Rivista Maria Ausilitrice n.1/2011

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ANNO XXXII BIMESTRALE Nº 1 - 2011

Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in Legge 27-02-2004 n. 46) art. 1, comma 2 e 3 - CB-NO/TORINO

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In festa con Don

Bosco

pag.4 Cristiani

come?

L’invito del Rettor Maggiore ad essere tutti, ogni giorno, migliori.

pag.16 Battesimo

seconda nascita

Il Papa si racconta e ci esorta a riscoprire il suo valore..

pag. 20 Oratori

multietnici Decennale AGS: quando l’accoglienza diventa risorsa.


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Attività & iniziative

hic domus mea

Cari lettori, innanzi tutto, l’augurio di un felice 2011 nel Signore. Questa di inizio anno è una splendida occasione per ringraziarvi tutti, in particolare i molti benefattori che in modo concreto ci aiutano a sostenere le spese. Cari benefattori, ogni prima Santa Messa della giornata nella basilica di Maria Ausiliatrice è celebrata per le vostre intenzioni. Come vedete, da questo numero la rivista è “più”: formato più grande, più pagine, più spazio, più articoli, più fotografie. Tanti motivi in... più per leggerci e scriverci: alcune pagine sono riservate alle vostre lettere o mail e alle vostre fotografie. Ci auguriamo che queste novità siano gradite. Fateci sapere il vostro parere: cercheremo di tenerne conto, per quanto possibile, per i prossimi numeri. Diamo per scontato che ci farete conoscere anche ai vostri amici! Un saluto e il ricordo reciproco nella preghiera.

inde gloria mea Direzione: Livio Demarie (Coordinamento) Mario Scudu (Archivio e Sito internet) Luca Desserafino (Diffusione e Amministrazione) Direttore responsabile: Sergio Giordani Registrazione: Tribunale di Torino n. 2954 del 21-4-1980

La direzione

Stampa: Scuola Grafica Salesiana - Torino

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Da oggi, per chi lo desidera, è possibile ricevere comodamente i 6 numeri annuali della Rivista Maria Ausiliatrice nel formato elettronico PDF. Potrete portarla con voi sul cellulare, sull’iPod, l’iPhone, l’iPad o il Blackberry. Spargete la voce! Buona lettura a tutti. Per info: www.ausiliatrice.net/abbonamenti

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N° 1 • GENNAIO-FEBBRAIO 2011


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La pagina del Rettore

Don Bosco ritorna Carissimi amici, in questo mese il nostro sguardo si proietta su Don Bosco, la cui festa è il 31 gennaio. Come ogni anno, celebreremo questo giorno con solennità, chiedendo al nostro Santo di voler benedire tutta la sua grande famiglia e tutti gli amici. Quando si guarda all’espansione della sua opera, si resta meravigliati e ci si chiede come ha potuto fare tutto quello che è sotto i nostri occhi. Tutta questa storia inizia con un contadinello di una piccola contrada, orfano di padre, in una famiglia povera, con una mamma su cui gravava il peso del mantenimento di tre figli e della suocera semiparalitica. Non c’era nulla che potesse far pensare a cose grandi. La sola logica umana non può spiegare questa storia. Don Bosco stesso ha sempre affermato che solo l’azione di Dio e l’intercessione di Maria hanno potuto realizzare questo grande progetto. Da parte sua, sin dal primo momento, lui si è reso disponibile rendendosi “umile, forte e robusto”, aperto a quella che sempre è stata la sua preoccupazione: fare la volontà di Dio e salvare i giovani. Il segreto sta proprio qui. Don Paolo Albera, suo secondo successore, così scrive: “Ma questo lavoro egli lo compiva sempre tranquillo, sempre eguale a sé, sempre imperturbabile, vuoi nelle gioie, vuoi nelle pene; perché, fin dal giorno in cui fu chiamato all’apostolato, si era gettato tutto in braccio a Dio! Se lavorare sempre fino alla morte è il primo articolo del codice salesiano da lui scritto più coll’esempio che colla penna, gettarsi in braccio a Dio e non allontanarsene mai più fu l’atto suo più perfetto”. Mi pare questo l’insegnamento di Don Bosco a tutti noi: essere capaci di gettarci in braccio a Dio e lavorare generosamente per il bene dei fratelli, in particolare dei

 La statua di Don Bosco accanto al grande quadro dell’Ausiliatrice.

tanti giovani oggi frastornati e insicuri. Don Bosco non temeva i giovani, le loro energie, le loro idee, le loro rivoluzioni: era più giovane di loro, era un passo avanti a loro. “Don Bosco ritorna”, cantiamo ancora oggi. Che davvero lui ritorni, entri nella nostra vita e risvegli la nostra passione per i giovani e per il bene. Con un ricordo in Basilica per tutti. Don Franco Lotto, Rettore lotto.rivista@ausiliatrice.net N° 1 • GENNAIO-FEBBRAIO 2011

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Editoriale

Essere cristiani “più” A “

nno nuovo, vita nuova”, dice un proverbio italiano. E io, lo dico subito, sono sicuro che questo 2011 sarà, comunque, un anno diverso dai precedenti. Un anno in cui il Signore ci chiede di essere “più” cristiani, testimoni “migliori”. Testimoni non a parole – ne sentiamo troppe, e di ogni genere –, ma con i fatti, con la nostra vita quotidiana, con gesti talora piccoli, a volte soltanto con un sorriso, che Dio ama immensamente ciascuno di noi. Certo, ognuno di noi è chiamato a essere testimone in modo diverso. Chi come sposa e madre di famiglia. Chi come lavoratore, e quanto è difficile questa condizione in Italia negli ultimi anni! Chi come

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Don Bosco si è sempre impegnato perché i suoi giovani, spesso non originari di Torino, diventassero “onesti cittadini e buoni cristiani”. © Archivio RMA

suora o prete... pure salesiano. E poi, vivere a Torino, nel quartiere del nostro caro Valdocco, è diverso dal fare accoglienza ad extraeuropei nel centro salesiano “Santa Chiara” a Palermo, così come essere suore salesiane in Mongolia è diverso dall’essere coadiutori nel “mio” Messico. L’importante, però, come dimostra tutta la vita del nostro Padre Don Bosco, è dire di sì alla chiamata, alla proposta che Dio ha su ciascuno di noi, al suo sogno su di noi. E a noi tocca semplicemente dire di sì, e fare in modo straordinario le cose ordinarie. Aiutare a capire la vita Un invito particolare lo rivolgo a chi, come me, ha superato i sessant’anni. Molti di voi si sono “giocati” la vita come genitori e nonni, oppure come educatori negli oratori e nelle scuole. Ebbene, proprio noi che abbiamo in più il dono dell’esperienza, dobbiamo essere “più” testimoni per i giovani di oggi. Troppo semplice dire che “sono troppo diversi... Non li capisco più”. Guardiamo a Don Bosco. Anche lui ha conosciuto giovani “difficili”, anzi i suoi primi ragazzi erano i più emarginati dalla pur dignitosa Torino, e oggi il mondo (e noi salesiani per primi) è sbalordito da quanto lui ha realizzato. Come ho scritto nella mia “Strenna”, tocca a noi “fare nostra la sua esperienza a Valdocco, che crea un ambiente di familiarità, di forte valenza spirituale, di impegno apostolico ed accompagnamento spirituale, sostenuto da un intenso amore alla Chiesa e al mondo”. Tocca a noi, anche se non fossimo sacerdoti e suore, “manifestare la bellezza, l’attualità e la varietà della nostra vocazione salesiana: una vita consegnata interamente a Dio al servizio dei giovani vale la pena di es-


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sere vissuta”. In una parola, tornare a Don Bosco per “vivere la propria vita ed aiutare a capire la vita degli altri come vocazione e missione. Il tutto come un grande dono vissuto nella centralità di Dio, nella fraternità tra i consacrati e nella dedizione ai più poveri e bisognosi”. Testimoni di chi non fa differenze In altre parole, in famiglia, in parrocchia, negli oratori, nelle scuole, dobbiamo “creare, come a Valdocco, una cultura vocazionale, caratterizzata dalla ricerca del senso della vita, nell’orizzonte della trascendenza, sostenuta e sospinta da valori profondi, con carattere di progettualità, verso una cultura della fraternità e della solidarietà. Poi, assicurare l’accompagnamento attraverso la qualità della vita personale, l’educazione all’amore e alla castità, la responsabilità verso la storia, l’iniziazione alla preghiera, l’impegno apostolico”. Certo, mi dirà qualcuno, “nonostante l’esempio, mio figlio ha compiuto scelte opposte da quelle che desideravo”. Però, l’affetto, l’amore, il “metodo preventivo” prima o poi tornano a galla. Ce lo ricorda Don Bosco, con i suoi primi “ragazzi di strada”. “Allora, che fare?”, mi

 Il Rettor Maggiore don Pascual Chávez Villanueva in un incontro con i giovani. © ANS - ImageBank

chiederà quella persona. Rispondo: continuare a voler bene al figlio, come ha sempre fatto, nonostante le difficoltà, anzi di più, proprio perché ci sono difficoltà. Insomma, il 2011 deve vederci tutti “più” cristiani appassionati, amati da quel Maestro che ci ripete «Venite e vedrete». A margine, una riflessione che riguarda la cara Italia. Quest’anno il Paese festeggerà i 150 anni dell’unità nazionale. Ebbene Don Bosco si è sempre impegnato perché i suoi ragazzi, spesso non originari di Torino, diventassero “onesti cittadini e buoni cristiani”, e ha continuato a farlo anche quando lui, “buon cittadino” del regno di Sardegna è diventato cittadino di un regno d’Italia, non sempre amico della Chiesa. Ebbene, sul suo esempio, gli italiani (e in particolare i salesiani, i cooperatori e voi lettori italiani) devono essere testimoni di un unico Maestro, Gesù, e di un Santo che non ha mai fatto differenze. Viviamo da salesiani a Valdocco, a Bolzano o a Catania! Un ricordo nella preghiera.

Don Pascual Chávez Villanueva Rettor Maggiore N° 1 • GENNAIO-FEBBRAIO 2011

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Leggiamo i Vangeli

Figli amati da un Dio P Al cuore del “discorso della montagna”

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corona (cfr. 5,1) e molta altra gente gli sta intorno.

esù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo” (Mt 4,23): questo è il programma che Matteo vuole svolgere in una lunga parte del suo Vangelo, per presentarci al meglio Gesù come il Messia potente in parole ed in opere (4,239,35). Quanto riguarda l’insegnamento e l’annuncio del Regno fa parte del cosiddetto “discorso della montagna” (5,1-7,29); il resto dei racconti, quelli intorno ai miracoli di guarigione, sono raccolti nella sezione subito successiva (7,30-9,35).

Dio, gli altri e le cose

 Pochi pani e pesci sono bastati a Gesù per sfamare la folla. Nell’Eucaristia Gesù si fa tutto a tutti. © photoxpress.com - Bierchen

Grandi folle cominciano a seguire Gesù dalla maggior parte del territorio dell’Israele antico (cfr. 4,25). È allora che Gesù sale su di un “monte alto”. Nella tradizione del Primo Testamento esso è il luogo in cui Dio stipula l’Alleanza con Mosè (Es 19-20 e Dt 5). Costui aveva un tempo accolto la Legge, ora Gesù la compie gettando i fondamenti dell’Alleanza Nuova. Mentre Mosè era salito sul monte per ricevere le parole di Dio, Gesù invece vi sale per dare le sue parole: egli parla come Dio stesso farebbe (cfr. Es 19,20; 20,1; Dt 5,4). Egli è Dio che messosi a sedere, insegna mentre i discepoli gli fanno

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© sync-studio - Alberto Ramella

In questo discorso – primo di altri quattro – Matteo raggruppa le parole del Maestro in modo tale da presentarne prima gli insegnamenti sul rapporto col prossimo, poi quelli sulla relazione con Dio ed infine quelli sulla gestione delle cose materiali. L’abbondante materiale narrativo è strutturato in modo che al centro è posta la sezione dedicata al come si deve impostare e vivere il proprio rapporto col Signore, ciò che più conta. Gesù è chiaro nel suo intento, colto appieno dall’evangelista: si possono instaurare solide e sincere relazioni con le persone e si impara ad usare propriamente dei beni soltanto nella misura in cui si coltiva rettamente l’unione con Dio. Il Padre Nostro – tramandatoci anche nella più breve versione di Luca – è allora insegnato in un’occasione propizia e per un uditorio che già stava ascoltando, così che nulla venisse perso di quelle parole, eredità tra le più preziose lasciateci da Cristo. La circostanza è già foriera dell’atteggiamento con cui l’orazione del Signore deve essere accolta e praticata. Non come l’espressione di un anonimo


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Padre spirito umano che anela a un dio qualsiasi, ma come la manifestazione dell’amore di un figlio che dopo aver praticato l’elemosina nella più assoluta discrezione si raccoglie segretamente nella preghiera ed invoca il proprio Padre senza usare troppe parole, perché tanto sa che il proprio Padre, che vede nel segreto, conosce molto bene ciò di cui egli ha bisogno. Si impegna infine a porre segni significativi di conversione, come il perdono fraterno ed il digiuno.

Imparare a fidarci Espressioni sobrie costituiscono questa preghiera, sempre da “imparare”. Oltre alle invocazioni dobbiamo apprendere da essa anche due grandi insegnamenti di fondo, che passano attraverso tutto il testo. Se non li apprendessimo, ci risulterebbe molto difficile pregare come Gesù ha pregato, a meno che questo non consista solo nella ripetizione di parole. Il più grande insegnamento di questa preghiera sta nel dirci chi è Dio per noi

 Il “Monte delle beatitudini” è in realtà una collinetta alta circa 150 metri, che degrada sino al lago di Tiberiade. © photoxpress.com

 © photoxpress.com - Memo

– un Padre – e chi siamo noi per lui: figli! Curiamo di indirizzare bene la nostra orazione a Dio che ci è Padre e sa di cosa abbiamo bisogno perché siamo dei figli cari, non degli estranei di poco conto! Poi, dobbiamo imparare a fidarci. Come è possibile che la preghiera sia vera se non ci fidiamo, nel senso di lasciare spazio a quello che Gesù ci insegna a chiedere? Se facessimo bene attenzione, scopriremmo che nel Padre Nostro c’è tutto ciò di cui abbiamo bisogno, tutto il necessario spirituale e non solo: la lode amorosa del Padre, la venuta del suo Regno, la docilità nell’accogliere la sua volontà. E poi il pane per ogni giorno, la disposizione al perdono e la supplica per non essere abbandonati nella tentazione. Non è forse questo tutto il necessario da chiedere? Questo deve essere pertanto il contenuto della nostra buona fiducia nel Padre. Fiducia ci vuole per ben pregare, perché chi ha fiducia sa apprezzare quanto gli viene dato e ne è grato! Sa perfino apprezzare la decisione del Padre che ben vedendo in noi, può anche non darci tutto ciò che gli chiediamo. Non smettiamo mai di imparare il Padre Nostro, di meditarlo e di pregarlo. Marco Rossetti rossetti.rivista@ausiliatrice.net N° 1 • GENNAIO-FEBBRAIO 2011

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Spiritualità mariana

Maria, donna della pienezza d M

aria è la donna che segna il “punto alfa” e il “punto omega” della storia della salvezza (ne abbiamo parlato in precedenza). Ma la Bibbia ci dice di più. Maria segna anche la svolta, il centro di questa storia. Lo attesta il passo mariano più antico del Nuovo Testamento: “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge” (Gal 4,4). In questo testo di Paolo, Maria non è presentata con il nome proprio, ma nella sua identità di “donna”, alludendo alla presenza misteriosa della donna nella Genesi (3,15) e nell’Apocalisse (12,1-2). Da questa donna è nato il Figlio di Dio. Maria è il “luogo” in cui Dio si incontra e si unisce all’uomo in modo nuovo e definitivo. Questo incontro avviene nella “pienezza del tempo”, cioè nel momento disposto dalla divina sapienza, un momento preparato con amore, con saggezza pedagogica, preannunciato da promesse ripetute e preceduto da secoli di attesa. “Termine fisso d’eterno consiglio” Mentre Paolo descrive questo momento decisivo con il sostantivo astratto di “pienezza” del tempo, i Vangeli lo fanno in modo narrativo. Ad una lettura superficiale la lista degli antenati di Gesù, all’inizio del Vangelo di Matteo, può apparire una pagina arida, un catalogo di nomi strani presentati in forma monotona. In realtà, si tratta di una mappa di storia molto vivace, una polifonia armoniosa. Dietro ad ogni nome si nasconde un volto, una vita, una storia. Ci sono storie famose come quelle dei grandi patriarchi, storie di personaggi ignoti, storie di giusti e di peccatori, storie intessute di gioie e di dolori, di vittorie e di sconfitte. Tutto viene assunto come

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 © Foto Carla Milone

È Maria che introduce sull’orizzonte della salvezza “la pienezza del tempo”, come l’aurora che precede il sole. © photoxpress.com - Jasenka

materia per l’incarnazione di Dio. Tutte le storie hanno un’unica radice, seguono un unico progetto, e si dirigono verso un unico fine: la pienezza del tempo, in cui Dio si fa uomo. Luca sottolinea la coincidenza della nascita di Gesù con il censimento di Cesare Augusto. Mentre sulla terra si conta il numero degli uomini, il Figlio di Dio discende dal cielo a mettersi tra loro e si fa registrare come uno di loro. Nella pienezza del tempo Gesù entra nella storia umana e nasce da Maria. Se tutti gli antenati, tutti i contemporanei di Gesù hanno un ruolo nella storia della salvezza, il ruolo di Maria è singolare. È Maria che introduce sull’orizzonte della salvezza “la pienezza del tempo”, come l’aurora che precede il sole. Maria è il “termine fisso d’eterno consiglio” come canta Dante. Ella stessa è la Buona Novella dell’avvento della pienezza del tempo. Con la sua presenza, la sua persona, la sua vita, Maria annunzia: è giunto il tempo della salvezza!


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bocca dei profeti, in attesa di prendere carne nel seno di Maria”. La pienezza indica non soltanto compimento delle attese, ma anche novità inedite. L’Incarnazione è un mistero sorprendente, una novità inaudita, una pienezza traboccante, eccedente. Nel Magnificat Maria percepisce questa pienezza realizzatasi in lei. Con umiltà e riconoscenza ella prende coscienza del suo posto in questa storia guidata da Dio e si rende conto di dover guardare a se stessa con stupore. Dio l’ha resa terreno di novità, luogo dove egli compie “grandi cose”. Indicando Maria Dio potrebbe ripetere ciò che ha detto una volta a Israele tramite il profeta Isaia: “Ecco, faccio una cosa nuova, proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?” (Is 43,19).

a del tempo

La nascita di Gesù riempie il tempo di eternità

L’incarnazione mistero sorprendente Dopo aver parlato “in molte tappe e in molti modi” (Eb 1,1), Dio parla ora in un modo nuovo, per mezzo del suo Figlio “nato da donna”. L’irrompere del nuovo inizio della salvezza ha portato a compimento tutte le promesse del passato. Si tratta di un cambiamento di epoca, una svolta nel destino di tutta l’umanità. Con l’incarnazione del Figlio di Dio il tempo raggiunge la sua pienezza, la storia il suo culmine. E Maria si trova protagonista e testimone di questo momento singolare, tanto atteso e denso di mistero. Maria riassume tutto il passato. In lei avviene il passaggio dal tempo della promessa al tempo della realtà. In questo senso il teologo medievale Ruperto di Deutz scrive: “Il Verbo di Dio nell’Antico Testamento prendeva corpo e voce nella

 “Ecco, faccio una cosa nuova, proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?” (Is 43,19). © photoxpress.com - Pavel Davidenko

La nascita di Cristo da Maria segna la pienezza del tempo non nel senso che il tempo da sé si fa pieno per accogliere Cristo, ma perché Cristo «in cui abita ogni pienezza» (Col 1,19) riempie con la sua presenza il tempo cronologico. Il tempo ha consistenza e contenuto soltanto quando in esso si realizza un’idea, si attua un progetto, si adempie una promessa; quando è animato dalla vita, dall’amore, da Dio, altrimenti rimane vuoto. In Gesù, Dio fatto uomo, lo schema formale del tempo raggiunge il suo massimo contenuto. Con l’incarnazione, Dio riempie il tempo di eternità. Ha un significato molto profondo il fatto che noi abbiamo preso l’anno della nascita di Gesù come punto di riferimento del nostro sistema universale di organizzare il tempo. È altrettanto significativo celebrare la festa di Maria, Madre di Dio, nel primo giorno di ogni anno, perché è per mezzo suo che possiamo sincronizzare il nostro tempo e il nostro calendario con quello di Dio. Buon anno 2011 dalla nascita di Gesù, dunque! Sia un anno segnato dalla “pienezza”. Maria Ko Ha Fong kohafong.rivista@ausiliatrice.net N° 1 • GENNAIO-FEBBRAIO 2011

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Maria nei secoli

L’insuperato commento al “saluto d San Tommaso d’Aquino

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el marzo del 1273, nella chiesa di san Domenico Maggiore, a Napoli, i fedeli erano numerosi. Si assiepavano, accanto agli studenti della prestigiosa Università fondata dall’imperatore Federico II, per ascoltare un predicatore d’eccezione che, assiso su una seggiola all’interno del pulpito, affascinava con il suo insegnamento chiaro e piacevole, pronunciato in una lingua condita da frequenti e colorite espressioni napoletane. Quel predicatore era san Tommaso d’Aquino, il teologo cattolico più famoso e, forse, il più importante nella storia della Chiesa. Aveva 48 anni. A quell’epoca si era considerati anziani. Tommaso, nato a Roccasecca (Frosinone) attorno al 1225, aveva vestito l’abito dei Domenicani in giovinezza ed aveva trascorso la vita a studiare, a pregare e ad insegnare, ammirato dagli amici, stimatissimo dai pontefici e guardato con rispetto anche dagli avversari. Aveva già composto i suoi capolavori, intitolati Summa contra Gentiles e Summa Theologica, ma, pur essendo un professore universitario di altissimo livello, amava anche predicare alla gente semplice.

Tommaso, riflettendo sull’evento dell’annunciazione, considera Maria rappresentante dell’intera umanità, a nome della quale ella ha dato a Dio quella risposta affermativa che ha inaugurato il tempo della salvezza. (L. Gambero)

 San Tommaso d’Aquino in un dipinto di Benozzo Gozzoli (1420-1497). Louvre, Parigi. L’abbazia di Fossanova (in provincia di Latina), dove il “Doctor angelicus” morì. 

Soltanto Maria è “piena di grazia” Così, nella Quaresima di quel 1273 (morirà proprio un anno dopo, il 7 marzo 1274, nell’abbazia di Fossanova, in provincia di Latina), Tommaso si mise a fare il catechismo ai fedeli, spiegando il significato del Credo, dei Comandamenti

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o dell’angelo” e dell’“Ave Maria”, la preghiera mariana più recitata al mondo che, ai suoi tempi, era nota soltanto per la prima parte che noi conosciamo e che Tommaso, come tutti nel secolo XIII, chiamava “saluto dell’Angelo”. In quella spiegazione si trovano alcune perle di teologia mariana. Anzitutto, mai, prima dell’Annunciazione, un angelo aveva reso un atto di omaggio a una creatura umana. Nell’Antico Testamento, infatti, avviene il contrario. Nel caso di Maria, l’angelo Gabriele la saluta con infinito rispetto: “Ave, piena di grazia!”. Riconosce in lei una dignità speciale. Soltanto la Madonna, infatti, è piena di grazia, osserva Tommaso. Infatti, soltanto lei praticò in grado massimo tutte le virtù. Inoltre è piena di grazia perché esercita un influsso benefico su tutti gli uomini. Ecco le parole del Dottore Angelico (così è chiamato Tommaso a motivo della sua integra purezza): “È già cosa grande quando un santo possiede tanta grazia che basti per la salvezza di molti; ma sarebbe il massimo se ne possedesse tanta da bastare alla salvezza di tutti gli uomini del mondo. Questo è vero per Cristo e per la beata Vergine. Infatti in ogni pericolo, puoi ottenere la salvezza dalla medesima Vergine gloriosa”. “Affido al tuo cuore tutta la mia vita” Nell’episodio dell’Annunciazione, poi, l’angelo riverisce Maria perché le Tre Persone trinitarie sono in intima relazione con lei: il Padre che, dopo averla prescelta, invia il suo messaggero, il Figlio che si incarna nel suo seno, lo Spirito che l’adombra per la concezione verginale. Per illustrare questa ineffabile e dolcissima comunione, Tommaso adopera un’espressione che può apparire

Tra la Vergine Madre di Dio e San Giuseppe vi fu vero e proprio matrimonio: infatti entrambi acconsentirono all’unione coniugale, anche se non presero posizione riguardo all’unione carnale, per la quale si affidarono al beneplacito di Dio. (Benedetto XVI)

 L’“Immacolata Concezione”: dipinto del veneziano Giambattista Tiepolo, conservato nel Museo del Prado, a Madrid.

persino audace. Definisce la Madonna triclinium Trinitatis. È un appellativo stupendo. Tradotto in italiano, diremmo: confortevole e graditissimo luogo di riposo, come un divano sul quale si trova sollievo. A motivo dell’Incarnazione, infatti, in Maria santissima, come in nessun’altra creatura, le Tre divine Persone inabitano e provano delizia e gioia a vivere nella sua anima piena di grazia. La Madonna è il Paradiso di Dio! E alla Madonna san Tommaso ha rivolto delle preghiere stupende, da lui stesso composte. In una di esse, egli implora la Madre di Dio con parole che volentieri facciamo nostre: “Io affido al tuo cuore misericordioso tutta la mia vita; ottienimi, o mia dolcissima Signora, carità vera, con la quale possa amare con tutto il cuore il tuo santissimo Figlio e te, dopo di lui, sopra tutte le cose, e il prossimo in Dio e per Dio”. Roberto Spataro spataro.rivista@ausiliatrice.net N° 1 • GENNAIO-FEBBRAIO 2011

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La Parola qui e ora

“Cacciatori di teste” mortificati d M

«

entre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. E disse loro: “Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini”. Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono. Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo» (Mt 4,18-23). I “cacciatori di teste” saranno un po’ scandalizzati da questa pagina di Vangelo, perché mortifica – anzi, azzera – la loro “professionalità”. I cacciatori di teste sono personaggi molto

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Marco Bonatti è direttore responsabile del settimanale diocesano torinese “La Voce del Popolo”. Da questo numero propone una riflessione su uno dei Vangeli domenicali. © Foto Guglielmo Lobera

Segui “La Voce del Popolo” su internet: www.lavocedelpopolo.torino.it

ben pagati che, per conto di imprese, centri di studio, banche, multinazionali, università (non italiane), vanno a cercare o esaminano le domande di giovani “brillanti” che potrebbero far carriera. Il loro mestiere, per rimanere nei paragoni evangelici, è quello dell’uomo che cerca la perla nel campo. Loro devono avere il fiuto e le caratteristiche per individuare il «campo» giusto. Ma qui Gesù agisce diversamente. Vede due pescatori, e li chiama; poi altri due fratelli, e chiama anche loro. Niente esami preliminari, nessuna scheda per valutare le caratteristiche individuali e la psicologia. Nessun curriculum (quello medio dei pescatori sul mare di Galilea, venti secoli fa, non doveva comunque essere molto lungo. E però questa pagina è ambientata proprio nella “Galilea delle genti” per sottolineare la differenza fondamentale tra Gesù e i cacciatori di teste: la proposta del Signore non è selettiva, non cerca il “meglio” in un certo settore, ma cerca di “conquistare” tutti gli uomini.


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i da due pescatori

 Il lavoro dei pescatori, oggi, come al tempo di Gesù. © photoxpress.com - Giupipita

 © photoxpress.com - Romy Mitterlechner

condizione e quella di qualcun altro, o di tutti gli altri. Eppure Luigi Einaudi, che di ricchezza se ne intendeva, scriveva così: “Fa d’uopo dire quanto sarebbe vantaggioso che nei seminari e nei licei si inculcasse l’idea che non esiste nessuna maniera, né semplice né misteriosa, di far denaro a palate”. La disinvoltura di Gesù nello scegliere i suoi principali collaboratori ci fa paura. Ma prima di essere attribuita a qualche dote divina, andrebbe considerata come una “sapienza” molto umana, la capacità di scommettere sulla riuscita, la realizzazione di una persona senza farsi un mito della “cultura”, biologica e intellettuale, che quella persona si porta dietro. Anche Gesù fa una promessa precisa, e grandiosa: “pescatori di uomini”. Cioè capaci di portare altri uomini a quella stessa pienezza di vita che è di Dio. Realizzazione, riuscita: la “salvezza” non è forse prima di tutto il senso della vita? Marco Bonatti direttore@lavocedelpopolo.torino.it

Mentre noi siamo abituati a pensare che l’obiettivo della vita sia il successo mondano, o la ricchezza; cioè appunto la “differenza materiale” fra la nostra

Un colloquio di lavoro. © photoxpress.com - Radu Razvan

FRIGATO SABINO

VIZI CAPITALI. COME PARLARNE OGGI? Editrice Elledici, pagine 56, € 4,00 Questo agile libretto apporta un piccolo contributo a una grande causa: l’educazione morale. Presenta i classici sette vizi capitali così come li viviamo oggi, e alcuni vizi nuovi, tipici del nostro tempo e della nostra società.

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Amici di Dio

Studiare, predicare e soffrire p San Domenico di Guzman (1175-1221), fondatore dei Domenicani

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ono tre i personaggi che, nell’ambito ecclesiale, tra la fine del 1100 e i primi decenni del 1200, hanno influenzato grandemente la vita della Chiesa: papa Innocenzo III, Francesco d’Assisi e Domenico di Guzman. Del primo gli storici dicono concordemente che è stato un grande papa, degno del titolo di Magno (non conferito). Affrontò infatti la maggior parte dei problemi della vita spirituale e politica della Chiesa, con intelligenza e mano forte, avviando o prospettando soluzioni pratiche. E la Provvidenza volle che si avvalesse della collaborazione zelante e appassionata di due stelle luminose nel firmamento della Chiesa: Francesco e Domenico. Così grandi e famosi da essere celebrati anche dal sommo poeta Dante.

Dante, nel Paradiso, parla dei due santi, per bocca di Tommaso d’Aquino. Questi lo informa che la Divina Provvidenza, che regola il corso delle vicende umane, ha mandato due prìncipi con il compito di guidare e sostenere la Chiesa: Francesco e Domenico. San Francesco fu ardente di carità come un Serafino (“L’un fu tutto serafico in ardore”), San Domenico splendente di sapienza come un Cherubino (“l’altro per sapienza in terra fue / di cherubica luce uno splendore”).

Studioso della Scrittura e sensibile verso i poveri Domenico è nato a Calaruega nella Castiglia (Spagna), da una famiglia nobile e religiosa. Di intelligenza vivace e dai molti interessi, si distinse subito per due caratteristiche: l’amore e lo studio della Sacra Scrittura e la solidarietà verso i poveri. Un episodio ne mostra sia la sensibilità sia la decisione, fin da ragazzo. Era scoppiata una carestia gravissima. Domenico, pieno di compassione, mise in pratica il Vangelo, come poteva: vendette i libri che possedeva e che gli erano cari oltre che indispensabili per la formazione e il ricavato lo diede ai poveri. Un sacrificio molto grande. Si sarebbe giustificato dicendo candidamente: “Non posso studiare su pelli morte (cioè le pergamene) mentre delle persone vive muoiono di fame”. Mostrava così quella determinazio-

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Domenico non solo leggeva il libro della Scrittura per nutrire la propria preghiera ma si serviva anche del libro della natura. Qualche volta fu visto dai suoi frati entrare in estasi, proprio contemplando la bellezza del creato.

ne e bontà che lo accompagneranno sempre. Diventato sacerdote a 25 anni, Domenico era già molto stimato dai suoi colleghi e particolarmente dal suo zelante vescovo Diego. Questi che lo conosceva bene, ne apprezzava le doti di intelligenza, ne ammirava la profondità spirituale. Per questo lo volle compagno di viaggio nel Nord Europa per conto del re di Castiglia. Viaggio non di natura spirituale ma diplomatica (precisamente di politica matrimoniale). Ma la Provvidenza se ne servì per il bene della Chiesa. Attraversando il Sud della Francia, la Provenza, aprirono gli occhi sulla diffusione dell’eresia dei Catari (o Albigesi). Questi sostenevano una concezione dualistica della realtà, cioè tutto è regolato da due principi creatori, ugualmente potenti, Dio e il Diavolo, il Bene e il Male, lo Spirito e la Materia. Sul versante dottrinale negavano l’incarnazione di Cristo, quindi la sua risurrezione e anche i sacramenti della Chiesa. Missionario povero ma teologicamente preparato Il vescovo Diego e Domenico avevano capito che molte critiche degli eretici erano contro il clero, che non di rado viveva nella ricchezza, nell’ignoranza e nella poca sensibilità pastorale. C’era bisogno di una riforma della Chiesa. Ed essi la volevano attuare partendo da un rinnovato amore a Cristo, alla sua umanità e divinità insieme, alla Chiesa, ai poveri. Bisognava anche predicare con argomenti nuovi e con metodologie nuove. Pensavano però di attuare questo bel progetto in paesi fuori dall’Europa. Innocenzo III invece, saggiamente, li mandò proprio... in Provenza, tra i Catari. Ed obbedirono. Arrivarono tra la gente presentandosi poveri


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e per amore di Dio “Domenico accoglieva ogni uomo nel grande seno della carità. Poiché amava tutti, tutti lo amavano. Si era fatto una legge personale di rallegrarsi con le persone felici e di piangere con coloro che piangevano”. Beato Giordano di Sassonia, suo successore alla guida dei Domenicani

mai contro nessuno. E la gente lo vedeva, lo studiava, rifletteva e cominciava ad apprezzarlo. E poi si convertiva. Era la sua metodologia missionaria, nuova, efficace. E le conversioni? Arrivarono presto, numerose, sincere. Un giorno, mentre a piedi scalzi si recava ad una disputa pubblica, senza saperlo, si affidò come guida ad uno del posto, un eretico. In altre parole un “nemico”. Costui lo condusse per sentieri difficili, pieni di spine e di pietre aguzze. Domenico, pazientemente, pregava e camminava anche con i piedi sanguinanti. Ad un certo punto disse alla guida, che lo guidava così male: “Di sicuro vinceremo la disputa, perché abbiamo già sparso il nostro sangue”. Il risultato fu una conversione generale, guida compresa. Domenico: o parlava con Dio o parlava di Dio

 San Domenico di Guzman, in un dipinto di Giovanni da Taranto (XIII-XIV sec.), conservato nel Museo di Capodimonte, a Napoli.

e indifesi, umili e accoglienti verso tutti, profondamente diversi cioè dagli altri predicatori di prima. Purtroppo poco tempo dopo il buon vescovo Diego dovette rientrare in diocesi. E Domenico rimase a predicare, da solo, per quasi sei anni. Nelle sue relazioni con gli altri aveva rispetto e pazienza con tutti, discuteva anche animatamente ma senza organizzare crociate, era a disposizione di tutti

Domenico parlava sempre, volentieri e con competenza di Dio e di Cristo a tutti quelli che avvicinava. Altrimenti taceva e si raccoglieva in preghiera. Al centro di ogni sua predicazione c’era il Cristo Crocifisso, contemplato come il bene più prezioso. Per lui infatti tutti, uomini e donne, letterati o no, in ogni tempo e luogo, assolutamente tutti avevano il diritto di conoscerlo per amarlo. E considerava suo dovere predicarlo, testimoniarlo affrontando ogni sofferenza. Domenico testimoniava il suo amore a Cristo vivendo di povertà, di preghiera e di penitenza che accettava come espiazione per le colpe altrui. Nella predicazione inoltre parlava spesso e molto della Madonna, raccomandando a tutti la recita del Rosario. Anche questo elemento, dicono gli storici, oltre la sua santità e preparazione, fu importante per il successo apostolico con gli eretici. È nel 1214 a Tolosa (Francia) che Domenico darà vita al primo nucleo di quello che diventerà poi l’Ordine Domenicano. Moriva a Bologna l’8 agosto 1221, in estrema povertà, attorniato dai suoi figli. Mario Scudu archivio.rivista@ausiliatrice.net N° 1 • GENNAIO-FEBBRAIO 2011

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Il Papa ci parla

Noi, i battezzati in Cristo I

l piccolo Joseph Alois Ratzinger non poteva certo ricordare il suo battesimo: fu battezzato il giorno stesso della nascita, il 16 aprile 1927. Ma più tardi la mamma Maria, e il papà Joseph, e la sorella Maria, se non il fratellino Georg, gli racconteranno tanti particolari. Lui li ha poi riversati per noi nell’autobiografia “La mia vita”. Così sappiamo che i Ratzinger erano a Marktl am Inn (che vorrebbe dire mercatino sul fiume Inn), un paese della bassa Baviera in Germania quasi sul confine con l’Austria. Che era una primavera pigra, e una giornata con freddo invernale e la neve per terra. Peggio, erano i giorni in cui un certo “signor Hitler” proprio là in Baviera si tuffava nella rissa politica, dando avvio a quella tragica avventura che avrebbe insanguinato il mondo intero. La nascita del piccolo Joseph Alois era stata difficile e sofferta, nel cuore della notte. In mattinata suo padre – capo della gendarmeria locale, con tanto di baffi e con una fede granitica – aveva preso quel roseo fagottino e insieme a parenti e amici in festa lo aveva portato in parrocchia perché diventasse al più presto un piccolo cristiano. Per la liturgia quel giorno era il sabato santo, tra il venerdì della passione e la domenica della risurrezione. Per il piccolo Joseph l’inizio, il primo passo, un simbolo. Quel sabato, quando il fagottino giunse in parrocchia, il parroco aveva già benedetto l’acqua lustrale, che sarebbe servita per il battesimo dei bambini del mercatino durante tutto l’anno a venire. E così lui, alla vigilia della Pasqua, fu il primo ad accogliere gli effetti trasformanti della nuova acqua che cambia i figli degli uomini in figli di Dio. “Joseph Alois. io ti battezzo...”. Tanti anni più tardi, già vescovo della

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Papa Benedetto un giorno ha raccontato il suo Battesimo. E ogni anno, da quando è Papa, nella Domenica dopo l’Epifania battezza alcuni neonati in San Pietro. Poi spiega ai fedeli il valore trasformante del sacramento che ci fa figli di Dio.

santa romana Chiesa, Joseph Alois Ratzinger racconterà tutti questi particolari e commenterà: “L’essere il primo battezzato della nuova acqua, era un importante segno premonitore. Personalmente sono sempre stato grato per il fatto che in questo modo la mia vita sia stata fin dall’inizio immersa nel mistero pasquale, dal momento che non poteva che essere un segno di benedizione. Quanto più ci penso, tanto più mi pare una caratteristica della nostra esistenza umana, che ancora attende la Pasqua, che non è ancora nella luce piena ma si avvia fiduciosa verso di essa”. Ora, ogni anno, ogni Domenica dopo l’Epifania

Intanto, in qualche parte di questo mondo C’è in qualche parte del mondo un posto, una chiesa, in cui anche noi siamo stati rigenerati dalle acque battesimali. C’è un giorno, nel fluire del tempo, in cui siamo diventati figli di Dio. Perché non andare a visitare il luogo dove il nostro primo parroco ci ha battezzati? Per rinnovare le nostre promesse battesimali e il desiderio di una vita cristiana.

Divenuto Papa, Benedetto XVI a ogni festa del Battesimo del Signore (domenica dopo l’Epifania) celebra la messa solenne in San Pietro e ricorda ai fedeli la bellezza del loro battesimo. Durante il rito battezza sempre qualche neonato, con evidente letizia. L’anno scorso diceva: “Anche quest’anno ho la gioia di amministrare il sacramento del Battesimo ad alcuni neonati, che i genitori presentano alla Chiesa. Siate i benvenuti, cari papà e mamme di questi piccoli, e voi padrini e madrine, amici e parenti, che fate loro corona. Rendiamo grazie a Dio, che oggi chiama queste bambine e questi bambini a diventare suoi figli in Cristo. Li circondiamo con la preghiera e con l’affetto, e li accogliamo con gioia nella Comunità cristiana, che da oggi diventa anche la loro famiglia” (Omelia del 10-01-2010). Seconda nascita, nascita dall’alto Quei bambini diventavano “figli di Dio in Cristo”, e il Papa si è fermato a spiegare


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tale sacramento l’uomo diventa realmente figlio, figlio di Dio». Di conseguenza: «Da allora, il fine dell’esistenza consiste nel raggiungere in modo libero e consapevole ciò che fin dall’inizio era ed è la destinazione dell’uomo: “diventa ciò che sei” rappresenta il principio educativo di base della persona umana redenta dalla grazia». «Tale principio – ha precisato il Papa – ha molte analogie con la crescita umana, in cui il rapporto dei genitori con i figli passa, attraverso distacchi e crisi, dalla dipendenza totale alla consapevolezza di essere figli, alla riconoscenza per il dono della vita ricevuta. Generato dal battesimo a vita nuova, anche il cristiano inizia il suo cammino di crescita nella fede, che lo porterà a invocare consapevolmente Dio come “Abbà, Padre”, a rivolgersi a Lui con gratitudine e a vivere la gioia di essere suo figlio». Dal battesimo una società di fratelli

l’avvenimento. All’Angelus ha commentato: «Pensiamo a ciò che scrive san Paolo ai Galati: “Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli” (Gal 4,4-5). E san Giovanni nel Prologo del suo Vangelo: “A quanti l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio” (Gv 1,12). Questo stupendo mistero che è la nostra seconda nascita – la rinascita di un essere umano dall’alto, da Dio (cfr. Gv 3,1-8) – si realizza e si riassume nel segno sacramentale del battesimo. Con

 L’11 gennaio 2009, Festa del Battesimo del Signore, papa Benedetto XVI battezza alcuni bambini, nella Cappella Sistina. © Agenzia SIR

C’è di più. “Dal battesimo – ha proseguito il Papa – deriva anche un modello di società: quella dei fratelli. La fraternità non si può stabilire mediante un’ideologia, tanto meno per decreto di un qualsiasi potere costituito. Ci si riconosce fratelli a partire dall’umile ma profonda consapevolezza del proprio essere figli dell’unico Padre celeste”. Di conseguenza: “Come cristiani, grazie allo Spirito Santo ricevuto nel battesimo, abbiamo in sorte il dono e l’impegno di vivere da figli di Dio e da fratelli, per essere come lievito di un’umanità nuova, solidale e ricca di pace e di speranza”. Infine il pensiero del Papa è corso dai bambini alle loro mamme, e a una mamma: “Ci aiuta la consapevolezza di avere, oltre che un Padre nei cieli, anche una madre, la Chiesa, di cui la Vergine Maria è il perenne modello. A lei affidiamo i bambini neo-battezzati e le loro famiglie, e chiediamo per tutti la gioia di rinascere ogni giorno dall’alto, dall’amore di Dio, che ci rende suoi figli e fratelli tra noi”. Enzo Bianco bianco.rivista@ausiliatrice.net N° 1 • GENNAIO-FEBBRAIO 2011

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Vita della Chiesa

Condividere le gioie e i dolori Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente

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n incontro «in cui abbiamo condiviso le gioie e i dolori, le preoccupazioni e le speranze dei cristiani del Medio Oriente. Abbiamo vissuto l’unità della Chiesa nella varietà delle Chiese presenti in quella Regione». Con queste parole lo scorso 24 ottobre, papa Benedetto XVI ha descritto, nell’omelia conclusiva, l’esperienza del Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente, che si è svolto in Vaticano. Unità e diversità, fatiche e speranze, dialogo e testimonianza sono state le parole chiave di un confronto che ha riunito a Roma 185 padri sinodali, in rappresentanza di 5 milioni e 707 mila cattolici: l’1,6% della popolazione che vive in Arabia Saudita, Bahrein, Cipro, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Iran, Iraq, Israele, Kuwait, Libano, Oman, Qatar, Siria, Turchia, nei Territori Palestinesi e nello Yemen. Erano presenti al Sinodo anche i responsabili di 14 Dicasteri della Curia Romana e 19 Vescovi provenienti dai Paesi limitrofi all’area del Medio Oriente e dai Paesi europei e americani, dove sono presenti consistenti comunità cristiane originarie del Medio Oriente.

Due presenze salesiane

 Mons. Ignazio Bedini (secondo da sinistra) accanto ad un prete novello. © ANS - ImageBank

Un momento della conferenza stampa conclusiva del Sinodo dei Vescovi del Medio Oriente, svoltosi in Vaticano lo scorso 23 ottobre. © Agenzia SIR

Tra loro, c’erano due presenze della Famiglia salesiana: mons. Ignazio Bedini, arcivescovo di Isphahan, in Iran, e don Piergiorgio Gianazza, vicario della comunità di Betlemme e docente al Centro Teologico Salesiano di Gerusalemme «Ratisbonne», che ha preso parte all’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo in qualità di «Adiutor Secretarii Specialis» o «Esperto». All’Assemblea sinodale hanno inoltre partecipato come Delegati fraterni, i rappresentanti di tredici comunità ecclesiali, storicamente ben radicate nel Medio Oriente: «Un segno eloquente – ha sottolineato il Segretario Generale del Sinodo, mons. Nikola Eterovi – della volontà di proseguire il dialogo ecumenico che ha già dato tanti risultati positivi». Non sono mancati, infine, rappresentanti ebrei e dell’Islam. Il tema del Sinodo era «La Chiesa Cattolica nel Medio Oriente: comunione e testimonianza. “La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola” (At 4, 32)». Gli scopi: «confermare e rafforzare i cristiani nella loro identità mediante la Parola di Dio e i Sacramenti» e «ravvivare la comunione ecclesiale tra le Chiese». Finalità pastorali, queste, che il Sinodo ha ribadito, richiamando l’importanza di una rinnovata comunione a livello catechetico e di promozione umana. Pregare per la pace Tra i temi emersi dal dibattito, la centralità della Parola. «I nostri fedeli hanno grande sete della Parola di Dio», ha detto Antonios Naguib, patriarca di Alessandria dei Copti, nella Relatio post disceptationem, la sintesi degli interventi, pre-

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sentata il 18 ottobre. «Abbiamo bisogno – ha proseguito – che la Parola di Dio sia il fondamento di qualsiasi educazione e formazione, nelle nostre famiglie, Chiese, scuole». Tra le sfide lanciate: la lotta all’emigrazione, alla mancanza di libertà religiosa, al fondamentalismo. Non poteva mancare un richiamo alla Vergine, aiuto e consolazione dei cristiani in ogni parte del mondo, ma anche figura rispettata dall’Islam e quindi, importante nel dialogo con i musulmani. Un appello infine a lavorare per la pace e l’unità è stato ribadito con veemenza anche dal Papa nella celebrazione conclusiva: «Chiedete pace per Gerusalemme, ci dice il Salmo. Preghiamo per la pace in Terra Santa. Preghiamo per la pace nel Medio Oriente, impegnandoci affinché tale dono di Dio offerto

agli uomini di buona volontà si diffonda nel mondo intero». Federica Bello redazione.rivista@ausiliatrice.net

COLOMBO STEFANO

MARIA. FIGLIA, SORELLA, MADRE Ed. Monti, pagine 64 con cd musicale, € 15,00 Contiene i testi delle undici canzoni del CD e le immagini realizzate da don Stefano Colombo. Con un saluto del card. Carlo Maria Martini e la prefazione del card. Dionigi Tettamanzi. Le preghiere scritte dalla clarissa milanese suor Chiara Veronica, e una riflessione di don Enrico Parolari, formatore e psicologo, completano la meditazione.

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All’ombra del santuario

Negli oratori si vive l’acc o Oltre 50 etnie presenti

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rima si chiamavano Antonio, Giuseppe, Michele e Andrea; oggi i nomi più diffusi sono Adrian, Hammed, Miguel e Gerard, ma per la pastorale giovanile salesiana la sostanza è rimasta la stessa. L’oratorio infatti – così come ai tempi di Don Bosco – continua a caratterizzarsi come luogo di accoglienza con la A maiuscola, uno spazio dove le differenze di ceto, religione e provenienza diventano una forza e non un problema. Per questo, a dieci anni dalla nascita dell’AGS (Associazione Giovanile Salesiana), si è voluto approfondire la questione, riflettendo sui progetti di pastorale giovanile, in un convegno dal titolo “Dieci anni sul territorio con i ragazzi di Don Bosco... dalla strada al cortile a/r”: dieci anni di costante impegno accanto ai ragazzi, sviluppando progetti specifici e specializzanti dedicati all’educazione degli adulti di domani. “Dare di più a chi ha avuto di meno” è una frase storica del fondatore dei salesiani, motto che è risuonato nella sala gremita di educatori convenuti dai 25 oratori piemontesi: laici e sacerdoti insieme per riflettere del fenomeno dell’immigrazione, per approfondire i temi sociali e le prospettive generazionali future.

 Giovani di diverse nazionalità partecipano ad un campo scuola. Archivio PG - ICP

Aiutare a diventare persone “La Torino del 2010 si mostra cambiata, così come del resto sono cambiati i giovani frequentatori degli oratori – ha spiegato Rosita de Luigi, docente universitaria, alla quale si deve una ricerca sul fenomeno dell’immigrazione e dei suoi intrecci educativi sul territorio –. Oggi sono ormai più di 50 le etnie presenti nei cortili salesiani: primi tra tutti, i giovani marocchini, seguiti da albanesi, romeni, filippini e brasiliani e via via, le altre nazionalità di tutti i continenti. Una diversificazione – ha proseguito – che deve sostenere le équipe

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 Don Domenico Ricca, presidente SCS-CNOS. © Archivio RMA


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cazione che si traduce nell’aiutare ciascuno a diventare pienamente persona attraverso l’emergere della coscienza, lo sviluppo dell’intelligenza, la comprensione del proprio destino”.

c oglienza

La nostra forza: il lavoro di rete “La nostra forza continua ad essere il lavoro di rete – ha spiegato don Stefano Martoglio, Superiore dei Salesiani per il Piemonte, Valle d’Aosta e Lituania – portando avanti un pensiero condiviso che non significa omologazione”. E lo ha detto

educative ad un serio efficace e creativo dinamismo di pensiero pedagogico e di interventi educativi, orientati a valorizzare un’esperienza quotidiana che può e deve divenire significativa per ogni ragazzo”. In oratorio per giocare, ma non solo: il convegno è stato anche motivo per riflettere sul progetto salesiano rivolto ai giovani. “Siamo convinti – è il pensiero di don Alberto Martelli, delegato di Pastorale Giovanile e presidente AGS per il territorio – che la «cifra» del nostro stare con i ragazzi, e soprattutto quelli in difficoltà, sarà quella di garantire anche a loro l’opportunità dell’educazione; un’edu-

 Un allegro girotondo multietnico, nelle camerette di Don Bosco a Valdocco. © sync-studio - Paolo Siccardi

 Don Alberto Martelli, presidente AGS per il territorio. Archivio PG - ICP

rivolgendosi idealmente alle 36 parrocchie, ai 25 oratori, alle numerose scuole di ogni ordine e grado, ai 10 centri di formazione professionale, alle università, ad una casa editrice, due radio, una Comunità per minori, centri diurni e aggregativi, riviste e associazioni, che rappresentano la “fotografia” della presenza dei salesiani in Piemonte. “Presenza che cerca da sempre il dialogo e le alleanze – racconta don Domenico Ricca, presidente SCSCNOS e cappellano del «Ferrante Aporti» – rappresentati dai servizi sociali, dall’Ufficio Pio della Compagnia di San Paolo, dalle Circoscrizioni cittadine e in particolare dai tanti educatori professionali, la forza dei salesiani oggi, i laici impegnati che Don Bosco aveva già previsto come reali costruttori della Chiesa moderna, per fare dei giovani «buoni cristiani e onesti cittadini»”. Maurizio Versaci versaci.rivista@ausiliatrice.net N° 1 • GENNAIO-FEBBRAIO 2011

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Catechesi & dintorni

Sarebbe questa la chiesa? L

a giovane ed elegante signora si ferma interdetta sulla soglia dell’aula catechistica. La bimba che tiene per mano è così perfetta da sembrare finta. “Mia figlia vuole fare la Prima Comunione – esordisce –. Mi hanno mandata qui. Sarebbe questa la chiesa?”, aggiunge con aria disgustata. Mi chiedo se la distinta signora abbia mai visto una chiesa e con tono leggermente polemico (lo ammetto), rispondo che le chiese hanno un’altra struttura, altre dimensioni e, soprattutto, sono riconoscibili dall’esterno. Questi dove ci troviamo sono soltanto i locali della parrocchia. La rassicuro che, comunque, è venuta nel posto giusto. Poi, le spiego il percorso catechistico che i bambini compiono in preparazione alla Prima Comunione, dalla seconda alla quarta elementare: incontri gioiosi, in cui si alternano momenti di studio e di svago, dialoghi, discussioni e ascolto della Parola di Dio, con la graduale presa di coscienza di appartenere alla grande comunità della Chiesa, che non è soltanto un edificio di mattoni... La giovane madre mi interrompe, quasi terrorizzata: “Ma come, tuuuutto questo tempo soltanto per una Comunione? Pensavo bastasse parlare un po’ con il parroco, magari fare un’offerta. Questi poveri bambini sono stravolti dagli impegni: la scuo-

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 Alcuni momenti di studio e di svago che riempiono la giornata dei ragazzi.

la, la danza, le lezioni di musica, la ginnastica correttiva. Dove trovano il tempo per il catechismo?”. Ricomincio il discorso, spiegando che la preparazione catechistica non è un’aggiunta o un’alternativa alla scuola e ad altri percorsi più o meno culturali, ma un crescere insieme nella fede, in un clima di amicizia e di collaborazione. Inutile. L’elegante signora riprende la tiritera degli impegni scolastici ed extra, concludendo: “Insomma, a me il tempo dedicato al catechismo sembra proprio sprecato!”. Sto per invitarla ad un ripensamento, dirottandola al parroco, quando la bambina, rimasta assorta e silenziosa durante il nostro colloquio, spiazza entrambe: “Mamma, non è sprecato il tempo che si passa a conoscere Gesù: io lo voglio fare!”. La giovane, elegante signora tace: ha esaurito gli argomenti. E io constato ancora una volta l’originalità di Dio, che continua a tenere nascoste le grandi verità ai sapienti e le rivela ai piccoli, ai semplici. Proprio quelli ai quali dobbiamo sforzarci di somigliare, se vogliamo entrare nel Regno dei Cieli. Anna Maria Musso Freni redazione.rivista@ausiliatrice.net

Ragazzi attenti durante un incontro di catechismo. 


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Il poster

Io con voi mi trovo bene N

 Il noto dipinto, nella basilica di Maria Ausiliatrice a Valdocco, raffigura Don Bosco mentre addita la Vergine ai primi ragazzi dell’Oratorio. Mario Notario

Ho promesso a Dio che fino l’ultimo mio respiro sarebbe stato per i miei poveri giovani. Io per voi studio, per voi lavoro, per voi vivo, per voi sono anche disposta a dare la vita. Fate conto che quanto io sono, sono tutto per voi, giorno e notte, mattina e sera, in qualunque momento. Don Bosco

on ci stiamo abituando troppo velocemente alle notizie riguardanti la violenza dei giovani? Agli episodi di bullismo nelle scuole (dalle statistiche, un problema di una scuola su tre), ai pestaggi nelle strade, agli atti di vandalismo negli stadi, agli accoltellamenti tra adolescenti a scopo di estorsione? Purtroppo, pare di sì. I giovani sono molto recettivi verso tutto ciò che sa di novità e di “gadget” tecnologici, quali... Lasciamo stare, l’elenco sarebbe lungo. Li vediamo per strada, sempre connessi al cellulare, o a mandare SMS, o con gli auricolari innestati, e una volta a casa, è la volta di internet, delle chat, delle e-mail, dei social network, dei video messaggi, della webmusic, o delle webnews. “Connessi con tutto, ma non con se stessi”, titolava un giornale. Molto bello e di attualità. Ma non sarebbe meglio, ogni tanto, staccare la spina da questi onnipresenti gadget elettronici, diventati i veri idoli moderni, e ritagliarsi un po’ di silenzio per accogliere l’antico invito di Socrate “Conosci te stesso”? Soltanto nel silenzio si può andare al fondo di se stessi, ascoltare il proprio io profondo che pone, oggi come ieri, le eterne domande “Chi sono io? Da dove vengo? Dove vado? A chi appartengo? Da cosa posso essere salvato?”. Non c’è vera educazione dei giovani se non li si introduce alla realtà, a tutta la realtà (bella o brutta, come l’amore e

la morte), alla realtà di se stessi (compresi i limiti umani e le eventuali frustrazioni), alla realtà degli altri (talora veri ostacoli per noi), dell’universo (di cui dovremmo aver cura come casa nostra), di Dio (che non sceglierà di parlarci direttamente). E perché i giovani si pongano questi interrogativi esistenziali, hanno bisogno del “coraggio del silenzio” per se stessi, e di veri educatori che, nel dialogo paziente, si sforzino di “educare a queste domande” così fondamentali per la loro identità in formazione. Come faceva Don Bosco, che affermava: “Io con voi mi trovo bene. È proprio la mia vita stare con voi”. Don Bosco si trovava bene con i ragazzi e siamo sicuri anch’essi con lui. Per questo motivo la Chiesa l’ha proclamato “Padre e Maestro della gioventù”. Ecco le due realtà di cui hanno bisogno per essere educati e per poter maturare un progetto di vita socialmente utile. Don Bosco ricorreva alla cosiddetta “Parolina nell’orecchio” (e più ancora nel sacramento della Riconciliazione) per far arrivare un messaggio personalizzato a qualche suo allievo. E quella parola veniva da un padre che li amava (e i ragazzi percepivano questo amore serio per loro) e perciò arrivava al profondo del cuore. Alla sera, poi, c’era il rito della “Buona Notte” per tutti: un momento privilegiato per la formazione morale e spirituale collettiva, per interpretare educativamente episodi, avvenimenti della giornata, notizie arrivate, progetti futuri o per raccontare qualche suo sogno. Era insomma il Maestro che educava e li educava perché li amava. Non li istruiva soltanto. Anche i giovani di oggi hanno bisogno di padri e maestri. La figura di Don Bosco ci può dare qualche suggerimento. Mario Scudu archivio.rivista@ausiliatrice.net N° 1 • GENNAIO-FEBBRAIO 2011

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RIVISTA MARIA AUSILIATRICE - N. 1 - 2011


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I santi hanno amato. Ecco tutto il loro segreto. J. B. H. Lacordaire


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A San Giovanni Bosco Amorevolezza Vorrei che mi insegnassi ad amare, Signore. Semplicemente ad amare. Per questo sono pronto ad offrirti il mio cuore. Prendilo con te, perché impari a vivere. Amare là dove mi trovo. Amare coloro con i quali mi trovo.

Un amore vero che sia l’espressione del mio cuore. Un amore che io possa donare senza secondi fini. Un amore umano, franco e generoso, maturato nel mio cuore, sotto la tua guida!

© photoxpress.com - Shock

Foto Mario Notario

Per questo ti affido il mio cuore, Signore: educalo bene, fagli conoscere tutte le dimensioni della sua missione. Signore, ti dono il mio cuore per questi grandi ideali. Da D. Federspiel, Pregare con Don Bosco, Editrice Elledici

Testimonianza di Don Paolo Albera (1845-1921), secondo successore di Don Bosco, alla guida dei Salesiani L’amore di Don Bosco per noi ragazzi era qualcosa di singolarmente superiore ad ogni altro affetto: ci abbracciava tutti in un’atmosfera di contentezza e felicità. La sua presenza attirava, conquistava e trasformava i nostri cuori. Per noi era una calamita a cui non era possibile sottrarsi, eravamo felici del suo paterno ascendente sopra di noi. Egli ci avvolgeva con la pienezza dell’amore soprannaturale che gli divampava dal cuore.

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BUONO D’ORDINE

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Il volume, in formato tascabile, raccoglie alcuni dei testi pubblicati su «il nostro tempo», settimanale della Diocesi di Torino, nella rubrica «Preghiere, semi di speranza» a cura di Maria Grazia D’Agostini. L’intento è gettare “semi di speranza” e accompagnare il lettore nel cammino di grazia che porta alla manifestazione della gloria del Signore.

...................................................... il libro a cura di Mariagrazia d’Agostini Semi di speranza Edizioni Camilliane il nostro tempo, anno 2010, pagine 98, euro 8

Sì, desidero acquistare n. ......................... copie di «Semi di speranza» a euro 4,00 cad. Modalità di pagamento I Tramite conto corrente postale che mi invierete I Tramite bonifico bancario, codice IBAN: IT 79 E 03069 011102 86802953197 Le spese di spedizione saranno addebitate solo per ordini inferiori a 10 copie.


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L’abitino di Domenico Savio

Preghiamo per Valentina “L’«abitino» che San Domenico Savio mise al collo di sua madre, per salvare lei e la sorellina che stava per nascere, continua ancor oggi la sua efficacia in favore delle mamme e dei bambini”. Così scrivevamo sul numero scorso, certi che l’«abitino» “non è un amuleto”, ma anche che “asciuga le lacrime di tante madri in pena e porta il sorriso, il conforto, la benedizione e la speranza in tante famiglie”. Una conferma è la lettera inviata da Valentina (omettiamo altri dati che potrebbero identificarla). «

 © Archivio RMA

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ondivido uno scambio di riflessioni e un pezzettino della mia vita, che in questi giorni si è intrecciata casualmente con la storia di San Domenico Savio. Sono una ragazza di 27 anni, alle prese con la prima gravidanza. Alla mia bimba in arrivo, ieri è stato diagnosticato un intestino iperecogeno, molto spesso associato a gravi patologie (tra queste, la fibrosi cistica). La notizia è arrivata come un macigno.

 Valdocco: uno scorcio dell’altare con l’urna di san Domenico Savio. Ogni giorno è abbellito da nuovi “fiocchi” per la nascita di bambini posti sotto la sua protezione. © sync-studio - Piero Ramella

 © photoxpress.com Galina Barskaya

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La mia ginecologa ha prescritto con urgenza un’amniocentesi, tecnica invasiva che permette di conoscere eventuali problemi genetici. Questo, però, a rischio della bimba: in una minima percentuale di casi, si verifica l’aborto spontaneo. Ho passato la giornata tra le lacrime e il dolore di mettere al mondo una bimba che possa soffrire. Ho cercato su internet quali sono le conseguenze di queste malattie e per caso, mi è comparsa una “pagina” sull’«abitino» di San Domenico Savio e la «preghiera della mamma in attesa», che vi riporto. “Signore Gesù, ti prego con amore per questa dolce speranza che racchiudo nel mio seno. Mi hai concesso l’immenso dono di una piccola vita vivente nella mia vita: ti ringrazio umilmente per avermi scelta strumento del tuo amore. In questa soave attesa aiutami a vivere in continuo abbandono alla tua volontà. Concedimi un cuore di mamma puro, forte, generoso. A te offro le preoccupazioni per l’avvenire: ansie, timori, desideri per la creaturina che ancora non conosco. Fa’ che nasca sana nel corpo, allontana da lei ogni male fisico e ogni pericolo per l’anima. Tu, Maria,


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aiutato quella preghiera e la storia di quel Santo che ha salvato la sua mamma e che dicono essere il protettore delle gestanti e dei bimbi in arrivo. Vi ho scritto perché ho visto che in basilica c’è un altare dedicato al santo. Vi chiedo una preghiera per la mia bimba, perché nonostante tutto nasca sana». Assicuriamo Valentina (che ringraziamo per la scelta coraggiosa e la testimonianza di cui ci ha fatto dono) e tutte le mamme in attesa che in basilica continueremo a pregare per loro, invocando l’intercessione di Maria Ausiliatrice e di San Domenico Savio. Non solo: chiediamo ai lettori di unirsi con la loro preghiera personale. Come cristiani, siamo famiglia, e le gioie e le speranze, le difficoltà e le sofferenze di uno, sono la gioia e la sofferenza di tutti. Nello stesso tempo, invitiamo i lettori, e in particolare le mamme, ad inviarci testimonianze e foto dei loro bambini, che hanno affidato a San Domenico Savio (cercheremo di pubblicarle tutte). Sarà un’altra opportunità, anzi un altro dono reciproco per essere famiglia. Scrivete a: redazione.rivista@ausiliatrice.net precisando che ne autorizzate la pubblicazione. Lorenzo Bortolin bortolin.rivista@ausiliatrice.net

che conoscesti le ineffabili gioie di una maternità santa, dammi un cuore capace di trasmettere una fede viva e ardente. Santifica la mia santa attesa, benedici questa mia lieta speranza, fa’ che il frutto del mio seno germogli in virtù e santità per opera tua e del tuo Figlio divino”. Questa mattina ho disdetto l’amniocentesi. Non voglio bucare la mia pancia per “controllare” come sta crescendo la mia bambina. Non voglio più essere ossessionata dall’esigenza di controlli che i dottori definiscono “diagnosi prenatale”. Non voglio “selezionare” la mia bimba solo perché può essere down o avere una malattia. Ho deciso che comunque vada, le vorrò bene: mi si è calmato il cuore e alleviata la tristezza. Non potrei mai eseguire un aborto terapeutico. Forse mi ha

I pellegrini in visita a Valdocco possono chiedere l’“abitino” direttamente presso il nostro santuario. Inoltre tutti i lettori che desiderano riceverlo o regalarlo possono richiederlo 5 per lettera a: Santuario Maria Ausiliatrice, via Maria Ausiliatrice 32 - 10152 Torino 5 per telefono: 011.52.24.255 5 per e-mail: offerte.messa@ausiliatrice.net Occorre precisare il colore – azzurro, rosa o bianco – indicando chiaramente l’indirizzo preciso del recapito. Verrà inviato prontamente l’“abitino” con il modulo di conto corrente postale per aiutare a sostenere le spese.

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Esperienze

Prima da’ un pesce, poi insegna a pescare P

aolo aveva una vita felice. Adottato da bambino, ha avuto una famiglia che lo ha sostenuto e amato. Si sposa giovanissimo, ha una bella bimba, un lavoro di venditore ambulante che gli permette anche di comprarsi una casa. Poi, il crollo. I genitori muoiono, la moglie lo tradisce col suo migliore amico. Nessuna famiglia a sostenerlo. Non ha più voglia di fare niente. Gli è sequestrata la motoretta Ape con cui lavora, perché non paga l’assicurazione. Non ha più i mezzi per sostenersi. Inizia a peregrinare in cerca di lavoro, e per lui, meridionale, il Nord sembra la terra promessa. In Lombardia, passa da un lavoretto all’altro, dorme per strada, rischia l’assideramento nelle notti più fredde. Si sposta a Trieste, ma i dormitori pubblici non sempre hanno un posto da dargli. Chiede a vari enti un lavoro, riceve indumenti, coperte, panini. Finché non decide di “sedersi per terra”, come dice lui. Diventa un barbone a tutti gli effetti. Le elemosine lo umiliano. Un giorno un passante lo prende a calci mentre dorme, dicendogli di andare a lavorare. Cade in profonda depressione.

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Poi, l’incontro con Antonella. Antonella è una persona come tante, ha un negozio e vede spesso Paolo dormire sui marciapiedi del quartiere. Ma c’è di più. Antonella è una Volontaria di Don Bosco, consacrata nel mondo, anche se nessuno lo sa. I consacrati secolari sono chiamati a cambiare il mondo “dal di dentro”, utilizzando le leggi, sottolineandone le positività e facendo dare loro il massimo a favore delle persone, senza mai chiudere gli occhi di fronte ai bisogni che li circondano, condividendo la vita di tutti fino in fondo. Nella solidarietà, l’amore di Dio

Sono sempre più numerose le persone e le famiglie in difficoltà a causa della crisi economica e dei conseguenti problemi di lavoro. © sync-studio - Paolo Siccardi

“Vedendo Paolo – ricorda Antonella – ho iniziato a pregare e a chiedermi: io che cosa posso fare? Di cosa ha bisogno? Cosa posso dargli? E che cosa ha lui che può dare a me? Volevo che il mio aiuto non fosse un’altra elemosina. Non per mancanza di gratuità, ma per riconoscere la sua dignità di persona che non deve aver bisogno dell’altro per sopravvivere”. Così, in pochi giorni, Antonella concretizza un piccolo progetto. Nel quartiere conosce tante persone che hanno bisogno di qualche lavoretto e in cambio sono disposte a versare una quota fissa ogni mese. Con lo slogan “Prima da’ un pesce, poi insegna a pescare”, scrive una lettera ai colleghi del quartiere, proponendo di affidare a Paolo qualche piccolo incarico, come la pulizia delle vetrine, in cambio di un contributo mensile. Tutti insieme possono garantirgli un’entrata modesta, ma continua, pagandolo con i voucher Inps e garantendogli così la copertura per gli infortuni e i contributi previdenziali. “C’è stata un’adesione quasi unanime – racconta Antonella –. Se questa non è Provvidenza all’azione, se questo non


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in cui la Volontaria trova spazio per vivere a pieno la sua vita donata a Dio nel mondo. Lasciarsi guidare dallo Spirito

è lo Spirito che soffia, che cosa è? soltanto casualità”. Sul cammino della bontà, della solidarietà e della dignità ritrovata, è più facile cogliere i segni dell’amore di Dio ed arrivare a Lui. Questo è solo un contesto

 Ogni lavoro, anche il più semplice, può restituire velocemente la dignità alle persone in crisi. © sync-studio - Paolo Siccardi

 © sync-studio - Paolo Siccardi

Per informazioni e contatti: www.volontariedonbosco.org formazione.vdb.to@gmail.org

Dopo qualche mese, il Comune ha dato a Paolo la possibilità di dormire stabilmente in una struttura, fornendogli una camera da dividere con un altro “disagiato”. Ora sta seguendo un progetto di accantonamento che gli darà la possibilità di avere una casa fra pochi anni. Oggi nel quartiere lo conoscono tutti, e le proposte di lavoro aumentano: la gente si fida di lui e questo lo rende quasi felice (il suo cruccio è la figlia, affidata a un istituto). Antonella spera che lui riesca a rendersi autonomo entro il prossimo anno. «Quando ci guardiamo attorno, non possiamo far finta di non vedere le tante ingiustizie che ci sono, non possiamo voltare la testa dall’altra parte – osserva Antonella –. Continuare a nascondersi dietro a frasi fatte, come “io da sola cosa posso fare?”, non è pensabile per un cristiano, a maggior ragione per un consacrato. Dobbiamo dare quello che siamo, il nostro tempo, la nostra intelligenza, la nostra competenza, i nostri soldi, le nostre fatiche, la nostra capacità di progettare, le nostre preghiere. Coinvolgere altre persone. Tutto ciò che abbiamo ci è stato donato, e noi dobbiamo a nostra volta donarlo, metterlo a disposizione degli altri». Per una consacrata secolare, rispondere a queste situazioni che la vita ci pone davanti è anche un modo concreto per vivere l’obbedienza. «Se rileggo questa storia, posso dire che non sono andata in cerca di una “buona azione” da compiere – conclude Antonella –. Mi sono lasciata guidare dallo Spirito; non ho fatto resistenza a qualcosa che non avevo scelto; sono andata avanti anche se a volte ero stanca e non avevo tempo, né voglia di continuare. La sensazione è di essere stata uno strumento nelle mani di Dio, ed è una sensazione stupenda che, nonostante fatiche e stanchezza, mi spinge ad essere sempre disponibile». Silvia redazione.rivista@ausiliatrice.net N° 1 • GENNAIO-FEBBRAIO 2011

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Amare i giovani

Nuove tecnologie, sfida per l’e d C

hi ama i giovani non può non seguirli lungo i sentieri della vita tracciati loro dall’incedere tumultuoso delle nuove tecnologie. La gioventù è abbacinata da esse. Sul progresso basa la propria esistenza, crea nuovi modi di comunicare, inventa nuovi modi di relazionarsi che spesso gettano nel panico noi adulti. È di pochi mesi fa notizia del carabiniere di Subiaco che, sopraffatto dal terrore dei pericoli nascosti su Facebook, si è

tolto la vita dopo aver ucciso una figlia tredicenne e ferito gravemente un’altra di quindici anni. È il dramma dell’incomunicabilità generazionale, in un mondo zeppo di comunicazioni. La gioventù che riempie le nostre giornate, che anima le nostre famiglie, che sta in cima alle nostre preoccupazioni, sfugge sempre più al nostro controllo aumentando tra i genitori, gli educatori, gli operatori sociali, i preti il senso dell’estraneità generazionale, che porta al sorgere di inconsce certezze di inadeguatezza e di isolamento esistenziale. Ormai, nel mondo dei giovani, i mezzi di

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I mezzi di comunicazione: un nuovo “mondo”, fuori dal quale non c’è altra libertà che quella di prendervi parte o di starsene in disparte. © photoxpress.com - Monika Adamczyk

 I bambini di oggi crescono a fianco delle tecnologie digitali. Per questo vengono chiamati “nativi digitali”. © photoxpress.com - Adam Borkowski

comunicazione cessano la loro funzione di semplici strumenti di comunicazione e si trasformano in un nuovo “mondo”, e in un nuovo “modo”, fuori dal quale non è dato avere altra esperienza, né altra libertà se non quella di prendervi parte o di starsene in disparte. Chi si lascia mettere in un angolo è definitivamente “out” dalla vita moderna, dove non ha valore la realtà del mondo o l’esperienza che se ne può fare, ma soltanto la sua rappresentazione, la sua buona riuscita telecomunicata. Mai come oggi, tutti coloro che amano Don Bosco e vivono la sua passione educativa per i giovani devono ricordare un suo slogan profetico rivolto ai salesiani: “Amino ciò che piace ai giovani e i giovani ameranno ciò che piace a loro!” (Memorie Bibliografiche, 17,111). Oggi, anche negli ambienti salesiani, si respira un clima di timore, talora di paura nei confronti delle nuove realtà che il Sistema Preventivo solleva nell’àmbito educativo. L’analfabetismo informatico e linguistico scava, quotidianamente, nuovi solchi che attivano barriere di incomunicabilità, che a loro volta allontanano sempre di più i cosiddetti educatori dagli educandi. Ci si limita a parlare sui giovani e si è sempre più restii a vivere in mezzo a loro. Parliamo loro di “casa paterna” come primo luogo di accoglienza e ci sfugge il fatto che per i nostri ragazzi essa è ridotta a “container” attrezzato per


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e ducazione ricevere il mondo esterno via cavo, via telefono o via etere. Quanto più il lontano si avvicina, tanto più la realtà familiare si allontana ed impallidisce. La televisione, il computer e il cellulare agevolano le relazioni virtuali, ma inaridiscono il concreto dialogo educativo. Con l’aiuto dell’elettronica digitale i ragazzi visitano il mondo senza uscire dalla loro stanza, esplorano tutti gli anfratti della vita senza sperimentare il calore di una carezza, vivono la loro sessualità senza la mediazione coinvolgente della presenza fisica della persona amata. Il loro è un mondo tumultuoso ma gelido, connesso con tutti ma vissuto nella solitudine, sempre più virtuale e lontano dalla realtà. Che cosa farebbe Don Bosco? Una cosa molto semplice. Si libererebbe di tutti i blocchi psicologici che la tecnologia moderna suscita. Si darebbe da fare, con tutte le sue forze, per acquisire la capacità di connettersi con il mondo dei giovani in modo da viverlo dall’interno con capacità e destrezza. Li prenderebbe per mano e li guiderebbe verso la capacità

 La televisione, il computer e il cellulare agevolano le relazioni virtuali, ma potrebbero inaridire il dialogo concreto. © sync-studio - Paolo Siccardi

L’analfabetismo informatico e linguistico scava nuovi solchi che attivano barriere di incomunicabilità. © photoxpress.com - Doug Olson

di cogliere la differenza che intercorre tra la virtualità, la realtà e il sogno, fra il vero e il non vero. Li renderebbe critici e, quindi, liberi davanti al “know how” informatico, creando in loro la convinzione che la vita non può essere ridotta a smanettare sulla tastiera di un computer o al semplice occhieggiare un monitor. Tutto questo “navigando” con loro non verso approdi di solitudine, ma verso porti in cui vivere in modo più libero il loro nuovo modo di essere persone responsabili nelle fede e nella condotta. Ermete Tessore tessore.rivista@ausiliatrice.net

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Maria nel cinema

Il ritratto di una Ma d P

er raccontare la vita di Maria, la ragazza che, dando alla luce Gesù, ha cambiato il mondo e la sua storia, il regista torinese Guido Chiesa ha realizzato il film “Io sono con te”. In qualche passaggio, la pellicola si ispira anche ai Vangeli apocrifi: Maria, infatti, è presentata come figlia di pastori e promessa in spo-

La locandina del film. © Colorado Film - Magda Film - Rai Cinema

sa a Giuseppe, vedovo e padre di due figli che abita nel vicino villaggio di Nazareth. Maria è stata educata all’amore e al rispetto verso i più piccoli. Quando lascia la sua famiglia per unirsi a quella del marito, lei si rende conto delle storture del mondo patriarcale che la circonda e con serena determinazione, comincia a metterle in discussione. Un punto di vista originale “Io sono con te” tratteggia la figura di Maria e del contesto in cui lei visse con tratti assai diversi da quelli ai quali ci ha abituato gran parte del cinema religioso, a cominciare dall’ambientazione. «La Galilea di duemila anni fa – spiega Chiesa – ha ben poco in comune con la società in cui viviamo. La Sacra Famiglia non è assimilabile a una moderna famiglia composta da padre, madre e figlio. Allora vigeva un contesto patriarcale e tribale d’impronta maschile e, per certi aspetti, maschilista». Anche la scelta di immaginare Giuseppe come vedovo, padre di due figli, non è stata casuale. «Le fonti alle quali mi sono ispirato sono innanzi tutto i Vangeli di Matteo e di Luca – continua il regista – ma esiste una tradizione popolare, che è presente in parte anche nei Vangeli apocrifi, che immagina Giuseppe vedovo e padre. Io l’ho utilizzata da un punto di vista narrativo, per evitare l’ennesima polemica sui fratelli e le sorelle di Gesù». L’elemento che più colpisce è l’atteggiamento di Maria nei confronti di Gesù. Sottolinea il regista: «Il film “Io sono con te” è essenzialmente il racconto della maternità di Maria dal concepimento all’adolescenza di Gesù. È il ritratto di una madre e della relazione con il proprio figlio, sostenuta dalla presenza discreta di

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a dre Giuseppe, il patriarca “che si fa da parte” e rinuncia al primato maschile. Una storia universale osservata attraverso una prospettiva squisitamente femminile». Un esempio per tutte le madri Realizzare “Io sono con te”, scritto in collaborazione con la moglie Nicoletta Micheli, ha aiutato Chiesa a riscoprire la fede. «Troppo spesso – ricorda – la religione è vissuta come un mix di magia e folclore. Io, che prima di girare il film non ero credente, sono convinto che la religione sia qualcosa di concreto che, come il Verbo, si fa carne per entrare nella vita

 Il regista Guido Chiesa e, sotto, una scena con gli attori che interpretano i ruoli di Gesù, Maria e Giuseppe. © Abdelkader Belhadi

delle persone. Per questo ho attinto molto più dal Vangelo di Luca, che presenta Gesù come un bambino qualunque, che dagli apocrifi, che fanno del Figlio di Dio una sorta di Harry Potter che fa volare uccelli d’argilla». A duemila anni di distanza, Maria rappresenta ancora un modello di mamma quanto mai attuale. «La sua forza educativa si basa su amore, fiducia e rispetto – osserva Chiesa – e pare destinata a produrre frutti migliori rispetto a chi impone regole e obbedienza a ogni costo». Un modello educativo ideale anche secondo la neuroscienza, per la quale l’amore preserva il sistema neuronale dell’individuo. «Non avrei fatto questo film se non mi fossi reso conto delle ferite della mia infanzia – conclude il regista. Anch’io avrei desiderato una mamma come Maria». Carlo Tagliani redazione.rivista@ausiliatrice.net

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Anche Dio ha i suoi campioni

In libreria i “Campioni di Dio” C

I Santi, innamorati di Gesù

on la biografia di San Domenico di Guzman, pubblicata in questo numero, la rivista torna a ospitare la rubrica sui Santi, curata per un decennio da don Mario Scudu. Contemporaneamente, approda in libreria il volume “Anche Dio ha i suoi campioni” (editrice Elledici), che raccoglie oltre cento profili di Santi e Beati tratteggiati da don Mario, dal 1999 al 2008.

Come luce nella notte «Con la biografia del Beato Rosmini, nel luglio di tre anni fa, la rubrica “Un mese, un santo” si congedava dai lettori della rivista Maria Ausiliatrice – ricorda don Mario –. Decisi di interromperla perché, dopo dieci anni, mi sembrava “datata”. Resistetti alle pressioni del direttore e alle esortazioni dei lettori a continuare, convinto che ogni cosa debba anche finire. La realtà, però, lascia supporre che si sia trattata di una fine prematura». «Che mondo sarebbe, senza Santi?», ci si potrebbe domandare, parafrasando la pubblicità di una golosa crema a base di cioccolato. «Sarebbe senza dubbio un mondo più triste e povero di luce – continua don Mario –. Senza l’esempio di Sant’Agostino e di Santa Rita, di San Francesco e di Santa Chiara, di San Giovanni Bosco e di San Domenico Savio il nostro cammino verso il Paradiso sarebbe senza dubbio più buio e irto di difficoltà». Il bello della santità è “constatare come essa sia un’occasione a disposizione dell’umanità in ogni tempo e in ogni contesto socioculturale. Un’opportunità donata a tutti gli uomini e a tutte le donne, ai poveri come ai ricchi, a chi possiede tre lauree come a chi sa a malapena scrivere il proprio nome”.

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I santi sono coloro che hanno già percorso, con fatica e con successo, i sentieri che noi stessi stiamo percorrendo. © photoxpress.com - Shock

La caratteristica che accomuna la vita dei Santi è, senza dubbio, l’amore senza limiti per Gesù e per il suo stile di vita. «Non esiste Santo che non abbia “perso la testa” per Gesù Cristo e orientato la propria vita agli insegnamenti del Vangelo – sottolinea don Mario – . Ciascuno si è messo in gioco: ha collocato Gesù al centro della propria esistenza e tra alti e bassi, con i propri pregi e i propri difetti, si è impegnato a seguirne l’esempio». Scorrendo l’elenco della “squadra” che compone “Anche Dio ha i suoi campioni” mancano le biografie di “fuoriclasse” della seconda metà del Novecento quali San Pio da Pietrelcina o la Beata Teresa di Calcutta. «È vero – spiega – e non è un caso. Ho preferito concentrare l’attenzione su Santi meno “moderni” perché quelli di recente proclamazione sono noti al pubblico, che ha potuto conoscerli attraverso documentari, articoli di giornali e fiction televisive». La lettura del volume, assicura l’autore, è «consigliata a tutti e priva di controindicazioni. E vuole essere un sincero invito alla santità a... nessuno escluso!». «Se siamo onesti con noi stessi – conclude don Mario – non possiamo non ammettere che qualche volta il Vangelo, con le sue richieste così impegnative se confrontate con la nostra poca fede, ci fa paura. I Santi sono coloro che hanno già percorso, con fatica e... con successo, i sentieri che noi stiamo percorrendo. Sono certo che l’eco delle loro parole e dei loro esempi possono incoraggiarci e sostenerci nel nostro quotidiano cammino verso la santità». Carlo Tagliani redazione.rivista@ausiliatrice.net


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Collezionismo

Il valore di una firma  La copertina del libro, in vendita nei negozi di filatelia e numismatica.

Le lettere del loro contemporaneo Cardinale Giovanni Maria Ferretti valgono 300-400 euro, ma quando diventa Papa Pio IX (1846-1878) si aggirano sui 700800 euro e se il contenuto è interessante salgono a 2.000 euro. Anche per Papa Paolo VI le quotazioni sono diverse: prima del pontificato la sua firma vale meno di 200 euro, ma se negli anni 1963-1978 sale a 400 e se su una lettera interessante, supera i 1.000 euro.

 Alcuni dei 2500 autografi quotati nel volume: quello di Papa Paolo VI, dell’onorevole Alcide De Gasperi e di Papa Pio IX.

Il volume considera gli autografi di circa 2500 personaggi non più viventi, famosi nella storia, nella cultura, nell’arte e nello sport. Sono elencati in ordine alfabetico e con i dati biografici essenziali. Per oltre mille c’è la riproduzione fotografica della firma e, in alcuni casi, delle diverse firme. Insomma, il catalogo oltre che utile, è anche gradevole da consultare e può essere un insolito regalo. Il volume (418 pagine, 29 euro) si può acquistare nei negozi di filatelia e numismatica, dal sito www.unificato.it o presso l’editore CIF-Unificato, Via Santa Maria Valle 5, 20123 Milano, tel. 02.877139. Lorenzo Bortolin

È

una novità editoriale assoluta il volume “Autografi italiani dal 1800 al 2000. Catalogazione e quotazione di oltre 2500 autografi italiani”: capace di affascinare chi è collezionista od appassionato di storia, e anche di incuriosire tutti. Perché in tutte le famiglie, spesso nel “cassetto della nonna”, c’è una firma importante: la dedica su un libro, oppure il decreto con il quale il nonno è stato decorato in guerra, o ancora il biglietto di auguri o di ringraziamento siglato da un Cardinale o un politico o da un campione sportivo. Ebbene, questo volume aiuta a capire il valore del singolo autografo. Non mancano, infatti, le sorprese. Le firme di Garibaldi e Mazzini, per esempio, valgono più di quelle di Cavour e di Vittorio Emanuele II, perché di questi ultimi esistono molti più documenti. Per il primo re d’Italia, ad esempio, le lettere sono valutate attorno ai 300 euro e gli attestati, stampati e con firma autografa, sui 100-150 euro.

bortolin.rivista@ausiliatrice.net N° 1 • GENNAIO-FEBBRAIO 2011

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Filatelia religiosa

Anche don Rua ha il suo “timbro” Tivoli - Dedicazione del Tribunale Il Tribunale di Tivoli è il primo tra i 162 tribunali italiani ad essere intitolato ad un Santo: San Giovanni Bosco. La biblioteca è stata dedicata all’“apostolo dei giovani” lo scorso 14 giugno, alla presenza del presidente della Corte d’Appello di Roma, del Magistrato e del Procuratore di Tivoli, al Vescovo Mauro Parmeggiani e don Benedetto del “Villaggio Don Bosco”. Per l’occasione è stato usato un annullo filatelico, che raffigura la statua (an.si.). Vaticano e Israele per il Papa

Caselle - Ordinazione del Beato Rua A Caselle (Torino), lo scorso 19 settembre è stato ricordato anche con annullo il 150º di ordinazione sacerdotale del Beato Michele Rua, avvenuta il 28 luglio 1860 nella cappella di Sant’Anna. Il barone Carlo Giacinto Bianco di Barbania, grande amico di Don Bosco, possedeva una tenuta a Sant’Anna di Caselle volle che nella sua cappella fosse ordinato sacerdote uno dei chierici di Don Bosco che gli indicò Michele Rua e lo assistette nella sua prima Messa (an.si.). Ex-allievi a Borgomanero Il 16 ottobre, l’Università della Terza Età di Borgomanero (Novara), nel ventesimo di fondazione, e l’Unione Ex-allievi del Collegio Don Bosco, hanno ricordato l’evento con un annullo, in collaborazione con il Circolo filatelico “Achille Marazza”. Sull’annullo è raffigurato il volto di Don Bosco con la scritta in latino “Praeit ac tuetur” (Ci precede e ci protegge), che è il motto degli Ex-allievi (an.si.).

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Lo scorso 15 novembre le Poste del Vaticano e quelle di Israele hanno messo in vendita un francobollo per ricordare la visita di Papa Benedetto XVI in Terra Santa, dall’8 al 15 maggio 2009. Il soggetto, identico, propone una vista del giardino del Getsemani, a Gerusalemme. I francobolli, rispettivamente da 0,65 euro e da 4,20 shekel, sono stampati in minifogli da quattro esemplari (lor.bor.). Angelo Siro e Lorenzo Bortolin redazione.rivista@ausiliatrice.net


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Le ricette di Mamma Margherita

La “sòma d’aj” T

ra i ricordi di scuola, tutti abbiamo in mente quello della guerra di Crimea, gioiello della diplomazia di Cavour e momento epico della storia del Risorgimento. Meno noto è l’aneddoto secondo il quale il generale Alfonso La Marmora, comandante del Corpo di spedizione sardo, prima dello scontro decisivo presso il fiume Cernaia, avrebbe rinfrancato gli alleati anglo-turchi, stremati dal lungo assedio di Sebastopoli (città oggi in Ucraina), con le “munission da boca”, le “munizioni da bocca” piemontesi: generose porzioni di “sòma d’aj”, innaffiate con abbondanti sorsi del barbera che gli animosi bersaglieri del Regno di Sardegna avevano portato negli zaini militari. La vittoria sul campo di battaglia avrebbe consentito a Cavour di partecipare con pieni poteri al congresso di Parigi (1856), sedendo con onore al tavolo delle trattative e perorando la causa dell’unità e dell’indipendenza d’Italia. Dalla grande storia del Risorgimento alla grande storia della Famiglia Salesiana. Dieci anni prima che accadessero quegli eventi, un’anziana contadina ed il figlio sacerdote scendevano dai colli astigiani per iniziare a Torino la grande avventura del primo Oratorio. I biografi ufficiali non lo dicono, ma nulla ci vieta di pensare che la sera del 3 novembre 1846, quando Mamma Margherita giunse a piedi a Valdocco, dopo aver lasciato l’amata casa dei Becchi, portasse nella sua cesta, insieme alle pagnotte da lei stessa cotte nel forno domestico, anche qualche testa d’aglio strappata all’orto. Affamati dalla lunga camminata, madre e figlio avrebbero potuto benissimo accompagnare la loro povera cena con il pane insaporito da qualche spicchio d’aglio, cantando con allegria salesiana: Guai al mondo / se ci sente / forestieri / senza niente! Di certo, il povero spicchio d’aglio

 Mamma Margherita, Don Bosco e il “Grigio”, il cane che vegliava su di lui. Il dipinto si trova a Valdocco. © Archivio RMA

 © photoxpress.com- Djembejambo

ha condito numerose merende dei primi oratoriani di Valdocco, aggiungendo sapore alle dure gallette militari e alle morbide pagnottelle che i più benestanti potevano permettersi. La “sòma d’aj!” è, infatti, la più semplice delle merende contadine. Ecco gli ingredienti: un panino con la crosta ruvida, uno spicchio d’aglio e un pizzico di sale. Si ottiene in modo molto semplice, soffregando energicamente sulla crosta del pane lo spicchio d’aglio; si cosparge il tutto con un pizzico di sale e, in tempi di... spreco, si versa sul pane anche un filo d’olio. Questo spuntino ruspante si consumava con molta allegria nella vigna, durante la vendemmia, accompagnato da grappoli d’uva o innaffiato con il vino nuovo. Oggi il semplice crostino di pane all’aglio si è arricchito con l’aggiunta di ingredienti come sottaceti, caviale, olive tritate, trasformandosi nella più raffinata bruschetta. Anna Maria Musso Freni redazione.rivista@ausiliatrice.net N° 1 • GENNAIO-FEBBRAIO 2011

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La pagina dell’ADMA

Maria ci invita a deciderci per D ADMA news Per informazioni complete e aggiornate sull’ADMA nel mondo consultate il sito: www.admadonbosco.org oppure: www.donbosco-torino.it adma-on-line

 Moderna icona della “Madonna del Segno”. © photoxpress.com - Arven

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aria ci ricorda e ci richiama alla lotta quotidiana per essere fedeli alla nostra scelta di Dio, a liberarci dagli attaccamenti, nei quali necessariamente si cade, se non si ha il cuore in Dio e nella sua volontà. Essi possono riguardare le cose, le creature, se stessi. Ma se il cuore è puntato su Dio solo, tutto il resto cade. Per riuscire in questa impresa, può essere utile, durante la giornata, ripetere a Gesù, a Dio, quell’invocazione del Salmo che dice: “Sei tu, Signore, l’unico mio bene!”. In questa decisione ci aiuta l’esempio dei Santi che sono già là dove noi siamo diretti, nella Patria Beata, come dice l’Apocalisse: “una moltitudine immensa, vestita di vesti bianche”. Questa moltitudine immensa, che narra l’Apocalisse, con la veste bianca della Grazia Santificante, questa visione di questi fratelli che ci hanno pre-

ceduto, con il loro esempio, con la loro gioia, sono di sprone per noi ad avanzare verso il cammino della Vita Eterna. I giovani in particolare hanno bisogno di essere aiutati in questa decisione: “Cari giovani, lasciate che vi rinnovi questo appello che mi sta molto a cuore: Dio vi vuole santi, perché vi conosce nel profondo e vi ama di un amore che supera ogni umana comprensione. Dio sa che cosa c’è nel vostro cuore e attende di vedere fiorire e fruttificare quel meraviglioso dono che ha posto in voi... anche voi potete fare della vostra giovinezza un’offerta a Cristo e ai fratelli..., potete decidere, in questa stagione della vostra vita, di “scommettere” su Dio e sul Vangelo. Voi, cari giovani, non siete solo la speranza della Chiesa; voi fate già parte del suo presente! E se avrete l’audacia di credere alla santità, sarete il tesoro più grande della vostra Chiesa (Benedetto XVI - Messaggio per il IV Centenario della canonizzazione di San Carlo). Il frutto di questa rinnovata decisione per Dio, è “vedere” Dio, cioè capire la sua azione nella nostra vita e nella storia, sentire la sua voce nel cuore, cogliere la sua presenza là dove è: nei poveri, nell’Eucaristia, nella sua Parola, nella comunione fraterna, nella Chiesa. È un pregustare la presenza di Dio che comincia già da questa vita “camminando nella fede e non ancora in visione” fino a quando “vedremo faccia a faccia” eternamente. Il cammino che come ADMA stiamo facendo verso il Congresso Internazionale di Czestochowa è un grande aiuto per condividere questa volontà di andare insieme verso l’incontro con il Signore guidati dalla nostra Madre Maria Ausiliatrice e dalla compagnia generosa dei Santi. Don Pier Luigi Cameroni Animatore spirituale pcameroni@sdb.org

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r Dio L’ADMA nel mondo Filippine Presso il Centro studi teologici “Don Bosco” di Parañaque City, sotto il motto “Uniti dall’amore di Maria, noi volgiamo il nostro sguardo a Gesù”, si sono svolti due eventi dell’Adma: il 1º Congresso regionale della Regione Asia Est-Oceania (dal 21 al 23 ottobre) e il 28º Incontro nazionale delle Filippine (24 ottobre). Tra i 70 intervenuti al Congresso, c’era anche Mons. Renato Mayugba, Vescovo ausiliare di LingayenDagupan, membro dell’ADMA.

 Alcuni partecipanti al 1º Congresso regionale della Regione Asia Est-Oceania e al 28º Incontro nazionale delle Filippine. Archivio ADMA

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Cile Dal 22 al 24 ottobre, a Valparaíso, si è svolta l’VIII edizione del Congresso nazionale dell’ADMA. Erano presenti 210 persone, arrivate da tutto il Paese e accolte nelle case dei fedeli delle comunità salesiane della parrocchia e dell’Istituto di Puerto. Il tema di quest’anno, “Con Maria Ausiliatrice, discepoli missionari del Signore”, è stato approfondito da tre relatori, tra i quali il Vescovo ausiliare di Valparaíso, Mons. Santiago Silva.

 Ai rappresentanti della regione Asia Est-Oceania si sono uniti circa 200 membri dell’ADMA delle Filippine. Archivio ADMA

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Maria nell’arte

Una tenerissima Madonna La “Pala di San Zeno” del Mantegna

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li estremi della vita di Andrea Mantegna sono affidati ad alcuni registri parrocchiali: nacque a Isola di Cartura (Padova) nel 1431 e morì a Mantova nel 1506. Fu subito pittore. Giovanissimo era già a bottega dallo Squarcione, il “talent scout” padovano che raccolse nella sua variopinta officina un gruppo di giovani promesse che, visti i risultati, furono definiti “desperados”. Mantegna, Tura, Crivelli, Schiavone, Marco Zoppo portarono nella pittura del Nord Italia un vento che squassò la tenera sensibilità tardo gotica. E di questa pittura, Andrea fu il monarca assoluto. Uno sguardo all’autoritratto che presidia la sua tomba nella basilica di Sant’Andrea a Mantova dice tutto: i capelli a boccoli, numerati ad uno ad uno come nella statuaria classica, incorniciano il viso di un uomo straordinariamente consapevole della caducità del tutto. Non amarezza, ma consapevolezza: ecco la pittura del Mantegna! Figure vibranti e vive Andrea dipinse la grandiosa pala (si tratta di un trittico) per la basilica veronese di San Zeno, tra il 1456 e il 1460 (per inciso, la chiesa è uno dei capolavori del romanico in Italia e il San Zeno, ottavo Vescovo di Verona, è morto nel 380). Mantegna diede seguito alla commissione stando a Padova. In questa città aveva al suo attivo gli affreschi della cappella Ovetari nella chiesa degli Eremitani e il polittico di San Luca per la chiesa di Santa Giustina. La parte centrale del dipinto a San Zeno è occupata da una tenerissima Madonna con Bambino, circondata da angeli, mentre le fanno da sfondo elementi architettonici di classica bellezza. Sovrasta la figura una ghirlanda di frutti (sembra quasi il biglietto da visita degli squarcioneschi), simbolo della fecondità di Maria e della Chiesa. I

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 Andrea Mantegna dipinse il grande trittico per la basilica veronese di San Zeno, tra il 1456 e il 1460. 


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dialoga con il Bambino due scomparti laterali sono affollati da Santi: a sinistra, Zeno, Giovanni, Paolo e Pietro; a destra, Benedetto, Lorenzo, Ambrogio e Giovanni Battista. I tre scomparti sono unificati dall’architettura, interrotta, quasi accidentalmente, dalle colonne che dividono la tavola. Le figure, vibranti e vive, sanno di statuaria antica. I richiami all’antichità

 Gesù tiene la mano della Mamma. L’artista sottolinea l’amore materno della Vergine con il delicato gesto della mano che sostiene Gesù. 

Il Mantegna aveva sotto mano i migliori modelli allora sul mercato: Giotto agli Scrovegni e, soprattutto, Donatello nella basilica del Santo. Ma all’ottimismo fiorentino Mantegna oppone una consapevolezza (poi chiamata tristezza, durezza) tutta sua, quella stessa che lo mette in linea con Piero della Francesca e, dopo, con Lorenzo Lotto e altri. Mantegna ama la pietra: la pietra grezza, dura e tagliente, che fa da sfondo a tanti suoi dipinti, ma anche quella lavorata delle lapidi e dei frammenti classici. La sua passione per l’antichità classica si può far risalire agli anni dell’apprendistato padovano: questo amore per le “anticaglie” lo condusse sul lago di Garda, nel 1464, con alcuni amici umanisti alla ricerca di antichità. La pala è tuttora conservata nella chiesa di San Zeno a Verona. La cornice del trittico è quella originale, architettata, con probabilità, dallo stesso Mantegna influenzato dalla cornice marmorea che raccoglieva le sculture di Donatello sull’altare della basilica del Santo. Le tre tavolette della predella sono copie. Gli originali furono portati in Francia al tempo dell’occupazione napoleonica e non tornarono più. Natale Maffioli maffioli.rivista@ausiliatrice.net N° 1 • GENNAIO-FEBBRAIO 2011

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Appuntamenti mariani

“Salvatrice di Roma” Il Santuario della Madonna del Divino Amore

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l santuario della Madonna del Divino Amore sorge sulla via Ardeatina, a circa 12 km da Roma, in una zona dell’Agro Romano detta Castel di Leva. La località è citata per la prima volta in una bolla di papa Gregorio VII, nel 1081, con il nome di casale Castellione e come proprietà dell’abbazia di San Paolo. Nel 1268 la tenuta diventa proprietà della chiesa di Santa Sabina; poi passa al casato degli Orsini e nel 1295 ai Savelli, i quali vi costruiscono un castello circondato da un muro di cinta, con varie torri. La località prende il nome “Castrum Leonis”, volgarizzato nel XV secolo in Castel di Leo o di Leone. Con il tempo, la proprietà si degrada. All’inizio del Settecento, quand’è chiamata “Castel di Leva”, l’antico complesso è un ammasso di rovine. Unica nota vivace è l’immagine della Madonna, affrescata su una torre del castello. La Vergine è raffigurata seduta in trono, con in braccio Gesù Bambino, con ai lati due Angeli e con la colomba, simbolo dello Spirito Santo, che scende su di Lei. Davanti a questa immagine i pochi pastori, che d’inverno pascolano nei pressi le loro greggi, sono soliti riunirsi per recitare il Rosario. Il fatto miracoloso In un giorno della primavera del 1740, un pellegrino diretto a Roma, giunto nei pressi della torre, è assalito da alcuni cani randagi inferociti. Spaventato, guarda l’immagine della Madonna, ed invoca il suo aiuto. Improvvisamente i cani, quasi frenati da qualcosa di invisibile, si rabboniscono e si disperdono per la campagna. Il pellegrino, com’è naturale, racconta il fatto a quanti incontra e la notizia si propaga tra gli abitanti della zona, arrivando ben presto anche a Roma. Inizia,

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 L’immagine della Madonna del Divino Amore, venerata nell’omonimo santuario romano. Archivio CSDM

allora, un grande pellegrinaggio di fedeli, tanto che, come racconta un cronista dell’epoca, “non si distingue più il giorno dalla notte e continuamente è un accorrere di pellegrini più devoti e numerosi che ricevono numerose grazie”. A questo punto, il Vicariato di Roma decide di non lasciare più esposta alle intemperie l’immagine, che il 5 settembre 1740 è asportata dalla torre e trasferita nella chiesa di Santa Maria ad Magos, presso la vicina tenuta della “Falconiana”. Con le offerte dei fedeli, si inizia a costruire una chiesa, consacrata il 31 maggio 1750


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dal Cardinale Carlo Rezzonico, che diventerà Papa con il nome di Clemente XIII, e l’immagine della Madonna è ricondotta nell’antica sede a Castel di Leva. Da allora la devozione del popolo romano cresce sempre più, tanto che si decide di affidare il Santuario a un custode eremita, il primo dei quali è Pasquale Francesco.

 La torre del castello, risalente al Trecento, dove in origine era affrescata l’immagine. Archivio CSDM

Il declino e la rinascita Con la caduta dello Stato Pontificio, nel 1870, e l’incameramento dei beni ecclesiastici, per il santuario inizia un periodo di degrado. La devozione dei fedeli per la Madonna del Divino Amore, però, non viene meno. L’8 dicembre 1932 il santuario diventa parrocchia. Don Umberto Terenzi, nominato rettore e primo parroco, il 25 marzo 1942 fonda la Congregazione delle Figlie della Madonna del Divino Amore e nel 1962, i Sacerdoti Oblati, che da allora custodiscono il santuario. I pellegrinaggi si moltiplicano, soprattutto dal lunedì di Pentecoste all’autunno. Nel 1944, e precisamente il 24 gennaio, a causa degli eventi bellici e a scopo precauzionale, il Vicariato di Roma fa trasferire l’affresco della Madonna prima in San Lorenzo in Lucina e poi nella chiesa

CSDM online Consultate l’archivio on-line del Centro di documentazione. Troverete anche nuove informazioni ed approfondimenti. www.donbosco-torino.it Questo mese: storia illustrata dei Papi della prima metà del VII secolo.

SANTUARIO MADONNA DEL DIVINO AMORE Via del Santuario, 10 00134 Roma Tel. 06 713518 Fax 06 71353304

di Sant’Ignazio. Qui, il 4 giugno 1944 il popolo romano invoca la salvezza della città, e fa voto di erigere un nuovo santuario e realizzare un’opera di carità in suo onore. La Madonna compie il miracolo, e Roma è salva. L’11 giugno 1944 Papa Pio XII si reca a pregare dinanzi all’immagine della Vergine e, circondato dalla folla, rivolge, dal pulpito di Sant’Ignazio, le sue parole di ringraziamento alla Madonna e le conferisce il titolo di “Salvatrice dell’Urbe”. Il 12 settembre 1944 l’immagine torna al Santuario, scortata da molta folla lungo tutto il percorso. Il 1º maggio 1979 Papa Giovanni Paolo II visita il Santuario e lo definisce il “Santuario Mariano di Roma”. Vi torna il 7 giugno 1987 per l’apertura dell’Anno Mariano e il 4 luglio 1999 per la consacrazione del nuovo santuario, sciogliendo così il voto fatto dai romani nel 1944. Oggi il santuario è meta di pellegrinaggi, come quelli che si svolgono ogni sabato, da Pasqua sino a fine ottobre, con partenza dal Circo Massimo, a piedi, anche scalzi, e in prossimità della chiesa anche in ginocchio, a dimostrazione della grande devozione che i romani ancora oggi ripongono nella “Salvatrice dell’Urbe”, dalla quale tante grazie hanno ricevuto. Mario Morra morra.rivista@ausiliatrice.net N° 1 • GENNAIO-FEBBRAIO 2011

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Lettere a Suor Manu

Mi prendono in giro “C

ara suor Manu, mia figlia, prima media, ha un problema che in un primo tempo ho creduto di non assecondare troppo, con la scusa che a quell’età sono cose che capitano. Ora però sono un po’ preoccupata: da un po’ di tempo è meno serena del solito e sente particolarmente pesante la vita scolastica. Motivo: “Mi prendono in giro” dice. È una ragazzina posata, studiosa, gentile con tutti, perché dovrebbero prenderla in giro? Io so dirle solo “Non badarci, non è vero”, ma forse devo prenderla un po’ più sul serio?

Forse è un passaggio obbligatorio, ma anch’io ricordo un periodo della mia preadolescenza in cui qualcuno mi prendeva in giro. Quando una ragazza arriva ad avere il coraggio di parlarne con la mamma, è certamente molto avvantaggiata. Credo anche sia importante non dimostrarsi troppo preoccupati come adulti, perché i ragazzi hanno bisogno di sdrammatizzare innanzi tutto l’esperienza che rischia di essere percepita come tragedia. Non drammatizzare dunque, ma neppure sottovalutare o peggio ancora banalizzare: per loro è un problema! Dialogando proverei ad aiutarla a comprendere che chi prende in giro, in fondo, ha bisogno di nascondere un suo problema, una sua insicurezza, come se ridendo degli altri tentassero di impedire che altri ridano di sé. Pensando questo forse si riesce a non lasciarsi ferire dalle prese in giro, anche se non è possibile eliminarle. Inoltre spesso le persone prese in giro sono speciali, quelle che hanno risorse molto grandi, ma troppo profonde perché tutti possano apprez-

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© photoxpress.com - Prod. Numérik

zarle e credo sia una bellissima avventura educativa aiutare i ragazzi a trasformare le ferite in feritoie, a riconoscere con gioia che le cose per cui qualcuno li prende in giro sono in realtà anche delle grandi risorse:


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la sensibilità, la timidezza. sono anche una forza! Ogni giorno, un contadino portava l’acqua dalla sorgente al villaggio in due grosse anfore che legava sulla groppa del suo asino. Una delle anfore, vecchia e piena di fessure, durante il viaggio, perdeva acqua. L’altra, nuova e perfetta, conservava tutto il contenuto senza perderne neppure una goccia. L’anfora vecchia e screpolata si sentiva umiliata e inutile, tanto più che l’anfora nuova non perdeva l’occasione di prendere in giro la compagna: “Non perdo neanche una stilla d’acqua, io! Tu invece tutta così screpolata...”. Un mattino, la vecchia anfora si confidò con il padrone: “Lo sai, sono cosciente dei miei limiti. Sprechi tempo, fatica e soldi per colpa mia. Quando arriviamo al villaggio io sono mezza vuota. Perdona la mia debolezza e le mie ferite, lasciami perdere”. Il giorno dopo, durante il viaggio, il padrone si rivolse all’anfora screpolata e le disse: “Guarda il bordo della strada”. “Ma è bellissimo! Tutto pieno di fiori!” rispose l’anfora. “Hai visto? E tutto questo solo grazie a te” disse il padrone. “Sei tu che ogni giorno innaffi il bordo della strada. Io ho comprato un pacchetto di semi di fiori e li ho seminati lungo la strada, e senza saperlo e senza volerlo, tu li innaffi ogni giorno”. E la vecchia anfora si sentì morire di gioia. “In ogni giovane, anche il più disgraziato, c’è un punto accessibile al bene!”. Lo diceva Don Bosco e ne sono molto convinta. Aiutiamo i ragazzi a riconoscere il valore che sono, aiutiamoli a perdonare chi li prende in giro, perché certamente ha più problemi di loro e magari aiutiamoli anche a stare accanto ad altri che, come loro o forse più di loro, vengono presi in giro e non hanno amici che li comprendano. Quello delle prese in giro forse è un passaggio obbligato, ma certamente solo un passaggio: passa, e quando passa restano i fiori sul bordo della strada. Manuela Robazza

 © Ufficio Scolastico Provinciale di Brescia. Autore: Enrico Bonomini

BELFIORE CLAUDIO (a cura di)

SPORT: UNA PASSIONE DA VIVERE IN FAMIGLIA Editrice Elledici, pagine 80, € 6,00 Un libro che cerca di rispondere alla sfida educativa nella famiglia in modo sportivo. Parlando di sport e famiglia, prendendo come esempio lo sport, cercando di contaminare educazione e sport, perché è possibile farlo. Nasce, così, un percorso di consapevolezza pratica che continua anche online (www.salesianiperlosport.org) e attraverso una campagna sociale nazionale.

suormanu.rivista@ausiliatrice.net N° 1 • GENNAIO-FEBBRAIO 2011

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SOMMARIO

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30 Prima da’ un pesce, poi insegna a pescare

Don Bosco ritorna La pagina del Rettore

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Don Franco Lotto

Esperienze

Silvia

Essere cristiani “più” Editoriale Don Pascual Chávez Villanueva

32 Nuove tecnologie, sfida per l’educazione

Figli amati da un Dio Padre Marco Rossetti Leggiamo i Vangeli

34 Il ritratto di una Madre

Maria, donna della pienezza del tempo Maria Ko Ha Fong Spiritualità mariana

36 In libreria i “Campioni di Dio”

L’insuperato commento al “saluto dell’angelo” Maria nei secoli

37 Il valore di una firma Roberto Spataro

Amare i giovani

Ermete Tessore

Maria nel cinema

Carlo Tagliani

Anche Dio ha i suoi campioni

Collezionismo

C. Tagliani

Lorenzo Bortolin

12

“Cacciatori di teste” mortificati da due pescatori Marco Bonatti La Parola qui e ora

38 Anche don Rua ha il suo “timbro”

14

Studiare, predicare e soffrire per amore di Dio Mario Scudu Amici di Dio

39 La “sòma d’aj”

16

Noi, i battezzati in Cristo Il Papa ci parla

40 Maria ci invita a deciderci per Dio

18

Enzo Bianco

Condividere le gioie e i dolori Federica Bello Vita della Chiesa

20 Negli oratori si vive l’accoglienza All’ombra del Santuario

23 Io con voi mi trovo bene a cura di Mario Scudu

28 Preghiamo per Valentina L’abitino di Domenico Savio

A. Siro e L. Bortolin

Le ricette di Mamma Margherita

La pagina dell’ADMA

A. Freni

Pier Luigi Cameroni

tenerissima Madonna 42 Una dialoga con il Bambino Maria nell’arte

Natale Maffioli

Appuntamenti mariani

Mario Morra

46 Mi prendono in giro

Catechesi & dintorni A. Maria Musso Freni

Il Poster

Filatelia religiosa

44 “Salvatrice di Roma”

Maurizio Versaci

22 Sarebbe questa la chiesa?

Lettere a Suor Manu

Manuela Robazza

FOTO DI COPERTINA: Il monumento a San Giovanni Bosco, di Gaetano Cellini, venne collocato di fronte al nostro Santuario nel 1920. © Foto di Dario Prodan

L. Bortolin

ANNO XXXII BIMESTR ALE Nº 1 - 2011

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I V I S TA

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In festa con Don

Bosco

iani pag.4 Crist? come

L’invito del Rettor essere Maggiore ad tutti, ogni giorno, migliori.

esimo pag.16 Batt nda seco nascita

Il Papa si racconta e ci esorta a riscoprire . il suo valore.

ori pag. 20 Oratietnici mult

Decennale AGS: nza quando l’accoglie diventa risorsa.

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