Rivista Maria Ausiliatrice n.3/2010

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ANNO XXXI - MENSILE - Nยบ 3 - MARZO 2010

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Rivista della Basilica di Torino-Valdocco

La Madre soffre con il Figlio


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Attività & iniziative hic domus mea

Per Haiti Salesiani del Piemonte e della Valle d’Aosta

inde gloria mea Direzione: Livio Demarie (Coordinamento) Mario Scudu (Archivio e Sito internet) Luca Desserafino (Diffusione e Amministrazione)

Direttore responsabile: Sergio Giordani Registrazione: Tribunale di Torino n. 2954 del 21-4-1980 Stampa: Scuola Grafica Salesiana Torino Corrispondenza: Rivista Maria Ausiliatrice Via Maria Ausiliatrice, 32 10152 Torino Centralino 011.52.24.822 Rivista 011.52.24.203 Fax 011.52.24.677 rivista@ausiliatrice.net www.donbosco-torino.it Abbonamento: Ccp n. 21059100 intestato a: Santuario Maria Ausiliatrice, Via Maria Ausiliatrice, 32 10152 Torino Collaboratori: Corrado Bettiga Lorenzo Bortolin Marco Panero Nicola Latorre Per Bonifici: Codice IBAN: IT15J076 0101 0000 0002 1059 100 PayPal: abbonamento.rivista @ausiliatrice.net Abbonamento annuo: .................. € 13,00 Amico .................... € 20,00 Sostenitore ............ € 50,00 Europa .................. € 15,00 Extraeuropei .......... € 18,00 Un numero ............ € 1,30 Spediz. in abbonam. postale Pubblicità inferiore al 45%

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Pochi secondi e tutto può cambiare, pochi secondi e puoi cambiare tutto. Le coordinate bancarie per le offerte pro-Haiti gestite dai Salesiani di Don Bosco del Piemonte e Valle d’Aosta sono le seguenti: IBAN IT41 C030 6901 0051 0000 0107 951 c/c aperto presso Intesa Sanpaolo S.p.A. Ag. 5 di Torino intestato a: SALESIANI DON BOSCO CIRCOSCRIZIONE SPECIALE PIEMONTE Via Maria Ausiliatrice 32 - 10152 Torino Causale: EMERGENZA HAITI

Per info: don Luca Barone 011.5224241 Delegato Ispettoriale Animazione Missionaria


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La pagina del Rettore

La carità segna tutta la nostra vita Carissimi amici, siamo in piena Quaresima, tempo privilegiato per un cammino di conversione, tempo di intensa preparazione per celebrare con verità la Pasqua, centro della nostra fede: “Se Cristo non fosse risorto, vana sarebbe la vostra fede” (1 Cor 15,14). Il Vangelo del giorno delle Ceneri ci ha ricordato ancora una volta le tre piste di cammino per un’autentica Quaresima: la preghiera, il digiuno e l’elemosina, vissute in atteggiamento interiore, discreto, nascosto, ma forte e deciso. Vorrei con voi fermarmi sulla terza pista: la voce elemosina, che amplierei con il termine carità. Che senso ha una preghiera che non sfocia nella carità? Che senso ha il digiuno, il privarsi di qualcosa, se non diventa disponibilità alla condivisione? Che significato assume un aiuto dato per tacitare la propria coscienza? Gesù ha parole forti contro chi vive una religiosità esteriore, vuota d’amore, che cerca soltanto la lode della gente: “Quando fai l’elemosina, non suonare la tromba... Quando digiunate non diventate melanconici per farvi vedere” (Mt 6,5-18). Parlando della carità, il Signore ci invita a scoprire che tanti fratelli e sorelle soffrono, che non possiamo starcene tranquilli. Un esempio: tutti siamo stati colpiti dal terremoto ad Haiti; ci siamo commossi e abbiamo cercato subito di alleviare quel dolore. Ci siamo anche sicuramente chiesti il perché, ma non abbiamo trovato risposte convincenti. Al dolore, alla sofferenza, alla morte c’è solo una risposta: la croce del Signore! Non basta, però, l’emozione di

un momento: “I poveri li avrete sempre con voi”, ci dice Gesù. La carità è una realtà che deve continuare sempre e segnare tutto il corso della nostra vita. È triste osservare come nei giornali e nelle tv il dramma di Haiti sia passato dalla prima notizia alla quinta, alla sesta, e oggi non se ne parla quasi più. Non fa più notizia, ma ad Haiti la gente continua a soffrire. Noi non dobbiamo rimanere inerti, il Signore ci invita ad aprire i nostri occhi, per guardare con sensibilità cristiana la realtà che ci circonda, qui e lontano di qui, facendo risuonare nel nostro cuore le sue parole: “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. (Mt 24,31-46). L’augurio è che un giorno possiamo sentire rivolte a noi queste parole! Con un sempre vivo ricordo in Basilica. Don Franco Lotto, Rettore lotto.rivista@ausiliatrice.net

I Padre Victor cammina tra i resti della scuola. Foto di Beatrice Giorgi / VIS

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Editoriale

Parola di Dio o Dio c h Che cos’è la Parola di Dio? Che cos’è la “Lectio divina”? Ne parlano in tanti, sempre più di frequente e non sempre in modo chiaro. Per questo, ecco in tre tappe un “percorso” di conoscenza, proposto in modo giovanile e nello stesso tempo profondo, da don Stefamo Martoglio.

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U Don Stefano Martoglio, Ispettore dei Salesiani del Piemonte e Valle d’Aosta. Foto Mario Notario

utto quello che ci è stato dato, fede per prima, pur essendo una realtà oggettiva, necessita di una nostra accoglienza, di una nostra crescita, perché diventi veramente vita della nostra vita. “Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l’annunzierà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l’annunzierà” (Gv 16,12-15). Uno dei perni per crescere nella fede è proprio la Parola di Dio. Cominciamo con una considerazione: la Parola non è data a me personalmente o direttamente da Dio, è la Chiesa che mi dona la Parola di Dio. “Quanto è stato rivelato da Dio e che è contenuto dalla sacra scrittura ci è stato donato sotto l’ispirazione dello Spirito Santo. La Santa Madre Chiesa, fondata sugli apostoli e vivente dalla fede degli apostoli, ci ha trasmesso e ci dona i libri del Vecchio e Nuovo Testamento con tutte le loro parti come libri sacri poiché redatti sotto l’ispirazione dello Spirito Santo” (Dei Verbum, cap. III, 11). Un regalo poco usato Che cos’è, dunque, la “Lectio divina”? Ne parlano in tanti. Nell’ambien-

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te di Chiesa “fa fine” dire che si fa la “lectio”. Ma l’unica cosa importante è dire che la “lectio” è cibo che ci nutre. Questa è la prima cosa. La seconda sembra il contrario della prima, ma in realtà è soltanto l’altra faccia della medaglia: con la Bibbia c’è poca confidenza. La Bibbia è uno dei regali meno usati nella vita di molti di noi. Da rivendere come nuova, mai usata, la copia che ci hanno regalato per la cresima. Diciamo un’altra cosa fantascientifica: se per molti di noi la confidenza con la Parola di Dio è poca, le file si assottigliano di più se vi mettete a dire che della Parola di Dio ci si deve innamorare! Anzi, l’espressione ci fa sorridere: innamorati della Parola di Dio? Ma vai! Eppure, siamo fatti così. Ricordate la pubblicità della posta prioritaria? Allora, perché con la “Parola” che viene da Dio non succede la stessa cosa? Penso che questa domanda meriti un momento di ri-


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c he parla?

sa d’Israele». Io aprii la bocca ed egli mi fece mangiare quel rotolo dicendomi: «Figlio dell’uomo, nutri il ventre e riempi le viscere con questo rotolo che ti porgo». Io lo mangiai e fu per la mia bocca dolce come il miele” (Ez 3,1-4). La lettera dell’innamorato

flessione. Perché con Dio no? Pensate: ogni uomo deve vivere di (o per) qualche cosa. Lo facciamo tutti. Se non viviamo di una cosa, viviamo di un’altra. Noi cristiani tutti i giorni dovremmo riempire la bocca della Parola di Dio, nutrirci di questa. Sentite che cosa ne pensa in merito il profeta Ezechiele: “Mi disse: «Figlio dell’uomo, mangia ciò che hai davanti, mangia questo rotolo, poi va e parla alla ca-

Pensate a un innamorato che manda una lettera alla sua lei (o lui), scritta sotto l’impeto del suo desiderio. Lei (o lui) la riceve, la prende, la esamina, la studia, la annota, la sottolinea, ne nota le incongruenze linguistiche, l’imprecisione della sintassi, la punteggiatura un poco irregolare o assente del tutto. E poi, la rispedisce come risposta all’innamorato! Quando l’altro si vede arrivare una lettera così corretta, che cosa potrà dire? Si domanderà che cosa ha capito, che tipo di amore gli vuole... Così, talvolta, facciamo noi con la Parola di Dio. Invece di cercare l’amore che c’è dentro, l’abbiamo vivisezionata o peggio, completamente dimenticata. Sentite, invece, che cosa ci dice il profeta Osea sull’amore che c’è dentro la Parola di Dio per ognuno di noi: “Quando Israele era giovinetto, io l’ho amato e dall’Egitto l’ho chiamato mio figlio. Ma più lo chiamavo, più si allontanava da me; immolava vittime e offriva incensi agli idoli. Ad Efraim insegnavo a camminare tenendolo per mano, ma essi non compresero che avevo cura di loro. Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore; ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia; mi chinavo su di loro per dargli da mangiare... il mio popolo è duro, chiamato a guardare in alto nessuno ha alzato lo sguardo. Come potrei abbandonarti? come potrei consegnarti ad altri Israele?” (Os 11,1-4,7-9). Don Stefano Martoglio

T In occasione della Giornata della Pace, Papa Benedetto XVI libera una colomba che è simbolo di fratellanza e dello Spirito Santo. © Agenzia SIR

T La Bibbia: il “manifesto” dell’amore di Dio per l’uomo.

stefano.martoglio@salesianipiemonte.it

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Leggiamo i Vangeli

L’amore e la sua Lc 10,29-37

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l Dottore della Legge gli chiede: “Chi è il mio prossimo?” e Gesù, portando la questione dal piano teorico a quello pratico, a sua volta gli domanda: “E tu da che parte stai?”. Il rovesciamento delle parti, l’interrogante diventa l’interrogato, avviene con un racconto. È la parabola degli incontri tra persone in cammino. Forse questa ambientazione fu suggerita a Gesù dalla sua situazione. Anche lui, infatti, si trovava sulla via. Anche lui si stava recando a Gerusalemme (Lc 9,51-19,28), dove si sarebbe fatto nostro prossimo offrendo se stesso in riscatto per la nostra salvezza. Nella figura del Samaritano è perciò adombrato Gesù stesso che ci ha dato per sempre la misura più alta dell’amore per gli altri: dare la vita.

Sulla strada che conduce all’amore I Giovani volontari al lavoro dopo un terremoto: un modo per essere “buoni samaritani” oggi.

Ventisette chilometri: tanto era lunga la strada che da Gerusalemme, a 750 metri d’altezza, scendeva alla piana di Gerico, costruita a 350 m sotto

il livello del mare. Via impervia e pericolosa, che esponeva realmente il viandante a saccheggi operati da malfattori. Con Gesù, quella strada diventa il palcoscenico sul quale si oppongono due scene: l’una penosa, l’altra grandiosa. Nella prima, la carità è bloccata e come uccisa da chi per vocazione avrebbe dovuto praticarne il precetto amando Dio, senza però trascurare il proprio prossimo (Dt 6,5; Lv 19,8). Che cosa blocca e fa morire l’amore? Lo spettacolo si fa, invece, grandioso quando la carità è viva e trionfa grazie ad una anonima persona, identificata per l’appartenenza ad un popolo – quello Samaritano – che non poteva relazionarsi con i Giudei, ed è proprio un uomo della tribù di Giuda che ora giace percosso e denudato sulla strada. Pregiudizi secolari e rivalità religiose avevano innalzato un invalicabile muro tra persone delle due etnie, che pur vivevano sotto lo stesso cielo ed adoravano lo stesso Dio! Che cosa sblocca e fa vivere l’amore?

© Agenzia SIR

La strada dell’amore I vv. 33-35 sono centrali nella narrazione. Avviciniamoci ad essi per scoprire una doppia serie di verbi: la prima di carattere fondante, la seconda più pratica. “Passare accanto”, “vedere” ed “avere compassione” sono le prime azioni con le quali misurarci. “Avere compassione” è il comportamento che fa la differenza. Attestato in greco nella forma esplanchnisthe, esprime il movimento improvviso delle viscere che si contraggono per una emozione par-

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a strada

ticolarmente forte. È il verbo col quale solitamente si esprime la misericordia che Dio per primo prova per il suo popolo (cfr. 1,78). È il verbo che descrive perfettamente Dio: uno che prova compassione per l’umanità. Ebbene, il Samaritano è un uomo che fa spazio al sentire stesso di Dio, lo assume in sé sino a farlo proprio. Anche il Levita ed il Sacerdote erano passati accanto al malcapitato e lo avevano visto, ma la loro capacità di amore era stata bloccata dal loro non-mettersi dalla parte di Dio. Il Samaritano, invece, fatto spazio all’imitazione di Dio ed attivato il dinamismo della carità, potrà invece praticarla. Ecco, allora, la seconda serie di verbi: “farsi vicino”; “versare olio e vino” – farmaci antichi – sulle ferite, “fasciarle”, “caricare sull’asino” quel povero uomo, pagare con i propri soldi e garantirne altri affinché ogni cura gli fosse prestata.

La strada di Dio Con il racconto di tali incontri di strada, Gesù glissa sul “Chi è mio prossimo?”, come a dire “Non ingannatevi: è una falsa domanda! Tutti sono il tuo prossimo”, e si concentra sul come amare – mettendo a disposizione tutto in modo abbondante – e sul perché amare, vale a dire ad imitazione di Dio. Questa è la carità nell’intendimento di Gesù. Non un principio su cui discutere, ma una manifestazione di Dio stesso da mettere in pratica. Dio è amore e nessuno potrà mai dire di amare Dio che non vede, se non ama il proprio fratello che vede! Non a caso tutto l’insegnamento si raccoglierà in quel lapidario ed intrigante: “Vai e anche tu fa’ lo stesso”. Dovremo ancora apprendere che per il raggiungimento della migliore qualità della carità sarà decisivo non anteporre nulla all’ascolto della Parola. Sarà quanto Gesù avrà da insegnare a Marta in occasione del festoso banchetto imbandito in casa di quei cari amici: racconto che non a caso segue immediatamente quello del “Buon Samaritano”, divenendone come il prolungamento e la più pertinente conclusione (10,38-42). Marco Rossetti rossetti.rivista@ausiliatrice.net

T “Il buon samaritano” dipinto da Vincent van Gogh nel 1889. © Editrice Elledici

I Ogni giorno, lungo le strade della vita, ci sono persone che attendono “un buon samaritano”. © Agenzia SIR

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Spiritualità mariana

Una vita carica di N

Y Maria è la “scala” che porta gli uomini al Cielo. Nell’immagine a destra: “La visione di Giacobbe”, dipinto di Cristofano Allori, nella torinese Galleria Sabauda.

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ella tradizione giudaica dei Chassidim c’è questo piccolo racconto. L’angelo Gabriele fu mandato da Dio per far dono della vita eterna a chi avesse un momento di tempo per riceverlo. Ma l’angelo tornò indietro senza aver potuto adempiere la sua missione. Non trovò nessuno che avesse tempo. Può sembrare una cosa assurda, ma se guardiamo alla vita frenetica di molti di noi, il racconto non appare lontano dalla realtà. Corriamo affannosamente cercando di tenere il passo con l’attimo fuggente, siamo soffocati da avvenimenti e informazioni, ci appesantiamo di tante piccole cose passeggere, non abbiamo il tempo per ricevere il dono dell’eternità. Eppure, che cosa è il tempo, staccato dall’eternità? Nella letteratura del Buddismo Zen, si legge questo dialogo illuminante. Il discepolo chiede: “Maestro, come fa una goccia d’acqua per non essere prosciugata?”. “Deve tornare all’oceano”, risponde il maestro. Il tempo, fuori dell’orbita dell’eternità, si dissecca. L’uomo che non sa accogliere l’eterno nella propria vita, si svuota. È condannato alla noia che il Qohelet dipinge con colori tristi: “Vanità delle vanità, tutto è vanità. Quale utilità ricava l’uomo da tutto l’affannare per cui fatica sotto il sole?” (Qo 1,2-8). Maria, al contrario, ha tempo per accogliere l’eterno. Lei sa trasformare il tempo in storia, anzi, in storia di salvezza. Tutta la sua vita è permeata d’eternità, tutta la sua esistenza è una pasqua perenne, un continuo passaggio alle cose che non passano.

Maria, scala celeste che scelse l’Eterno La liturgia bizantina, nel suo bellissimo inno Akáthistos alla Madre di Dio, saluta Maria quale “scala celeste che scelse l’Eterno”. Maria è il luogo d’incontro tra cielo e terra, tra l’eterno e il tempo, tra Dio e l’uomo. È la congiunzione tra la piccolezza umana e la grandezza divina. È il vuoto più completo di sé che accoglie la ricchezza più piena di Dio. È la gratuità amorosa abbracciata dalla gratitudine sincera. È il frammento che lascia entrare in sé il tutto. La discesa dell’Eterno non si ferma soltanto in Maria. Ella è anche “la scala”, o come continua a cantare l’inno, è “il ponte che porta gli uomini ai cieli”. Con il suo fiat all’annuncio dell’an-


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i eternità gelo, lei introduce l’umanità a un modo nuovo di accogliere il suo Dio: accoglierlo nella propria carne, nella propria storia. Ad Ain Karim, Maria fa esultare Giovanni Battista ancora nel grembo materno. Portando Gesù al tempio, fa trasalire di gioia due anziani al tramonto della loro esistenza. Vita che inizia e vita che termina: tutto assume il senso d’eterno in Gesù e nella sua madre che lo porta agli altri. Adesso e nell’ora della nostra morte Maria è particolarmente presente nel momento del nostro passaggio da questa vita alla gioia eterna. Nella seconda parte dell’Ave Maria preghiamo: “Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte”. È una richiesta semplice, ma sentita. Sappiamo che anche nell’ora della morte siamo peccatori e bisognosi di aiuto, sappiamo che è un’ora decisiva, perché si tratta del nostro affidamento totale e definitivo al nostro Creatore. L’hora mortis segna il nostro transito dall’esistenza temporanea all’eternità, porta a compimento in modo totale e irreversibile la nostra storia di libertà e fissa per sempre la fisionomia con cui appariamo all’incontro col Signore. Nell’ora della morte veniamo de-finiti. È un passaggio difficile che ci sgomenta e ci fa paura per il carico di ignoto che ha in sé. Siamo certi che verrà, ma non ci è dato di sapere come, quando e dove. Abbiamo bisogno dell’aiuto di Maria che è esperta di quell’ora. Lei stes-

sa ha affrontato quell’ora con serenità. Si è preparata tutta la vita, mettendo la propria vita, attimo per attimo, nella sfera dell’eterno. Maria fu presente all’hora mortis del Figlio. In quell’ora Gesù, prima di pronunciare “Tutto è compiuto”, ha consegnato tutta l’umanità, tutti gli uomini a sua madre perché li considerasse come suoi figli. È per volontà del Figlio che Maria prende cura della nostra vita e della nostra morte. Come ha assistito a quell’ora di Gesù, assisterà tutti i suoi figli affidatile da Gesù. Noi glielo chiediamo con insistenza ogni giorno. Per tre volte nella preghiera dell’Angelus e per cinquanta volte nella recita del rosario, le ricordiamo di venirci in aiuto in quell’ora ignota, ma decisiva. E sicuramente Maria non mancherà all’appuntamento. Maria Ko Ha Fong

U Nell’«Angelus» e nell’«Ave Maria» invochiamo la Vergine di venirci in aiuto. Qui sopra il dipinto “Annunciazione” di Paolo De Matteis (1712) nel City Art Museum di Saint Louis.

kohafong.rivista@ausiliatrice.net

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Maria nei secoli Amedeo di Losanna:

Maria capolavoro dello Spirito Santo U

I Papa Benedetto XVI con il rabbino capo Riccardo Di Segni. Sant’Amedeo scriveva che la Madonna, ebrea per nascita, sotto la croce ha pregato per il suo popolo. © Agenzia SIR

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n documento del XIII secolo redatto da Cono, un canonico della cattedrale di Losanna, in Svizzera, riporta un grazioso avvenimento. Il vescovo Amedeo, vissuto cent’anni prima, aveva scritto otto omelie in onore della Vergine Maria. Le aveva inviate a sua sorella, monaca di clausura, che, dopo averle lette, le ritornò al fratello unendovi un guanto di lana. Era una reliquia preziosa: apparteneva alla Madonna che, con quel dono, mostrava il suo apprezzamento per le omelie di Amedeo. Questo episodio leggendario conferma la grande stima in cui erano tenute le omelie del vescovo svizzero: nella cattedrale, erano lette durante l’ufficio liturgico del sabato, giorno della settimana dedicato a Maria. Dopo la prima, che serve da introduzione, le altre sette presentano ciascuna i doni dello Spirito Santo, mettendoli in relazione con Maria, per dimostrare che lei li ha posseduti in grado eccelso. Amedeo li elenca in ordine inverso a quello a noi noto: timor di Dio, pietà, scienza, forza, consiglio, intelligenza e sapienza. Nella quinta omelia, per esempio, l’autore spiega che ai piedi della Croce la Madonna manifestò la sua forza sopportando il martirio del cuore. Avvalora, così, un

principio teologico di rilievo: tra la Madonna e lo Spirito Santo sussiste una relazione privilegiata. Doni e virtù dello Spirito Santo hanno arricchito l’anima di lei al punto che – come avrebbe spiegato secoli dopo il teologo salesiano Domenico Bertetto – tra la Terza Persona della Trinità e la Vergine di Nazareth vi è una perfetta “sinergia”: operano sempre e soltanto in perfetta armonia. La Madonna è il capolavoro dello Spirito Santo e noi, guardando alla santità impareggiabile di Maria, possiamo comprendere i beni che Egli elargisce e le perfezioni che sa compiere. La Vergine mediatrice di quanti la implorano Amedeo, prima di diventare vescovo, era stato monaco cistercense, discepolo di San Bernardo che, in fatto di devozione mariana, aveva fatto scuola. Da lui, Amedeo aveva appreso molto. Già il grande abate di Chiaravalle aveva affermato: “C’era necessità di un mediatore per raggiungere questo Mediatore, cioè Cristo: né altro per noi era più utile di Maria”. E a proposito di Maria mediatrice, Amedeo esclama con sincero afflato lirico: “Ai suoi piedi si prostrano anche quelli che hanno l’animo amareggiato, i tristi, gli indigenti, gli afflitti, i desolati, i debitori, e anche coloro che vivono nel disonore. Di questi e di tutti coloro che implorano dal fondo di qualsiasi tribolazione ella accoglie volentieri le preghiere e, supplicando il Figlio, allontana misericordiosamente ogni male da loro”. Questa funzione mediatrice è estesa al po-


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polo ebraico. Nel secolo XII i rapporti tra cristiani ed Ebrei erano spesso tesi e gli uni accusavano gli altri di empietà. Amedeo si sottrae a questa polemica e sottolinea un’altra consolante verità: la Madonna, ebrea per nascita, sotto la Croce ha pregato per il suo popolo. Scrive nella quinta omelia: “Vedendoli, infatti alle soglie della morte eterna, ella non li ritenne degni né di odio né di disprezzo, bensì del suo massimo affetto, delle sue abbondanti lacrime e della sua profonda pietà. Perciò, in comunione con la carità di Gesù, come lo era con la sua Croce, ella si mise a pregare per loro”. Possono rimanere inascoltate le suppliche della Madre di Dio? Questa prospettiva aperta dall’intuizione originale di Amedeo di Losanna non può che illuminare l’attuale dialogo interreligioso tra Ebrei e Chiesa Cattolica. Gli Ebrei stessi sarebbero contenti di leggere le omelie di questo vescovo, tra l’altro dichiarato beato, perché egli valorizza gli scritti dell’Antico Testamento in cui ravvisa delle prefigurazioni della Madonna. Ad esempio, l’urna d’oro che nell’antico Tempio di Gerusalemme custodiva reliquie della manna inviata da Dio nel deserto, per Amedeo è un simbolo di Maria: “Questa urna conteneva la manna nascosta, perché ella ha portato nel suo utero sacrosanto il pane degli angeli che discende dal Cielo e dà vita al mondo”. Per il cielo, venerabile per il mondo, amabile La Madonna svolge la sua missione mediatrice in Cielo dove è stata assunta pienamente, con il corpo e l’anima. Amedeo di Losanna è uno degli autori che testimonia questa convinzione che progressivamente è stata compresa dalla Chiesa. Nel 1950, papa Pio XII, nella bolla Munificentissimus Deus, proclamò questo dogma e, tra gli

insigni dottori che nomina per mostrarne la fondatezza, cita proprio Amedeo di Losanna, secondo il quale, questo privilegio mariano era esigito dalla santità eccelsa della Madonna e dalla verginità perpetua del suo corpo. Sempre Papa Pio XII volle istituire la festa liturgica della Regalità di Maria, che coglie un altro aspetto della sua glorificazione in cielo. Ed è sempre Amedeo di Losanna che spiega in che cosa consiste la regalità della Madonna: “Con la gloria il tuo Figlio ti ha concesso la signoria del cielo, con la misericordia la regalità del mondo, con la potenza il dominio sull’inferno. Tutte le creature, sebbene con sentimenti diversi, rispondono dunque alla tua così grande e ineffabile gloria: gli angeli con l’onore, gli uomini con l’amore, i demoni con il timore”. È un insegnamento, questo, da ricordare quando anche noi, recitando il quinto mistero glorioso del Rosario, meditiamo sulla regalità universale della Madonna: “per il cielo sei venerabile; per il mondo, amabile; per l’inferno, terribile”. Roberto Spataro

U La Madonna è il capolavoro dello Spirito Santo. Qui sopra: il dipinto “La Pentecoste” di anonimo, sec. XVII, nella Basilica Santa Maria degli Angeli ad Assisi.

spataro.rivista@ausiliatrice.net

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Il Papa ci parla

Missionari Martiri, invito alla fedeltà I

U Il 24 marzo 1980 mons. Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador, fu assassinato mentre celebrava l’Eucaristia. Qualche anno dopo Papa Giovanni Paolo II sceglieva il 24 marzo per la Giornata dei Missionari Martiri. Giornata che Papa Benedetto XVI invita anche quest’anno a celebrare con la preghiera e il digiuno.

l 24 marzo 1980 mons. Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador, celebrava l’Eucaristia nella cappella dell’ospedale. Al momento dell’elevazione un sicario irrompe nel presbiterio, e gli spara. Trucidato sull’altare. Era «la voce di quelli che non hanno voce», era il buon pastore. Qualche anno dopo Giovanni Paolo II ha scelto quella data, il 24 marzo, per la «Giornata dei Missionari Martiri». Una Giornata che ha voluto «di preghiera e di digiuno».

I Sappiamo bene, c’è Giornata e Giornata. Tante inzeppano il calendario, e a volte sono solo consumistiche come la Giornata del tartufo, o addirittura provocatorie come la Giornata dell’orgoglio gay. Questa dei Missionari Martiri è poco nota e ancora poco celebrata. Ma Papa Benedetto XVI la ricorda ogni anno, e invita i cristiani a viverla con fede. La spiega così. I Chi sono questi Missionari Martiri? Ha elencato il Papa: «Vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose e laici, stroncati nel compimento della loro missione di evangelizzazione e promozione umana. Essi – ha aggiunto – sono “speranza per il mondo”, perché testimoniano che l’amore di Cristo è più forte della violenza e dell’odio» (25-032007). I Scopo della Giornata? Benedetto XVI: «Il ricordare e pregare per questi nostri fratelli e sorelle caduti mentre svolgevano il loro servizio missionario, è un dovere di gratitudine per tutta la Chiesa. Ed è per ciascuno di noi, uno stimolo a testimoniare in modo sempre più coraggioso la nostra fede e la nostra speranza in Colui che sulla Cro-

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ce ha vinto per sempre il potere dell’odio e della violenza con l’onnipotenza del suo amore» (24-03-2008). I Significato del martirio? Il Papa porta a scoprirlo «nelle parole dell’Apocalisse: “Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione” (Ap 7,13). Al vegliardo che chiede chi siano e donde vengano coloro che sono vestiti di bianco, viene risposto che sono quanti “hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello” (Ap 7,14)». I Dunque alla radice di tutto c’è l’e-

sempio di Cristo. «Gesù ha detto: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13). Ogni testimone della fede vive questo amore “più grande”, e sull’esempio del divino Maestro è pronto a sacrificare la vita per il Regno. In questo modo si diventa amici di Cristo; così ci si conforma a Lui, accettando il sacrificio fino all’estremo, senza porre limiti al dono dell’amore e al servizio della fede» (07-04-2008). I Ma il martirio va cercato? È in sé una cosa sensata? Padre Vincent Lebbe, eroico missionario in Cina, aveva certi dubbi. Sosteneva: “Se volete dei martiri, volete dei boia”. Papa Benedetto sembra dare ascolto anche ad altri timori: “Ci chiediamo: perché questi nostri fratelli martiri non hanno cercato di salvare a tutti i costi il bene insostituibile della vita? Perché hanno continuato a servire la Chiesa, nonostante gravi minacce e intimidazioni?” (07-04-2008). Ma ha precisato: “Il martirio cristiano si giustifica solo come supremo atto


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d’amore a Dio e ai fratelli”. Di fatto i Missionari Martiri – ha spiegato – “non hanno cercato il martirio, ma sono stati pronti a dare la vita per rimanere fedeli al Vangelo” (25-03-2007). I Il Papa ha indicato l’esempio di Maria ai piedi della croce: “Contempliamo la Madonna che sul Calvario sigilla il sì pronunziato a Nazaret. Unita a Gesù, il Testimone dell’amore del Padre, Maria ha vissuto il martirio dell’anima”. E per questo ce l’addita come Regina dei Martiri (25-03-2007). I Sull’argomento Martiri si ha nella Chiesa un libro ufficiale: il Martirologio. Questo “discorso sui Martiri” è a suo modo un libro di storia della Chiesa, contiene il loro elenco ufficiale. Ma andrebbe di continuo aggiornato, e in qualche modo ci pensa l’Agenzia Fides, che ogni anno pubblica un elenco di Missionari caduti per il Vangelo. Il citato mons. Oscar Romero oggi va considerato nella lista ufficiale, in quanto Servo di Dio. E l’Agenzia Fides nel 2008 ha proposto un altro vescovo, testimone della fede con il sangue: mons. Paulos Faraj Rahho, Arcivescovo Caldeo di Mosul nel tormentato Irak. Fu rapito al termine della Via Crucis, all’uscita della chiesa dello Spirito Santo (la stessa dove, un anno prima, erano stati uccisi il parroco e tre diaconi). Qualche giorno dopo venne ritrovato il suo cadavere. I Ci sono Missionari Martiri anche nella Famiglia di Don Bosco? Certo: a cominciare da Versiglia e Caravario, santi già accolti nel Martirologio e nella liturgia, che festeggiamo ogni 25 febbraio. Fucilati in Cina nel 1931. Uno dei pirati assassini, dopo aver compiuto la fucilazione, confidò quasi incredulo ai suoi compagni: “Sono cose inspiegabili. Ne abbiamo visti tanti morire, e tutti temono la morte. Questi invece sono tutto l’opposto: sono morti contenti”. L’Agenzia Fides ha anche

segnalato l’ultimo della Famiglia Salesiana iscritto alla lista dei Missionari Martiri: padre Johnson Moyalan. Indiano del Kerala, regione dove il Vangelo fu portato già ai tempi degli apostoli. Era missionario nel Nepal, una cristianità incipiente con 7.000 battezzati. Lavorava nella scuola Don Bosco di Sirsia, “impegnato in un ampio progetto di sviluppo sociale per gli indigeni e la gente delle caste più basse”. I cosiddetti intoccabili. È stato freddato con due colpi di arma da fuoco, nel luglio 2008. Il Papa si è interessato al caso: il card. Bertone, segretario di Stato, ha inviato in Nepal il messaggio: “Il Santo Padre, nel raccomandare l’anima di don Molayan alla pietà infinita di Dio Onnipotente, chiede a tutti di rinunciare alle vie della violenza, per seguire la strada della pace e della riconciliazione”. Comunque là nella scuola Don Bosco di Sirsia qualche tempo dopo i ragazzi hanno commemorato a modo loro il missionario scomparso, con... un torneo di calcio intitolato a don Molayan. Come dire: Laudato si’ mio Signore per frate pallone, lo quale è bello tondo, e rotolando celebra la gloria dei Martiri e dei Santi. Enzo Bianco

U Il Vescovo Mons. Luigi Vermiglia e Don Callisto Caravario fucilati in Cina nel 1931 sono stati dichiarati santi insieme nel 2000. Dipinti di Nino Musio, Ed. Elledici

Preghiamo Dio onnipotente e misericordioso, tu hai dato ai santi martiri Luigi vescovo e Callisto sacerdote la forza di lottare fino alla morte per annunciare il Vangelo e difendere la dignità umana. Concedi anche a noi, tuoi fedeli, di imitare la loro testimonianza con fede perseverante e carità operosa (dalla Liturgia).

bianco.rivista@ausiliatrice.net

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Solidarietà

Non piangere, Haiti!

Foto di Beatrice Giorgi / VIS

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Come indicato a pagina 2 Cristoforo Colombo, nel per contribuire alla presenza e al1492, l’aveva battezzata Hila ricostruzione delle opere salesiane ad spaniola e la Spagna ne Haiti, si può fare un versamento sul conto aveva preso possesso. Poi, corrente intestato a: Salesiani Don Bosco Cirattraverso complicate vicoscrizione Speciale Piemonte, Via Maria cende, l’isola è diventata Ausiliatrice 32, 10152 Torino, presso la Banun miscuglio etnico e poca Intesa Sanpaolo, specificando nella litico, e si è spaccata in due causale “Pro Haiti”; codice IBAN: Stati: a est la Repubblica Dominicana, con capitale Santo DoIT41C0306901005100000107951 mingo, a ovest Haiti. Haiti, inizialmente colonia francese, indipendente dal 1804, poi soggetta a pelliti in fretta i morti in una fossa codittature corrotte, guerriglie e giunte mune, hanno ripreso le attività di semmilitari, oggi è uno dei Paesi più popre, a cielo aperto. I 20.000 ragazzi di veri al mondo, abitato da popolazioni strada hanno continuato ad avere ogni di origine africana. Con il sisma, il dogiorno cibo, gioco e sport. Le tendolore e il vuoto lasciati dai duecentomipoli allestite accanto alle macerie, hanla morti. Neppure i Salesiani, presenno ospitato 3.500 senzatetto. za forte dal 1936, hanno avuto tempo Rapida la corsa alla ricostruzione, per piangere i tre confratelli e i 500 sostenuta anche dalla generosità inalunni di Port-au-Prince, morti con i ternazionale della Famiglia Salesiana, i loro insegnanti sotto le macerie della cui membri si sono attivati con racscuola professionale “Don Bosco”. Ricolte di denaro, invio di materiale saspondendo all’appello del Rettor Magnitario, di generi alimentari, di giovani giore Don Pascual Chávez, si sono volontari e personale qualificato, dimessi a disposizione dei superstiti. Sepsposti a lavorare gratuitamente perché Haiti si trasformi da sacca di indigenza in isola felice, in cui si restituisce dignità alla vita. Grande la generosità dei fedeli torinesi, che nella sola domenica 24 gennaio, nella Basilica di Maria Ausiliatrice, hanno offerto 13 mila euro per Haiti. Generosità che dimostra come, nell’era di internet, capace di globalizzare rapidamente l’economia, la politica, la protesta, si possano globalizzare altrettanto rapidamente la solidarietà, la speranza, la giustizia, la pace. E soprattutto l’amore. Anna Maria Musso Freni


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Il poster

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’è un versetto nel famoso prologo del Vangelo di Giovanni che ci aiuta a capire la storia del rapporto tra Dio e l’uomo: “Venne fra i suoi ma i suoi non l’hanno accolto”. E questo tentativo di non accogliere Dio e il Cristo che ci parla in suo nome è sempre stato presente. Anche oggi. Quante volte, in questi ultimi anni, abbiamo sentito parlare del Crocifisso come di qualcosa di ingombrante, di condizionante, di costringente. Quasi una presenza minacciosa... quindi da rimuovere. Qualcuno che fa paura, col suo semplice esserci, in quel modo, in quel posto. Meglio una parete bianca, insomma, ma senza quel simbolo così controverso che fa pensare, che parla anche con il suo silenzio. Troppo. È sempre stata doppia la percezione di quel Crocifisso: per i credenti un simbolo religioso di fede, per molti non credenti, di buona volontà e rispettosi degli altri, un simbolo culturale, una semplicissima icona della donazione totale, della non violenza, dell’amore alla verità, della fedeltà ai propri valori, della vicinanza ai deboli, ai poveri, agli indifesi. Di tutte le età, di tutte le culture. In una parola: un simbolo dell’amore di Dio per l’uomo, e nello stesso tempo un simbolo dell’Uomo-Dio, cioè di Gesù il Cristo, per l’uomo, per tutto l’uomo, per ogni uomo. Il simbolo di un Amore così grande da lasciarsi crocifiggere. Crocifisso sì ma con le braccia aperte per indicare la volontà non di maledire ma di accogliere. Non di escludere, ma di abbracciare tutti, specialmente i più deboli e i calpestati dalla storia. Non di condannare, ma di perdonare, anche i suoi crocifissori, di tutti i tempi. Chi può aver paura dell’Uomo Crocifisso? A chi può far paura? Perché

questa insistenza a volerne rimuovere la presenza? Benedetto XVI in un suo discorso ha detto: “Non è il potere che redime, ma l’amore! Questo è il segno di Dio: Egli stesso è amore... Tutte le ideologie del potere si giustificano così, giustificano la distruzione di ciò che si opporrebbe al progresso e alla libera-

Chi ha paura dell’uomo crocifisso? zione dell’umanità. Noi soffriamo per la pazienza di Dio. E nondimeno abbiamo tutti bisogno della sua pazienza. Il Dio, che è divenuto agnello, ci dice che il mondo viene salvato dal Crocifisso e non dai crocifissori. Il mondo è redento dalla pazienza di Dio e distrutto dall’impazienza degli uomini!”. L’Uomo Crocifisso fa e farà sempre paura a tutti gli adoratori del dio potere, di tutti i tempi e di tutte le culture. Farà sempre paura a tutti i crocifissori dei poveri, ai violentatori delle coscienze altrui, ai manipolatori di falsi ideali, ai persuasori occulti di perversione e di sfruttamento dei bambini e dei giovani, ai venditori di ideologie consumistiche, ai calpestatori dei deboli e degli indifesi, ai fondamentalisti che uccidono innocenti in nome di un certo loro Dio, ai malati di ideologie indifferenti a tutto ciò che è trascendente, agli edonisti di tutte le culture e razze, ai distruttori dell’ambiente per fini egoistici, ai cultori della legge del più forte, a quelli che vivono come se la legge non fosse uguale per tutti... A tutti questi adoratori del potere dalle mille facce il messaggio dell’Uomo Crocifisso dà e darà sempre fastidio. Non sarebbe meglio rimuoverlo? Mario Scudu

“Dio, in Cristo, è povero facendosi uomo per noi, accogliendo in sé la sofferenza degli altri: egli soffrirà sino alla fine dei tempi i nostri dolori” (San Massimo il Confessore).

“Dio si fa impotente e debole nel mondo ed è così, e solo così, che rimane con noi e ci aiuta” (Dietrich Bonhoeffer).

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Da quell’ora il discepolo l’accolse con sé

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L’autore del quadro raffigurato nel poster Rogier van der Weyden (Tournai 1399 Bruxelles 1464) è un pittore fiammingo, allievo di Robert Campin. Fu pittore ufficiale della città di Bruxelles e della Casa d’Este. Rogier fu uno dei primi pittori che usarono il supporto della tela a nord delle Alpi. Ebbe una grande influenza sui pittori del suo tempo.

Santo, Santo che soffri Fa piaga nel Tuo cuore la somma del dolore che va spargendo sulla terra l’uomo; il Tuo cuore è la sede appassionata dell’amore non vano. Cristo, pensoso palpito, astro incarnato nell’umane tenebre, fratello che t’immoli perennemente per riedificare

Un’antica preghiera Gesù Crocifisso! Sempre Ti porto con me, a tutto Ti preferisco. Quando cado, Tu mi risollevi. Quando piango, Tu mi consoli. Quando soffro, Tu mi guarisci. Quando Ti chiamo, Tu mi rispondi. Tu sei la luce che mi illumina, il sole che mi scalda.

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umanamente l’uomo, Santo, Santo che soffri, maestro e fratello e Dio che ci sai deboli, Santo, Santo che soffri per liberare dalla morte i morti e sorreggere noi infelici vivi, d’un pianto solo mio non piango più, ecco, Ti chiamo, Santo, Santo, Santo che soffri. Giuseppe Ungaretti


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Esperienze di catechesi

L’Immacolata e le mele verdi S

ignore, perché hai fatto cose così difficili da spiegare ai bambini del XXI secolo?”. È la domanda che a me e a molte catechiste càpita talvolta di rivolgere mentalmente, quando cerchiamo di comunicare il senso del mistero alle giovani generazioni tecnologiche. Per noi che abbiamo frequentato gli incontri di Catechismo mezzo secolo fa o giù di lì, tutto era semplice. Il parroco ci sistemava nei primi banchi della chiesa, ci faceva imparare a memoria il Catechismo di Pio X e regalava un’immaginetta a chi ripeteva le risposte esatte. Nessuno di noi si sarebbe sognato di chiedere spiegazioni o di metterne in dubbio la veridicità. I bambini di oggi, invece, discutono sul contenuto della Sacra Scrittura, vorrebbero una storia “diversa”, con particolari anche di loro invenzione. Il racconto dell’Ascensione, ad esempio, così come si legge negli Atti degli Apostoli, non li soddisfa: “Ma come ha fatto Gesù a staccarsi dalla Terra e a salire in Cielo? Gli sono spuntate le ali?”, “Ha preso l’ascensore?”, “È stato sparato in aria da un razzo?”. Più difficile, a volte, far accettare alcuni dogmi, come quello dell’Immacolata Concezione. Oggi, anche se si accetta che la Madre di Dio sia stata concepita senza peccato, risulta inammissibile che durante la vita terrena lei non abbia mai ceduto a tentazioni di alcun genere. Come è possibile che non abbia mai commesso un peccato, neanche uno piccolo piccolo, senza importanza? “Io non ci credo! Non è umano!” sentenzia Stefano. Le domande e le contestazioni si susseguono implacabili, sino a quando interviene Moni-

ca. “Io ho capito! Per la Madonna il peccato era come per me le mele verdi!”. Risata generale. “Beh, io odio le mele verdi: hanno un sapore aspro che fa venire la pelle d’oca. Anche se stessi morendo di fame, non mi verrebbe mai voglia di mangiarne una!”. “E questo che c’entra con il peccato”?, è la domanda quasi generale. Monica ricomincia: “C’è qualche cibo che le vostre mamme cucinano e che a voi proprio non piace?”. Smorfie di disgusto. “Bene, se aveste la casa piena di passati di verdura e pastine in brodo, avreste la tentazione di mangiare queste cose, e magari rubarle di nascosto?”. “Che schifo!”, è la risposta unanime. “Ecco – conclude la ragazzina – alla Madonna il peccato faceva lo stesso effetto che a voi le minestre delle vostre mamme e a me le mele verdi. Il peccato le faceva girare la faccia dall’altra parte”. Sì, adesso hanno capito. Certo, ci sarebbero da dire che oltre al disgusto per il peccato, l’eccezionale virtù di Maria ha contribuito a preservarla da ogni macchia. Ma questo è un altro discorso. Per ora, grazie, Monica, per le tue mele verdi! Anna Maria Musso Freni rivista@ausiliatrice.net

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Memorie salesiane Don Giuseppe Quadrio

Compiere l’ordinario con amore s L

o scorso 19 dicembre, per decisione di Papa Benedetto XVI, alcuni “Servi di Dio” hanno assunto il titolo di “Venerabili”. Tra loro, il salesiano don Giuseppe Quadrio. Eccovi in queste pagine una breve biografia (per maggiori informazioni, si veda il sito: www.sdb.org) e l’intervista a don Ferdinando Bergamelli (il testo integrale è sul sito: www.donbosco-torino.it).

U Don Ferdinando Bergamelli è docente di Patristica presso la Pontificia Università Salesiana di Torino. In basso una fotografia di don Quadrio poco tempo prima della morte.

– Don Ferdinando Bergamelli, quando e dove ha conosciuto don Giuseppe Quadrio? – La prima volta avevo dodici anni. Era il primo di settembre del 1947: ero appena partito da casa ed ero giunto a Penango (Monferrato), nell’aspirantato salesiano. Abituato alle pareti domestiche, mi trovai sperduto e spaesato in mezzo a tanti ragazzi (circa 120). Ero molto triste e sovente scoppiavo in lacrime. Un mattino mi si avvicinò don Quadrio. Mi colpì il sorriso e la tenerezza con cui si rivolse a me. È una piccola cosa consolare un bambino che piange, ma il sorriso di don Quadrio in quel giorno lontano mi è rimasto scolpito nel cuore. – Per quanti anni ha potuto essergli vicino? – Ho ritrovato don Quadrio nell’ottobre 1960, quando giunsi a Torino, nell’Istituto Internazionale Don Bosco (Crocetta). Proprio alcuni mesi prima gli era stato diagnosticato un linfogranuloma maligno; per lui cominciò un calvario durato tre anni. Io ho cercato di stargli vicino il più possibile.

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Sono rimasto letteralmente stupito e commosso di fronte alla inesauribile pazienza, costanza, forza d’animo con cui egli sopportò questo male devastante. Non ho mai sentito uscire dalla sua bocca un benché minimo lamento. Mai. Io l’ebbi per quasi tre anni mio confessore e direttore spirituale. E l’ho visto anche morire. Erano circa le 22,40 del 23 ottobre 1963. Egli giaceva supino sul letto e rantolava nell’agonia. Improvvisamente avvenne un potente sbocco di sangue, che lo soffocò. Nel mio piccolo notes, che conservo ancora gelosamente, annotavo: “È morto don Quadrio! Un sacerdote santo ed eroico! L’ho visto morire anche! Quale lezione! Un sa-


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e straordinario crificio cruento: uno sbocco di sangue!”. – Quali erano le sue doti principali? – Anzitutto una umanità ricca, profonda e coinvolgente, che lo portava istintivamente alla solidarietà ed alla condivisione. Nella formazione dei suoi chierici, insisteva moltissimo sulle virtù umane del sacerdote. Voleva che i futuri sacerdoti da lui formati fossero prima di tutto uomini autentici. Ma egli è stato anche, e soprattutto, un “uomo di Dio”, un “prete santo”. Realizzò nella globalità della sua persona armonica, l’incarnazione del “Cristo oggi”.

– Perché la santità caratteristica di don Quadrio è fatta di semplicità, di piccoli, apparentemente “minimi doveri”, come lui era solito chiamarli, da vivere però con fedeltà eroica nel quotidiano. Il Venerabile ha cercato di farsi santo nella verità della vita feriale, rifuggendo quasi istintivamente da eventi mistici straordinari, che avrebbero potuto prestare il fianco all’illusione e all’orgoglio, ma compiendo con amore straordinario l’ordinario di tutti i giorni. E sempre con quel sorriso luminoso sul volto, imparato da Don Bosco. A cura di Lorenzo Bortolin

Nino Musio - Editrice Elledici

– Perché don Quadrio è da proporre come modello di sacerdote e di salesiano?

“Cercherò di farmi santo” Don Giuseppe Quadrio nasce a Vervio (Sondrio), il 28 novembre del 1921, in una famiglia contadina. Da ragazzo si dà un regolamento di vita, che termina con: “Cercherò di farmi santo”. Dopo la lettura della vita di Don Bosco, nel 1933 entra nell’Istituto missionario salesiano di Ivrea. Poi, frequenta l’Università Gregoriana di Roma. Durante la seconda guerra mondiale, dedica il tempo libero agli “sciuscià”, gli orfani. Nel 1946, presente anche il futuro Papa Paolo VI, difende la definibilità dogmatica dell’Assunzione di Maria in cielo. È ordinato sacerdote nel 1947. Nel ’49 inizia l’insegnamento nello Studentato Teologico di Torino. Nel 1954 è nominato “decano” della Facoltà di teologia. Nel ’60 gli è diagnosticato un tumore. Muore a Torino il 23 ottobre 1963, a neppure 42 anni.

bortolin.rivista@ausiliatrice.net

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Maria nell’arte

Una Madonna bizantina L

e catacombe di Roma sono aree cimiteriali sotterranee scavate nel tufo, al di fuori dell’antica cinta muraria della città. I nuclei più antichi risalgono alla fine del II secolo. Precedentemente i cristiani erano sepolti insieme con i pagani; quando la comunità divenne più numerosa, fu necessario creare cimiteri collettivi. Per risolvere il problema dello spazio e grazie alla facilità dello scavo nel tenero tufo sottostante la città, i sepolcreti furono realizzati con gallerie sotterranee a più piani. Lungo le pareti sono ricavate le tombe, dette loculi, disposte su file verticali e destinate a contenere uno o più cadaveri; esternamente erano chiuse da lastre di marmo o di terracotta, su cui spesso erano incisi il nome del defunto ed il mestiere, accompagnati da simboli cristiani. Nel III secolo, nella sola Roma si contavano 25 cimiteri sotterranei, alcuni dei quali erano in possesso della Chiesa. Già dal V secolo, si cominciò ad abbandonare la sepoltura nelle catacombe, che continuarono comunque ad essere meta di pellegrini. Tra il sec. VIII ed il IX, in seguito ai saccheggi dei barbari, le reliquie dei martiri furono traslate nelle chiese entro le mura cittadine, le catacombe furono gradualmente abbandonate e delle sepolture si perse persino la memoria. Furono riscoperte dal XVI secolo e cominciarono ad essere esplorate prima con Antonio Bosio (1575-1629) e soprattutto con le ricerche di Giovanni Battista de Rossi (1822-1894).

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Il sepolcreto donato da Commodilla Le catacombe di Commodilla si trovano non lontano dalla via Ostiense. Il nome trae origine dalla donatrice del terreno. Vi furono sepolti, tra gli altri, i martiri Felice e Adautto: un carme redatto da Papa Damaso (305-387) ci informa che questi due martiri erano fratelli ed entrambi sacerdoti.

La zona dove era posto il sepolcro dei martiri, in una piccola basilica sotterranea, fu ricavata in un’antica cava di pozzolana. Dall’analisi dei reperti e dalle caratteristiche si è indotti a datare l’uso di questa catacomba agli inizi del IV secolo, ma forse la cava di pozzolana fu utilizzata in parte come luogo di sepoltura già prima della chiusura. Le catacombe furono usate fino al VI secolo. La catacomba è famosa per le numerose opere che la decorano e, in particolare, per un affresco che segna la tomba di una certa Turtura: vi è raffigurata una Madonna con Bambino, seduta su uno scranno prezioso, affiancata dalle figure dei due santi Felice e Adautto e della defunta Turtura.


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T Un affresco nella catacomba romana di Commodilla raffigurante la Madonna col bambino. Nell’altra pagina: due particolari ingranditi.

Accanto a lei due sacerdoti martiri L’opera risale al VI secolo ed è significativa dell’arte romana del primo Medioevo dove si possono cogliere gli ultimi bagliori dell’antica pittura. Una ieratica Madonna, in visione frontale, siede placida su un trono rivestito di lastre d’oro e tempestato di pietre preziose; tiene stretto a sé il piccolo Gesù, seduto in grembo, quasi a sottolineare la sua divina maternità. I santi Felice ed Adautto affiancano Maria, rigidi come due accoliti; il capo è circondato da un ampio nimbo e sono rivestiti di una tunica clavata (con due strisce color porpora) e di una toga bianca leggermente chiaroscurata, indu-

menti che conferiscono loro importanza e dignità. Turtura è presentata alla Vergine dal martire Felice e regge tra le mani un oggetto indefinibile, forse un cero, avvolto da un candido mantile. La figura della Vergine non ha volume; sul vestito deteriorato è annullato ogni effetto chiaroscurale; la predella su cui poggia i piedi, presenta un primitivo tentativo di prospettiva, in modo da dare consistenza spaziale al trono. Le immagini sono di evidente derivazione bizantina e specialmente i due santi, si possono accostare alle analoghe raffigurazioni nella basilica ravennate di Sant’Apollinare nuovo. Natale Maffioli maffioli.rivista@ausiliatrice.net

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Attualità Con la comunità di Taizé

AA Rotterdam Rotterdam da da tutta tutta Europa Europa R

U Mons. Adrianus Herman van Luyn, vescovo di Rotterdam, è presidente della Commissione degli Episcopati della Comunità Europea. Foto di Maurizio Versaci

Y Rotterdam ospiterà la Comunità Ecumenica di Taizé alla fine di quest’anno in occasione del consueto incontro europeo dei giovani. Foto di Damir Jelic

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otterdam, Olanda. Luogo di nascita di Erasmo, la città con il più grande porto d’Europa, che nel 2009 è stata nominata capitale europea della gioventù, ospiterà dal 28 dicembre 2010 al 1º gennaio 2011 la Comunità ecumenica di Taizé per il suo consueto incontro europeo dei giovani, il “pellegrinaggio di fiducia sulla terra”. A raccontarlo è il Vescovo di Rotterdam, Mons. Adrianus Herman van Luyn, salesiano, che abbiamo incontrato nella sacrestia della basilica di Maria Ausiliatrice a Valdocco in occasione della festa di San Giovanni Bosco il 31 gennaio scorso. «Sono proprio felice di dare questa notizia – è il primo commento di Mons. Van Luyn – anche perché la richiesta è venuta congiuntamente dalla Conferenza Episcopale Cattolica dei Paesi Bassi, dal PKN (Protestante Kerk Nederlands, la principale chiesa protestante dei Paesi Bassi), che insieme hanno chiesto di ospitare questo incontro, segnale forte di una grande intesa delle chiese maggiori d’Olanda. Ci aspetta quindi un anno molto in-

tenso di pastorale giovanile perché dovremo prepararci ad accogliere i giovani in una città simbolo dello sviluppo economico, del benessere e che rappresenta la parte più industrializzata del paese. Una città multiculturale in cui convivono 170 nazionalità diverse ed alla quale dimostreremo che è ancora possibile raccogliere i giovani sulle vere domande della vita, sul senso della vita, su una prospettiva umana e umanizzante. Noi sappiamo che l’unica risposta a queste domande viene dal Vangelo, così come ha anche detto il nostro Rettor Maggiore, don Pasqual Chávez Villanueva, affermando come “la globalizzazione, il secolarismo, il pluralismo, il relativismo segnano lo scenario in cui oggi deve risuonare la buona novella, che dà all’uomo luce e speranza”. Per questo è molto importante questo pellegrinaggio della comunità di Taizè». – E come presentare in modo comprensibile e credibile soprattutto ai giovani questo programma evange-


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lico che va tanto controcorrente rispetto alle tendenze moderne? – Nella nostra Diocesi di Rotterdam in cui vivono 3 milioni e mezzo di abitanti abbiamo cercato di concretizzare questo progetto con un programma che si fonda su tre parole: spiritualità, solidarietà e sobrietà. Di spiritualità, ossia l’esperienza personale del rapporto con Dio, abbiamo tutti bisogno. Dappertutto nel continente europeo si aspira disperatamente a una nuova interiorità, si cercano nuove forme di comunione spirituale. Vita interiore e condivisione spirituale necessitano di educazione e formazione, affinché le singole persone acquisiscano un rapporto personale di fiducia e di abbandono in Dio amore. La solidarietà è strettamente legata alla spiritualità, poiché le due dimensioni di spiritualità e solidarietà sono le due facce inseparabili dell’unico necessario: l’amore verso Dio e l’amore verso il prossimo. Una condizione preliminare per un’autentica spiritualità e solidarietà, è la sobrietà, ossia prendere distanza dal consumismo, edonismo e materialismo moderni, temperando le proprie esigenze e aspirazioni e concentrando l’attenzione sulla responsabilità propria verso Dio e verso il prossimo, particolarmente verso i giovani, quelli che vivono in condizioni di povertà ed esclusione, e verso le generazioni future che rischiamo di privare delle necessarie risorse della natura. – Lei come presidente della Comece (Commissione degli episcopati della Comunità europea) ha più volte sollecitato il governo d’Europa sulle problematiche che più affliggono il continente. – Il nostro compito è di monitorare lo sviluppo delle Istituzioni sulla base della dottrina sociale della Chiesa, quindi prima di tutto la dignità inalienabile della persona umana non solo come

singolo ma anche come società e del bene comune che ne è una diretta conseguenza. Noi quindi dialoghiamo con la commissione europea, con il Parlamento su diversi temi, dalle questioni di etica della difesa della vita umana a quelle della giustizia sociale, dall’immigrazione, all’ambiente, alle politiche sociali, la pace, l’aiuto ai paesi in via di sviluppo, il disarmo nucleare, un tema di stretta attualità verso cui sollecitiamo i governi a rendersi conto dell’effettiva necessità di una condivisa azione in questa direzione.

U Mons. Van Luyn con il Rettore della nostra Basilica don Franco Lotto. Foto di Maurizio Versaci

– I giovani possono essere protagonisti della costruzione di questa Europa? – Come famiglia salesiana così come Don Bosco sentiamo oggi forte la supplica dei giovani d’Europa in cerca di orientamento, di un cammino, di una destinazione. A loro siamo chiamati ad annunziare la parola del Signore attraverso il carisma salesiano, di cui l’Europa, secolarizzata, individualista e materialista ha grande bisogno. Maurizio Versaci

RMA online Su www.donboscotorino.it oppure su www.ausiliatrice.net in approfondimenti, potete leggere anche l’articolo di don Pier Giuseppe Accornero “La Chiesa e il malato”.

versaci.rivista@ausiliatrice.net

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La pagina dell’ADMA

Vogliamo vedere Gesù!

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al 21 al 24 gennaio scorso, a Roma, si è svolta la XXVIII edizione delle Giornate di Spiritualità della Famiglia Salesiana. Impostata sulla “strenna” data dal Rettor Maggiore per il 2010, ha rinnovato l’impegno di tutti per rafforzarsi nella “sequela Christi” e per portare il Vangelo ai giovani. Due icone bibliche hanno accompagnato le giornate. La prima è quella dei discepoli di Emmaus, dove San Luca presenta ciò che facilita l’incontro con Gesù. Un paradigma di un riuscito cammino di fede, nel quale si descrivono le tappe ed i suoi contenuti e insieme, un forte stimolo a chiedersi: “Qual è la mia Emmaus? Dove e quando il Signore Gesù si è fatto mio compagno di strada? Quando l’ho riconosciuto come il Risorto?”. È solo da persone, comunità e gruppi che condividono l’esperienza del Risorto che nasce, infatti, la passione per un’autentica missione evangelizzatrice, rivolta soprattutto ai giovani.

Y I rappresentanti ADMA alla XXVIII edizione delle Giornate di Spiritualità Salesiana.

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Maria, modello di ogni credente La seconda icona è il quadro dell’artista-sacerdote Sieger Koeder, rappresentante il Padre misericordioso, scelto dal Rettor Maggiore quale metafora della “strenna” 2010. Raffigura Don Bosco che pone al centro del suo annuncio e della sua opera l’essere segno dell’amore misericordioso e paterno di Dio. In questo cammino di fede e di annuncio, Maria è modello di ogni credente. «Così appare, sin dal primo momento nel Vangelo di Luca, che nel racconto dell’Annunciazione la fa vedere aperta in forma incondizionata alla volontà di Dio, anche se questa non coincideva con il suo progetto personale e anche se non capiva tutto (Lc 1,26-38; 2,19.50.51). Stando alla testimonianza dello stesso Gesù, la grandezza di sua madre è quella di aver ascoltato la Parola di Dio e averla custodita con amore (Lc 11,28). Ecco la sua vera maternità! Questa visione di Ma-


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ria come modello di fede e madre di credenti appare anche nel Vangelo di Giovanni, che la nomina solo due volte, e come “donna”, all’inizio nelle nozze di Cana (Gv 2,1-11), suscitando con la propria fede nel Figlio la fede dei discepoli, e alla fine ai piedi della croce (Gv 19,25-27), quando viene affidato alla sua “scuola” il discepolo amato e a questi viene consegnata Lei come madre. La grandezza di Maria è dunque la sua fede e in questo ci viene offerta come modello da imitare e come madre da accogliere» (don Pascual Chávez). E Maria è Ausiliatrice soprattutto nel portarci a Gesù e nel farcelo conoscere attraverso il suo cuore di Madre e di credente. Nel 2011 il Congresso a Czestochowa I contenuti presentati nelle relazioni sono stati ripresi nelle testimonianze, espressione della ricchezza apostolica ed evangelizzatrice dei gruppi della Famiglia Salesiana. In particolare, ricordiamo l’iniziativa dell’Ispettoria di Pila, in Polonia: da anni, ispirandosi alle “passeggiate autunnali” di Don Bosco, ai giovani sono proposti pellegrinaggi e incontri di evangelizzazione, anche nelle strade e sulle piazze. L’esperienza è iniziata nel 1991 a Jasna Gora – quando Giovanni Paolo II lasciò ai giovani un mandato preciso: “Andate e predicate” – e coinvolge migliaia di persone in un intenso cammino di fede. Un’altra testimonianza è stata offerta da Armando e Pina Bellocchi, Salesiani Cooperatori di Biancavilla (Sicilia) con cinque figli, che stanno dedicando la loro vita a portare il Vangelo ai giovani attraverso il carisma salesiano, attraverso la musica e il teatro. L’ADMA è stata rappresentata da una trentina di persone, provenienti da varie città d’Italia, in particolare dalla Sicilia.

Un momento particolarmente intenso è stato la “Buona notte” di sabato 23, affidataci per annunciare a tutta la Famiglia Salesiana la celebrazione del VI Congresso Internazionale di Maria Ausiliatrice, che si svolgerà presso il santuario polacco della Madonna Nera di Czestochowa, dal 3 al 6 agosto 2011. Don Pier Luigi Cameroni, animatore spirituale, e Tullio Lucca, presidente dell’ADMA Primaria, con la moglie Simonetta, hanno presentato il significato dell’iniziativa, come momento di comunione e di rinnovato impegno apostolico di tutta la Famiglia Salesiana sotto lo sguardo e con l’aiuto di Maria. Pier Luigi Cameroni

U Il Rettor Maggiore don Pascual Chávez nel gesto che richiama lo slogan “Vogliamo vedere Gesù”.

ADMA news Per informazioni complete e aggiornate sull’ADMA nel mondo consultate il sito: www.donbosco-torino.it adma-on-line

pcameroni@salesiani.it

BRUNO BARBERIS

SINDONE IL MESSAGGIO UNIVERSALE Editrice Elledici, pagg. 32 - € 2,00 Una guida illustrata, scritta con linguaggio adatto a tutti. Sussidio ideale per quanti verranno a Torino per l’Ostensione della Sindone dal 10 aprile al 23 maggio.

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Appuntamenti mariani

Misericordia, Figlio, voglio e n 18 marzo 1536 - Nostra Signora di Misericordia in Savona La prima apparizione CSDM online Consultate l’archivio on-line del Centro di documentazione. Troverete anche nuove informazioni ed approfondimenti. www.donbosco-torino.it Questo mese: storia illustrata dei Papi della prima metà del V secolo.

I Il Santuario della Madonna della Misericordia a Savona.

S

abato 18 marzo 1536, Antonio Botta, un contadino nativo della valle di San Bernardo, a sei chilometri da Savona, si reca di buon mattino nella sua piccola vigna per completare la potatura delle viti. Strada facendo recita, come suo solito, il santo Rosario; giunto al piccolo torrente che deve attraversare pensa di rinfrescarsi in quelle acque, e proprio in quel momento gli appare la Madonna. La sua deposizione ufficiale è conservata nel Santuario, incisa su lastra di marmo fin dal 1596. Egli racconta che, mentre è intento a lavarsi le mani, vede scendere dal cielo un grande splendore; rimane tramortito, sta per cadere nel torrente, tanto che gli cade il berretto dal capo, e sente una voce provenire dalla figura di donna che vede nello splendore. “Levati e non dubitare ch’io son Maria Vergine. Vai dal tuo confessore e digli che annunzi in chiesa al popolo di fare digiuni per tre sabati e

di venire in processione in onore di Dio e della sua Madre. Tu poi ti confesserai e comunicherai; il quarto sabato tornerai in questo luogo”. Nel frattempo, il Botta sente passare per la strada pubblica alcuni mulattieri e, per paura di essere notato, vuole nascondersi, ma la Visione gli dice: “Non ti muovere, che non potranno vedere né l’uno né l’altro”. Quindi la Figura scompare e con lei scompare anche lo splendore. Riavutosi dallo stupore, Antonio corre ad informare dell’accaduto il Rettore di San Bernardo in Valle, un francescano, che conoscendo la sincerità e l’onestà di Antonio informa Mons. Bartolomeo Chiabrera, Vicario generale del Cardinale Agostino Spinola per la Diocesi di Savona. I predicatori poi, essendo in quaresima, eseguono l’ordine della Madonna ed invitano il popolo a fare penitenza. La seconda apparizione L’8 aprile, vigilia della Domenica delle Palme, e quarto sabato dopo la prima apparizione, Antonio Botta, fedele all’invito della Madonna, ritorna sul luogo del miracolo. Si pone in ginocchio, raccoglie le mani in preghiera, ed ecco il prodigio si ripete. Il cielo si apre ed un luce intensa, abbagliante, si posa su un sasso del torrente, ed a poco a poco prende forma di una Signora, tutta vestita di bianco, coronata d’oro fulgente, con le mani tese in giù ed allargate in un gesto di dolcissima misericordia. Quindi la Signora dice: “Tu andrai da quelli di Savona che mandarono a chie-

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e non giustizia dere spiegazioni sul mio primo messaggio, e dirai che annuncino al popolo di digiunare per tre sabati e facciano fare la processione per tre giorni da tutti i Religiosi e Case di Disciplinanti; ed a questi Disciplinanti sia raccomandata la disciplina (flagellazione), soprattutto nel giorno di Venerdì Santo... E in genere che annuncino a tutto il popolo di emendarsi dalle loro iniquità, e di lasciare i vizi e i peccati, perché il mio Figliuolo è molto adirato verso il mondo per le grandi iniquità che in esso al presente regnano”. Detto questo la Signora alza tre volte le mani e gli occhi al cielo ed esclama, rivolta a Gesù: “Misericordia, Figlio, voglio e non giustizia!”. Quindi scompare ed in quel luogo per lungo tempo rimane un intenso profumo.

T Immagine dell’apparizione della Vergine ad Antonio Botta.

ficenza della Rosa d’Oro, come segno di speciale distinzione, secondo in Italia dopo il Santuario di Loreto, insignito da Giovanni Paolo II. Mario Morra morra.rivista@ausiliatrice.net

I Papa Pio VII che incorona la Vergine. Entrambe le immagini sono conservate all’interno del Santuario.

La terza apparizione Il 18 marzo 1580, quarantaquattro anni dopo le prime apparizioni, la Madonna si mostra nuovamente nella valle del Letimbro ad un frate Cappuccino, padre Agostino da Genova. L’apparizione avviene sul poggio che si eleva solitario a nord-ovest del Santuario: è quasi un gesto di benedizione per la processione votiva che sta giungendo al Santuario a conferma del messaggio della Madonna e della sua protezione. Sul posto viene prima posta una Croce (di qui il nome di Crocetta dato al luogo), e nel 1680 viene eretta una Cappella a pianta ottagonale con cupola. Il Papa Benedetto XVI ha recentemente onorato il Santuario della Madonna della Misericordia con l’onori-

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Notizie e avvenimenti a cura di Mario Scudu ORISSA, BOMBA SUI CRISTIANI

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Y “Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato”: è il tema della Giornata Mondiale della Pace 2010.

Y In India i cristiani sono minacciati ed in pericolo. Molti sono stati vittime di violenze e assassini.

i sarebbero alcuni estremisti indù dietro l’attentato che ha causato una vittima e quattro feriti nel campo di profughi cristiani di Nandamaha, nel distretto di Kandhamal, la zona più colpita dalle violenze anticristiane nello stato indiano dell’Orissa. Una bomba è esplosa vicino alle case che ospitano un centinaio di cristiani appartenenti a 11 famiglie ancora sfollate dalle proprie abitazioni a causa dei pogrom anti-cristiani dell’agosto 2008, eventi che causarono 90 vittime e 50 mila sfollati. L’agenzia “Ucanews” riferisce che i quattro feriti sono cristiani, mentre non è ancora nota l’identità della persona rimasta vittima dell’esplosione. I cristiani locali non hanno dubbi: tale attentato avrebbe lo scopo di “destabilizzare” i cristiani residenti nel campo profughi, provenienti per lo più dalla parrocchia di Betticola, una delle più segnate dall’ondata di attacchi dello scorso anno. Secondo quanto si è appreso, la polizia locale ha scoperto alcune armi nascoste vicino al campo profughi. Alcune fonti della locale diocesi di Cuttack-Bhubane-

swar raccontano che i sospetti si concentrarono su gruppi di fondamentalisti indù che ancora oggi minacciano i cristiani di Kandhamal, invitandoli a diventare indù per sfuggire alle violenze. E dietro a questa nuova fiammata di violenza ci sarebbe il tentativo delle famiglie cristiane di riprendere una vita normale, ricostruendo le proprie case su terreni concessi dall’amministrazione statale dell’Orissa. L. Faz. Da Avvenire, 30 settembre 2009

PACE

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na giornata sul creato. “Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato”: è questo il tema del messaggio di Papa Benedetto XVI per la Giornata mondiale della pace del primo gennaio 2010.

Con la scelta della questione ambientale c’è la volontà di “sollecitare una presa di coscienza dello stretto legame che esiste nel nostro mondo globalizzato e interconnesso tra salvaguardia del creato e coltivazione del bene della pace”. Tale “stretto e intimo legame” è messo sempre più in discussione dai cambiamenti climatici e se l’uomo “non saprà far fronte a queste nuove sfide con un rinnovato senso della giustizia ed equità sociali si corre il rischio di seminare violenza tra i popoli”. Da Jesus, 2004

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Lettere a suor Manu

Da soli no! “Q

uando ho detto a mio marito che aspettavo il terzo figlio, mi ha detto che non ce la faceva più. Se n’è andato. Ora ho tre bimbe. Le due più grandi lo adorano e soffrono un sacco, vanno da lui nei week-end, ma mi sembra anche peggio... L’ultima non ha ancora un anno, non lo conoscerà. Per lei farò io da mamma e da papà. Suor Manu, dammi qualche dritta per non farle mancare nulla a livello educativo. In fondo, se suo padre è egoista, meglio che se ne sia andato, no?

Mai dire “meglio soli”, soprattutto in fatto di educazione. A scuola c’è un consiglio di classe, è indispensabile; al catechismo c’è una comunità, così anche in famiglia. Non possiamo pensare di realizzare da soli l’impresa più importante e difficile di ogni vita: l’educazione. Ecco, la prima “dritta” che mi permetto di darti è: prova a capire se non c’è nessuna possibilità che tuo marito ritorni, facendo tu il primo passo, perdonandolo o facendoti perdonare... Poi, trova qualche alleato, solitamente sono i nonni! Abbiamo bisogno di qualcuno con cui confrontarci, che ci dica un parere anche diverso dal nostro, almeno nelle decisioni più grandi. Abbiamo bisogno di solidarietà, di condivisione, di raccontarci le difficoltà che incontriamo, le soluzioni che vediamo possibili. Di raccontare i miracoli che vediamo realizzarsi nella vita dei nostri figli, le piccole, grandi conquiste! Di raccontare i disastri che

facciamo o che non riusciamo a evitare ai nostri figli. Una volta ho ascoltato una mamma: non le ho detto quasi nulla, l’ho ascoltata mentre si poneva le domande e cercava da sola le risposte; alla fine era felice ed io più di lei; a volte l’amicizia è soltanto fare da specchio. Educare insieme è un dovere perché i figli sono troppo preziosi. Anche se lui se ne va, non possiamo permetterci di essere educatori single. Forse ci serve un briciolo di umiltà per chiedere a un fratello o una sorella, a un sacerdote o una catechista, di allearsi con noi. Soprattutto non facciamoci mancare l’alleato migliore: Dio. Confidiamogli le nostre preoccupazioni, ringraziamolo per i doni che certamente non ci fa mancare, chiediamogli perdono per le mancanze di amore, chiediamogli di aiutarci con la sua Parola. Con Dio non saremo genitori unici, ma avremo un alleato unico: Dio è Amore! Manuela Robazza

U L’educazione dei figli è l’impresa più importante e difficile di ogni vita.

suormanu.rivista@ausiliatrice.net

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Nº 3 - MARZO 2010

La carità segna tutta la nostra vita La pagina del Rettore Parola di Dio o Dio che parla? Editoriale

Don Franco Lotto Don Stefano Martoglio

L’amore e la sua strada Leggiamo i Vangeli Una vita carica di eternità Spiritualità mariana

Marco Rossetti Maria Ko Ha Fong

Maria capolavoro dello Spirito Santo Maria nei secoli

Roberto Spataro

Missionari martiri, invito alla fedeltà Il Papa ci parla

Enzo Bianco

Chi ha paura dell’uomo crocifisso? Il poster

Mario Scudu

L’Immacolata e le mele verdi Esperienze di catechesi Compiere l’ordinario con amore straordinario Memorie salesiane

Anna Maria Musso Freni Lorenzo Bortolin

Una Madonna bizantina nella catacomba romana Maria nell’arte A Rotterdam da tutta Europa Attualità Vogliamo vedere Gesù La pagina dell’ADMA

Natale Maffioli Maurizio Versaci Pier Luigi Cameroni

Misericordia, Figlio, voglio e non giustizia Appuntamenti mariani Da soli no! Lettere a suor Manu

Mario Morra Manuela Robazza

FOTO DI COPERTINA:

Ritorni / con movimenti non più tuoi / nelle braccia di tua Madre. / T’accoglie / per amarti ancora / nel suo primo tramonto / senza di te, figlio. / Intorno / piccole corolle di chiesa / impazienti s’affacciano. Da “Prima sepoltura” di Piera Paltro. Cristo in Croce, Rogier van der Weyden (1399-1464), Kunsthistorishes Museum, Vienna.

Basilica di Torino Rivista della

-Valdocco

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ANNO XXXI -

MENSILE - Nº

3 - MARZO 2010

saggio gratuito per due numeri

re con il Figlio

La Madre soff

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