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• ANNO XXX - MENSILE - N° 2 - FEBBRAIO 2009

RIVISTA DEL SANTUARIO BASILICA DI MARIA AUSILIATRICE - TORINO

L’Apostolo delle genti


Gesù racconta il Padre

Guarderanno colui che hanno t (Gv 19,23-27)

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a frase posta come titolo dà la chiave di lettura. Dobbiamo chiederci: “Come si rivela Gesù nei fatti del Calvario? Quale senso hanno i singoli eventi là avvenuti? Ecco le due domande guida per entrare, meditando, nella profondità del mistero di Cristo. Solo leggendoli così motivati, riusciremo a contemplare Gesù nel suo massimo trionfo, perché si tratta davvero di un trionfo. Sul Calvario infatti Gesù viene intronizzato come Re dell’universo; sul Calvario egli inizia ad attirare tutti a sé; sul Calvario vince per sempre il potere delle tenebre e toglie il peccato del mondo; sul Calvario ci affida sua Madre, e fa di Maria la madre dei credenti; sul Calvario ci dona lo Spirito e porta a compimento tutte le promesse. Sono queste le verità su cui mediteremo cercando di andare oltre la crudeltà e la materialità dei fatti per capire che in realtà Dio ci sta salvando nel Figlio suo Gesù. La suddivisione del testo è assai semplice: 1. La tunica inconsutile (19,23-24). 2. La Madre (19,25-27). 3. Gesù muore (19,2830). 4. Il colpo di lancia (19,3137). 5. La sepoltura (19,38-42). Questi ultimi tre li vedremo la prossima volta. La tunica inconsutile (19,23-24) I soldati, quando ebbero crocifisso Gesù, presero i suoi vestiti e ne fecero quattro parti, una per ciascuno, e la tunica. Ma quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: 2

“Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca. Così si compiva la Scrittura: “Si sono spartiti tra loro i miei vestiti e sulla mia tunica hanno tirato a sorte”. I soldati fecero così. L’ultima frase dice l’importanza che l’evangelista dà agli esecutori materiali della crocifissione. Sono il soggetto di tutte le frasi. Giovanni commenta il loro

agire citando alla lettera il Salmo 22,18. Ma qual è il senso di tutto ciò? Per scoprirlo dobbiamo andare oltre il fatto materiale. Essi avevano il diritto di suddividersi i beni del reo. Ma qui c’è ben altro e la tradizione cristiana l’ha capito. Mentre i Giudei rifiutano Gesù, qui c’è gente pagana che si spartisce l’eredità di Gesù e che non vuole stracciare

Nel testo di Giovanni, Gesù sulla Croce è presentato come il Tempio di Dio in cui si radunano i figli dispersi. Maria è la vera figlia di Sion che dopo le sofferenze gioisce per il ritorno dei figli.


o trafitto la tunica. Si suddividono le vesti in quattro parti. Erano forse solo quattro i soldati? Difficile pensarlo. Ecco allora che non pochi hanno interpretato il numero in senso simbolico. Esso indica i quattro punti cardinali e dice che l’eredità di Gesù rifiutata dai Giudei passa al mondo intero. Comunque questa interpretazione è solo probabile. Più sicuro il simbolismo della tunica che non fu stracciata: è rimasta intera. E così, mentre per tre volte l’evangelista ha affermato che ci fu scisma tra coloro che rifiutarono Gesù (7,43; 9,16; 10,19), per tre volte ha sottolineato che l’agire di Gesù tende all’unità (10,16; 11,52; 17,11). La tunica inconsutile è il simbolo più bello dell’unità della Chiesa e questo simbolo è stato messo qui quando Gesù, innalzato sulla croce incomincia ad attirare tutti a sé. Indica il “convergere in uno di tutti i popoli della terra”. I Padri della Chiesa l’hanno capito. La Madre (19,25-27) Mentre i soldati fecero così: stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre. Maria madre di Cleofa e Maria di Magdala. Gesù allora vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla Madre: “Donna, ecco tuo Figlio”. Poi disse al discepolo: “Ecco, tua madre”. E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé. Impressiona sentire ripetere per cinque volte l’appellativo “Madre” seguito da un pronome

che la indica. Cerchiamo di capire: anche se Giovanni non evidenzia qui la sofferenza di Gesù e della Madre; i termini “ora” e “donna” non possono non richiamare 16,21: “La donna quando sta per partorire è triste perché è giunta la sua ora”. Qui si prospetta in senso simbolico la sofferenza di Gesù, ma non può non richiamare anche quella della Madre vista come donna. Sono dati che orientano verso una precisa interpretazione. Maria, pur non perdendo la sua singolarità, è vista qui nella sua funzione di donna. Nel racconto di Cana era tipo del popolo antico in attesa di un compimento che si sarebbe realizzato nell’ora di Gesù. Ora siamo al compimento di quell’ora. Anzi all’ultimo atto messianico di Gesù. Lo dimostra il v. 28 che segue immediatamente: “Gesù, sapendo che oramai tutto si era realizzato, affinché si compisse la Scrittura disse...”. Qui è chiaro che quanto avviene tra Gesù e la Madre entra nel suo compito messianico; solo dopo si può dire: “Ora tutto si è realizzato”. Alcuni testi scritturistici illuminano questa verità. Sono quelli che vedono Sion come Madre che ha partorito (Is 68,8) o come Madre che osserva i figli dispersi tornare da lontano insieme a tutti i popoli (Is 60,3-4; 66,18) e riunirsi in un sol popolo nel Tempio del Signore (Is 56,6-7). La loro valenza messianica è indubbia e se noi li leggiamo in sincronia le scene del Calvario, ci accorgiamo che qui è Gesù il Tempio del Signore in cui si radunano i figli di Dio dispersi; ed è Maria la vera figlia di Sion, che dopo la sofferenza gioisce nel contemplare il ritorno dei figli. Sul Calvario c’era anche il discepolo che Gesù amava. Difficile sapere il suo nome, ma è certo che è tipo di tutti quei discepoli che vivono questa parola di Gesù: “Chi fa suoi i miei co-

mandamenti e li osserva è colui che mi ama, e colui che mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò” (14,21). Gesù, parlando del discepolo che è lì accanto a Maria intende parlare a ogni discepolo che lo ama e accoglie nella fede e possiamo essere noi. In questa luce il discepolo che Gesù amava non è visto in se stesso, ma come primizia del nuovo popolo di Dio che si raccoglie in Gesù o che Gesù attira a sé. Gesù, indicando la Madre, continua a dire a ogni discepolo che egli ama: “Ecco, tua Madre”. È il suo testamento Ci chiama ad accoglierla nella nostra intimità, come un bene prezioso. E Maria ci accoglie come un altro Gesù. Dice Origene: “Ogni uomo, divenuto perfetto non vive più, ma è il Cristo che vive in lui; e poiché Cristo vive in lui, è detto a Maria: “Ecco, tuo figlio, ecco Cristo”. Maria vuole vederci come Gesù e vuole portarci a Gesù. Il racconto del Calvario si conclude: “Fisseranno lo sguardo su colui che hanno trafitto”. Ma chi sono che per primi fissano lo sguardo su Gesù trafitto? Maria e il discepolo che l’ha accolta come Madre. Maria non vuole che ci fissiamo in Lei, ma con Lei in Gesù. Maria vuole vederci come un altro Gesù. Mario Galizzi 3


La Catechesi di Benedetto XVI

I Dodici

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iovanni, figlio di Zebedeo e fratello di Giacomo, il suo nome, tipicamente ebraico, significa “il Signore ha fatto grazia”. Stava riassettando le reti sulla sponda del lago di Tiberìade, quando Gesù lo chiamò insieme con il fratello (cf Mt 4,21; Mc 1,19). Giovanni fa sempre parte del gruppo ristretto, che Gesù prende con sé in determinate occasioni. È insieme a Pietro e a Giacomo quando Gesù, a Cafarnao, entra in casa di Pietro per guarirgli la suocera (cf Mc 1,29); con gli altri due segue il Maestro nella casa dell’archisinagògo Giàiro, la cui figlia sarà richiamata in vita (cf Mc 5,37); lo segue quando sale sul monte per essere trasfigurato (cf Mc 9,2); gli è accanto sul Monte degli Olivi quando davanti all’imponenza del Tempio di Gerusalemme pronuncia il discorso sulla fine della città e del mondo (cf Mc 13,3); e, finalmente, gli è vicino quando nell’Orto del Getsémani si ritira in disparte per pregare il Padre prima della Passione (cf Mc 14,33). Poco prima della Pasqua, quando Gesù sceglie due discepoli per mandarli a preparare la sala per la Cena, a lui ed a Pietro affida tale compito (cf Lc 22,8). Testimoni sino alla fine

Questa sua posizione di spicco nel gruppo dei Dodici rende in qualche modo comprensibile l’iniziativa presa un giorno dalla madre: ella si avvicinò a Gesù per chiedergli che i due figli, Giovanni appunto e Giacomo, potessero sedere uno alla sua de4

L’Apostolo Giova n stra e uno alla sua sinistra nel Regno (cf Mt 20,20-21). Come sappiamo, Gesù rispose facendo a sua volta una domanda: chiese se essi fossero disposti a bere il calice che egli stesso stava per bere (cf Mt 20,22). L’intenzione che stava dietro a quelle parole era di aprire gli occhi dei due discepoli, di introdurli alla conoscenza del mistero della sua persona e di adombrare loro la futura chiamata ad essergli testimoni fino alla prova suprema del sangue. Poco dopo infatti Gesù precisò di non essere venuto per essere servito ma per servire e dare la propria vita in riscatto per la moltitudine (cf Mt 20,28). Nei giorni successivi alla Risurrezione, ritroviamo “i figli di Zebedeo” impegnati con Pietro ed alcuni altri discepoli in una notte infruttuosa, a cui segue per intervento del Risorto la pesca miracolosa: sarà “il discepolo che Gesù amava” a riconoscere per primo “il Signore” e a indicarlo a Pietro (cf Gv 21,1-13). Non possiamo tacere All’interno della Chiesa di Gerusalemme, Giovanni occupò un posto di rilievo nella conduzione del primo raggruppamento di cristiani. Paolo infatti lo annovera tra quelli che chiama le “colonne” di quella comunità (cf Gal 2,9). In realtà, Luca negli Atti lo presenta insieme con Pietro mentre vanno a pregare nel Tempio (cf At 3,1-4.11) o compaiono davanti al Sinedrio a testimoniare la propria fede in Gesù Cristo (cf At 4,13.19). Insieme con Pietro viene inviato dal-

la Chiesa di Gerusalemme a confermare coloro che in Samaria hanno accolto il Vangelo, pregando su di loro perché ricevano lo Spirito Santo (cf At 8,1415). In particolare, va ricordato ciò che afferma, insieme con Pietro, davanti al Sinedrio che li sta processando: “Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato” (At 4,20). Proprio questa franchezza nel confessare la propria fede resta un esempio e un monito per tutti noi ad essere sempre pronti a dichiarare con decisione la nostra incrollabile adesione a Cristo, anteponendo la fede a ogni calcolo o umano interesse. Amici, non servi Secondo la tradizione, Giovanni è “il discepolo prediletto”, che nel Quarto Vangelo poggia il capo sul petto del Maestro durante l’Ultima Cena (cf Gv 13,21), si trova ai piedi della Croce insieme alla Madre di Gesù (cf Gv 19,25) ed è infine testimone sia della Tomba vuota che della stessa presenza del Risorto (cf Gv 20,2; 21,7). Sappiamo che questa identificazione è oggi discussa dagli studiosi, alcuni dei quali vedono in lui semplicemente il prototipo del discepolo di Gesù. Lasciando agli esegeti di dirimere la questione, ci contentiamo qui di raccogliere una lezione importante per la nostra vita: il Signore desidera fare di ciascuno di noi un discepolo che vive una personale amicizia con Lui. Per realizzare questo non basta seguirlo e ascoltarlo esteriormente; bisogna anche vivere


go”, cioè colui che è capace di parlare in termini accessibili delle cose divine, svelando un arcano accesso a Dio mediante l’adesione a Gesù. Il culto di Giovanni apostolo si affermò a partire dalla città di Efeso, dove, secondo un’antica tradizione, avrebbe a lungo operato, morendovi infine in età straordinariamente avanzata, sotto l’imperatore Traiano. Ad Efeso l’imperatore Giustiniano, nel secolo VI, fece costruire in suo onore una grande basilica, di cui restano tuttora imponenti rovine. Proprio in Oriente egli godette e gode tuttora di grande venerazione. Nell’iconografia bizantina viene spesso raffigurato molto anziano – secondo la tradizione morì sotto l’imperatore Traiano – e in atto di intensa contemplazione, quasi nell’atteggiamento di chi invita al silenzio.

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© Foto R.M.N., R. G. Ojéda

Avvicinarsi al mistero

Giovanni è il contemplativo che guarda alle realtà ultime dell’uomo e del mondo. Il suo sguardo penetra i secoli della storia e giunge alle soglie del mistero divino.

con Lui e come Lui. Ciò è possibile soltanto nel contesto di un rapporto di grande familiarità, pervaso dal calore di una totale fiducia. È ciò che avviene tra amici; per questo Gesù ebbe a dire un giorno: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici... Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi” (Gv 15,13.15).

Giovanni il teologo Negli apocrifi Atti di Giovanni l’Apostolo viene presentato non come fondatore di Chiese e neppure alla guida di comunità già costituite, ma in continua itineranza come comunicatore della fede nell’incontro con “anime capaci di sperare e di essere salvate” (18,10; 23,8). Tutto è mosso dal paradossale intento di far vedere l’invisibile. E infatti dalla Chiesa orientale egli è chiamato semplicemente “il Teolo-

In effetti, senza adeguato raccoglimento non è possibile avvicinarsi al mistero supremo di Dio e alla sua rivelazione. Ciò spiega perché, anni fa, il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, Atenagora, colui che il Papa Paolo VI abbracciò in un memorabile incontro, ebbe ad affermare: “Giovanni è all’origine della nostra più alta spiritualità. Come lui, i ‘silenziosi’ conoscono quel misterioso scambio dei cuori, invocano la presenza di Giovanni e il loro cuore si infiamma” (O. CLÉMENT, Dialoghi con Atenagora, Torino 1972, p. 159). Il Signore ci aiuti a metterci alla scuola di Giovanni per imparare la grande lezione dell’amore così da sentirci amati da Cristo “fino alla fine” (Gv 13,1) e spendere la nostra vita per Lui. Benedetto XVI L’Osservatore Romano, 06-07-2006

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Educare alla salute, educ a XVII Giornata Mondiale del Malato - 11 febbraio 2009

Vita della Chiesa

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’educazione alla salute è un capitolo fondamentale dell’educazione alla vita perché i due beni, salute e vita, sono profondamente interconnessi, ancorché non sovrapponibili: si può, infatti, avere una vita buona con o senza salute, ma l’equilibrio salute non può prescindere dalle scelte di vita. Educare alla salute e alla vita significa educare al rispetto della dignità della persona umana che è caratterizzata dalle sue capacità, dalle sue abilità, dalle sue fragilità e dalla sua apertura alla reciprocità e al dono. La salute si può dire a vari livelli perché c’è un equilibrio organico, relazionale e spirituale, ma ogni aspetto è connesso con gli altri proprio perché è riferito alla persona umana che è sostanza relazionale, unità psicofisica. È importante mettere in evidenza l’identità sintetica del-

l’uomo, sottolineando che il finalismo inscritto nella natura umana, biologico e spirituale, non si oppone alla sua libertà e ne orienta le scelte. Il naturale desiderio di pienezza bio-psicospirituale, definita come felicità, si struttura attraverso il bisogno di vari beni che trovano origine e fine nell’amore, nella ricerca dell’Assoluto. Aperti a Dio Molte dipendenze, da droghe o da particolari abitudini avvilenti, derivano da un mal orientato bisogno di assoluto, che viene saturato attraverso beni finiti, incapaci di valorizzare la dignità umana. Per questo è importante nell’educazione della persona, far crescere la consapevolezza della nostra nobile reciprocità, della nostra apertura all’eterno che costituisce l’unità di senso attraverso cui guardare

L’affetto e la presenza dei propri cari è una medicina senza controindicazioni.

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tutti i nostri beni, anche la salute e la vita. La responsabilità verso la salute e la vita è la responsabilità verso il progetto iscritto in noi, verso questo dono che noi siamo che ci richiama ad essere capaci di donare. Quando viene meno il senso di Dio, anche il senso dell’uomo viene minacciato e inquinato: «L’uomo non riesce più a percepirsi come “misteriosamente altro” rispetto alle diverse creature terrene; egli si considera come uno dei tanti esseri viventi, come un organismo che, tutt’al più, ha raggiunto uno stadio molto elevato di perfezione. Chiuso nel ristretto orizzonte della sua fisicità, si riduce in qualche modo a “una cosa” e non coglie più il carattere “trascendente” del suo “esistere come uomo”. Non considera più la vita come uno splendido dono di Dio, una realtà “sacra” affidata alla sua responsabilità e quindi alla sua amorevole custodia, alla sua “venerazione”. Essa diventa semplicemente “una cosa”, che egli rivendica come sua esclusiva proprietà, totalmente dominabile e manipolabile» . Attualmente la medicina non è più soltanto finalizzata come in passato ad alleviare le sofferenze quanto piuttosto all’ottimizzazione. La promessa di ottimizzare indefinitamente la qualità e la durata della vita spinge la medicina a trasformare i desideri in bisogni e a proporsi dei traguardi, che hanno il sapore dell’utopia. Ma in questo modo si genera una sofferenza supplementare e totalmente indotta: la sofferenza di essere normali e


c are alla vita

dunque mortali, soggetti all’invecchiamento e alla decadenza. In quest’ottica, la morte, da evento naturale e irrimediabile, si è trasformata in colpa da addebitarsi a qualcuno, un incidente che era comunque possibile evitare oppure in un effetto che si potrà scongiurare in futuro, contando su maggiori mezzi e su una più adeguata preparazione. Si è tentato di correggere la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità opponendo alla nozione di salute come stato, la salute come proces-so dinamico o come equilibrio e alla nozione di completo benessere, quella di capacità relativa. La salute è, pertanto, quella condizione di equilibrio dinamico, per cui un soggetto, inserito in un determinato contesto naturale e sociale, ha le capacità di realizzare i propri

L’uomo è soggetto all’invecchiamento. In questo prova il suo limite. I tentativi di sfuggire a questa realtà possono provocare solo ulteriori sofferenze. La salute dell’uomo è un equilibrio relativo che ha in sé il senso della precarietà.

rapporti e progetti vitali in modo adeguato. In questa prospettiva, una situazione che riduca la capacità di lavoro, come la maternità, non è una malattia, perché non annulla la capacità di un progetto vitale più ampio; mentre una condizione di denutrizione generalizzata, che rende incapaci di assolvere i propri compiti, non può mai essere tollerata come normale, per quanto diffusa possa essere in una determinata zona geografica. Così è la salute Bisogna distinguere tra salute perfetta e salute relativa: la prima è un semplice concetto-limite cui ci si può soltanto approssimare, la salute dell’uomo non equivale, pertanto, alla sua perfezione, anche se rappresenta una condizione favorevole per raggiungerla. La salute, proprio perché non è perfetto benessere, ma equilibrio relativo, contempla anche in sé la disabilità e la precarietà. Si può sottolineare in senso positivo la progressiva accentuazione degli aspetti relazionali dei concetti di salute e disabilità che non sono più solo nozioni bio-mediche, ma bio-psico-sociali, ma è ancor più importante rilevare la prospettiva spirituale dell’incontro con la precarietà. La coesistenza di salute e disabilità in ognuno di noi ci spinge a considerare il senso della nostra vita e la transitorietà del nostro “pellegrinaggio terreno” con la sua fragile precarietà e, insieme, con la sua promessa di compimento. Il desiderio e la ricerca di salute, quindi, si inseriscono in una ricerca più ampia. Tocchiamo qui uno dei punti-chiave di tutta l’antropologia cristiana. «L’uomo non può “ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé”. Buon Samaritano è l’uomo capace appunto di tale dono di sé». *** 7


In Basilica

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a Basilica di Maria Ausiliatrice è una specie di “libro di storia ad immagini”. Infatti, attraverso statue e quadri, racconta diversi episodi della bimillenaria storia della Chiesa e della santità cristiana. Proviamo a sfogliare questo libro per vedere che cosa ci riserva. Scopriremo pagine veramente interessanti, persino sorprendenti. Un capitolo più volte approfondito in questo “libro di storia” è la battaglia di Lepanto. È così chiamata dal nome di una cittadina greca presso la quale si svolse uno scontro navale tra due imponenti flotte, la prima cristiana e la seconda turco-musulmana, avvenuto nel lontano 1571. Chi si avvicina alla Basilica dalla piazza, alzando lo sguardo, vede, a sinistra della grande statua dorata della Madonna collocata sulla cupola, la statua di un angelo. Rappresenta l’Arcangelo Michele che sventola una bandiera con la scritta “Lepanto”. Tra le colonne laterali della facciata un bel bassorilievo illustra il Papa San Pio V che annuncia la vittoria della flotta cristiana, riportata in quella memorabile battaglia. Appena si entra in Basilica, volgendosi indietro, si può ammirare un rosone policromo rappresentante il monogramma di Maria con i simboli della sua regalità che sovrastano un sole radioso sulle acque: sono proprio le acque del mare dove si svolse la battaglia di Lepanto. Raggiunta la zona centrale della chiesa, il pellegrino è portato spontaneamente a sollevare la vista attratto dagli affreschi della cupola maggiore. Nella parte della cupola che è di

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La battaglia di Lepanto fronte al trono dell’Ausiliatrice vi è un gruppo di angeli che sostengono un arazzo: esso rappresenta la battaglia di Lepanto, accanto al quale stanno, a destra, il Papa dell’epoca, il già ricordato Pio V, e i valorosi capitani delle armate cristiane. A San Pio V sono dedicati pure un altare dietro quello maggiore ed una cappella a sinistra del presbiterio. Insomma, tanta ricchezza iconografica lascia intendere che la battaglia di Lepanto fu un avvenimento di capitale importanza e che Pio V vi giocò un ruolo fondamentale.

Che cosa accadde? Era una giornata autunnale del 1571, la domenica 7 ottobre, quando due giganti militari si fronteggiarono. Da una parte l’intera flotta turca, la grande “superpotenza” dell’epoca, disposta a forma di mezzaluna, al centro della quale si trovava la nave “sultana”, agli ordini del temibile ammiraglio Alì Pascia, adornata da uno stendardo tutto verde, venuto dalla Mecca e su cui era stato ricamato in oro per 28.900 volte il nome di Allah; dall’altra, allineate come una cro-

Prima di morire, Pio V disse ai Cardinali: “Vi raccomando la santa Chiesa che ho tanto amato! Cercate di eleggermi un successore zelante, che cerchi soltanto la gloria del Signore, che non abbia altri interessi quaggiù che l’onore della Sede Apostolica e il bene della cristianità”.


ce, stavano più di duecento navi, chiamate galee, dotate di cannoni e su cui erano ospitati più di 80 mila persone: tutti cattolici, ciurma ed ufficiali, avevano recitato il Rosario e molti di loro si erano confessati e comunicati dai cappellani che li accompagnavano, pronti a seguire gli ordini del loro comandante supremo, il fratello dell’imperatore Filippo II di Spagna, un giovane di 24 anni, generoso e coraggioso, Giovanni d’Austria. Era un fervente cristiano: non permise che a bordo salissero donne, con cui i marinai potessero commettere azioni immorali. Per quei tempi era una novità assoluta. Tutti gli scontri militari, purtroppo, producono distruzione e vittime. Anche quella sera, dopo cinque ore di battaglia, quando si contarono morti e feriti, le perdite furono ingenti, da una parte e dall’altra. Eppure, i cristiani esultarono perché la flotta turca, nonostante la superiorità numerica e la fama di invincibilità, era stata sbaragliata: sulla nave ammiraglia dei turchi era stata ammainata la mezzaluna ed issato il vessillo cristiano, un enorme stendardo blu con la raffigurazione di Cristo in Croce. La vittoria militare che annientò l’armata navale turca fu ottenuta anche grazie all’eroismo dei soldati cristiani, come Sebastiano Venier che combatté a capo scoperto e in pantofole. A chi gli domandava il motivo, rispondeva: “Perché le pantofole fanno migliore presa sulla coperta” ed intanto, nonostante i suoi 75 anni, continuava ad imbracciare e a caricare la balestra. Agostino Barbarigo, veneziano, per meglio dirigere le operazioni si scoprì il capo, fino a quando una freccia nemica non gli si inflisse nell’occhio sinistro, provocandone, il giorno dopo, la morte. Tra gli spagnoli, un soldato riportò serie ferite ma sopravvis-

Pio V ebbe una visione in occasione della vittoria della battaglia di Lepanto ed esclamò: “Sono le 12, suonate le campane, abbiamo vinto a Lepanto”. L’anno successivo, nel 1572, il 7 ottobre venne celebrato il primo anniversario della vittoria di Lepanto con l’istituzione della Festa di Santa Maria della Vittoria, successivamente trasformata nella Festa del SS. Rosario.

se. Ricordò quel giorno come “il più glorioso di tutto il secolo”. Divenne uno scrittore famoso: Cervantes, autore del celeberrimo Don Quijote. La “Lega Santa” Le navi cristiane appartenevano a diversi stati dell’Europa del tempo: la Spagna, la Repubblica di Venezia, lo Stato Pontificio ed altri piccoli principati italiani. La coalizione si chiamava “Lega Santa” ed era stata promossa e benedetta da Pio V, un santo Papa che dormiva su un pagliericcio e digiunava frequentemente. Pregava con grande fervore e non sopportava i favoritismi: quando seppe che un suo parente, arruolato nelle milizie pontificie, frequentava le prostitute, lo fece subito cacciare. Mentre gli Stati europei sembravano superficialmente insensibili al pericolo che li minacciava e continuavano a litigare tra loro, Pio V fu lungimirante: senza la “Lega Santa”, l’Europa sarebbe caduta sotto il giogo dei Turchi che, da più di un secolo, ottenevano vittorie su vittorie a scapito degli stati cristiani ed imponevano la dura legge dell’Islam. Dopo aver conquistato

Costantinopoli nel 1453, erano avanzati nell’Europa orientale, giungendo fino alle porte di Vienna nel 1529. Dall’una e dall’altra parte del Mediterraneo, insidiavano con le loro navi e con i pirati loro alleati: ovunque arrivavano, erano razzie, saccheggi, catture di schiavi, massacri, come quello perpetuato ad Otranto in Puglia, 90 anni prima di Lepanto, e dove ancora oggi si conservano le ossa di 800 martiri a cui fu tagliata la testa. Di che cosa fossero capaci i Turchi, desiderosi di sottomettere tutto il mondo cristiano, lo avevano fatto capire, pochi mesi prima di Lepanto, a Farmagosta, una cittadina dell’isola di Cipro: al comandante veneziano che difendeva la fortezza, furono tagliati naso ed orecchie, poi fu scorticato vivo, la sua pelle divenne l’involucro di un fantoccio, esibito poi come un trofeo. Dopo Lepanto, però, iniziò inesorabilmente il declino dell’Impero ottomano, che alla fine della prima guerra mondiale scomparve dalla carta geopolitica del mondo. Auxilium Christianorum A quei tempi le comunicazioni non erano rapidissime co9


me oggi. La notizia della vittoria della flotta cristiana fu annunciata al Papa due settimane dopo. Il corriere veneziano arrivò di notte: il Papa fu svegliato e disse: Nunc dimitte servum tuum in pace. Si trattò di una conferma di quanto il santo Papa era già venuto a conoscenza, in modo soprannaturale. Infatti, nel pomeriggio del 7 ottobre, era in riunione con alcuni prelati. D’improvviso si alzò, si avvicinò alla finestra, fissò lo sguardo in estasi, vide la Madonna e poi, tornando al suo posto, disse: “Non occupiamoci più di questi affari, andiamo a ringraziare Dio. La flotta cristiana ha ottenuto la vittoria”. Non ebbe dubbi: l’esito felice di quell’evento che permise la salvezza dell’Europa cristiana era stato ottenuto grazie all’intercessione della Vergine. Aveva mobilitato monasteri maschili e femminili, indetto speciali preghiere e processioni, soprattutto aveva ordinato la recita del Rosario per ottenere questa grazia: puntualmente arrivò. Volle pertanto che nelle Litanie lauretane si aggiungesse il titolo “Maria Auxilium Christianorum” ed istituì la festa della “Madonna delle Vittorie”, che, poi, per decisione dei suoi successori, è diventata la memoria liturgica della “Beata Vergine del Rosario” celebrata la prima domenica di ottobre. Sì, a Lepanto, in modo a noi misteriosamente ignoto, intervenne realmente ed efficacemente la Madonna. Ne erano convinti anche i senatori della Serenissima, la Repubblica di Venezia, che sul quadro affisso nella sala delle loro adunanze, fecero scrivere queste parole: Non virtus, non arma, non duces, sed Virgo Rosarii victores nos fecit. Roberto Spataro Studium Theologicum Salesianum Gerusalemme e-mail: silvaestudiosus@gmail.com

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Spiritualità

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ei giorni del festival-convegno Torino Spiritualità del settembre 2008 si è acceso un vivace dibattito sulla questione dell’esistenza e dell’accettazione della terminologia Spiritualità umana. Esiste anche una spiritualità semplicemente umana, fuori dall’ambito propriamente religioso? La risposta, per altro non condivisa da tutti ma ormai sembra quella vincente, è che si può parlare anche di una semplice spiritualità umana, perfino di una spiritualità per atei: anche questi infatti, pur non ammettendo l’esistenza di Dio, rimangono sempre uomini e qualche volta sono anche più in ricerca di altri credenti, seduti e sazi delle risposte altrui acriticamente sedimentate ormai nel proprio bagaglio culturale ed esistenziale. Il Card. Martini enuclea questo concetto: “Possiamo affermare che la spiritualità umana si pone in obbedienza a quattro precetti essenziali: sii attento, sii intelligente, sii responsabile, sii capace di giocarti la vita per quanto appare giusto e vero. Senza questo cammino quadruplice non si ha sforzo di autenticità, non si ha spiritualità; si ha invece approssimatività, o deriva, o degrado”. Mentre il teologo Hans U. von Balthasar parlando di spiritualità semplicemente umana la vede come “l’atteggiamento, pratico ed esistenziale di un uomo... come espressione della sua interpretazione eticamente impegnata della vita”. E parla poi dell’esistenza umana, in generale, che può essere guidata dalla spi-

ritualità dell’amore (ecco l’atteggiamento contemplativo), dalla spiritualità dell’azione o della prassi (si mostra nell’atteggiamento dinamico fatto di impegno anche “rivoluzionario”) ed infine dalla spiritualità dell’indifferenza o dell’imperturbabilità (e si avrà quindi la spiritualità stoica, buddista, induista, di una certa mistica di matrice tedesca, e anche il famoso “Nata te turbe” di Teresa d’Avila). Da che cosa potrebbe essere guidata questa spiritualità umana o laica, per usare una parola molto comune nei dibattiti, che prescinde per definizione dall’orizzonte metafisico? Per qualcuno dal concetto di coscienza (intesa secondo il filosofo Immanuel Kant) per cui l’uomo, nella sua vita etica quotidiana, tratta l’altro uomo sempre come fine e mai come mezzo, rimane poi aperto allo stupore della vita e della creazione (‘il cielo stellato sopra di me’). Da questa os-

Gesù Cristo è... Gesù Cristo è l’alfa e l’omega, il principio e il fine di tutte le cose. Noi non lavoriamo, come l’Apostolo, che per perfezionare ogni uomo in Gesù Cristo, perché in Lui solo abitano la pienezza della divinità e tutte le altre pienezze di grazie, di virtù e di perfezione, perché in Lui solo siamo stati benedetti con ogni benedizione spirituale; perché egli è l’unico nostro Maestro che deve istruirci, l’unico nostro Signore da cui noi dobbiamo dipendere, l’uni-


servanza della legge morale quotidiana gli deriverà quella serenità, pur in mancanza di certezze metafisiche, anche davanti alla morte. Il termine spiritualità Il largo uso che si fa di questa parola così importante nella vita dell’uomo, non deve far dimenticare che ha avuto origine propriamente in ambito cristiano e del cristianesimo. Secondo qualche studioso il primo uso certo del termine ‘spiritualità’ è da ricercarsi in una lettera, attribuita a San Girolamo (morto nel 420), il grande studioso e traduttore della Bibbia, e precisamente in una sua lettera. Egli scrive: “Fa’ in modo che tu possa progredire nella spiritualità (in latino: Age, ut in spiritualitate proficias). Stai attento a non perdere il bene ricevuto come un custode incauto e negligente. Corri, per non diventare

co capo al quale noi dobbiamo essere uniti, l’unico modello al quale dobbiamo conformarci, l’unico medico che deve guarirci, l’unico pastore che deve nutrirci, l’unica Via che dobbiamo percorrere, l’unica Vita che deve vivificarci, l’unico Tutto che deve bastarci in tutte le cose. Non ci è stato dato altro nome sotto il cielo che il nome di Gesù, per cui noi dobbiamo salvarci... (In SAN LUIGI G. DE MONFORT, Trattato della vera devozione alla Santa Vergine, n. 61).

pigro. Affrettati, per comprendere più velocemente... Mentre abbiamo tempo seminiamo nello spirito, per raccogliere una messe spirituale abbondante” (Epistula VII, 9). Ricevuta la grazia nel battesimo, come dono gratuito da parte di Dio, c’è qui una chiara esortazione al neofita o neo cristiano (in genere adulto, in quei primi secoli) a progredire sempre di Santa Teresa pone come primo passo verso l’ascesa più e con impegno a Dio il ritiro dell’anima dall’esterno e l’osservanza in questa vita spiri- della passione di Cristo e la penitenza. Nel secondo, tuale, nella vita cri- la volontà umana è rimessa in quella di Dio, fino a ragstiana, lasciandosi giungere una certa quiete. guidare nel proprio sono guidati dallo Spirito di Dio, comportamento dallo Spirito, che costoro sono figli di Dio... Lo è lo stesso Spirito ricevuto nel Spirito stesso attesta al nostro fonte battesimale. spirito che siamo figli di Dio. E Non era certamente estraneo se siamo figli, siamo anche ereall’eruditissimo Girolamo il pasdi: eredi di Dio, coeredi di Criso di San Paolo nella lettera ai sto” (vv. 14 e 17). Romani (c. 8) quando parla con In questo famoso passo di San molta forza della vita nello spiPaolo troviamo il nucleo centrarito (l’uomo nuovo, rinnovato nel le di ogni spiritualità cristiana: battesimo dallo Spirito di Dio) e il riferimento allo Spirito di Genella vita della carne (l’uomo sù che parla e agisce nel cristiavecchio, che vive in regime di no per guidarlo (nella libertà e peccato e ignoranza di Dio). collaborazione, pensiamo al sì di “Quelli infatti che vivono seMaria di Nazaret nell’Annuncondo la carne, pensano alle cociazione) e portarlo alla graduase della carne; quelli invece che le trasformazione della propria vivono secondo lo Spirito, alle esistenza, passando dal dominio cose dello Spirito. Ma i desidedella ‘carne’ (o egoismo peccari della carne portano alla morminoso) e arrivando gradualte, mentre i desideri dello Spirimente alla piena configurazione to portano alla vita e alla pace” al Cristo, all’interno della Chie(v. 5). E più avanti scrive ancosa, che è il Suo corpo. ra Paolo: “Infatti tutti quelli che ➠ 11


Il primo ad usare il termine spiritualità sarebbe stato Girolamo che in una lettera raccomanda di fare in modo che si progredisca nella spiritualità.

Gesù Cristo: il centro Ancora il teologo Angelo Amato ha scritto: “La spiritualità cristiana è quindi l’esperienza dell’azione salvifica dello Spirito Santo nei cristiani e la loro configurazione a Cristo nella comunità ecclesiale, tempio dello Spirito. Essa è dono e compito, grazie e impegno, esperienza mai compiuta ma sempre aperta al compimento nella storia delle persone e della comunità” (in Maria e la Trinità, San Paolo, p. 147). E il Card. Martini, da biblista: “Che cos’è la spiritualità cristiana? La definizione non cambia: è “vita secondo lo Spirito” dove però non si intende più lo spirito in senso universale e generico, ma determinato e concreto, cioè lo Spirito di Gesù Cristo. Per il cristiano, vivere ‘secondo lo Spirito’ significa lasciarsi muovere, ispirare, condurre da quello Spirito che ha mosso, ispirato, condotto Gesù Cristo” (in Dizionario Spirituale, Piemme, p. 177). E, aggiungiamo perché ce n’è bisogno anche oggi, non un Gesù Cristo di qualche filosofo, o quello descritto in qualche movimento neo spiritualista, o perfino quello creato forse a propria immagine e sensibilità culturale, ma quello concreto, storico, documenta12

to, descritto dai Quattro Vangeli ereditati e custoditi nei secoli fino a noi dalla Chiesa, la Sua comunità riunita nel Suo nome. Ancora A. Amato: “La spiritualità umana diventa cristiana

Seguendo Gesù Cristo Guardando a lui, al Crocifisso e Vivente, l’uomo è in grado non solo di agire nel mondo di oggi, ma anche di soffrire, non solo di vivere, ma anche di morire. Rifulge ai suoi occhi un senso persino là dove la ragione pura deve capitolare, persino in una condizione di miseria assurda e nella colpa, perché si sa sostenuto da Dio nei momenti positivi come in quelli negativi: La fede nel Cristo Gesù dona pace con Dio e con se stessi, pur senza scavalcare i problemi del mondo. Questa fede rende l’uomo veramente umano, in quanto lo persuade ad aprirsi radicalmente all’altro, a chi ha bisogno di lui, al “prossimo” (...). Seguendo Gesù Cristo, l’uomo nel mondo d’oggi può vivere, agire, soffrire e morire in modo veramente umano: nella felicità e nella sventura, nella vita e nella morte, sorretto da Dio e fecondo di aiuto per gli altri. (In HANS KÜNG, Essere Cristiani, p. 688).

quando si misura con la persona e l’opera di Cristo e da lui attinge ispirazione, forza e armonia”. È quindi Gesù di Nazaret, detto il Cristo, il discriminante ed il nucleo assolutamente centrale e insostituibile di ogni spiritualità e devozione che si vuole intendere come cristiana. E non può essere altrimenti, lo dice già il nome di “cristiana”. E siccome per il Cristianesimo Gesù Cristo è il Vivente, è “ieri, oggi e nei secoli”, ed è sempre vivo e operante mediante il suo Spirito, la fede cristiana, e la vita spirituale (o la spiritualità) si misura nella profondità del rapporto interpersonale ed esistenziale con Lui, come il vero Determinante della vita del singolo cristiano, nella sua dimensione sociale in generale ed ecclesiale. Ed allora la vita secondo lo Spirito si configurerà come “sequela ed imitazione di Gesù Cristo, nell’accoglienza delle sue beatitudini, nell’ascolto della Parola di Dio, nella consapevolezza e attiva partecipazione alla vita liturgica e sacramentale della Chiesa, nella preghiera individuale, familiare, nella fame e nella sete di giustizia, nella pratica del comandamento dell’amore in tutte le circostanze della vita e nel servizio ai fratelli specialmente se piccoli e sofferenti” (in Christi Fideles Laici, n. 16). C’è molto lavoro da fare per avere una profonda spiritualità cristiana. Ed in questo “lavoro” abbiamo bisogno degli esempi dei santi, che sono i nostri fratelli e sorelle, ma specialmente del sommo modello ed esempio che è Maria di Nazaret, la Madre di Gesù. Parlare di lei nell’ambito della spiritualità cristiana (con Gesù Cristo al centro che rimane fondamentale e dà significato a tutto il resto) significa che ci può e (e ci deve) essere anche una spiritualità mariana. Mario Scudu


Avvenimenti

San Paolo e San Francesco Giovani per i secoli

Bimillenario paolino e VIII centenario francescano

L

’anno 2009 segna una scadenza di rilievo per l’Ordine Francescano: la ricorrenza dei suoi otto secoli di vita. Non è poco per il movimento fondato dal giovane umbro Francesco figlio di Pietro, il quale, intorno ai 25 anni, iniziò la conversione che lo condusse a divenire perfetto seguace di Cristo. La sua conversione non fu improvvisa e folgorante come quella di Paolo undici secoli prima: andò in pochi anni delineandosi nella sua mente e attuandosi nella sua vita. Entrambi questi personaggi hanno, pur dopo tanti secoli, una loro straordinaria propositività: Paolo per l’ineguagliabile capacità di comunicazione, che gli permise di annunciare la salvezza di Cristo nonostante le distanze, i pericoli, le diversità culturali, le persecuzioni; Francesco per la pace e la gioia profonda dell’anima, illuminata dalla consapevolezza di avere Dio per Padre e Cristo per fratello. Due mondi diversi, lontani per tempo e spazio, che tuttavia si accordano perfettamente, perché uniti dalla stessa divorante passione: Dio. Ne consegue che entrambi amarono con altrettanta forza ciò che Dio ama più di tutto, l’uomo. Sia l’uno che l’altro diedero prova di coraggio estremo, confidando sempre, senza cedimenti, nell’amore di Dio. Entrambi fecero esperienza di Dio in giovane età. Da questo, i giovani potrebbero trarre non pochi spunti per una proficua riflessione.

Paolo si è sempre presentato a tutti come Apostolo di Gesù Cristo.

Le difficoltà iniziali Secondo la cronologia più attendibile, la conversione di Paolo avvenne verso i trent’anni; Francesco conobbe Cristo qualche anno prima, tra i 23 e i 25. Nel 1209, appunto ottocento anni fa, si recò a Roma e venne ricevuto dal potentissimo Innocenzo III, che approvò la forma di vita sua e dei suoi compagni; ed è davvero un merito da accreditare a questo pontefice, l’aver accolto il giovane umbro,

dall’aspetto poco gradevole. Innocenzo diede l’approvazione orale, e Francesco poté quindi vivere la sua Regula vitae, detta poi “non bollata” perché non approvata mediante un documento; sarà poi Papa Onorio III, quattordici anni dopo, ad approvare con la lettera apostolica Solet annuere (29-11-1223) una Regula redatta sempre dal Santo, però più breve e meno densa di citazioni bibliche e detta quindi Regola “bollata”. Fu lo Spirito di Dio, dal quale Innocenzo si lasciò guidare, ad infondere nella sua mente fiducia in quello strano individuo; così come si lasciò guidare Ananìa (At 9,10-19), che si fidò dello Spirito e accolse il feroce persecutore dei cristiani, Saulo. A quelle età della vita, chiaramente, l’entusiasmo non manca; ma sia l’uno che l’altro non fecero caso al trascorrere degli anni, e continuarono l’energico lavoro di conversione propria e di apostolato fino a che le forze lo permisero loro. Questa caratteristica, certamente, accomuna i due personaggi: il coraggio, la tenacia indomabile. Paolo incontrò ogni sorta di prove, durissime, come egli stesso narra nella seconda lettera ai Corinzi (2 Cor 11,26), vero gioiello del Nuovo Testamento. Francesco incontrò incomprensioni terribili, avversioni, tribolazioni di ogni genere; eppure si recò in Palestina (1219), fu il primo cristiano, nella storia, a parlare con un esponente di altra fede non con il linguaggio della spada ma con quello della bontà, volle pure recarsi a Santiago ma non vi riuscì, per 13


La conversione di Francesco è avvenuta non immediatamente come per Paolo, ma gradualmente la dolcezza del Signore è entrata nella sua vita.

l’incurabile male agli occhi. Da dove dunque è venuta tanta forza a questi due uomini? Probabilmente, dal saper vedere il mondo con gli occhi di un bambino, il mondo cioè “fatto di giocattoli” (Mons. T. Bello), senza nascondersi i gravi problemi del loro tempo. Considerando brevemente due scritti dell’uno e dell’altro, si può evidenziare l’eterna giovinezza di questi uomini, che non sono uomini da ore devote o santi che reggono il giglio, ma cristiani che si sono innestati nei flutti della storia, vivendo appieno l’invito di Cristo (Mt 28,19) e fidandosi ciecamente della sua incontrovertibile promessa (Mt 28,20). Camminare verso la riconciliazione Il titolo con cui Paolo si presenta ai suoi cristiani e che difende con fermezza nei confronti degli avversari è quello di “apostolo di Gesù Cristo”. Egli non fu discepolo di Gesù durante la sua vita terrena, anzi certo non lo conobbe neppure di persona: il suo apostolato deriva dal fatto che sulla via di Damasco il Risorto 14

apparve anche a lui, “come a un aborto” (1 Cor 15,8), cioè fuori tempo, quando ormai era chiuso il ciclo delle apparizioni ufficiali. Nella seconda lettera ai Corinzi, documento di inestimabile ricchezza spirituale ed umana, e anche uno degli scritti più lunghi e densi dell’apostolo, si trova una frase significativa della sua ansia per Dio e per gli uomini: “l’amore del Cristo ci spinge” (5,14), che la nuova versione della Bibbia (2008) traduce con “l’amore del Cristo ci possiede”: espressione più efficace di un amore che non ammette compromessi, tanto che “se uno è in Cristo, è una creatura nuova” (5,17). L’apostolo insegna qui che il credente è fin d’ora una nuova creatura, ma deve camminare con estrema serietà verso la riconciliazione piena, eliminando i vizi che ancora minacciano il suo rapporto con Cristo. Il credente sarà perciò vero creatore di novità, portando alla superficie i tesori vecchi e nuovi come lo scriba di cui parla il Vangelo (Mt 13,52). Il futuro sarà affidato non tanto agli uomini politici, che si aggirano dentro una strettoia terribile, quella della ragion di stato, e nemmeno Francesco ha avuto almeno una forte esperienza mistica che lo ha segnato anche nel corpo.

alle masse intese come forza d’urto, ma a questa rivoluzione sapienziale dell’amore di Cristo, unico centro creativo che informa la coscienza dell’uomo. Il Regno di Dio, di cui spesso si parla, è il povero che abbiamo incontrato, è la giornata che abbiamo vissuto, è lo spettacolo di bellezza che abbiamo osservato, è la notizia tragica che ci ha colpito: eventi vissuti e sofferti nell’amore totale del Cristo dal quale siamo avvolti e spronati. Da notare poi che se si confronta il nucleo centrale del messaggio di Gesù con quello di Paolo, appaiono senza dubbio innegabili somiglianze, che possono essere riassunte nell’iniziativa gratuita di Dio in favore del suo popolo e di tutta l’umanità. Non meno chiare sono però le differenze: mentre Gesù pone al centro del suo annuncio il regno di Dio, compiendo le opere che ne manifestano la venuta, Paolo concentra la sua attenzione sull’evento della morte e della risurrezione di Cristo, nel quale Dio stesso è all’opera per la giustificazione dell’uomo peccatore. Pur rivendicando un ruolo di primo piano nel disegno di Dio, Gesù non si attribuisce espressamente i titoli di Messia, Signore


e Figlio di Dio; Paolo invece incentra su di essi tutta la sua cristologia. Sia Gesù che Paolo prendono posizione contro la legge mosaica: ma mentre il primo ne relativizza le disposizioni subordinandole alla pratica dell’amore verso Dio e il prossimo, il secondo squalifica la legge opponendo ad essa la fede, quale unica via per ottenere la giustificazione. Lasciarsi condurre Nel “Testamento” redatto (o meglio dettato) da Francesco, si trova una frase che pare essere la chiave di comprensione della vita di questo giovane: “quando ero nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi, e il Signore stesso mi condusse tra loro e con essi usai misericordia”. Si veda il volume delle Fonti Francescane, Padova 2004, n. 110. “E ciò che mi sembrava amaro, continua il testo, mi fu cambiato in dolcezza di animo e di corpo”. Ciò che fece scattare la conversione di Francesco fu dunque la vista dei lebbrosi. Egli si lasciò condurre dal Signore e ciò che prima gli appariva ripugnante, gli si cambiò in dolcezza. Da questa storia emerge un’altra immagine di Dio che è un’altra immagine dell’uomo. Quando è in crisi l’immagine di Dio è in crisi l’uomo, e viceversa. Dobbiamo dunque alimentare la nostra fede sposando la causa degli ultimi, come fece otto secoli fa Francesco, e non per semplice carità cristiana e nemmeno soltanto per un senso di giustizia. L’unica nostra giustizia non è altro che Cristo, che ci sprona e ci possiede. Il nostro senso di giustizia, infatti, è sempre storicamente determinato, e quando l’avessimo realizzato ci troveremmo magari ad essere oppressori degli ultimi (ieri lebbro-

Paolo mira alla trasformazione della società mediante l’innesto della forza dell’amore di Cristo.

si soltanto, oggi lebbrosi ammalati di AIDS). La nostra immagine di giustizia è una nostra via, ma le vie della giustizia di Dio non sono le nostre vie. La nostra via, e qui è sempre Paolo a ricordarlo, è il Cristo “crocifisso per la sua debolezza” (2 Cor 13,4), perciò io devo compiacermi “nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte” (2 Cor 12,10). Restituire a Dio la sua santità, abolendo le immagini letterarie o scientifiche che presumono di tradurlo, non vuol dire cadere in un fideismo cieco. Chi parla di Dio con sicurezza da professore è potenzialmente un uomo iniquo. Solo se c’è adorazione, tremore, incapacità a volte di dire chi è Dio se non vedendolo nell’aspetto repellente del lebbroso, allora c’è anche rispetto per l’uomo. Francesco trovò la fede, e quindi la verità, sotto la santità e la durezza della croce, nel volto sfigurato dei malati. Ritrovare la fede, dunque, significa, sul piano storico, farsi garanti della libertà e della vita della persona; abolire tutte le barriere, tutte le discriminazioni consumate sulla stessa vita umana nello sterile e misero dibattito su ciò che è vita e ciò che vita non

è; riconoscere che vita è sinonimo di giovinezza perenne dello spirito, indipendentemente dagli anni o dalla condizione fisica o sociale, respingendo le catalogazioni che rendono ancora così disumana la nostra società postmoderna. Da persone come Paolo e Francesco inizia un discorso che va lasciato al silenzio di ognuno, ma che non può risolversi se non in un rinnovato impegno ad adoperarsi perché cambi questa società e sia non un luogo di divisioni e di conflitti, ma di unione nel Cristo, segno di unità tra tutti gli uomini. Non di conflittualità parlano Paolo e Francesco, ma di animazione cristiana interna al cammino storico, fino alle prospettive che superano miti e dualismi e si identificano con l’eterna comunione con quel Dio che sarà un giorno Tutto in tutti. Franco Careglio 15


I Novissimi

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Celebrazione

In cammino verso le ultime realtà IL GIUDIZIO PARTICOLARE Che cosa dice la Bibbia Nell’Antico Testamento sta scritto: «Il giudizio appartiene a Dio» (Dt 1,17). Il Signore è il Giudice. Egli è il Giudice giusto e non permette che gli si porti ingiuria alcuna. Nel libro della Genesi è detto anche che Dio è Giudice giusto in favore di quelli che hanno subito violenza e ingiustizia (Gn 4). I suoi giudizi sono giusti, poiché egli è fedele all’Alleanza e si prende cura del suo popolo, quel popolo che egli stesso ha scelto. Alla base del giudizio di Dio sta sempre l’amore, la grazia, la misericordia, la compassione. (Dt 32,36; Is 30,18). In pratica la Bibbia dice: «È facile per il Signore nel giorno della morte rendere all’uomo secondo la sua condotta. Alla morte di un uomo si rivelano le sue colpe» (Sir 11,26-27). Nella parabola del ricco cattivo e del povero Lazzaro è detto: «Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando egli nell’inferno tra i tormenti chiese un piccolo ristoro da parte di Lazzaro, ma non gli viene concesso» (Lc 16,22-23). Dunque il giudizio è immediato. Tutto si svela. Tu ti vedi e sei veduto da Dio. Non si attende un giudizio perché tutto è chiaro: ti vedi da te stesso, Al momento del Giudizio, l’uomo si ritrova da solo davanti al suo Creatore.

ti giudichi da te stesso. Ti vedi pulito e bello e ti slanci verso Dio e da lui sei accolto a braccia aperte. Ti vedi sporco e lacero, non osi presentarti agli occhi di Dio e ti allontani da lui. Può essere che tu ti veda bisognoso di purificazione. In questo caso chiederai di essere messo a nuovo nel Purgatorio. Sentiamo San Paolo Ecco sotto i nostri occhi un versetto della sua lettera ai Corinzi: «Tutti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, ciascuno per ricevere la ricompensa delle opere compiute finché era nel corpo, sia in bene che in male» (2 Cor 5,10). A lui dunque è dato il potere di giudicarci al momento della nostra morte. Ma per tutto il tempo della nostra permanenza terrena, Cristo, che è morto per i peccatori, è misericordia, compassione, non è giudice ma salvatore. Questa nostra terra è il tempo e il luogo della salvezza. Egli non ha sparso il suo sangue invano, egli vuole che produca frutto, vuole che i peccatori si convertano e vivano. Ma dopo la morte ci troveremo di fronte a lui come giudice e il giudizio non richiederà tempo, sarà immediato. Scrive ancora San Paolo: «Non c’è dunque più nessuna condanna per quelli che sono in Gesù Cristo» (Rm 8,1). Se uno vive secondo lo Spirito Santo, dono del Risorto, si è sottratto al regime della legge del peccato e della morte: egli vive una vita nuova alla luce e sotto la potenza dello Spirito (Rm 8,1-13), una vita di figli di Dio (Rm 8,14-30), una vita nell’amore (Rm 8,31-39). Preghiamo con il Salmo 118 Rit.: Beato chi è fedele alla legge del Signore. Beato l’uomo di integra condotta, che cammina nella legge del Signore. Beato chi è fedele ai suoi insegnamenti e lo cerca con tutto il cuore. Rit. Tu hai dato, Signore, i tuoi precetti, perché siano

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osservati fedelmente. Siano diritte le mie vie, per custodire i tuoi decreti. Rit. Ti loderò con cuore sincero quando avrò appreso le tue giuste sentenze. Voglio osservare i tuoi precetti: non abbandonarmi mai. Rit. Avvertimenti di Gesù Una cosa sta molto a cuore a Gesù: Non giudicate e non sarete giudicati, non condannate e non sarete condannati. La misura che voi userete con gli altri sarà usata con voi (Mt 7; Lc 6). Molto a proposito San Paolo commenta: «Mentre giudichi gli altri, condanni te stesso» (Rm 8,34). Chi ascolta la parola di Gesù e crede in Lui non subirà giudizio (Gv 5,24). Siamo dunque invitati ad ascoltare, a leggere, ad amare e a studiare la Bibbia, approfondendone la conoscenza e anche a pregarla. Credere in Gesù, cioè accoglierlo nella nostra vita. Dare spazio a lui e non al mondo, a Lui e non al nostro interesse. Gesù è categorico, egli ha detto ai suoi discepoli: «Non chiunque mi dice: «Signore, Signore», entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. (Mt 7,21). Come vorrei arrivare al giudizio È possibile arrivare al giudizio con una coscienza certa e tranquilla? Non è facile valutarci da noi stessi, né scavare fino in fondo al nostro spirito. Abbiamo perfino paura di giudicarci per quello che siamo. Ci facciamo, a volte, orrore a noi stessi per tutte le nostre incertezze e svogliatezze e vigliaccherie. E più ci vediamo dal punto di vista di Dio, più ci rendiamo conto della nostra condizione di peccatori. Quando poi guardiamo al Cristo crocifisso veniamo colpiti amaramente nel toccare con mano la nostra poca o nessuna corrispondenza al suo amore per noi. Egli stesso si è fatto carico dei nostri peccati e della nostra morte. Allora ci domandiamo come possiamo qui in terra anticipare il giudizio particolare per uscirne indenni nel giorno della nostra morte? Coscienti del nostro stato invochiamo con umiltà ogni giorno la misericordia di Dio: Signore, pietà! Cristo, pietà! Signore, pietà! Gesù mio, misericordia! Se noi ci accusiamo, Gesù sarà il nostro avvocato. Se noi ci scusiamo e ci difendiamo, Gesù sarà il nostro giudice. Un altro mezzo per arrivare tranquilli alla morte e al giudizio è la frequenza al Sacramento della Penitenza. Confesso le mie colpe e so che Dio mi perdona, mi accoglie e mi rinnova.

È nella umiliazione della Croce che Dio ha mostrato al mondo la potenza della sua misericordia.

La pietà e la sapienza cristiana ci insegnano da sempre che per affrontare un giudizio favorevole, bisogna arrivarci facendo una buona morte. E prima di tutto, come scrive San Paolo, ci dobbiamo presentare con le buone opere di misericordia, infatti queste meritano una buona ricompensa. Non dimentichiamo San Giuseppe, patrono della Buona Morte. Non dimentichiamo ogni giorno un’Ave Maria, per una buona morte. Ricordiamoci sempre del nostro Angelo custode, che ha l’incarico di illuminare la strada da percorrere, di custodirci e di governarci bene. Abbiamo anche i nostri santi protettori e le sante anime del Purgatorio, così potenti con coloro che pregano e offrono sante messe per la loro liberazione. Un profondo desiderio d’amore vogliamo presentare al nostro caro Gesù: Per il tuo sangue prezioso ti chiediamo che ognuno di noi possa pronunciare negli ultimi istanti della nostra vita, ovunque e comunque avvenga, la preghiera del cuore: Gesù, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore. Preghiera Eccoci, Gesù, davanti a te. Tu portavi i nostri brutti peccati e noi ti abbiamo gettato a terra. O volto tutto insanguinato! Abbi pietà di noi. I nostri occhi sono fissi in te, Gesù, e s’innamorano delle tue piaghe così care al cuore del Padre tuo. Sono i nostri peccati che ti hanno inchiodato sulla croce! Tu, o nostro Giudice, caro Gesù! Il tuo Corpo è la nostra difesa e il tuo Sangue è la nostra salvezza! Ti adoriamo, Figlio della Vergine Maria: perdono, pietà. Don Timoteo Munari 17


L’ADMA nel mondo

INSERTO

Da mihi animas cetera tolle (L’ADMA al XXVI Capitolo Generale dei Salesiani) NECESSITÀ DI CONVOCARE Testimonianza come prima proposta vocazionale Siamo convinti che Dio continua a chiamare molti giovani a servizio del Regno e che vari sono i fattori che possono favorire la loro risposta. Molte comunità pregano per le vocazioni, invitando anche giovani, laici e famiglie, con diverse modalità di preghiera e celebrazione. Per testimoniare con coraggio e con gioia la bellezza di una vita dedita a Dio nella missione giovanile ogni membro della Famiglia Salesiana: – mantenga viva la coscienza del dono della propria vocazione, assumendo un atteggiamento di riconoscenza nei confronti di Dio; – si impegni nella testimonianza di una vita gioiosa e condivida la propria storia vocazionale, quando se ne presenti l’opportunità; – preghi quotidianamente per le vocazioni; – nella stagione dell’anzianità e nel tempo della malattia trasformi la pazienza richiesta dai disagi e dalle sofferenze in fiduciosa offerta per le vocazioni; ogni gruppo della Famiglia Salesiana – proponga occasioni di preghiera per le vocazioni, coinvolgendo anche i giovani. Vocazioni all’impegno apostolico Sentiamo oggi più forte che mai la sfida di creare una cultura vocazionale in ogni ambiente, in modo che i giovani scoprano la vita come chiamata e che tutta la pastorale salesiana diventi realmente vocazionale. Ciò richiede di aiutare i giovani a 18

(6a parte)

superare la mentalità individualista e la cultura dell’autorealizzazione, che li spinge a progettare il futuro senza mettersi in ascolto di Dio; ciò domanda pure di coinvolgere e formare famiglie e laici. Un impegno particolare deve essere messo nel suscitare tra i giovani la passione apostolica. Come Don Bosco siamo chiamati ad incoraggiarli ad essere apostoli dei loro compagni, ad assumere varie forme di servizio ecclesiale e sociale, a impegnarsi in progetti missionari. Per favorire un’opzione vocazionale di impegno apostolico, a tali giovani si dovrà proporre una vita spirituale più intensa e un accompagnamento personale sistematico. È questo il terreno in cui fioriranno famiglie capaci di autentica testimonianza, laici impegnati ad ogni livello nella Chiesa e nella società ed anche vocazioni per la vita consacrata e per il ministero. La crisi della famiglia, la diffusa mentalità relativista e consumista, l’influsso negativo dei media sulla coscienza e sui comportamenti costituiscono un forte ostacolo alla cultura vocazionale. Per suscitare nei giovani l’impegno apostolico per il Regno di Dio con la passione del da mihi animas cetera tolle e favorire la loro formazione ogni membro della Famiglia Salesiana: – sia convinto che ogni giovane ha una missione da Dio e lo accompagni a scoprirla; ogni gruppo della Famiglia Salesiana – elabori una proposta di animazione vocazionale adeguata al contesto, coinvolgendo gli altri gruppi della Famiglia salesiana, tenendo presente le scelte della Chiesa locale; – curi la pastorale familiare mediante esperienze di incontro, riflessione, preghiera, perché i genitori siano aperti alla vocazione dei figli; – valorizzi le risorse apostoliche e vocazionali dell’associazionismo, del volontariato e dell’animazione missionaria;


– colga le opportunità offerte dall’anno liturgico per l’animazione vocazionale; – favorisca l’aggiornamento sul discernimento vocazionale e sull’accompagnamento; – investa adeguate risorse di personale ed economiche per le iniziative di animazione vocazionale.

L’A D M A nel mondo ADMA Primaria - Torino. Domenica 5 ottobre 2008, XVII GIORNATA MARIANA. Una splendida giornata di ottobre ha fatto da cornice all’annuale Giornata Mariana dell’ADMA con la partecipazione di oltre 200 persone, provenienti dal Piemonte, oltre ad una significativa rappresentanza da Nave (BS). Dopo i saluti iniziali, Don Leonardo Tullini ha presentato il volumetto “Don Bosco in trincea” che racconta la storia dei salesiani soldato durante la prima guerra mondiale, attraverso la corrispondenza epistolare con il Rettor Maggiore, Don Paolo Albera. È stato sottolineato lo spirito di sacrificio e di dono di sé che animava questi giovani salesiani, sostenuti da un grande senso di responsabilità e da una forte e filiale devozione a Maria Ausiliatrice. Don Leonardo ha invitato tutti i presenti a cogliere lo spirito di questa pubblicazione, invitando a farla diventare una specie di vademecum sia per il proprio cammino spirituale ed apostolico che per quello dell’Associazione. È seguito l’intervento di Don Pier Luigi Cameroni, Animatore spirituale dell’ADMA, che ha ripercorso il cammino associativo dell’ultimo anno: l’attuazione delle indicazioni date dal Rettor Maggiore Don Pascual Chavez al V Congresso Internazionale di Maria Ausiliatrice; la presentazione L’ADMA primaria radunata in occasione della XVII Giornata Mariana.

Il nuovo gruppo ADMA di Nave.

dell’ADMA ai Capitoli Generali degli SDB e FMA, il coinvolgimento delle coppie e famiglie giovani nel cammino associativo. Nel pomeriggio, nella Basilica di Maria Ausiliatrice, nel corso dell’Eucaristia presieduta dal nuovo superiore della Circoscrizione Piemonte Valle d’Aosta Don Stefano Martoglio, 19 aspiranti hanno fatto la loro promessa come soci ADMA. Di questi 13 del gruppo di Nave (BS) recentemente eretto, mentre 6 venivano dai gruppi del Piemonte. Grande segno di speranza e di rinnovamento la presenza alla Giornata di diverse coppie e famiglie giovani e il fatto che 4 coppie giovani hanno fatto la loro promessa. QUITO (Ecuador). Il 24 maggio 2008 ci sono state le nuove promesse di alcuni candidati. Accompagnati dall’animatore spirituale e dalla Presidente nazionale la Sig.ra Blanca de Narvaez e dalla Vice coordinatrice Sig.ra Blanca Herrera (Don Bosco de la Kennedy). Don Pier Luigi Cameroni Il gruppo ADMA di Quito con le nuove Promesse.

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Dall’ateismo alla Santi di ieri e di oggi

S

uo padre, Raffaele Carboni, medico, era ateo. Sua madre, Rosa Majeski, casalinga, di origine polacca, era stata educata nella fede. Quando si erano sposati, lui aveva convinto lei ad abbandonare la fede e ogni pratica cristiana. Agiata posizione economica nella loro dimora signorile a Montefalcone Appennino (Ascoli Piceno). In questo nido tenebroso, il 21 febbraio 1908, più di cento anni fa, nacque Paola Carboni, quarta di otto figli, due dei quali morti in tenera età. A loro, il dottor Carboni inculcava le sue idee materialiste e l’avversità ai preti e alla Chiesa. Neppur si parlasse di battezzare i figli, che egli intendeva crescere nell’ateismo.

Il corridore Ma Paola fu battezzata all’insaputa dei suoi genitori, il 22 giugno 1908, per opera delle zie Adelaide a Giuseppina Majeski, che approfittarono dell’assenza dei coniugi Carboni, per portare la piccola al fonte battesimale. Con la stessa astuzia, era stata battezzata, un mese prima, la sorella Giuseppina. Quando il padre lo seppe, non permise più alle due zie di sedersi alla sua tavola. I due morti in tenera età se ne erano andati senza Battesimo. La primogenita, Pia, era stata battezzata per l’energica volontà della nonna materna, religiosissima. Gli altri saranno battezzati da “grandi”. Nel luglio 1910, il medico senza-Dio si trasferì con la fa20

miglia a Grottazzolina, dove aveva ottenuto “la condotta”, prendendo alloggio nell’antico castello. Lì crebbe, con la sua “tribù”, Paola, la quale, riferendosi a questo periodo della sua fanciullezza, scriverà di sé: “Ero dispettosa con le sorelle, stavo sempre fuori casa con le compagne, ero un diavolo. A casa, mi chiamavano «il corridore», perché correvo sempre, e quando si trattava di andare in qualche posto, chiamavano sempre me”. Frequentò con ottimo profitto le elementari, amata da compagne e maestre per le sue belle doti. Aiutava le compagne nei compiti e con poco studio era la prima della classe. Assai pratica nell’apprendere le faccende domestiche e insieme il ricamo e a suonare il violino, attenta a prevenire le necessità degli altri, fine e gentile nel rallegrare i genitori, era apprezzata dai familiari ed era diventata la prediletta di suo padre. La rocca di Montefalcone Piceno, il paese natio di Paola Carboni.

Scoppiò in un pianto dirotto Al termine delle elementari, nell’ottobre 1919, Paola fu mandata a Fermo (AP), per frequentare la scuola tecnica e “normale”, insieme alla sorella, Giuseppina. Il loro padre, per collocare le figlie a pensione cercò a Fermo una dimora che fosse senza-Dio e gli parve di trovarla nella famiglia Maricotti. Ma questa era una famiglia profondamente cristiana, anzi la signora Maricotti era consigliera diocesana della Giovantù Femminile di Azione Cattolica. Costei, accortasi che le due ragazzine non avevano ricevuto alcuna formazione religiosa, fece loro la proposta di educarle nella Fede Cattolica, proposta che fu accettata con slancio. Paola, dodicenne, si aprì in modo meraviglioso e sorprendente alla Verità della Fede e alla vita della Grazia Santificante. Il catechismo (quello di S. Pio X,


a santità chiaro e preciso) diventò il suo libro più prezioso che leggeva anche di notte. Era affascinata da Gesù, come chi incontra il suo primo Amore, che sarà anche l’ultimo e il solo Amore! Dopo aver imparato a vivere la Fede e a pregare ogni giorno ed essersi confessata più volte, il 22 aprile 1922, riceve la Prima Comunione e la Cresima da Mons. Carlo Caselli, Vescovo diocesano, nella sua cappella privata. Accolto Gesù nella Comunione, Paola scoppiò in un pianto dirotto e non sentì più nulla di quanto le accadeva intorno. Iniziò subito una profonda trasformazione di luce in luce, alimentata dalla preghiera quotidiana, dalla Confessione frequente e regolare e dalla Comunione tutti i giorni. Guardando a questo tempo, annoterà di sé: “Compresi profondamente tutto ciò che di più prezioso era racchiuso nella Verità del Vangelo, conobbi tutti i tesori, tutte le ricchezze del Cattolicesimo, appresi tutti i doveri che spettavano a un cristiano vero verso il Signore e verso il prossimo. Cominciai una vita di amore, una vita veramente nuova. La carità, l’umiltà, la semplicità, la purezza di Gesù mi innamorarono e desiderai di farle mie. Tutto un nuovo mondo di luce e di bellezza mi si aprì dinanzi come se fossi nata di nuovo”. Sì, davvero, “era rinata dall’acqua e dallo Spirito Santo” (Gv 3,5) e dal Pane della vita (Gv 6,35) alla Grazia santificante.

PAOLA CARBONI 1908 - 1927

La consolazione più grande Nel 1923, il dottor Carboni, accortosi del cambiamento della figlia, la ritirò dalla famiglia Maricotti; acquistò una casa a Fermo per trasferirvisi con i figli. Paola, messa sotto stretta sorveglianza, ricorse a mille accorgimenti per vivere sino in fondo la sua Fede. Eludendo il controllo, usciva di casa in anticipo sull’orario della scuola, per passare in chiesa a ricevere la Comunione. Scoperta e costretta a uscire all’orario giusto, rimaneva digiuna dalla mezzanotte, com’era allora richiesto, fino oltre mezzogiorno, per ricevere Gesù Eucaristico, a tutti i costi. Dal continuo colloquio con Lui, le veniva un’energia superiore alla sua età per vivere i suoi impegni di studentessa e per testimoniare la sua fede davanti a chiunque. Nel 1925, conseguì il diploma di maestra elementare e cominciò subito a insegnare: italiano e storia presso l’Istituto professionale femminile Santa

Chiara a Fermo, con diligenza e spirito cristiano. Da Gesù si sentiva chiamata a portare il Vangelo dovunque, ai suoi familiari e alle sue allieve. Sapeva ricamare e dipingere e suonare assai bene il violino, attendeva ai lavori di casa e seguiva i fratelli più piccoli negli studi, aiutava le compagne che si rivolgevano a lei in cerca di luce. Già dal 1921, presso la signora Maricotti, aveva cominciato a frequentare le adunanze di Azione Cattolica; dopo la I Comunione era diventata socia dell’Azione Cattolica e nel 1926, sarà eletta segretaria diocesana. Ormai doveva portare Gesù in ogni ambiente, con la preghiera, l’azione e il sacrificio. La sua prima terra di missione, doveva essere la sua famiglia. Un giorno, a Grottazzolina, Paola ruppe “la clandestinità” della sua pratica cristiana: a viso aperto, affrontò il padre ateo e gli dichiarò senza paura alcuna che intendeva seguire e testimoniare Cristo con tutta la sua vita e che nessuno glielo poteva impedire. Anzi, ella era decisa a sfondare e demolire tutta l’opposizione che era fatta alla sua Fede. Il padre, piuttosto turbato dal suo coraggio, non poté più impedirle nulla. Le fu domandato se per caso intendesse farsi suora missionaria. Paola rispose: “Lo sono già da tempo, il desiderio di portare anime al Signore l’ho sempre vivo in me, la sete di vederlo amato mi arde dentro”. Spiegò ancora: “Com’è consolante condurre le anime a Gesù! Darei per la loro salvezza più della vita, se l’avessi”. Sui suoi familiari, in primo luogo sui suoi genitori, riversò tutto lo zelo della sua anima incandescente di amore a Gesù. Per loro pregava, presentava a Dio le sue sofferenze; per la loro salvezza si offrì anche vittima 21


tà... Ormai è vicina alla gliaia: “Estraniata da questa termeta: Gesù l’ha presa in ra, nella tua Fede ardentissima, parola. Già sofferente da tutta ti offristi in olocausto per anni al fegato, mentre si noi, o Paola, e moristi, sorridentrova a Grottazzolina, il 18 te, come sorridente eri vissuta agosto 1927, si ammala di pur tra i dolori del tuo male”. tifo, con febbri altissime. Lo strazio squarcia le tenebre Al padre che le diagnostidel suo spirito. La madre si rica “i soliti disturbi di feconcilia con Dio, due anni dopo gato”, ella risponde: “No, la morte di Paola, nella Pasqua del questa volta è per morire”. 1929. Il padre, per quasi 30 anni Il suo confessore ascolancora sarà alla ricerca di Dio. ta la sua ultima confessioNella sua malattia, vuole il conne e le dà Gesù-Ostia come fessore, riceve tutti i Sacramenti Viatico per la vita eterna, e e muore il 20 settembre 1956. l’Unzione degli infermi. Tra Il 2 aprile 1993, il Santo PaMontefalcone Piceno dove la famiglia Carboatroci sofferenze offerte a dre Giovanni Paolo II dichiara ni avevano la sua dimora signorile. Dio con fortezza, va in“venerabile” Paola Carboni. Sulcontro allo Sposo che viela “Positio super virtutibus” per al Signore: “Gesù, prendi me, ne a prenderla con Sé, l’11 setla sua causa di beatificazione, sta ma salva loro”. I fratelli non antembre 1927. Ha solo 19 anni. scritto: “Lo zelo e l’immolaziocora battezzati, cominciò a preDopo la sua morte, il padre ne di Paola Carboni, accende la pararli al Battesimo. Saranno tutstesso adagiò nella bara la figlia speranza e sprona all’azione quelti battezzati. prediletta dicendo: “Adesso di le anime generose che sul suo questa ne faranno una santa”. Fu esempio, amano portare la luce subito un susseguirsi di visite aldella Fede e il calore dell’amoLo sposo viene la sua salma e i funerali furono re in tante famiglie dissacrate dal un trionfo. Il padre, ateo, ma materialismo che permea la soEstese il suo apostolato alle scosso dentro, rimase fuori dalcietà moderna”. In brevi anni, anime che incontrava, in partila chiesa e, mentre attendeva, disera passata dall’ateismo in cui colare le compagne di scuola e le se a un suo cugino: “Questa fiera nata, alla santità. amiche. Il 6 luglio 1925, scrive glia presto diventerà proprietà Paolo Risso al suo Padre spirituale: “Il mio della Chiesa”. Egli stesso scrisPiazza Umberto I, 30 14055 Costigliole d’Asti piccolo cuore è assetato di amose sul ricordino diffuso a mire per Gesù e vorrei morire più volte per Lui, per soffrire e porCOMUNITÀ DI TAIZÉ tare a Lui tutte le anime”. Con questo zelo parla di Dio, mette in guardia dai pericoli del mondo e Partiture per la chitarra dal peccato, invita a pregare e a ricevere spesso e bene i SacraEditrice Elledici, pagg. 192 - € 32,00 menti, a essere virtuosi per eviQuesto libro contiene gli accompatare l’inferno e guadagnarsi il gnamenti per chitarra di 87 canti Paradiso. Scrive lettere piene di della Comunità di Taizé ed è rivolsaggezza cristiana, corregge le to sia a principianti che a chitarristi storture, associa le amiche al suo esperti. Per ogni canto vengono amore sconfinato per Gesù. Cosuggeriti un accompagnamento me Santa Teresa di Gesù Bamsemplice e variazioni più avanzate. bino, scelta come modello, alInoltre viene riportata l’indicazione larga il suo zelo alle missioni, specialmente alle anime di tanti degli accordi, la notazione classica bambini, “sperduti nel buio”, ofe l’intavolatura con la corretta posifrendo al Signore i suoi sacrifici zione delle dita. Un’introduzione esplicativa suggerisce numerose idee per la loro salvezza. per accompagnare i canti di Taizé e fornisce suggerimenti per suonaIl 21 maggio 1927, Paola si lere questi accompagnamenti anche con la tastiera. ga a Gesù con il voto di vergini-

CANTI DI TAIZÉ

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teressa di vivere”. Questi ignavi qui Dante non li conosceva. (Roberto Benigni intervistato da Davide Rondoni, 9 settembre).

esempi esempi e pensieri A cura di Mario Scudu

Da Avvenire, 2008

Pio XII guarito da Padre Pio

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el 1848 il marchese Roberto d’Azeglio, amico personale di Carlo Alberto, senatore del Regno di Sardegna ed uno degli uomini più in vista della Torino che contava, onorò l’Oratorio di Don Bosco di una sua visita a Valdocco. Don Bosco lo accompagnò a visitare tutta la casa, vide i ragazzi che giocavano allegramente e li osservò anche mentre pregavano in chiesa. Il marchese espresse la sua viva compiacenza per quello che aveva visto, ma con una riserva. Definì tempo perduto quello occupato a recitare il Rosario. “Lasci, gli disse, di far recitare ai ragazzi quell’anticaglia di 50 Ave Maria infilzate una dopo l’altra”. Don Bosco lo guardò e gli rispose: “Ebbene, io ci tengo molto a tale pratica; e su questa potrei dire che è fondata la mia istituzione; sarei disposto a lasciare tante altre cose pure importanti, ma non questa”. E poi con il suo abituale coraggio, soggiunse: “Anche se fosse necessario, sarei disposto a rinunciare alla sua preziosa amicizia, ma mai alla recita del Santo Rosario”. Dante e noi

I

poeti a che servono? A far risentire a tutti che la vita è un evento irriducibile... Un’epifania. Come nell’innamoramento. Dante fa sentire che ognuno di noi, anche se i suoi giorni e notti non appaiono eccezionali a nessuno, è protago-

nista di un dramma epico insostituibile, unico. Ti fa sentire che ognuno di noi è qui per complicare e completare l’affresco. E c’è anche l’impressione che c’è Qualcuno che ti guarda continuamente, sempre, perché ti vuole bene. Che tutto lavora per qualcosa. Addirittura ti fa sentire che nessuno è così strano da non poter essere capito. Siamo tutti meno estranei e meno nemici, dopo. Il mondo è meno estraneo. Oggi invece si tende a semplificare, a banalizzare questa fame di grandezza, a buttar via nella vita ciò che è grande, magari con la scusa che è difficile... Ma è così bella la difficoltà, beata... È una benedizione del cielo che tu non sappia come fare, perché diventi uomo, scopri il mondo, la vita, scopri che sei vivo. Se prendi una pasticca per eliminare questo, è desertificare l’emozione, non sei più vivo. Peggio degli ignavi, è un girone nuovo: quelli che non hanno voluto vivere. Non solo non hanno vissuto, ma dicono: “Non mi inRoberto Benigni durante il tour “Tutto Dante”.

È

noto che Padre Pio da Pietrelcina desiderava letteralmente prendere su di sé le sofferenze di quanti gli si rivolgevano con fiducia per chiedergli aiuto. In qualche modo, voleva “pagare” lui al posto degli altri.

Padre Pio. Vittorio Fiorelli di S. Lorenzo in Campo (PS).

Don Bosco e il Rosario

Un esempio: nell’inverno 195354, Papa Pio XII si ammalò gravemente. La sorella contattò Padre Pio comunicandogli la sua profonda ansia per la salute del fratello e chiedendo fervide preghiere per il Pontefice e per la Chiesa. Padre Pio assicurò la sua preghiera, promettendo di offrire se stesso come vittima al Signore per ottenere la guarigione del Vicario di Cristo. Nella Positio del processo di beatificazione e canonizzazione del famoso frate si legge che il Papa guarì improvvisamente e, venuto a conoscenza dell’eroica offerta di Padre Pio, nonché delle suppliche elevate al cielo insieme con i suoi figli spirituali, gli fece giungere una lettera di ringraziamento, convinto di aver ricevuto una grazia proprio in seguito alla sua intercessione. Da Il Timone, n. 1, 2008

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2 FEBBRAIO - SANTUARIO MADONNA DI ROSA - SAN VITO AL TAGLIAMEN TO

Calendario mariano

La storia comin c

L

a storia del Santuario «Madonna di Rosa e Gesù Misericordioso» e dell’Immagine della Madonna, ci porta nel lontano 1600, e precisamente nel 1655, ed è legata alle vicende del fiume Tagliamento. Il fiume, che scende dalle Alpi Carniche, nei millenni ha accumulato soprattutto nel suo medio corso un enorme manto di ghiaia, sotto cui scorre sotterraneo per lunghi tratti, riemergendo qua e là con vene più o meno turgide e regolari, come trecce che si fanno e si disfano continuamente. Da sempre il grande fiume, nei periodi di forte piovosità nella catena alpina, ingrossa a valle le sue acque, diventando «rapace e feroce, mutevole e travolgente». Della sua irruenza, ne sapevano qualcosa i diversi villaggi sparsi ai bordi del suo alveo e ne sapeva qualcosa anche il nucleo abitativo di «Rosa» che, più volte aggredita dalle violenti piene del Tagliamento, nel giro di circa tre secoli dovette occupare ben quattro diverse posizioni, come testimoniano le quattro chiesette costruite negli anni dal 1648 al 1851: una sulla sponda sinistra del fiume e tre sulla sponda destra. Giacomo Giacomuzzi di Rosa, per sé e la sua numerosa famiglia, nel 1649 ricostruì una nuova abitazione, portandosi però dalla sua vecchia casa un riquadro di ciottoli di fiume, nella cui facciata in calce era stata affrescata una dolce Madonna con il Bambino in braccio. Nell’abbattere la vecchia casa, quel quadrato, con l’immagine della Vergine, pur cadendo, non si era

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L’effigie della Madonna di Rosa miracolosamente salvatasi da diversi disastri e tuttora conservata nel Santuario di San Vito al Tagliamento.

rotto. E pertanto egli pensò di ricollocarla nella sua nuova casa, proprio all’entrata, sotto il portico. Davanti a quell’immagine spesso la sua famiglia si raccoglieva in preghiera. Eppure sia lui che molti del paese avevano la brutta abitudine di imprecare, durante la giornata e nel lavoro dei campi, contro Dio, con frasi blasfeme, lamentandosi per la dura vita, per l’inclemenza del luogo, dopo la carestia e la peste. L’apparizione della Beata Vergine Il 2 febbraio 1655, festa della Presentazione di Gesù al tempio (detta «Candelora»), la bambina Maria Giacomuzzi (o Giaco-

muzzo), di 6 o 8 anni, sta pregando con la sorella e due zie davanti all’affresco della Beata Vergine Maria, situato sotto il portico della casa del nonno Giovanni (Zuane), a Villa di Rosa, allora sulla sinistra del Tagliamento. Improvvisamente solo a lei, ammalata di epilessia, appare una bella Signora vestita di bianco, che le sorride e la invita ad accostarsi. Parlandole in modo familiare le chiede di rivolgere un severo monito a tutta la comunità, in particolare al padre Giacomo, affinché si astenga dalla bestemmia, se vorrà evitare future catastrofi. Se così sarà fatto anche lei verrà guarita dal male che la sta molestando. La Signora chiede anche di essere trasferita in «luogo più decente», posto nelle vicinanze di una strada frequentata. Giacomo Giacomuzzi resta particolarmente colpito dal racconto della figlia, forse perché chiamato direttamente in causa. Riferisce subito l’accaduto al curato di Villa di Rosa, che non crede al suo racconto. Si reca quindi dal pievano della vicina Pieve di Rosa ed anche in questo caso viene liquidato come un sognatore. Nella chiesa di San Vito al Tagliamento viene finalmente ascoltato con attenzione da un frate, Padre Vitale Vitali, giunto a San Vito al Tagliamento per le confessioni in previsione della Pasqua. Il frate, avendo creduto al racconto, ottiene l’assenso del pievano e del capitano di San Vito per verificare la possibilità di tra-


il culto e la devozione all’immagine della Madonna di Rosa, alla quale vengono attribuiti ripetuti eventi miracolosi. Nel corso dei secoli la Chiesa è più volte ampliata ed sportare l’affresco in questa citabbellita. Nel 1800, tadina. su progetto dell’arLa famiglia Giacomuzzi dechitetto sanvitese cide di acconsentire alla richieLodovico Rota, la sta di trasferire l’immagine michiesa subisce proracolosa a San Vito, sulla sponfondi miglioramenda opposta del Tagliamento, metti e diventa il Santendo anche a disposizione i protuario della Mapri buoi per il trasporto, che viedonna di Rosa. ne eseguito il mercoledì dopo PaIl 22 marzo 1945 squa dello stesso anno (31 marun ultimo e terribizo 1655). Questo avvenimento le bombardamenverrà successivamente commeto distrugge commorato la prima domenica dopo pletamente il SanPasqua. tuario e risparmia L’immagine viene riposta alil campanile, sul l’interno della Chiesa di San Niquale restano pecolò, posta fuori le mura di San raltro evidenti, an- Interno del Santuario della Madonna di Rosa è uno Vito al Tagliamento, in prossicora oggi, i segni dei centri per la diffusione del culto di Gesù Miserimità del campanile dell’attuale cordioso. delle schegge. Santuario. Fra i cumuli di Padre Vitali redige quindi un l’opera dei frati francescani ed macerie viene rinvenuta, miraresoconto dettagliato di tutti quealla generosità di molti fedeli, colosamente intatta, l’immagine sti fatti e lo invia ai propri supeviene costruito un nuovo Sandella Madonna di Rosa. riori. tuario, sul lato opposto della straNel dopoguerra, grazie alSi diffonde immediatamente da statale (463), lungo la quale sorgeva il precedente. Il Santuario della Madonna di Rosa. All’interno, ha una navata centrale lunga Ancora oggi il Santuario del60 metri, alta 17 e larga 14 metri. Il Santuario venne riaperto al culto il 28 agola Madonna di Rosa è meta di sto 1960. molti pellegrini e punto di riferimento per i fedeli della destra e della sinistra del Tagliamento. Ulteriori notizie sull’apparizione della Madonna a Rosa e sulla storia del Santuario di Madonna di Rosa sono riportate nel libro «La Rosa erosa. Studi su una comunità fra le acque». Nel 2005, in occasione del 350º anniversario dell’apparizione, è stata realizzata una mostra fotografica, nella quale viene ricordata la storia dell’apparizione e gli eventi legati al Santuario. Don Mario Morra

EN TO (PN)

n cia qui

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Centro di Documentazione

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naugurata il 12 dicembre da Don Stefano Martoglio, Ispettore dei Salesiani del Piemonte e Valle d’Aosta, la Mostra di Presepi 2008, allestita nella Cripta della Basilica di Maria Ausiliatrice, ha raggiunto la decima edizione. Gli espositori sono 40, dei quali diversi sono veri costruttori ed artisti, che con la propria abilità ed ingegno hanno saputo realizzare opere stupende dalle dimensioni grandi e piccole, ed altri appassionati collezionisti di Presepi provenienti da tutto il mondo: tutti animati da grande amore per il Natale e per Gesù Bambino. Le opere esposte sono 110. Apre la rassegna il Presepe, ambientato nella realtà salesiana di Valdocco, che prende spunto dal sogno nel quale la Madonna indica a Don Bosco il luogo per la

10ªMostra di Presepi e la D attraverso gli Stendardi costruzione della Basilica di Maria Ausiliatrice e delle altre opere dell’Oratorio. I Presepi di movimento presentano le tante attività della vita quotidiana attorno alla Capanna della Natività, i tanti mestieri ormai scomparsi che attirano l’attenzione e l’interesse di piccoli e grandi. Presepi spettacolari riproducono con arte l’ambiente palestinese dal caratteristico colore ocra e le suggestive scene pastorali. Altri presentano ambientazioni agricole o paesaggi montani; non mancano Presepi caratteristici in stile napoletano. Tutte le arti si sono attivate in creazioni originali. I maestri del legno hanno realizzato la Natività con sculture e personaggi ricchi di fantasia. Anche i panificatori ed i pasticceri hanno presentato Presepi realizzati con panettoni,

Alcuni dei tanti stendardi provenienti rispettivamente da Cina, Irlanda e Svizzera.

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pizza bianca e cioccolato. L’abilità delle mamme e delle nonne, con tanta pazienza, ha creato cose meravigliose con lana lavorata all’uncinetto, con stoffe preziose e semplice juta. La fantasia e la capacità espressiva giungono a creare scene di vita anche con gusci di uova, palline da ping pong e cartoncino. Quanto a dimensioni alcuni Presepi occupano grandi spazi, altri sono piuttosto ridotti, altri ancora sono mini ed anche mini mini, come quelli in vetro di Murano.

Al centro della sala una serie di Stendardi antichi, ci parlano artisticamente della devozione popolare verso la Madonna. Provengono da paesi diversi: Cina, Irlanda, Italia, Spagna, Svizzera. Don Mario Morra


a Devozione mariana

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notizie notizie e avvenimenti A cura di Mario Scudu

Crescita dei Cristiani Quanti erano i cristiani nei primi secoli di vita della Chiesa? Il sociologo Rodney Stark, nel suo Ascesa e affermazione del cristianesimo (Lindau, 2007), utilizzando dati forniti da diversi storici della Chiesa, ci offre il quadro seguente: mille cristiani presenti nell’anno 40, 1.400 dieci anni dopo, 7.530 nell’anno 100, 40.496 dopo un altro mezzo secolo, 217.795 nell’anno 200, 1.171.356 nel 250, 6.299.832 nell’anno 300 e infine, nel periodo in cui avvenne la conversione dell’imperatore Costantino e la religione cattolica poté essere professata pubblicamente, fra il 300 e il 350, i cristiani sarebbero diventati 33.882.008. Questa crescita è stata calcolata secondo un tasso di incremento costante del 40%, che diminuirà dopo il 350, quando i cristiani continueranno a crescere di numero fino a diventare la maggioranza della popolazione, ma in una percentuale ovviamente sempre più bassa. Nel clima della nuova evangelizzazione in cui ci chiama a vivere il Pontefice in questo inizio di terzo millennio, forse può essere confortante ricordare, con Stark, “che l’ascesa del cristianesimo e la percentuale di persone convertite alla nuova 28

I GRANDI VIAGGI MISSIONARI DI SAN PAOLO Primo viaggio (anni 45-48) Secondo viaggio (50-52) Terzo viaggio (53-58) Viaggio verso Roma

fede non siano state un miracolo”. Non un miracolo, anche se miracoli ce ne furono, ma un’opera divina passata attraverso il sacrificio e la costanza dei primi cristiani. Da Il Timone, 2008

La nuova voglia islamica di dialogare con ebrei e cristiani L’adesione dell’Associazione “Intellettuali musulmani italiani” all’iniziativa La Bibbia giorno e notte, che è andata in onda su Raiuno e Rai-Educational dal 5 all’11 ottobre, è una novità assoluta dal punto di vista islamico. Ovviamente l’iniziativa è cattolica ed è stata inaugurata da Benedetto XVI, che ha letto il primo capitolo della Genesi, ma nello stesso tempo il progetto ha una dimensione ecumenica e interreligiosa, con l’adesione della Comunità ebraica, delle Chiese


evangeliche e dell’arcidiocesi ortodossa d’Italia. Questa “maratona sacra”, che ha coinvolto 1.200 lettori, fa ricordare una tradizione islamica ancora praticata, si chiama khatm al-qurân, la lettura ciclica del Corano, vale a dire leggere tutto il Corano periodicamente, di solito in un mese. La lettura stessa del testo sacro, infatti, è considerata un atto di adorazione. Il Corano menziona i libri sacri rivelati prima di esso, particolarmente la Torah, i Salmi, il Vangelo, indicando il loro valore spirituale, chiamandoli “guida e luce”. Il Corano (5: 44, 46), chiedendo agli ebrei e ai cristiani d’essere fedeli alle loro rivelazioni, afferma: “Dì: O genti della Scrittura, siete sul nulla finché non mettete in pratica la Torah e il Vangelo e ciò che è sceso su di voi da parte del vostro Signore” (5: 68). Questa apertura verso il patrimonio abramitico e le sue Scritture è stata purtroppo trascurata lungo i secoli, lasciando lo spazio a un tono più aspro e polemico, facendo prevalere la teoria dell’alterazione. È il solito discorso identitario che sottolinea, e talvolta gonfia, le differenze e neglige, se non nega, la base comune. Ricuperare il dialogo nella sua dimensione biblica significherebbe riconsiderare la nostra parentela spirituale, partendo dalla semplice lettura comune per andare poi verso orizzonti più ampi: l’ermeneutica, l’esegesi e la condivisione delle nostre esperienze in questo campo difficile ma necessario, evitando così le letture parziali e pericolose che servono solo a giustificare le violenze e gli integralismi. Di questo sono coscienti i dirigenti dell’Associazione islamica: “Siamo lieti di partecipare a un momento di grande importanza religiosa e civile, assieme ai nostri fratelli cristiani ed ebrei”, ha dichiarato il

professor Ahmad Giampiero Vincenzo, presidente dell’associazione e già coordinatore del Dipartimento interreligioso del Gruppo Misto al Senato. Ed ha aggiunto: “È un’iniziativa che torna a fare di Roma il punto di riferimento per l’intera famiglia religiosa di Abramo”. “Credere nei profeti della Bibbia è un articolo di fede anche per i musulmani”, conclude il professore della Johns Hopkins University, Karim Mezran, vicepresidente dell’associazione. In questa voglia islamica di partecipare, insomma, sta un significato simbolico di presenza attiva e di testimonianza positiva, un atto di appartenenza alla famiglia di Abramo e al patrimonio giudeo-cristianoislamico. (Di ADNANE MOKRANI giornalista, teologo musulmano e docente all’Università Gregoriana).

Da Jesus, settembre 2008

Più di un milione

Sono tante le assistenti familiari, badanti o colf che dir si voglia, secondo dati forniti sia dall’ADOC (Associazione italiana consumatori) che dalla UIL. Stando a quanto rilevato dal sindacato, il 95% di queste sono straniere e circa il 60% lavora in nero. Hanno un’età media vicina ai 45 anni, molte sono diplomate o laureate, in maggior parte sposate e con figli, e alla propria famiglia mandano ogni mese almeno un terzo dei propri guadagni. Provengono principalmente dai Paesi dell’Est europeo (Ucraina, Polonia, Romania, Moldavia e Russia), ma anche da Filippine e Sud America.

Da Città Nuova, n. 12, 2008

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Beato Faà di Bruno A cura del Gruppo di Filatelia Religiosa “Don Pietro Ceresa”

Filatelia religiosa

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icorrono i 121 anni dalla morte del Beato Faà di Bruno e i 21 anni dalla sua beatificazione. Appartenente a nobile famiglia di Marchesi alessandrini, nacque ad Alessandria il 29 marzo del 1825, ultimo di 12 figli e ricevette una formazione di prim’ordine che lo portò alla carriera militare. Combattente nella prima guerra d’Indipendenza, fu capitano nella battaglia di Novara, dove fu decorato per competenza e coraggio. Studiò nel collegio dei Somaschi, poi all’Accademia Militare di Torino ed infine ottenne la laurea in scienze matematiche alla Sorbona di Parigi. Re Vittorio Emanuele II lo volle come precettore dei suoi figli. A 28 anni inizia un’intensa opera di carità sociale che lo vedrà impegnato in decine di opere a favore del mondo femminile emarginato. Fonda una casa di accoglienza per le “serve” cacciate dalle famiglie perché incinte; un ricovero per le donne colpite da malformazioni fisiche o mentali; una accoglienza per ragazze madri e pro-

stitute; varie attività (tipografia, lavatoio, scuole, biblioteche, ecc.), gestite da ragazze bisognose. Nel 1864, per ricordare i molti giovani che aveva visto morire in battaglia, costruisce la chiesa “Madonna del Suffragio”, nel quartiere di San Donato, il cui campanile di 80 metri, da lui progettato diventa il simbolo della Torino cattolica (attualmente è la costruzione più alta di Torino in muratura, in quanto l’ultima parte della Mole Antonelliana è stata ricostruita, dopo il crollo, in ferro). Nel 1881 fondò la Congregazione delle Suore Minime di Nostra Signora del Suffragio per dare continuità alla sua opera. Come scienziato fu professore straordinario all’Università di Torino, inventò il barometro differenziale a mercurio, l’ellipsigrafo, uno scrittoio per ciechi ecc. e fu autore di numerose pubblicazioni scientifiche a livello europeo. Don Bosco gli suggerì il cammino verso gli ordini sacri e nel 1876, a 51 anni diventa sacerdote a Roma. Morì a Torino il 27 marzo del 1888. Fu beatificato in San Pietro, nel 1988 dal Papa Giovanni Paolo II. Angelo Siro 30


Verso la Quaresima La pagina del Rettore

Carissime lettrici e lettori della nostra Rivista, el mese di febbraio inizia il cammino della Quaresima, tempo forte nell’anno liturgico. Questo è davvero un tempo prezioso: “Ecco ora il momento favorevole” (2 Cor 6,2), per una seria riflessio-

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ne sulla nostra vita, sui nostri pensieri, sulle nostre mete, sui nostri desideri, sulle nostre scelte, sul nostro cammino di discepoli del Signore. È un tempo privilegiato per accostare la Parola di Dio, parola che illumina, guida, conforta, consola, dà energia, corrobora la nostra fede, la nostra speranza e la nostra carità. Emblematica su questo punto la confessione dei discepoli di Emmaus dopo l’incontro con il Signore: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?» (Lc 24,32). Una Pa-

© Niki Sheppard

Come i discepoli di Emmaus anche noi siamo chiamati a riscoprire la Scrittura per far ardere il nostro cuore di amore a Cristo.

rola che fa ardere il cuore e lo invita ad un cammino più deciso, più significativo. Forse è per ciascuno di noi il momento opportuno per riprendere in mano questa libro e farlo diventare il libro preferito, che fa ardere il nostro cuore, così da essere ogni giorno alimento per la nostra vita. L’ultimo Sinodo dei Vescovi ha fatto risuonare in tutta la Chiesa l’esigenza di un ritorno serio e profondo alla Parola di Dio, come luogo dell’incontro con Lui. In Quaresima questa Parola ci invita in modo particolare alla conversione: “Convertiti e credi al Vangelo” ci verrà detto il giorno delle Ceneri. Tre sono gli ambiti della conversione: la conversione del cuore “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio” (Mt 5,8), la conversione della mente: “I miei pensieri non sono i vostri pensieri” (Is, 55,8), la conversione della vita: “Non chiunque mi dice Signore, Signore... ma colui che fa la volontà del Padre mio...” (Gv 7,21). Ci saranno utili, in questo tempo liturgico della Quaresima che si apre, i tre mezzi, le tre piste che la Chiesa ci offre come cammino di “penitenza”, di “conversione”, di “purificazione” (cf Mt 6,1-6.16.18, Vangelo del Mercoledì delle Ceneri): la preghiera: ci fa entrare nella logica di Dio; il digiuno: modera le rigidità e purifica il cuore dalle incrostazioni; la carità: trasforma tutta la vita in logica di amore. Buona Quaresima e... buona conversione! A tutti il nostro augurio e la nostra preghiera. Don Franco Lotto Rettore

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SOMMARIO

Per me vivere è Cristo e il morire un guadagno.

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Guarderanno a Colui che hanno trafitto - Gesù racconta il Padre MARIO GALIZZI

(Lettere ai Filippesi 1, 21)

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L’Apostolo Giovanni I Dodici - BENEDETTO XVI Educare alla salute, educare alla vita - Vita della Chiesa La battaglia di Lepanto In Basilica - ROBERTO SPATARO La spiritualità cristiana è... Spiritualità - MARIO SCUDU San Paolo e San Francesco Avvenimenti - FRANCO CAREGLIO I Novissimi/9 Celebrazione - TIMOTEO MUNARI

18 20 23 24 26 28 30 31

Da mihi animas - L’Adma nel mondo - DON PIER LUIGI CAMERONI Dall’ateismo alla santità - Santi di ieri e di oggi - PAOLO RISSO Esempi e pensieri MARIO SCUDU

Santuario della Madonna di Rosa Calendario mariano - MARIO MORRA X Mostra di Presepi - Centro di Documentaz. Mariana - MARIO MORRA Notizie e avvenimenti MARIO SCUDU

Beato Faà di Bruno Filatelia religiosa - ANGELO SIRO Verso la Quaresima - La pagina del

Rettore - FRANCO LOTTO Altre foto: Teofilo Molaro - Archivio Rivista - Archivio «Dimensioni Nuove» - Centro di Documentazione Mariana Redazione ADMA - Guerrino Pera - Andreas Lothar - Gabriele Viviani - Mario Notario - ICP - Editrice Elledici.

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