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Nº 2 - 2012 ANNO XXXIII BIMESTRALE
marzo-aprile
Remo Girone è MURIALDO, amico di DON BOSCO pag. 6 Gesù
L’uomo più “ricercato” della storia
n tema pag. 26 U in classe
pag. 38 A Valdocco
Fa riscoprire la differenza: vivere per Dio
la sfida educativa è sull’innovazione
hic domus mea
Carissimi lettori, a tutti voi
inde gloria mea Direzione: Livio Demarie (Coordinamento) Mario Scudu (Archivio e Sito internet) Luca Desserafino (Diffusione e Amministrazione) Direttore responsabile: Sergio Giordani
giungano i nostri auguri Cristo è risorto, alleluia!
Registrazione: Tribunale di Torino n. 2954 del 21-4-1980 Stampa: Scuola Grafica Salesiana - Torino
Il Signore è veramente
Corrispondenza: Rivista Maria Ausiliatrice Via Maria Ausiliatrice, 32 10152 Torino Centralino 011.52.24.822 Diffusione 011.52.24.203 Fax 011.52.24.677 rivista@ausiliatrice.net http://rivista.ausiliatrice.net www.donbosco-torino.it
risorto, alleluia!
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II MARZO-APRILE 2012
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Foto di copertina: Renzo Bussio
E 13,00 E 20,00 E 50,00 E 15,00 E 18,00 E 3,00
a u q s a P a
Il saluto del Rettore
Carissimi amici, siamo in un momento particolare dell’anno liturgico: Quaresima e Pasqua segnano i mesi di marzo e aprile. Celebrare questi tempi significa richiamare una realtà concreta, non soltanto come ricordo, ma come “memoria”, presente, attiva e rinnovatrice oggi per ognuno di noi: è il mistero del Signore Gesù che si presenta vivo nella storia dell’umanità e nella nostra storia, e che, attraverso il mistero della sua morte e risurrezione, continua a salvare il mondo. Tempo di Quaresima e tempo di Pasqua sembrano due realtà contrapposte: l’una chiede penitenza, l’altra invita alla gioia; l’una parla di peccato, e di morte, l’altra di grazia e di vita. Soltanto chi non è esperto nella logica del Vangelo si meraviglia di questa contrapposizione. Ma il Signore non parla proprio di contraddizione tra la sua logica e la logica umana? «Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie» (Is 55,8). Il Vangelo ci dice che alla violenza non si risponde con la violenza, che è grande chi si fa piccolo, che vince chi perde per amore, che vive chi muore. La croce non è forse il più grande segno di contraddizione «scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani» (1Cor 1,23)? E la risurrezione del Signore non spiazza forse tutte le logiche umane? Persino gli apostoli sono rimasti spiazzati! Per la nostra vita, allora, questo “fare memoria” diventa occasione di superamento delle nostre logiche umane, approfondimento della nostra fede, conversione della nostra mente, del nostro cuore, della nostra vita, perché solo così, purificati da questo cammino potremo scoprire ancora una volta l’amore di Dio, al di là delle fatiche, delle paure, delle sofferenze e della croce. Nel Vangelo c’è sì la pagina della morte di Gesù in croce, ma essa non è l’ultima; l’ultima è la pagina della sua risurrezione e del trionfo della vita. In questo momento storico, così confuso e complesso, che stiamo vivendo, siamo chiamati a ricordarlo e a testimoniarlo: “Niente ti turbi” ripeteva spesso Don Bosco, facendo sue le parole di S. Teresa, e lo ripete oggi a ciascuno di noi. Ogni giorno nel nostro Santuario celebriamo per voi, per i nostri benefattori e per tutti i nostri amici, una S. Messa, invocando sempre su tutti la benedizione del Signore e la protezione dell’Ausiliatrice. Buona Pasqua con gioia a tutti e tanta speranza. Don Franco Lotto, Rettore lotto.rivista@ausiliatrice.net
IL SALUTO del rettore
foto Don Bosco Austria
Niente ti turbi: Cristo è risorto
A tutto campo
Conquistati dalla meraviglia dei giovani Anche oggi è possibile appassionarsi ai giovani e diventare per loro una guida sicura. Basta osservarli per essere conquistati dalla loro meraviglia. Un impegno educativo a cui Mondo Erre è fedele da 37 anni.
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Don Valter Rossi, direttore della Rivista Mondo Erre, racconta il mondo giovanile che si svela nelle tante lettere che arrivano alla rubrica “cara Rosy”
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ome sono i ragazzi e i giovani? Oggi come ieri sembrano incomprensibili, superficiali, legati a mode passeggere e vuote, incapaci di impegno e annoiati. A volte, gli aggettivi negativi si sprecano, soprattutto tra adulti con poca memoria della propria gioventù e tanta nostalgia di tempi che proprio belli non sono mai stati. Altre volte ci si blocca perplessi, rinunciando di fatto al dialogo e alla condivisione dei valori propri di ogni ruolo educativo, o ci si limita ad un cameratismo infantile e vuoto che rivela le fragilità di un mondo che di adulto ha solo il nome. Eppure basterebbe uno sguardo amico, di sincera simpatia, per lasciarsi invadere dalla meraviglia nel contemplare la gioventù di oggi, così colorata e vivace, così capace di appassionarsi e stupirsi, così alla ricerca di verità e così pronta ad accogliere e condividere. Basterebbero orecchie vuote di pregiudizi per sentire, nei loro schiamazzi, la gioia di vivere e le domande di vita vera, le richieste di aiuto mascherate da aggressività o velate di tristezza e solitudine. Sono gli occhi e le orecchie con cui Mondo Erre, la rivista salesiana per i ragazzi, si apre al mondo
giovanile da oltre trentacinque anni. Prestare attenzione alla sensibilità dei ragazzi, ai loro problemi e desideri, diventare compagno di giochi, fratello maggiore, essere mano sicura e dito che indica la strada, voce forte che stimola a non essere cervelli all’ammasso. Ecco Mondo Erre: vivace e colorato, attuale e ricco di curiosità, mai banale e ancorato ai valori. Per esempio, i ragazzi e le ragazze che scrivono alla rubrica di lettere “cara Rosy” esprimono tutti i loro sentimenti, chiedono consigli, espongono riflessioni. Si firmava Cocca 96, ad esempio, e scriveva così: «Prima di tutto volevo dirti che ti ammiro molto per quello che fai per noi ragazzi che ti regaliamo i nostri problemi: hai sempre la risposta giusta. È una cosa bellissima e proprio perché è bellissima cerco di “sfruttarla” per i miei dubbi. Ho 14 anni e so bene che alla mia età si è pieni di domande alle quali non si riesce a rispondere. Solitamente ne parlavo con mia mamma, ma volevo sentire qualcosa di nuovo, di diverso...». A pensarci bene è proprio vero: quando una ragazza ha il coraggio di aprirti il suo cuore e parlarti dei suoi problemi, ti sta facendo un grande regalo, e un regalo non si fa a chiunque. Bisogna avere delle risposte. A volte anche i genitori danno risposte che sanno troppo di frasi ripetute. Sul piano delle risposte concrete noi adulti ci siamo poco. E dei nostri dubbi, le nuove generazioni non sanno che farsene. Un’altra ragazza, Claudia, così scriveva:
La curiosità, l’entusiasmo, i dubbi e lo stupore dei ragazzi che si affacciano alla vita trovano nelle pagine di Mondo Erre uno stimolo a crescere e a trovare risposte.
«Ciao, trovo sempre molto costruttive le risposte che dà alle nostre domande. E per questo mi chiedevo quale fosse il significato di diventare persone adulte. Grazie». Non è certo una questione da poco! Ci vuole coraggio per fare una domanda così importante e questa non può ricevere una risposta banale. La povera Rosy si sarà dovuta chiedere cosa vogliamo far diventare questi giovani di oggi, quali modelli di vita proponiamo e che messaggi trasmettere. Le loro domande ci devono mettere in discussione. Ed ecco la sua risposta: «Carissima Claudia, hai usato il verbo “diventare” e mi piace, perché non si tratta di raggiungere un traguardo e poi sentirsi arrivati, ma camminare ogni giorno verso una meta. Forse una volta, molto più di oggi, c’erano dei riti di passaggio: prima eri bambino, poi ragazzo, quindi adulto ed infine eri un anziano saggio e rispettato. L’adulto aveva una libertà strettamente legata alla responsabilità che ogni azione comporta. Oggi sembra che queste due parole non si riconoscano più a vicenda, e il mondo, che troppe volte vediamo solo in televisione, sia pieno di bambini desiderosi della libertà dei grandi e di adulti capricciosi e insoddisfatti, maleducati e incapaci di prendersi le proprie responsabilità. Per questo continuiamo a crescere sen-
za bruciare le tappe, godendoci le gioie semplici dell’amicizia, accettiamo le sfide che la vita ci pone e costruiamo le basi del futuro vivendo con responsabilità il presente». Di certo, siete in attesa di sapere anche il problema di Cocca 96, ma lo spazio è limitato… Non resta che abbonare il figlio o il nipotino a Mondo Erre e dare una sbirciatina alla rubrica.
INFO web
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Valter Rossi mondoerre@mondoerre.it
a tutto campo
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Leggiamo i vangeli
Come gli apostoli: scelti e Gli Apostoli sono chiamati in modo speciale dal più numeroso gruppo dei discepoli. A loro Gesù riserva alcuni doni. La loro vicenda è esemplare per ogni discepolo del Signore che voglia essere tale e capace di testimonianza. prattutto che cosa Gesù fece quel giorno (vv. 13-15). Raccontato questo, l’Evangelista conclude facendo la lista dei nomi degli uomini chiamati (vv. 16-19).
Su un monte con quelli che Gesù voleva
Una mano tesa: è la chiamata di Gesù. Non un vincolo che incatena, ma un’offerta, una proposta adatta alle caratteristiche e alle forze di ciascuno.
Via dal mare di Galilea Sono molte le persone che stanno seguendo Gesù fin dall’inizio della sua attività (Mc 3,8). Gesù è molto generoso con tutti, non si sottrae a chi è nel bisogno e gli chiede aiuto. Però, dal momento che le richieste aumentano smisuratamente, è costretto per il momento ad allontanarsi da tutte quelle persone: chiede per questo una barca, «perché non lo schiacciassero», scrive sinceramente Marco (3,9). Allontanatosi dal Mare di Galilea, sale su di un monte portando con sé un ristretto gruppo di persone. Ha qualcosa di importante da proporre loro. Chissà se gli uomini che egli aveva scelto avevano mai pensato di scendere da quella montagna con un’identità e con un compito completamente nuovi rispetto a quelli con cui vi erano saliti? Leggiamo il testo con maggior attenzione per scoprire come Marco dapprima ci narri ciò che è fondamentale, vale a dire il luogo in cui la vicenda si svolse, ma so-
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A volte, nei Vangeli ci sono luoghi che non hanno valore geografico in sé, ma per il loro significato. È questo il nostro caso. Il monte presso il quale Gesù salì in quel giorno non ha un nome perché serve ad evocare le alture importanti della Bibbia in cui si racconta che Dio si avvicinò particolarmente al suo popolo per stringere un’Alleanza o per proporgli qualcosa di importante. Se si considera questo, si giunge più preparati alla lettura di quanto segue. Gesù sale con «quelli che egli voleva». Quanto Marco scrive è molto significativo. Egli, infatti, intende guidarci a capire che il Signore non prende a caso qualcuno tra i discepoli, ma porta con sé coloro che vuole per un progetto che egli ha da molto in cuore. L’evangelista Luca ci aiuta a capire questo scrivendo che il Signore compì la scelta dopo aver pregato per una notte (Lc 6,12)! Il modo di fare del Signore ci conferma che la nostra relazione di discepoli è unicamente un dono della sua grazia. È lui che ci sceglie e ci mette nella condizione di poterlo seguire. Intendo dire che l’iniziativa è sua, soltanto sua. Ne viene che nel nostro rapporto di fede e nel discepolato, noi dipendiamo da Dio e dobbiamo sempre difendere le sue iniziative. A noi è data la bella responsabilità di rispondere. Come? Leggiamo.
amati Il primo dono: amati e scelti Quegli uomini non gli rispondono con domande di chiarimento o altre parole: semplicemente «andarono da lui». Un’azione di significato ancora più alto di qualsiasi altra parola pronunciabile in una simile occasione, esprime nel modo più esatto la risposta di coloro che poco prima avevano sentito l’autorevole chiamata del Figlio di Dio. «Ne costituì Dodici, che chiamò Apostoli» (v. 13): ecco che cosa il Maestro aveva intenzione di fare da tempo. Innanzitutto, il Signore «costituisce» quegli uomini come «i Dodici». Per tradurre il testo greco di Marco in modo più vicino all’originale, dovrei dire che Gesù «fece Dodici». Poco elegante lo scrivere dell’Evangelista? Tutt’altro! Se si considera che nell’Antico Testamento il verbo “fare” è detto di Dio che crea l’universo, allora si capisce che Marco lo sceglie per tracciare un collegamento: come Dio creò ogni cosa, ora Gesù crea, cioè fa di quegli uomini persone nuove, con un nome nuovo che li distinguerà per sempre. Si pensi che nel resto del Vangelo costoro saranno sempre chiamati «i Dodici» in riferimento a quello che Gesù fece di loro in quel giorno sul monte! I «Dodici» vengono anche chiamati «Apostoli», vale a dire «gli inviati da» Gesù. Un nome che descrive la loro indissolubile unione a Gesù e l’incarico di essere suoi messaggeri.
Dai 12 Apostoli oggi una Chiesa che conta milioni di persone. Da quella chiamata lungo il mare di Galilea, milioni di sì in tutto il mondo portano avanti la missione evangelica. Un annuncio che coinvolge e unisce se vissuto da ciascuno in profonda comunione con Dio nella vita di ogni giorno.
mento e di sé. Soltanto se gli Apostoli rimangono intimamente uniti al Maestro, possono essere veri suoi messaggeri ed inviati: a questa condizione potranno predicare e scacciare i demoni. Non dimentichiamolo. Persa l’unione con Cristo, tutto si perderebbe. Ora, ogni cosa è più chiara, perfino quelle parole misteriose dette da Gesù sul mare di Galilea a Pietro e ad Andrea: «Venite dietro a me, e vi farò diventare pescatori di uomini» (Mc 1,17). Esse non nascondevano l’intenzione di proporre un avvenire oscuro ed incerto ai primi discepoli; piuttosto, velavano il desiderio di far loro tre preziosissimi doni: crearli come nuove persone, metterli nella condizione di stare con Cristo, renderli capaci di predicare e di guarire. Il cuore dell’Apostolo e del nostro essere discepoli non è niente altro che la comunione con Cristo Signore da cui tutto emana. È il dono più prezioso da custodire con gioia e con cura. Marco Rossetti rossetti.rivista@ausiliatrice.net
La comunione con Lui La sorpresa è grande! Ci si potrebbe immaginare che ai «Dodici» Gesù affidi innanzitutto la missione di andare a predicare e guarire. Invece no. Il primo compito degli Apostoli consiste nell’«essere con lui»: gli Apostoli sono innanzitutto coloro che stanno col Signore, quelli a cui egli avrebbe dato il meglio del suo insegnaLEGGIAMO I VANGELI
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In cammino con Maria
Gesù: “ricercato numero uno” L’unico episodio evangelico che rompe il silenzio sui trent’anni della vita nascosta di Gesù a Nazaret è quello del pellegrinaggio al tempio di Gerusalemme. Lì avviene la sua prima autorivelazione come Figlio di Dio: pieno di sapienza, è assiso come un maestro.
L
’àpice di quell’episodio è il ritrovamento di Gesù dodicenne nel tempio. Maria, dopo tre giorni di ricerca ansiosa, nel riabbracciarlo gli domanda: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo» (Lc 2,48). Nel “perché” di Maria è il riassunto di tanti perché dell’umanità su vicende imprevedibili della vita umana; nel suo affanno, l’angoscia di tante persone che cercano faticosamente Dio. Alla domanda della madre, Gesù risponde in modo sorprendente e secco: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (Lc 2,49). «Perché mi cercavate?»: questa domanda appare molte volte nei dialoghi di Gesù con parecchie persone incontrate nella sua vita pubblica. È un dato che colpisce chi legge con attenzione i Vangeli: Gesù appare come “il grande ricercato”. Lo cercano, infatti, molte persone, singolarmente o in gruppo, con motivazioni e intensità diverse. Lo cercano in molte circostanze e in molti luoghi. E in tutte le fasi della sua vita.
Cercato dalla nascita al sepolcro Alla sua nascita è cercato dai
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La spianata del Tempio di Gerusalemme ancora oggi luogo di preghiera e di ricerca di Dio.
pastori invitati dal messaggero celeste, dai Magi venuti da lontano per adorarlo e da Erode che lo voleva uccidere. Adolescente a Gerusalemme, i suoi genitori lo cercano con ansia, credendolo smarrito nella confusione dei pellegrini. Durante il suo ministero pubblico egli è cercato dai discepoli affascinati, dai parenti preoccupati, dai sofferenti desiderosi di aiuto e dagli avversari pronti a coglierlo in fallo. Verso la fine della sua vita è cercato dai sacerdoti e dagli scribi per eliminarlo, da Giuda per tradirlo, dai soldati per catturarlo. Anche dopo la morte, amici e nemici lo cercano al suo sepolcro. E Gesù si fa trovare? Non sempre. A chi lo cerca con la pretesa di trovarlo a modo proprio, Gesù reagisce sistematicamente con un rifiuto netto. Quando i discepoli, visto il desiderio pressante degli abitanti
di Cafarnao, fanno notare a Gesù: «Tutti ti cercano!». Egli risponde ironicamente: «Andiamocene altrove per i villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!» (Mc 1,38). Gesù, schivo di fama, di gloria e di onore, si muove libero, in perfetta sintonia con il volere divino e in totale adesione alla sua missione di portare la salvezza non a pochi privilegiati, ma a tutti. Egli rifiuta chi pretende di possederlo, di sistemarlo nei propri schemi mentali. Si oppone a chi vuol restringere l’orizzonte universale della sua missione riducendolo a guaritore a buon mercato, un taumaturgo del paese. Similmente, egli risponde con parole taglienti alla folla che lo cerca dopo il miracolo della moltiplicazione dei pani: «Voi mi cercate non perché avete visto i segni, ma perché avete mangiato dei pani» (Gv 6,26). Gesù sa bene che la folla non cerca lui, ma il vantaggio che deriva nell’averlo a propria disposizione. Egli smaschera la falsa ricerca a scopo egoistico e meschino.
loro ricerca di lui alla sua continua ricerca delle cose del Padre. Egli li associa nella tensione comune verso la stessa meta. E come se dicesse loro: «Non affannatevi a cercare me, piuttosto unitevi a me nella ricerca della volontà del Padre». Gesù ha un “devo” di cui è consapevole, ma vivendo in profonda comunione con lui, anche Maria e Giuseppe hanno un “devo” da scoprire man mano che progrediscono nel cammino della vita e della fede. Essi prendono coscienza in modo sperimentale che la vocazione del loro figlio non è quella da svolgere all’interno di una famiglia, se pur santa, ma quella di realizzare il progetto del Padre che abbraccia tutta la storia e tutta l’umanità. D’altro canto, essi iniziano a comprendere che il loro distacco dal figlio non è segno di lontananza, ma di vicinanza, perché con la fede essi entrano sempre più nel progetto di salvezza che Gesù sta attuando. Iniziano a sperimentare che il vero amore comporta lo smarrimento, la confusione dei sentimenti, il distacco, l’orientarsi verso l’oltre, il salto in alto.
Farsi trovare in un modo diverso Alle volte Gesù frustra le attese immediate di coloro che lo cercano non per rifiutarle in assoluto, ma per sollevarle, dilatarle, purificarle e trasformarle. Egli si fa trovare, ma altrove, su un altro piano, in un modo diverso. Arrampicato su un albero, Zaccheo “cerca di vedere” passare Gesù, ma lui sorprende la sua attesa e si fa invitare a casa sua. La donna emoroissa cerca timidamente di toccare di nascosto la veste di Gesù, ma riceve la guarigione e un elogio pubblico. Al sepolcro le donne cercano un corpo morto, trovano invece il vivente. «Perché mi cercate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». La risposta di Gesù adolescente a Maria va collocata in questa categoria. Gesù riconosce la sincerità della ricerca dei suoi genitori, l’accoglie e la ricolloca su un piano più alto. Egli configura la
Maria Ko Ha Fong È nel cuore dell’uomo che abita quel desiderio di Dio che spinge a cercarlo senza volerlo possedere, che alimenta quella nostalgia di allargare gli orizzonti e alzare lo sguardo, che può cambiare la nostra vita.
kohafong.rivista@ausiliatrice.net
in cammino con maria
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Maria nei secoli
Il dogma dell’Immacolata: la luce dell’800 L’Ottocento è stato un secolo di grandi invenzioni scientifiche e conquiste sociali, ma è stato anche quello del dogma dell’Immacolata, proclamato dal papa Pio IX nel 1854, e delle apparizioni a Bernardetta, a Lourdes, nel 1858. Ha quindi una forte impronta mariana.
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o hanno definito “il secolo delle invenzioni”. Nel XIX secolo si susseguirono, infatti, scoperte e applicazioni che hanno cambiato la vita della gente: l’elettricità, i treni, la radio, il cinema. In Europa, i popoli iniziarono ad appassionarsi all’idea di libertà e di giustizia sociale: nacquero i regimi democratici, ancora imperfetti, e i sindacati per la difesa dei diritti dei lavoratori. All’interno della Chiesa, poi, ci fu una fioritura straordinaria di santi ed uno slancio missionario senza paragoni con il passato. In questo secolo ricco di promesse e di speranze, una giornata fu una specie di anticipazione del Paradiso: l’8 dicembre 1854. Un Papa che ha molto sofferto a causa dei nemici della Chiesa e che era devotissimo della Madonna, il Beato Pio IX, mentre il suo volto era illuminato da un raggio di sole che all’improvviso aveva squarciato il cielo plumbeo di Roma, all’interno della Basilica Vaticana di San Pietro, proclamò il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria. Mise così il sigillo dell’infallibilità del Papa a una verità della fede cattolica che da secoli era già viva all’interno della Chiesa. La gente semplice faceva a gara ad iscriversi alle confraternite intitolate all’Immacolata. Artisti eccellenti, come il pittore spagnolo Murillo o l’italiano Tiepolo, l’avevano espressa nelle loro tele ancor oggi ammirate nei musei. Teologi geniali, come
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Duns Scoto nel XIII secolo e Alfonso de’ Liguori nel secolo XVIII, l’avevano spiegata con dovizie di argomenti. La Liturgia, sin dal secolo XI nella lontana Inghilterra, la celebrava con riti e preghiere. Mistici che hanno ricevuto delle rivelazioni speciali, come Santa Brigida di Svezia, compatrona d’Europa, l’avevano intuita e comunicata. I figli di San Francesco si erano sempre distinti nel proclamare l’Immacolata Concezione di Maria al punto da prestare il giuramento di difendere questa verità sino alla morte contro i suoi detrattori, imitati dai professori di molte università spagnole ed italiane. Papa Pio IX, Giovanni Maria Mastai Ferretti nacque a Senigallia il 13 maggio 1792 e morì a Roma il 7 febbraio 1878. Il suo pontificato, di 31 anni, 7 mesi e 23 giorni, rimane il più lungo della storia della Chiesa cattolica.
Era del tutto conveniente che una Madre così venerabile risplendesse sempre adorna dei fulgori della santità più perfetta, e, immune interamente dalla macchia del peccato originale, riportasse il più completo trionfo sull’antico serpente (Beato Pio IX, Ineffabilis Deus).
Un inno di lode alla “piena di grazia” Insomma, un’armonia di voci per cantare un inno di lode alla Madonna che, in quanto Madre di Dio, non poteva che essere concepita senza il peccato originale, ed essere dunque la “Tutta Santa”. Il “la” a questa sinfonia si trova nel Vangelo. L’arcangelo Gabriele, salutando la Vergine, la chiama «piena di Grazia», come ripetono i fedeli di tutto il mondo quando recitano la preghiera mariana più diffusa, l’ave Maria. Come già osservò il più grande teologo della storia, San Tommaso d’Aquino, nessuna creatura ha mai ricevuto questo titolo: dunque la Madonna gode di un privilegio singolare. E poiché la “grazia”, cioè la vita stessa di Dio nell’a-
nima, purifica e santifica, la Madonna è pura e santa, come nessun’altro. Qualche volta la lingua greca, quella in cui è stato scritto tutto il Nuovo Testamento, è indispensabile per capire meglio il Vangelo: la parola “piena di Grazia” è espressa da un termine che in greco significa che c’è stata una “causa” che nel tempo ha prodotto un “effetto” che dura per sempre. L’effetto è la “pienezza della grazia”. E la causa? Il concepimento di Maria senza peccato originale. A darne conferma è venuta la Madonna stessa, quattro anni dopo la proclamazione del dogma, nel 1858, a Lourdes. A Bernardette Soubirous che, neppure ne capiva il significato, Ella ha detto di essere l’“Immacolata Concezione”.
Pio IX proclama il dogma dell’Immacolata Concezione (Francesco Podesti - Vaticano - Sala dell’Immacolata).
Quel Papa umile e mite che fu Pio IX, il grande benefattore ed amico di Don Bosco, proclamando il dogma dell’Immacolata Concezione, volle così dare agli uomini del suo tempo e, in fondo, a quelli di ogni epoca, un ammonimento e volle pure accendere una grande speranza. L’ammonimento è questo: esiste il peccato originale che, con le sue conseguenze, spinge gli uomini a fare il male; esiste però anche e soprattutto la Grazia di Dio che guarisce dal peccato e attrae verso il bene. L’Immacolata, priva del peccato originale, mostra quanto sia bello vivere in Grazia di Dio. E con il Suo aiuto a nessuno è precluso un cammino di purificazione e di santificazione. Roberto Spataro spataro.rivista@ausiliatrice.net
Ludovico Mazzanti: “L’Immacolata” (sec. XVIII).
Quanto è bello vivere in “grazia” Quel giorno dell’anno 1854 va davvero considerato come il più importante di quel secolo XIX in cui, purtroppo, tanti avvenimenti stavano mostrando quanto deleterie siano le conseguenze del peccato originale, ieri come oggi: la violenza delle guerre con il triste corteo di morti e distruzioni, la cupidigia dell’egoismo dei ricchi che crearono tantissimi poveri di cui solo la Chiesa si prese cura, la superbia dei cattivi maestri che negavano l’esistenza di Dio per ribellarsi ai suoi comandamenti.
Don Bosco aveva fervorosamente pregato, aveva celebrato Messe per affrettare la grazia di questa definizione dogmatica, che da lungo tempo desiderava; e continuò a pregare e a ringraziare il Signore per aver così glorificata in terra la Regina degli Angeli e degli uomini. La festa dell’Immacolata divenne la sua prediletta (Don Lemoyne, Memorie Biografiche). Maria nei secoli
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Maria nei secoli
La Madonna in campagna la novità di Lorenzo Lotto per San Bernardino
L’opera per la chiesa bergamasca fu dipinta nel 1521. Accanto alla Vergine con il Bambino, San Bernardino, San Giuseppe, San Giovanni Battista e Sant’Antonio abate. E c’è anche un angelo che con lo sguardo cerca di coinvolgere lo spettatore.
L
orenzo Lotto era giunto a Bergamo nel 1513 attratto da incarico prestigioso: la realizzazione della cosiddetta pala Martinengo, da collocare nella chiesa domenicana di Santo Stefano, incorniciata da un’ancona lignea, realizzata dal migliore architetto bergamasco del momento, Pietro Isabello. L’edificio sacro fu demolito nel 1561, nella costruzione delle possenti mura difensive della Città Alta volute dalla Serenissima Repubblica di Venezia e la pala fu poi ospitata nella chiesa cittadina di San Bartolomeo. A Bergamo il Lotto vi rimase fin oltre il 1526, dipingendo pale d’altare, affreschi e ritratti per personaggi nobili o borghesi della città orobica e il circondario e approntando, nell’ultima fase del suo soggiorno, una serie di disegni per le tarsie dell’iconostasi e del coro della Basilica di Santa Maria Maggiore. Sono da annoverare tra i suoi capolavori di questo periodo gli affreschi di san Michele al Pozzo Bianco e quelli della cappella Suardi di Trescore. Il 1521 fu un anno significativo per il Lotto, perché realizzò due importanti pale, la prima per un altare della chiesa di Santo Spirito e l’altra per la chiesa di San Bernardino in Pignolo.
L’inconsueta ambientazione in campagna In quest’ultimo lavoro, un autentico opera innovatrice, il pittore si libera dal tradizio-
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nale apparato architettonico, tanto caro a Giovanni Bellini e compagni, inserendo la scena in aperta campagna con la Madonna e il Bambino in una zona d’ombra data da un tendone che scivola e ricopre i gradini del trono marmoreo; questa sorta di baldacchino è teso da quattro angeli potentemente scorciati. Affiancano l’alto podio San Bernardino, titolare della chiesa, con il viso rivolto all’insù, tutto preso nell’estasi della contemplazione, al suo fianco un anziano San Giuseppe si appoggia al tradizionale bastone. Sul lato opposto San Giovanni Battista indica ad un vecchio sant’Antonio abate la Vergine
con il Bambino. Lo sguardo del fedele è però attratto dall’angelo che, inginocchiato sull’ultimo gradino del trono, è tutto intento nello scrivere su un libro chissà quali misteriosi pensieri; si volge e interroga con uno sguardo lo spettatore quasi a voler stabilire un legame, coinvolgerlo in una conversazione a cui tutti possono e sono chiamati a partecipare. Alcuni particolari del dipinto sono cari al pittore: le rose canine sparpagliate sul nudo marmo della base, simbolo di passione e il paesaggio, appena accennato oltre l’alto parapetto, con un bosco dove alligna un principio d’incendio. Sovrasta la sacra conversazione un magnifico cielo che dal tempestoso anello dorato si va acquietando verso l’orizzonte illuminato dalle prime luci dell’alba.
Regalava l’“Imitazione di Cristo” agli amici Il Lotto era nato a Venezia verso il 1480. Non possediamo l’atto iniziale della sua vita, ma l’estremo: nel suo testamento del 1546 si dice «pictor veneziano di circha anni 66». Nulla sappiamo della sua famiglia, che doveva essere ci ceto mercantile, né della bottega dove svolse il suo primo apprendistato. Aveva una fede profonda e non acritica. Conosceva la Bibbia, Vecchio e Nuovo Testamento e l’Imitazione di Cristo. Tra il 1503 e il 1504 fu a Treviso dove la sua presenza è fittamente documentata. Dipinse il ritratto del vescovo Bernardo de’ Rossi e del suo segretario
Broccardo Malchiostro. Il ritratto del prelato era corredato da una coperta con un vivace soggetto allegorico. Nel 1506 ottenne un arbitrato dal tribunale acclesiastico di Treviso per il pagamento della pala di santa Cristina al Tiverone, una delle sue prime opere di rilievo. Tra il 156 e il 1508 è nuovamente nelle Marche: lavora a Recanati dove esegue il polittico di San Domenico. Dopo la parentesi bergamasca tornò alla nativa Venezia dove rimase fino al 1549, tra alterne vicende, cimentandosi idealmente con l’altro campione della pittura lagunare, Tiziano Vecellio. Prima della triste partenza per Ancona, affidò al Sansovino la vendita di sei quadri e dei suoi amatissimi cammei. Nelle Marche lavorò ad Ancona e a Iesi, fino a che, nel 1554, divenne oblato nella Santa Casa di Loreto. Il primo luglio del 1557 era già morto: l’amministrazione della Santa Casa vendeva a dei francesi un materasso “già di Lorenzo Lotto”. Natale Maffioli maffioli.rivista@ausiliatrice.net Maria nei secoli
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La parola qui ed ora
Quest’uomo era Figlio di Dio! Mancavano due giorni alla Pasqua e agli Azzimi, e i capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano il modo di catturarlo con un inganno per farlo morire. (…) Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». (…) E subito, mentre ancora egli parlava, arrivò Giuda, uno dei Dodici, e con lui una folla con spade e bastoni, mandata dai capi dei sacerdoti, dagli scribi e dagli anziani. (…) Di nuovo il sommo sacerdote lo interrogò dicendogli: «Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto?». (…) Pilato gli domandò: «Tu sei il re dei Giudei?» Ed egli rispose: «Tu lo dici». (…) Erano le nove del mattino quando lo crocifissero. (…) Ma Gesù, dando un forte grido, spirò. (…) Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!». (Mc 14, 1-15,47)
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Il cammino della Via Dolorosa a Gerusalemme.
a lunga lettura della Passione del Signore è un evento unico nell’anno liturgico, così come unici sono i gesti e le funzioni che si compiono nelle giornate del Triduo pasquale: lavanda dei piedi, venerazione della Croce, Veglia pasquale… Il fatto è che per la fede cristiana non c’è assolutamente niente altro di più importante delle verità che vengono ricordate in questi giorni.
La risurrezione del Signore dai morti non è un “miracolo” estemporaneo, staccato dal contesto in cui Gesù ha vissuto e predicato; la vittoria sulla morte è la conseguenza – incredibile e “logica” insieme - della Passione e della nuova alleanza. Il mistero cristiano è la gioia piena – la vita eterna – che si raggiunge attraverso la croce. I racconti (meglio sarebbe dire: le testimonianze) degli Evangelisti dedicano tutti una parte preponderante ai giorni della passione morte e risurrezione: proprio perché fin dall’inizio questo era il nucleo centrale della fede che veniva trasmesso nella catechesi degli A postoli e dei discepoli; la liturgia (celebrazione del Signore morto e risorto) non può che ripercorrere fedelmente questo cammino, per “imparare” i gesti di Gesù e ricordare il loro significato nell’economia della salvezza.
All’inizio dell’avventura dell’Occidente Il senso “celebrativo” (ma anche letterario, e teatrale) della funzione delle Palme si ritrova anche in questa realtà, fascinosa e impressionante: ognuno dei passaggi del racconto evangelico ha segnato
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profondamente la nostra vita e la cultura dell’Occidente, sia perché le varie scene sono state rappresentate all’infinito nella pittura e nella scultura, sia perché ogni parola di questo racconto (ma non è così per ogni parola di tutto il Vangelo?) risuona nel profondo della nostra memoria e della nostra coscienza. Quei tre giorni a Gerusalemme sono all’inizio dell’avventura dell’Occidente e hanno un senso non solamente per chi, con il dono della fede, riconosce nel sacrificio e nella risurrezione di Cristo la salvezza, ma anche per tutti gli altri che, anche al di fuori di un orizzonte religioso, «non possono non dirsi cristiani» come ricordò B. Croce. E se c’è uno spunto che si vorrebbe oggi sottolineare viene proprio dal versante di una lettura “laica” della Passione. Mentre il Sinedrio ha bisogno di una “prova religiosa” per condannare Gesù, e la trova nella sua “bestemmia” di riconoscersi Messia (Mc 14, 62), nel processo di fronte a Pilato emerge con una chiarezza assoluta, impressionante, la “liberazione” che Gesù istituisce con la sua testimonianza e la sua morte. Il “re dei Giudei” viene a istituire (o meglio: a rivelare) un regno che non è in concorrenza con nessuno dei poteri mondani ma li trascende, affermando che ben altro è la “sudditanza” dell’uomo.
Un libro indimenticabile (e forse troppo poco riletto), il Quinto evangelio di Mario Pomilio, presenta una versione affascinante del processo a Gesù, inquadrandolo proprio nella prospettiva drammatica del contrasto tra la “fedeltà a Cesare” (allo Stato, al potere costituito) e il richiamo profondo alla libertà che è Dio. Pomilio inventa la recita del processo a Gesù nella Germania nazista: e il Pilato interpretato da un capitano della Wermacht giunge alle stesse conclusioni del personaggio evangelico quando capisce che la “libertà” portata dal Cristo è propriamente la libertà della coscienza dell’uomo da ogni Stato etico. Il “re” che viene acclamato con le palme è lo stesso deriso dai soldati, e poi crocifisso: ma proprio la libertà profonda di ogni uomo è il “regno” che viene ad instaurare, e che non potrà essere cancellato da alcun altro potere terreno.
Sulla croce il “re dei Giudei” viene a istituire un regno che non è in concorrenza con nessuno dei poteri mondani ma li trascende, affermando che ben altro è la “sudditanza” dell’uomo.
Marco Bonatti marco.bonatti@lavocedelpopolo.torino.it
Crocifisso per liberare l’uomo Quella di Gesù è, in verità, una liberazione antica: perché discende direttamente dal primo Comandamento, «Non avrai altro Dio all’infuori di me»: è l’assoluta libertà della coscienza di ogni uomo di fronte ad ogni altro uomo e a qualunque altra “struttura” e potere del mondo. Non c’è niente altro che Dio. Gli Ebrei che vanno a reclamare la morte di Gesù di fronte a Pilato gridando «non abbiamo altro re che Cesare» (Gv 19,15) rinnegano qui la propria alleanza, e in questo si condannano. LA PAROLA QUI ED ORA
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Amici di Dio
La ‘buona a nulla’ di Lourde Bernardetta, la protagonista delle apparizioni di Lourdes, umanamente parlando viveva in una situazione psico-clinica familiare desolante, ma era una “povera in spirito”, cioè si fidava totalmente di Dio. E Maria Immacolata scelse proprio lei.
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a “Signora vestita di bianco” le aveva promesso: «Non ti farò felice in questo mondo, ma nell’altro». Le difficoltà non furono poche, le incomprensioni e i sospetti duri a morire, le cause di infelicità tante, le umiliazioni pure. Non ultima, quella ricevuta all’inizio della sua vita da religiosa. Finite le apparizioni, Bernardetta rimase ancora a Lourdes, ritirandosi nel silenzio e nel nascondimento; poi, si consacrò a Dio, entrando tra le suore di Nevers. Aveva vent’anni. Al Vescovo, che aveva ricevuto la sua professione religiosa, la Superiora disse: «Che cosa vuol dire a costei che è buona a nulla?». E lui con
dolcezza: «Figlia mia, poiché siete buona a nulla, vi darò l’incarico della preghiera».
Non le mancava mai il sorriso
Santa Bernadetta Soubirous nel 1866 entrò nell’ordine delle suore della carità di Nevers, dove morì a 35 anni, il 16 aprile 1879. Quindici anni di vita religiosa vissuti nel nascondimento e nella preghiera per lei che era stata prescelta dalla Vergine per portare il messaggio salvifico del Figlio all’umanità.
Bernardetta l’accettò. Sino alla fine della vita. Trascorse i suoi 15 anni di vita religiosa nel nascondimento e nella preghiera, facendo i lavori più umili e più duri, tutto alla maggior gloria di Dio, unita a Cristo sofferente. Ogni azione fatta per la conversione dei peccatori, come le aveva chiesto la bella “Signora”. Missione eseguita con fedeltà anche nelle grandi sofferenze che ebbe negli ultimi anni della sua vita, quando fu costretta a letto. Anche quando fu inaugurato il primo Santuario a Lourdes, lei era ammalata. Sempre, anche durante la malattia, a “questa buona a nulla” non mancherà mai il sorriso proveniente da una gioia profonda che niente di brutto e di difficile riusciva a turbare. Il ricordo della Signora che chiamava “la mia Madre del Cielo”, le sarà sempre di grande conforto anche nei momenti più duri della malattia. Diceva spesso: «Maria SS. Immacolata è così bella che, dopo averla vista una volta, non si attende altro che di rivederla in Cielo per sempre».
Chi era questa buona a nulla? Come accennato, Bernardetta presentava un quadro psico-clinico sociale desolante: situazione familiare povera, salute debole (asmatica e un po’ ritardata fisi-
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s prediletta da Maria camente), quoziente intellettuale basso (intelligenza pratica, memoria scarsa per cui non riusciva ad imparare il Catechismo). A 14 anni, quasi analfabeta. Era una pastorella e con pecore… veramente «rognose» (dirà lei). Particolare importante: aveva sempre con sé il «suo tesoro», cioè un rosario, che recitava tutti i giorni. Ma San Paolo non aveva forse scritto: «Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti» (1Cor 1,27)? Possiamo sorridere quanto vogliamo per la povertà, in tutti sensi, di lei, ma Maria è apparsa proprio a lei, l’11 febbraio 1858, la prima di 18 apparizioni. Che segneranno per sempre Bernardetta. Proprio a lei «la Signora» affidava un messaggio con il quale chiedeva a tutti conversione, penitenza e preghiera. Da notare che la Madonna, che si presenterà dicendo «Io sono l’Immacolata Concezione», usava in questa auto-definizione il contenuto del dogma dell’Immacolata Concezione proclamato da Papa Pio IX l’8 dicembre del 1854, cioè soltanto quattro anni prima. Quando poi Bernardetta riferì quelle parole difficili al parroco, che temeva più dei gendarmi, si capì subito che esse non potevano essere frutto né della cultura religiosa (scarsa), né della sua fantasia (non brillante). Lei era soltanto una povera pastorella, che conosceva la durezza della vita.
I favori del Cielo si pagano Apparizioni proprio a lei? La Madonna non poteva scegliere di meglio? È chiaro che le visioni per lei significavano nuovi orizzonti spirituali, nel futuro, ma anche molte “grane” nel presente. Cominciarono, infatti, i sospetti, le burla, gli interrogatori, le accuse di isterismo, perfino l’arresto dei gendarmi. Insomma, non era creduta da nessuno. Dubbi in tutti e do-
Grazie, grazie «Per la miseria di mamma e papà, per la rovina del mulino, per la bocca di troppo che ero da sfamare, per i bambini che ho accudito, per le parole rudi di Padre Peyramale grazie. Per i giorni in cui siete venuta, per quelli in cui non siete venuta, non potrò mai ringraziarvi abbastanza che in Cielo. Grazie perché se ci fosse stata una giovane più insignificante di me, non avreste scelto me… Per Madre Josephine, che mi ha definito buona a nulla, grazie. Grazie di essere stato l’oggetto privilegiato dei rimproveri, per cui le Sorelle dicevano: «Che fortuna non essere Bernardetta». Grazie di essere stata Bernardetta, minacciata di prigione perché vi aveva vista, Vergine Santa, [grazie] di essere stata guardata dalla gente come una bestia rara: questa Bernardetta talmente insignificante, che quando la si vedeva, si diceva: «Quella là?». E per questa anima che mi avete dato, per il deserto dell’aridità interiore, per la vostra oscurità e le vostre rivelazioni, per i vostri silenzi e i vostri lampi, per tutto, per Voi, assente o presente, grazie Gesù» (dal “Testamento di Bernardetta”).
Tratto in forma ridotta da:
vunque. Lei, però, resistette, non si contraddisse mai, non rinnegò niente e non si sottrasse a nessuna difficoltà. Finché, quattro anni dopo, nel 1862, arrivò il riconoscimento dal Vescovo che dichiarava autentiche le apparizioni autorizzando la prima cappella a Massabielle. Cominciava, così, la storia di Lourdes: storia della misericordia di Dio e della miseria umana, storia di perdono e riconciliazione, di conversione e di molte guarigioni spirituali (e talvolta anche corporali). Il tutto nel ricordo di Maria Immacolata. Due anni dopo ci fu il viaggio da Lourdes a Nevers, per diventare suora. Alla vestizione religiosa affermò: «Io sono venuta qui per nascondermi». Anche durante quegli anni continuarono le difficoltà, le sofferenze, le umiliazioni e la malattia. I favori del Cielo si pagano! E la felicità? Arrivò con la morte il 16 aprile 1879, col sorriso sulle labbra. Aveva 35 anni. Il cammino terreno di questa “buona a nulla” era terminato. Bernardetta non moriva, ma andava a rivedere la «sua Madre nel Cielo», che l’aspettava a braccia aperte. Mario Scudu archivio.rivista@ausiliatrice.net AMICI DI DIO
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Esperienze
Il silenzio nel cuore della città A Torino, dove un tempo sorgeva il carcere Le Nuove, è nato un eremo dedicato all’accoglienza e alla preghiera.
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n’oasi di pace nel cuore pulsante della metropoli. Uno spazio aperto a tutti, per ritrovare il senso di sé e delle cose, prima di tornare a immergersi nel caos della città. È la proposta dell’Eremo del Silenzio, nato all’interno di quello che fu il carcere Le Nuove di Torino, in via Paolo Borsellino 3, a pochi passi da corso Vittorio Emanuele II, a metà strada tra le stazioni ferroviarie di Porta Susa e di Porta Nuova. Un sogno accarezzato a lungo, che sta prendendo forma sempre più compiuta grazie soprattutto alla determinata passione di Juri Nervo e di un gruppo di giovani volontari. Trentacinque anni, sposato, salesiano cooperatore, educatore al carcere minorile Ferrante Aporti e iscritto alla Facoltà di Teologia, lo abbiamo incontrato per saperne di più.
Uno spazio aperto a tutti Come è nata l’idea di dar vita a un eremo all’interno di un’ex struttura carceraria?
L’ascolto della Parola rende liberi, ma per ascoltare occorre cercare di trovare il silenzio.
Preghiera, meditazione e spirito missionario sono i pilastri sui quali si fonda l’Eremo del Silenzio.
«Come risposta, credo, alle mie preghiere di comprendere come essere cristiano e poterlo testimoniare nel mondo. Le Nuove, costruite sotto il regno di Vittorio Emanuele II e inaugurate nel 1870, sono state concepite come un carcere a isolamento totale. Destinato inizialmente agli imputati e ai condannati con pena non superiore a un anno, ha visto passare tra le proprie mura - in oltre un secolo di storia - soldati disertori della I guerra mondiale, operai Fiat arrestati nel “biennio rosso”, oppositori al regime fascista, partigiani, deportati, ebrei e altre vittime delle leggi razziali, mafiosi, terroristi e tangentopolisti. Le sue celle anguste e i lunghi corridoi mi hanno ispirato una scelta che è anche una provocazione: far sorgere un eremo, per definizione luogo di esclusione volontaria, all’interno di un carcere che fino a una trentina di anni fa è stato per molti luogo di esclusione forzata e obbligata». Come si sta concretizzando? «Tutto è cominciato meno di un anno fa, nel caldo torrido di agosto, grazie all’entusiasmo e all’impegno di amici e vo-
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lontari che hanno da subito condiviso il progetto e regalato il proprio tempo e le proprie energie per svuotare, pulire, ridipingere e rendere agibili i locali, abbandonati da oltre vent’anni. Ai loro sforzi si sono aggiunti quelli della comunità Murialdo, che sta contribuendo ai lavori di ristrutturazione attraverso borse di lavoro per adolescenti in difficoltà, e dell’Ente di formazione Engim, che ha organizzato per gli aspiranti elettricisti un’esercitazione pratica per mettere a norma l’impianto elettrico». A chi si rivolge? «Le porte dell’Eremo del Silenzio sono aperte a chiunque desideri varcarle: ai giovani, agli studenti, alle famiglie, ai gruppi intenzionati a condividerne le regole e lo stile… La struttura si compone di quattro celle dotate di servizi igienici e dispone anche di una cappella, di una piccola biblioteca adibita a sala di studio, di un orto, di un ampio giardino e di uno spazio comune. La sua caratteristica principale è l’essenzialità, indispensabile per fare esperienza concreta del silenzio, raccogliersi in preghiera, studiare, meditare e vivere momenti forti di spiritualità».
La “provocazione” del salesiano cooperatore Juri Nervo: trasformare un luogo di reclusione e di sofferenza in un luogo di conversione.
missionario per promuovere i valori della Carità, della Pace e del Perdono. Uno dei miei sogni è che l’eremo possa, un giorno, proporsi come luogo ecumenico di incontro e di confronto sul tema del silenzio». Come si traduce il tuo essere salesiano cooperatore nell’organizzazione dell’eremo?
Tra San Francesco e San Giovanni Bosco Il silenzio è un elemento comune a numerosi ordini vocazionali. A quale di essi l’eremo si ispira? «Figura centrale del carcere Le Nuove e guida ideale dell’Eremo del Silenzio è il francescano padre Ruggero Cipolla, che per mezzo secolo - dal 1944 al 1994 - ne è stato cappellano. Padre Ruggero, scomparso nel 2006, ha dedicato la propria vita a restituire dignità agli uomini e a promuovere il recupero dei detenuti anche attraverso corsi di alfabetizzazione, orientamento professionale, ebanisteria, falegnameria e sartoria. Per questo la vita comunitaria dell’eremo non può prescindere dai pilastri della Regola francescana: preghiera, meditazione e spirito
INFO web È possibile seguirne le attività attraverso il sito Internet www. eremodelsilenzio.it e la pagina di Facebook “Eremo del Silenzio”.
«Innanzitutto riservando un occhio di riguardo ai giovani e ai loro problemi. Sono loro, infatti, i più “bombardati” dalle immagini, dalle informazioni e dai messaggi contrastanti che giungono dai mass-media, costretti a vivere all’interno di un frastuono emozionale in cui è difficile districarsi. Per questo collaboriamo con l’associazione Educamente, che organizza corsi di formazione per animatori parrocchiali, programmando seminari didattici di sensibilizzazione e con il centro di evangelizzazione Didaskaleion, fondato dal Salesiano don Piero Ottaviano, che da gennaio a giugno propone un corso di base sui fondamenti del Cristianesimo dedicato ai ragazzi. Inoltre, sta per partire un laboratorio iconistico per imparare a realizzare icone e a viverlo come esperienza di preghiera silenziosa». Carlo Tagliani redazione.rivista@ausiliatrice.net ESPERIENZE
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Chiesa viva
Noi, pellegrini della verità Ad Assisi, nella “Giornata per la pace”, Benedetto XVI ha indicato a tutti – cristiani, credenti di altre religioni, e anche non credenti – la strada per la giustizia e la pace. Un itinerario a sorpresa: farsi pellegrini della verità. «miei fratelli e mie sorelle cristiani, rappresentanti del popolo ebraico, distinti rappresentanti delle religioni del mondo», ma anche alcuni non credenti: «persone di buona volontà, che non seguono alcuna tradizione religiosa ma si impegnano nella ricerca della verità». Con loro il Papa si è portato nella città del Poverello in treno, sul convoglio “Freccia Argento”, rallentando alle stazioni per salutare la gente. Poi, nella Basilica Santa Maria degli Angeli ha indicato gli errori che occorre riconoscere ed evitare. Con la concretezza che gli è solita, con l’aggancio alla storia recente e all’attualità.
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enticinque anni dopo la storica marcia per la pace guidata da Giovanni Paolo II, il 27 ottobre 2011 Papa Benedetto ha accolto ad Assisi un gruppo selezionato di credenti e non credenti, proponendo una nuova «Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo». E a sorpresa - fin dal titolo scelto per l’evento - ha indicato loro la strada del pellegrinaggio, da percorrere insieme se si vuole davvero perseguire la pace nel mondo. Un pellegrinaggio singolare: secondo il Papa, occorre farsi “pellegrini della verità”. Pellegrini, cioè uomini in movimento, in marcia verso qualcosa di essenziale, appunto la verità. Fare la verità dentro di sé. Perché senza verità non è possibile vivere secondo giustizia, né realizzare la pace. Pellegrinavano con lui (così li ha indicati):
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Assisi - “Giornata per la pace” 2011. Il Papa ha anche detto «Ogni ambiente educativo possa essere luogo di apertura al trascendente e agli altri; luogo di dialogo, di coesione e di ascolto, in cui il giovane si senta valorizzato nelle proprie potenzialità e ricchezze interiori, e impari ad apprezzare i fratelli».
Materialismo, mancanza di spiritualità È questo il primo errore segnalato da Papa Benedetto. La marcia della pace di Giovanni Paolo II ad Assisi nel 1986, si svolse quando il Muro di Berlino era in piedi e sembrava incrollabile, eloquente simbolo di un mondo spaccato in due blocchi contrapposti e armati fino ai denti, pronti a scatenare la guerra. Magari atomica. Tre anni dopo, con sorpresa dei politologi, quel muro d’improvviso crollò. «All’improvviso - ha ricordato il Papa - gli enormi arsenali che stavano dietro il muro non avevano più alcun significato… La questione delle cause di tale rovesciamento è complessa… Accanto ai fattori economici e politici, la causa più profonda di tale evento è di carattere spirituale: dietro il potere materiale non c’era più alcuna convinzione spirituale». E senza valori dello spirito si hanno solo muri contrapposti.
La religione è causa di violenza? Altro errore. Ha ricordato il Papa: «La critica della religione, a partire dall’Illuminismo, ha ripetutamente sostenuto che la religione fosse causa di violenza, e con ciò ha fomentato l’ostilità contro le religioni». Vengono in mente oggi gli estremismi di tante sette fondamentaliste, come i talebani, che riempiono le cronache di orrore. Ma non si può esercitare la violenza in nome di Dio. La religione - ribadisce Benedetto XVI - non è violenza: «Lo ripetiamo con forza e grande fermezza: questa non è la vera natura della religione. È invece il suo travisamento, e contribuisce alla sua distruzione». Eppure tante pagine di storia portano a pensare che anche il cristianesimo sia religione violenta, e al riguardo il Papa è stato chiaro: «Come cristiano, vorrei dire: sì, nella storia anche in nome della fede cristiana si è fatto ricorso alla violenza. Lo riconosciamo, pieni di vergogna. Ma è assolutamente chiaro che questo è stato un utilizzo abusivo della fede cristiana, in evidente contrasto con la sua vera natura. Il Dio in cui noi cristiani crediamo è creatore e padre…Tutte le persone sono tra loro fratelli e sorelle e costituiscono un’unica famiglia». Perciò occorre «purificare continuamente la religione dei cristiani a partire dal suo centro interiore, affinché nonostante la debolezza dell’uomo - sia veramente strumento della pace di Dio nel mondo».
La contro-religione dei no a Dio Benedetto XVI ha poi indicato ai non credenti quali sono nella società «le conseguenze dell’assenza di Dio, della sua negazione… Il no a Dio ha prodotto crudeltà e una violenza senza misura, che è stata possibile solo perché l’uomo non riconosceva più alcuna norma e alcun giudice al di sopra di sé… Gli orrori dei campi di
La violenza non può che contrastare con la religione cristiana, ma occorre purificare i cuori degli uomini affinché non cedano alla tentazione di cedere agli ideologismi e all’uso della forza per affermare una Verità che invece ha scelto la croce e la debolezza per rivelare la sua grandezza. Le religioni devono invece divenire via di pace, luci per un cammino che conduca tutti gli uomini a comprendere l’importanza e la bellezza della fraternità .
concentramento mostrano in tutta chiarezza le conseguenze dell’assenza di Dio». Colpevole non è solo l’”ateismo di stato”, sta avvenendo un cambiamento del “clima spirituale”, che produce una “decadenza dell’uomo”. «L’adorazione di mammona, dell’avere e del potere, si rivela una contro-religione, in cui non conta più l’uomo ma solo il vantaggio personale. Il desiderio di felicità degenera per esempio in una brama sfrenata e disumana quale si manifesta nel dominio della droga, con le sue diverse forme…». In definitiva: «La violenza diventa cosa normale, la pace è distrutta, e in questa mancanza di pace l’uomo distrugge se stesso. L’assenza di Dio porta al decadimento dell’uomo e dell’umanesimo».
Dunque farsi pellegrini La giornata della pace è vissuta in un clima di gioia, alimentata dalle coreografie e dai canti del Gen Rosso e del Gen Verde. Il Papa ha donato ai 13 rappresentanti delle religioni 13 lampade, perché «la luce è simbolo della religione che illumina i passi dell’uomo alla ricerca del cammino verso la pace». In sostanza ha esortato ognuno alla ricerca, a farsi pellegrino della verità. A mettere in dubbio le proprie infallibilità. Dio è nel mistero, la fede porta solo fin sull’orlo del mistero, e occorre continuare la ricerca. Sempre. Il giorno dopo Assisi, il Papa in Vaticano ha preso commiato dai suoi «distinti ospiti, cari amici», esortando: «Ovunque siamo, proseguiamo il viaggio rinnovato che conduce alla verità, il pellegrinaggio che porta alla pace». Ma l’ha detto per tutti. Enzo Bianco bianco.rivista@ausiliatrice.net
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Chiesa viva
Caro Gesù… còmprati un cellulare È
una bella consuetudine di qualche gruppo di catechismo quella delle lettere a Gesù Bambino. Dopo essere lette pubblicamente in forma anonima, le missive vengono solennemente bruciate nel cortile della parrocchia l’ultima sera della novena di Natale. Sono uno specchio interessante della società consumistica ma anche la spia di piccoli e grandi malesseri familiari. C’è da ridere e da piangere, insomma, ma soprattutto da riflettere. Accanto alle solite richieste di giochi elettronici, di bambole accompagnate da auto di lusso e ville miliardarie in miniatura, di strepitose vincite alla lotteria, per Natale scorso abbiamo trovato i desideri più spirituali e impegnativi: «Caro Gesù Bambino, fa’ che i miei genitori smettano di litigare!». «Gesù, fa’ tornare insieme i miei genitori: non mi piace stare con la nuova fidanzata di papà perché non vado d’accordo con i suoi figli!». «Gesù, per favore fa’ che mio padre non perda un’altra volta il lavoro!». «Gesù, non potresti far diventare la mia mamma un po’ più giovane e bella? Così la mattina non perderebbe tanto tempo a truccarsi e non mi farebbe arrivare tardi a scuola!». «Gesù, fa’ diventare più ordinata mia sorella, perché non ce la faccio più a dividere la cameretta con lei!». Compare talvolta un serio esame di coscienza con qualche abbozzo di proposito: «Caro Gesù, non riesco ad essere gentile con mio fratello, ho sempre troppa voglia di fargli i dispetti, ma tu sai che non sono cattiva. Per favore, quando sto per rispondergli male, fammi sbattere la testa, così capisco e mi ricordo». C’è qualche velato ringraziamento: «Gesù a me va bene tutto quello che mi hai
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dato; non ti chiedo niente. Fa’ continuare la mia vita così». La richiesta più singolare è quella di Giacomo: «Caro Gesù Bambino, tu che da grande sei diventato tanto bravo a inventare storielle che piacevano alla gente, non potresti suggerirmene qualcuna quando devo comporre il testo creativo? Ogni volta che la maestra ci dà questo compito mi viene la febbre. Io ho anche provato a chiederti aiuto, ma forse non ho parlato abbastanza forte e tu non mi hai sentito. Non potresti comprarti un cellulare, così quando devo inventare una storia potrei mandarti un messaggio e tu, con un altro messaggio, potresti scrivermi la risposta. Lo so che a scuola è proibito l’uso del cellulare, ma tu sei Dio e puoi cambiare le regole, no? Ciao e grazie». Giacomo. Anna Maria Musso Freni redazione.rivista@ausiliatrice.net
Segni & Valori Leonardo Murialdo è nato nel 1828 a Torino dove ha operato nel corso di tutto l’Ottocento. Remo Girone, invece, è nato in Eritrea nel 1948 e recentemente ha vestito i panni del santo torinese nel film “Non sono cavaliere”. Lo abbiamo incontrato sul set e gli abbiamo chiesto: quali legami ha Remo Girone con Torino? «Io sono nato in Eritrea però mio padre è nato a Torino dove è stato operaio specializzato alla Fiat, quindi, con questa città ho dei legami molto forti. Il fatto che mio padre fosse un tornitore meccanico crea un ulteriore legame anche con il Murialdo che aveva una predilezione per i giovani e per gli operai». fotografie di Renzo Bussio
Non sono cavaliere UN FILM DI PAOLO DAMOSSO
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l film «Non sono cavaliere» con la regia di Paolo Damosso (Nova-T) è stato girato nel novembre 2011, all’interno del Museo degli Artigianelli in corso Palestro 14, a Torino. L’idea è nata per dare una visione interattiva e multimediale a questo luogo, fondato da Murialdo nel 1873. La storia si basa sull’incontro tra due persone vissute in secoli diversi. Murialdo, in una sorta di viaggio nel futuro, “ritorna” nel luogo in cui aveva operato 150 anni prima e incontra una madre di famiglia. Entrambi non si capiscono sui dettagli che la modernità ha portato con
sé ma si capiranno in modo inquietante e assoluto sui problemi: «Lo spazio e il tempo non sono passati perché lui continua a dire delle cose che oggi sono comandamenti – rivela Damosso –. Il suo impegno nel mondo del giornalismo con la nascita della Voce dell’Operaio che vive ancora oggi con la Voce del Popolo, l’amicizia con Cafasso e Don Bosco che, in un momento di persecuzione della Chiesa, hanno regalato speranze dal punto di vista sociale – e conclude – Murialdo dovrebbe tornare qui a spiegarci il welfare o i rapporti tra lavoratori e datori di lavoro». segni & valori
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Segni & Valori Lei riesce a creare intorno a sé un clima di distensione, apparendo divertito anche dopo molte ore di lavoro. Come si prepara per i suoi personaggi e quali differenze ci sono fra cinema, televisione e teatro? «Prima di tutto studio il copione. Nello specifico ho osservato anche alcune foto di Murialdo, al quale onestamente io non assomiglio e in questi casi si cerca di raggiungere una somiglianza interiore. Era un uomo dotato di grande umiltà. Intellettuale, non molto estroverso e anche schivo. Sicuramente questo aspetto del suo carattere era legato al fatto di essere di Torino (sorride); La serietà e l’impegno nel cinema e in televisione sono caratteristiche frammentarie; data la natura del lavoro, la concentrazione si gioca sempre nei pochi secondi in cui si gira – in queste numerose attese, più ci si rilassa e meglio è. Nel teatro invece è tutto racchiuso nelle due ore circa in cui si è sul palco, la concentrazione non è frammentaria ma si prolunga, risultando meno pressante rispetto a televisione e cinema». Nel libro “Il risorgimento della carità” di Domenico, Renzo e Domenico Jr Agasso uscito nel 2011, per Effatà Editrice - Murialdo è definito «uomo di preghiera più che di azione». Lei è un uomo di azione. Quanto è presen-
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te Remo Girone nei personaggi che Lei interpreta?
“Murialdo, come lo stesso Don Bosco, hanno avuto una vita piena proprio per la loro generosità”
«Il mio maestro all’accademia, Orazio Costa, diceva: “non si può mettere tutta la propria personalità dentro un personaggio”; però piccoli frammenti di se stessi, in fondo, nell’esperienza di tutti gli uomini sono elementi in comune; basti pensare al fatto di avere una madre e un padre… Si pensa molto alla propria vita ed esperienza. Ovviamente, quando s’interpretano figure di santi c’è qualcosa che inevitabilmente sfugge, perché sono esseri particolari, coraggiosi e operatori di un “bene” fuori dal comune. Naturalmente io (sorride) sono estremamente, estremamente, estremamente più egoista. Murialdo, come lo stesso Don Bosco, hanno avuto una vita piena proprio per la loro generosità. La mia vita è molto più egoistica e arida e, forse, quando ci si chiede cosa c’è che non va o il motivo di un periodo grigio, la risposta è proprio questa: l’egoismo che c’è in noi». Quali criteri deve tenere presente chi si avvicina al suo mestiere? E quali consigli può dare ai giovani una “categoria” tanto cara a Murialdo e Don Bosco?
“Io sono estremamente, estremamente, estremamente più egoista”
«Il mestiere non è cambiato. In molti giovani è viva l’idea del “basta apparire”. È chiaro che chi vuole fare l’attore, voglia anche diventare famoso ma questo è un mestiere difficile. Se fatto bene, però, ripaga tantissimo a patto che non si ricerchi solo la celebrità. Consiglio sempre di fare una scuola; io ho avuto la fortuna di entrare all’accademia in cui accedevano soltanto venti persone all’anno. Si faceva un concorso, all’epoca la scuola durava tre anni e non si poteva contemporaneamente lavorare, pena l’esclusione dai corsi. Otto ore al giorno per diventare attori. Ovviamente, quando si cominciava, il mestiere vero è molto diverso da come lo si immagina dai banchi di scuola. Iniziano le frustrazioni: il lavoro è saltuario, ci sono periodi in cui ce n’è molto e
Poster
Nel cuore dell’uomo le risposte di Dio È
una parola chiave nella crescita umana. I bambini la usano spesso nella cosiddetta “età dei perché”. Ma è una parola che usiamo anche noi adulti, davanti alla sofferenza. Perché il dolore? Perché proprio io? Interrogativo umano incancellabile, posto anche da Cristo durante la Passione. Sulla croce, infatti, sperimentò la stessa lontananza di Dio gridando: «Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mc 15,33). Sembra che la cultura moderna e postmoderna, non sia attrezzata ad affrontare il tema della sofferenza e tanto meno della morte. Nonostante la tecnologia, l’uomo soffre, ha paura e dovrà morire. L’amore alla vita e a tutto ciò che essa offre di buono e bello non fiorisce e non cresce senza prezzo. Tutto ha un prezzo. Talvolta si dice che “non ci sono rose senza spine”. È vero. Ma possiamo dire, ed è una sfida all’uomo, che ci possono essere anche rose dalle spine. Cercare, cioè, di fare della sofferenza in generale una fonte di energia, che dia vita, luce, calore, diventando cioè un’occasione positiva. Come? La sofferenza, dicono gli psicologi, può diventare un fattore “socializzante”, che ci aiuta nel maturare il rapporto con gli altri. Questo però se sappiamo condividerlo e abbiamo la fortuna di trovare le persone giuste. Un’esperienza di sofferenza, inoltre, può diventare una scuola di compassione da usare nei rapporti con gli altri. È interessante notare che, secondo le Scritture, non ci può essere santità senza compassione. Questo ci porta a considerare il nostro cammino spirituale e la maturazione umana come crescita nella nostra capacità di essere compassionevoli verso gli altri.
La sofferenza quando è seria e non ci distrugge psicologicamente, scava dentro l’uomo, lo “lavora” in profondità, gli ridona una visione esistenziale più equilibrata, più rispettosa di sé e del prossimo. Può portare ad una rivisitazione critica di ciò che vale nella vita. E può aprire al Trascendente. La mistica Giuliana di Norwich ha scritto: «Quando Cristo soffriva anche noi soffrivamo. Tutte le creature del creato che possono provare dolore hanno sofferto con lui». Completando l’intuizione di Giuliana diciamo che quando noi soffriamo, è Cristo che soffre con noi perché ci ha guarito con le sue sofferenze, dopo aver sofferto, per amore, per noi. Non c’è salvezza dal dolore, purtroppo ineliminabile, ma vi può essere salvezza nel dolore, accettato per amore. Una vera sfida, da affrontare come e con Cristo. Mario Scudu archivio.rivista@ausiliatrice.net
Ricordati che ogni sofferenza passa. E tutto ciò che tu veramente soffri l’ha sofferto Dio prima di te (Meister Eckhart).
Alleviare il dolore di un altro significa alleviare il proprio e alleviare il dolore di Dio, che condivide il dolore dell’universo (Matthew Fox).
Nicolò Musso (documentato dal 1595 al 1620) - Cristo porta la croce al Calvario - Galleria Sabauda.
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE N. 2-2012
Per la tua giustizia, liberami e difendimi, tendi a me il tuo orecchio e salvami.
Volto adorabile Volto adorabile di Gesù, sola bellezza che rapisca il mio cuore, imprimi in me la tua divina somiglianza, perché tu non possa guardare la mia anima senza contemplare te stesso.
Andrea Gastaldi (1826 - 1889) - Addio tra Gesù e Maria Fondazione Guido ed Ettore De Fornaris - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea
S. Teresa di Lisieux (1873-1897)
Lorenzo Pécheux (1729 - 1821) - Crocifissione con la Vergine e la Maddalena - Fondazione Guido ed Ettore De Fornaris Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea
Ti prego, Signore Rapisca, ti prego, Signore, l’ardente e dolce forza del tuo amore la mente mia da tutte le cose che sono sotto il cielo, perché io muoia per amore del tuo amore, come tu ti sei degnato di morire per amore dell’amore mio. S. Francesco d’Assisi (1182-1226)
Cristo sia con me Io avanzo sulla mia strada con la forza di Dio che mi sostiene la sapienza di Dio che mi guida l’occhio di Dio che mi dà luce l’orecchio di Dio che mi fa ascoltare la parola di Dio che mi fa parlare la mano di Dio che mi protegge la via di Dio che mi traccia la strada lo scudo di Dio che mi protegge. Cristo sia con me, Cristo davanti a me Cristo dietro a me, Cristo dentro a me Cristo alla mia destra, Cristo alla mia sinistra Cristo là dove mi corico, Cristo ancora là quando mi alzo. Cristo sia nel cuore di chi mi pensa Cristo sia nella bocca di chi parla di me Cristo sia nell’occhio di chi mi guarda Cristo sia nell’orecchio di chi mi ascolta. S. Patrizio d’Irlanda (390-461)
Bernardino Lanino (1512 - 1583) Compianto su Cristo Morto - Galleria Sabauda
concentrato, altri lunghissimi in cui non si fa nulla. Soprattutto all’inizio è durissimo. La formazione e il primo periodo di attività sono momenti fondamentali per capire se si ha realmente intenzione di intraprendere questa carriera oppure no. A qualcuno che ci capita dentro può andar bene anche se mancano voglia e capacità, ma non dura a lungo». La figura che emerge dalle memorie del giovane Murialdo appare travagliata, in particolare in adolescenza, poi, finalmente, c’è stata la vocazione. Come è nata in Lei, la vocazione artistica? «La mia vocazione artistica è nata a scuola. Leggevo bene le poesie, mi facevano recitare in alcune operette. Poi, da ragazzo, sono entrato in un teatro universitario. Ho tentato il concorso all’accademia quando già la mia vocazione era chiara. La laurea non l’ho mai presa ma me l’hanno poi data poco tempo fa, quella della terza età (scherza). Anch’io, come quasi tutti, ho vissuto un periodo un po’ difficile durante il passaggio al professionismo, immediatamente dopo la scuola. Avevo un po’ idealizzato un mestiere non facile e nel quale si incontrano personalità diverse e anche complesse».
Quali segni e quali valori dei tempi dello studio e nei primissimi da attore, si sono mantenuti intatti, fino ad oggi?
Il film “Non sono cavaliere” farà parte del nuovo allestimento multimediale del Museo degli Artigianelli.
«Si mantengono dei valori importanti. Ad esempio quelli legati al professor Orazio Costa. Dopo la sua morte si scoprì che era un francescano degli ordini minori, soprannominato il “ciclista di Dio”. Aveva il talento dell’insegnante. Per esempio, io conosco il mio mestiere ma non so se saprei insegnarlo mentre lui conosceva il mestiere e lo sapeva trasmettere. Noi eravamo discoli (sorride), ricordo che su di me aveva scritto: “sembra serio”. Da lui ho imparato a considerare il mestiere come una cosa seria e ancora oggi, se ci penso, risuonano in me certe sue indicazioni e impostazioni fondamentali, come la sincerità. “Essere il più sinceri possibile” è un modo di avere rispetto del pubblico. Il mio è un mestiere che ogni volta permette di verificare le esperienze della propria vita. E sei contento quando, attraverso un personaggio, hai potuto trasmettere qualche esperienza personale con sincerità e naturalezza». Emanuele Franzoso redazione.rivista@ausiliatrice.net Segni & Valori
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Chiesa viva
Tante povertà, una ricchezz Aumentano i casi di disagio, ma non mancano i segni di speranza: da marzo le “sentinelle” di casa Mangrovia aiuteranno i nuovi poveri a ritrovare dignità e forza per ricominciare.
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uove povertà, un fenomeno da non sottovalutare ma neanche da enfatizzare. Eccone un quadro sintetico: secondo stime attendibili, l’incidenza della miseria sulla popolazione nazionale raggiungerebbe il 12% (Istat). L’osservazione a cura delle Caritas italiane sposta la stima un po’ sopra il 13%. A questa cifra, che comprende le povertà conclamate e quelle cosiddette “grigie” già emerse, va aggiunto almeno un 7-8% di povertà “grigie” in ombra, colpendo così il 20% della popolazione. Un quinto degli italiani. A livello piemontese, le cifre sono decisamente più basse. Si resiste meglio in provincia, dove l’indigenza è al 5,3%. Se però a questo dato si aggiunge l’emersione delle nuove povertà, si supera mediamente il 7,5%. Il pericolo maggiore sta nelle città: a Cuneo il tasso complessivo sfiora il 10%, come anche ad Alessandria. A Torino, si attesta al 13% di povertà conclamate. Sommandole a quelle grigie non emerse, si arriva tranquillamente al dato nazionale. Nel 2012, nella città della Mole almeno 1500 persone sono ancora senza un tetto dove dormire. «E questo è uno scandalo», commenta il direttore della Caritas diocesana di Torino Pierluigi Dovis.
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Un dramma al plurale Bisogna fare un distinguo: non esiste più un’unica definizione di povertà, ma tante forme, in cui la mancanza di denaro è solo uno degli aspetti. Sono povertà al plurale. Sull’humus della crisi economica s’innestano infatti altre mancanze: povertà relazionale, cioè l’assenza di reti prossimali dentro o fuori della famiglia; povertà di senso, per le quali si cerca un surrogato nelle sostanze, ma anche nel gioco, nell’acquisto compulsivo o in internet; povertà di condizione, che colpisce soprattutto determinate condizioni di vita, come l’essere giovane, o madre sola, o immigrato, o anziano. Tuttavia, la prima colpa è sempre dei soldi, oggi come duecento anni fa. Cosa cambia allora? «Cambiano le modalità di espressione e i soggetti – risponde Dovis – chi è colpito non aveva alcun pregresso con la povertà, né come disagio, né come dipendenze, o altri fattori considerati “tipici”. Si tratta di persone che fino a pochissimi mesi fa stavano del ceto medio o mediobasso e potevano contare su un buon percorso formativo, un’occupazione e prospettive di vita chiare e definite. Per questo motivo avevano investito sia sulla propria persona (matrimonio, figli, famiglia) sia sulla professione, sia sul futuro (mutuo per la casa, prestito per i beni di consumo). Costoro, che non hanno nessuna esperienza di povertà o di disagio, sono passati – non per colpa loro, repentinamente e in modo non protetto – da una forma garantita a quella precaria di vita. Nel 98% dei casi ciò è dovuto a un cambiamento nell’assetto lavorati-
L’indigenza colpisce un italiano su cinque. Ma dove c’è crisi c’è anche l’opportunità di crescere.
za Pierluigi Dovis, nato a Pinerolo il 28 novembre 1963, è direttore della Caritas diocesana di Torino e delegato regionale delle Caritas di Piemonte e Valle d’Aosta.
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www.caritas.torino.it
vo». Il che ha portato non pochi alla cassintegrazione, a lunghe attese immobili, all’insinuarsi di un senso di inutilità e di sconfitta. Tutto questo ha reso l’uomo di oggi più fragile dei poveri classici, che non vivono bene, ma hanno sviluppato degli anticorpi. I nuovi poveri questi anticorpi non li hanno; perdendo lo status sociale rischiano di perdere la motivazione. Non ne sono immuni impiegati, ingegneri, avvocati, professionisti in genere. Si può cadere a qualunque età. Ma il peggio è che ci si vergogna di farlo sapere.
Il cambio di rotta. Oltre il welfare La nostra società non si è ancora abituata a “vedere” queste situazioni. Rispetto a dieci anni fa oggi c’è un problema in più: non si intravvede nelle scelte delle Istituzioni un messaggio che dia prospettive future. Chi ha bisogno, si rifugia sempre più del privato sociale (il “secondo welfare”), che però non è in grado da solo di rispondere a tutte le richieste d’aiuto. Ma non tutto è perduto. Dove c’è crisi, c’è occasione di crescita. «Ci siamo accorti che i metodi tradizionali di sostegno al disagio non raggiungono i “nuovi poveri” – dice Dovis – Stanno emergendo nuove idee». Tra queste, la rete telematica offerta ai servizi di carità, che li aiuta a dialogare senza sovrapposizioni. Il progetto, sviluppato dalla Regione Ecclesiastica, si chiama “Rospo” (Regione Osservatorio Povertà). È partito da due anni: vi aderiscono 15 Enti in Diocesi e 30 realtà a livello regionale. Certo, da soli è più dura: in tal modo, invece, è possibile mettere insieme le risorse di ogni partner. Ulteriore passaggio: la rete può diventare extraecclesiale, mettendo in correlazione realtà esterne per convergere su progetti mirati. «Finora è andata crescendo con le istituzioni e con il welfare. Ci stiamo accorgendo che non basta più – spiega il direttore della
Caritas –. Bisogna agganciare anche imprenditoria, industria, commercio, istruzione, tempo libero ma anche le politiche per il territorio». La novità del 2012, sorta spontaneamente attorno a un’idea lanciata dalla Caritas, è il progetto “Mangrovia”, che vedrà la luce proprio a marzo: una task force di “sentinelle”, persone o piccole realtà responsabili, che si pongono come soglia per cercare e incontrare le nuove forme di povertà. Volontari abituati, per professione o vocazione, a relazionarsi con gli altri. Saranno loro, dopo avere avviato un rapporto di reciprocità con chi è divenuto “nuovo povero”, anche telematicamente, a farsi tramite con altri enti della rete, nella ricerca di risorse e competenze da mettere in campo. Il tutto, coordinato da un centro-base, denominato “Casa Mangrovia”. Un nuovo inizio. Non facile, ma con una certezza: dove ci sono nuove difficoltà, ci sono anche gli strumenti per superarle. Luca Mazzardis redazione.rivista@ausiliatrice.net
CHIESA VIVA
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Giovani in cammino
Quando un incontro fa la differenza Un tema in classe fa riscoprire il dono più grande. La fede non è un modo di comportarsi o un insieme di dogmi, ma l’incontro tra due libertà: quella di Dio e quella dell’uomo. Un incontro che cambia la strada sulla quale si pensava di costruire la vita.
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Il dono più grande che si può fare a Dio è offrigli noi stessi riconoscendolo come Padre e fonte della nostra vita.
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n una classe, dopo le vacanze natalizie, il professore vuole saggiare il grado di conoscenza religiosa dei suoi alunni. Dà loro un tema: «I tre Re Magi hanno portato a Gesù tre doni: oro, incenso e mirra. Secondo voi, quale dei tre è il dono più prezioso? E perché?». Le risposte, come poteva supporre, sono varie e disparate. Chi dice che la mirra è il dono più prezioso perché sottolinea come la sofferenza e la morte in croce di Gesù siano il segno più grande del suo amore per ogni uomo. Chi sostiene che il dono dell’incenso mette bene in risalto la funzione sacerdotale di Gesù, quale ponte tra cielo e terra che ha unito Dio agli uomini e gli uomini a Dio. Altri studenti scelgono il dono dell’oro come segno di colui che, Re del cielo e della terra, è proprietario di tutte le ricchezze che sono state, sono e saranno. Il professore, dopo essersi congratulato con gli alunni per il tema svolto e per le argomentazioni che hanno motivato le preferenze dei doni, però constata: «Devo rammaricarmi con lo studente che ha consegnato il quaderno senza scrivere una riga sul tema proposto. Perché?». Roberto, stranamente sereno e sicuro di sé, si aspettava il rimprovero o almeno una richiesta di giustificazione, e risponde semplicemente che, a suo giudizio, nessuno dei tre doni è importante.
«Secondo me, il dono più grande che i tre Re Magi hanno fatto a Gesù è stato il loro prostrarsi per adorarlo. Mi pare continuò il saggio studente - che Gesù abbia gradito dai Magi più l’offerta che hanno fatto di se stessi, che non quanto essi avevano in mano».
Quanto lontano sono i miei pensieri «Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie - oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri». (Is 55,8-9). Il Profeta sottolinea con forza quanto noi uomini siamo convinti di essere dalla parte di Dio quando ci comportiamo come noi vorremmo che lui si comportasse. A noi piace ricevere doni e quindi piace anche a lui. Eppure, dobbiamo ammetterlo, la preziosità del dono non si misura da quello che si dà o da quanto si dà, ma dal cuore con cui lo si dà. Il sorriso che accompagna il dono vale più del dono stesso. E allora, forse, più che spingere Dio a pensare come noi, la fede è sforzarsi di avvicinarsi a pensare come Dio. I Magi hanno adorato Gesù. Adorare è annientarsi per amore. È proprio il dono
più grande: donare la vita per gli altri. Hanno visto in Gesù un Dio che si annienta per amore dell’uomo. E l’uomo, per rispondere a un Dio che gli si dona, non poteva rispondere meglio che con la propria adorazione, che è il suo sì di ogni momento al prossimo, dono che Gesù ritiene fatto a sé. Gesù a San Pietro che lo invitava a comportarsi da Dio e a non dire che avrebbe dovuto sopportare la passione risponde: «Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (Mc 8,33).
Ingredienti per pensare come Dio Adorare è consegnarsi a chi finalmente, dopo tante ricerche, ha aperto gli occhi e ha riempito il cuore di significato aprendo orizzonti nuovi e mai sperati. La fede non è un modo di comportarsi. La fede non è un insieme di dogmi da difendere contro gli avversari. Tanti operatori pastorali si lamentano che i giovani non sanno le risposte del Catechismo, non sanno l’atto di dolore, non sanno elencare i Comandamenti e le quattro virtù cardinali… Forse dovrebbero chiedersi se i giovani sanno qualcosa di Gesù Cristo e soprattutto dovrebbero domandarsi se hanno fatto qualcosa per “consegnare” loro Gesù piuttosto che tanti sensi di colpa circa l’osservanza di precetti costruiti dagli uomini e imposti ai fedeli come pesanti fardelli che «loro non vogliono muoverli neppure con un dito» (Mt 23,4).
La fede è innanzitutto incontro tra due libertà: quella di Dio e quella dell’uomo, un incontro che cambia la storia dell’uomo, cambia la strada nella quale si pensava di costruire la propria vita e come i Magi «per un’altra strada fecero ritorno al loro paese» (Mt 2,12). Papa Benedetto XVI nell’enciclica Deus caritas est scrive: «Al centro dell’esperienza cristiana c’è l’incontro tra la libertà di Dio e quella dell’uomo, che non si annullano a vicenda. La libertà dell’uomo, infatti, viene continuamente educata dall’incontro con Dio… All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva». Il rischio costante è quello di costruire la fede intorno a verità e speculazioni teologiche senza aver mai incontrato Colui che solo può illuminare e giustificare tutte le verità e le speculazioni. Credere è consegnarsi, adorare una Persona, l’unica che può dare risposte alle nostre domande e offrire una direzione alla nostra storia che è storia della salvezza perché piena e in sintonia con il Salvatore. Una fede che va costruita ogni giorno, continuamente, evitando il rischio della ripetitività, della noia, della sonnolenza, della ritualità fine a se stessa.
In famiglia il cammino di educazione alla fede è un cammino di educazione a una libertà capace di realizzare pienamente ogni uomo, è la preparazione a un incontro con un Dio che si svela giorno per giorno nel dialogo e nella contemplazione della preghiera.
Giuliano Palizzi palizzi.rivista@ausiliatrice.net Giovani in cammino
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Don Bosco oggi
Verso Milano: famiglie pro Dal 30 maggio al 3 giugno 2012, arriveranno a Milano migliaia di famiglie di tutto il mondo. L’adma organizza una giornata di preparazione, presso l’Istituto Salesiano Sant’Ambrogio.
VII Incontro Mondiale delle Famiglie ADMA Famiglie: giornata di preparazione
Programma 10.00 Ritrovo 10.15 Lodi 10.40 Meditazione: “La famiglia via di Dio e della Chiesa” (Don Roberto Carelli, UPS Torino) 11.30 Silenzio e Adorazione 12.00 Pausa 12.10 Risonanza e Condivisione 12.45 Pranzo 14.15 Condivisione di esperienze 15.15 Testimonianza: Servo di Dio Attilio Giordani, padre di famiglia e cooperatore (Don Pierluigi Cameroni, Postulatore) 16.00 Eucarestia IV Domenica di Pasqua (Presiede Don Elio Cesari, Delegato Pastorale Giovanile Ispettoria Lombardo Emiliana)
Per informazioni
adma@admadonbosco.org www.admadonbosco.org
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«Non si può portare avanti la pastorale giovanile se non è unita e aperta alla pastorale familiare. La presenza di famiglie e giovani coppie che, sotto la guida di Maria, condividono un cammino di vita, fatto di formazione, condivisione e preghiera è veramente un dono provvidenziale di Maria Ausiliatrice che si prende cura delle nuove generazioni». In questo modo il Rettor Maggiore, a conclusione del VI Congresso Internazionale di Maria Ausiliatrice, consegnava alla nostra Associazione l’impegno per le famiglie e per i giovani. In tale prospettiva abbiamo deciso di coinvolgerci nell’evento ecclesiale del VII Incontro mondiale delle Famiglie che si svolgerà a Milano dal 30 maggio al 3 giugno prossimi. Una prima possibilità è quella di disporre di uno spazio alla Fiera Internazionale della Famiglia. Ci pare opportuno far conoscere la nostra realtà alle famiglie partecipanti al Congresso, per offrire un aiuto a vivere la dimensione cristiana nella vita “feriale” di ogni giorno. Accanto a tale impegno, intendiamo organizzare la nostra presenza alle giornate con alcuni rappresentanti, mentre per domenica 3 giugno prevediamo una partecipazione più significativa, almeno delle famiglie italiane dell’adma e anche dei gruppi della Famiglia Salesiana che dedicano particolare attenzione alla pastorale familiare. Papa Benedetto XVI ci ricorda: «La nuova evangelizzazione dipende in gran parte dalla Chiesa domestica. Nel nostro tempo, come già in epoche passate, l’eclis-
tagoniste
ASSOCIAZIONE DI MARIA AUSILIATRICE
INFO web www.admadonbosco.org
si di Dio, la diffusione di ideologie contrarie alla famiglia e il degrado dell’etica sessuale appaiono collegati tra loro. E come sono in relazione l’eclissi di Dio e la crisi della famiglia, così la nuova evangelizzazione è inseparabile dalla famiglia cristiana. La famiglia è infatti la via della Chiesa perché è “spazio umano” dell’incontro con Cristo» (discorso alla Plenaria del Pontificio Consiglio per la Famiglia, 1 dicembre 2011).
Cordoba (Argentina) 1 Il 12 dicembre 2012 i soci dell’adma del Collegio Pio X di Cordoba, di cui è animatore spirituale il P. José Cuesta, hanno eletto il nuovo consiglio locale: Myriam Giuliano De Pinotti (presidente), Gloria Beatriz Acosta De Sotti (vice-presidente), Silvia Beatriz Garay (segretaria) e Delia Claria de Buteler (tesoriera). Buon lavoro di animazione con l’aiuto dell’Ausiliatrice!
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Sicilia 2 Il nuovo consiglio regionale adma è stato eletto il 18 settembre 2011. Il 15 ottobre sono stati assegnati i diversi ruoli: Luigina Ciaramella, presidente; Rosario Russo, vice presidente e incaricato per la pastorale familiare; Nerina Petitto, segretaria; Giuseppe Auteri, tesoriere; coordinatori di zona che si occuperanno dei vari centri locali della Sicilia: Nicola Burrascano, Maria Grazia Fichera, Rosario Russo, Maria Canale.
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DON BOSCO OGGI
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Don Bosco oggi
Da Chieri a Torino: quando
Ripercorriamo alcuni momenti della vita di Don Bosco, negli anni 1841-1844. Il periodo trascorso al Convitto Ecclesiastico riveste importanza fondamentale per la sua maturazione umana e per l’essere prete totalmente impegnato a favore dei ragazzi.
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l giovane figlio di Margherita Occhiena, che scende da Chieri verso Torino, è pervaso da grande entusiasmo sacerdotale frammisto a paure, consce ed inconsce, che gli derivano dal temperamento focoso e dal cuore assetato di dare, e ricevere, solidarietà ed affetto. La sua esperienza presso il seminario di Chieri non era stata molto positiva. Il clima educativo sapeva di formalismo e di freddezza affettiva. La cultura teologica era imbibita da tradizionalismo rigido. La direzione spirituale era circondata dall’alone della morale giansenista. Le relazioni amicali, da lui tanto ricercate, erano viste
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con sospetto e giudicate come strumento preferito dal demonio per attentare alla “bella virtù” dei seminaristi. Il prodotto finale di questa “fabbrica” di preti era quello di preparare sacerdoti-funzionari che privilegiavano il devozionalismo, invece di far crescere pastori liberi e maturi, capaci di predicare e vivere una spiritualità liberante, matura ed attraente, serenamente e gioiosamente aperta alla vita così com’è. Per Don Bosco, i momenti più belli erano stati quelli vissuti per le strade chieresi, al di fuori dalle mura del seminario, in mezzo a ragazzi che aveva saputo attrarre per la sua prestanza fisica e per la sua abilità da giocoliere. Inconsciamente Don Bosco percepisce che la grande passione educativa che egli avverte per la gioventù non è supportata da un’adeguata formazione, umana e culturale, che lo abiliti ad affrontare con competenza i problemi, esistenziali e di fede, che trasudano dall’universo giovanile torinese di quel tempo.
L’aiuto di formatori e amici Nel colmare questa grande lacuna, è aiutato da grandi preti che la Provvidenza gli permette di frequentare durante i tre anni passati al Convitto. Il teologo don Guala e Don Cafasso gli testimoniano con la
la strada insegna a educare coerenza della loro vita sacerdotale che cosa significhi e comporti essere prete. Don Felice Golzio, che diventerà suo confessore abituale dopo la morte di don Cafasso nel 1860, lo accompagna con una direzione spirituale profonda, radicata nella sobrietà del vivere, nella serietà dello studio e nell’umiltà dell’impegno pastorale costante e generoso. Con tre colleghi di studio (don Giacinto Carpano, don Pietro Ponte e don Giuseppe Trivero), che si prendono cura in particolare dei numerosi spazzacamini valdostani, condivide il cortiletto del Convitto per i giochi e può confrontarsi, scambiandosi le rispettive esperienze, sulle prime attività educative messe in atto.
Imparare ad essere prete tra i giovani È in questo contesto che si inserisce l’incontro con Bartolomeo Garelli. Non dobbiamo leggere questo episodio con la freddezza dello storico di professione, ma, piuttosto, calarlo nel calore esuberante di un ricordo che ha segnato una tappa fondamentale per la missione di Don Bosco. Lui, nato il giorno in cui la liturgia della Chiesa festeggia l’Assunta, comincia la sua attività educativa nel giorno dell’Immacolata. E la Madonna diventerà un perno inalienabile del suo essere prete educatore. Da subito si spoglia dell’atteggiamento tradizionale, fatto di distacco e poco garbo, che il clero attiva nei confronti della gioventù, per calarsi nel ruolo del prete padre, fratello ed amico: ruolo che è sconosciuto al “clerico di sacrestia” Giuseppe Comotti, tipico rappresentante delle relazioni giovanisacrestie di allora. Il dialogo successivo è ricco di coinvolgimento, libero da ogni accenno di prepotenza e per nulla sussiegoso e saccen-
te. Don Bosco riesce a mettere a proprio agio Bartolomeo, che non si rifiuta alla relazione umana offerta; anzi, si lascia coinvolgere nella proposta educativa offerta con intelligenza e rispetto, e non imposta. Mano nella mano, accompagnati da Maria, un prete e un giovane imboccano il lungo sentiero che li porta ad iniziare un nuovo modo di incontrarsi, a cui ognuno di noi è invitato a partecipare e, se è il caso, a riscoprire nella sua irrinunciabile autenticità relazionale di fede e di avventura educante. Con la sua vita, Don Bosco ci insegna che se vogliamo entrare in empatia con la gioventù dobbiamo spogliarci della presunzione di avere in tasca la soluzione a qualsiasi problema educativo. Soltanto abbassandoci al livello del giovane, riusciremo a stabilire un rapporto in cui noi, amando ed apprezzando quello che lui ama, riusciremo a fargli apprezzare quanto è fondamentale per crescere “buon cristiano ed onesto cittadino”. Ermete Tessore tessore.rivista@ausiliatrice.net
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Don Bosco oggi
Tra i giovani e sul territorio: A
bbiamo intervistato Maurizio Baradello, 51 anni, ingegnere, Salesiano Cooperatore dal 1983. Ha lavorato a lungo in un’azienda che produce moduli per stazioni aerospaziali e nel 2001 è passato alla Pubblica Amministrazione come dirigente del Settore Cooperazione Internazionale Pace della Città di Torino, che si occupa dei rapporti con centri di Paesi in via di sviluppo, con cui Torino è gemellata o ha degli accordi. Quali sono stati i progetti che ha curato più di recente? Nello scorso mese di novembre, a chiusura delle celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia, volevamo raccontare anche cosa Torino ha fatto nell’ultimo decennio, nel campo della cooperazione nei rapporti con i Paesi in via di sviluppo. Abbiamo quindi organizzato una serie di appuntamenti dove si è offerta una “carrellata” dei progetti della città nel mondo. Il più rilevante in corso è un progetto europeo con Slow Food International, sul tema dell’alimentazione in Africa, con altre tre città europee e che vedrà il suo apice quest’anno all’inizio dell’autunno con Terra Madre, evento che si svolge ogni due anni. Questi i progetti recenti e immediatamente futuri. Che cosa fanno esattamente i Salesiani Cooperatori? Cosa portano della loro formazione cattolica nella società civile? I cooperatori sono la terza realtà che Don Bosco ha fondato tra le principali assie-
me alla Congregazione dei Salesiani e alle Figlie di Maria Ausiliatrice. Già al suo tempo c’era la volontà di avere una presenza di laici che rispondessero a quelli che sono lo stile e lo spirito salesiano vivendo la spiritualità salesiana nel luogo dove si trovano. Non c’è una cosa precisa che il Cooperatore deve fare in vista, ma ciascuno fa ciò che può e come può a seconda del tempo e delle capacità di cui dispone. C’è spazio per tutti nell’Associazione! Nella nostra Ispettoria e Circoscrizione ci sono alcune opere interessanti che hanno visto partecipare i Cooperatori in alcuni casi anche con gli Ex Allievi; per esempio per la casetta a Chieri di San Domenico Savio, che funziona come centro di spiritualità e di accoglienza. Quale apporto sostanziale un Cooperatore riesce a fornire alla vita civile? Il vivere gli impegni lavorativi con lo stile salesiano è una bella sfida! Sono un dirigente, un tecnico, ma ho sempre un occhio attento alla politica. L’attenzione ai giovani e al futuro del territorio e a ciò che è legato loro e dev’essere funzionale negli anni che verranno, credo che sia determinante. È difficile portare la cultura cattolica nel mondo civile con un ruolo di mediazione? Non è semplice, ma aiuta molto lo stile salesiano con le sue caratteristiche per l’attenzione al territorio. Ci hanno insegnato a vedere le esigenze di quello che
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il “lievito” dei cooperatori è il “Valdocco” oggi, i problemi nella realtà che ci circonda… come ha fatto Don Bosco nell’Ottocento. Uno stile che va dentro il problema e cerca di risolverlo. Creando partecipazione e coinvolgimento di tutti quelli che operano, nella convinzione che da soli si riesce a fare poco, ma uniti si riesce a fare molto. Quindi conta molto il” fare squadra” ed essere coordinati verso un obiettivo comune…
INFO web
www.salcoopicp.eu
Conta tantissimo, così come contano attenzione e cuore per capire quelli che sono i problemi nell’ottica di evitare problemi maggiori. Praticamente quello che ha animato Don Bosco nella cultura della prevenzione. Cercare di scoprire i problemi, finché sono piccoli, con le energie presenti in chi ha capacità e tempo. Anche la società civile può dare stimoli?
Casetta di Domenico Savio presso Riva di Chieri, affidata ai Salesiani Cooperatori e agli Exallievi di Don Bosco.
Certo, è un interscambio reciproco, ci sono segnali che vengono confrontati e maturati dentro l’Associazione, che vengono studiati nei campi scuola, che vengono fatti con momenti formativi in cui si approfondiscono tematiche culturali o sociali. Si va avanti proprio perché c’è arricchimento in questo senso e le rispo-
ste si trovano studiando dei percorsi con lo stile salesiano. Una continua crescita reciproca. Veniamo alla realtà del Comitato per l’Ostensione della Sindone, che Lei ha coordinato nel 2010. Quanto la scelta della sobrietà nell’organizzazione e l’oculatezza delle spese sono state dettate dall’impegno e dalla cultura cattolica? Nel 2010 mi è stato chiesto di fare il direttore del Comitato e sicuramente aver avuto esperienza nell’organizzare eventi per il mondo cattolico ha avuto il suo peso. L’attenzione alle spese per evitare lo spreco e l’utilizzazione di risorse strettamente necessarie sotto l’aspetto etico, con risorse dimezzate rispetto a quelle dell’Ostensione precedente, ha richiesto un duplice sforzo. L’obiettivo era di fare il più possibile delle opere che restassero, e così è stato all’interno del “Polo Reale”, all’interno del Duomo, nel Museo della Sindone e altri posti. Questa è stata la prima Ostensione che ha visto la partecipazione di soggetti privati commerciali. È stato un compito delicato trattare con loro la gestione delle risorse investite, ma abbiamo riscosso successo e soddisfazione. Anna Rita Messe redazione.rivista@ausiliatrice.net
DON BOSCO OGGI
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Sfide educative
Da Hong Kong a Torino per Cinese, cresciuta a Hong Kong, suora salesiana per scelta, Maria Ko Ha Fong parla e scrive in cinese, italiano, inglese e tedesco ed è docente a Roma, Hong Kong e Gerusalemme. A Torino per una conferenza dalla “Cattedra del dialogo”, racconta la sua esperienza di fede in una terra dove la situazione religiosa “è certamente molto complessa”.
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resciuta a Hong Kong in una famiglia di tradizione buddista, da piccola è “contagiata” dal padre, convertitosi al cattolicesimo attraverso l’esempio dei missionari e la conoscenza della figura di Don Bosco. Con le sorelle, frequenta l’oratorio salesiano. Con sorriso ammette: «Non mi attirava la vita religiosa in sé, tanto meno l’abito strano delle Suore, ma stavo bene con loro, soprattutto con le missionarie. E poi mi affascinava l’idea di dedicare la vita non soltanto a una famiglia con alcuni figli, ma a molti giovani e in forma totale, gratuita». Una scelta coraggiosa la sua, quella di abbandonare il suo Paese e la famiglia per studiare a Torino, cuore del mondo salesiano.
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In Cina ancora diffusa l’idea che la vocazione religiosa consista in una privazione delle libertà.
Oggi, Maria Ko Ha Fong, poco più di sessant’anni splendidamente portati, ha alle spalle un curriculum eccezionale. Poliglotta, scrive in cinese, italiano, inglese e tedesco; dal 1978 è docente alla Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione “Auxilium” di Roma e all’“Holy Spirit Seminary” di Hong Kong; insegna a Roma e a Gerusalemme nei corsi di formazione biblica delle Salesiane, e un semestre in Cina materie bibliche nei seminari. E altro ancora. Ancora oggi, a distanza di anni, ogni volta che torna nel Paese d’origine trova curiosità intorno a lei. «Mi domandano se devo proprio sempre indossare quest’abito, quando posso tornare a far visita alla famiglia, se posso mangiare al ristorante o andare al cinema… Allora io cerco di far capire loro come la vita consacrata non si basa sulle rinunce, ma mira a qualcosa di molto più bello, per raggiungere il quale le rinunce diventano vie e mezzi. Queste domande mi hanno spinta a riflettere sul senso delle limitazioni e delle restrizioni necessarie nella vita. La vita consacrata è un’arte che fa vivere molto nel poco, che lancia la creatura povera e limitata verso l’infinito, che fa risplendere la grandezza di Dio nelle sue umili e piccole creature. È l’arte di Maria che esulta nel suo canto del Magnificat».
una chiamata alla libertà Presenza cristiana in Cina Viene spontaneo domandarle qual è la situazione della Chiesa cattolica in Cina. Innanzitutto evidenzia che in questi ultimi decenni si sta assistendo a uno sviluppo che «ha del sorprendente. Una Chiesa che ha sùbito un taglio netto nelle relazioni con il resto del mondo e della cristianità per oltre quarant’anni, sta lentamente rinascendo. Secondo le statistiche dell’ufficio centrale della Chiesa “ufficiale” a Pechino, i cattolici sarebbero oltre dieci milioni; le chiese riaperte negli ultimi 15 anni, quattromila; oltre 70 vescovi e circa 1500 sacerdoti. Il regime ha permesso anche la riapertura di un certo numero di seminari: uno nazionale a Pechino, sei regionali, una decina tra provinciali e diocesani; i seminaristi impegnati negli studi sono circa un migliaio. Con la politica di liberalizzazione promossa negli anni ’80, l’atteggiamento del Governo cinese nei confronti della Chiesa cattolica, si è fatto più tollerante». Lo Stato continua a dichiararsi ateo. «La situazione - continua suor Maria - è molto complessa e ambigua. È difficile affrontare la questio-
ne con poche parole. La mia esperienza della Cina è limitata ai seminari che ho visitato e in cui ho insegnato in questi ultimi quattro anni».
Guardare al futuro con speranza
Maria Ko Ha Fong, 62 anni, cresciuta a Hong Kong in una famiglia di tradizione buddista, conosciuta la realtà salesiana ha abbracciato la vocazione religiosa e oggi insegna a Roma, Hong Kong, Gerusalemme.
Scendendo più nel dettaglio, «prima del 1950 in Cina c’erano più di settemila religiose, i due terzi delle quali di origine cinese. Il destino delle Congregazioni religiose, dopo l’avvento al potere del partito comunista, non è stato diverso da quello che ha colpito i sacerdoti. Chiusura dei Conventi, espulsione delle Religiose straniere, internamento delle cinesi nelle prigioni o nei campi di lavoro. Nonostante tutto, molte di loro, incuranti delle difficoltà hanno continuato a vivere la propria vocazione in privato. Ora, la vita religiosa sta lentamente riemergendo. Recentemente molte case religiose hanno formalmente o informalmente riaperto le loro porte. Il numero delle Suore che vive allo scoperto, o in stato semi pubblico, si aggira sulle duemila. Non si conosce nulla, invece, delle religiose della chiesa clandestina”. Conclude con un messaggio di speranza e fiducia: «Il futuro della Cina risiede nei giovani: a loro guarda con speranza la Chiesa perché sono capaci di contribuire alla collaborazione e riconciliazione tra la Chiesa ufficiale e quella clandestina. Più liberi dal peso del passato, essi sono capaci di vivere esperienze sincere di fraternità e di amicizia. Si gioca proprio qui la speranza che accompagna questo lento rifiorire della vita e della fiducia nella “cultura cristiana” anche da parte delle autorità governative del paese». Chiara Genisio – Luca Rolandi redazione.rivista@ausiliatrice.net Sfide educative
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Sfide educative
Giovani a tutti i costi Il mito dell’essere sempre giovani attira molti adulti, che non badano a spese per eliminare i segni del tempo e che talora proiettano sui ragazzi frustrazioni e stereotipi senza rispondere alle loro domande. Eppure questi attendono risposte “adulte”.
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l mito moderno del forever young mette la gioventù al centro dell’interesse di un certo mondo così detto adulto. Questa attenzione, molto spesso, attiva spasmodici tentativi di emulazione comportamentale e di illusione di arrivare ad ottenere una “perenne giovinezza”. L’esplosione della incredibile vitalità giovanile, la loro statuaria bellezza ed elasticità, accompagnata da una elegante armonia corporea, ingenera invidia ed attiva desideri di difficile emulazione. Per fare questo non si bada a spese, pur di arrivare ad eliminare i segni che l’implacabile trascorrere degli anni lascia sul nostro corpo, minando lentamente l’organismo. I miracoli oggi si chiedono ai chirurghi estetici che con i loro bisturi tagliano, asportano, aggiungono, rimodellano volti, e non solo quelli, ricorrendo a botulino e silicone a manetta. Non mancano creme dimagranti o rassodanti e variopinte tinture di capelli che alimen-
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tano l’illusione di essere giovani, nonostante che le carte di identità denuncino la nostra attempata stagionatura sotto il sole della vita che da un pezzo ha abbandonato le dorate rive dell’adolescenza.
Lenti di ingrandimento sovente deformanti Questo larvato complesso di inferiorità, porta a coccolare e vezzeggiare i giovani ed a metterli perennemente sotto le lenti di ingrandimento, ma sovente deformanti, di “sputasentenze” petulanti che proiettano su di loro vecchie frustrazioni e polverosi stereotipi qualunquistici. Il metro di giudizio sul mondo giovanile è tarato sulla lunghezza d’onda della banalità del vivere di molti nostri contemporanei. Domande importanti sui ragazzi d’oggi non vengono mai poste. Quali sono i valori dei giovani? Quali sono le loro certezze e paure? In chi sperano? Credono ancora in Qualcuno? Per avere dei riscontri al riguardo, dobbiamo avere il coraggio di inoltrarci nel web dove li incontriamo meno restii a manifestarsi e più disponibili al dialogo. Se uno è interessato a scandagliare il loro vissuto religioso, vi trova molti elementi da cui è possibile crearsi un’idea, se non precisa, almeno verosimile nel suo insieme. È di questi giorni la notizia che Facebook ha raggiunto il miliardo di utenti. Fra essi, i giovani sono presenti in modo massiccio. Bighellonando su Facebook, c’è un dato che impressiona. Molti adolescenti, nel presentare il proprio profilo, non esitano a definirsi atei od agnostici. I loro
I social network non sono un mondo impenetrabile agli adulti, ma uno strumento che può essere utile per scoprire meglio cosa vivono i giovani e per aiutarli a trovare risposte alle tante domande che affollano la loro vita e che spesso la società banalizza.
giudizi sulla Chiesa, sulla gerarchia, sui preti, sul modo di vivere la fede di molti adulti sono impietosi e sferzanti. Tuttavia, questi stessi giovani, all’apparenza così refrattari alla fede, sono gli stessi che danno vita, nel mondo web, ad una inattesa proliferazione di siti in cui “lanciano” preghiere bellissime e piene di pathos; “accendono” candele virtuali alla Madonna o a qualche Santo che ispira loro fiducia; “condividono” esperienze di profonda spiritualità; “ricercano” luoghi di meditazione e di silenzio in cui ritrovare se stessi.
Nei giovani internettiani la fede non è morta
L’attenzione a mantenere esteriormente i segni della giovinezza occupa tempo e risorse che invece potremmo utilizzare per dialogare, attraverso il web con chi è anagraficamente giovane, per scoprire con loro i «segreti» della giovinezza dell’anima.
Il mondo di internet, sempre più, sembra confermare quello che gli esperti di sociologia religiosa hanno battezzato believing without belonging. La fede giovane non è morta, ma soffre di nomadismo esasperato. La fede, ed il suo indotto, è frutto inconscio di una esangue formazione ed informazione ricevuta nel contesto familiare. È un credere emulsionato che ha più le caratteristiche di una larvata identità culturale che di una libera e ponderata scelta che porta ad un nuovo modo di vivere e di relazionarsi. Le tanto decantate Giornate Mondiali della Gioventù sono l’esempio più lampante di questa realtà. Esse, infatti, riempiono le piazze, ma non le chiese. Le masse giovanili, una volta rassicurate di essere imponenti in termini di visibilità mediatica, si inabissano nell’anonimato individualistico.
Eppure è questa gioventù che aspetta al varco la Famiglia Salesiana tutta protesa nel celebrare il bicentenario della nascita di Don Bosco. Essa non è molto diversa da quella con cui ha dovuto misurarsi il nostro Santo fondatore. Lui non si è limitato ad aspettare i giovani all’ombra della sacrestia, ma è andato a cercarli nei luoghi dove vivevano, lavoravano od erano sfruttati. Li ha stanati dalla loro paura proponendo loro progetti concreti di vita in cui professionalità lavorativa, serietà di cultura, vita di fede reale si amalgamavano e completavano a vicenda. Ha spalancato loro le porte di nuove professioni, ha messo a loro a disposizione la migliore tecnologia del tempo e tutta la sua santità, esonerandoli dal presenziare ad inutili convegni, sterili dibattiti o a una miriade di celebrazioni autoreferenziali, ridondanti e fuori tempo. Ermete Tessore tessore.rivista@ausiliatrice.net
SFIDE EDUCATIVE
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Sfide educative
A Valdocco si impara la vita Il tempo di gesso e lavagna d’ardesia è finito. Oggi la sfida educativa si gioca sull’innovazione tecnologica e sul tema le medie di Valdocco hanno molto da dire.
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all’anno scorso, sono state introdotte nelle classi le lavagne multimediali, collegate direttamente con il computer del prof, e adesso i ragazzi fanno a gara per farsi interrogare. Parallelamente, si è pensato di dotare ogni allievo di un netbook. La lezione spiegata, gli schemi messi sulla lavagna interattiva attraverso la rete interna, possono essere scaricati come file dagli studenti e portati a casa. Gli stessi libri sono inseriti per la maggior parte nei portatili. Un dato interessante, visto l’annoso problema delle cartelle troppo pesanti. Tutto questo accade alle medie Don Bosco di Valdocco. Anche il dialogo con papà e mamma è molto curato. Spiega in proposito il vicepreside Davide Sordi: «Da qualche anno si è pensato di introdurre il registro online. Si dà così la possibilità alle famiglie di essere più vicine alla Scuola. Vi si trovano non solo voti e annotazioni, ma anche gli argomenti trattati in aula, nel caso in cui l’allievo sia malato o non possa recarsi a Scuola. Il registro è sul sito web dell’Istituto: i genitori possono accedervi con una password specifica». L’innovazione è una risposta ai bisogni dei ragazzi, che sono abituati a vivere la complessità dei nuovi mezzi di comunicazione. Ma a una condizione: «I preadolescenti di oggi “nascono digitali” – spiega Sordi – tutto quello che noi chiamiamo rivoluzione tecnologica, per loro è il presente. La nostra idea è però che la multimedialità debba andare a integrare la tradizione, non a sostituirla. Carta e lettura dei libri “fisici” non sono abbandonate. Sarebbe un danno irreparabile. Anche la
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lentezza della scrittura è un patrimonio: nel mondo che va troppo veloce, la possibilità di fermarsi e riflettere è un valore».
A misura di studente
I preadolescenti nascono “digitali”. Ciò che per noi è rivoluzione tecnologica, per loro è il presente.
INFO web
www.scuolamedia.valdocco.it
Valdocco ha altri punti di forza. Il complesso, che sorge nel cortile di Maria Ausiliatrice, ospita circa 250, suddivisi in tre sezioni per ogni classe. Oltre al corpo docente, la struttura conta anche su due educatori. Negli anni, la popolazione scolastica è cambiata molto: ci sono studenti da tutte le parti del mondo, di seconda generazione, perfettamente integrati. Quest’anno, inoltre, per la prima volta i numeri di ragazze e ragazzi si equivalgono. Una cosa non è mai cambiata. «Oggi come ieri, la nostra Scuola, pur essendo paritaria, mantiene una dimen-
sione popolare – dice Sordi –. È un nostro punto di forza, in linea con l’idea del Fondatore». L’attenzione al singolo è un altro punto di forza. «I ragazzi non sono numeri – spiega il direttore, don Enzo Baccini –. Si cerca di far leva sulle loro potenzialità, non limitandole ma, anzi, valorizzandole. Vogliamo che credano sempre in se stessi». Così, il ruolo della Scuola diventa importante anche davanti a varie forme di disturbi specifici dell’apprendimento (Dsa), di cui oggi si parla tanto. «Puntiamo a che i nostri insegnanti siano a conoscenza di queste problematiche e soprattutto siano vicini ai ragazzi – dice don Baccini – anche l’approccio multimediale fornisce molti spunti per trasformare il disagio in crescita». La cura per la formazione umana e cristiana dell’allievo è un aspetto fondamentale. Com’è scandita la giornata di un alunno? L’apprendimento scolastico si svolge dalle 8,30 alle 13,30. Le lezioni sono inframmezzate da un lungo intervallo. È la parte più corposa della giornata. Tra le materie più “cliccate”, immancabili Italiano, Matematica e Lingua straniera. Anche il pomeriggio ha però una parte importante: dopo il pranzo – per chi vuole, c’è la mensa – arriva il tempo della ricreazione, fatta di gioco in cortile o al coperto, tornei, animazione, arriva il tempo dei laboratori. Ce ne sono per ogni esigenza, e tra i più gettonati non mancano Drammatizzazione (teatro) ed Espressione artistica, che sfociano in un grande spettacolo a fine anno. Ma c’è anche spazio per chi desidera studiare in tranquillità. Meglio se a ripassare la lezione sono piccoli gruppi. «Insieme si impara più in fretta e si sviluppa la socialità», dice don Baccini. Il tutto avviene con la costante presenza di adulti, come supervisione e accompagnamento. Alle 16,30, o al più tardi alle 17,30, la giornata si conclude, in attesa della nuova campanella.
La comunità educativa
La scuola punta a far crescere insieme, ragazzi, genitori, insegnanti e comunità salesiana come in una vera famiglia.
L e medie Don Bosco non si curano solo della formazione dei più giovani. La loro vocazione è quella di comunità educativa. Un esempio in tal senso è quello degli ex allievi, che tornano volentieri nella loro “vecchia” Scuola, con cui intraprendono un percorso aggregativo e formativo. Ma c’è anche molta attenzione al cammino dei genitori degli allievi di oggi: «Ogni mese offriamo loro dei momenti di riflessione e di preghiera nella splendida cornice della Basilica Maria Ausiliatrice, una possibilità che non ha nessuna altra Scuola al mondo – svela don Enzo Baccini –. Poi ci sono incontri specifici, le feste, le gite in luoghi di cultura, di arte ma anche di spiritualità». Valdocco è una comunità educativa che ha come protagonisti i ragazzi e le loro famiglie; e insieme con loro i docenti e la comunità salesiana costruiscono insieme lo stesso cammino. «Bisogna far sentire ai ragazzi che si vuole loro bene, guadagnarsi la loro fiducia – conclude don Baccini – renderli responsabili e solidali con il prossimo, dando loro la possibilità di essere meno arrabbiati con la vita, anche quando appartengono a famiglie con difficoltà». Luca Mazzardis
Anche il gioco ha un ruolo importante, soprattutto al pomeriggio.
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SFIDE EDUCATIVE
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Sfide educative
Un progetto europeo: “Euro A Monaco di Baviera si svolgerà un festival di cortometraggi realizzati da giovani per i giovani. L’iniziativa coinvolgerà numerose sedi salesiane d’Europa, secondo lo stile educativo del nostro Fondatore. © Hervé Vincent - Atelier Multimedia
L
’idea di EuroClip Don Bosco, un Festival europeo di cortometraggi, è nata durante la riunione dei delegati della Comunicazione Sociale d’Europa, svoltasi a Bratislava (Slovacchia) due anni fa. In quell’occasione, i francesi impegnati in questa pastorale hanno invitato i rappresentanti di Austria, Italia, Spagna e Repubblica Ceca al “Festiclip”, il festival didattico di cortometraggi educativi, che da sette anni è promosso appunto dai salesiani francesi. In una giornata i giovani, accompagnati dagli educatori che li hanno aiutati a realizzare i loro filmati, si ritrovano per assistere alla proiezione dei loro lavori, discutendo insieme su contenuti e modalità di realizzazione: questo è “Festiclip”. Anche in Spagna si svolgono vari concorsi di cortometraggi, soprattutto nell’Ispettoria di Valencia dove, da cinque anni, si
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Da 7 anni i salesiani francesi propongono un festival didattico di cortometraggi educativi si tratta di una giornata per giovani in cui vengono visti e discussi i filmati realizzati dai giovani stessi con l’aiuto di educatori.
organizza il Micro-Curts Contest. Ci sono, poi, altre esperienze più locali nelle Ispettorie di Sevilla e León. A livello nazionale, da tre anni la Confederazione Don Bosco dei Centri Giovanili ed Oratori promuove Protagonízate, un concorso di spot realizzati da giovani dei Centri Giovanili e delle Scuole, che attraverso i videoclip cercano di sensibilizzare i coetanei, e non solo, nella lotta contro il consumo di droghe e sull’importanza di una vita “sana”. Sulla base di queste iniziative si è organizzato un incontro per preparare un festival europeo che, a partire dalle esperienze locali, possa diventare occasione di scambio tra giovani che frequentano Case salesiane nei vari Paesi. L’incontro si è svolto in Spagna, a Madrid, dall’11 al 13 settembre 2011: vi hanno partecipato i rappresentanti di Italia, Francia, Austria, Spagna e la rete europea salesiana Don Bosco Youth Net. L’incontro è stato possibile grazie alla Comunicazione Sociale della Congregazione, con don Donato Lacedonio, in rappresentanza di don Filiberto Gonzalez, Consigliere Generale per la Comunicazione Sociale. A Madrid si sono definiti gli obiettivi del festival europeo ed esaminati gli aspetti organizzativi in modo da favorire la partecipazione di realtà salesiane molto diverse. Così è nato il progetto Don Bosco Euroclip. Dopo quattro mesi, informato il Consiglio Generale della Congregazione e ottenuta l’approvazione al progetto, i coordinatori si sono ancora ritrovati per coinvolgere più Paesi e Ispettorie con esperienza in questo settore. Intanto, hanno aderito al progetto il CGS Italia (Cinecir-
Clip Don Bosco” coli Giovanili Socioculturali), Germania, Malta, Slovacchia e Polonia. Dal 13 al 15 gennaio scorso, nella Casa Generalizia, a Roma, si è svolta una riunione dove è stato lanciato EuroClip Don Bosco (questo il nome definitivo del progetto), con lo scopo di coinvolgere i giovani della realtà salesiana, perché attraverso il linguaggio del cinema possano esprimere le loro idee, preoccupazioni e speranze.
Due fasi: nazionale ed europea Il progetto si articolerà in due fasi. La prima a livello nazionale, dove educatori, laici e religiosi avranno un ruolo importante a sostegno dei giovani, sia nell’aspetto artistico-tecnico, sia nel pensare quali messaggi trasmettere con i video. La seconda fase sarà il festival europeo vero e proprio, in cui i partecipanti saranno selezionati a livello nazionale. Sarà un’occasione unica per incontrare gli altri
EuroClip Don Bosco non finirà con il festival: a conclusione del progetto sarà realizzato un dvd didattico per i giovani di tutte le case salesiane d’Europa.
vincitori nazionali, assistere insieme alla proiezione dei clip e discuterne il messaggio, in un clima di amicizia e ottimismo, secondo lo spirito salesiano. Non si può dimenticare, a questo punto, la dimensione pastorale. Il cinema è uno strumento di evangelizzazione dei giovani rivolto ad altri giovani, come indicato nello slogan scelto per l’“EuroClip Don Bosco”: “film di giovani per i giovani”. La rassegna si svolgerà a Monaco di Baviera, con la partecipazione del Rettor Maggiore, don Pascual Chavez. Sarà un’occasione unica d’incontro tra culture diverse, un’esperienza indimenticabile per i partecipanti e per gli educatori che li accompagneranno. Il festival fa parte del “Progetto Europa” che Ispettorie e realtà salesiane molto diverse tra loro stanno realizzando con un obiettivo educativo comune. Si tratta di un progetto multidisciplinare che riunisce la Comunicazione Sociale e la Pastorale Giovanile (chi scrive è presidente della Confederazione dei Centri giovanili e oratori di Spagna). “EuroClip Don Bosco” non finirà con il festival, dal quale ognuno tornerà a casa con i ricordi di un’esperienza unica. A conclusione dei questo progetto, infatti, sarà realizzato un dvd didattico per i giovani di tutte le case salesiane d’Europa, per mostrare a tanti altri coetanei che è possibile un mondo diverso, seguendo lo stile educativo di Don Bosco. Dal nostro corrispondente: Ángel Gudiña Canicoba President Confederación de Centros Juveniles Don Bosco de España
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redazione.rivista@ausiliatrice.net sfide educative
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Don Bosco oggi
A Porta Palazzo i faseuj di suor Yasmine P
er tanti, l’immagine simbolo di Torino e della sua anima, più che la Mole o la cupola del Duomo, è quella di Porta Palazzo. Definito il più grande mercato a cielo aperto d’Italia, con il suo Balon, mercatino delle pulci in cui si rivendono tuti i rotam ’dla vita, questo luogo di incontro (e di scontro) tra culture, etnie e religioni, ha visto nascere, crescere, spesso morire, desideri di integrazione con una realtà sociale cittadina che diventa sempre più complessa. Tra le bancarelle di questo mercato, Don Bosco cercava i suoi oratoriani e firmava per loro i primi regolari contratti di lavoro. Qui prendeva corpo il progetto assistenziale del Cottolengo, destinato agli ultimi fra gli ultimi. Qui, da sempre santità, disperazione e delinquenza si rincorrono accanto alle antiche mura romane. All’ombra di queste mura, sui passi di Don Bosco, l’8 dicembre 2006, per commemorare il 125° anniversario della morte di Madre Mazzarello, è nato il progetto Aperta-mente cittadine. Protagoniste, tre suore salesiane - Paola, Julieta, Yasmine - e donne di diversa provenienza che abitano il quartiere, alla ricerca di integrazione, identità, lavoro. La piccola Comunità vive in un appartamento di un condominio multietnico. Vuole essere una presenza amica, capace di parlare, ascoltare, aiutare e accogliere. E soprattutto di testimoniare il Vangelo. Dal 2006 si sono realizzati progetti diversi, come le feste condominiali multietniche, il gazebo che spunta fra le bancarelle durante il mercato del sabato o l’avvio di laboratori di taglio, cucito, alfabetizzazione destinati alle donne. L’apostolato salesiano non esclude i to-
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Ancora oggi a Porta Palazzo i Salesiani sono vicini ai più poveri, non solo gli italiani che ai tempi di Don Bosco facevano fatica a trovare un piatto di fagioli, ma anche gli stranieri che oggi mangiano cous cous.
rinesi, ai quali rivolge l’invito ad aprire la mente e il cuore. Anche se nella grande piazza le molte varietà di arabo e di cinese hanno soppiantato i dialetti alpini e gli idiomi di tante Regioni italiane. Anche se oggi si consumano kebab e cuscus negli stessi locali dove cinquant’anni fa si vendeva, per poche lire, un piatto di pasta e fagioli agli immigrati del nostro Sud, in cerca di fortuna. Ecco la ricetta della tipica minestra piemontese. Soffriggere in poco olio un trito di cipolla, lardo e aglio. Aggiungere 2 litri di acqua e cuocere 200 g di fagioli secchi, ammollati per una notte. Dopo un’ora circa, unire 200 g di pasta corta. A cottura ultimata, versare nella pentola una cucchiaiata di prezzemolo tritato e una spruzzata di pepe. Anna Maria Musso Freni redazione.rivista@ausiliatrice.net
Lettere a suor Manu
Educare alla fede: sì ma… Sono mamma di due bambini di terza e quarta primaria. Sono catechista e ritengo la fede e la vita cristiana il valore più grande che io possa trasmettere ai miei figli. Un anno fa mio marito se n’è andato, poi si è pentito e avrebbe voluto rientrare a casa ma io non me la sono proprio sentita. Così ci siamo messi più a meno d’accordo perché potesse vedere i bambini anche lui. Ora però, quando i bambini sono con lui, non li porta a Messa e non li aiuta a pregare, anzi ha uno stile di vita molto lontano dal Vangelo. Non sarebbe opportuno che anche mio marito si preoccupasse almeno di portarli a messa? Una mamma sola Mi ha colpito soprattutto la frase «non me la sono proprio sentita». Certamente aveva mille motivi però io credo che il gesto che, più di tutte le Messe e le preghiere, avrebbe aiutato i suoi bambini a comprendere la proposta del Vangelo, sarebbe stato il perdono dato a suo marito. C’è un racconto di Bruno Ferrero
Nei rapporti affettivi, nella coppia, ma anche tra genitori e figli è importante un reciproco aiuto a coltivare la dimensione della fede.
che ci aiuta a riflettere, sebbene parli di rapporto padre e figlio che è certamente diverso dal rapporto coniugale, sul valore del perdono. «Intorno alla stazione principale di una grande città, si dava appuntamento una folla di relitti umani: poveracci, ladruncoli, giovani drogati... Infelici e disperati. Barbe lunghe, occhi cisposi, sporcizia. Colpiva, tra tutti, un giovane, che si aggirava in mezzo agli altri poveri naufraghi della città: quando le cose gli sembravano proprio andare male, estraeva dalla sua tasca un bigliettino unto e stropicciato e lo leggeva. Poi lo rimetteva in tasca. Qualche volta lo baciava, se lo appoggiava al cuore o alla fronte. La lettura del bigliettino faceva effetto subito: riprendeva coraggio. Su quel biglietto sei piccole parole soltanto: “La porta piccola è sempre aperta”. Era un biglietto che gli aveva mandato suo padre. Significava che era stato perdonato e in qualunque momento avrebbe potuto tornare a casa. E una notte lo fece. Trovò la porta piccola del giardino di casa aperta. Salì le scale in silenzio e si infilò nel suo letto. Il mattino dopo, quando si svegliò, accanto al letto, c’era suo padre. In silenzio, si abbracciarono». Essere cristiani non è solo pregare. Il perdono è certamente l’impegno più difficile che Gesù ci ha lasciato, però è la carta d’identità del cristiano vero. E per i vostri bambini un gesto di perdono così, avrebbe più forza di mille Messe. Per non parlare della pace e della gioia che avvolgerebbe il suo cuore, la sua vita e quella della sua famiglia. Manuela Robazza suormanu.rivista@ausiliatrice.net
DON BOSCO OGGI
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Un bouquet per Maria D
on Bosco faceva le cose bene. La sua operetta sulle meraviglie di Maria lo dimostra. Di Gesù tutti si stupivano e dicevano: «ha fatto ogni cosa bene; fa udire i sordi e fa parlare i muti» (Mc 7,37). Ma anche di Don Bosco, della sua splendida figura sacerdotale, della fecondità della sua opera educativa, e anche dell’impegno per la stampa cristiana di carattere popolare e divulgativo, si doveva ammettere che vi era del prodigioso. Il 27 aprile 1865 veniva posta la pietra angolare della chiesa-santuario di Maria Ausiliatrice in Torino-Valdocco, destinata a diventare centro di religiosità popolare ed ecclesiale e fulcro dell’opera salesiana nel mondo. Verrà consacrata solo dopo 3 anni, il 9 giugno 1868: davvero sorprendente, come sempre le opere di Dio! Il progresso straordinario nella costruzione dell’edificio sacro fu frutto sia dell’insonne elemosinare di Don Bosco, sia soprattutto delle numerose grazie ottenute per intercessione della Madonna invocata sotto il titolo di Ausiliatrice, di cui Don Bosco si faceva paladino e fiduciario. Don Bosco accompagnò questi eventi con la pubblicazione di opuscoli che illustravano l’evento, lo motivavano e stimolavano a collaborare all’opera avviata. Tra questi spicca il libretto Maraviglie della Madre di Dio invocata sotto il titolo di Maria Ausiliatrice, che riproponiamo a tutti i devoti di Maria Ausiliatrice e ai gruppi della Famiglia Salesiana, come espressione della dimensione mariana della storia, della pedagogia, della spiritualità del grande padre e maestro dei giovani. Una breve introduzione di don Pierluigi Cameroni, animatore spirituale dell’Associazione di Maria Ausiliatrice, e un commento teologico a cura di don Roberto Carelli aiutano ad apprezzare questo florilegio in onore della Madonna, che si in-
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serisce nell’illustre filone mariologico che va sotto il nome delle “glorie di Maria”, in cui il vigore del pensiero e la devozione del cuore sono una cosa sola.
San Giovanni Bosco Meraviglie della Madre di Dio Prefazione di Pierluigi Cameroni Commento teologico di Roberto Carelli Editrice Elledici Pagine 168, € 6,00
Don Sergio Pellini alla Tipografia Vaticana Lo scorso gennaio, il cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato Vaticano, ha nominato direttore generale della Tipografia Vaticana - Editrice “L’Osservatore Romano” don Sergio Pellini, che subentra a don Pietro Migliasso, direttore per tre anni. I lettori conoscono bene i due sacerdoti salesiani perché entrambi hanno partecipato per anni alla vita della Basilica di Maria Ausiliatrice e hanno collaborato, anche con ruoli diversi, alla nostra Rivista. In particolare, don Sergio Pellini è nato a Legnago (Verona) nel 1959 ed è sacerdote dal 1987. Dopo vari incarichi, dal 2005 a giugno 2010 è stato Rettore della nostra Basilica. Poi è stato Rettore della Basilica di Colle Don Bosco. Con il nuovo incarico assume anche quello di direttore della comunità salesiana “San Francesco di Sales” in Vaticano. «Il passaggio dal Colle don Bosco all’Editrice - ha detto - non è certo semplice, ma è un’ulteriore opportunità per vivere lo spirito di servizio al Papa, che fa parte del nostro carisma». Don Pietro Migliasso, originario di San Damiano d’Asti, dopo tre anni lascia, appunto, l’incarico di direttore generale per altri importanti impegni nella Congregazione.
Mandateci le vostre foto con la rivista in mano! foto.rivista@ausiliatrice.net Con i suoi 102 anni, che compirà il prossimo 17 aprile, Consuelo Felicia Fetta Cuomo, di Piedimonte Matese (Caserta), è tra i più “grandi” devoti di Maria Ausiliatrice e di Don Bosco. Salesiana cooperatrice, è abbonata alla nostra Rivista, che legge e commenta con parenti e amici. Ci uniamo alla sua e loro gioia, assicurando il ricordo in Basilica.
Mandateci i vostri sms! Basta inviare un messaggio, anteponendo alla vostra richiesta di preghiera la parola RIVISTA al numero 320.2043437. Pubblicheremo gli sms più significativi e a tutti assicuriamo il ricordo in Basilica
In questo numero il saluto del rettore 1 Niente ti turbi, cristo è risorto
Giovani in cammino 26 Quando un incontro fa la differenza
a tutto campo 2 Conquistati dalla meraviglia dei giovani
don bosco oggi 28 Verso Milano:
leggiamo i vangeli 4 come gli apostoli: scelti e amati
30 Da Chieri a Torino:
in cammino con maria 6 Gesù: “ricercato numero uno” maria nei secoli 8 Il dogma dell’Immacolata: la luce dell’800 10 L a Madonna in campagna la parola qui e ora 12 Quest’uomo era Figlio di Dio! amici di dio 14 L a ‘buona a nulla’ di Lourdes prediletta da Maria
esperienze 16 Il silenzio nel cuore della città chiesa viva 18 Noi, pellegrini della verità 20 C aro Gesù... còmprati un cellulare 24 Tante povertà, una ricchezza
famiglie protagoniste
quando la strada insegna a educare
32 Tra i giovani e sul territorio: il “lievito” dei cooperatori 42 A Porta Palazzo i faseuj di suor Yasmine sfide educative 34 Da Hong Kong a Torino per una chiamata alla libertà
36 Giovani a tutti i costi 38 A Valdocco si impara la vita 40 Un progetto europeo: “Euro Clip Don Bosco”
lettere a suor manu 43 Educare alla fede: sì ma… 44 Un bouquet per Maria poster Nel cuore dell’uomo le risposte di Dio
segni e valori 21 Non sono cavaliere Nº 2 - 2012 ANNO XXXIII BIMESTRALE
marzo-aprile
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saggio gratuito per un numero o sei già abbonato/a e desideri farla scoprire ad altri che conosci fotocopia o ritaglia il box, spediscilo in busta chiusa e affrancata a: Remo Girone è MURIALDO, amico di DON BOSCO pag. 6 Gesù
L’uomo più “ricercato” della storia
pag. 26 Un tema in classe
pag. 38 A Valdocco
Fa riscoprire la differenza: vivere per Dio
la sfida educativa è sull’innovazione
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