua, con un incidenza che va dal 20% al 50%, per un totale di 1645 ore in inglese. Anche nella secondaria di primo grado nella sezione internazionale, sul totale monte ore si conterà il 30% in lingua inglese, con insegnanti madrelingua, per un totale nei tre anni di 1320 ore in lingua inglese».

Liceo internaZionaLe La vera novità, però, riguarda le superori. Come al Liceo linguistico con percorso aziendale e internazionale, dove dal prossimo anno ci sarà la possibilità di studiare le lingue non soltanto europee, ma anche il cinese. «L’idea è quella di seguire l’andamento del mercato mondiale, proponendo gli studi più utili per le

Il progetto di internazionalizzazione parte già con la scuola dell’infanzia.

future professioni - osserva la direttrice -. Per il linguistico dunque, oltre all’inglese, si potrà avere come seconda lingua il cinese e come terza il tedesco, fermo restando la possibilità alternativa di optare per francese e spagnolo». Si punta, poi, sul management e sull’organizzazione d’impresa con un percorso quinquennale con stage in aziende con contatti internazionali, grazie alla collaborazione dell’Unione Industriale di Torino. «Abbiamo iniziato il triennio in preparazione al bicentenario della nascita di Don Bosco – conclude suor Bergandi –. Affidiamo a lui questo nuovo progetto perché ci guidi a tener vivo il suo amore per i giovani dì oggi in questa terra di Valdocco». Marina Lomunno redazione.rivista@ausiliatrice.net

SFIDE EDUCATIvE

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Sfide educative

Evangelizzazione ed educazione Una nuova importante ricerca che si richiama, all’ispirazione carismatica di Don Bosco. Dalla diagnosi della situazione odierna all’esame di testi della Scrittura e della tradizione ecclesiale, alla pedagogia della grazia. Pontificia Salesiana, con la collaborazione di altri studiosi ed esperti, tra i quali spiccano nomi molto noti nel panorama italiano come Luigi Bressan, Piero Coda, Giorgio Chiosso, mons. Cesare Nosiglia, Pierangelo Sequeri. L’indagine su un tema così ricco e articolato, è stata sollecitata dalla congiuntura culturale e pastorale in cui ci troviamo. Molte voci all’interno della Chiesa e della società segnalano che l’educazione, che in ogni epoca costituisce uno dei compiti più impegnativi, conosce oggi difficoltà particolari, che inducono a parlare di una vera e propria “emergenza educativa”. Ciò è connesso a due fenomeni strettamente congiunti che pervadono l’Occidente: la corrosione della tradizione culturale e la crisi della speranza.

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ella società di oggi, pochi temi sono così importanti e complessi come evangelizzazione ed educazione. Più di qualche decennio fa, infatti, e come è stato scritto, «il mondo ha bisogno di una cura di Vangelo», perché la nostra società sta vivendo una «notte collettiva e culturale». Ebbene, il recente volume intitolato appunto “Evangelizzazione e educazione” e curato da Andrea Bozzolo e Roberto Carelli (editrice LAS, Roma, pp. 492, € 30) presenta i risultati di un lavoro condotto dai docenti della Sezione di Torino della Facoltà di Teologia dell’Università

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Se infatti il costume diffuso prosegue l’opera di demolizione della tradizione avviata dalla modernità, consegna ai giovani una vita senza indirizzo, istituzioni senza saggezza e un clima civile rassegnato al predominio della logica mercantile e tecnocratica della vita sociale. Se d’altra parte la società non investe fiduciosamente nelle nuove generazioni, non consente l’appropriazione personale del senso dell’esistenza e il rinnovamento vitale della cultura ereditata. Lo svilimento della tradizione e l’indebolirsi della speranza riducono l’orizzonte dell’educazio-

Dall’alto: Mons. Pierangelo Sequeri, Prof. Giorgio Chiosso.


Dall’alto: Mons. Luigi Bressan, Mons. Cesare Nosiglia, Mons. Piero Coda.

ne ad una gestione minimale del presente, con quegli effetti di disorientamento della coscienza e di disagio psico-sociale che sono sotto gli occhi di tutti. In questo scenario la Chiesa intende intervenire con l’apporto della propria sapienza e tradizione educativa, non per interesse confessionale, ma per amore dell’uomo. Come affermano i due curatori nella presentazione: «Il cristianesimo porta inscritto nelle sue radici più profonde la capacità di apprezzare e promuovere tutto ciò che è vero, nobile e giusto: ciò che alimenta e ordina gli affetti, sostiene la giustizia, articola le età della vita, crea alleanza tra le generazioni, genera rapporti di dedizione e onora il valore e la dignità dei legami in cui ne va di noi stessi. In questo senso, mettere in luce il rapporto che sussiste tra il Vangelo e l’atto educativo è parso un compito importante e necessario: non solo per impostare in modo più incisivo e pertinente l’azione pastorale, ma anche per contribuire al dibattito pubblico sul senso e sui compiti di quella forma peculiare di introduzione all’umano che è l’educazione». La ricerca si richiama, in diversi modi, all’ispirazione carismatica di San Giovanni Bosco, che ha saputo armonizzare in modo mirabile l’attenzione per l’integralità dell’annuncio evangelico e la gradualità pedagogica della proposta, esprimendo il proprio impegno a servizio dei giovani nel proposito di formare «onesti cittadini e buoni cristiani». Il volume è strutturato in cinque passaggi. Ripercorre la storia recente del problema, presenta una diagnosi della situazione attuale, e attraverso l’esame di testi rilevanti della Scrittura e di momenti significativi della tradizione ecclesiale, cerca le categorie teoriche più idonee ad illuminare la questione. Si giunge così, nella parte conclusiva, a indicare alcune linee propositive per una nuova fioritura di quella pedagogia della grazia che è dimensione essenziale della missione della Chiesa. Il testo è partico-

larmente adatto per l’aggiornamento personale su un tema che la Chiesa italiana ha posto al centro del proprio programma decennale e per momenti di formazione pastorale.

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Sfide educative

Aiuto, mio figlio è salito sull’ Comunicare con i nostri figli sempre più ”digitalizzati” sembra un ostacolo insormontabile, ma demonizzare la nuova tecnologia non serve: occorre imparare un nuovo linguaggio. to. Il mondo dell’informatica, il web, gli i-pod, gli smartphone, gli i-pad, le chat, facebook, twitter, lentamente stanno innalzando mura che rendono sempre più problematico il dialogo intergenerazionale. I giovani corrono, mentre gli adulti arrancano. Nella loro corsa i primi rimangono soli e senza modelli reali con cui confrontarsi; i secondi si sperimentano sempre più inadatti e sentono crescere dentro il desiderio di gettare la spugna e di dimettersi dal loro dovere di educare. Secondo me, la domanda iniziale dovrebbe essere ribaltata: «Che cosa passa nella testa di troppi genitori ed educatori di oggi?».

U

na delle domande che, come salesiano che opera nelle scuole superiori, i genitori mi rivolgono più frequentemente è: «Don, ma che cosa passa nella testa dei nostri figli?». È un interrogativo vecchio quanto l’uomo. Da sempre il mondo adolescenziale ha seminato dubbi ed inquietudini tra gli adulti. Basti pensare alle tempeste generate nella società dal movimento studentesco del mitico sessantotto. Oggi le paure sono gonfiate dal fatto che i ragazzi maneggiano con facilità la moderna tecnologia, mentre noi, educatori e genitori, ci troviamo spiazzati ed in difficoltà di fronte alle moderne piattaforme digitali. Inconsci complessi di inferiorità ci ingessano in stereotipi culturali e comportamentali che i nostri figli percepiscono come datati e superati nel rispondere alle loro domande di senso. Anche il modo tradizionale di trasmettere la fede si dimostra sempre più inadegua-

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I giovani cavalcano il tumultuoso avanzamento della tecnologia. Dobbiamo salire anche noi sull’icloud per evitare che i nuovi modi di comunicare ingurgitino anche le vite, le speranze, i valori, la fede dei giovani.

Quando parLiamo? Passa tanto smarrimento di fronte ad una gioventù che cavalca il progredire tumultuoso della tecnologia. Nascono nuovi comportamenti, nuovi stili di vivere che spazzano via tutto quanto ricade sotto la parola tradizione: valori, sentimenti, relazioni, religioni, linguaggi, sensibilità. Il modo giovane di affrontare la giornata sbigottisce. Inizia con gli i-pod che sparano musica “a palla” nelle orecchie dei ragazzi e li accompagnano durante la colazione consumata in religioso silenzio e durante il tragitto a scuola. Infatti li incrociamo sui mezzi pubblici e nelle strade e li percepiamo come perfette monadi tecnologiche blindati nel loro isolato rapporto con le canzoni. Arrivati a scuola ripongono gli i-pod ed attivano gli smartphone con cui chattano, messaggiano, fotografano, viaggiano attraverso il web, controllano la veridicità di quanto gli insegnanti vanno dicendo, tranquillizzano le


mamme ansiose, riempiono di dolci parole i loro amori lontani ma virtualmente presenti accanto. Tutto questo fatto sottobanco con una abilità nel mascherarsi tanto da sfuggire a tutti i divieti d’uso strombazzati inutilmente dai professori. Finita la scuola si ritorna a casa sempre in compagnia del solo i-pod perennemente performante. Arrivati in stanza ci si butta tra le braccia del portatile. Email da leggere e da rispondere, amici facebook da aggiornare, video twitter da controllare, chat da attivare, siti porno da sbirciare, film da piratare, musica da scaricare alla faccia dei copyright…E gli adulti? Abitano salotti, cucine, studi intenti a lavorare e a macerarsi nell’interrogarsi su quanto sta succedendo nelle camere dei figli. I pranzi e le cene non riescono a rompere lo stereotipo. La televisione prende il posto del computer. Solo la non comunicazione rimane costante.

I-pod, smartphone, i-pad, chat, facebook, twitter, stanno innalzando alte mura che rischiano di compromettere il dialogo intergenerazionale.

re a solcare l’oceano del mondo digitale per incontrarci di nuovo con i nostri figli. Solo connessi con il loro mondo riusciremo a ristabilire nuove forme di relazioni educative. Dobbiamo salire anche noi sull’i-cloud per evitare che i superserver di Apple, di Google, di facebook, etc. oltre i dati non ingurgitino anche le vite, le speranze, i valori, la fede dei giovani. È un dovere a cui, per nessuno, è lecito sottrarsi. Senza genitori ed educatori credibili sull’i-cloud non si è vicino a Dio, ma lontani da se stessi e dalla vita reale, schiavi di una realtà virtuale fredda, efficiente ma senza cuore. Ermete Tessore tessore.rivista@ausiliatrice.net

genitori “conneSSi” Di fronte a questa realtà, un po’ enfatizzata ma realistica, che fare? Una cosa molto semplice. Abbandonare tutte le paure, liberarsi dei complessi di sudditanza psicologica nei confronti dei nuovi strumenti di comunicazione, far proprie le conoscenze che ci abilitano ad usare tutte le piattaforme digitali e cominciaDON BOSCO OGGI

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Esperienze

Un eremo è il cuore del mondo R A qualunque latitudine gli eremiti cercano dentro di sé la Parola.

La ricerca di Dio nel silenzio, la purificazione del cuore nell’isolamento dal mondo non appartiene solo alla tradizione cristiana ma ci accomuna ai monaci di tante filosofie e religioni orientali. © Artur Bogacki / Shutterstock.com

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acconta Luca che, mentre camminava verso Gerusalemme, Gesù entrò un giorno in un villaggio e venne accolto da due sorelle, Marta e Maria. Mentre Marta era indaffarata a preparare il pranzo, Maria sedeva ai piedi di Gesù e, con occhi rapiti, lo ascoltava. Marta, che si aspettava che Maria la aiutasse almeno ad apparecchiare tavola, a un certo punto sbottò e disse a Gesù: «Signore, non ti curi che mia sorella mi lasci sola a servire? Dille che mi aiuti!». E Gesù, guardandola, rispose: «Marta, ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta». Da quel momento, senza saperlo, Marta e Maria sono entrate nella storia: la prima come simbolo della vita attiva, orientata al “fare”; la seconda come simbolo della vita contemplativa, consacrata all’ “ascoltare”. © Dirk Ott / Shutterstock.com

Nel volume Un eremo è il cuore del mondo. Viaggio fra gli ultimi custodi del silenzio (ed. Piemme), Francesco Antonioli, giornalista del quotidiano Il Sole 24 Ore si è messo sulle tracce di chi ha scelto di allontanarsi dal frastuono e dalla frenesia che abitano la società per ricercare se stesso e l’Assoluto. Ne ha incontrati tredici viaggiando tra Italia, Francia, Svizzera, Asia e Medio Oriente e li ha invitati a raccontarsi.

La riccheZZa deLLa poVertÀ Come è nata l’idea di dar voce a chi ha scelto silenzio e nascondimento come stile di vita? «Casualmente, una quindicina di anni fa. Lavoravo al quotidiano Avvenire e mi ero messo sulle tracce di Ugo Van Doorne, monaco fiammingo belga che viveva in una grotta vicino a Noto, in Sicilia. L’antro che lo ospitava conteneva una cappella,


una piccola veranda, uno studiolo zeppo di libri e una minuscola stanza con una cassa di legno come letto: il luogo ideale, mi spiegava, per rimanere solo con Dio e con se stesso, il nemico più terribile. Lì trascorreva i giorni cercando il fondo dell’anima, il vero se stesso, il vero Dio, convinto che solo in un cuore purificato attraverso i distacchi spariscono le tensioni, le angosce e le tristezze e può irrompere la dolcezza di un amore universale, espressione dell’infinita tenerezza di Dio per ogni sua creatura. Da allora, ho cercato di approfondire il discorso ogni volta che mi è stato possibile». Un discorso che non si limita alla tradizione cristiana ma si allarga anche all’induismo, al buddismo e al sufismo… «Sì. E ho scoperto che i valori che accomunano i monaci sono infinitamente maggiori di quelli che li separano. A qualunque latitudine, infatti, gli eremiti cercano dentro sé la Parola e diventano essi stessi, con la propria vita, strumenti di dialogo, di partecipazione alle sorti dell’umanità, di accettazione dell’altro. È la purificazione del cuore a far dialogare i monaci di tutto il mondo, la convinzione che Dio abita tutte le cose, la consapevolezza che l’altro non è altro da loro».

care le tracce dell’Assoluto per tornare a operare nella società con maggior consapevolezza e convinzione. Credo sia importante, ogni giorno, vivere momenti di silenzio per ridefinire la scala delle priorità e dei valori». Quale caratteristica comune di chi ha scelto la solitudine e il silenzio colpisce di più? «Senza dubbio la felicità, che sovente trasmette serenità e allegria. A differenza di quanto si potrebbe supporre, infatti, gli eremiti non hanno il muso lungo: conducono un’esistenza semplice ma sono contenti di quello che fanno. Come tutti coloro che vivono un’esperienza profonda di ricerca spirituale possono attraversare momenti di difficoltà ma, nella maggior parte dei casi, hanno trovato la propria strada, sono in pace con se stessi e disponibili a condividere i propri tesori con gli altri». Una condivisione che – anche se Luca non lo racconta – autorizza a pensare che forse, al termine del pranzo, Maria si sia alzata con un sorriso da tavola e abbia sparecchiato e rassettato la cucina per lasciare a Marta l’emozione di stare a tu per tu con Gesù. Carlo Tagliani

Il giornalista Francesco Antonioli, autore di «Un eremo è il cuore del mondo – Viaggio fra gli ultimi custodi del silenzio».

A sinistra: Monastero Agios Nicolaos Anapafsas del 1572 aC, Meteora, Grecia. © Dmitry Rukhlenko / Shutterstock.com

redazione.rivista@ausiliatrice.net

Come un faro nella notte In un mondo che sembra sempre più ragionare in termini di efficienza e di profitto, a che cosa servono gli eremiti? «Da diversi anni scrivo per un quotidiano che si occupa prevalentemente di economia e di finanza e, in questi tempi, non pochi economisti sostengono che potremo uscire dalla crisi globale che ha investito il pianeta solo se sapremo cambiare i nostri stili di vita. Su essenzialità e sobrietà gli eremiti hanno molto da insegnarci. Come fari, simili a sentinelle, non ci dicono che dobbiamo diventare come loro ma ci aiutano a camminare dentro noi stessi, a scendere nel profondo, a cerESPERIENZE

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Esperienze

Quando il business diventa volontariato Due aziende – una di servizi informativi, l’altra agricola – dimostrano che si possono unire crescita delle persone e profitti e che si può aiutare a fare il bene con quello che si sa fare meglio, il proprio lavoro.

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olidarietà e affari: sono inconciliabili o possono “andare a braccetto”? La domanda è d’obbligo. Vuoi perché la crisi svuota più di un portafoglio e induce a riflettere sempre più sugli effetti e sui valori dell’attuale sistema economico. Vuoi perché si è appena concluso l’“Anno europeo del volontariato”, riscoprendo – se ce ne fosse bisogno – l’importanza di concetti come centralità della persona e solidarietà. Se il panorama delle Onlus è conosciuto dai più, che cosa si può dire del mondo imprenditoriale? Esistono realtà che operano per migliorare le condizioni di chi, da solo, fatica a condurre una vita dignitosa? Si può coniugare il business con il bene comune? La risposta è in una sigla: Csr-Corporate social responsibility, che in italiano diventa Rsi-Responsabilità sociale d’impresa, e che con il nuovo millennio è entrata negli appuntamenti dell’agenda dell’Unione Europea. In questo senso, in Italia le realtà positive non mancano. Secondo il IV Rap-

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porto sull’impegno sociale delle aziende (di Errepi Comunicazione), il volontariato d’impresa coinvolge almeno 6.000 professionisti, per un totale di oltre diecimila giornate lavorative donate a iniziative o interventi per il territorio. Anche i fondi messi a disposizione nell’ultimo decennio sono più che raddoppiati, passando dai 417 milioni di euro del 2001 agli attuali 960 milioni. Le più coinvolte sono le grandi aziende, ma non mancano esempi tra le più piccole. La solidarietà, insomma, non è prerogativa delle multinazionali. Nel solo Piemonte, sono 648 le ditte con almeno 20 addetti “responsabili”, il 10% del totale: di queste, il 40% “spende” tempo e risorse a favore del welfare, scuola, cultura (fonte: Crs Piemonte). C SYSTEM S.r.l. Via Ivrea 42 10019 STRAMBINO (TO) email: info@csystem.it www.csystem.it

progetto aiWa: una Sfida aLL’uLtimo Bit Dietro a questi numeri ci sono esperienze concrete o avventure da realizzare, come quella di Primo Nora, ex allievo salesiano di San Benigno Canavese (Torino). Nora è laureato in informatica e titolare di un’azienda di servizi informatici ad elevato contenuto tecnologico: la C-System di Ivrea, fondata nel 1986, riconosciuta dal Miur, con venticinque addetti e clienti prestigiosi. Nora ha un sogno: dare agli abitanti dei Paesi che non hanno nulla, l’opportunità e il modo di far “fare impresa”. Dice: «Ho visto molti dei loro figli emigrare in cerca di maggior fortuna. È


ora che quella “fortuna” la possano costruire direttamente in casa». Ha pronto un progetto. Si chiama Aiwa-Africans working in Africa. Spiega: «Alla base c’è l’idea di replicare il modello fornito dalla nostra azienda in un Paese povero, con i dovuti adeguamenti. Si tratta di portare strumenti e conoscenza in un contesto dove siano a disposizione le infrastrutture di base, per formare e rendere autonomo il gruppo di lavoro». Servono strumenti, formazione e un minimo di esperienza. In cifre, significa avviare una filiale di 20 persone nell’arco di un anno (quattro persone per i primi sei mesi in Italia e 20 persone per gli altri sei nel Paese scelto) con una spesa complessiva di 400-500 mila euro. Il luogo dove realizzare il progetto? «Come ex allievo, pensavo alle missioni salesiane nell’Africa sub-sahariana». Ghana e Nigeria, per cominciare, ma «l’obiettivo ambizioso è di replicare nel tempo più volte Aiwa, sempre nell’Africa sub-sahariana», spiega. Certo, il costo dell’operazione è alto, e l’imprenditore non può sopportarlo da solo. Servono collaboratori e sponsor. Precisa Nora: «Non si tratta semplicemente di portare un aiuto, ma di iniziare un progetto d’impresa che avrà un ritorno d’immagine per chi avrà il coraggio di prendervi parte». Una scommessa? Di più: un investimento nel futuro.

La carta Vincente: LaVorare in rete Un altro esempio tra i tanti, è quello de Il Frutto Permesso, a Bibiana, in Valle Pellice (Torino). Azienda agricola dalla lunga tradizione, è diventata cooperativa nel 1988, giungendo ad impegnare in modo continuativo una decina di persone, oltre a 15-20 addetti nel periodo della raccolta, per un fatturato annuo di circa un milione e mezzo di euro. Negli anni Ottanta, la decisione di convertire lo stile “chimico” – che prevede l’uso di diserbanti e pesticidi – con quello “biologico”, e l’essere tra i pionieri dei mercatini di settore. Poi,

Il volontariato d’impresa non è solo una sfida dei nostri tempi, ma è un investimento per il nostro futuro.

IL FRUTTO PERMESSO Via del Vernè 16 10060 BIBIANA (TO) email: il@fruttopermesso.it www.fruttopermesso.it

la scelta di diventare cooperativa. Oggi propone anche un agriturismo, da ottobre ai primi di giugno, mentre in estate il “piatto forte” sono i soggiorni per i gruppi giovanili e il turismo sociale. E la solidarietà? Anche in questo caso, le prove non mancano. Ma sono due in particolare i progetti che vedono impegnata questa azienda. Il primo riguarda l’avvicinamento al lavoro di giovani con disagi (alcolismo, disagi mentali, dipendenze), in cui interagisce una rete di aziende e istituzioni nella Valle Pellice. «L’inserimento varia da pochi mesi a un paio d’anni – spiega il presidente Paolo Martina –. Qualcuno si è anche fermato con noi. Certo, un’operazione di questo tipo ha costi non indifferenti, ma ciò che si guadagna in termini umani e di crescita personale vale molto di più». La seconda iniziativa è sviluppata in collaborazione con Coldiretti e vede come protagoniste alcune ragazze sottratte alla tratta e ora in comunità: si chiama “Ver-a” ed è finanziata dalla Regione Piemonte su risorse del Fondo sociale europeo. Un altro modo per dimostrarsi responsabili, aiutando a fare bene con quello che si sa fare meglio, il proprio lavoro. Luca Mazzardis redazione.rivista@ausiliatrice.net ESPERIENZE

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Missionari… in Europa È

l’Europa la “nuova frontiera” dell’evangelizzazione cristiana. È questa la risposta della Chiesa al crescente secolarismo del Vecchio Continente ed è questo l’impegno ribadito dai delegati Salesiani dell’animazione missionaria provenienti da 26 diversi Paesi, in occasione del seminario che si è tenuto nella Casa Madre a Valdocco dal 28 novembre al 1° dicembre scorsi, a 14 anni di distanza dal precedente. «Obiettivo del confronto», afferma don Vaclav Klement, consigliere per le Missioni e promotore dell’incontro, «è aiutare i seimila Salesiani presenti nel Vecchio Continente ad avere un cuore più missionario, perché purtroppo la fede cattolica in Europa sta diventando minoritaria». Per quanto paradossale, gli fa eco don Roman Wortolec, direttore della Procura missionaria a Varsavia, «per noi europei è ormai più facile portare Cristo in Africa, dove la gente è ancora aperta e disponibile, che nei nostri Paesi, dove la società è radicalmente cambiata. Ma il nostro scopo resta immutato. Il Signore ci ha detto: “Andate e predicate”». La Congregazione salesiana ha lanciato il «Progetto Europa» ufficialmente nel 2009, ma già negli anni precedenti era presen-

I delegati Salesiani dell’animazione missionaria, provenienti da 26 diversi Paesi, si sono confrontati sulle terre di Don Bosco dal 28 novembre al 1° dicembre. Qui sono al Colle Don Bosco.

te un certo dinamismo. Don Donato Lacedonio, direttore dell’Agenzia info salesiana (Ans), spiega che «il Progetto è, da una parte, una reazione alla carenza vocazionale e alla ridotta presenza religiosa nel Vecchio Continente, dall’altra è una risposta a nuove emergenze sociali, soprattutto tra i giovani. Così l’Europa che, fino ad alcuni decenni fa, era il centro di irradiazione della cristianità e, di conseguenza, del carisma salesiano, è diventata un punto di arrivo. I missionari arrivano dall’Asia, dall’Africa e dall’America Latina per seguire progetti che affrontano situazioni di emarginazione e rischio tra i giovani europei». Secondo don Lacedonio lo strumento principale che i missionari extra-europei devono portare con sé è la forte identità religiosa e vocazionale, «perché il primo scontro avviene sì a livello linguistico e culturale, ma soprattutto nei ritmi di vita e nel rapporto con le persone». Inoltre devono padroneggiare la lingua, tenendo presente che in Europa ormai c’è multilinguismo anche a livello locale; infine devono essere consapevoli di inserirsi in un cammino avviato prima di loro, che può anche presentare problematicità e sfide. Lara Reale redazione.rivista@ausiliatrice.net

44 GENNAIO-FEBBRAIO 2012


in festa con Il primo “sì” a Cascia da Santa Rita, le nozze d’argento a San Giovanni Rotondo con Padre Pio, i quarant’anni di matrimonio in cammino con Don Bosco nella Basilica Maria Ausiliatrice di Torino. Un’unione, potremmo dire, “on the road”, in giro nei luoghi di fede e di preghiera, quella di Giuseppe Messinetti e Maria Galea, che don Vincenzo ha ben focalizzato nella cerimonia, celebrando la Santa Messa il 31/10/2011 e benedicendo le fedi nuziali. Non sono mancati gli applausi e gli auguri dei fedeli presenti, che hanno manifestato simpatia e vicinanza alla coppia calabrese commossa e felice per la spontanea e affettuosa attenzione ricevuta per il loro particolare momento, vissuto in autentica e sentita comunione.

Mandateci le vostre foto con la rivista in mano! foto.rivista@ausiliatrice.net

Ti ringraziamo, Padre onnipotente, del dono della vita di Emma e del fratellino Mattia, e li affidiamo a Maria perchè possano crescere in sapienza e amore, e vivere in pieno la loro vocazione. Diego, Sarah, Emma e Mattia (che nella foto era ancora nascosto!).

Mandateci i vostri sms! Basta inviare un messaggio, anteponendo alla vostra richiesta di preghiera la parola RIVISTA al numero 320.2043437. Pubblicheremo gli sms più significativi e a tutti assicuriamo il ricordo in Basilica Se una goccia d’acqua ha la forza di smuovere la superficie degli oceani. Versiamone tre. E se esageriamo? Che dire della M. Ausiliatrice? È ..supercalifragilistichespiralidosa!!! Jane e Michael, Bert e ...Mary Poppins.


In questo numero il saluto del rettore 1 a valdocco in festa per don bosco

20 come conoscere la bellezza del vangelo 22 ... e tutto mi sa di miracolo

a tutto campo 2 la storia e le orme di don bosco

don bosco oggi 23 siole ant l’asìl 24 maria ci dona la gioia del cuore 26 a casa di zia jessy 28 pierre octave fasani, salesiano e pittore 30 il “giro del mondo” di don bosco 32 non c’è valdocco senza garelli

leggiamo i vangeli 4 non è questione di parole! in cammino con maria 6 il miracolo della nascita 8 non sono un’arte minore maria nei secoli 10 le visite di maria 12 al prado, una maria “bambina” la parola qui e ora 14 che cercate? venite e vedrete amici di dio 16 come dio, per grazia

esperienze 40 un eremo è il cuore del mondo 42 quando business diventa volontariato 44 missionari... in europa

chiesa viva 18 cari fratelli, il male esiste! Nº 1 - 2012 ANNO XXXIII BIMESTRALE

sfide educative 34 al liceo parlo cinese 36 evangelizzazione ed educazione 38 aiuto, mio figlio è salito sull’i-cloud

poster Don Bosco un grande italiano

gennaio-febbraio

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Con lui sulle strade del mondo pag. 2 Verso il 2015

Alla riscoperta di Don Bosco

pag. 6 La nascita di un bimbo Una gioia per il mondo

pag. 42 Essere cristiani E imprenditori solidali

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