Rivista Maria Ausiliatrice n.4/2011

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ANNO XXXII BIMESTRALE Nº 4 - 2011

D E L L A

Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in Legge 27-02-2004 n. 46) art. 1, comma 2 e 3 - CB-NO/TORINO

RIVISTA

BASILICA

D I

TO R I N O - VA L D O C C O

Estate: riscoprire

sé e gli altri con Dio

pag.4 Anche Lui

in vacanza

Gesù disse ai discepoli «Venite in disparte e riposatevi un po’».

pag. 22 Oratori in pag. 30 Formazione

crisi? Non a Valdocco Richieste in aumento per i ragazzi (e pure per i genitori).

professionale salesiana Il 70% dei ragazzi trova lavoro.


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Attività & iniziative

hic domus mea

Cari lettori, anche Lui ha detto «Venite in disparte e riposatevi un po’». Noi, troppo spesso affannati, abbiamo bisogno di riposo. Quello vero. Non importa dove: basta che... Beh, leggetelo nell’editoriale. Per questo, a tutti voi, buone vere vacanze! Poi, se siete a Torino – anche di passaggio, come turisti o in visita a parenti – fate una “escursione” sino a Valdocco. Riscoprirete i luoghi dove è vissuto Don Bosco e da dove si irradia il suo carisma. E se volete, potrete fermarvi per uno spuntino, all’ombra degli alberi: una boccata d’aria (anche spirituale) fa sempre bene. Arrivederci, dunque.

inde gloria mea Direzione: Livio Demarie (Coordinamento) Mario Scudu (Archivio e Sito internet) Luca Desserafino (Diffusione e Amministrazione)

La direzione

Direttore responsabile: Sergio Giordani

direzione.rivista@ausiliatrice.net

Registrazione: Tribunale di Torino n. 2954 del 21-4-1980 Stampa: Scuola Grafica Salesiana - Torino Corrispondenza: Rivista Maria Ausiliatrice Via Maria Ausiliatrice 32 10152 Torino Centralino 011.52.24.822 Rivista 011.52.24.203 Fax 011.52.24.677 rivista@ausiliatrice.net http://rivista.ausiliatrice.net www.donbosco-torino.it Abbonamento: Ccp n. 21059100 intestato a: Santuario Maria Ausiliatrice Via Maria Ausiliatrice 32 10152 Torino Per Bonifici: BancoPosta n. 21059100 IBAN: IT15J076 0101 0000 0002 1059 100 PayPal: abbonamento.rivista@ausiliatrice.net Collaboratori: Corrado Bettiga Lorenzo Bortolin Marina Lomunno Nicola Latorre

SANTE MESSE

CONFESSIONI

Giorni feriali: le Sante Messe vengono celebrate alle ore 6,30 / 7,00 / 7,30 / 8,00 / 8,30 / 9,00 / 10,00 / 11,00 / 17,00 / 18,30. Santa Messa prefestiva ore 18,00.

Quella delle Confessioni è una delle attività spirituali principali e più ricercate nel Santuario-Basilica di Maria Ausiliatrice. Le confessioni, su richiesta, possono anche essere ascoltate in: italiano, francese, inglese o spagnolo. Giorni feriali: dalle ore 6,30 alle 12,00 e dalle ore 14,30 alle 19,00. Giorni festivi: dalle ore 7,00 alle 12,30 e dalle 14,30 alle 19,00. Inoltre dalle ore 20,30 e alle 21,30 durante la celebrazione della Santa Messa della sera.

Giorni festivi: alle ore 7,00 / 8,00 / 9,00 /10,00 / 11,00 / 12,00 / 17,30 / 18,30 / 21,00.

VISITA AI LUOGHI STORICI Abbonamento annuo: ....................................... € Amico .......................................... € Sostenitore .................................. € Europa ......................................... € Extraeuropei ................................ € Un numero .................................. €

Tutti i giorni dalle 8,30 alle 12,00 e dalle 14,00 alle 18,00. Per info: tel. 011.5224.288 - Email: camerette.donbosco@31gennaio.net

13,00 20,00 50,00 15,00 18,00 3,00

PER ACCOGLIENZA/OSPITALITÀ accoglienza.valdocco@salesianipiemonte.it - Tel. 011.5224.639 - Fax 011.5224.690

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La pagina del Rettore

Aria di Paradiso Cari amici, il periodo estivo è un tempo prezioso per dedicarci con più calma al “respiro dell’anima”, cioè a momenti di riflessione e di preghiera, che aiutano a far “respirare” la profondità del nostro essere. Alcune feste liturgiche ci invitano a questo. In particolare, in agosto, la Trasfigurazione di Gesù (il giorno 6) e l’Assunzione di Maria (il 15) sono un invito a guardare in alto, a uscire dai limiti dello spazio e del tempo per proiettarci verso l’eternità. Il Cristo luminoso, trasfigurato, ci ricorda quella che sarà la situazione di chi ha orientato a lui la propria vita. L’assunzione di Maria ci assicura che la sua esperienza di risorta, sulla scia di Gesù, sarà anche la nostra. Tutti siamo chiamati a questa comunione piena là dove Dio ci attende, e il guardare in alto, ora, ci è di aiuto per il cammino non sempre facile della vita. Don Bosco invitava spesso i giovani a guardare in alto e il suo desiderio era che la chiesa di Maria Ausiliatrice fosse un potente richiamo a questo futuro e alla vita di Paradiso. Quando egli tenne la prima seduta col pittore Lorenzone per il quadro dell’Ausiliatrice, “Espresse il suo pensiero così: «In alto, Maria Santissima tra i Cori degli Angeli; intorno a lei, più vicini gli Apostoli, poi i cori dei Martiri, dei Profeti, delle Vergini, dei Confessori. In terra, gli emblemi delle grandi vittorie di Maria e i popoli delle varie parti del mondo in atto di alzar le mani verso di lei chiedendo aiuto». Parlava come d’uno spettacolo che avesse già visto. Il Lorenzone lo ascoltava senza trar fiato e come Don Bosco ebbe finito: (...) «E dove vuole che io trovi uno spazio adatto a questo suo quadro? Ci vorrebbe piazza Castello». (...) Don Bosco fu un po’ spiacente, ma dovette convenire che il pittore aveva ragione. Quindi fu deciso che il dipinto avrebbe compreso solo la Madonna, gli Apostoli, gli Evan-

Solenne concelebrazione per la festa di Maria Ausiliatrice, lo scorso 24 maggio. Foto Mario Notario

gelisti e qualche angelo. A piedi del quadro, sotto la gloria della Madonna, si porrebbe la casa dell’Oratorio”. (Memorie Biografiche, IV, 4-5). Toccherà a don Rua, suo primo successore, realizzare il desiderio di Don Bosco, dopo la sua morte, facendo dipingere nella cupola ciò che Don Bosco voleva nel quadro, invitandoci proprio a “guardare in alto” e a respirare un po’ di aria di Paradiso. Con un ricordo in basilica. Don Franco Lotto, Rettore lotto.rivista@ausiliatrice.net

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Editoriale

Andava in vacanza anc h Gesù disse ai suoi discepoli: «Riposatevi un po’». (Mc 6,31)

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acanze finalmente. Tempo di riposo, di rigenerazione, di riscoperta della vita quotidiana. Sì. Dopo l’affanno di mesi passati a correre e a faticare pur di raggiungere risultati e obiettivi, finalmente possiamo tirare il freno, distenderci un po’ e starcene tranquilli. Non è semplice ozio, né tempo perso, ma forse è l’otium dei latini o il vero recupero del tempo, non più sottoposto alla tirannia dell’orario, ma riconquistato per essere messo a frutto. È il tempo in cui finalmente si può essere se stessi, curare le persone care, tirare fuori il meglio di sé. La vacanza non è un tempo vuoto, sarebbe troppo poco. Se semplicemente svuotato, il nostro tempo perde tutto il suo senso, rischieremmo di passare dal tempo affannato dell’orario lavorativo, sempre di corsa, ad un lungo e vuoto

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 Don Alberto Martelli, delegato per la Pastorale Giovanile Salesiana di Piemonte e Valle d’Aosta. Archivio PG - ICP

Le vacanze possono essere un’occasione per essere “dono di Dio” a chi ci sta a fianco o è meno fortunato di noi. © Memo - Photoxpress

buco nero in cui tutto perde significato e la noia è sempre in agguato. Sono queste le vacanze che anche Don Bosco temeva, che bollava senza peli sulla lingua come il tempo della vendemmia del diavolo; perché i suoi ragazzi scambiavano le vacanze col far niente e alla fine uno non può semplicemente far niente: rischierebbe di farsi male. Le vacanze, invece, sono un tempo pieno; il tempo per essere se stessi, per riscoprire i propri cari, per fare della propria vita un dono. Sono il tempo del vero lavoro, quello che porta beneficio agli altri e che fa finire una giornata stanchi fisicamente ma con una soddisfazione che nessun lavoro potrà mai dare. La vacanza è il tempo in cui la vita riscopre le sue bellezze, in cui si può rallentare la corsa per guardare chi si ha di fianco e magari, perché no, andare con più calma nelle proprie preghiere, nello stare con Dio e con i propri cari perché non dobbiamo rendere più conto a nessuno e, per questo, le nostre ore sono ancora più preziose. Così nelle vacanze scatta qualcosa: giovani, che hanno passato l’anno a vivacchiare e a fuggire il lavoro, scoprono di poter lavorare anche dodici ore al giorno, pur di far giocare un bambino in una estate ragazzi. Giovani che sono arrivati stanchi dall’impegno di tutto un anno di studio e di lavoro, che si stancano ancor di più per accompagnare i più giovani alla GMG di Madrid, per gestire una colonia, per far giocare i meno fortunati. Dopo tante ore di scuola fuggite, eccoli a fare corsi di formazione di molte ore al giorno, pur di arrivare preparati per donare se stessi a chi ne ha più bisogno. È il tempo delle vacanze, quello in cui


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con libertà e verità poniti sotto lo sguardo di Dio. Così possiamo quasi dire che la vacanza è il tempo dell’esame di coscienza, non per vedere il male fatto, ma per avere la possibilità di formarsi, di mettersi a disposizione di Dio, di verificare il bene e il male e così programmare l’anno con nuovo slancio e nuova voglia. È il tempo in cui rilanciare il cammino di santità della nostra vita nella serenità di un rapporto con Dio e con gli altri ritrovato e rigenerato dal riposo e dall’unione con Dio. E allora buon lavoro in queste vacanze. Buon tempo “sprecato” con Dio e per gli altri. Sarà il solo modo per arrivare pieni di forze al nuovo anno lavorativo. Alberto Martelli

c he Lui

redazione.rivista@ausiliatrice.net

forse fatichi di più, ma finalmente puoi realizzare ciò che sei: un dono di Dio per chi ti sta a fianco, un “lavoratore” il cui risultato non si misura a ore o a stipendi, ma a sorrisi donati e ricevuti. È la vacanza che anche Gesù conosce con i suoi discepoli: il tempo propizio in cui puoi fare il bilancio di quello che stai facendo. Fermati, guardati attorno e dentro, regalati qualche minuto per prendere le distanza da ciò che fai ogni giorno e

 Le “ferie” sono un’occasione privilegiata per valorizzare i rapporti familiari. © wavebreakmedia ltd - Shutterstock © Kurhan - Shutterstock 

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Leggiamo i Vangeli

L’Amore che fa nuove tutte l La morte in croce di Gesù (Mt 27,45-54)

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obbiamo mostrare che non ci vergogniamo della croce di Cristo, che non la temiamo. Tutti noi che crediamo in Cristo crocifisso e risorto portiamo la croce come la prova inconfutabile che Dio è amore rinnovante. Due brevi, ma intense scene, descrivono il momento più alto della storia di Gesù nel vangelo di Matteo: la prima (Mt 27,45-50) ci avvince e commuove per le due forti grida emesse dal Signore ormai crocifisso e giunto alla fine della sua agonia; la seconda (Mt 27,51-54) ci stupisce invece per la descrizione dei prodigi avvenuti alla morte di Cristo.

Arcabas, Trinité

Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Il primo grido di Gesù – che Matteo ci restituisce nella lingua ebraica – è indisgiungibile dalla scena del Calvario. Siamo di fronte ad uno dei momenti più  All’epoca di Gesù, la crocifissione era la condanna a morte più dolorosa.

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drammatici della Passione: il Figlio soffre fino in fondo lo strazio del suo sacrificio. Lo fa senza però rigettare né il progetto della salvezza né il Padre che glielo aveva affidato! Qui c’è veramente tutto da imparare. Dobbiamo chiedere sempre al Signore il dono della fiducia e della fedeltà per i tempi della prova, per quelli in cui ci sembrerà di essere abbandonati. Chiediamo di poter maturare anche allora il nostro atto di fede. Il grido muove una delle guardie romane a dare da bere a Gesù. Il gesto potrebbe essere ritenuto un atto di pietà, ma in realtà non lo è. La bevanda costituita da una mistura a base di vino acido era infatti un corroborante ed aveva l’effetto di prolungare l’agonia. Altre guardie impediscono al loro commilitone di dissetare il condannato e proferiscono parole che sono di evidente derisione. Gesù giunge intanto agli estremi e dopo aver emesso un altro alto grido muore. La sua morte segna lo spartiacque della storia del mondo. È un evento dal quale traggono vita tutti coloro che prima e dopo quel giorno, fanno esperienza di Dio come amore, come cura verso chi lo invoca. Cristo che muore sulla croce è infatti il primo a mettere completamente in pratica il comandamento che lui stesso aveva dato (Mt 22,37-40) dandoci l’esempio più pieno di amore al Padre e al prossimo. Contemplando la croce si impara ad amare. Vogliamo imparare che cosa sia amore e cosa significhi amare? Guardiamo il crocifisso ed apprenderemo che amare significa darsi per gli altri, mettersi a servire! Più contempliamo la croce, più ci convinciamo che essa è una prova di amore. Un amore dato da cui nessuno potrà mai separarci: «Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né al-


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e le cose

 Più contempliamo la croce, più ci convinciamo che essa è una prova di amore. © Paolo Siccardi - Sync

tezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore» (Rom 8,38-39). La terra tremò, le rocce si spezzarono I sette prodigi operati da Dio sulla natura alla morte del Figlio ci stupiscono e forse creano in noi un certo imbarazzo. Si trattò però di uno stupore e di un imbarazzo buoni, voluti da Matteo che de-

L’evangelista Matteo ricorda che in concomitanza con la morte di Gesù la terra si scosse e le rocce si spezzarono. © ollirg - Photoxpress

sidera farci capire ancora meglio quale sia il valore di ciò che quel giorno si consumò a Gerusalemme sull’altura del Calvario. L’effetto dell’accostamento della morte ai prodigi fa ben ritenere che quello sia un evento unico, potente, addirittura più forte delle forze della natura, perfino più potente della morte stessa: la terra trema, le rocce si sgretolano, si aprono alcuni sepolcri e i morti appaiono! Nulla può resistere alla forza dirompente della morte di Cristo che porta via con sé tutto ciò che si ritiene stabile, inamovibile, granitico, vecchio, per iniziare a fare di questo mondo quel mondo nuovo la cui bellezza rilucerà in pienezza soltanto quando il Signore Risorto tornerà alla fine dei tempi. È impossibile sfuggire all’incontro col Crocifisso. L’evangelista vuole promuovere in noi un faccia a faccia con lui, col suo essere straziato dalla sofferenza eppure obbediente, col suo amore donato, con la forza rinnovante della sua morte. Bisogna avere il coraggio di lasciarsi incontrare da Cristo nel momento più alto della sua esistenza storica per non avere di lui una conoscenza che sia solo per sentito dire. Marco Rossetti rossetti.rivista@ausiliatrice.net N° 4 • LUGLIO-AGOSTO 2011

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Spiritualità mariana

Due donne in solidarietà per un futuro di vita L

’unico brano del Nuovo Testamento in cui troviamo sulla scena unicamente figure femminili è quello della visitazione, dell’incontro tra Elisabetta e Maria (Lc 1, 39-56). La scena è semplice: due donne che si incontrano, lo sfondo è quello di una casa, un ambiente di vita domestica quotidiana. Eppure c’è una bellezza affascinante, c’è l’atmosfera di mistero che fa presagire qualcosa di grande, di meraviglioso. Elisabetta e Maria: due donne incinte, protese verso il futuro del loro grembo, due donne che custodiscono dentro di sé un mistero ineffabile, un miracolo stupendo, una gioia incontenibile. Oltre alla parentela e all’amicizia sono legate l’una all’altra con un vincolo molto più profondo. La coscienza d’essere resa oggetto di particolare predilezione di Dio le unisce, la missione comune di collaborare con Dio per un progetto grandioso le entu-

 L’incontro tra Maria ed Elisabetta in una scena del film “Nativity” di Catherine Hardwicke.

Maria ed Elisabetta: due donne incinte, che portano in grembo un mistero ed una gioia ineffabili. 

siasma e le fa esplodere in canto di lode, l’esperienza della maternità prodigiosa le rende solidali. Le due donne si comunicano senza bisogno di molte parole. Al saluto di Maria, Elisabetta, piena di Spirito Santo, risponde con una benedizione: «Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo», una confessione di fede: «A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?» e una beatitudine: «Beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore». E Maria, a sua volta, rende lode a Dio con il suo canto del Magnificat. Fra queste due donne c’è una comunione profonda che va al di là delle parole e che trascende le azioni concrete.

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«Il tuo Dio sarà il mio Dio» (Rt 1,16): è la confessione di fede sincera ed essenziale di Rut, senza tanta argomentazione dottrinale. Dio, che vive nella relazione intra-trinitaria, ama rivelarsi nella comunione intra-personale. Egli ama farsi scoprire nell’amore vicendevole tra i suoi figli e le sue figlie.

Noemi e Rut Nell’Antico Testamento, c’è anche una scena, anzi, un libro, che illustra la bellezza dell’incontro tra due donne. È il libro di Rut, un gioiello della letteratura ebraica. La trama è semplice, quasi una cronaca familiare con il sapore della

Maria ed Elisabetta

Maria ed Elisabetta in una moderna scultura lignea. 

quotidianità. La narrazione è pervasa di tenerezza, di calore umano e di delicatezza femminile. In Noemi e Rut, nell’anziana vedova d’Israele e nella giovane nuora di Moab stanno di fronte due popoli, due culture, due generazioni. Eppure l’amore le unisce intimamente. «Dove è l’amore, lì c’è Dio». Dio è presente nella storia di questa famiglia segnata dal dolore: carestia, emigrazione, malattia, morte, povertà. Il volto di Dio si riflette in due donne piccole e impotenti. Dio si fa trovare nella purezza e nella profondità dell’amore umano. Dio passa, viene consegnata dall’una all’altra nell’intuizione femminile, nella semplicità domestica, nella testimonianza e solidarietà tra donne.

Anche ad Ain Karim Dio si rende presente nella solidarietà e nell’amicizia tra due donne, anzi, in forma più stupenda e più reale. L’incontro tra Maria ed Elisabetta avviene in realtà nella soglia tra l’Antico Testamento e il Nuovo, tra l’epoca in cui Dio parla attraverso i segni e prodigi, attraverso profeti e santi e il tempo in cui Egli si manifesta direttamente nel suo Figlio fattosi uomo. Nelle due madri si incontrano i due bambini dentro il loro grembo: Gesù e Giovanni Battista, che è il suo precursore, il suo testimone (Gv 1,7), la piccola luce ardente che orienta verso la vera luce del mondo (Gv 5,35). Giovanni danza nel grembo materno alla presenza di Gesù, come dirà egli stesso più tardi: l’amico dello sposo esulta di gioia alla voce dello sposo (Gv 3,29). Contemplando questa scena suggestiva e riascoltando le parole di benedizione, di lode, di ringraziamento, di stupore si è più consapevoli che la fede cristiana ha una dimensione estetica, non solo è vera, buona, ma è bella. E la bellezza della fede prorompe soprattutto nell’incontro fra le persone che si amano. Maria Ko Ha Fong kohafong.rivista@ausiliatrice.net N° 4 • LUGLIO-AGOSTO 2011

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Maria nei secoli

Gesù e Maria, vi dono il cuore e l’ a Il capolavoro di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori

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ondo, ora ti conosco. Addio tribunali”! A pronunziare queste parole è il principe del foro di Napoli, nell’anno 1723. Quest’avvocato è uno di quei santi destinati a lasciare una impronta duratura nella vita del popolo cristiano: basti pensare che ha composto testo e musica del canto natalizio più diffuso e caro agli Italiani: Tu scendi dalle stelle. Don Bosco ha imparato tanto da lui. Si tratta di Alfonso Maria de’ Liguori. Nacque da una delle famiglie più ricche ed influenti di Napoli, a soli sedici anni si laureò in utroque. Per otto anni vinse tutte le cause. Indignato per la corruzione e l’ingiustizia che viziavano l’ambiente forense, abbandonò la sua professione, e con essa la ricchezza e il successo che gli erano assicurati, per diventare sacerdote. Ordinato nel 1726, intraprese un’azione di catechesi tra le persone più umili.

La pietà alfonsiana è anche squisitamente mariana. Devotissimo di Maria, egli ne illustra il ruolo nella storia della salvezza: socia della Redenzione e Mediatrice di grazia, Madre, Avvocata e Regina. Benedetto XVI

La darsena di Napoli all’inizio del Settecento, in un dipinto di Gaspare Vanvitelli (16521736), conservato nel Museo di San Martino, a Napoli. 

Nei bassifondi di Napoli Nei quartieri più miseri di Napoli, nelle case private e nelle botteghe, alla sera, gruppi di persone si riunivano per pregare e per meditare la Parola di Dio, guidati da alcuni catechisti formati da Alfonso e da altri sacerdoti che visitavano regolarmente questi gruppi di fedeli: si tratta delle “cappelle serotine”. Alfonso, all’età di 35 anni, entrò in contatto con i contadini e i pastori delle regioni interne del Regno di Napoli. Colpito dalla loro ignoranza religiosa e dallo stato di abbandono in cui versavano, lasciò la capitale per dedicarsi a queste persone. Nel 1732 fondò la Congregazione religiosa del Santissimo Redentore. Stimato per la sua bontà e il suo zelo pastorale, nel 1762 Alfonso fu nominato Vescovo di Sant’Agata dei Goti. Morì nel 1787, fu canonizzato nel 1839, e nel 1871 venne dichiarato Dottore della Chiesa dal Papa amico di Don Bosco, il Beato Pio IX. Tutto per Maria Sant’Alfonso è stato un appassionato devoto della Madonna e fecondo scrittore. Uno dei suoi capolavori è “Le Glorie di Maria”, un libretto in cui commenta la preghiera mariana “Salve Regina” e raccomanda una serie di atti di devozione alla Madre di Dio: la recita del Rosario, le novene per ottenere le sue grazie, le manifestazioni di onore ed affetto alle immagini della Vergine. La teologia di questo libro, esposta in modo semplice e piacevole, ha ispirato la spiritualità mariana di tantissimi fedeli nel passato. La dottrina contenuta nelle “Glorie di Maria” è attinta ai grandi teologi che avevano preceduto sant’Alfonso e ruota

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’ anima mia

Sant’Alfonso Maria de’ Liguori in un dipinto successivo alla sua morte e, qui sotto, la cittadina di Sant’Agata dei Goti (Benevento), dove egli fu vescovo per tredici anni. 

tanto desidero di aiutare i peccatori, misero non ricorre e si danna”. Ne “Le glorie di Maria”, sant’Alfonso enuncia un altro principio fondamentale: quando si tessono le lodi di Maria non si è mai detto abbastanza. Anche ai suoi tempi vivevano credenti che, molto superficialmente, temevano che le manifestazioni di amore verso la Madonna fossero a volte esagerate. La sana teologia, quella dei santi e dei dottori della Chiesa, quale sant’Alfonso, invece, convalida la pietà popolare: «de Maria numquam satis!». “Le Glorie di Maria” contengono delle accorate invocazioni alla Madre di Dio. In una di esse si implora Maria di assistere i suoi fedeli nel momento decisivo, quello del trapasso dalla terra alla vita eterna. E sant’Alfonso ci assicura: con Lei accanto si va in Paradiso: “O Maria, dolce rifugio dei miseri peccatori, quando l’anima mia dovrà lasciare questo mondo, vieni allora a prendere l’anima mia a presentarla all’eterno Giudice. Regina mia, non mi abbandonare. Tu, dopo Gesù, devi essere il mio conforto in quel terribile momento. Gesù e Maria, vi dono il cuore e l’anima mia”. Roberto Spataro spataro.rivista@ausiliatrice.net

attorno un principio mariologico di grande importanza: la mediazione universale di Maria: ricorrere alla Madre di Dio ed esserle devoti assicura la salvezza eterna. Sulla bocca di Maria il nostro autore mette queste parole: “Io sono chiamata da tutti la madre della misericordia e veramente la misericordia di Dio verso gli uomini mi ha fatta così misericordiosa verso di loro; perciò sarà misero e misero per sempre nell’altra vita chi in questa, potendo ricorrere a me, che sono così pietosa con tutti e N° 4 • LUGLIO-AGOSTO 2011

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La Parola qui e ora

La perla preziosa per vivere i I

l regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra. Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. (Mt 13,44-48).

Il regno dei cieli significa scegliere. In tutte le brevi parabole che compongono questa pagina, l’elemento che torna continuamente è il richiamo alla scelta, al decidere di lasciare una cosa per acquisirne un’altra. La stessa cosa si può dire in altro modo: per crescere, per vivere, occorre riconoscere che cosa vale e che cosa no, e trovare in se stessi la forza per volere il meglio, dunque essere capaci di cambiare. Il Signore dedica particolare attenzione a questo punto: le piccole parabole di questa pagina fanno parte, infatti, delle frasi più spesso ripetute nella predicazione; costituiscono, cioè, il materiale usato con maggiore frequenza da chi, discepolo, e poi catechista, ha assunto il compito di annunciare il Vangelo. Si tratta di esempi semplici, immediatamente comprensibili, perché richiamano immagini ben conosciute da tutti: il tesoro nel campo, la perla preziosa, la rete piena di pesci. Se Gesù ricorre a questi esempi, e li sottolinea, è perché il decidersi per il bene è il primo passo fondamentale che ogni persona è chiamata a compiere, di fronte alla scelta del Regno. Senza la vo-

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 Da sempre, per la sua bellezza e rarità, la perla è considerata un bene prezioso. © silvae - Shutterstock

lontà del singolo individuo, senza la libertà che ciascuno di noi esercita, non c’è né scoperta né fede: quella chiamata che il Signore rivolge a tutti rimane un’opzione a perdere, se non è completata dalla risposta di ciascuno. Essere uomini significa rispondere, liberamente, a questa chiamata. A scegliere di “essere per se stessi” non si arriva da nessuna parte: si rimane al punto di partenza, e l’unica certezza che si conquista è di perdere comunque la vita, di non gustarne mai il senso perché non se ne è mai conosciuta la vera bel-


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e il meglio lezza. Eppure proprio lo “stare per se stessi” continua ad essere anche oggi la grande tentazione. Soggettivismo, individualismo, edonismo: sono i nomi che diamo alla tendenza dominante della cultura di massa. Ciascuno si sente “padrone di se stesso”, vive convinto di non aver bisogno di nulla; considera la morte un accidente inevitabile, prima del quale è doveroso togliersi ogni soddisfazione possibile. Il consumismo favorisce, è ovvio, questa cultura, perché allarga indefinitamente ogni mercato immaginabile. L’importante, per il consumismo, è giocare in questa strettoia mentale: sulla sensazione che ciascuno di noi ha dentro, di essere un individuo che fa parte della massa e il bisogno di sentirsi unico, irripetibile. Così si diventa irripetibili consumando tutti la stessa saponetta, sognando la stessa spiaggia, scattando foto inutili sul medesimo telefonino: quel che si compra, in realtà, è la sensazione di essere sempre noi, solo noi, al timone della nostra vita. Il Signore, invece, mette ogni uomo nella condizione di scegliere il meglio,

 Troppo spesso una persona è contenta o è considerata importante in base alla ricchezza posseduta e agli oggetti che può acquistare. © diego cervo - Photoxpress

© pressmaster - Photoxpress

per se stesso e per la propria vita. Il tesoro, la perla nel campo sono il punto di partenza di un cammino nuovo, che inizia propriamente quando si è capaci di lasciar perdere ciò che riguarda la semplice sopravvivenza perché si è scoperto qualcos’altro – qualcun altro – per cui vale la pena di vivere la vita. La cultura materialistica in cui siamo immersi impone qui un’altra tentazione, radicale e profonda. Ci viene detto che la vita val la pena di essere vissuta solo se si è ricchi, giovani, senza preoccupazioni. E, assolutamente, senza handicap, senza limitazioni di contesto. Dunque: figli quando li vogliamo noi, embrioni liberi, eutanasia quando non ci sono più le condizioni di esistenza che desideriamo per noi o per qualcun altro. Il Vangelo va oltre tutto questo, e sta a ricordare che il senso della vita non si trova nelle condizioni materiali esterne a noi stessi: anche il povero, anche il malato può trovare un senso, un motivo forte non per trascinarsi ma per tentare di essere felice: per tutti c’è una perla nel campo, un tesoro nascosto. Solo, di quale tesoro si tratti, non lo stabilisce l’ideologia materialista dominante. Marco Bonatti marco.bonatti@lavocedelpopolo.torino.it N° 4 • LUGLIO-AGOSTO 2011

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Amici di Dio

Cristo, il passaggio a San Bonaventura di Bagnoregio (1217-1274)

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iterbo 1271: il collegio dei cardinali, in conclave ormai da due anni, non riusciva ad eleggere il nuovo Papa. Opposte visioni e opposti fazioni, troppi personalismi e troppi arrivismi, e il popolo di Dio aspettava, invano. Che fare? Fu chiamato a parlare fra Bonaventura, ex professore di Teologia, ex superiore generale dei Francescani, uomo di grande saggezza ed umiltà. Ed il miracolo arrivò. Fu eletto Gregorio X. Fra Bonaventura rese grazie a Dio felice, salutò tutti e se ne tornò in convento. Ma poco tempo dopo gli fecero visita dei legati del Papa. Con grande meraviglia trovarono il grande Bonaventura non immerso in qualche tomo di teologia, ma a lavare le pentole del convento. Toccava a lui, quindi. Gli riferirono che il Papa gli faceva un grande onore (il galero cardinalizio) e lo richiamava a Roma con un prestigioso incarico: preparare il Concilio Ecumenico. Fra Bonaventura rispose loro ringraziando il Papa dell’onore ricevuto ma li pregò di appendere il galero da cardinale ad un albero vicino, perché do-

Cristo è... “Cristo è la via e la porta, Cristo è la scala e il veicolo. È il propiziatorio collocato sopra l’arca di Dio (Es 26,34). È il mistero nascosto da secoli (Ef 3,9). Chi si rivolge a questo propiziatorio con dedizione assoluta, e fissa lo sguardo sul Crocifisso Signore mediante la fede, la speranza e la carità, la devozione, l’ammirazione, l’esultanza, la stima, la lode e il giubilo del cuore, fa con lui la Pasqua, cioè il passaggio”. Da “Itinerario della mente a Dio”

Un predicatore e i suoi ascoltatori in una miniatura del Trecento. 

veva finire di lavare le stoviglie. Con grande meraviglia dei legati pontifici. Un episodio significativo. Fra Bonaventura ubbidì al Papa, tornò a Roma, preparò il Concilio che si svolse poi a Lione nel 1274, vi prese parte morendo poi durante il suo svolgimento il 15 luglio. Alcuni mesi prima, in viaggio per Lione, era morto Tommaso d’Aquino, domenicano, ex professore anche lui e suo grande amico. Cristo, “Cuore di fratello” Tutta la vita di Bonaventura si è svolta sotto il segno di San Francesco. Fu infatti per le preghiere di sua madre a questo santo che, ancora bambino, guarì da una gravissima malattia. E fu nel 1243, mentre studiava teologia a Parigi, che Giovanni da Fidenza (il suo nome da secolare) diventò francescano con il nome di fra Bonaventura. Indicativo il titolo della sua tesi: “Questioni sulla conoscenza di Cristo” che mostra il ruolo centrale della figura di Cristo, povero e crocifisso, via per arrivare a Dio: è Lui il vero passaggio a Dio, perché è Lui la nostra Pasqua di liberazione dalla schiavitù. Bonaventura sarà anche conquistato dall’amore di Cristo, simbolizzato dal suo Cuore fino a scrivere: “Cuore di fratello, Cuore di amico”. Tutti chiamati ad amare Dio Fu nel 1257 che Bonaventura diventò Maestro dell’Università di Parigi. La sua avventura accademica era iniziata con un futuro nella ricerca e formazione degli studenti. Ma il sogno non durò a lungo. Tanta era la sua fama e capacità che venne chiamato a dirigere l’ordine francescano. Era un incarico enorme quanto presti-

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Dio gioso: guidare 30 mila frati, che attraversavano un periodo difficile. Lasciò la sua impronta geniale nell’organizzazione dell’Ordine, anche scrivendo una biografia di Francesco, che diventò poi quella ufficiale. Bonaventura è vescovo e dottore della Chiesa (1588). Perché? Egli fu teologo e santo insieme, con un messaggio di vita e dottrina validi ancora oggi. Dal punto di vista teologico si colloca sulla scia di Sant’Agostino. Alla conoscenza di Dio, secondo lui, concorre maggiormente l’amore che la semplice conoscenza razionale, separata dall’amore. Un episodio. Un giorno fra Bonaventura era andato a visitare uno dei primi compagni di Francesco, frate Egidio, ex contadino, rimasto ancora rude e severo. Questi, preoccupato dell’indirizzo culturale

 Un affresco raffigurante il francescano san Bonaventura di Bagnoregio.

“O Gesù buono, è bella e gioconda cosa abitare nel tuo cuore. Esso è il ricco tesoro, la perla preziosa che abbiamo scoperto nel segreto del tuo corpo trafitto. Io l’ho trovato il tuo cuore. O Gesù benignissimo, o Cuore di re, Cuore di fratello, Cuore di amico”. Da “Itinerario della mente a Dio”

San Tommaso d’Aquino (a sinistra) e san Bonaventura da Bagnoregio (a destra, di profilo) con papa Innocenzo III: particolare della “Disputa del Santissimo Sacramento”, affresco di Raffaello nella Stanza della Segnatura, in Vaticano. 

che stava prendendo l’Ordine, quando vide fra Bonaventura gli chiese polemico: «Maestro, a voi Dio ha fatto grandi doni di intelligenza, ma noi d’ingegno grosso e senza studi, che non abbiamo alcuna scienza, come faremo a salvarci?». Bonaventura: «Se Dio dà all’uomo soltanto la grazia di poterlo amare, questo basta». Era la risposta che lui attendeva, ma volle approfondirla: «Può dunque un ignorante amare Dio come un dotto?». E Bonaventura: «Una vecchierella può amarlo anche di più di un Maestro di Teologia». Frate Egidio, lieto di trovare nella dottrina di Bonaventura lo spirito di San Francesco, corse in fondo all’orto, gridando, rivolto ad un’immaginaria persona: «Vecchierella, poverella, semplice e ignorante, ama il Signore e potrai diventare più grande di frate Bonaventura, Maestro di Teologia» (P. Bargellini). Per amare Dio ci vuole un continuo e spesso faticoso sforzo ascetico. Questo cammino Bonaventura lo ha descritto nella sua opera, “Itinerario della mente a Dio”. È in questa opera famosa (oltre che nella sua santità) che Bonaventura si mostra maestro di vita spirituale. Mario Scudu archivio.rivista@ausiliatrice.net N° 4 • LUGLIO-AGOSTO 2011

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MARIO SCUDU

ANCHE DIO HA I SUOI CAMPIONI 120 profili di Santi e Martiri Editrice Elledici, pagine 936, € 29,00 Questo ponderoso volume presenta il profilo storico-spirituale di 120 santi e martiri del Calendario Liturgico. Sono donne e uomini diversi, vissuti in secoli differenti, nei più vari contesti professionali e culturali, ma tutti accomunati dall’amore a Cristo, “bruciati” dal desiderio di imitarne gli esempi. Un volume utile nell’animazione liturgica, nella catechesi, nella scuola, nei ritiri spirituali. E un ottimo sussidio per la propria cultura religiosa e per la meditazione personale.

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Le ricette di Mamma Margherita

Frità d’ortije F

atta l’Italia, i Torinesi non digerirono facilmente il trasferimento della capitale dalla loro città a Firenze, nel 1865. La partenza del re e di tutto il suo seguito fu salutata con tafferugli e violente dimostrazioni di piazza. Poi, ad onta della nomea di bogianen, i bravi cittadini si diedero velocemente una mossa, buttandosi nelle frenetiche attività che in pochi decenni avrebbero trasformato radicalmente l’economia piemontese. La prima capitale d’Italia sarebbe diventata capitale industriale del giovane Regno: a Torino sarebbero nate, sul finire dell’Ottocento, le industrie dolciaria, vinicola e cinematografica. Per non parlare della Cirio, prima grande industria conserviera italiana, nata ai piedi delle Alpi. Anche “l’industria salesiana” camminava rapidamente al passo con i tempi. I primi laboratori di Valdocco (calzoleria, falegnameria, sartoria), istituiti quasi ad uso domestico per gli ospiti dell’Oratorio fra il 1869 e il 1886, si sarebbero trasformati in prestigiose scuole professionali, preparando bravi artigiani, ricercatissimi perché seri, disciplinati e professionalmente qualificati. La scuola di tipografia, istituita inizialmente per stampare le Letture Cattoliche, antenate del Bollettino Salesiano, stupì i visitatori dell’Esposizione generale Italiana, allestita a Torino nel 1884, con lo stand salesiano in cui si esponeva tutto il ciclo di produzione del libro. Nel 1899 nacque l’industria automobilistica, ottenendo tanto successo da svilupparsi rapidamente: basti pensare che nei primi decenni del Novecento a Torino c’erano una ventina di fabbriche di automobili, dalla Lancia alla Diatto alla Ceirano, dalle cui officine uscì Itala, la mitica automobile vincitrice del raid Pechino Parigi, nel 1907. Di quel prodigioso fiorire di industrie

 La frittata d’ortiche: da secoli, piatto semplice e gustoso. © Comugnero Silvana - Photoxpress

sopravvisse solo la Fiat, assorbendo le altre. L’industria cinematografica presto si spostò a Roma mentre la Cirio emigrò a Napoli, dove il clima più mite favoriva in quasi tutte le stagioni la coltivazione di ortaggi da conservare. Sulla collina torinese e nei prati dei dintorni, nella foga dei trasferimenti, gli industriali lasciarono tuttavia la ricchezza naturale delle mille erbe ed erbacce, utilizzabili, oggi come nell’Ottocento, per gustosi minestroni e frittate, come quella di ortiche. Vediamo come si prepara. Raccogliere (con i guanti, neh!) le punte più tenere delle ortiche: ne occorre un mazzo abbondante. Lavarle accuratamente, sbollentarle rapidamente in poca acqua e tritarle, con un mazzetto di erba cipollina e qualche foglia di menta. Sbattere quattro uova, aggiungere il sale, unirvi il trito di ortiche ed erbe aromatiche, due cucchiai di parmigiano grattugiato e cuocere la frittata. Tranquilli... non punge! Anna Maria Musso Freni redazione.rivista@ausiliatrice.net N° 4 • LUGLIO-AGOSTO 2011

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Il Papa ci parla

Il soldatino Joseph Rat z Nel libro “La mia vita”, una storia appena credibile

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Papi vanno in guerra? Sembra di no, loro sono per la pace. «Nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra», aveva dichiarato Pio XII. Invece Benedetto XVI in guerra c’è andato: a sedici anni. Adolf Hitler aveva bisogno anche dei ragazzini. Nell’estate 1943 la seconda guerra mondiale, scoppiata nel 1939, volge male per la Germania. Joseph Ratzinger è seminarista, ma il suo seminario a Traunstein in Baviera è diventato ospedale di guerra. Papà veglia su di lui: è gendarme di polizia, baffuto, di fede cristallina, e antinazista a proprio rischio. Il 26 luglio arriva una lettera timbrata con l’aquila nera nazista, che dice: «Lo studente Joseph Alois Ratzinger deve presentarsi il 2 agosto 1943 alle ore nove nel cortile davanti alla scuola. Da lì verrà poi trasportato insieme agli altri al posto di combattimento assegnatogli». L’ordine arriva anche a diversi suoi compagni, e li trasforma in ausiliari nella Wehrmacht, l’esercito tedesco. Sedicenne e arruolato

Eccoli a Monaco, assegnati alla Flak, la contraerea dotata di mitragliatrici e cannoni con radar. Devono proteggere l’impianto della BMW (Fabbrica bavarese motori) che produce motori d’aereo. Vivono in baracche, indossano l’uniforme, e tre volte la settimana frequentano alcune lezioni in un ginnasio cittadino. «Dovevamo essere ai nostri posti ogni volta che suonava l’allarme. La cosa non era per nulla piacevole, dato che c’erano attacchi notturni sempre più frequenti, e molte notti erano del tutto rovinate». In Monaco Joseph deve «constatare ogni volta nuove distruzioni e sperimentare come la città si riduce in macerie». Vede anche entrare nella fabbrica della

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La Frauenkirche, nota anche come Dom zu Unserer Lieben Frau (Cattedrale di Nostra Signora), è la cattedrale di Monaco di Baviera e sede dell’arcivescovo di Monaco e Frisinga. © sciamano - Flickr

BMW gli internati del vicino campo di sterminio di Dachau, prigionieri politici e dissidenti religiosi. A loro sono riservati i lavori più logoranti. A settembre 1944 è congedato dal “Servizio come studente” e torna in famiglia a Traunstein. Ma Hitler ha ancora bisogno di lui, e gli fa trovare sul tavolo di cucina un’altra chiamata: questa volta al “Servizio lavorativo del Reich”. Le trappole anticarro Joseph e i suoi coetanei sono mandati in Austria sul confine con l’Ungheria e la Cecoslovacchia e lavorano al “Vallo sudorientale” di difesa contro l’esercito russo che avanza da est. Costruiscono trincee e trappole anticarro. Vedono passare lunghe colonne di ebrei ungheresi, che le SS hanno rastrellato e spediscono ai campi di sterminio. «Quelle settimane di servizio sono rimaste nella mia memoria come un ricordo opprimente. I nostri su-


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t zinger

 Nel 1943, Joseph Ratzinger, pur seminarista, fu costretto ad indossare l’uniforme di ausiliare della Wehrmacht, l’esercito tedesco.

periori erano nazisti della prima ora. Persone fanaticamente ideologizzate, che ci tiranneggiavano con violenza». Una notte le reclute sono tirate giù dal letto e condotte sul piazzale. Un ufficiale le invita a aderire come volontari al corpo delle SS, le truppe fedeli a Hitler che si stanno macchiando dei delitti più efferati. Viene fatto l’appello nominativo, ognuno deve pronunciarsi. Joseph dichiara che è sua intenzione diventare sacerdote cattolico, e così vari altri seminaristi. «Venimmo coperti di scherni e di insulti. Ma queste umiliazioni ci erano molto gradite, dal momento che ci liberavano dalla minaccia di questo arruolamento falsamente volontario, e da tutte le sue conseguenze». Nel novembre 1944 Joseph e i suoi compagni si vedono restituire valigie e abiti civili, sono accompagnati al treno e rispediti a casa. Il treno passa vicino a Traunstein, però non si ferma, e Joseph salta giù dal vagone in corsa. La gioia di Joseph a casa dura poco:

 Joseph Ratzinger-papa Benedetto XVI fotografato a Torino il 2 maggio 2010, durante la sua visita per l’Ostensione della Sindone. Alla sua destra, il card. Severino Poletto, allora arcivescovo della città. © Paolo Siccardi - Sync

una nuova lettera gli porta la vera e propria chiamata alle armi. Il 16 aprile 1945 ha compiuto 18 anni, e lo ritengono maturo per fare il soldato. L’ufficiale si mostra estremamente comprensivo, e lo assegna alla caserma di fanteria del posto. Una provvidenziale infezione lo colpisce a una mano: non può sparare, e viene esentato dagli obblighi dell’addestramento militare. Ma può cantare, e canta bene, e con alcuni compagni è mandato per le strade della città a cantare inni di guerra, con lo scopo – si spiega loro – di “tenere alto il morale della popolazione”. Un’abbondante fasciatura al braccio Nell’aprile 1945 il Terzo Reich è giunto al capolinea. Mentre tutto precipita, Hitler dal bunker di Berlino ancora difende l’indifendibile. Ma tra i soldati chi può abbandona le caserme e alla spicciolata cerca la via di casa. Anche Joseph ci prova. Però Traunstein pullula di SS, che hanno l’ordine di giustiziare sul posto i disertori. Ne hanno già impiccati alcuni ai lampioni, perché penzolando siano di lugubre monito a tutti. Joseph ha un’abbondante fasciatura al braccio per proteggere l’infezione alla mano. Imbocca una stradina secondaria che conosce bene, ma s’imbatte in un posto di blocco delle SS. «Per fortuna – ricorda – erano di quelli che non ne potevano più della guerra, e non volevano trasformarsi in assassini». Esaminano il suo braccio fasciato, e gli dicono: «Camerata, sei ferito. Passa pure». Di nuovo a casa, per la gioia di mamma Maria e papà Joseph. Georg, il fratello maggiore anche lui in guerra, torna all’improvviso in una calda sera di luglio. Siede al piano e tutti insieme intonano un corale del ’700 che dice: «Grande Dio, noi ti lodiamo». La guerra è davvero finita, ha prodotto 50 milioni di morti, e Joseph si consola perché – ha scritto – «in tutto il servizio militare non ho mai dovuto sparare un colpo». Enzo Bianco bianco.rivista@ausiliatrice.net N° 4 • LUGLIO-AGOSTO 2011

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Vita della Chiesa

Dalla “Rerum novarum” alla “ C 120 anni di dottrina sociale della Chiesa

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« ’ardente brama di novità, che da gran tempo ha cominciato ad agitare i popoli, doveva naturalmente dall’ordine politico passare nell’ordine dell’economia sociale». Quando 120 anni fa, il 15 maggio 1891, papa Leone XIII promulga l’enciclica “Rerum novarum”, ha davanti agli occhi una società in tumultuoso cambiamento, che sfugge alla guida e al controllo della Chiesa. Gli operai sono l’immagine di un mondo che, uscito dalla società rurale, entra in un’epoca sconosciuta. A fine Ottocento, l’industrializzazione provoca una moltitudine di proletari, uomini, donne e bambini che, per sopravvivere, vendono se stessi e il loro lavoro a salari da fame, con umiliazioni e sfruttamento, povertà materiale e morale. Nella “Rerum novarum”, dopo il preambolo (la questione sociale incide sulla salvezza delle anime) la prima parte (§ 312) confuta il socialismo e lo considera «un falso rimedio» ai problemi sociali perché è ingiusto nella sostanza e nocivo

nelle conseguenze, perché disconosce la proprietà privata e perché imposta in modo sbagliato i rapporti tra Stato, famiglia e beni. La seconda parte analizza i tre soggetti che possono guarire «il male sociale»: la Chiesa insegna e agisce (13-24); lo Stato interviene per il bene comune (25-35); le associazioni professionali dei proprietari e dei lavoratori devono collaborare per una società migliore (36-44). Cambiare i cuori e le strutture  Il beato Giovanni XXIII, Angelo Giuseppe Roncalli, è stato papa dal 28 ottobre 1958 al 3 giugno 1963 ed è autore delle encicliche “Mater et magistra” e “Pacem in terris”.

 L’enciclica “Rerum novarum” è stata scritta da Leone XIII, Gioacchino Pecci, papa dal 20 febbraio 1878 al 20 luglio 1903.

 La lettera apostolica “Octogesima adveniens” è stata scritta da Paolo VI, Giovanni Battista Montini, papa dal 21 giugno 1963 al 6 agosto 1978.

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La “Rerum novarum” è il primo e fondamentale documento sulla questione sociale. I papi successivi intervengono per ampliare, aggiornare e contestualizzare questi temi. Il 15 maggio


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“ Centesimus annus” 1931, Pio XI pubblica la “Quadragesimo anno” con l’obiettivo di «instaurare l’ordine sociale cristiano». Il 1º giugno 1941, in piena guerra, Pio XII interviene con il radiomessaggio di Pentecoste, nel quale sottolinea «tre valori fondamentali della vita sociale ed economica che si intrecciano, si saldano, si aiutano a vicenda: l’uso dei beni materiali, il lavoro, la famiglia». Cinquant’anni fa, il 15 maggio 1961, il Beato Giovanni XXIII pubblica la “Mater et magistra”, dove affronta «gli sviluppi della questione sociale alla luce della dottrina cristiana». L’11 aprile 1963 firma la “Pacem in terris”, il suo testamento: «La pace fra tutte le genti fondata sulla verità, la giustizia, l’amore, la libertà». Il 14 maggio 1971, Paolo VI promulga la “Octogesima adveniens” nella quale auspica «il cambiamento dei cuori e delle strutture per una più grande giustizia» e invita i cristiani all’azione in un «pluralismo di opzioni», e il 26 marzo 1967 la “Populorum progressio” sui «popoli che lottano per liberarsi dal giogo della fame, della miseria, delle malattie, dell’ignoranza».

 Il pontificato del beato Giovanni Paolo II, Karol Wojtyla, è il terzo più lungo della storia: dal 16 ottobre 1978 al 2 aprile 2005.

guato e realistico i problemi, ma non basta a risolverli. C’è anzi il rischio che si diffonda l’ideologia capitalistica. Nei Paesi occidentali c’è la povertà dei gruppi emarginati, degli anziani e malati, delle vittime del consumismo, dei profughi e migranti; nei Paesi in via di sviluppo si profilano crisi drammatiche, se non si prenderanno in tempo misure internazionalmente coordinate». Pier Giuseppe Accornero redazione.rivista@ausiliatrice.net

Prioritaria la dignità dell’uomo Il mondo è a una svolta e la civiltà industriale va profondamente trasformandosi quando il beato Giovanni Paolo II, dopo la “Redemptor hominis” (1979) e la “Dives in misericordia” (1980), pubblica il 14 settembre 1981 la “Laborem exercens”, nella quale afferma che l’uomo è il metro della dignità del lavoro, il capitale e il mercato sono subordinati alla dignità della persona. Al 1º maggio 1991 risale la “Centesimus annus”, la prima dell’era post-comunista, nella quale ribadisce che l’economia è al servizio dell’uomo, e non viceversa. «Il crollo del comunismo elimina un ostacolo nell’affrontare in modo ade-

PIER GIUSEPPE ACCORNERO

PAPA WOJTYLA UN GRANDE SANTO Editrice Il Punto, Piemonte in bancarella, pagine 224, € 6.00 Questo libro è un omaggio a Karol Wojtyla, un grande Santo che ha guidato la Chiesa nel passaggio tra il secondo e il terzo millennio. Un piccolo omaggio per l’affetto, la predilezione, la santa passione che ha avuto per Torino, per il Piemonte e la Valle d’Aosta.

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Sull’esempio di Don Bosco

Oratorio sprint L

’Istituzione fondata da Don Bosco nel 1846 non conosce crisi, anzi le richieste sono in crescita. Segno che l’intuizione del santo torinese era vincente. L’oratorio è in crisi? Tutt’altro. Può sembrare strano, ma in pieno 2011, nonostante le molte attrattive e distrazioni dei tempi moderni, ce n’è ancora una gran voglia. Prendiamo ad esempio il primo oratorio fondato da Don Bosco, nel 1846: Valdocco. Per dare un’idea delle sue dimensioni, basti pensare al fenomeno dell’Estate Ragazzi: 12 settimane, da metà giugno a metà settembre, tutti i giorni dalle 8 alle 18,30, con attività, gite, giochi, sempre insieme. Ancora: 15 laboratori per le elementari, altri 15 per le medie e 3 per le superiori: hip hop, sbandieratori e percussioni. Il tutto culminerà nello spettacolo di venerdì 22 luglio alle 20,30, per la festa dell’Estate Ragazzi e dell’Estate Giovani. Per chi ama i numeri, l’iniziativa coinvolge più di 1200 persone. Ma anche d’inverno l’affluenza non scema e se i fedelissimi sono almeno 300 ragazzi, si raddoppia con catechismo e sport (volley, basket, calcio). Parola d’ordine accoglienza Uno dei punti forti di Valdocco è l’accoglienza. Non è mai successo che qualcuno chiedesse la carta d’identità a chi entra in cortile. Spiega il direttore don Gianni Moriondo: «Ai tempi di Don Bosco arrivavano dalla Valle d’Aosta, dalle valli di Lanzo. Poi dalle altre regioni d’Italia. Negli ultimi anni abbiamo assistito all’arrivo di moltissimi magrebini, rumeni, cinesi. I ragazzi

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 Grande festa di ragazzi e giovani a Valdocco, il primo oratorio fondato da don Bosco.

sono sempre uguali: chiedono solo di poter giocare». Mauro segue progetti specifici di accoglienza e i giovani delle superiori: «L’ora-


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torio ci abitua a sviluppare le nostre potenzialità e a capire chi siamo – dice –. Si sta bene perché è un luogo protetto, un ambiente solido, ed è gratuito. Tutti concetti che i ragazzi (e le famiglie) apprezzano molto. Così, negli ultimi anni, è cresciuto il numero di quanti, dopo essere stati animati, chiedono di diventare aiuto-animatori». Cosa c’è di diverso rispetto a qualche anno fa, quando si diceva che l’oratorio era in crisi? «Ultimamente stiamo assistendo a un’integrazione incredibile tra i ragazzi di varie etnie, che si sentono coinvolti nelle attività in prima persona. Le interferenze positive tra i ragazzi hanno allontanato la moda dei “club esclusivi”». La sorpresa è che ci sono almeno 150 genitori coinvolti nelle varie attività come allenatori, animatori e supporter. Del resto, trovare giovani volontari è più difficile di vent’anni fa: tra studio e lavoro precario è difficile programmare la propria giornata. Per questi giovani diventa impegnativo dedicarsi ad altro. Per contro, è aumentato il volontariato di papà e mamme, disposti a prendersi qualche giorno di ferie per aiutare i figli. Per tutti è importante la formazione. «Si tratta di una questione di

 Accoglienza e allegria sono tra i punti forti degli oratori salesiani.

 Alcuni ragazzi e giovani nell’oratorio di Valdocco, con il Rettor Maggiore don Pascual Chávez.

stile. L’oratorio è prima di tutto una comunità educativa», dice Mauro. L’oratorio va dai ragazzi E quando i giovani non possono recarsi in oratorio, è l’oratorio ad andare da loro, con due progetti: primo, “Provaci ancora Sam”, rivolto alla prevenzione del disagio e dell’isolamento. Secondo, i laboratori – musica, danza, canto, teatro – realizzati durate l’anno con le scuole medie della zona, che a fine corsi producono uno spettacolo al teatro Piccolo Valdocco con il coordinamento dell’educatore Oscar. Avere a che fare con i ragazzi non è sempre facile. Il “grosso” è riuscire a meritare la loro fiducia. «Oggi è più dura d’un tempo – riprende Mauro –, bisogna lottare contro la diffidenza. Però, dopo un po’ di tempo trascorso insieme, si aprono, condividendo dubbi e problemi. Insieme, parliamo molto di ciò che ci succede attorno». Qual è la domanda che ti pongono più spesso? «Mi chiedono: perché dopo l’università sei ancora qui?», risponde Mauro e, dopo una breve riflessione, «Ho studiato architettura, ma ho un sogno: fare qualcosa per gli altri. In questo modo, tento di realizzarlo». Luca Mazzardis redazione.rivista@ausiliatrice.net N° 4 • LUGLIO-AGOSTO 2011

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Mari e fiumi nella Bibbia

Il Giordano e i suoi affluenti Testimone del battesimo di Gesù

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l Giordano è notissimo perché nelle sue acque Gesù è stato battezzato da Giovanni (Mc 1,9). Questo fiume – chiamato Yarden in ebraico e al-Urdunn in arabo – è lungo 320 km e non è navigabile. È il maggiore della regione: nasce dal monte Hermon (2700 m d’altezza; al confine tra Libano e Siria), forma il lago di Galilea (o di Tiberiade), segna l’odierno confine tra Israele, Giordania e Palestina, e sfocia nel mar Morto (408 metri sotto il livello del mare). Nella Bibbia il Giordano è citato 207 volte e la sua acqua è considerata purificatrice. Il profeta Eliseo, per esempio, invita Nàaman l’Arameo a bagnarsi sette volte per guarire dalla lebbra (2Re 5,1014). Dopo la fuga dall’Egitto, il popolo eletto lo attraversa per entrare nella terra promessa, e il passaggio avviene con una complessa liturgia (Giosuè 3-4). E con il battesimo di Gesù, diventa il fiume della redenzione.

Nel libro della Genesi si legge che “Dio disse: «Le acque che sono sotto il cielo, si raccolgano in un solo luogo e appaia l’asciutto». E così avvenne. Dio chiamò l’asciutto terra e la massa delle acque mare. E Dio vide che era cosa buona” (1,9-10). Prendendo spunto da questi versetti, ecco una nuova rubrica dedicata ai mari e ai fiumi citati nella Bibbia.

 L’immagine ricorda la Creazione: “Dio chiamò l’asciutto terra e la massa delle acque mare”.

Su un affluente la lotta di Giacobbe Tra i molti affluenti del Giordano, i tre maggiori settentrionali sono il Dan, l’Hasbani, che nasce in Libano ed è il più lungo, e il Banias, che nasce nel territorio si-

 Molti pellegrini rivivono il loro battesimo, immergendosi nelle acque del Giordano.

 Il Banias è un’affluente settentrionale del Giordano.

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riano occupato da Israele nel 1967. A sud, dalla Giordania, affluiscono lo Yarmuk e lo Iabbok. Quest’ultimo ha particolare importanza nella Bibbia: è stato il confine settentrionale delle conquiste di Mosè: «Conquistò il suo paese [di Sicon, re degli Amorrei] fino allo Iabbok, estendendosi fino alla regione degli Ammoniti» (Nm 21,24). La vittoria, e quindi l’affluente, è ricordato altre volte (Dt 2,37 e 3,16; Gs 12,2; Gdc 11,13.22). L’episodio più noto legato allo Iabbok, invece, è quello che vede protagonista Giacobbe: lo fa guadare dalle due mogli, dalle schiave, dagli undici figli, persino dai suoi beni, e dopo, «rimase solo e un uomo lottò con lui fino allo spuntare dell’aurora» (Gen 32,23-25). Nell’uomo misterioso, Giacobbe identifica Dio, che non dichiara il suo nome. Anche per questo, nella tradizione ebraica attraversare lo Iabbok significa entrare in terra d’Israele. Lorenzo Bortolin bortolin.rivista@ausiliatrice.net


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Il poster

Se guardo il cielo... Il significato del Timore di Dio è rendersi conto che la vita si svolge sotto orizzonti vasti, che si estendono oltre il breve lasso di tempo di una vita individuale o perfino della vita di una nazione, di una generazione o di un’epoca. Il Timore ci permette di percepire nel mondo le allusioni al divino, di sentire nelle piccole cose il principio di un significato infinito, di sentire ciò che è essenziale in ciò che è comune e semplice; di avvertire nel fluire del transitorio il silenzio dell’eternità. Abraham J. Heschel

“Ogni creatura è parola di Dio, poiché proclama Dio”. San Bonaventura

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vete mai provato a contemplare, in silenzio e lontano dalla città, il cielo di metà agosto? Non siete stati dolcemente “assaliti” dalla grandiosità dell’universo, dai miliardi di stelle, da un senso di timore e di estasi davanti allo spettacolo? E nello stesso tempo dal senso della vostra piccolezza e grandezza insieme? Sono gli stessi sentimenti dell’autore del Salmo 19 «I cieli narrano la gloria di Dio e l’opera delle sue mani annuncia il firmamento» e del Salmo 8 «Se guardo il cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissato, che cosa è l’uomo?». Lo stesso spettacolo che ha folgorato due filosofi: Pascal «Il silenzio eterno degli spazi infiniti mi sgomenta» (Pensiero 206) e Kant: «Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione: il cielo stellato sopra di me e la legge morale in me». L’estate con le vacanze ed un ritmo di vita più “umano” è una buona occasione per questo esercizio di contemplazione del creato. Qualche volta percepiamo la dolorosa constatazione del “silenzio di Dio”. Ma Dio, che ci ama, non può non essere sempre pronto al dialogo con noi anche attraverso il creato. C’era una volta un principe che viveva lontano da suo padre, di cui aveva una grandissima nostalgia. Una volta ricevette una sua lettera, ne fu felicissimo e la custodì gelosamente. Tuttavia la gioia procurata dalla lettera accrescevano sempre più il suo desiderio. Egli soleva

sedersi e sospirare: «Oh, se solo potessi toccare la sua mano! Se egli stendesse il suo braccio fino a me, come lo abbraccerei. Bacerei ogni dito, tanto grande è il desiderio che ho di mio padre, il mio maestro, la mia luce. Padre misericordioso, come bramerei toccarti almeno il dito mignolo!». E mentre si lamentava gli balenò in mente un pensiero: «Non ho forse la lettera di mio padre, scritta di suo pugno?». E una grande gioia proruppe in lui (A. J. Heschel). Durante questa estate apriamo e proviamo a leggere questa “Lettera di Dio”. Facciamo questo esercizio di contemplazione del creato. Rimarremo sorpresi. Certo non è la cultura moderna che ci incoraggia a fare questo. Tutt’altro. Ormai siamo educati dai mass media a vedere tutto con occhi disincantati e con occhi funzionali. Il creato – si dice – non è un luogo della contemplazione ma dell’azione, dell’organizzazione. Tutto deve avere l’impronta dell’Homo faber, perché è lui, solo lui, il fine e la “misura di tutte le cose” (Protagora). Benedetto XVI ci ricorda che il creato, «non è frutto di un caso irrazionale, ma è voluto da Dio, è dentro il suo disegno. Il creato nasce dal Logos e porta in modo indelebile la traccia della Ragione creatrice che ordina e guida», (Verbum Domini, 2010, n. 8). Il credente guarda il tutto con occhi diversi, non solamente funzionali o strumentali ma anche estetici, ne osserva la bellezza. Ma c’è di più. Nel silenzio e nella preghiera vede le cose, anche il più umile fiore che nel suo piccolo dà gloria a Dio, con occhi estatici, cioè immersi nella contemplazione, nel timore di Dio, nel ricordo del suo amore e della sua “tenerezza che abbraccia tutte le cose”. Mario Scudu archivio.rivista@ausiliatrice.net

© Thomas Perkins - Photoxpress

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RIVISTA MARIA AUSILIATRICE - N. 4 - 2011

(Sal 8)

Hai dato all’uomo il potere sulle opere da Te create

© olly - Photoxpress

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Salmo 8 O Signore nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra. Se guardo il cielo, opera delle Tue dita, la luna e le stelle, che Tu hai fissato, che cos’è l’uomo perché Tu te ne ricordi? Il figlio dell’uomo perché te ne curi? Eppure Tu l’hai fatto meno di un dio, di gloria e di onore l’hai coronato. O Signore nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra. © Paul Retherford - Photoxpress

Dovunque Tu! Dovunque io vada, Tu! Dovunque io mi fermi, Tu! Solo Tu, sempre Tu, ancora Tu! Se mi va bene, Tu! Se sono in pena, Tu!... Cielo, Tu, terra, Tu! Sopra Tu, sotto Tu, dovunque mi giro, dovunque miro, solo Tu, sempre Tu, ancora Tu! Rabbino Berdicev da Racconti dei Chassidim

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hi non si lascia illuminare dallo splendore delle cose create è cieco, chi non si lascia destare dai loro canti è sordo, chi non loda Dio per tutto il creato è muto, chi non riconosce la prima origine con tutte queste testimonianze è stolto. pri quindi gli occhi, tendi l’orecchio dell’anima, sciogli le labbra, prepara il tuo cuore perché tu possa vedere, lodare, adorare ed esaltare il tuo Dio in tutte le creature.

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San Bonaventura

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Le monete ai tempi di Gesù

Il siclo d’argento destinati ai sacrifici, l’ebreo poteva usare soltanto monete ebraiche. Facile immaginare la complessità del lavoro (e gli affari) dei cambiavalute attivi sulla spianata del Tempio, ai quali una volta Gesù rovesciò i tavoli (Mt 21,12).

Con riferimento a varie letture delle Messe domenicali, alcuni lettori ci hanno suggerito di esaminare qualche aspetto della vita quotidiana in Palestina al tempo di Gesù. Abbiamo scelto come primo argomento le monete dell’epoca.

Un siclo d’argento per quattro giorni di lavoro Sui “pezzi” ebraici nessuna figura umana Un aspetto comune a tutte le monete dell’epoca riguarda il rapporto tra il singolo “pezzo” e il suo peso. Infatti, secoli prima che fossero coniate monete come le intendiamo oggi, cioè con un simbolo o con l’effigie del re, per pagare un bene si pesava un certo quantitativo di metallo prezioso (oro, argento o rame). Abramo, ad esempio, per acquistare il campo e la caverna dove seppellire Sara, «pesò ad Efron il prezzo» di quattrocento sicli d’argento (Gen 23,14-16). In quel modo si evitavano sia i falsi, sia la limatura del bordo. I Vangeli testimoniano la grande varietà di monete circolanti in Palestina ai tempi di Gesù. Ebraiche, ovviamente, dove era proibita qualsiasi figura umana ed animale, e quindi con simboli come la palma, il cedro, il grappolo d’uva o insegne religiose. E poi, romane, erodiane, greche, fenicie e altre ancora. Ognuna, ovviamente, faceva riferimento a una certa quantità di metallo prezioso. Particolare importante: per l’obolo al Tempio o per pagare gli animali

 Tra le monete circolanti in Palestina, c’erano quelle del re asmoneo Alessandro Ianneo (sopra) e di Agrippa I, con l’effigie del padre Aristobulo. 

Tanto per restare al siclo, la parola deriva da shekel, che in ebraico e in assiro indica sia “pesare”, sia “contare”. Il siclo ebraico d’argento, unità di base, era pari allo statere e il suo peso è variato secondo il tempo e il luogo, da 10 grammi (il cosiddetto “siclo del tempio”) a 11,5 (siclo comune) a 13 grammi (siclo reale). Si divideva in quattro denari d’argento o dracme (oppure in due didracme), che a loro volta si suddividevano in 16 assi, oppure 64 quadranti, o 128 leptes. Venti sicli erano pari a una mina. Facendo riferimento alla parabola dei vignaioli dell’undicesima ora (Mt 20,9), un siclo corrispondeva a quattro giorni di lavoro di un operaio. Probabilmente le «trenta monete d’argento» date a Giuda (Mt 27,3) erano sicli di Tiro, città fenicia che li coniò per quasi due secoli, dal 126 d.C. circa ad almeno il 55 d.C. Il loro diametro era di 30 millimetri e il peso di poco superiore ai 14 grammi. La provenienza fenicia spiegherebbe sia parte della risposta dei sommi sacerdoti a Giuda («Non è lecito metterlo nel tesoro del Tempio»; Mt 27,6), sia l’acquisto di un campo adatto alla «sepoltura degli stranieri» (Mt 27,9), pagato al più comprensibile controvalore di circa 420 grammi d’argento che non a quello di 110 grammi (pari a 30 denari). Lorenzo Bortolin bortolin.rivista@ausiliatrice.net N° 4 • LUGLIO-AGOSTO 2011

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All’ombra del Santuario

L’intelligenza delle mani v Il 70% dei ragazzi trova lavoro

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volte a mancare non è il lavoro. Ma i lavoratori disposti a farlo. Lo dimostra la storia di Federico, giovane allievo salesiano. Il padre desiderava per lui un futuro dietro una scrivania, un posto fisso, tranquillo e sicuro. Ma Federico proprio non voleva saperne di studiare. E dopo un percorso di orientamento e di formazione professionale ha capito di possedere una dote diversa: l’”intelligenza delle mani”. Oggi Federico lavora all’Orto botanico ed è soddisfatto di ciò che fa, delle piante che aiuta a crescere. «Spesso le famiglie si aspettano per i loro figli un percorso di studi, liceo e università, che non sempre coincide con le capacità e le aspirazioni dei ragazzi», spiega Maurizio Giraudo, direttore della Formazione professionale salesiana del Piemonte. «Non si prende in considerazione che esiste anche un’“intelligenza delle mani”. E che c’è una richiesta da parte delle aziende di figure professionali, per esempio nel settore della meccanica, che resta insoddisfatta a causa della carenza di offerta di lavoratori specializzati».

Un momento del “Concorso nazionale dei settori professionali 2011” che ha visto riuniti a Valdocco oltre 200 giovani da tutta l’Italia. © Archivio CNOS-FAP 

Inaugurazione del “Concorso 2011”, presenti il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi (in piedi) e, alla sua destra, don Stefano Martoglio, Ispettore dei Salesiani del Piemonte, Valle d’Aosta e Lituania. © Archivio CNOS-FAP 

Aula di informatica in un centro di Formazione professionale salesiana. © Archivio CNOS-FAP

Antidoto alla crisi La testimonianza di Federico, e di molti altri giovani come lui, arriva da Valdocco e dalle sedi salesiane torinesi (Rebaudengo, San Benigno e Colle Don Bosco), dove oltre 200 ragazzi da tutta Italia si sono riuniti a metà maggio per i «Concorsi nazionali dei settori professionali». Tra gli allievi anche ragazze uscite dalla tratta, giovanissimi approdati in Italia con alle spalle esperienze difficili e adolescenti italiani che la scuola non è riuscita a coinvolgere. L’iniziativa consente agli allievi di misurarsi con prove tecniche elaborate d’intesa con le aziende e di mettere in mostra i capolavori realizzati nelle scuole della formazione professionale salesiana. Quest’anno i Concorsi sono stati riuniti per la prima volta tutti insieme a Torino in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia, che coincidono con la prima tipografia aperta da Don Bosco a Valdocco. I dati dimostrano come la formazione professionale sia un antidoto alla crisi. «Nonostante la recessione, il 70% dei ragazzi che concludono la formazione nelle nostre scuole trovano lavoro nell’arco di un anno», precisa don Mario Tonini, presidente nazionale della Formazione salesiana CNOS-FAP (Centro nazionale Opere salesiane, Formazione aggiornamento professionale). «Percentuale che saliva all’89% quando ancora non si sentivano gli effetti della crisi». Gioco di squadra Insomma, la formazione professionale può essere considerata «un ascensore sociale, un gioco di squadra che lavora in stretta sinergia con il territorio e le imprese», aggiunge il presidente del C NOS-FAP.

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vale quanto una laurea

In Italia tra 2010 e 2011 gli allievi salesiani sono stati 22.954, divisi tra 1645 corsi. La formazione riguarda principalmente i settori meccanico, elettronico, impiantistico, dei serramenti, grafica, ristorazione, servizi alla persona e all’impresa, carrozzeria. «I nostri corsi di formazione – prosegue don Tonini – generano occupati perché le attività didattiche sono affiancate dall’orienta-

mento professionale e perché può contare su una stretta collaborazione con le aziende dei vari settori». Accordi di collaborazione sono stati siglati con F IAT, SCHNEIDER, DGM. Gabriele Guccione redazione.rivista@ausiliatrice.net

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Esperienze

Un’estate a Chisi n Vacanze da volontari: Manuel racconta la sua esperienza in Moldavia

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n anno vissuto d’un fiato tra studio, lavoro e impegni famigliari. Scadenze che si accavallano di giorno in giorno e trasformano le settimane e i mesi in un ottovolante impazzito da cui pare impossibile scendere. Poi, come un miraggio lontano, le vacanze. Una manciata di giorni liberi da impegni per riappropriarsi del tempo, far riposare il corpo e ritemprare lo spirito. Per alcuni motivo di code infinite in autostrada per raggiungere spiagge o alpeggi più o meno esclusivi e trascorrere ore sotto il sole o all’ombra dei boschi. Per altri occasione per stare accanto a chi è più debole e vive ai margini. Manuel Mellace, trentun anni, una laurea in Scienze dell’Educazione e un lavoro di educatore professionale a Vercelli, ha scelto di vivere le proprie vacanze vicino a chi è meno fortunato. E ci ha preso gusto. È stato in un centro di prima accoglienza per immigrati in Puglia, in Brasile, in Transnistria (Stato indipendente a nord della Moldavia non riconosciuto a livello internazionale, ndr), in Moldavia... E in Moldavia, al Centro Don Bosco di Chisinau, ha lasciato il cuore. Al punto di decidere di trasferirsi là per un anno intero. Com’è nata l’idea di trascorrere un anno della tua vita con i salesiani in Moldavia? «Con naturalezza. Dopo alcuni soggiorni estivi di volontariato, in Italia e all’estero, ho desiderato immergermi in un’esperienza più profonda e prolungata nel tempo per vivere con maggior consapevolezza una vocazione laicale di stampo missionario». Come sei venuto a conoscenza dell’iniziativa? «Frequentando uno dei corsi annuali proposti dai salesiani a chi desidera av-

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vicinarsi al mondo missionario. Un’occasione che mi ha permesso di approfondire temi importanti quali gli squilibri tra il nord e il sud del mondo, i problemi e le opportunità dell’immigrazione, le potenzialità del commercio equo e solidale».

Manuel Mellace, 31 anni, laurea in Scienze dell’Educazione, ha scelto di trascorrere un anno in Moldavia, accanto ai ragazzi del Centro Don Bosco di Chisinau.

Come è stato l’impatto con la realtà di Chisinau? «Inizialmente duro. Anche se ero pronto e determinato a partire, quando mi sono allontanato da casa e dagli affetti familiari la nostalgia e la solitudine hanno preso talora il sopravvento. E poi ho dovuto affrontare le difficoltà della lingua, dal momento che in Moldavia si parla russo o rumeno. Mi sono sentito straniero in terra straniera e ho vissuto sulla mia pelle che cosa significhi trovarsi in un Paese che non è il proprio».


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i nau

Come si svolgevano, concretamente, le tue giornate? «All’interno dell’oratorio, giocando con i ragazzi e accompagnandoli nella loro crescita quotidiana. In Moldavia i giovani sono tragicamente soli: la maggior parte di loro vive lontano dai genitori, che lavorano all’estero, e ha un’idea del tutto teorica di che cosa significhi vivere con una mamma e con un papà. L’oratorio offre loro un momento di serenità, la possibilità di vivere i propri anni lasciando fuori dal cancello, anche solo per qualche ora, ansie e problemi». Che cosa ti ha lasciato questa esperienza? «Più coraggio, determinazione e slancio verso il prossimo. Occhi nuovi e sempre aperti per scrutare le povertà che incontro quotidianamente anche nella mia città. Ringrazio Dio per avermi regalato l’opportunità di incontrare persone che ogni giorno lavorano con i poveri». Come si esprime, nella vita di tutti i giorni, il tuo impegno per gli ultimi? «Prima di partire per la missione ho ricevuto una croce e un mandato che rimangono indelebili nella mia vita. Il mio essere missionario è un continuo stare accanto ai più poveri, dai ragazzi che incontro nel lavoro di educatore a chi seguo, come volontario Caritas, in parrocchia. Cerco, nel mio piccolo, di dar voce e sostegno a chi fa più fatica». Carlo Tagliani redazione.rivista@ausiliatrice.net N° 4 • LUGLIO-AGOSTO 2011

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Wellness educativa

Giovani ed emozioni. Un convegno promosso dal Centro di orientamento pastorale

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ducare i giovani valorizzando le loro emozioni, per accompagnarli a scoprire la vita buona del Vangelo. È la sfida lanciata dal seminario nazionale “Dalle emozioni alla fede”, organizzato dal Centro di orientamento pastorale (COP) a Villa Lascaris di Pianezza (Torino), dal 4 al 6 aprile scorso. Al centro della riflessione, la fede e il complesso mondo dei giovani, con le loro emozioni. Ma anche le difficoltà degli adulti, che stentano a trovare linguaggi nuovi, capaci di attrarre e rendere protagoniste le giovani generazioni. «Gli educatori faticano ad assumere dentro un’esperienza di fede il mondo delle emozioni – ha spiegato il vescovo di Palestrina e presidente del COP, mons. Domenico Sigalini – Lavorare sulle emozioni per educare i giovani alla fede non è impossibile», bisogna però «integrarle in una vita bella e felice, nella vita buona del Vangelo». Mons. Sigalini ha ammesso che «i giovani sono spesso lasciati soli: le nostre comunità concentrano gran parte del loro sforzo educativo nell’età precedente». Perciò «diventa urgente un

accompagnamento educativo che offra agli adolescenti, ai giovani e ai ragazzi la capacità di organizzare le emozioni, anche attraverso la musica, il teatro, il web». L’influenza dei mass media

Mons. Domenico Sigalini, vescovo di Palestrina (Roma) e presidente del Centro di orientamento pastorale (COP). © FotoSfogo

 © Foto Shutterstock © Lisa Turay - Photoxpress

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Oggi i giovani sono influenzati da emozioni indotte dal «sistema dei massmedia multipiattaforma» (radio, Tv, web, social network). Un sistema, secondo il direttore di Hope, Marco Brusati, con cui «bisogna fare inevitabilmente i conti», che ha «aperto la strada a una nuova


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. Cosa c’entra la fede? forma di totalitarismo mediale, dove il diktat sulla liceità o meno di alcune emozioni porta all’incompetenza emotiva». Si apre insomma un nuovo spazio di missione: «l’evangelizzazione delle emozioni». Una nuova sfida «che dev’essere una delle priorità educative – ha fatto notare don Carlo Nanni, rettore dell’Università pontificia salesiana – per cui bisogna ricercare dei ‘punti di accesso al bene’, come diceva Don Bosco, per dare vita al desiderio di vita e di felicità». L’invito è ad aprirsi di più verso i giovani. Gli adulti fanno fatica a relazionarsi

Marco Brusati, direttore di Hope Music School. © Flickr

con i giovani e le loro emozioni. «La crisi dell’educazione – ha osservato l’arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia – sta nel mondo adulto, privo spesso di testimonianza coerente». È urgente «una conversione di mentalità degli educatori», che aiuti i giovani a trovare «interlocutori disponibili a camminare con loro, non con spirito paternalistico, ma amicale e sereno». «Il primo passo – ha suggerito mons. Nosiglia – tocca alla Chiesa, che deve uscire dal tempio per vivere in mezzo ai giovani». L’esempio di Giovanni Paolo II L’esempio arriva da Giovanni Paolo II. «Egli fu un vero educatore di questi nostri tempi – ha ricordato mons. Sigalini – che i giovani hanno capito, seguito e amato perché non ha mai usato il termine “dovete”, ma sempre il termine “potete” o “siete”. Non li blandiva, ma li orientava sempre a mete alte, difficili. Sapeva che i giovani temono più la mediocrità che il sacrificio». I “nuovi educatori” devono essere prima di tutto credibili. Testimoni capaci di «unire cielo e terra», come ha sottolineato don Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele e presidente di Libera. Don Ciotti ha citato l’esempio dei cristiani caduti nella lotta per la legalità: don Puglisi, don Peppe Diana, il giudice Rosario Livatino. «Gli educatori credenti devono essere prima di tutto credibili, per far germogliare dalle emozioni dei ragazzi la fede, la giustizia, la libertà, e alimentare in loro la speranza». Per portare il Vangelo ai giovani, ha concluso don Ciotti, «occorre uscire dai recinti e andare per strada, perché i valori non si trasmettono, ma si testimoniano con la vita». Gabriele Guccione redazione.rivista@ausiliatrice.net N° 4 • LUGLIO-AGOSTO 2011

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Avvenimenti

Un giorno così non lo rivivrr Ricordi della beatificazione

di Giovanni Paolo II

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entinaia di pellegrini piemontesi si sono uniti al milione e mezzo di persone che domenica 1º maggio, a Roma, hanno partecipato alla beatificazione di Giovanni Paolo II. Chi in treno, chi in pulmann o con mezzi propri, tutti con un solo intento: onorare un Papa che per la vita di ciascuno è stato significativo. La maggior parte dei piemontesi non è riuscita ad arrivare neppure al colonnato di piazza San Pietro, già al completo pochi minuti dopo l’apertura delle transenne, alle 5,30 della domenica mattina. Tra loro, chi è giunto da Torino con il viaggio organizzato dall’Opera Diocesana Pellegrinaggi: il treno è arrivato a Roma Termini alle 6, troppo tardi per raggiungere la piazza. I più fortunati sono riusciti ad intrufolarsi lungo via della Conciliazione; altri si sono dovuti accontentare dei maxi-schermi allestiti in vari punti della capitale; altri ancora hanno partecipato idealmente perché non sono riusciti a raggiungere neanche quelli. Come Giuseppe Pacca, della parrocchia torinese Santa Giovanna d’Arco, e Teresa Rossi, parrocchiana di Nostra Signora della Salute, entrambi volontari della Sindone. Ricordano: «Non siamo riusciti a raggiungere neppure un maxi-schermo, ci siamo ritrovati in un ingorgo ed era pericoloso proseguire tanta era la ressa. Ma eravamo in migliaia e abbiamo pregato lo stesso: ci siamo sentiti comunque un’assemblea che celebra. Essere a Roma è stato comunque importante, anche se qualcuno, quando ha saputo che partivamo, ci ha detto che non valeva la pena andare in quella “bolgia”. A San Pietro e alla tomba del nuovo Beato potremo recarci in un’altra occasione, ma un giorno come quello non tornerà più». Giovani e meno giovani, tutti con la gioia nel cuore La signora Norma, della parrocchia di Nostra Signora del Santissimo Sacramen-

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 Giovanni Paolo II, nato a Cracovia il 18 maggio 1920, è morto il 2 aprile 2005 ed è stato beatificato lo scorso 1º maggio. © Paolo Siccardi - Sync

 Papa Wojtyla è il pontefice che ha viaggiato di più: ha compiuto 145 viaggi in Italia e 104 all’estero, come dire che ha percorso 29 volte il giro del mondo. © Paolo Siccardi - Sync

to, a Torino, è riuscita con fatica a raggiungere le transenne di via della Conciliazione e a vedere la piazza da lontano. «Quando ho detto che partivo per Roma, molti mi hanno sconsigliata. Certo, a casa, davanti al televisore, sarei stata molto più comoda e avrei seguito la celebrazione come se fossi seduta in prima fila, in piazza San Pietro, ma non avrei potuto rendere omaggio ad un Papa che con la sua vita ha testimoniato che si può vivere il Vangelo sino in fondo. Per me, essere a Roma è stato come assorbire un po’ della sua santità. Mi sono portata a casa una grande speranza per il futuro: la maggior parte dei pellegrini che ho incontrato non erano anziani come me – sono nonna di cinque nipoti – ma c’erano tanti giovani e famiglie con i loro bambini. Questo significa che la Chiesa ha un futuro e che l’“investimento” di Papa Wojtyla sulle nuove generazioni sta portando frutto». Ci ha fatto capire che la santità è possibile Rosanna, della parrocchia di Riva presso Chieri (Torino), era già stata a Roma per il funerale di Giovanni Paolo II, nell’aprile del 2005. «Sei anni fa ero rimasta colpita dalla fede di migliaia di persone che hanno trascorso ore e ore in piedi per venerare per soli tre secondi la salma del Papa. Allora ci sentivamo tutti un po’ orfani, anche se sapevamo che Giovanni Paolo II era in cielo. Il 1º maggio di quest’anno non potevo mancare: è stata una


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vremo remo più

 Un momento della cerimonia di beatificazione, seguita sui maxischermi al Circo Massimo di Roma. Marina Lomunno

grande festa della fede e per me è stato un grande dono potermi recare a Roma, nonostante non sia riuscita a raggiungere piazza San Pietro. Abbiamo sostato vicino ad un grande schermo, nei pressi di Castel Sant’Angelo, e abbiamo seguito la Messa da lì». Assieme a Rosanna c’era anche Angela, della parrocchia di San Giovanni a Savigliano (Cuneo): «Nonostante una tendinite mi abbia costretto a recarmi a Roma zoppicando, ho voluto compiere ugualmente questo pellegrinaggio. Il mio acciacco è nulla rispetto a quello che ha patito Giovanni Paolo II. Lui, con la sua sofferenza mai celata, ha dato al mondo una testimonianza forte. Per me, essere a Roma nel giorno della beatificazione ha significato onorare un Papa che con la sua umanità ci ha fatto capire che la santità è possibile». Marina Lomunno redazione.rivista@ausiliatrice.net N° 4 • LUGLIO-AGOSTO 2011

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Maria nell’arte

L’Annunciazione di Fra Giovanni Firenze, Convento di San Marco Eleganza rinascimentale

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ra Giovanni, al secolo Guido di Pietro, era nato a Vicchio di Mugello agli inizi del XV secolo. Già prima di essere ammesso tra i domenicani di Fiesole aveva praticato la pittura. Il 21 gennaio 1436 Papa Eugenio IV concesse ai domenicani di Fiesole il convento fiorentino di San Marco; l’Angelico si dedicherà alla decorazione del convento fino al 1445. Sono di questo periodo alcuni capolavori del maestro, affrescati nelle celle dei religiosi e negli ambienti di comunità. Significativa, tra tutte le opere di questo complesso, è la splendida Annunciazione dipinta su una parete del corridoio settentrionale, di fronte alla scala di accesso al primo piano.

Dopo aver lavorato a Firenze si trasferisce a Roma. Di nuovo a Firenze, nel 1451 lavora per la cappella della chiesa della Santissima Annunziata. Gli ultimi anni del frate sono consumati in frequenti viaggi tra Firenze, Perugia e Roma, dove muore il 18 febbraio 1455 ed è sepolto nella chiesa domenicana di Santa Maria Sopra Minerva. L’affresco dell’Annunciazione fu dipinto dall’Angelico tra il 1440 e il 1450 su una parete del corridoio nord del primo piano del complesso di San Marco; si tratta di una delle opere più famose del maestro ed uno dei migliori esiti in assoluto su questo soggetto.

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La scena, desunta dal vangelo di Luca, si svolge sotto un portico di semplice eleganza rinascimentale, aperto su un giardino cinto da una staccionata; la simbologia è evidente: lo spazio aperto, privo


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Nei “tondi” alcuni particolari dell’“Annunciazione”, dipinta dal Beato Angelico, il domenicano fra Giovanni, al secolo Guido di Pietro.  

di barriere, può essere paragonato al cuore di Maria, che non frappone ostacoli all’intervento di Dio e il giardino, cinto dalla siepe, l’“hortus conclusus” (“l’orto recintato”), è una metafora della Vergine Immacolata.

L’affresco fu dipinto tra il 1440 e il 1450 nel complesso fiorentino di San Marco. 

Ad entrambe le figure è assegnato uno spazio delimitato dalle colonne corinzie e dall’arco quasi a sottolineare la diversità dei ruoli nel mistero dell’incarnazione. La gerarchizzazione è anche suggerita dal diverso atteggiamento dei personaggi: l’Arcangelo Gabriele accenna ad una genuflessione ed è proteso verso Maria con le mani incrociate sul petto nell’atto di pronunciare il saluto: «Ave piena di grazia». Maria è seduta su un rozzo sgabello, lei pure si protende verso l’arcangelo rafforzando, con il gesto delle sue mani, le parole di chiusura del dialogo: «Ecco sono la serva del Signore avvenga di me quello che hai detto».

Le parole del dialogo tra Gabriele e Maria sono dipinte in basso, vicino alla base della colonna centrale, più o meno all’altezza degli occhi dello spettatore. Poco sotto, sullo spessore del gradino, si trova un’incitazione alla preghiera: «Virginis intactae cum veneris ante figuram pretereundo cave ne sileatur Ave» (Quando passerai davanti alla figura della Vergine intatta, sta’ attento di non dimenticare di dire l’Ave Maria). L’affresco si trova all’inizio del corridoio che un tempo portava nelle celle dei frati; ogni domenicano, al momento di ritirarsi nella sua cella, posava il suo sguardo sulla scena e, oltre l’invito alla preghiera, vi leggeva un richiamo all’obbedienza, una virtù fondamentale del buon religioso. Il pittore vi usò la costosa azzurrite e mise anche inserti in oro. Notevole è la monumentalità delle figure, isolate nello schema prospettico del porticato, con un forte senso di silenziosa spiritualità. Natale Maffioli maffioli.rivista@ausiliatrice.net N° 4 • LUGLIO-AGOSTO 2011

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Chiesa e comunicazione

Facebook, risorsa od ossessio n Rischi e opportunità della Rete per le parrocchie

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rano circa trecento i direttori degli uffici diocesani, gli operatori dei media e i webmaster cattolici che da tutta l’Italia si sono dati appuntamento a Macerata dal 19 al 21 maggio per il convegno “Abitanti digitali”, promosso dall’Ufficio nazionale per le Comunicazioni sociali (UNCS) e dal Servizio informatico della C EI. «Il mondo dei media – ha spiegato mons. Claudio Giuliodori, presidente della Commissione episcopale per la Cultura e le Comunicazioni sociali, aprendo la tre giorni di studio – non ha cancellato le domande fondamentali, ma le ha rese, per molti versi, più acute. Per questo la Chiesa, attenta a ciò che l’uomo vive, cerca di capire i cambiamenti in atto e di abitarli. E per abitare un ambiente occorre conoscerlo e familiarizzare con le sue caratteristiche. Il primo compito dei credenti è quindi l’approfondimento di tutti gli aspetti antropologici, sociali e culturali che delineano il volto di questo nuovo ambiente». Per mons. Domenico Pompili, sottosegretario della CEI e direttore dell’UNCS, la Chiesa «deve recuperare la capacità

 Un momento del convegno “Abitanti digitali”, organizzato a Macerata dall’Ufficio Comunicazioni Sociali della CEI. © Emmaus

 Gli strumenti di comunicazione digitale hanno ormai “invaso” la vita quotidiana. © Emmaus

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comunicativa che storicamente la rendeva profondamente inserita nella vita della comunità e capace di costruire spazi a misura d’uomo, nel senso più pieno. Come la voce della campana». Una proposta audace per la Rete, spazio per antonomasia senza campanili né gerarchie, dove si teme ogni forma di autorità, ma dove c’è comunque bisogno di «voci che tocchino», carismatiche e autorevoli, come emerso tra l’altro dalla ricerca condotta su 5 mila giovani di 18-24 anni e presentata al convegno da Chiara Giaccardi, docente di Sociologia e Antropologia alla Cattolica di Milano. Purtroppo oggi il mondo pare ossessionato da web e social network. A ricordarlo, dati alla mano, è stato Leo Spa-


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o ne?

© 2jenn - Photoxpress

 Don Paolo Padrini: a lui si devono varie opportunità digitali per la recita del Breviario e della Messa, come “iBreviary” per iPhone e “PrayBook”. Nel 2009 è stato chiamato presso il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali. © Flickr

daro, consulente del servizio informatico CEI: solo in Italia gli utenti Facebook sono 18 milioni; nove persone su dieci tra 12 e 30 anni hanno un profilo Facebook e il 24% del tempo totale su Internet è speso lì. «Questi strumenti rappresentano una grande opportunità anche per le comunità cristiane, ma non sono privi di rischi – ha commentato Spadaro – i social network sono ambienti gestiti da altri, in cui si è semplicemente ospiti. Per una diocesi è dunque essenziale avere un proprio sito e farne l’epicentro della propria presenza on line».

25.698 parrocchie in rete

Una sessione del convegno “Abitanti digitali” si è svolta presso il complesso cistercense di Fiastra (Macerata). © Emmaus

Anche le 25.698 parrocchie italiane devono presidiare la Rete «per informare su servizi e iniziative, mobilitare i fedeli, ma anche creare nuove forme di prossimità». Molte hanno già un loro sito, altre stanno aderendo al progetto “Parrocchie.map”. L’iniziativa, illustrata da Elena Mori di Ids&Unitelm, mira a creare un Annuario e un Atlante nazionali, con i dati identificativi principali di ogni parrocchia (denominazione, indirizzo, telefono), gli orari delle Messe, le coordinate satellitari (ottenute in base agli indirizzi), schede storico-artistiche, informazioni turistiche. «Il servizio è stato avviato sperimentalmente un anno fa con quattro diocesi pilota: Padova, Vicenza, L’Aquila, Agrigento – ha ricordato Mori –. Oggi 39 diocesi hanno già aderito al livello Annuario e stanno lavorando all’aggiornamento dei dati». Una volta completato l’inserimento delle informazioni, gli utenti potranno accedervi via Internet (tramite: www.parrocchiemap.it e www.pmap.it) o via mobile (m.pmap.it e m.parrocchiemap.it), e potranno anche ricevere gli orari delle Messe sulla propria email o sul cellulare tramite sms. Lara Reale redazione.rivista@ausiliatrice.net N° 4 • LUGLIO-AGOSTO 2011

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Amare i giovani

L’età indecente I giovani chiedono più testimonianza

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er secoli l’umanità è stata condannata alla sterile “stabilità” territoriale e culturale a causa della mancanza di adeguati strumenti di comunicazione e di mezzi di movimento. La prima rivoluzione industriale e poi la moderna tecnologia informatica hanno provocato accelerazione e facilitazione impensabili nel viaggiare e nel comunicare. Le ricadute sulla vita quotidiana hanno colto impreparate le istituzioni sociali ed educative, generando paure e turbamenti. Le applicazioni mobili messe a nostra disposizione con crescita esponenziale, generano ammirazione e, nello stesso tempo, inquietudine. Le giovani generazioni si allontanano sempre più da genitori ed educatori, soprattutto nell’uso della tecnologia. Mentre gli adulti, spesso riluttanti, si addentrano nel mondo dei social network, i giovani li stanno già abbandonando, affascinati dall’universo del cloud computing che trattiene i dati personali nella rete, mettendoli a disposizione in tempo reale, in ogni momento e da qualunque luogo della terra. Questo sta favorendo la nascita del-

 I bambini e i ragazzi sono attenti osservatori della realtà e spesso esprimono con ingenua sincerità le ipocrisie degli adulti. © Marcel Mooij - Shutterstock

la cosiddetta “generazione parallela”. I “giovani paralleli”, come gli studenti della Notre Dame University di Belmont, in California, si sono lasciati alle spalle Facebook e Twitter, e si costruiscono, giorno dopo giorno, una rete internet personalizzata, rigorosamente off limits agli estranei, con applicazioni scaricate gratuitamente da Apple Store e condivise soltanto con gli amici del cuore. Si prevede che questo nuovo modo di comunicare rivoluzionerà per l’ennesima volta il mondo dell’hardware (tablet al posto del pc) con annesso corollario di novità di memorie, schermi, intrattenimenti vari, business… Genitori ed educatori “licenziati” dai giovani? Tutto questo aumenta la perplessità degli adulti. La giornalista Marida Lombardo Pajola non ha esitato ad intitolare una sua pubblicazione “L’età indecente”. Perché la gioventù sarebbe indecente?

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© calafellvalo - Flickr

 I giovani si allontano sempre più da genitori ed educatori nell’uso delle tecnologie. © Alberto Ramella - Sync

A motivo del linguaggio usato nelle normali conversazioni. Le parole dei ragazzi sanno di solitudine ed aggressività, spesso sono dure come pietre e danno vita a un lessico scurrile e sgraziato. I giovani disdegnano i rapporti

“Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”, recita un proverbio. E i giovani chiedono agli adulti non “belle parole”, ma gesti concreti. © carlosseller - Photoxpress 

reali della vita e si rifugiano in quelli virtuali delle chat e dei blog. I rapporti familiari sono caratterizzati dalla volatilità ed abitati dal silenzio. Le attenzioni educative e culturali sono azzerate, il cuore si colora di taccagneria affettiva, la convivenza è scandita da appuntamenti di servizio finalizzati alla sopravvivenza, la dittatura tecnologica attiva complessi di inferiorità che minano l’autorevolezza. Genitori ed educatori si sentono come licenziati dai ragazzi senza preavviso e senza nessun segno di riconoscenza. Tutto vero? Indignati e motivati da esigenze concrete Lo scorso maggio, proprio questa età indecente, incarnata dagli “Indignados 15 de Mayo” di Madrid, sta infiammando le piazze di mezza Europa, dimostrando di essere animata e motivata da spinte tutt’altro che indecenti. Chiede di non essere trattata da ipotetico futuro del mondo, ma come presente concreto e reale. Le loro richieste sono: considerazione, professionalità, pari opportunità, lavoro, giustizia, istituzioni funzionanti e funzionali, abolizione di ingiusti privilegi sociali, politici e preti coerenti ed onesti, motivi di speranza. Sorge spontaneo un sospetto. Forse i ragazzi non rifiutano l’educazione, ma la “nostra” educazione. Non voltano le spalle alla fede, ma al “nostro” modo di viverla. Non sono refrattari e restii al lavoro, ma al “nostro” modo di lavorare, fatto di raccomandazioni, favoritismi e diritti acquisiti più o meno giustamente. Non sono insensibili ai valori, ma al “nostro” modo di viverli. Forse anche noi adulti, genitori, educatori e famiglia salesiana, col tempo, siamo diventati un po’ “indecenti” nel testimoniare quanto, a parole, andiamo ripetendo ai giovani senza convinzione e carisma? Ermete Tessore tessore.rivista@ausiliatrice.net N° 4 • LUGLIO-AGOSTO 2011

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La pagina dell’ADMA

“Questa è la Madre” ADMA news Per informazioni complete e aggiornate sull’ADMA nel mondo consultate il sito: www.admadonbosco.org oppure: www.donbosco-torino.it adma-on-line

Entriamo nell’affidamento!

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al 3 al 6 agosto 2011 presso il Santuario della Madonna Nera di Częstochowa, in Polonia, si celebra il VI Congresso Internazionale di Maria Ausiliatrice, evento della Famiglia Salesiana, promosso dall’Associazione di Maria Ausiliatrice (ADMA). Il motto del Congresso “Totus tuus”, mentre ci propone la santità e la grande devozione mariana del Beato Giovanni Paolo II, esprime il nostro filiale affidamento a Maria Ausiliatrice per camminare con Lei sulla via della fede, difendendo i grandi valori della vita, della famiglia, dell’educazione. Preziose le parole del Papa Benedetto XVI che ci suggerisce lo spirito con cui vivere l’affidamento a Maria: «mi sembra più importante viverlo, realizzarlo, entrare in questo affidamento, perché sia realmente nostro. Così esso diventa realtà nella Chiesa vivente e così cresce anche la Chiesa. L’affidamento comune a Maria, il lasciarsi tutti penetrare da questa presenza e formare, entrare in comunione con Maria, ci rende Chiesa, ci rende, insieme con Maria, realmente questa sposa di Cristo. Vorrei invitare ad entrare in questo affidamento già fatto, perché sia realtà vissuta da noi ogni giorno e cresca così una Chiesa realmente mariana, che è Madre e Sposa e Figlia di Gesù». Pier Luigi Cameroni Animatore spirituale pcameroni@sdb.org

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L’ADMA nel mondo Messina

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arrocchia diocesana dei santi Pietro e Paolo. Celebrazione del 75° di fondazione dell’ADMA. Gruppo numeroso e con la presenza di giovani, con la guida del parroco Padre Franco Arena e di Don Salvatore Genovese sdb. Mornese (Alessandria)

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ella terra natale di madre Mazzarello vive un bel gruppo dell’ADMA che diffonde con amore e gioia la devozione all’Ausiliatrice. Argentina Nord

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ncontro Ispettoriale presieduto dall’Animatore Ispettoriale P. Aldo Tobares (SDB) con la partecipazione delle seguenti comunità: Centro: Córdoba: Pio X, Alta Gracia, Río Tercero y San Vicente; Cuyo: San Juan y Mendoza: Ceferino, Eugenio Bustos y Rodeo del Medio; NEA: Corrientes, Chaco y Formosa; NOA: Tucumán y Salta; Litoral: Rosario y Santa Fé.


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Istanbul (Turchia)

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ercoledì 6 aprile 2011 presso la chiesa di Nostra Signora di Lourdes di Istanbul, animata dalla comunità salesiana, Don Pierluigi Cameroni ha incontrato il gruppo locale dell’ADMA, che nato nel 2008 grazie all’impegno del compianto Don Benjamin Puthota, vede oggi la partecipazione di circa 20 membri ed è animato dal direttore della comunità salesiana Don Andres Calleja.

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Appuntamenti mariani

Coraggio, caro figlio sei g 2 luglio 1654 - Madonna delle Fontane - Colere (BG)

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olere, piccolo centro della Val di Scalve in provincia di Bergamo, dominato dagli strapiombi della Presolana, è avvolto da un magnifico scenario prealpino, tra boschi di pini, faggi ed abeti. Tra il verde delle pinete, lungo il greto del fiume Dezzo, dalle acque impetuose, sorge il Santuario della Madonna chiamata delle Fontane, o più semplicemente la Madonnina. Apparizione della Madonna

La terribile peste del 1630, ricordata anche dal Manzoni ne “I Promessi Sposi”, che infuria su tante regioni dell’Italia ed in particolare nel Bergamasco, lascia ovunque desolazione e morte. La vita è difficile per tutte le popolazioni povere delle vallate montane. Bartolomeo Burat, un pastore della zona, porta ogni giorno il suo piccolo

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SANTUARIO DELLA MADONNINA Via Papa Giovanni XXIII 24020 Colere (BG) Tel. 0346.540.46

Il santuario sorge a Colere, nella bergamasca Val di Scalve. 

gregge al pascolo verso l’alta Valle di Scalve. Il suo aspetto apparentemente è buono, ma la tubercolosi lo sta minando. Il 2 luglio 1654 giunge con il gregge davanti alla piccola Cappella costruita nella località chiamata Fontane, per l’acqua che sgorga tra le rocce. La Madonna vi è raffigurata con il Bambino Gesù in braccio. Bartolomeo vi giunge sfinito, terribilmente stanco e si ferma a contemplare l’immagine della Vergine. Improvvisamente uno sbocco di sangue, particolarmente abbondante, lo spaventa e gli fa sentire vicina la morte. Il luogo è deserto, nessuno può udire il suo debole grido di aiuto soffocato anche dal gorgoglio dell’acqua che scorre a pochi metri. Appoggiato al suo bastone solleva lo sguardo verso la Madonna e la prega di cuore. Non riesce a pronunciare parola, ma i suoi occhi le rivelano l’unica sua fiducia che gli rimane. Ad un tratto, vede staccarsi dalla Cappella una Signora coronata di luce che gli sorride e cammina verso di lui. Giunta alle Fontane immerge la mano nell’acqua e con essa sfiora la fronte di Bartolomeo dicendogli: «Coraggio, caro figlio sei guarito». Bartolomeo si sente rinascere. Quella Signora misteriosa e sorridente che lo ha toccato con la mano bagnata dell’acqua delle Fontane gli ha ridonato la vita. La notizia della improvvisa guarigione si diffonde con rapidità ed una vera ondata di gioia pervade quanti vengono a conoscenza del fatto. La chiesetta della Madonna diventa meta di pellegrinaggio soprattutto da parte degli ammalati e di quanti cercano consolazione. Le cronache conservate


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i guarito negli archivi e gli ex voto testimoniano le straordinarie grazie in favore dei fedeli. Tra le tante manifestazioni della protezione della Madonnina di Colere è ricordata, con speciale riconoscenza, la soluzione pacifica nel 1682 della contesa tra la comunità di Scalve e quella di Borno, che durava dal 1091. Il nuovo Santuario Il 1º dicembre del 1923 la diga del Gleno, costruita di recente a 1500 metri, improvvisamente cede e otto milioni di metri cubi di acqua precipitano a valle seppellendo ogni cosa in un mare di fango, di rocce e di tronchi. La valanga d’acqua alta 200 metri trascina tutto

 All’interno del santuario è raffigurato il miracolo avvenuto nel 1654: la Madonna tocca la fronte del pastore ammalato di tubercolosi e lo guarisce.

 L’altare sopra il quale è posta la raffigurazione dell’evento.

con sé causando rovina e la morte di 379 persone. In quella catastrofe anche il Santuario della Madonnina è completamente travolto dalle acque; non rimane nulla di quanto era stato l’orgoglio della fede degli abitanti di Colere. Unico messaggio di speranza, poche ore dopo il disastro, una culla galleggia sulle acque nei pressi del ponte Barcotto. I soldati la raggiungono e ricuperano vivo un bambino di dieci mesi: lo chiamano Mosè! La vita riprende! I superstiti non si perdono d’animo e nella ricostruzione delle loro case non dimenticano la Casa della Madonna. Il nuovo Santuario risorge nel medesimo luogo, con la medesima forma ed è inaugurato maestoso già il 2 luglio 1928. Un affresco riproduce l’avvenimento dell’Apparizione: al centro la Vergine Maria nell’atto di toccare la fronte al pastore ammalato, alla sinistra la figura del Parroco di Sant’Andrea ed alla destra gli altri due testimoni della guarigione che, secondo la tradizione, sarebbero stati un avvocato e il suo servitore. Mario Morra morra.rivista@ausiliatrice.net N° 4 • LUGLIO-AGOSTO 2011

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Ricordando don Viotti

Don Sebastiano,

prete dell’accoglienza

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n spirito di riconoscenza vogliamo ricordare don Sebastiano Viotti, grande devoto di Maria Ausiliatrice e, dal 1987 al 2007, animatore spirituale dell’ADMA, Associazione di Maria Ausiliatrice. In questa azione di rilancio mariano ed associativo meritano di essere ricordati, durante il rettorato di don Egidio Viganò, il riconoscimento ufficiale dell’appartenenza dell’ADMA alla Famiglia Salesiana e il Regolamento rinnovato dell’Associazione, prima ad experimentum (1992) e poi definitivamente da parte della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e per le Società di Vita Apostolica (2003). Perle della sua animazione furono la promozione dei Congressi Internazionali di Maria Ausiliatrice: To-

Don Viotti era nato a Rivalta Bormida (Alessandria) il 25 luglio 1921. È morto a Torino-Valdocco lo scorso 9 maggio.

rino-Valdocco nel 1988, in occasione del centenario della morte di Don Bosco; Cochabamba (Bolivia) nel 1995; Siviglia (Spagna) nel 1999; Torino-Valdocco nel 2003, in occasione del centenario dell’incoronazione di Maria Ausiliatrice. L’inserimento nella Famiglia Salesiana trovò particolare espressione sia nella partecipazione alle Giornate di spiritualità che alla Consulta mondiale della Famiglia Salesiana. Riassume bene i nostri sentimenti di gratitudine e di ricordo di don Sebastiano, il saluto fatto in occasione delle sue esequie svoltesi nella Basilica di Maria Ausiliatrice a Torino giovedì 12 maggio 2011: «La nostra presenza vuole essere un modo semplice per testimoniare la nostra stima e il nostro affetto a don Viotti. Non solo come animatore spirituale dell’A DMA , ma per tutto quello che ci ha insegnato. È stato come un padre paziente per noi, un confidente, sempre pronto ad ascoltare i nostri problemi e a dare un consiglio, una parola di conforto. Il suo ufficio era sempre aperto a chiunque avesse avuto bisogno di aiuto, lui era lì ad accoglierlo. In ospedale le sue parole furono: siete tutti nel mio cuore, siate sempre devoti alla Madonna. Con questo nel cuore le diciamo grazie, grazie di tutto don Viotti». Pier Luigi Cameroni pcameroni@sdb.org

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Catechesi & dintorni

E noi

sappiamo ringraziare?

La preghiera di Alessia

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«

er fortuna oggi ho parlato sottovoce, perché la maestra di religione ha messo la nota a tutti quelli che gridavano, cioè quasi tutta la classe» dice trionfante Gian Luca, entrando nell’aula di catechismo. «Posso conoscere il motivo di tante chiacchiere nell’ora di religione?». «Abbiamo letto la storia dei dieci lebbrosi. La sai anche tu?». «Certo. Gesù ha guarito dieci lebbrosi e soltanto uno è tornato indietro a ringraziarlo». «Brava! E Gesù gli ha pure fatto il mazzo! Ti sembra giusto?». Spiego che le cose non sono andate proprio così: Gesù non ha affatto rimproverato il lebbroso riconoscente, ha soltanto espresso la propria delusione per l’ingratitudine degli altri. Per far comprendere la portata del miracolo mi dilungo a descrivere, con abbondanza di effetti speciali, la tristissima condizione dei malati di lebbra duemila anni fa (e in qualche paese ancora oggi). Malattia allora inguaribile e incurabile, chi ne era affetto era emarginato insieme ai familiari. Oggi dalla lebbra si guarisce ma, ai tempi di Cristo, soltanto un miracolo poteva salvare chi ne era colpito. Chi riceveva una simile guarigione aveva quindi motivo di gridare a squarciagola la propria riconoscenza, la gioia di essere stato salvato, esattamente come aveva fatto il decimo lebbroso. L’ingratitudine degli altri deve per forza risultare una grave mancanza! Ma ormai siamo troppo abituati ad avere tutto e subito, a credere che tutto ci sia dovuto, per essere capaci di queste considerazioni. «Non è vero!», interviene vivacemente

 Tutti – bambini e adulti – dovremmo ringraziare Dio anche per le cose meno belle che ci accadono. © Marcel Mooij - Photoxpress

Donare un fiore è da sempre un bellissimo gesto di gratitudine. © Tombaky - Photoxpress 

Alessia, «Io ringrazio Gesù tutti i giorni per aver guarito mio fratello dopo l’incidente col motorino! Alessandro è uscito dal coma, è tornato a casa più sveglio di prima e ha ricominciato a farmi i dispetti, ma io non mi lamento più, anzi, sono contenta!». La notizia viene festeggiata con la distribuzione di una doppia razione di cioccolatini e con una calorosa preghiera di ringraziamento. E già che ci siamo, ripetiamo un esercizio: quello di scrivere brevi preghiere di ringraziamento per i doni ricevuti da Dio. Questa volta però, seguendo le indicazioni di padre Andrea Gasparino, propongo la stesura di pensieri di ringraziamento anche per le cose meno belle che ci accadono nella vita. Il foglio viene diviso in due parti: a destra i ringraziamenti positivi, a sinistra quelli negativi, dal grazie per i castighi meritati, al grazie per l’arrosto bruciato dalla mamma, alla sconfitta della Juve... Alessia però non ha diviso il foglio. Ha scritto soltanto, a caratteri cubitali, in modo da occupare tutta la pagina: «Fa’ che vediamo il Tuo amore!». Anna Maria Musso Freni redazione.rivista@ausiliatrice.net N° 4 • LUGLIO-AGOSTO 2011

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Lettere a Suor Manu

Io penso positivo! “M

ia suocera soffre di «nostalgia del tempo che fu» così rischia sempre di contagiare tutti con quel suo «una volta era meglio, perché si faceva...». Esiste un modo per educarci ed educare a pensare positivo o è una pia illusione?

Sono convinta che sia necessaria un’operazione non sempre facilissima: purificare i pensieri. Non è vero che le vicende della giornata determinano il nostro buon o cattivo umore. Siamo noi, con il nostro modo di guardare la vita, a determinarne la bontà o meno. Esprimere pensieri buoni è meno difficile di quanto sembri. Ho sentito raccontare la storia di Pepe, il tipo di persona che tutti vorrebbero essere. Quando qualcuno gli chiede: «Come va?» risponde: «Non potrebbe andar meglio». A chi gli chiede il suo segreto Pepe risponde: «Ogni mattina mi sveglio e dico a me stesso: Pepe, oggi, se accade qualcosa di brutto, puoi decidere se considerarti vittima oppure trarre un ammaestramento dall’esperienza». Un giorno tre rapinatori armati, entrati nella sua azienda, gli spararono addosso.

 I ragazzi vivono pienamente le loro giornate e per loro il mondo è sempre “a colori”. Gli adulti non dovrebbero perdere questo atteggiamento positivo. © Wojciech Gajda - Photoxpress

 © astoria - Photoxpress

Pepe fu subito trasportato in ospedale. Dopo otto ore di intervento chirurgico e settimane di riabilitazione, Pepe uscì dall’ospedale con un paio di frammenti di proiettile nel suo corpo. A chi gli chiede cosa gli fosse passato per la mente il giorno del furto risponde: «Quando ero ferito mi sono ricordato che avevo due opzioni: vivere o morire. Ho scelto di vivere. Quando mi hanno portato in sala operatoria, dall’espressione dei medici, ho capito che stavo peggiorando. Ho detto loro che ho scelto di vivere». Pepe è sopravvissuto grazie ai medici, ma anche grazie al suo atteggiamento sorprendente. Aveva imparato che ogni giorno abbiamo la possibilità di scegliere se vivere pienamente o no. Questo atteggiamento positivo non si improvvisa. Ci si può educare e si può educare. Di fronte a ciò che ci preoccupa possiamo dire: «è la morte, non c’è più niente da fare» oppure dire: «Non è morta, dorme!». Manuela Robazza suormanu.rivista@ausiliatrice.net

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N° 4 • LUGLIO AGOSTO 2011


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Mandateci le vostre foto! Avete foto in cui vi siete fatti immortalare con la Rivista? Bene: speditecele. Noi le sceglieremo e le pubblicheremo con la vostra dedica o auguri o preghiera. Inviate a: foto.rivista@ausiliatrice.net oppure al nostro indirizzo postale. Nel caso di foto con minori, entrambi i genitori devono esplicitare per iscritto il consenso alla pubblicazione ed inviarcelo.

sempre liatrice protegga Che Maria Ausi i vostri cari. voi e

ccolo Dieghito!

Besos al mio pi

sì, merita fare

A una rivista co

la guardia!

Mandateci i vostri SMS! Don Bosco è stato all’avanguardia nella comunicazione. Noi cerchiamo di imitarlo. Dal prossimo numero, oltre alla rubrica riservata alle foto che ci spedite, apriamo... agli sms! Basta inviare un messaggio, anteponendo alla vostra richiesta di preghiera la parola rivista al numero 320.2043437. N° 4 • LUGLIO-AGOSTO 2011 Pubblicheremo gli sms più significativi e a tutti assicuriamo il ricordo in Basilica.

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SOMMARIO

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N° 4 • LUGLIO-AGOSTO 2011

Aria di Paradiso La pagina del Rettore

4

don Franco Lotto

delle mani 30 L’intelligenza vale quanto una laurea All’ombra del Santuario

Gabriele Guccione

Andava in vacanza anche Lui Alberto Martelli Editoriale

32 Un’estate a Chisinau

6

L’Amore che fa nuove tutte le cose Marco Rossetti Leggiamo i Vangeli

34

Giovani ed emozioni. Cosa c’entra la fede? Wellness educativa

8

Due donne in solidarietà per un futuro di vita Maria Ko Ha Fong Spiritualità mariana

36 Un giorno così non lo rivivremo più

10

Gesù e Maria, vi dono il cuore e l’anima mia Roberto Spataro Maria nei secoli

38 L’Annunciazione di Fra Giovanni

12

La perla preziosa per vivere il meglio Marco Bonatti La Parola qui e ora

40 Facebook, risorsa od ossessione?

Cristo, il passaggio a Dio Amici di Dio

42 L’età indecente

14 18

Vita della Chiesa

Esperienze

Gabriele Guccione

Marina Lomunno

Maria nell’arte

Natale Maffioli

Chiesa e comunicazione

Lara Reale

Amare i giovani

Ermete Tessore

44 “Questa è la Madre” La pagina dell’ADMA

Pier Luigi Cameroni

46 Coraggio, caro figlio sei guarito Appuntamenti mariani

P. G. Accornero

22 Oratorio sprint

Mario Morra

48 Don Sebastiano, prete dell’accoglienza

Sull’esempio di Don Bosco Luca Mazzardis

24 Il Giordano e i suoi affluenti Mari e fiumi nella Bibbia

Ricordando don Viotti

P. L. Cameroni

49 E noi sappiamo ringraziare? Catechesi & dintorni

Lorenzo Bortolin

A. M. Musso Freni

50 Io penso positivo!

25 Se guardo il cielo... Il poster

Carlo Tagliani

Avvenimenti

Mario Scudu

Il soldatino Joseph Ratzinger Enzo Bianco Il Papa ci parla

Dalla “Rerum novarum” 20 alla “Centesimus annus”

Lettere a Suor Manu

a cura di Mario Scudu

51

29 Il siclo d’argento Le monete ai tempi di Gesù

Manuela Robazza

Le vostre foto

L. Bortolin

ANNO XXXII BIMESTR ALE Nº 4 - 2011

RIVISTA

D E L L A

BASILICA

D I

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A L D O C C O TO R I N O - V

saggio gratuito per un numero

prire Estate: risco gli altri con Dio

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discepoli Gesù disse ai «Venite in disparte po’». e riposatevi un

ori in pag. 22 Orat? Non crisi

a Valdocco Richieste in aumento per i ragazzi . (e pure per i genitori)

azion pag. 30 Formessionale prof salesiana Il 70% dei ragazzi trova lavoro.

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