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• ANNO XXX - MENSILE - N° 3 - MARZO 2009
RIVISTA DEL SANTUARIO BASILICA DI MARIA AUSILIATRICE - TORINO
Ha dato la vita per noi
QUARESIM A
Vita liturgica
tempo di conversione e d
Così cerca di prolungarsi il pianto nella notte, ma già il mattino sorge: mistero d’amore è la nostra parabola. Dov’è la vittoria della morte? Un forte vento toglierà la pietra anche dal nostro sepolcro. Il futuro è già presente e viene incontro, luce adorna come fiori le piaghe, resurrezione ha nome il nostro giorno. (Padre D. M. Turoldo, 1916-1992)
Origine della Quaresima
L
a Risurrezione di Cristo è il centro sul quale poggia e si alimenta la fede del credente. Essa è l’oggetto primario della predicazione degli Apostoli e costituisce la sintesi dell’intera vita del cristiano. Perché il cristiano deve credere in Dio (e non di rado credere è fatica), deve sperare nella vita eterna (e sperare vuol dire attendere con pazienza e fiducia), deve amare i fratelli fino a donare per loro la vita (e sacrificarsi per loro è l’essenza dell’amore)? Perché Cristo è risorto, e con la Risurrezione ha vinto per sempre la morte e il peccato. Se Cristo non fosse risorto, inutili sarebbero non solo la fede, ma pure la speranza e l’amore. Così insegna l’apostolo Paolo (1 Cor 15,17). Questa verità rivelata e provata duemila anni or sono (Lc 24,39) prosegue nel tempo e si diffonde nello spazio. La Risurrezione si celebra nella festa di Pasqua, che trae origine dall’antica pasqua ebraica che ricordava il passaggio (la pesáh in ebraico significa passaggio) degli Ebrei attra2
La Quaresima è un tempo nel quale il cristiano si prepara a vivere intensamente il triduo Pasquale di morte e Risurrezione del suo Signore.
verso il deserto e il Mar Rosso, e la loro liberazione dalla schiavitù egizia. La vicenda terrena di Gesù ha trovato a Pasqua il suo epilogo più tragico e glorioso. Ucciso durante i giorni della festa ebraica, il suo sacrificio vi conferisce un senso nuovo: è Lui il vero agnello sacrificato per Dio e per tutti, nel cui sangue si stabilisce e si perfeziona la nuova alleanza (Lc 22,20; 1Cor 11,25); Egli diventa “nostra Pasqua” (1 Cor 6,7). Per i cristiani dei primi secoli non vi erano altre feste. La celebravano settimanalmente nel
dies domini, il giorno del Signore. Per questo ancora oggi si dice, giustamente, che ogni domenica è Pasqua, la Pasqua della settimana rivissuta nell’Eucaristia, e ogni credente – che sia tale – non la può posporre a nessuna altra cosa. Non è accettabile quello che tante volte si sente dire: pratico poco perché ho il mio credo dentro di me e non sento il bisogno di esternarlo in chiesa. La festa della Risurrezione, cioè della Pasqua, merita e richiede una preparazione. L’idea di una preparazione ampia ed in-
MA
e di salvezza tensa si sviluppò in Oriente, nel IV secolo; in Occidente, invece, alla fine di tale secolo o poco più tardi. Da quell’epoca si comincia a parlare di Quaresima, come insieme di 40 giorni considerati alla luce del simbolismo biblico che dà a questo tempo un valore salvifico e redentivo. Fissando il tempo di 40 giorni (da cui il termine “quaresima”), la Chiesa ha accolto la tipologia biblica di questo numero: Mosè sta 40 giorni sul Sinai davanti alla gloria del Signore (Es 24,12-18); Elia cammina nel deserto per 40 giorni (1 Sam 17,16-41); attraverso la predicazione di Giona, Dio accorda 40 giorni di penitenza ai perfidi abitanti di Ninive (Gn 3,4-11). Dando pieno valore salvifico a questi esempi (e ai molti altri dell’AT), Gesù iniziò la sua attività messianica rimanendo 40 giorni nel deserto (Mc 1,12-13). Anche il credente deve prepararsi intensamente per 40 giorni prima di celebrare l’evento essenziale della fede, mediante l’ascolto più frequente e meditato della Parola e la maggiore frequenza ai sacramenti.
zione alla libertà. Insegna il Vaticano II che questo tempo ha un duplice carattere: battesimale e penitenziale (Sacrosanctum Concilium 109). Il Battesimo, sacramento fondamentale, deve essere rivissuto nella sua interezza, non solo come celebrazione rituale, ma come spirito di conversione continua che anima tutta la vita del credente. Legato al simbolo di morte e di vita attraverso l’acqua, il Battesimo viene riscoperto come rinnovata nascita alla vita divina, e la sua memoria inserisce sempre più in quell’organismo che è il corpo mistico di Cristo, cioè la Chiesa. La penitenza non è il risultato di una serie di appesantimenti della vita quotidiana, ma riscoperta umile e riconoscente del dono della vita, avente l’obiettivo di conformare sempre più la vita alla volontà di Dio, la cui profondità di sapienza rende imperscrutabili i giudizi e inaccessibili le vie (Rom 11,33). Penitenza non è quindi imporsi una rinuncia ad un cibo o bevanda, che si può interrompere in ogni momento, ma trasformarsi rinnovando la mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò
che è buono, a Lui gradito e perfetto (Rom 12,2). Qui trovano senso le mortificazioni che il credente può imporsi, orientate però non ad un esercizio fisico o anche ascetico, ma rivolte ad un maggior amore a Dio e ai fratelli. Il sostantivo “penitenza” viene dal latino poenitentia, a sua volta proveniente dall’antico greco metanoia, termine usatissimo da San Paolo, che vuol dire cambiamento di mentalità. Ciò comporta il graduale passaggio da una vita centrata su se stessi ad una vita proiettata verso Dio e i fratelli, combattendo l’orgoglio, l’ira, l’avarizia, l’invidia e ovviamente il culto di sé. Ecco dunque il cammino quaresimale: l’abbandono, faticoso e protratto per tutta l’esistenza, del peccato, nell’acquisizione che nessuno vive e muore per se stesso (Rom 14,7-8), e che quella realtà immediata e tangibile, e sovente amata male ed egoisticamente che è il corpo, è vero tempio dello Spirito Santo, e attraverso di esso si glorifica Dio (1 Cor 6,19-20). Per cui Quaresima è anche proibire al corpo piaceri inutili o dannosi, come pure concessioni pericolose e devian-
I quaranta giorni quaresimali sono un tempo di educazione alla libertà che Cristo ci ha guadagnato con la sua morte in Croce.
Caratteri della Quaresima Alla voce “quaresima” si accosta facilmente l’idea di un qualcosa di lungo, monotono e stancante. Non sono questi i suoi caratteri. Anzitutto la Quaresima non è un tempo di mortificazioni e di rinunce, ma un tempo di educa3
ti: l’imposizione delle ceneri e il digiuno. La Lettera circolare della Congregazione per il Culto divino avente per titolo “Preparazione e celebrazione delle feste pasquali” (16-1-1988) recita: I fedeli, ricevendo le ceneri, entrano nel tempo destinato alla purificazione dell’anima. Con questo rito penitenziale sorto nella traIl progresso della conoscenza del mistero di Cristo dizione biblica, viene è il tratto portante della Quaresima che ci conduce indicata la condizioall’adorazione della sua Croce quale fonte della no- ne dell’uomo peccastra salvezza. tore che confessa esternamente la sua colpa davanti a Dio ed esprime ti, imponendogli una retta discila volontà della conversione. plina che favorisca un’efficace La benedizione e l’imposiadesione a Dio e un più sincero zione delle ceneri si svolge duamore ai fratelli. Il cristiano si rante o anche fuori la Messa. Il comporterà in ogni tempo, ma mercoledì delle ceneri è giorno soprattutto in questi 40 giorni, obbligatorio di penitenza in tutcome l’atleta che è temperante ta la Chiesa, con l’osservanza del in tutto, e che si allena non per digiuno. Il rito, il cui simboliil riconoscimento offerto da quesmo ha riscontro anche nel Vansto mondo, ma per ottenere una gelo, quando Gesù rimprovera le corona incorruttibile, trattando città galilee (Mt 11,21), costituianche duramente il corpo (1 Cor sce un segno di lutto, di dolore, 9,24-27). Sono dunque almeno di caducità. La formula dell’imquattro le ragioni che fanno di posizione è quella con la quale questo tempo il “tempo favoreGesù invita ad accogliere la buovole, il giorno della salvezza” (2 na novella: “convertitevi e credete Cor 6,2): l’adorazione di Dio Sial Vangelo” (Mc 1,15). gnore e Padre; la memoria puriL’anno B, che si sta svolgenficata dai peccati mediante il sado nella liturgia, propone per la cramento della Riconciliazione; Quaresima una serie di testi inla speranza rinnovata del giorno centrati sul mistero della croce in cui le attese umane saranno gloriosa di Cristo secondo Giorealizzate nella Terra Promessa; vanni (il segno del Tempio diultimo, la più ampia solidarietà strutto e riedificato: 2,19-21; tra gli uomini. Ecco l’educaziol’amore di Dio Padre, che dona ne alla libertà che viene dalla peal mondo il Figlio sacrificato sulnitenza quaresimale. la croce: 17,1-5; l’ora di Gesù: 2,4; 4,23). Dal ricco lezionario feriale e domenicale emerge, nelLa liturgia della Quaresima l’anno B, una Quaresima cristocentrica. Le domeniche sono cinLa Quaresima, nel rito romaque e la sesta è la domenica delno, inizia il mercoledì precedenle Palme o di Passione. te la I domenica. Questo giorno Sintetizzando questi dati, si è caratterizzato da due elemen4
può considerare la Quaresima come un esercizio di carattere ascetico-penitenziale, che ritorna annualmente come formazione permanente, un tempo di rinnovamento spirituale e di progresso nella conoscenza del mistero di Cristo e di conseguenza della Sacra Scrittura: tempo cioè di ascolto e meditazione della Parola di Dio. In tale prospettiva, è indispensabile l’accostamento frequente al sacramento della Riconciliazione, per un sincero pentimento e per il perdono delle infedeltà. La Quaresima possa dunque essere tempo favorevole alla conversione del cuore, alla riparazione per i tanti delitti e offese all’umanità, tempo che educhi al saper attendere nel silenzio e nell’ascolto. L’educazione religiosa imprime spesso un tratto di una certa pusillanimità, tanto che ogni volta che pronunciamo parole grandi sorge il sospetto di abbandonarci alla presunzione. Invece, proprio la Quaresima, insegna che è la magnanimità (nel senso etimologico della parola: l’animo grande) il segno psicologico dell’essere cristiani. Se ogni evento che tocca il genere umano ci preme veramente, offriamo la nostra penitenza e la nostra mortificazione per una cultura della vita. Possa la nostra piccola offerta contribuire al sostegno dei poveri, dei malati, di coloro che non hanno voce, che una sciagurata cultura condanna perché “inutili”. Possa la nostra offerta di penitenza sollevare un mondo allibito dalle atrocità delle guerre. Se all’inizio di questa Quaresima ci è stato detto: convertiti e credi al Vangelo, questo voleva dirci: superiamo i nostri egoismi, rompiamo i nostri schemi, apriamoci all’attesa e alla pazienza, alle provocazioni che partono da tutte le sofferenze del genere umano. Franco Careglio
Anno Paolino
PAOLO il rivoluzionario
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no, e lui dice che lo era dalla nascita. Per questo, accanto al nome giudaico di Saulo aveva anche il nome romano di Paolo.
al 29 giugno 2008 è in corso l’anno Paolino con manifestazioni, conferenze, convegni, e celebrazioni liturgiche che si succedono in tutte le Chiese del mondo per ricordare i 2000 anni della nascita dell’apostolo San Paolo, il più grande missionario di tutti i tempi. A Roma, abbiamo incontrato Monsignor Romano Penna, ritenuto uno dei massimi esperti della vita e delle opere di Paolo di Tarso. All’apostolo delle genti ha dedicato la sua vita di ricercatore, di docente universitario, pubblicando vari libri che si distinguono per rigorosità scientifica ed esposizione appassionata, resa con un linguaggio accattivante e moderno. Fondamentali le sue esegesi alle varie Lettere dell’apostolo, in particolare i tre poderosi volumi sulla Lettera ai Romani, e il suo bellissimo saggio Il DNA del Cristianesimo.
Apparteneva a una famiglia ricca? In una sua lettera, dice che si guadagnava da vivere facendo il costruttore di tende. In genere, a quel tempo, i figli apprendevano una professione dal padre e si desume che il papà di Paolo facesse quel lavoro. Si trattava di un mestiere normale, del popolo, che permetteva di vivere e di mantenere la famiglia, niente di più. Che tipo di educazione ricevette in famiglia? I genitori di Paolo erano Ebrei
A Tarso, capitale della Cilicia, da genitori Ebrei di osservanza farisea. Gli Atti degli Apostoli lo qualificano come cittadino roma-
L’Apostolo Paolo, affresco VI sec., Grotta di San Paolo – Efeso.
Dove nacque?
E dopo? A quell’età si trasferì a Gerusalemme per dedicarsi totalmente allo studio della Torah, sotto la guida del rabbino Gamaliele il
Paolo nella sua vita affrontò difficoltà incredibili pur di comunicare il Vangelo. Era sicuramente dotato di una volontà di ferro e di una straordinaria capacità di adattamento.
Professore, si conosce l’anno esatto della nascita di San Paolo? No. L’anno Paolino che stiamo celebrando è fondato su una ipotesi tradizionale secondo la quale Paolo sarebbe nato intorno all’8 dopo Cristo. Ma si tratta solo di ipotesi. Del resto non si conosce con precisione neppure la nascita di Cristo. Secondo me, Paolo era coetaneo di Gesù.
della diaspora, cioè Ebrei che, costretti dalle persecuzioni o per altre ragioni, erano emigrati lontani dalla loro terra, ma restavano fedeli alle loro tradizioni. Paolo era circonciso, fu educato e istruito nell’osservanza della legge mosaica. Ma essendo Tarso una città “cosmopolita”, quando usciva di casa, il ragazzo respirava un’atmosfera ellenica e aperta a varie culture. In famiglia, parlava l’ebraico e l’aramaico, ma fuori casa il greco. Crebbe quindi con una mentalità aperta. Almeno fino ai 12-13 anni.
Dopo la sua conversione, Paolo si dimostrò un Apostolo instancabile per annunciare a tutti la centralità di Cristo per la vita dell’uomo.
vecchio, celeberrimo rabbino. Da quel momento, il suo interesse intellettuale riguardò solo ed esclusivamente la Legge ebraica e la cultura israelitica. Negli scritti di Paolo, o dei suoi contemporanei, si trovano accenni e dati utili per farci capire quale fosse il suo aspetto fisico?
stiana, la dice lunga sul suo temperamento focoso. Egli si era reso conto che la figura del Cristo poteva mettere in crisi alcuni dati costitutivi del giudaismo, e quindi perseguitava in modo forte e duro i cristiani. Si potrebbe paragonarlo a un “talebano” del tempo. Ma poi, dopo Damasco, ci fu il grande cambiamento. Continuò ad avere un carattere forte, che poteva esprimersi con toni molto rudi, duri, ma insieme spesso con toni molto affettuosi, dolci, gentili, quasi femminili. Lui stesso si paragona a un padre e anche a una madre. La sua è una psicologia complessa, sfaccettata, molto ricca. Nella Lettera ai Romani dice chiaramente che bisogna accogliere tutti, andare d’accordo con tutti, accettare anche quelli che la pensano diversamente: c’è un irenismo, un senso di accoglienza, di reciprocità, che è veramente evangelico. Dopo la conversione sulla via di Damasco che fece?
Dalle sue Lettere è possibile desumere il suo temperamento? Il fatto che prima dell’evento di Damasco abbia esercitato una accanita pressione persecutoria nei confronti della comunità criFoto di Nicola Allegri
Abbiamo una descrizione fisica di Paolo, spesso citata. Dice che era basso, grasso, con le
gambe arcuate, con le sopracciglia unite, e che tuttavia assomigliava a un angelo. Ma è tardiva, della fine del secondo secolo. L’iconografia tradizionale lo presenta con la barba, calvo, ma questo dipende da un modulo che si era imposto dopo il terzo secolo e che connotava la figura del filosofo. Nella seconda Lettera ai Corinti, Paolo dice di “non saper parlare” e qualcuno ha ipotizzato che fosse balbuziente. Nella Lettera ai Galati dice: “Voi eravate pronti a darmi gli occhi”, e qualcuno ha pensato che avesse problemi alla vista. Io ritengo che siano frasi da intendere solo in senso metaforico. Sappiamo che nella sua vita affrontò innumerevoli difficoltà: veglie, digiuni, freddo, tre naufragi, migliaia di chilometri percorsi a piedi, fu lapidato, cinque volte flagellato dagli Ebrei, tre volte vergato dai Romani, imprigionato per lunghi periodi: e da tutto questo si deduce che aveva un fisico eccezionale, una volontà di ferro e una capacità di adattamento straordinaria.
Trascorse tre anni nel deserto a meditare, poi fu a Gerusalemme a conoscere gli Apostoli e la comunità cristiana, poi ad Antiochia, dove finalmente ricevette l’incarico ufficiale di andare a diffondere il Vangelo. Antiochia di Siria, fu una città importantissima per la storia del cristianesimo perché in quella città per la prima volta il Vangelo fu annunciato ai Pagani. Gesù non ha mai predicato ai Pagani, ma solo agli Ebrei. E neanche gli Apostoli all’inizio. Lì, ad Antiochia, si verificò la svolta. E di lì Paolo partì per il suo primo viaggio Apostolico.
Monsignor Romano Penna, biblista, professore all’Università Lateranense, autore di numerosi volumi sull’apostolo San Paolo e la sua opera.
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Guarigione del paralitico nella città di Listra. «Egli ascoltava il discorso di Paolo e questi, fissandolo con lo sguardo e notando che aveva fede di esser risanato, disse a gran voce: «Alzati diritto in piedi!». Egli fece un balzo e si mise a camminare» ( At 14,8-10).
Ho letto che, durante quel primo viaggio litigò, se non sbaglio, con gli altri Apostoli. Ci furono delle divergenze. Paolo aveva una personalità molto forte. E da Gesù stesso gli era stata affidata una missione speciale, quella di portare il Vangelo ai Pagani. Era un progetto impensabile per gli Ebrei del tempo. E anche per gli Apostoli. Ritenevano che Gesù fosse venuto per il popolo d’Israele. Mentre Paolo voleva predicare ai Pagani. Inoltre, Paolo si trovava in una posizione delicata. I cristiani lo guardavano con diffidenza, ricordando con quale accani-
mento erano stati da lui perseguitati, gli Ebrei lo consideravano un traditore, che aveva abbandonato la religione dei padri. Faticò molto a far accettare ai primitivi cristiani le sue idee. Soprattutto la sua convinzione che Cristo era venuto non per gli Ebrei ma per tutti. E che i Pagani, per essere seguaci di Cristo non dovevano sottoporsi a tutte le disposizioni della legge mosaica. Anche tra gli Apostoli non tutti condividevano le sue idee. E lui si arrabbiava, e li chiamava “falsi fratelli”. Ebbe scontri anche con San Pietro che, in un primo momento aveva aderito alle idee di Paolo, ma poi aveva fatto un volta faccia e Paolo lo rimproverò pubblicamente. Comunque, egli continuò a credere nelle intuizioni che aveva avuto durante il misterioso incontro con Cristo sulla via di Damasco. Sentiva fortissima dentro di sé l’urgenza di evangelizzare i Pagani. Dopo il primo viaggio, ne intraprese altri due, fondando molte chiese. AlEssere in Cristo creature nuove è il messaggio centrale dell’Apostolo Paolo. Da questa nuova realtà inizia per il credente una vita nuova.
la fine tutti gli Apostoli aderirono alle sue intuizioni, convincendosi che Gesù era venuto per la salvezza di tutti gli uomini e non solo per la salvezza degli Ebrei. Quali sono i punti fondamentali dell’insegnamento di San Paolo? Detto in termini essenziali, al cuore di Paolo e del paolinismo vi è la libertà dalla legge. Paolo insegna che ciò che conta nel mio rapporto con Dio, in prima battuta non è la morale, ma è la grazia di Dio stesso, in Gesù Cristo. Io divento giusto davanti a Dio non per ciò che faccio “io”, ma per ciò che Dio ha fatto per me in Gesù Cristo. E la fede è l’accettazione di questo dono di grazia che mi è offerto. Questo insegnamento Paolino si contrappone alla concezione secondo cui sono “io” che costruisco la mia giustizia, la mia santità di fronte a Dio. La costruisco con la mia morale, il mio comportamento, la mia etica e l’osservanza dei comandamenti. Questa è una concezione abbastanza diffusa, che mette in prima posizione la morale. Ma, presa alla lettera, non è la posizione giusta. C’è una frase di Lutero, condivisibile, che spiega bene il concetto. “Non è che noi facendo le cose giuste diventiamo giusti. Ma se siamo giusti facciamo le cose giuste”. Il dato morale, operativo, dell’azione, quindi, è secondario rispetto alla dimensione di “essere”, che è precedente ed è fondamentale. “Essere in Cristo” e ricevere la benevolenza di Dio attraverso Gesù Cristo, prescinde dalla mia moralità. La quale, proprio perché io “vivo”, “l’essere in Cristo” sarà certamente in sintonia con questa meravigliosa realtà. È questo il punto costitutivo. È questo il dato luminoso di San Paolo. Renzo Allegri 7
Gesù ci consegna l (Gv 19,28-42)
Gesù narra il Padre Gesù muore (19,28-30)
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opo questo, Gesù, sapendo che oramai tutto era compiuto, affinché si adempisse la Scrittura disse: “Ho sete”. Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna imbevuta di aceto in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Appena ebbe preso l’aceto Gesù disse: “Tutto è compiuto”. E, chinato il capo, consegnò lo spirito. Gesù si avvicina al suo destino, sapendo. Egli sa; è pienamente cosciente di quanto avviene. Non è un moribondo disidratato che chiede da bere. Egli chiede coscientemente ai suoi nemici un atto di bontà e gli danno aceto. Comunque la spugna è stata fissata a un ramo di issopo che si usava per spruzzare il sangue dell’agnello liberatore (Esodo 12,21s). Ebbene l’issopo raccoglie questo sangue che libererà l’umanità dalla morte. Ha inizio il tema della nuova Pasqua, in relazione con l’Alleanza del Messia. Passiamo così dall’evento materiale al suo profondo significato, pensando al dialogo con la Samaritana: Colui che chiede da bere, è colui che dà da bere (4,10). “Chi ha sete, venga a me e beva”. Allora come dice la Scrittura fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno. L’evangelista commenta: “questo lo disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti”. Ora tutto è compiuto e Gesù, morendo, “consegnò lo Spirito”. In nessun passo della letteratura antica si usa una formula simile per dire che uno spirò. Se 8
Giovanni ha coniato una formula nuova, l’ha fatto per indicare il dono di Gesù. Nel momento del suo innalzamento e del suo ritorno al Padre ci ha consegnato lo Spirito. Gesù è colui che fedelmente e coscientemente ha compiuto sino in fondo la sua missione; è colui che ci ha amato e ci ama; è il Figlio che ritorna al Padre. Il colpo di lancia (19,31-37) Era il giorno della Preparazione e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce il sabato (era infatti un giorno solenne quel sabato) chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi in-
sieme a lui. Venuti però da Gesù e, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco e subito uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: “non gli sarà spezzato alcun osso”. E un altro passo dice: “Fisseranno lo sguardo in colui che hanno trafitto”. È chiaro che l’autore vuole riferire eventi storici. Ma è altrettanto chiaro che Giovanni non si limiterà a fare storia, ma presenterà gli eventi come “Rivelazione” del mistero di Gesù. Quel sabato era oltremodo solenne, un sabato che coincideva con la Pasqua. In un giorno simile
Gli eventi accaduti presso la Croce e descritti da Giovanni non hanno solo un valore storico. Sono eventi che rivelano la missione di Gesù.
i corpi dei giustiziati non potevano rimanere appesi al palo: lo proibiva la Legge: “l’appeso è una maledizione” (Dt 21,22-23). Per essi il caso-Gesù doveva chiudersi in fretta: è l’antico che deve continuare; e invece è proprio l’antico che sta per finire, che in Gesù raggiunge il suo compimento. Pilato acconsentì alla richiesta, ma solo a due spezzarono le gambe: erano ancora vivi. Gesù era già morto e allora fu trafitto con una lancia. Cosa rivela questo racconto? Innanzitutto quel sangue che esce dalla ferità dice che Gesù è veramente morto, che Gesù, il Buon Pastore, ha dato la sua vita per i suoi, che li ha amati sino alla fine. Per l’evangelista quello che è capitato a Gesù non è mai un puro dato di cronaca, ma sempre qualcosa che rivela chi è Gesù. E così anche l’acqua che esce con il sangue. Come la parola “sete”, così anche il termine “acqua” va unto a quello dello “Spirito” e dice ben di più. Non è come l’acqua del pozzo di Giacobbe che non servì nel giorno della Samaritana e neppure l’acqua di Betzatà, servì invece quella della piscina di Siloe, cioè dell’Inviato, che guarì il Cieconato. Ora l’acqua che esce dal costato di Cristo è certamente quella dell’Inviato dal Padre e perciò è un’acqua che dona la salvezza e che è segno dello Spirito. Ma il senso non si esaurisce qui, esso viene completato dal tema del “Tempio”. Non si può non richiamare qui il passo di Ezechiele 47, dove si dice che dal nuovo tempio di Dio usciva ac-
La Deposizione, Raffaello (1507), Galleria Borghese, Roma.
a lo Spirito
Il sepolcro è un giardino, un luogo di vita, tutto è nuovo, nessuno vi è mai entrato. La tomba è il luogo in cui viene deposto il seme per una nuova vita.
qua con tale abbondanza che donava vita al deserto. Ebbene, ora è Gesù il vero, nuovo e definitivo Tempio di Dio, il vero e unico luogo di incontro con il Padre. Se il sangue dice che Gesù, morendo, dona la vita, l’acqua dice che il suo andare dal Padre ci dona lo Spirito. Osservando poi il fatto che a Gesù non furono spezzate le gambe, si deve prendere atto che Gesù è il vero Agnello pasquale che in quel momento si stava sacrificando nel Tempio: “Non gli verrà rotto neppure un osso”. Infine vi è la citazione di Zaccaria 13,10: “Fisseranno lo sguardo in colui che hanno trafitto”. Il testo del profeta è unito al concetto del “Pastore rifiutato” da Israele. La parola del profeta dice la fede e la speranza dell’evangelista che tocca con mano nella sua comunità come molti guardano il Trafitto. Sono i figli di Dio dispersi che trovano
in lui e lo troveranno nei secoli, il centro della loro unità. La sepoltura (19,38-42) Dopo questi fatti Giuseppe di Arimatea, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò anche Nicodemo, quello che in precedenza era andato da lui di notte e portò un centinaio di libbre di una mistura di mirra e di aloe. Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero in bende insieme con aromi, come usano fare i Giudei per la sepoltura. Ora nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era ancora stato posto. Là dunque poiché era il giorno della Prepara9
zione dei Giudei e dato che il sepolcro era vicino posero Gesù. Qui c’è Giuseppe di Arimatea, mai sentito prima. È lui che osa andare da Pilato. Non si preoccupa di celebrare la Pasqua; il contatto con un morto rende impuro (Nm 19,11-13), ma si tratta del corpo di Gesù per lui più prezioso di ogni altro bene. Non può finire nella fossa comune: dev’essere sepolto in modo onorifico. E così vuole anche Nicodemo, di cui si è già parlato due volte (4,1-14; 7,50.52). Ora i due si fanno coraggio: uno va da Pilato, l’altro si procura più del necessario: bende di lino, cento libbre di aromi tra mirra e aloe, quegli aromi che si usavano per la stanza nuziale, non per i morti. È un’incredibile quantità di cose preziose, ma ora non c’è Giuda che si lamenta (12,4-6). Per loro Gesù si merita questo ed altro: dev’essere sepolto con sfarzo regale, la sua tomba dev’essere profumata come quella di uno sposo. Ed ecco, il sepolcro è in un giardino, luogo della vita; è tutto nuovo: nessuno vi è mai stato sepolto. Sembra fatto apposta per Gesù così ben tagliato nella roccia: è il seme che va sottoterra che si prepara a una nuova vita. Anche in tutto ciò si compie la Scrittura: “Con il ricco fu il suo tumulo” (Is 59,9). Giovanni non si smentisce: anche qui continua a proclamare la grandezza e la regalità di Gesù. Preghiamo Signore, come sei apparso maestoso durante la tua passione. Però non possiamo dimenticare le tue sofferenze; esse sono segno che ti sei donato sino alla fine. Ed è questo che conta. Perciò ti supplichiamo: Fa’ che ogni sacerdote e annunciatore del Vangelo sappia essere nella vita un dono totale per gli altri. Amen! Mario Galizzi 10
Spiritualità
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e nei giorni del convegno Torino Spiritualità (settembre 2008) si è avuto il dibattito sulla legittimità sia del termine spiritualità umana sia della sua presenza nel panorama culturale. Alcuni anni fa, c’è stato anche un altro dibattito simile, in verità più lungo e più robusto, sull’esistenza stessa e sull’opportunità che si parlasse di spiritualità mariana. Sembrava infatti più che sufficiente ed esaustiva la presenza e lo studio solo della spiritualità cristiana. Oggi questo problema non sussiste più: parlare di spiritualità mariana non è né uscire fuori dai campi dell’ortodossia cattolica, né un’inutile e dannosa perdita di tempo. Anche Giovanni Paolo II (1987), nella Redemptoris Mater (n. 48), ha parlato esplicitamente di ‘Spiritualità mariana’, ponendo autorevolmente il sigillo su tutto il dibattito precedente. Nel medesimo documento troviamo: “Maria, l’eccelsa figlia di Sion, aiuta tutti i suoi figli, dovunque e comunque essi vivano, a trovare in Cristo la via verso la casa del Padre. Pertanto la Chiesa, in tutta la sua vita, mantiene con la Madre di Dio un legame che abbraccia, nel mistero salvifico, il passato, il presente e il futuro e la venera come Madre spirituale dell’umanità e avvocata di grazia” (n. 47). Ma non solo, oggi, si parla di spiritualità mariana con tranquillità, ma anche e spesso, in ambito ecclesiale, si esaltano la spiritualità benedettina, francescana, domenicana, carmelitana
La Spiri t marian a ecc., e (tra le ultime arrivate) anche la spiritualità salesiana (di Don Bosco). Allora tutto uguale e sullo stesso piano? No assolutamente. La spiritualità mariana è su un altro livello di importanza e di grandezza. E questo perché è di ben altro spessore la santità di Maria di Nazaret (che la Chiesa chiama Santissima) e la santità di Benedetto, Francesco, Chiara, Domenico,
Ti saluto, o Maria Ti saluto, o Maria, Figlia amatissima dell’eterno Padre, madre ammirabile del divin Figlio, Sposa fedelissima dello Spirito Santo. Ti saluto, o Maria, amata Madre mia, mia amabile Maestra, mia potente sovrana, mia gioia, mio cuore e mia anima... La luce della tua fede dissipi le tenebre del mio spirito; la tua profonda umiltà prenda il posto del mio orgoglio; il tuo spirito di sublime contemplazione allontani le distrazioni dalla mia fantasia vagabonda; la tua continua visione di Dio riempia della sua presenza la mia memoria; l’incendio del tuo amore bruci la tiepidezza, e freddezza del mio cuore; i miei peccati cedano il posto alle tue virtù; i tuoi meriti siano mio ornamento e supplemento davanti a Dio. Infine, mia carissima amatissima madre, fa’, se è possibile che io abbia il tuo spirito per conoscere Gesù Cristo e intendere i suoi divini voleri, la tua anima per lodare e glorificare il Signore, il tuo cuore per amare Dio con amor puro e ardente come te... (San LUIGI G. DE MONFORT, Il segreto di Maria, n. 68)
i tualità na Caterina da Siena, Teresa d’Avila, Giovanni Bosco, che, certamente mi perdoneranno, sono solo... santi. Questo deriva dalla diversità di ruolo che hanno avuto Maria, come Madre di Gesù, il Figlio di Dio, Salvatore e gli altri pur grandi personaggi e benemeriti nella Storia della Chiesa. Queste varie spiritualità, ma anche quella mariana, si collocano però tutte all’interno della spiritualità cristiana, che ha come centro e nucleo portante Gesù il Cristo, “unico mediatore tra Dio e gli uomini” (1Tim 2,5; Ebr 9,15), anche se, come si intuisce facilmente, con importanza diversa. E tutto questo perché “l’evento Cristo non si è compiuto senza Maria” (A. Müller), ma in e con Maria, con il suo libero assenso, nella fede, attraverso il fondamentale dono di se stessa a Dio e al compito di Madre del Figlio di Dio: “Eccomi, sono la serva del Signore. Dio faccia con me come tu hai detto” (Lc 1,38).
L’evento Cristo si è compiuto per mezzo di Maria, per questo il cristiano nutre una filiale adesione a Maria.
doni l’immagine, metterci gli occhiali di Maria per vedere meglio il Cristo” (Hans U.von Balthasar), e quindi diventare suoi discepoli. Concetti questi che trovano una mirabile sintesi nell’aforisma o detto popolare, di incerta provenienza ma di indubbia chia-
rezza e forza: “Ad Jesum per Mariam”. Bisogna andare a Cristo per salvarsi e Maria rimane la guida per eccellenza (naturalmente sotto l’azione dello Spirito Santo). Sentiamo un esperto in materia, San Luigi G. de Monfort: “Prima verità. Gesù Cristo nostro Salvatore, vero Dio e vero uomo, deve essere il fine ultimo di tutte le nostre devozioni; altrimenti esse sarebbero false e ingannatrici. Gesù Cristo è l’alfa e l’omega, il principio e la fine di tutte le cose. Noi non lavoriamo, come dice l’Apostolo, che per perfezionare ogni uomo in Gesù Cristo...” (Trattato della vera devozione alla Vergine, n. 61). Come si vede la spiritualità mariana (devozione) raccomandata dal santo è eminentemente cristologica ed ecclesiologica. È infatti per la salvezza e per la progressiva cristificazione dell’uomo, cioè della sua assimilazione a Cristo, che ‘lavora’ tutta la Chiesa e naturalmente anche Maria, che è la Madre della Chiesa, continua incessantemente la
L’Annunciazione è il momento in cui Maria viene coinvolta nel progetto di Dio di salvare l’umanità. Per lei rappresenta però solo una continuazione di quella fedeltà che ha sempre avuto verso il Dio d’Israele.
Ad Jesum per Mariam Paolo VI, nel famoso documento Marialis Cultus (n. 56) ha affermato che “la pietà della Chiesa verso la Santa Vergine è elemento intrinseco del culto cristiano”. Nessuno meglio di lei ci può aiutare e con sicurezza «indicare la via» (la Madonna Odighitria di molte icone) nel nostro cammino verso Cristo, e questo Maria lo fa meglio di qualsiasi altro santo. Oppure come ha affermato un grande teologo “noi dobbiamo, ci si per11
La Natività di Maria, mosaico di Pietro Cavallini, (1291), S. Maria in Trastevere.
«Ogni anima deve essere madre di Dio, perché siamo stati creati per portare Cristo al mondo» (Origene).
sua opera di maternità spirituale dopo l’Assunzione al Cielo. Il teologo Giorgio Gozzelino, ha messo in risalto questa dimensione cristologica scrivendo: “La verità delle creature, infatti, è Gesù Cristo. E Maria, come ogni santo e più di essi, testimonia Gesù, non se stessa: se propone se stessa, lo fa solo per orientare a Gesù, per dire che il cammino verso di lui non fallisce il traguardo e per spingere a obbedirgli in tutto”. Anche R. Panikkar ha espresso con forza l’essenzialità della presenza di Maria e quindi della spiritualità mariana nel Cristianesimo affermando: “Tutto è importante: teologia, scienza, cultura, progresso tutto è molto importante, però, senza Maria, la nostra vita cristiana è monca e qualsiasi concezione che si tenti di dare del cristianesimo diventa fallita”. Allora la spiritualità mariana è... Non sarebbe saggio rinunciare e tanto meno disprezzare qualcuna delle spiritualità di cui sopra (benedettina, francescana ecc). Ma di per sé se ne può fare a meno. Non sarebbe uno scandalo e non ci sarebbero scomu12
niche già programmate. Potremmo essere degli ottimi cristiani lo stesso. Ma altrettanto non si può dire della spiritualità mariana. Perché Maria c’è, è un dato storico, è un fatto non una teoria. Maria non l’ha inventata la Chiesa per un qualche bisogno di tipo culturale, mitologico o psicologico che sia (cioè per fare spazio nel cristianesimo anche all’elemento femminile per controbilanciare quello maschile, da sempre preponderante). Maria c’è perché è intimamente legata al Figlio di Dio, che ha voluto incarnarsi, «farsi carne» , cioè farsi uomo, fragile e mortale come noi (“Nato da donna” dice Paolo ai Galati 4,4). E per far questo Dio stesso ha deciso di aver bisogno di una donna e di una Madre per il proprio Figlio «in carne umana». E questa donna si chiama Maria (o Miriam). E noi, nessuno, può cancellarla dalla trama della storia della salvezza, pena la distruzione stessa del Cristianesimo. Molto acutamente, già tanti anni fa, Paolo VI nella sua visita al santuario della Madonna di Bonaria di Cagliari (1970) affermò: “Se vogliamo essere cristiani, dobbiamo essere mariani, cioè dobbiamo riconoscere il
rapporto essenziale, vitale, provvidenziale che unisce la Madonna a Gesù, e che apre a noi la via che a Lui conduce”. Questa citazione del grande pontefice, rimasta famosa, dissipa ogni polemica su alcuni aspetti della «questione mariana». La spiritualità mariana, all’interno del Cristianesimo e quindi della spiritualità cristiana, non deve essere quindi considerata un «optional». Perché “più che ad un rapporto episodico e superficiale, la spiritualità mariana viene vista come «una coincidenza permanente, intima e unificante tra il cristiano e Maria sotto l’influsso dello Spirito Santo»” (Angelo Amato). Si può quindi, in senso ampio, definire la spiritualità mariana come l’esperienza della propria esistenza vissuta nel nome di Gesù Cristo, il Signore, sotto l’influsso e la presenza dello Spirito Santo, aiutata e incoraggiata da un personale riferimento esistenziale al modello Maria di Nazaret, la Madre di Gesù e nostra. Origene, un padre della Chiesa del IV secolo, ha scritto: “Ogni anima deve essere madre di Dio, perché siamo stati creati per portare Cristo al mondo e qualsiasi opera buona che noi facciamo è una partecipazione di Cristo, fa nascere Cristo in questo mondo”. È un pensiero che può essere orientativo nella vita spirituale in genere e anche nella nostra spiritualità mariana. Se dobbiamo portare e testimoniare Cristo nel mondo con la nostra vita quotidiana, non c’è nessuno meglio di Maria di Nazaret, la Madre di Gesù nella fede prima e nella carne poi (Sant’Agostino), ad essere il nostro aiuto ed il nostro modello, attraverso lo studio e l’imitazione dei suoi atteggiamenti, specialmente della sua fede, e dei suoi comportamenti come vengono descritti nei Vangeli. Mario Scudu
esempi esempi e pensieri A cura di Mario Scudu
Pensieri ❶ Dove c’è ordine c’è anche un’intelligenza. Platone, filosofo
❷ Se gli uomini dicessero con verità a Dio «Padre Nostro» la terra cambierebbe volto. Dietrich Bonhoeffer, teologo
❸ Al di là del mare qualcuno sta nascendo, qualcuno sta morendo, ma il gioco della vita lo dobbiamo preparare, altrimenti ci sfugge fra le dita come sabbia in riva al mare. Lucio Dalla, cantautore
❹ Le buone maniere sono mezza santità. San Francesco di Sales
❺ Se non fossi tuo, o mio Cristo, mi sentirei una creatura finita. San Gregorio Nazianzeno, Dottore della Chiesa
❻ La preghiera, che è un dialogo con Dio, è un bene sommo. San Giovanni Crisostomo, Dottore della Chiesa
❼ Potrei solo credere in un Dio che sappia danzare. Friedrich Nietzsche, filosofo
❽ Le uniche ricchezze che avrai per sempre saranno quelle che hai donato. Marziale, poeta latino
❾ Solo diventando pazzi si è cristiani. San Francesco d’Assisi ❿ I Francesi si autoincensano, noi Italiani ci deprimiamo in partenza.
Si rispose semplicemente entrando in una chiesa (essendo a digiuno di temi religiosi, non si accorse che era una chiesa ortodossa), alla ricerca di istruzione religiosa. Convertitosi al cattolicesimo, a venticinque anni fece la prima Comunione. Era solito dire: «Quando do un concerto, sia in teatro sia in un auditorium principesco o in un monastero o suonando solo per il Papa, come feci una volta a Roma davanti a Giovanni Paolo Il, io suono per Dio». Da Il Timone, 2008 C’è il Santissimo...
Paolo Conte, musicista cantautore
Conversione istantanea
N
arciso Yepes (1927-1997), grande chitarrista spagnolo, membro dell’Accademia reale di Belle Arti, visse la sua gioventù nell’ateismo più convinto. Dopo il Battesimo, ricevuto da piccolo, si dimenticò di Dio, della Chiesa e di ogni altro tema a carattere religioso. Il 18 maggio 1951, a Parigi, mentre stava con i gomiti appoggiati su un ponte della Senna, sentì il sorgere imperioso dentro di sé della domanda di senso: che cosa sto facendo? Per cosa sto vivendo e soprattutto per chi?
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n giorno il maestro Giuseppe Verdi entrava in una cappella con Arrigo Boito, il celebre autore di “Nerone” e di “Mefistofele”. Boito, un po’ distratto, non vide la lampada che ardeva davanti al Tabernacolo, sicché passò senza fare alcun segno di adorazione; ma Giuseppe Verdi lo avvertì: “Arrigo, togliti il cappello: c’è il Santissimo”. Incarnazione e diritti dell’uomo
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’idea cristiana di “incarnazione”, del Dio che diviene corpo umano “generico”, costituisce un ostacolo insuperabile vuoi per ogni riduzionismo biologistico razziale o eugenetico che sia, vuoi per l’idea che sia solo una cittadinanza o un qualunque altro patto politico, o una qualunque sovranità, a conferire a un essere umano dei diritti. Se nella nostra cultura (e solo in essa) c’è l’idea dei diritti umani, l’idea di un diritto universale oltre gli Stati e oltre le culture della terra, a che cos’altro mai si deve? Ernesto Galli della Loggia, da il Corriere della sera
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Vita della Chiesa A cinquant’anni dal Concilio Vaticano II
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inquant’anni fa iniziava la grande avventura del Concilio Vaticano II, «grazie a una illuminazione dall’Alto» che il Beato Papa Giovanni XXIII seppe accogliere e realizzare. Ai 17 cardinali riuniti attorno a lui annunciò: «Pronunciamo innanzi a voi, certo tremando un poco di commozione, ma insieme con umile risolutezza di proposito, il nome e la proposta della duplice celebrazione: di un Sinodo diocesano per l’Urbe e di un Concilio ecumenico per la Chiesa universale. Queste due proposte condurranno all’aggiornamento del Codice di Diritto Canonico». Anche cinquant’anni fa il 25 gennaio cadeva di domenica, e non erano ancora passati 90 giorni dall’elezione di Angelo Giuseppe Roncalli al Soglio di Pietro, avvenuta il 28 ottobre 1958. Il 25 gennaio 1959, Papa Giovanni si reca nella Basilica ostiense per la festa della conversione di San Paolo e per la conclusione dell’ottavario di preghiere per l’unità dei cristiani. Nella predica dice che «l’unità dei cristiani darebbe tranquillità e letizia al mondo intero» e che «unità, libertà e pace costituiscono il trinomio del Cristianesimo e della fraternità umana». Poi nella sala capitolare dell’abbazia benedettina annessa alla Basilica di San Paolo fuori le mura, dopo l’«Extra omnes», rimane con 17 cardinali capi dei dicasteri vaticani. Nell’«allocu14
Quel giorno a San Paolo fuori l zione», prima del clamoroso annuncio, apre «l’animo nostro confidente alla vostra bontà e comprensione circa alcuni punti dell’attività apostolica nei primi tre mesi del pontificato». Gli sta a cuore «la sola prospettiva del “bonum animarum”»; cerca «la corrispondenza del nuovo pontificato con le spirituali esigenze dell’ora presente»; sa che «da molte parti amiche e fervorose, e da altre malevole o incerte, si guarda al nuovo Papa, vescovo di Roma e pastore della Chiesa universale». Annota che «Roma è completamente trasformata. La periferia è avviluppata in un agglomerato di case, di case, di case, di famiglie, di famiglie (sic!), convenute da ogni parte del continente italico, dalle isole circostanti e da tutta la terra. Un veIl 25 gennaio 1959, dopo solo tre mesi dalla sua elezione, Giovanni XXIII indice il Concilio Vaticano II, sorprendendo tutti i Cardinali e il mondo intero.
ro alveare umano». Chiede «un incremento di energie, una coordinazione di sforzi, una coltivazione spirituale intensa, una produzione più copiosa e felice di frutti benefici e santi, un fervore di vita parrocchiale e diocesana». I Cardinali restano in silenzio Allargando «lo sguardo al mondo», si dice «lieto» perché «la grazia di Cristo continua a moltiplicare frutti e portenti di spirituale elevazione, di salute e santità» ma «triste per l’abuso e il compromesso della libertà dell’uomo che, rifiutandosi alla fede in Cristo, si volge tutto alla ricerca dei beni della terra, sotto l’ispirazione del principe delle tenebre che organizza la lotta contro la verità e il bene per ingannare gli eletti e trarli a rovina». Mette in guardia «dai vantaggi materiali e dal progresso della tecnica moderna che distraggono dalla ricerca dei beni superiori, infiacchiscono lo spirito, conducono al rilassamento della disciplina e del buon ordine antico, con grave pregiudizio di ciò che costituì la resistenza della Chiesa agli errori che portarono a divisioni fatali e funeste, a decadimento spirituale e morale, a rovina di Nazioni». Con spirito ecumenico invita «i fedeli delle comunità separate a seguirci in questa ricerca di unità e di grazia, a cui tante anime anelano da tutti i punti della Terra». Ora si attende dai cardinali «una parola intima e confidente
i le mura che ci assicuri sulle disposizioni dei singoli e ci offra amabilmente dei suggerimenti». Ma l’annuncio è accolto dall’impressionante e impressionato silenzio dei cardinali, ammutoliti e sconvolti, e coglie di sorpresa la Chiesa, l’episcopato, i giornali. Il primo comunicato stampa dice che, «nel pensiero del Papa», il Concilio ha due obiettivi: «Mira all’edificazione del popolo cristiano e vuol essere un invito alle comunità separate per la ricerca dell’unità, a cui tante anime anelano da tutti i punti della Terra». In una nota personale commenta: «Tutto ben riuscito. Io mantenni la mia continua comunicazione con Dio. Nel ritorno
Dopo tre anni di preparazione, l’11 ottobre 1962, Giovanni XXIII aprì il Concilio Vaticano II.
la festa dei romani da San Paolo a San Pietro... indimenticabile. Laus Deo, laus Deo». Altro che Papa di transizione: «Chi si aspetta un Papa diplomatico, organizzatore o scienziato, si sbaglia: io sono il vostro fratello Giuseppe». I primi cento giorni sono una continua sorpresa. Abolisce «il bacio della pantofola» e lo sostituisce con l’abbraccio ai cardinali. La sera dell’elezione nomina Mons. Domenico Tardini Segretario di Stato, carica vacante da 14 anni. Il 15 dicembre impone la berretta ai primi 23 cardina-
Nell’indire il Concilio, il Papa era preoccupato per la desolazione dell’uomo che usava la tecnica solo per ricercare i beni materiali, impoverendo il suo spirito.
li superando la cifra di 70 fissata da Sisto V (1585-1590): il primo è l’arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini. Induce i cardinali di Curia, con un cumulo di cariche, a scegliere un solo incarico. Il 22 dicembre riceve i parroci di Roma e dichiara che «tanto mi piacerebbe visitare le parrocchie», cosa che inizia a fare dalla Quaresima del 1959. Nel pomeriggio di Natale ’58 visita i malati negli ospedali «Santo Spirito» e «Bambin Gesù» e a Santo Stefano i detenuti di «Regina coeli». L’eco sui media è enorme. Annota: «Tutto rientra nella festiva carità del Natale. La stampa non solo italiana, ma di tutto il mondo, continua a magnificare il mio gesto di visita alle carceri. E fu per me così semplice e naturale». Dopo tre anni di preparazione, l’11 ottobre 1962 avrà la gioia di aprire il Concilio Vaticano II. Pier Giuseppe Accornero 15
I Novissimi
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Celebrazione
In cammino verso le ultime realtà SU, ENTRIAMO NELLA CASA DEL SIGNORE Siamo pronti a incontrare Dio? Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci parla dei Novissimi, ossia delle ultime realtà, e dice che sono: la morte, il giudizio, l’Inferno e il Paradiso, ma trattando di questo grande argomento parla anche del Purgatorio. Non dobbiamo pensare che una volta morti ci troveremo di fronte all’Inferno e al Paradiso per fare la nostra scelta. Piuttosto dobbiamo essere convinti che il nostro futuro incomincia già qui in terra, fin da questo stesso momento: qui ha inizio la nostra vita dell’aldilà. Si tratta dell’incontro con Gesù Cristo: ci troveremo in pace con lui? Ecco il Paradiso. Saremo rimasti suoi nemici? Ecco l’Inferno. E se non saremo suoi nemici ma neppure del tutto puliti, egli provvederà a purificarci. Ecco il Purgatorio. Già qui in terra ci prepariamo a questo incontro. Scrive bene San Paolo ai Romani: «Se noi viviamo per il Signore, apparteniamo a lui; se noi moriamo nel Signore, siamo sempre suoi. Sia che viviamo sia che moriamo siamo del Signore» (cfr Rm 4,8). Per appartenere sempre a Gesù sono necessarie, per il credente, l’Eucaristia e la Riconciliazione. Un’altra conferma ci viene dal passo seguente: «Se Dio è per noi, chi sarà, contro di noi? Chi accuserà gli eletti di Dio? Chi condannerà? Chi ci separerà dall’amore di Cristo?» (Rm 8,31-39). E la risposta è una sola: «Nessuno!». Noi saremo sempre vincitori per la potenza di colui che ci ha amati. Il mio futuro è fortemente legato dall’amore per mezzo del quale il Signore Gesù mi ha riscattato e perdonato.
Porgi l’orecchio, Signore, alla mia preghiera e sii attento alla voce delle mie suppliche. Rit. Tutte le genti che hai creato verranno e si prostreranno davanti a te, Signore, per dare gloria al tuo nome. Grande tu sei e compi meraviglie: tu solo sei Dio. Rit. Ma tu, Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà, volgiti a me e abbi pietà. Rit. Prepariamoci ad amare il Padre Per il fatto che siamo figli, noi non abbiamo altro rifugio che il Padre. «Noi fin d’ora siamo figli di Dio». Già «figli» di pieno diritto, ma, qui in terra, non ancora gustiamo pienamente questa figliolanza. Un velo ci separa, una nube ci nasconde Dio. È il nostro corpo mortale. Ma quando saremo rivestiti del corpo incorruttibile, cioè rivestiti di Cristo glorioso, sapremo per esperienza diretta che cosa vuol dire essere «figli di Dio». Quando sarà tolto il velo e la nube sarà squarciata, allora egli «si manifesterà a noi, e noi saremo simili a lui, e lo vedremo così come egli è» (1Gv 3,2). Qui si parla di un incontro d’amore tra Padre e figlio, un «gli occhi negli occhi», cioè una penetrazione così profonda di Dio nel cuore dell’uomo da renderlo degno e capace di guardare e di vedere l’intima natura di Dio stesso. E se ancora non siamo convinti di tutto ciò, se ci riteniamo sempre indegni di comparire di fronte a Dio, ecco un’altra parola. Solo «chi non ama rimane nella morte», sarà cioè preda eterna della morte e quindi non vedrà mai Dio. (1 Gv 3,14-16). Ma chi ama lo vedrà.
Preghiamo con il Salmo 85
Facciamoci un bel vestito per il Signore
Rit.: Tu sei buono, Signore, e perdoni. Tu sei buono, Signore, e perdoni, sei pieno di misericordia con chi t’invoca.
Dunque la prova sicura della nostra salvezza sta nell’amore. Se amiamo e perdoniamo rinnegando noi stessi, troveremo già qui in terra la compia-
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cenza di Dio Padre. I puri di cuore vedranno Dio, scrive Matteo, 5,8. E chi non avrà amato Dio e il prossimo di amore perfetto, dovrà sottostare alla purificazione dell’amore. Come dunque possiamo purificarci, mente e cuore, in questo cammino? Prendiamo a esempio alcune esperienze di Dio così come le troviamo narrate nella Bibbia. L’uomo che si incontra con Dio, a tu per tu, fa una esperienza esaltante e spaventevole allo stesso tempo e ne esce purificato. Quando il Signore apparve ad Abramo alle Querce di Mambre (Gn 18) e quando fu messo alla prova sul monte Moria (Gn 22), fu reso così caro a Dio da diventare il padre di una moltitudine di figli, fra i quali ci siamo anche noi. Giacobbe vide Dio faccia a faccia e non ne morì (Gn 32,23-33): egli ci diede le dodici colonne del popolo eletto. «Gustate e vedete quanto è buono il Signore» (Sal 34,9); «La Gloria del Signore è come fuoco divorante» (Es 24,17); «Il nostro Dio è un fuoco divoratore» (Eb 12,29); «Chi di noi può abitare presso un fuoco divorante?» (Is 33,14). Così possiamo e dobbiamo accostarci, nella potenza dello Spirito Santo, al nostro Dio, come si narra in questi passi, senza alcuna paura, e anche noi verremo purificati, cioè riceveremo un vestito nuovo che ci rende cari a lui, come gli antichi Patriarchi. Qui ci sta proprio bene un atto di dolore perfetto, che ci guidi in tutti i giorni della nostra vita: “Mio Dio, mi pento e mi dolgo con tutto il cuore dei miei peccati e li odio e detesto come offesa della tua maestà infinita e cagione della morte del Figlio tuo, Gesù”. Anche chi si crede grande peccatore può e deve accostarsi a questo grande braciere d’amore che è Dio. Scrive infatti Isaia: «Per un breve istante ti ho abbandonata, ma ti riprenderò con immenso amore» (Is 54,7). In egual modo si esprime Dio per mezzo del profeta Osea: «Amerò Non Amata» (2,25). Colei che era stata ripudiata per le sue infedeltà – si tratta del popolo eletto – ora viene amata, e nell’amore sarà purificata, e potrà ancora gustare le delizie del suo Dio e Signore.
un amore che supera in ogni grandezza le mie colpe. E mentre il fuoco mi penetra tutto quanto, tanto da bruciare ogni scoria, l’amore mi porterà sollievo come la brezza leggera e fresca in una giornata infuocata dal sole. Questo incontro con un Dio geloso che mi vuole possedere sarà per me Giudizio e Purgatorio. Quello che è vero già oggi, cioè l’esperienza della misericordia di Dio, sarà ancor più vero domani quando ogni cosa verrà al suo compimento con la morte e, consapevoli della nostra debolezza e di tutti i nostri peccati, faremo l’esperienza dell’infinita misericordia di Dio e del suo infinito amore bruciante. Ogni incrostazione sparirà, ogni residuo di peccato e tutti gli scarti delle nostre negligenze saranno bruciati dall’amore. Sarò toccato dolorosamente da questo fuoco ardente a motivo delle mie infedeltà, ma anche amorosamente perché so che già a lui appartengo, perché mi fa suo nella più grande esperienza d’amore mai vissuta prima da me. Preghiera Eccoci qui davanti a te, in spirito e verità, o Padre buono, in vista della tua casa, e ci pare di sognarla a occhi aperti: Ti preghiamo, abbi pietà di noi, peccatori. Ti ricordi quando eravamo bambini? Dimmi: ci sono ancora i nostri giochi e i nostri vestiti e le scarpe da festa? Ora siamo laceri, sporchi e stanchi. Perdona i nostri peccati così disgustosi, lavaci e saremo più bianchi della neve, donaci veste nuova e collana e anello come piace a te, e corrici incontro. Don Timoteo Munari Quando saremo rivestiti dal corpo incorruttibile sapremo per esperienza diretta cosa vuol dire essere figli di Dio.
Facciamo l’esperienza dell’Amore Quando uno fa l’esperienza di essere perdonato e riamato dal Padre, si rende conto quanto grande sia stata la sua infedeltà e quanto brutta e ripugnante la sua esperienza di peccato. E quando comparirò davanti a Dio, mi troverò davvero di fronte a un fuoco divorante e allo stesso tempo davanti a 17
Le parole di Gesù nell a Meditazione 1. L’ultima cena L’ultima cena è il prologo della Passione di Nostro Signore. Soprattutto con le parole: “Prendete, mangiate: questo è il mio corpo; questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza, che è sparso per molti in remissione dei peccati” (Mt 26). Qui Gesù si offre a noi: prendete, mangiate e bevete; qui dona il suo corpo e il suo sangue, che sarà versato nella flagellazione, nella coronazione di spine, nella crocifissione. E in questa offerta, egli ci fa capire il senso, il perché del suo sacrificio.
Un’altra forma di Via Crucis Ogni momento del suo terribile cammino manifesta la crudeltà dell’uomo; ma ad essa risponde l’amore di Gesù, che prende liberamente su di sé il nostro peccato, per allontanarlo da noi. Anche oggi, l’Eucarestia ripropone l’intenzione del Signore nella sua passione: liberarci dal male regalandoci se stesso. Riceviamola sovente, e con attenzione; accogliamo il suo dono! E allora non siamo noi che viviamo, ma è lui che vive in noi (cf Gal 2,20)... così che anche noi possiamo ripetere agli altri: prendete, mangiate...
Nell’Eucaristia Gesù ci dona se stesso per liberarci dal male.
2. L’agonia di Gesù nell’orto degli ulivi Mortale è la tristezza di Gesù, fino a sudare gocce di sangue; ma Egli rinnova la preghiera del Padre Nostro, dicendo: “Padre mio, se è possibile allontana da me questo calice di dolore! Però non si faccia come voglio io, ma come vuoi tu” (Mt 26,39). Egli sa bene che la volontà di Dio nasce soltanto da un amore e una saggezza infinita: “Dio non permetterebbe il male, se dallo stesso male non traesse il bene”, anzi il bene più grande possibile: la sua salvezza definitiva (cf il Compendio del Catechismo Cattolico, n. 58). Così, l’agonia di Gesù c’insegna che la volontà di Dio è sempre preferibile alla nostra; e che se a volte il Padre sembra che non voglia esaudire una nostra preghiera, certo ha in serbo un amore più grande di quello che avevamo chiesto noi: e quindi non dobbiamo lamentarci, ma ringraziarlo con fiducia del suo disegno. 3. Gesù davanti ai giudici Al Sommo Sacerdote Anna, che pretendeva spiegazioni del suo insegnamento, Gesù rispose: “Non ho mai parlato di nascosto, ma sempre in pubblico, in mezzo alla gente. Quindi, perché mi fai queste domande? Domanda a quelli che mi hanno ascoltato: essi sanno quello che ho detto”. Allora uno dei presenti gli diede uno schiaffo e disse: “Così rispondi al Sommo Sa-
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cerdote?”. Gesù replicò: “Se ho detto qualcosa di male, dimostralo; ma se ho detto la verità, perché mi dai uno schiaffo?” (Gv 18,20-23). Di fronte alle accuse e agli oltraggi, Gesù non simula mai per attirarsi vantaggi, e neppure risponde con arroganza: ma qualche volta tace, altre volte parla con dignità e verità. Quale sarà l’atteggiamento del cristiano in circostanze simili? Quando tacere, quando parlare nella maniera giusta? Affidiamoci al Signore: sarà lui stesso a guidarci! Con la sua preghiera nell’Orto degli Ulivi, Gesù ci dimostra che la volontà del Padre è sempre preferibile alla nostra.
Cristo e Pilato, Hans Multscher, (1437), Wurzach.
l a sua passione
Anche davanti a Pilato, Gesù mantiene intatta la sua dignità senza lasciarsi intimidire dal potere umano.
Infatti un giorno ha detto: “Quando sarete arrestati, non preoccupatevi di quel che dovete dire e di come dirlo. In quel momento, Dio ve lo suggerirà. Non sarete voi a parlare, ma sarà lo Spirito del Padre vostro che parlerà in voi” (Mt 10,19s). 4. Verso il Calvario Lungo la via dolorosa, Gesù vide molte donne che piangevano su di lui. Volgendosi a loro, egli disse: “Donne di Gerusalemme, non piangete per me. Piangete piuttosto per voi e per i vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: Beate le donne che non possono avere bambini (...): perché, se si tratta così il legno verde, che sarà mai di quello secco?” (Lc 23,28-31). Il Salvatore le sta invitando alla conversione; e non pensa a se stesso, ma alle terribili sofferenze che avrebbero avuto gli abitanti di Gerusalemme nel19
Al Calvario, Giovanni Battista Tiepolo, (1696-1770), Sant’Alvise, Venezia.
Anche salendo al Calvario, Gesù non pensa a se stesso ma alle sofferenze che avrebbe avuto il suo popolo nel corso dei secoli.
l’assedio e nella distruzione della città, e forse a quelle di tutti gli uomini. Gesù aveva già pianto per loro (Lc 19,41-44); e li aveva pure consolati, dicendo: “Beati voi che ora piangete; Dio vi darà gioia” (Lc 6,21). Egli così ci chiede di preoccuparci delle sofferenze degli altri, non solo delle nostre. Di lasciarci liberare dal peccato, che porta al dolore del mondo, e di rasserenare tanto noi, quanto i fratelli, con una solidarietà autentica, concreta e fiduciosa nella promessa di Dio. 5. Gesù perdona i suoi crocifissori Nello strazio della crocifissione, Gesù si rivolge al Padre: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34). Che cosa significa questo perdono? Gesù chiede di poter incontrare i suoi carnefici nella pace del cielo. Nel momento più grande del suo dolore e del loro 20
peccato, desidera che essi ottengano la gioia più grande: la salvezza finale a casa sua. Il perdono è la prova più sicura dell’amore: “se voi amate soltanto quelli che vi amano, che merito avete? Anche i malvagi si comportano così!” (Mt 5,46). Ma quando scusiamo chi ci fa del male, e facciamo loro del bene, il nostro amore è autentico; può sembrare una cosa impossibile, ma diventa persino facile quando lo chiediamo a Gesù, che ne ha dato la massima prova, e che vuole condividere con noi il suo cuore misericordioso.
dre o una madre: ma questi ci hanno sognati da poco tempo. Egli ci ha sognati da tutta l’eternità, prima della creazione del mondo (cf Ef 1,4). E ci aspetta tutti a casa sua, e suscita lui stesso il nostro volere e il nostro operare perché lo possiamo raggiungere (cf Fil 2,13). È Dio che desidera noi, più di quanto noi possiamo desiderare lui. Per questo ci spinge al suo Regno: ci chiama a dirgli un sì, che dimentichi tutti i no precedenti. A noi accettare l’invito a casa sua, come ha fatto il buon ladrone!
6. Il buon ladrone
7. Madre di nuovi figli
Uno dei due malfattori crocifissi accanto a Lui, disse a Gesù: “Ricordati di me quando verrai nel tuo Regno”. Gesù gli rispose: “Oggi sarai con me in Paradiso” (Lc 23,42s). Un atto di fede e di totale abbandono cancellano d’incanto i peccati del bandito. Dall’ignominia della Croce alla gloria del Cielo. La misericordia di Dio! Ci ha sognati da sempre, come un pa-
Ancora Gesù si dimentica del suo dolore, e pensa agli altri. Questa volta a sua madre, che sta soffrendo sotto di lui. Non vuole che rimanga sola, e vedendo Giovanni le dice: “Donna, ecco tuo figlio”. Poi dice al discepolo: “Ecco tua madre” (Gv 19,26s). Il Signore sa che Maria, occupandosi degli altri, sentirà di meno la perdita di suo figlio. Essa, da quel momento, ricomincia ad essere mamma. Chi ci guadagna è soprattutto Giovanni, e in lui tutti i discepoli, tutti i cristiani, tutti gli uomini. Essi non sono buoni come Gesù: ma una mamma ama anche i figli ribelli, e cerca di dare loro tutto ciò di cui hanno bisogno. Negli ultimi secoli la presenza di una figura materna come Maria è diventata più visibile: si pensi, per esempio, a Lourdes e a Fatima. Ascoltiamola! Ci porta l’amore del Cristo crocifisso, e ci rimanda a lui!
Con la scena del Buon Ladrone il Vangelo ci dice che Dio desidera noi più di quanto noi possiamo desiderare Lui.
8. Dio mio, perché mi hai abbandonato? (Mt 27,46) Non è certo un grido di disperazione, ma è la parola fidu-
non ha nascosto il suo volto, ma, al suo grido d’aiuto, lo ha esaudito. (...) E io vivrò per lui!” (Sal 22). In certi momenti, anche noi possiamo dire al Signore: “perché mi hai abbandonato?”, o, con un altro Salmo, “Signore, perché dormi?”: ma senza disperare! Il Signore vive, e quando sembra tacere, desidera che lo chiamiamo di più... E presto, vedremo la sua risurrezione! 9. La sete di Gesù Durante la crocifissione, Gesù disse: “Ho sete”. E, ricevuta la bevanda, esclamò: “Tutto è compiuto” (Gv 19,28ss). La bevanda consisteva in un aceto di vino diluito, usato come dissetante. Forse fu un atto di misericordia, dopo tanta crudeltà. E questo può Ancora sulla Croce, Gesù pensa a tutti noi, donandoci una madre in Maria, madre Sua.
ciosa di un Salmo, che esprime la tremenda sofferenza di Gesù. Egli ha perso tutto: le folle, i discepoli, la madre che ha donato a Giovanni, persino il suo vestito che si stanno giocando. Dio ha permesso questa totale spoliazione, per donargli in seguito molto di più: quel Regno che attende, insieme al buon ladrone. Il Salmo parla di Gesù, e si apre alla speranza: “Signore, non stare lontano; mia forza, accorri in mio aiuto. (...) Egli non ha disprezzato né sdegnato l’afflizione del misero,
ricordarci le parole del Maestro: “Chi darà anche solo un bicchiere d’acqua fresca (...) riceverà la sua ricompensa” (Mt 10,42). D’altra parte, non dimentichiamo che “è Dio che suscita in voi il volere e l’operare secondo i suoi benevoli disegni” (Fil 2,13). A volte il Signore attutisce la nostra cattiveria per poterci poi convertire; così, persino i malvagi possono fare qualcosa di buono. Ed ora, al termine di una vita d’amore, o che guidava gli altri all’amore, Gesù può annunciare che il suo compito di salvezza è stato realizzato fino alla fine. Egli ha già vinto! 10. Padre, nelle tue mani affido il mio spirito! (Lc 23,46) Gesù lo disse a gran voce. Dopo lo sfogo filiale “Padre, perché mi hai abbandonato?”, sembra che abbia avuto una risposta: e si rilascia pienamente in lui. Quando anche noi diciamo al nostro Papà “perché mi hai abbandonato? perché dormi, Signore?”, lui ci capisce, perché ci ama. E quando l’abbiamo capito, ci rifugiamo in lui, perché sappiamo che non ci ha mai lasciati e non ci lascerà mai. Gesù non ha più nulla: a chi donare l’ultimo respiro? Soltanto il Padre lo può comprendere, e lo può custodire per sempre! Il nostro io viene da Lui, e a Lui può tornare, a Lui che dà la vita. Padre, fa’ che anche noi, in ogni momento e soprattutto al momento della nostra morte, ci abbandoniamo totalmente nelle Tue mani. Le Tue mani sono ancora più dolci delle mani pur dolcissime delle nostre mamme! Antonio Rudoni 21
L’ADMA nel mondo
INSERTO
Da mihi animas cetera tolle (L’ADMA al XXVI Capitolo Generale dei Salesiani)
(7a parte)
4. LA POVERTÀ EVANGELICA
4.2 - Solidarietà con i poveri
4.1 - Testimonianza personale e comunitaria
In forza della nostra vocazione, siamo chiamati a coltivare un ascolto attento e partecipe del grido dei poveri e a proporre loro l’annuncio del Regno come fondamento della vera speranza e lievito di un mondo nuovo. Ciò comporta la scelta preferenziale per i giovani più bisognosi, l’attenzione alle loro necessità, la condivisione della loro situazione, il superamento di una mentalità assistenzialista e paternalista, l’impegno a renderli protagonisti del loro sviluppo. Fedeli al nostro carisma, non ci accontentiamo di offrire aiuti immediati, ma intendiamo denunciare e contrastare le cause dell’ingiustizia, contribuendo a creare una cultura della solidarietà, educando la coscienza morale, la cittadinanza attiva, la partecipazione politica, il rispetto dell’ambiente, proponendo iniziative e progetti di intervento, collaborando con organismi ed istituzioni che promuovono la vita. Tale impegno richiede di rinnovare nelle comunità e negli ambienti educativi la sensibilità a queste tematiche e di superare l’imborghesimento che provoca indifferenza al dramma mondiale della povertà. Le sfide della illegalità diffusa, dell’ingiustizia planetaria e dell’accaparramento dei beni da parte di pochi ci chiamano a denunciare questi scandali e ad elaborare una cultura dell’essenzialità, dell’equa distribuzione delle risorse e dello sviluppo sostenibile. La povertà assume in tal modo una forte valenza educativa: afferma il primato dell’essere sull’avere, realizza un’autentica solidarietà cristiana con i poveri, contesta stili di vita consumistici.
Assumendo la condizione umana, il Signore Gesù ha scelto di nascere e vivere poveramente, si è affidato totalmente al Padre e ha condiviso la situazione di vita dei poveri, proclamandoli beati in quanto destinatari della lieta notizia ed eredi del Regno. Don Bosco, uomo di umili origini, sperimentò fin da ragazzo i disagi e i valori di un’esistenza povera. Alla scuola di mamma Margherita apprese il gusto per il lavoro e la sobrietà, la serenità nelle prove e la solidarietà con i bisognosi. Ponendo totale fiducia nella Provvidenza, decise di vivere poveramente e di spendere tutte le proprie energie per i giovani ai quali Dio lo aveva inviato: “Io per voi studio, per voi lavoro, per voi vivo, per voi sono disposto anche a dare la vita” (Cost 14). Il distacco da tutto ciò che rende insensibili a Dio e ostacola la missione è il significato profondo del cetera tolle e costituisce il criterio per verificare il nostro modo di vivere la povertà. Per dare una testimonianza credibile e coraggiosa di povertà evangelica nello spirito del Da mihi animas cetera tolle ogni membro della FS – coltivi il distacco interiore ricordando le parole di Don Bosco “la povertà bisogna averla nel cuore per praticarla”; – esprima la povertà con un lavoro assiduo e sacrificato, rifuggendo dalla pigrizia e dalla frenesia; – viva la temperanza voluta da Don Bosco con un tenore di vita sobrio nel cibo, abbigliamento, viaggi, arredo, uso degli strumenti di lavoro, dei media e del tempo, accettando con maturità il disagio per la mancanza di qualche bene utile o necessario. 22
Per sviluppare la cultura della solidarietà con i poveri nel contesto locale ogni gruppo della FS – esprima la solidarietà con i poveri non solo attraverso la beneficienza, ma anche con scelte che incidano sul suo tenore di vita;
– educhi alla cultura della solidarietà, aiutando i giovani a interpretare con spirito critico i fenomeni economici e sociali del nostro tempo, coinvolgendoli in iniziative e progetti di promozione e sviluppo, favorendo l’adesione ad iniziative equosolidali; – educhi al rispetto della diversità etnica e religiosa e promuova lo spirito di fratellanza; – cresca nell’impegno a favore della giustizia sociale; – appoggi le istituzioni che promuovono i diritti dei giovani e, quando possibile e opportuno, prenda posizione contro la loro violazione.
L’A D M A nel mondo SIVIGLIA (Spagna). La prima Basilica di Maria Ausiliatrice in Spagna. Da domenica 26 ottobre, la città di Siviglia è in festa per la Basilica Minore dedicata a Maria Ausiliatrice, la prima nella Spagna dedicata alla Madonna di Don Bosco. Il riconoscimento è frutto del lavoro degli ultimi salesiani Rettori del tempio mariano e, in modo particolare, dello scomparso Don Juan Bosco Ramos. La neo Basilica minore si distingue per l’ambiente pastorale, liturgico, missionario e devozionale ed è allo stesso tempo patrimonio della città di Si-
viglia e dell’Ispettoria salesiana “María Auxiliadora”. Il titolo è stato conferito nel corso di una celebrazione eucaristica presieduta dal Card. Carlos Amigo Vallejo, Arcivescovo di Siviglia, concelebrata da Mons. Antonio Montero, Arcivescovo emerito di Mérida-Badajoz, e da circa 30 sacerdoti, tra i quali Don José Miguel Núñez Moreno, Consigliere per le regione Europa Ovest, e Don Francisco Ruiz Millán, Ispettore dei Salesiani di Siviglia. All’inizio della celebrazione Don Núñez ha letto un messaggio di Don Pascual Chávez, Rettor Maggiore dei Salesiani, resosi presente con le sue parole in questo importante evento della Famiglia Salesiana e della chiesa locale. Successivamente il Rettore, Don Siro Vázquez, ha letto il decreto con il quale il Santuario di Maria Ausiliatrice di Siviglia è insignito della Basilica minore. Il Card. Amigo, nella sua omelia, così si è espresso: “Siamo in una grande casa che ospita l’immensità di Dio, un tempio bello per la Trinità, una Chiesa, la Basilica-Santuario, che si fa piccola per ospitare la grandezza di Dio, come il grembo di Maria, che tutte le generazioni chiameranno beata”. Fa poi un’allusione al Libro dei Maccabei, quando dice “la mia gloria sono i miei figli”, in riferimento diretto a Maria, Madre della Chiesa. Poi il Cardinale prosegue ricordando che questa Casa, questa Basilica è costruita su una pietra con quattro volti: il volto che ci mostra una Chiesa splendida, viva per l’amore che diffonde, e quindi libera, poiché la Parola di Dio non è incatenata. Una Chiesa incendiata dalla carità. Il secondo volto: una Chiesa giovane e piena di speranza. Ricorda ai Salesiani la convinzione di credere nei giovani, nelle loro potenzialità e nel bisogno di amore che hanno. Invita ad amarli con tutte le conseguenze, come ha fatto Don Bosco. Il terzo volto è la gioia salesiana che si manifesta nello scoprire l’impronta di Dio nella creazione e nelle cose. Cercare sempre il positivo, tentando di arrivare alle profondità dei giovani. Il quarto volto della Chiesa è il volto che riflette il volto di Dio, Maria Aiuto dei Cristiani. Benedizione, dolcezza e aiuto. Ci sono poi due lati che non si vedono, perché guardano il cielo: lo Spirito di Dio, che invade e riempie tutti gli uomini e le donne del mondo che confidano nella presenza e nella potenza di Dio. Evidenzia infine il significato della festa di oggi e dice che “tutto è per la gloria di Dio e di sua Madre e anche, naturalmente, per la gloria della Famiglia Salesiana”. Alla celebrazione sono intervenute oltre quaranta confraternite della città e più di 30 gruppi dell’Associazione di Maria Ausiliatrice dell’Andalusia. Don Pier Luigi Cameroni 23
25 MARZO 1370 - NOSTRA SIGNORA DI BONARIA - CAGLIARI
Calendario mariano
Quest’aria malsana si cambierà in B
L
a storia del Santuario-Basilica di Nostra Signora di Bonaria in Cagliari, si intreccia con quella dell’Ordine della Mercede per la redenzione degli schiavi, fondato nel 1218 a Barcellona da San Pietro Nolasco. I religiosi Mercedari giungono in Sardegna con il Beato Fr. Carlo Catalano, nobile sardo che aveva conosciuto l’Ordine in Spagna e vi si era iscritto come cavaliere laico. Nel 1335, il Re Alfonso di Aragona fa dono ai Mercedari di una chiesa, da lui costruita qualche anno prima sul colle di Bonaria in ringraziamento per aver strappato la città di Cagliari al dominio di Pisa. Il Beato Fr. Carlo Catalano è ricordato per la santità della vita, per i numerosi fatti straordinari compiuti in vita e dopo morte, ed in particolare per aver profetizzato l’arrivo miracoloso della Statua della Madonna. Si narra, infatti, che alcuni mercanti veneziani giunti a Cagliari abbiano chiesto confidenzialmente al Catalano perché non avesse mai pensato di domandare a Dio, per il porto della città, un’aria più salubre ed un vento più favorevole all’attracco delle navi a terra. Alla domanda il Beato, volgendosi verso la penisola Iberica, avrebbe risposto: “di laggiù verrà la Regina e quest’aria malsana si cambierà in Buon’Aria!”. Molti anni dopo, e precisamente il 25 marzo 1370, “la miracolosa venuta della Vergine rischiarò la profetica risposta; e manifesto apparve avere il Signore rivelato al suo servo, in
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Nostra Signora di Bonaria, patrona della Sardegna e protettrice dei naviganti.
quell’estasi beata, quanto doveva succedere dopo non molto tempo”. L’arrivo della Statua Una nave, partita dalla Spagna e diretta in Italia, ormai in vista delle coste sarde, si trova in mezzo ad una furiosa tempesta. A niente servono gli sforzi sovrumani dei marinai. Sopraffatto dalla stanchezza e dalla disperazione, l’equipaggio già si prepara a morire, invocando la misericordia divina, quando il comandante dell’imbarcazione ordina di gettare a mare il carico che stipa la stiva. Tutte le merci sono subito scaraventate in mare e, tra l’altro, anche una pesantissima cassa della quale si ignora il contenuto.
Appena questa tocca le acque, il mare in burrasca d’improvviso si calma, calano i venti e il cielo si fa sereno. La gioia dei naviganti per lo scampato pericolo si muta ben presto in attonita meraviglia quando, volgendo lo sguardo sul mare ormai calmo, vedono che del carico gettato tra le onde tutto è andato a fondo, tranne la pesante cassa buttata in mare immediatamente prima che la tempesta si placasse. Da nuova sorpresa, mista ad un certo timore questa volta, sono presi i marinai quando, calata a mare una scialuppa con l’intento di recuperare la cassa, si accorgono che questa, come mossa da una forza misteriosa, non solo si è messa a navigare, ma trascina sulla sua scia lo stesso bastimento, dirigendosi verso le coste sarde, per arrestarsi infine sullo specchio di mare prospiciente la collina di Bonaria. Sulle rive intanto si è andata raccogliendo una folla di curiosi che da terra hanno potuto seguire, almeno in parte, l’odissea della nave pericolante, e poi hanno visto lo strano navigare di una cassa che pareva trainare un bastimento. La meraviglia di quanti gremiscono lo stretto approdo cresce nell’apprendere dai marinai ciò che realmente è avvenuto ed aumenta ancora quando, nonostante ripetuti tentativi, non si riesce a trarre a riva la cassa, né ad aprirla per vedere che cosa contenga di tanto pesante. La notizia di questo fatto si propaga per tutta la città di Cagliari; l’arcivescovo Bernardo ed il vicerè Alberto Satrillas accor-
n Buona Aria! rono per ammirare la cassa che è sempre dove si è fermata e non si è potuta smuovere. Un bambino tra la folla grida: “I frati della Mercede porteranno a terra la cassa!”. Questo grido pare a tutti ispirato. Due religiosi del vicino convento mercedario, subito accorsi, con estrema facilità riescono a caricarsi sulle spalle la misteriosa arca, sulla quale è scolpito lo stemma dell’Ordine della Mercede, al quale prima nessuno aveva fatto caso, e tra il giubilo dei presenti, la portano fino alla chiesetta di Bonaria, ove viene aperta. “Lingua umana – così scrive il P. Sulis – non sarebbe atta ad esprimere l’ansietà della folla, che, in quel momento solenne, densa ed impaziente, si stava accalcando intorno alla cassa, avida di finalmente conoscere l’arcana cagione di tanti insigni prodigi; quand’ecco al più profondo silenzio succedere all’improvviso un entusiastico grido di ammirazione, di ringraziamento, di devoto affetto, dei più vicini in prima, indi del popolo ad una voce, all’apparire di una maestosa statua di Maria splenIl Santuario di Bonaria costruito da Alfonso di Aragona nel 1335.
dente di celestiale bellezza, con un vezzoso bambino nella sinistra, una candela accesa sulla destra ed un pannolino inzuppato di sangue nella manica dell’abito al braccio destro. Rizzata dall’arca la immagine augustissima per essere da tutti veduta e venerata, non ebbe più ritegno l’entusiasmo universale. Il popolo intero ebbro di giubilo e di riconoscenza, caduto a ginocchi, intonò il Te Deum. L’arrivo della Statua è accompagnato da altri prodigi che contribuiscono ad accrescere e a diffondere la venerazione alla Madonna che da subito si incomincia ad invocare come Vergine SS. ma di Bonaria. Quasi tutti gli scrittori di cose sarde ricordano nelle loro opere questo avvenimento, la veridicità del quale è confermata ufficialmente nel documento redatto nel corso di un processo istituito per ordine dell’Arcivescovo Don Francesco Del Val, che si tenne dal 4 marzo al 31 luglio 1592 ed i cui atti si conservano nell’archivio della Curia arcivescovile di Cagliari. La devozione dei Papi Il 24 aprile 1870, per autorità del Beato Pio IX, tra un grande concorso di Fedeli, la statua della Madonna è solennemente incoronata con due corone d’oro, e nel 1908 la SS. Vergine di Bonaria è proclamata dal Papa San
Pio X “Patrona Massima della Sardegna”. Cinquanta anni dopo, Pio XII in radiomessaggio afferma “La Sardegna si può considerare a giusto titolo, eredità e dominio di Maria, e tale vuole restare nel futuro...”. Il Beato Giovanni XXIII in una lettera ufficiale all’Arcivescovo di Cagliari, pone sotto la sua firma, la dichiarazione autografa: “pellegrino umile e devoto a Bonaria dove celebrò la Messa il 29 ottobre 1921”. Paolo VI, pellegrino a Bonaria nel 1970, conclude la solenne omelia con l’esortazione: “Maria Santissima particolarmente venerata nel Santuario di Bonaria e tanto invocata dal buon popolo sardo, interceda affinché tutti i fedeli della Sardegna siano nella Chiesa «attivi, perseveranti, uniti, fiduciosi»”. Giovanni Paolo II esprime la sua gioia per essere pellegrino a Bonaria nel 1985 “Grande è la mia gioia per questo incontro!... sono venuto in questa splendida terra di Sardegna mosso dall’amore...”, e Benedetto XVI nel recente pellegrinaggio del 7 Settembre 2008 così conclude la sua fervida omelia: “Maria è porto, rifugio e protezione per il popolo sardo, che ha in sé la forza della quercia. Passano le tempeste e questa quercia resiste; infuriano gli incendi ed essa nuovamente germoglia; sopravviene la siccità ed essa vince ancora. Rinnoviamo dunque con gioia la nostra consacrazione ad una Madre tanto premurosa. Le generazioni dei Sardi, ne sono certo, continueranno a salire al Santuario di Bonaria per invocare la protezione della Vergine. Mai resterà deluso chi si affida a Nostra Signora di Bonaria, Madre misericordiosa e potente. Maria, Regina della Pace e Stella della speranza, intercedi per noi. Amen!”. Don Mario Morra 25
Santi di ieri e di oggi
N
asce a Cittadella (Padova), il 3 aprile 1877 – 130 anni fa – e entra tra le probande della Piccola Casa della Divina Provvidenza al “Cottolengo” di Torino il 27 agosto 1896, 139ª postulante di quell’anno. Veste l’abito religioso e inizia il noviziato il 2 ottobre 1897, con il nome di suor Maria Carola. Al secolo, si chiamava Fiorina Cecchin ed era stata davvero un bellissimo fiore di fede, purezza e dedizione a Gesù: continuerà ad esserlo come religiosa più che mai, così da stupire e da avvincere coloro che la incontreranno. Nell’Epifania del 1899, offre a Dio la professione dei santi voti ed è chiamata a umili servizi nella sua Famiglia religiosa: in cucina nel seminario di Giaveno per qualche anno, quindi nella cucina centrale della “Piccola Casa” a Torino insieme a suor Teobalda. La sua “vocazione”,
Tra le onde del Mar Rosso che sente fin da giovanissima è “la missione”, per amore a Dio e alle anime: il 28 gennaio 1905, parte per l’Africa con la terza spedizione formata da sei suore della sua congregazione. Ha 28 anni. A Limuru, Tusu, Iciagaki (qui viene nominata superiora), a Mogoiri, a Wambogo, e per ultimo a Tigania-Meru, si dimostra “donna saggia e prudente, attiva, ma non dissipata, seria, ma non ruvida, schietta, ma non imprudente, di pietà luminosa e soave”. Così la delinea Madre Scolastica nel volumetto “Memorie di suor Maria Carola, missionaria”. “Na bòna mort” (una buona morte), questa è l’espressione che caratterizza il suo agire. Per un insuccesso, per una incomprensione, non si altera mai per cercare rivincite, né si amareggia per le cose spiacevoli della vita, perché pensa che la ricompensa di una buona morte, le fa supe-
L’amore per Cristo in Africa ha guidato tutta la vita apostolica di Suor Maria Carola.
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rare le amarezze del cuore. A Iciagaki, impianta una nuova stazione missionaria. “La casa è una baracca, una sola padella funge da pentola: ma a poco a poco, viene eretta la casa in legno”. Suor Carola, la rende abitabile, coltiva il giardino e l’orto, abbellisce il cortile, raccoglie attorno a sé la piccola comunità. È mossa, in ogni sua azione, da un grande illimitato amore a Gesù. Tutto per il Paradiso Quando le fatiche sono terminate e può cominciare una normale vita missionaria, le giunge l’“obbedienza” di partire per Mogoiri. Accetta con gioia, confidando sempre “na bòna mort” e nella nuova sede, rimane assidua, laboriosa e serena, fino al giorno in cui viene inviata a Wambogo. Di lì erano partite per l’ospedale da campo suor Maria Daria e suor Rachele. Suor Carola le sostituisce in un momento drammatico. Reclutati gli uomini per una guerra (1915-1918) che non aveva nulla a che vedere con le scaramucce tribali, i poveretti si trovano a fare una guerra di cui non conoscono i mezzi e le strategie. Erano impegnati come portatori, ma anche così la guerra, per loro come per tutti, è una realtà orribile. Nei villaggi, rimanevano le donne che devono badare alle bestie e ai campi. “La spagnola” semina strage insieme alla guerra. Suor Carola vive questo momento terribile con la luce e la fortezza della carità di Cristo:
Suor Maria Carola 1877-1925 davvero, come era stato per il Fondatore della sua Famiglia Religiosa, “caritas Christi urget nos”. Insieme alle consorelle testimonia l’amore di Dio Padre (“Deus caritas est”) verso i più poveri dei poveri, donando, insieme ai servizi più urgenti, la carità più grande: l’annuncio di Gesù, unico Salvatore, al quale corrispondono, per la grazia di Dio, meritata dal sacrificio e dalla preghiera, numerose conversioni a Lui.
È Gesù solo che sostiene suor Carola e insieme il suo abituale pensiero a “na bona mort”, la morte in grazia di Dio, che chiede con assiduità nella preghiera e che l’avrebbe ricompensata di tutto, donandole di contemplare finalmente il volto del suo Sposo adorato. Incontrandolo, faccia a faccia, avrebbe visto il suo Signore che serve nei più poveri. Per Lui, per Lui solo, sempre, tutti i giorni dei suoi 20 anni di missione, con il buono e il catti-
Con notevole capacità, Suor Maria Carola si era adattata alle diverse esigenze della sua vita missionaria, portando in ogni cultura la presenza del Vangelo.
vo tempo, “in cerca di anime, partiva... e avanti avanti, divorava la via con i suoi lunghi passi”. È partita per l’Africa, solo per Gesù e per le anime, non per essere turista, né animatrice sociale tanto meno rivoluzionaria. Solo per “la rivoluzione del Vangelo di Gesù”, che è l’unica a produrre novità vera di vita. L’ultima stazione della sua missione è Tigania, nel Meru, ove lascia ancora una volta la casa linda e ben fornita. Vedendo le difficoltà, si mette a canterellare: “La, la, na bona mort, na bona mort”. Sembra strano oggi, ma il pensiero dei novissimi – le realtà ultime – quanti santi, eroi e martiri, ha prodotto nella Chiesa. Così è per suor Carola. In quest’ultima missione, oltre i soliti disagi, una malattia dolorosa e debilitante, diagnosticata come enterocolite sanguigna, le procura gravi sofferenze. I postumi di questo male non le daranno tregua fino al giorno della sua morte. In una lettera del 14 marzo 1919, al Padre della Piccola Casa, sollecita il rientro delle Suore malate in Italia, scrivendo: “Ora che i passaggi marittimi sono liberi, speriamo che vengano chiamate in seno alla Piccola Casa, a godere un po’ di paradiso”. Suor Carola – insieme a suor Crescentina – sono le ultime a lasciare l’Africa il 25 ottobre 1925. Sulla nave, in via di ritorno, il 13 novembre 1925, suor Maria Carola, a 48 anni di età, va incontro a Dio. Celebrati i funerali a bordo, la sua salma viene sepolta, come allora si usava, tra le onde del Mar Rosso. Non le fu dato di godere un po’ di Paradiso nella Piccola Casa. Il suo Sposo divino, la volle direttamente nel Paradiso vero. Modello di vita missionaria e di santità, di eroica dedizione a Cristo e alle anime da salvare, anche oggi. Soprattutto oggi. Paolo Risso 27
notizie notizie e avvenimenti A cura di Mario Scudu
La scuola vera è esigente
E
ro a Roma martedì 28, con la città bloccata da una pioggia torrenziale e da un minuscolo gruppo di studenti che manifestava davanti al Senato contro la riforma Gelmini. Prima di entrare nel merito, vorrei farmi una domanda: come sia possibile che in una Repubblica organizzata e moderna come l’Italia, un minuscolo gruppo di ragazzi blocchi l’intera capitale creando disguidi enormi con costi sociali, economici e strutturali. Le Forze dell’ordine che si spaventano e sbarrano i ponti sul Tevere come se ci fosse un esercito di guerriglieri, mi fanno un po’ pena. Non pensate che tali modalità offrano ai quattro facinorosi propaganda impensata e gratuita?
presenti e futuri dell’Istruzione. Anche docenti e genitori hanno responsabilità da cui non si devono chiamar fuori. L’Italia vuoI camminare con due gambe rotte: famiglia e scuola. Per compensare le gambe rotte, regaliamo al 98% dei nostri figli il telefonino. La seconda impressione mi preoccupa ancora di più. La sfacciataggine sotto la quale abbiamo nascosto le poche cose buone che la riforma proponeva, usandole solo per far rientrare con tagli insensati gli sbilanci economici, ci fanno capire che a questo Governo i giovani interessano ben poco. Nel frattempo continueranno i disordini. Gli studenti che hanno voglia di studiare saranno penalizzati, i cafoncelli ai quali non interessa studiare bloccheranno le aule, la fatica di una riforma finirà nelle botte tra giovani di diverse ispirazioni politiche, con i poliziotti che tentano l’impossibile perché il disordine sia minimo. Don Antonio Mazzi, da Famiglia cristiana, n. 45, 2008
Detto questo, vorrei soffermarmi su due impressioni. La prima: nonostante sia da sempre dalla parte dei giovani, quando trattasi di scuola divento sgradito proprio ai giovani che amo. Una scuola che si rispetti dev’essere esigente, non può soggiacere a umori ideologici ed egoistici, orientati più al disimpegno che all’impegno. La scuola italiana, se continua così, ritarderà la presa di coscienza e la maturità dei giovani e si ridurrà a luogo di apprendimenti passivi, ripetizioni quadrimestrali e castighi facili. I malesseri profondi che di volta in volta escono dagli istituti scolastici non possono ricadere solo su politici e ministri passati, 28
Concordo pienamente. Anche se i nostri politici si riempiono la bocca con lo slogan “Tolleranza zero” (importato come tante mode dagli USA) non è proprio così. La legalità può aspettare. Non si possono perdere consensi elettorali per intervenire a ristabilirla. E a pagare sono i poveri, gli innocenti e i deboli (Mario Scudu).
Destabilizzare la Chiesa ttacchi orchestrati e diffusi per A destabilizzare la presenza della Chiesa in India: potrebbe essere questo il piano occulto di alcuni gruppi radicali induisti secondo il Card. Oswald Gracias, arcivescovo di Mumbay. La campagna mira a creare difficoltà alla Chiesa in India, a emarginarla sempre di più, a ridurne la sua influenza nella società. Il cardinale ha espresso pubblicamente la sua preoccupazione in seguito agli attacchi
Un miliardo di persone è ancora privo di acqua potabile: realtà drammatica che il concorso MINI Design Award 2008 ha riassunto nel concept “Il valore dell’acqua”, (vedi foto) sviluppato da Marco Vaona con la sua opera “Sete”.
subìti dai fedeli cattolici in Orissa (India centro-orientale), che hanno lasciato traumi e ferite profonde, dolore e disagi nelle comunità cattoliche locali, con morti, feriti e migliaia di sfollati. Il cardinale ha anche notato la responsabilità di gruppi e movimenti come il Baratiya Janata Party, che soffiano sul fuoco dell’ideologia, costruendo il tappeto di azione dei fondamentalisti violenti. Il pericolo è, insomma, il diffondersi del “virus della cristianofobia”, soprattutto in un contesto di generale deteriorarsi dei rapporti interreligiosi, anche a causa di nuovi provvedimenti legislativi che, in alcuni stati indiani proibiscono le conversioni. Fides
La crisi della sete mondiale dell’acqua si dà appuntamento in Turchia, all’inizio del 2009, Iperl Forum discutere della crisi globale prossima ventura: quella idrica. E mentre nel nostro Paese gli acquedotti vengono privatizzati per decreto, l’associazione WaterFootprint.org ci rende consapevoli delle diseguaglianze planetarie nei consumi: un italiano fa scendere dai rubinetti 138 metri cubi d’acqua l’anno, uno statunitense 217, un cinese 26, un somalo 2.
© Sete di Marco Vaona.
E. L., da il Corriere della sera, 2008
La filosofia di vita che ci guida – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – –
Amare con il cuore Dio Ricambiare il male con il bene La bontà che disarma L’imprevisto accolto Il diverso capito Liberi di dire sì e di stare insieme La gioia della restituzione Le gocce che diventano mare Una famiglia che accoglie Il silenzio che parla L’impossibile cancellato nella fede L’umiltà che costruisce Il problema dell’altro che diventa mio L’io che e già noi Condividere la gioia e il dolore Portare i pesi gli uni degli altri Il bene fatto bene Il valore di un minuto L’impegno per la pace La certezza della speranza Amare la vita I piccoli che fanno cose piccole I piccoli che fanno cose grandi Poveri, ma ricchi di Dio Da Sermig, Arsenale della Pace, Torino
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Giovanni Paolo I, maestro di umiltà A cura del Gruppo di Filatelia Religiosa “Don Pietro Ceresa”
Filatelia religiosa
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l Santo Padre Benedetto XVI ha elogiato la figura e le doti di umiltà di Giovanni Paolo I, il “Papa del sorriso”, che morì solo dopo un mese di pontificato, stroncato da un infarto il 28 settembre 1978. “... L’umiltà può essere considerata il suo testamento spirituale”, ha quindi affermato Benedetto XVI. “Grazie proprio a questa sua virtù, bastarono 33 giorni perché Papa Luciani entrasse nel cuore della gente”. Ricordando come nei suoi discorsi Papa Luciani usasse spesso “esempi tratti da fatti di vita concreta, dai suoi ricordi di famiglia e dalla saggezza popolare”. “La sua semplicità era veicolo di un insegnamento solido e ricco, che, grazie al dono di una memoria eccezionale e di una vasta cultura, egli impreziosiva con numerose citazioni di scrittori ecclesiastici e profani”. Richiamandone poi le doti di “impareggiabile catechista” e gli insegnamenti da cui traspare “tutto lo spessore della sua fede”, il Papa ha ricordato l’invito di Giovanni Paolo I a «sentirci piccoli davanti a Dio»: «Non mi vergogno di sentirmi come un bambino davanti alla mamma: si crede alla mamma, io credo al Signore, a quello che Egli mi ha rivelato». “Mentre ringraziamo Dio per averlo donato alla Chiesa e al mondo, facciamo tesoro del suo esempio, impegnandoci a coltivare la sua stessa umiltà, che lo rese capace di parlare a tutti, specialmente ai piccoli e ai cosiddetti lontani” (da Zenit). Angelo Siro
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La pagina del Rettore
Carissime lettrici e lettori della nostra Rivista, cegliendo liberamente di “ privarci di qualcosa per aiutare gli altri, mostriamo concretamente che il prossimo in difficoltà non ci è estraneo”. Lo scrive il Papa nel messaggio per la Quaresima 2009. Benedetto XVI ci invita a riscoprire la pratica di donare ai poveri i frutti delle rinunce dei fedeli. Penso, utile per il nostro cammino, in sintonia con tutta la Chiesa, condividere alcune riflessioni che emergono dalle parole del Papa per sottolineare il valore e il senso del digiuno cristiano. Egli si chiede: quale valore e quale senso ha per noi cristiani il privarci di un qualcosa che sarebbe in se stesso buono e utile per il nostro sostentamento? La Parola di Dio e tutta la tradizione cristiana insegnano come prima cosa che il digiuno è di grande aiuto per evitare il peccato e tutto ciò che ad esso induce. Gesù pone in luce la ragione profonda del digiuno, non un atteggiamento formale, esteriore, ma un orientamento profondo del cuore. Il vero digiuno è compiere la volontà del Padre, il quale «vede nel segreto, e ti ricompenserà» (Mt 6,18). Ai nostri
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Il digiuno quaresimale giorni, la pratica del digiuno pare aver perso un po’ della sua valenza spirituale e aver acquistato piuttosto, in una cultura segnata dalla ricerca del benessere materiale, il valore di una misura terapeutica per la cura del proprio corpo. Per i credenti invece è in primo luogo una “terapia” per curare tutto ciò che impedisce loro di conformare se stessi alla volontà di Dio. Il significato autentico e perenne di quest’antica pratica penitenziale, è che essa può aiutarci a mortificare il nostro egoismo, a relativizzare le cose, a diventare padroni di noi stessi e ad aprire il nostro cuore all’amore di Dio e del prossimo. La pratica del digiuno contribuisce a conferire unità alla persona, corpo ed anima, aiutandola ad evitare il peccato, ad essere libera dalle passioni e a crescere nell’intimità con il Signore. Privarsi del cibo materiale che nutre il corpo facilita un’interiore disposizione ad ascoltare Cristo e a nutrirsi della sua parola di salvezza e a metterla quotidianamente in pratica nella vita. Il digiuno rappresenta allora una pratica ascetica importante, un’arma spirituale per lottare contro ogni eventuale attaccamento disordinato a noi stessi. Privarsi volontariamente del piacere del cibo e di altri beni materiali, aiuta il discepolo di Cristo a controllare gli appetiti della natura indebolita dal peccato, i cui effetti negativi investono la persona. Al tempo stesso, il digiuno ci aiuta a prendere coscienza della situazione in cui vivono tanti nostri fratelli e sorelle. Digiunare
volontariamente ci aiuta a coltivare lo stile del Buon Samaritano, che si china e va in soccorso del fratello sofferente. Scegliendo liberamente di privarci di qualcosa per aiutare gli altri, mostriamo concretamente che il prossimo in difficoltà non ci è estraneo. La Vergine Maria, totalmente distaccata da sé, aperta al progetto di Dio, dopo il suo “sì” all’angelo, senza esitazione parte per andare a servire la cugina nel bisogno. Il “sì” a Dio diventa subito un “sì” al prossimo. Sia lei ad accompagnarci in questo cammino. Per tutti voi il nostro ricordo e la nostra preghiera in Basilica. Don Franco Lotto Rettore
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SOMMARIO
Adoriamo la tua Croce, Signore, lodiamo e glorifichiamo la tua santa Risurrezione. Dal legno della Croce è venuta la gioia in tutto il mondo. (Dalla liturgia del Venerdì Santo)
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Quaresima tempo di conversione e... - Vita liturgica - FRANCO CAREGLIO Paolo, il rivoluzionario Anno paolino - RENZO ALLEGRI Gesù ci consegna lo Spirito - Gesù racconta il Padre - M. GALIZZI La spiritualità mariana Spiritualità - MARIO SCUDU Esempi e pensieri MARIO SCUDU
Quel giorno a San Paolo fuori... Vita della Chiesa - P. G. ACCORNERO I novissimi/10 Celebrazione - TIMOTEO MUNARI
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Le parole di Gesù nella sua Passione - Meditazione - A. RUDONI Da mihi animas - L’Adma nel mondo - DON PIER LUIGI CAMERONI Santuario di Nostra Signora di Bonaria - Cal. mariano - M. MORRA Tra le onde del Mar Rosso - Santi di ieri e di oggi - PAOLO RISSO Notizie e avvenimenti MARIO SCUDU
Giovanni Paolo I - Filatelia religiosa - ANGELO SIRO Il digiuno quaresimale - La pagina del Rettore - FRANCO LOTTO
Altre foto: Teofilo Molaro - Archivio Rivista - Archivio «Dimensioni Nuove» - Centro Documentazione Mariana - Redazione ADMA - Guerrino Pera - Andreas Lothar - Gabriele Viviani - Mario Notario - ICP - Ed. Elledici.
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