Spedizione in abb. postale 45% - art. 2 comma 20B - Legge 662/’96 - D.C./ D.C.I. - Torino - Tassa Pagata / Taxe Perçue
• ANNO XXX - MENSILE - N° 5 - MAGGIO 2009
05 MA-mag.2009-impaginato(7) 22-04-2009 11:01
L’aiuto dei cristiani
Pagina 1
RIVISTA DEL SANTUARIO BASILICA DI MARIA AUSILIATRICE - TORINO
05 MA-mag.2009-impaginato(7)
22-04-2009
11:02
Pagina 2
Inviati di fede e (Gv c. 20,19-31)
Gesù narra il Padre Un incontro che si fa missione (20,19-23)
2
per riunire i figli di Dio dispersi (11,52), per fare un solo gregge sotto un solo Pastore (10,16). Per questo ricevono il potere di rimettere il peccato. È un potere destinato a discernere chi davvero si allontana da un mondo di peccato per aderire a Gesù, da chi non vuole aderire. La verità consolante è che nel mondo esiste il perdono dei peccati (vedi Lc 24,47) e che questo potere è stato dato agli uomini (Mt 9,7). Beato chi crede senza aver visto (20,24-29) Tommaso, uno dei dodici chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero gli altri discepoli: “Abbiamo vi-
Gesù si rende visibile a Tommaso per convincerlo che non è un fantasma, ma proprio Lui, il Salvatore del mondo, crocifisso e Risorto.
Incredulità di San Tommaso, Caravaggio (1601), Bildergalerie, Potsdam.
La sera del primo giorno della settimana, mentre le porte dove si trovavano i discepoli erano state chiuse per paura dei dirigenti giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono nel vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me io mando voi”. Detto questo, soffiò su di loro e disse: “Ricevete Spirito Santo. Coloro a cui rimetterete i peccati saranno perdonati; coloro a cui non perdonerete non saranno perdonati”. La voce di quanto è capitato quella mattina si è rapidamente diffusa tra i discepoli e li ha riuniti, anche se per paura dei Giudei hanno sbarrato bene le porte. Questo non impedisce a Gesù di rendersi presente in mezzo a loro e di donare loro il suo saluto: “Pace a voi!”. Gesù è ormai “Colui che viene” e lo sarà sino alla fine del mondo. Egli si rende presente dove ci sono due o tre riuniti nel suo nome. “Si rese presente”. Non si descrive nessun passaggio attraverso le porte e nessun movimento dalla porta al centro della sala. Solo si afferma che rese visibile la sua presenza e “mostrò loro le mani e il costato”. Colui che soffrì la passione e li amò sino alla fine, ora è di nuovo con loro. Ha mantenuto la sua parola: “Vi rivedrò e il vostro cuore gioirà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia” (16,22).
Ed eccoci al secondo momento della scena. Gesù ripete il suo saluto: “La pace sia con voi”, ma poi aggiunge: “Come il Padre ha mandato me, io mando voi”. E perciò per i discepoli è ora possibile la missione: “Io vi ho scelto perché andiate a portiate frutto e il vostro frutto sia duraturo” (15,16). Sono mandati come lui è stato mandato. Quindi su di loro pesa lo stesso comandamento del Padre a cui Gesù si è attenuto: “Dare la vita”. Amare come egli ha saputo amare sino alla fine. Però per essere capaci debbono essere ricreati da Spirito Santo e Gesù glielo dà; segno che è già risalito al Padre: “È bene per voi che io me ne vada altrimenti non verrà a voi lo Spirito”. Sono inviati nel mondo
05 MA-mag.2009-impaginato(7)
22-04-2009
11:02
Pagina 3
e e di pace sto il Signore”. Ma egli disse: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e la mia mano nel suo fianco, non credo”. Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi”. Poi disse a Tommaso: “Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo ma credente”. Rispose Tommaso: “Mio Signore e mio Dio”. Gli disse Gesù: “Perché mi hai veduto tu hai creduto; beati quelli che credono pur senza avere visto”. Otto giorni dopo alla presenza di Tommaso, la comunità proclama la sua fede in Gesù risorto e dice a Tommaso: “Abbiamo visto il Signore”. Ma lui non condivise la fede della comunità. Voleva un’esperienza diretta e forse non aveva torto: era anche lui uno dei Dodici. Si dimostra incredulo di fronte a un fatto che esige una fede radicale. E Gesù, come otto giorni prima, si rese visibilmente presente in mezzo a loro. Era già lì. Non aveva bisogno di passare da nessuna parte per entrare. Egli è già presente quando i suoi sono tutti riuniti nel suo nome e dona la pace. Gli altri non avevano più bisogno di vederlo. Tommaso sì. Gesù si è reso visibile per lui e vuole convincerlo che non è un fantasma. Le sue parole suonano a sfida: “Guarda..., toccami”, ma sono piene di bontà: “e non continuare a essere incredulo, ma credente”. Come a Maria bastò sen-
A metà del VI secolo, il mercante egiziano Cosma Indicopleuste scrive di aver trovato nell’India meridionale gruppi inaspettati di cristiani; e di aver saputo che il Vangelo fu portato ai loro avi da Tommaso apostolo.
tirsi chiamare per nome (20,16), a Tommaso bastarono queste ultime parole per dire tutta la sua fede: “Signore mio, e Dio mio”. È una fede che si ripete nei secoli. È l’espressione della fede personale e comunitaria. Essa nasce dai fatti concreti; è ben radicata negli eventi storici. L’insistenza di Giovanni sulle ferite di Gesù; sui segni della sua passione, dice che la fede nella divinità di Gesù nasce dall’esperienza di ciò che hanno visto, udito e toccato; dall’avere costatato che Gesù li ha davvero amati sino alla fine. Tutto ciò li ha portati a credere nella parola di Gesù: “Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo, ora di nuovo torno al Padre e lascio il mondo” (16,28): “Io e il Padre siamo uno” (10,30). La Risurrezione ha sancito per essi la verità di tutte le sue parole ed essi hanno creduto che Egli fin dal principio era presso Dio, era Dio” (1,1). Così, il Vangelo finisce con lo stesso atto di fede con cui era iniziato. Chiusura (20,30-31) Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scrit-
ti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo abbiate la vita nel suo nome. Importante è la parola segno, tante volte resa con “segni miracolosi o meravigliosi”. Traduzioni possibili purché si insista sulla parola “segno” che serve sempre a rivelarmi qualcosa d’altro; in concreto nel Vangelo di Giovanni, l’identità di Gesù. L’autore ci tiene a sottolineare che ha raccontato solo alcuni segni non tutti, e che lo ha fatto per fondare solidamente la nostra fede in Gesù, il Cristo e il Figlio di Dio. Con queste parole si chiude il Vangelo di Giovanni poiché il capitolo 21 di per sé non è suo. Preghiamo Signore, quanta gioia e quanta speranza hai diffuso nel mondo con la tua Risurrezione. Donaci di diffondere nel mondo questa gioia e questa speranza. Fa’ che tutti capiscano che la vita non è un camminare verso il nulla, ma verso un incontro con Te e il Padre nello Spirito; verso una gioia infinita. Che la nostra parola convinca tutti a non pensare alla morte, ma alla gioia di incontrarsi con Te. Mario Galizzi 3
05 MA-mag.2009-impaginato(7)
22-04-2009
11:02
Pagina 4
La Catechesi di Benedetto XVI
I Dodici
S
iamo ancora impegnati con la figura di Giovanni, questa volta per considerare il Veggente dell’Apocalisse. E facciamo subito un’osservazione: mentre né il Quarto Vangelo né le Lettere attribuite all’Apostolo recano mai il suo nome, l’Apocalisse fa riferimento al nome di Giovanni ben quattro volte (cf 1,1.4.9; 22,8). È evidente che l’Autore, da una parte, non aveva alcun motivo per tacere il proprio nome e, dall’altra, sapeva che i suoi primi lettori potevano identificarlo con precisione. Sappiamo peraltro che, già nel III secolo, gli studiosi discutevano sulla vera identità anagrafica del Giovanni dell’Apocalisse. Ad ogni buon fine, lo potremmo anche chiamare “il Veggente di Patmos”, perché la sua figura è legata al nome di
La visione che Giovanni descrive di Gesù, nel testo dell’Apocalisse, è di un Agnello, indifeso, ferito, morto. Ma è un Agnello ritto, posto davanti al trono di Dio e partecipa del potere divino.
4
ıl veggente di Pa questa isola del Mar Egeo, dove, secondo la sua stessa testimonianza autobiografica, egli si trovava come deportato “a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù” (Ap 1,9). Proprio a Patmos, “rapito in estasi nel giorno del Signore” (Ap 1,10), Giovanni ebbe delle visioni grandiose e udì messaggi straordinari, che influiranno non poco sulla storia della Chiesa e sull’intera cultura cristiana. Per esempio, dal titolo del suo libro – Apocalisse, Rivelazione – furono introdotte nel nostro linguaggio le parole “apocalisse, apocalittico”, che evocano, anche se in modo improprio, l’idea di una catastrofe incombente. Situazione della Chiesa nascente Il libro va compreso sullo sfondo della drammatica esperienza delle sette Chiese d’Asia (Efeso, Smirne, Pergamo, Tiàtira, Sardi, Filadelfia, Laodicéa), che sul finire del I secolo dovettero affrontare difficoltà non lievi – persecuzioni e tensioni anche interne – nella loro testimonianza a Cristo. Ad esse Giovanni si rivolge mostrando viva sensibilità pastorale nei confronti dei cristiani perseguitati, che egli esorta a rimanere saldi nella fede e a non identificarsi con il mondo pagano, così forte. Il suo oggetto è costituito in definitiva dal disvelamento, a partire dalla morte e Risurrezione di Cristo, del senso della storia umana. La prima e fondamentale visione di Giovanni, infatti, riguarda la figura dell’Agnello, che è sgozzato eppure
sta ritto in piedi (cf Ap 5,6), collocato in mezzo al trono dove già è assiso Dio stesso. Con ciò, Giovanni vuol dirci innanzitutto due cose: la prima è che Gesù, benché ucciso con un atto di violenza, invece di stramazzare a terra sta paradossalmente ben fermo sui suoi piedi, perché con la Risurrezione ha definitivamente vinto la morte; l’altra è che lo stesso Gesù, proprio in quanto morto e risorto, è ormai pienamente partecipe del potere regale e salvifico del Padre. Questa è la visione fondamentale. Gesù, il Figlio di Dio, in questa terra è un Agnello indifeso, ferito, morto. E tuttavia sta dritto, sta in piedi, sta davanti al trono di Dio ed è partecipe del potere divino. Egli ha nelle sue mani la storia del mondo. E così il Veggente vuol dirci: abbiate fiducia in Gesù, non abbiate paura dei poteri contrastanti, della persecuzione! L’Agnello ferito e morto vince! Seguite l’Agnello Gesù, affidatevi a Gesù, prendete la sua strada! Anche se in questo mondo è solo un Agnello che appare debole, è Lui il vincitore! Il silenzio di Dio Una delle principali visioni dell’Apocalisse ha per oggetto questo Agnello nell’atto di aprire un libro, prima chiuso con sette sigilli che nessuno era in grado di sciogliere. Giovanni è addirittura presentato nell’atto di piangere, perché non si trovava nessuno degno di aprire il libro e di leggerlo (cf Ap 5,4). La storia rimane indecifrabile, incomprensibile. Nessuno può leggerla. Forse questo pianto di Giovanni da-
22-04-2009
Patmos vanti al mistero della storia così oscuro esprime lo sconcerto delle Chiese asiatiche per il silenzio di Dio di fronte alle persecuzioni a cui erano esposte in quel momento. È uno sconcerto nel quale può ben riflettersi il nostro sbigottimento di fronte alle gravi difficoltà, incomprensioni e ostilità che pure oggi la Chiesa soffre in varie parti del mondo. Sono sofferenze che la Chiesa certo non si merita, così come Gesù stesso non meritò il suo supplizio. Esse però rivelano sia la malvagità dell’uomo, quando si abbandona alle suggestioni del male, sia la superiore conduzione degli avvenimenti da parte di Dio. Ebbene, solo l’Agnello immolato è in grado di aprire il libro sigillato e di rivelarne il contenuto, di dare senso a questa storia apparentemente così spesso assurda. Egli solo può trarne indicazioni e ammaestramenti per la vita dei cristiani, ai quali la sua vittoria sulla morte reca l’annuncio e la garanzia della vittoria che anch’essi senza dubbio otterranno. A offrire questo conforto mira tutto il linguaggio fortemente immaginoso di cui Giovanni si serve. La figura della Donna Al centro delle visioni che l’Apocalisse espone ci sono anche quelle molto significative della Donna che partorisce un Figlio maschio, e quella complementare del Drago ormai precipitato dai cieli, ma ancora molto potente. Questa Donna rappresenta Maria, la Madre del Redentore, ma rappresenta allo stesso tempo tutta la Chiesa, il Popolo di Dio di
11:02
Pagina 5
tutti i tempi, la Chiesa che in tutti i tempi, con grande dolore, partorisce Cristo sempre di nuovo. Ed è sempre minacciata dal potere del Drago. Appare indifesa, debole. Ma mentre è minacciata, perseguitata dal Drago è anche protetta dalla consolazione di Dio. E questa Donna alla fine vince. Non vince il Drago. Ecco la grande profezia di questo libro, che ci da fiducia! La Donna che soffre nella storia, la Chiesa che è perseguitata alla fine appare co-
Giovanni, Charles Le Brun, (1619-1690), chiesa Saint-Nicolas du Chardonnet, Parigi.
05 MA-mag.2009-impaginato(7)
L’Apocalisse è permeata da canti di lode che rappresentano il volto luminoso della storia.
me Sposa splendida, figura della nuova Gerusalemme dove non ci sono più lacrime né pianto, immagine del mondo trasformato, del nuovo mondo la cui luce è Dio stesso, la cui lampada è l’Agnello. Il canto liturgico Per questo motivo l’Apocalisse di Giovanni, benché pervasa da continui riferimenti a sofferenze, tribolazioni e pianto – la faccia oscura della storia –, è altrettanto permeata da frequenti canti di lode, che rappresentano
quasi la faccia luminosa della storia. Così, per esempio, vi si legge di una folla immensa, che canta quasi gridando: “Alleluia! Ha preso possesso del suo Regno il Signore, il nostro Dio, l’Onnipotente. Rallegriamoci ed esultiamo, rendiamo a lui gloria, perché son giunte le nozze dell’Agnello, e la sua sposa è pronta” (Ap 19,67). Siamo qui di fronte al tipico paradosso cristiano, secondo cui la sofferenza non è mai percepita come l’ultima parola, ma è vista come punto di passaggio verso la felicità e, anzi, essa stessa è già misteriosamente intrisa della gioia che scaturisce dalla speranza. Proprio per questo Giovanni, il Veggente di Patmos, può chiudere il suo libro con un’ultima aspirazione, palpitante di trepida attesa. Egli invoca la venuta definitiva del Signore: “Vieni, Signore Gesù!” (Ap 22,20). È una delle preghiere centrali della cristianità nascente, tradotta anche da San Paolo nella forma aramaica: “Marana tha”. E questa preghiera “Signore nostro, vieni!” (1 Cor 16,22) ha diverse dimensioni. Naturalmente è anzitutto attesa della vittoria definitiva del Signore, della nuova Gerusalemme, del Signore che viene e trasforma il mondo. Ma, nello stesso tempo, è anche preghiera eucaristica: “Vieni Gesù, adesso!”. E Gesù viene, anticipa questo suo arrivo definitivo. Così con gioia diciamo nello stesso tempo: “Vieni adesso e vieni in modo definitivo!”. Questa preghiera ha anche un terzo significato: “Sei già venuto, Signore! Siamo sicuri della tua presenza tra di noi. È una nostra esperienza gioiosa. Ma vieni in modo definitivo!”. E così, con San Paolo, con il Veggente di Patmos, con la cristianità nascente, preghiamo anche noi: “Vieni, Gesù! Vieni e trasforma il mondo! Vieni già oggi e vinca la pace!”. Amen! Benedetto XVI L’Osservatore Romano, 24-08-2006
5
05 MA-mag.2009-impaginato(7)
22-04-2009
In Basilica Il Papa agli “arresti domiciliari”
Q
ualche volta i potenti di turno, dimentichi del “Non praevalebunt” di Gesù, hanno pensato di potersi sbarazzare della Chiesa e del Papa. Tra di essi, il famoso Imperatore Napoleone Bonaparte. Nel 1809 uno dei suoi generali, Radet, a capo delle truppe che avevano occupato Roma, si presentò, nella notte tra il 5 e il 6 luglio dinanzi al Papa, Pio VII. A colpi di ascia, i soldati francesi forzarono le porte della residenza del Papa, che allora era il Quirinale, oggi dimora del Presidente della Repubblica italiana, e, giunti nella sala delle udienze, intimarono al Papa di rinunciare alla sovranità temporale, unilateralmente decretata due mesi prima dal loro Imperatore, Napoleone, all’epoca dominatore incontrastato dell’Europa. Il Papa rifiutò, dichiarando: “Non possiamo rinunciare a ciò che non ci appartiene. L’Imperatore potrà farci a pezzi, ma non otterrà ciò che domanda”. Il generale Radet ordinò dunque di far salire il Papa e il suo segretario di Stato, Cardinal Pacca, sulla vettura già preparata per condurli lontano da Roma. Pensava così di interpretare adeguatamente la volontà del suo Imperatore che in una lettera del 10 giugno aveva scritto al cognato Gioacchino Murat: “Ricevo la notizia che il Papa mi ha scomunicato. È un pazzo furioso che bisogna rinchiudere”. Ed il Papa fu rinchiuso. Per tre anni gli furono imposti gli “arresti domiciliari”, a Savona, nel palazzo epi6
11:02
Pagina 6
Pio VII e la festa dell’Au s scopale, dove, sorvegliato a vista, gli erano preclusi pressoché tutti i contatti liberi con l’esterno e, dunque, veniva di fatto impedito ad esercitare la sua missione. Nel frattempo, il Bonaparte continuava a scatenare le sue guerre che provocavano morti a non finire, la Chiesa in Francia era ridotta ad uno stato pietoso di assoggettamento all’Impero, la fede cattolica delle popolazioni suddite di Napoleone, soprattutto in Italia, irrisa e ostacolata. Pio VII, a Savona, trascorreva molte ore in preghiera, dinanzi al Santissimo Sacramento, edificando tutti con il suo contegno mite e paziente. Persino un soldato piemontese, miscredente, messo a guardia del Papa, si convertì. Recentemente è stata scoperta una sua lettera doIl 24 maggio 1814, per intervento della Vergine, a cui Pio VII era particolarmente devoto, il Papa poté ritornare trionfalmente a Roma.
ve scrive: “Io che ero nemico dei preti bisogna che confessi la verità. Pel tempo che il Papa è relegato in questo palazzo vescovile e guardato a vista non solo da noi ma nell’interno della casa, vi posso dire che questo sant’uomo è il modello dell’umanità e della moderazione e di tutte le virtù sociali, che innamora tutti, che addolcisce gli spiriti più forti e fa diventare amici quelli istessi che sono gli più acerrimi nemici”. Incoronerò questa statua Da dove riceveva Pio VII tanta fiducia? Dalla sua devozione mariana! Giunto a Savona aveva chiesto di potersi recare a venerare la Vergine Maria presso il Santuario di Nostra Signora della Misericordia ed aveva promesso: “Quando sarò liberato, incoronerò questa statua”. Ed anche quando la custodia alla quale era sottoposto diventava sempre più stretta, egli continuava a confidare nell’aiuto della Madre di Dio, fedelissimo alla recita quotidiana del Rosario, in compagnia dei pochi amici addetti al suo servizio. Nel frattempo, l’Imperatore cercava con ogni mezzo di imporre la sua volontà al Papa, di sottrargli ogni autorità effettiva nel governo della Chiesa minacciando persino uno scisma. C’era anche una questione personale: Napoleone aveva deciso di rompere il matrimonio con l’imperatrice Giuseppina per sposare l’arciduchessa Maria Luisa d’Austria. Poiché a quel tempo non esisteva il divorzio civile, solo un tribunale ecclesiastico poteva dichiarare la
05 MA-mag.2009-impaginato(7)
22-04-2009
11:02
Pagina 7
u siliatrice nullità del Matrimonio. Il Papa, naturalmente, che non guardava in faccia ai potenti, si rifiutava di acconsentire. Nel 1812, per fiaccarne l’indomita resistenza, Napoleone lo fece addirittura trasportare da Savona a Fointanebleau, presso Parigi. La Madonna si ricordò della promessa di questo Papa ed intervenne. In modo del tutto inatteso, in poco tempo, la stella di Napoleone si eclissò, le sue truppe, fino ad allora vittoriose come un rullo compressore, conobbero la disfatta militare. Il 24 maggio 1814, il Papa tornava trionfalmente a Roma acclamato dalla popolazione. Neppure i “cento giorni” che precedettero Waterloo furono sufficienti a Napoleone per riacquistare il potere. Sarà miseramente esiliato nell’isola di Sant’Elena e del suo Impero rimarrà solamente il ricordo delle distruzioni e delle violenze. Memore del suo voto mariano, il 10 maggio 1815, Pio VII ritornò a Savona ed incoronò la statua della Madonna, alla presenza di un re sabaudo, Carlo Emanuele I, circondato dai Vescovi e soprattutto da tanti fedeli, sempre pronti a lodare la Madre di Dio. Poco prima Pio VII aveva compiuto un gesto di commovente bontà: mentre tutti i sovrani europei rifiutavano di accogliere la famiglia del Bonaparte nei loro stati, egli offrì loro alloggio, protezione e consolazione. La Madre di Napoleone ringraziò Pio VII in una lettera indirizzata al cardinale Consalvi: “Noi non troviamo appoggio ed asilo se non nel governo pontificio, e la nostra riconoscenza è grande come il beneficio che riceviamo. Prego Vostra Eminenza
Nonostante quello che Napoleone aveva fatto al Papa, fu poi lui, l’unico a dare rifugio alla famiglia del decaduto imperatore.
di deporne l’omaggio ai piedi del santo Pontefice Pio VII. Parlo in nome di tutta la mia famiglia, e specialmente di colui che muore lentamente su uno scoglio deserto. Sua Santità e Vostra Eminenza sono i soli in Europa che si adoperano per addolcire i suoi mali e che vorrebbero abbreviarne la durata. Ve ne ringrazio tutti e due col mio cuore di madre”. Napoleone morirà riconciliato con la Chiesa, assistito da un sacerdote corso inviatogli personalmente dal Papa. L’intuizione di Don Bosco Il pellegrino della Basilica di Maria Ausiliatrice può osservare, tra le colonne laterali della facciata, due grandi bassorilievi, uno dei quali, quello a destra, rappresenta Pio VII che incorona Maria SS. nel santuario di Savona. Perché questo avvenimento è richiamato nella Basilica di Don Bosco? Perché il Papa Pio VII, consapevole dell’intervento della Madonna per liberare la Chiesa e il Papato dalla situazione dolorosa in cui versavano, volle istituire una festa in onore della Vergine Maria sotto il titolo di “Aiuto dei
Cristiani”, da celebrarsi proprio il 24 maggio, giorno in cui egli aveva fatto ritorno a Roma, dopo la lunga prigionia. Tra gli affreschi che decorano la cupola maggiore, l’ultimo gruppo che chiude l’anello, raffigura Pio VII con la Bolla di istituzione della festa di Maria Auxilium Christianorum. E siccome Don Bosco comprese bene che per la Chiesa i “tempi difficili”, come era solito definirli, non erano finiti, volle diffondere la devozione a Maria con il titolo di “Aiuto dei Cristiani”. Un altro Pontefice, dopo Pio VII, si è recato a Savona, il 18 maggio 2008: Benedetto XVI, che ha così sintetizzato il significato di quegli avvenimenti, raffigurati nella Basilica di Maria Ausiliatrice: “L’esempio di serena fermezza dato dal Papa Pio VII ci invita a conservare inalterata la fiducia in Dio, consapevoli che Egli, se pur permette per la sua Chiesa momenti difficili, non la abbandona mai. La vicenda vissuta dal grande Pontefice ci invita a confidare nella materna intercessione di Maria Santissima”. Roberto Spataro Studium Theologicum Salesianum Gerusalemme e-mail: silvaestudiosus@gmail.com
7
05 MA-mag.2009-impaginato(7)
22-04-2009
11:02
Pagina 8
Il Papa e i Lefebv r Vita della Chiesa
S
“
pero di contribuire in questo modo alla pace nella Chiesa”. È l’obiettivo della “Lettera di Benedetto XVI ai vescovi della Chiesa cattolica riguardo alla remissione della scomunica dei quattro vescovi consacrati dall’arcivescovo Lefebvre”, datata 10 marzo 2009 e resa pubblica il 12 marzo. Il Papa tenta così di mettere fine alle polemiche che hanno accompagnato il provvedimento del 21 gennaio 2009, la remissione della scomunica agli ultratradizionalisti, «liberati dalla punizione ecclesiastica ma che non esercitano alcun ministero» fino a quando non accetteranno il Concilio Vaticano II. La vicenda è stata spiegata male e capita peggio. «Una situazione senza precedenti» l’ha definita «L’Osservatore Romano». La remissione della scomunica ha suscitato, dentro e fuori la Chiesa, “una discussione di tale veemenza quale da molto tempo non si sperimentava”; molti vescovi erano “perplessi” su un evento “difficile da inquadrare positivamente”. Alla “disposizione del Papa alla riconciliazione” alcuni gruppi lo “accusavano apertamente di voler tornare a prima del Concilio” e scatenavano “una valanga di proteste”. Perciò serve “una parola chiarificatrice” che aiuti a comprendere “le intenzioni che hanno guidato me e la Santa Sede”.
Il caso Williamson “Una disavventura per me imprevedibile” è stata la sovrappo8
sizione del caso Williamson alla remissione della scomunica. “Il gesto discreto di misericordia verso i vescovi, ordinati validamente ma non legittimamente, è apparso una cosa totalmente diversa”, come se fosse stata smentita la riconciliazione tra cristiani ed ebrei e come se fosse stato revocato ciò che il Concilio aveva chiarito. “Un invito alla riconciliazione si trasformò nel suo contrario: un apparente ritorno indietro rispetto a tutti i passi di riconciliazione tra cristiani ed ebrei”. Ratzinger deplora “il sovrapporsi di due processi contrapposti che ha disturbato la pace tra cristiani ed ebrei e la pace nella Chiesa”. Ammette che seguire le notizie su Internet avrebbe favorito “la tempestiva conoscenza del problema” e ne trae “la lezione: nella Santa Sede dovremo prestare più attenzione a quella fonte di notizie”. Ma è “rattristato dal fatto che anche dei cattolici abbiano pensato di dovermi colpire con un’ostilità pronta all’attacco” e ringrazia “gli amici ebrei che hanno aiutato a eliminare il malinteso e a ristabilire l’amicizia e la fiducia”. Scarsa comunicazione “Un altro sbaglio, per il quale mi rammarico” è che il provvedimento “non è stato illustrato in modo sufficientemente chiaro”. La scomunica era ampiamente motivata perché “l’ordinazione episcopale senza mandato pontificio significa pericolo di scisma e mette in questio-
ne l’unità del collegio episcopale con il Papa” ma vent’anni di scomunica non ha spinto i quattro “al pentimento e al ritorno all’unità”. L’intervento mirava “a invitarli ancora una volta al ritorno dopo che avevano espresso il riconoscimento, in linea di principio, del Papa e della sua potestà di pastore, anche se con riserve sull’obbedienza alla sua autorità dottrinale e al Concilio”. Bisogna distinguere tra il livello disciplinare – la remissione della scomunica – e le questioni dottrinali: “ancora una volta” finché non saranno chiarite “la Fraternità San Pio X non ha alcuno stato canonico e i suoi ministri non esercitano in modo legittimo alcun ministero”. La contromossa Così “ho deciso” di collegare la Pontificia Commissione “Ecclesia Dei” – competente per coloro che vogliono tornare alla piena comunione – alla Congregazione per la dottrina della fede in quanto i problemi “riguardano soprattutto l’accettazione del Vaticano II e del magistero post-conciliare dei Papi”. La questione di fondo è proprio questa: i lefebvriani, anche dopo il perdono, hanno ribadito che non riconosceranno mai il Concilio né il magistero conciliare di cinque Papi: Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI. Più scisma di così. E Ratzinger bacchetta: “Non si può congelare l’autorità magisteriale della Chiesa al 1962” – l’11 ottobre
05 MA-mag.2009-impaginato(7)
22-04-2009
11:03
Pagina 9
v riani
Il Papa ha voluto tendere la mano ai tradizionalisti. Il suo è stato un gesto di misericordia volto a recuperare la sincera fede di migliaia di fedeli.
iniziava il Vaticano II – ma invita anche “i grandi difensori del Concilio” a ricordare che “il Vaticano II porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa e non si possono tagliare le radici di cui l’albero vive”. La priorità Il provvedimento era proprio necessario? Era una priorità? Non ci sono cose più importanti? “Certamente ci sono cose più importanti e urgenti, come ho evidenziato all’inizio del mio pontificato e la linea rimane inalterata”. Gesù indica la priorità a Pietro: “Tu conferma i tuoi fratelli”. E Pietro la indica ai cristiani: “Siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi”. È la parte più incisiva della lettera: “In vaste zone della Terra la fede rischia di spegnersi come una fiamma senza nutrimento, bisogna rendere Dio presente in questo mondo e aprire agli uomini l’accesso a Dio, non a un qualsiasi dio, ma a Dio che ha parlato sul Sinai e il cui
volto riconosciamo nell’amore di Cristo crocifisso e risorto. Il vero problema è che Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini e, spegnendosi quella luce, l’umanità è priva di orientamento, e gli effetti distruttivi si manifestano sempre più. Condurre gli uomini verso Dio è la priorità suprema e fondamentale della Chiesa. Quindi dobbiamo avere a cuore l’ecumenismo e l’unità dei credenti perché la discordia e la contrapposizione mettono in dubbio la credibilità del loro parlare di Dio. Tutti coloro che credono in Dio cerchino la pace, si avvicinino nel dialogo interreligioso, si dedichino con amore ai sofferenti, respingano l’odio e l’inimicizia”. Le riconciliazioni Se l’impegno per la fede, la speranza e l’amore costituisce la priorità per la Chiesa, allora ne fanno parte anche le riconciliazioni piccole e medie. “Che il sommesso gesto di una mano tesa abbia dato origine a un grande chiasso, trasformandosi nel
contrario di una riconciliazione, è un fatto di cui dobbiamo prendere atto”. Era veramente sbagliato andare incontro al fratello e cercare la riconciliazione? Non deve anche la società civile prevenire le radicalizzazioni? È errato impegnarsi per sciogliere gli irrigidimenti? “Io stesso ho visto come il ritorno nella Chiesa abbia fatto superare posizioni unilaterali. Può lasciarci indifferenti una comunità con 491 sacerdoti, 215 seminaristi, 6 seminari, 88 scuole, 2 istituti universitari, 117 frati, 164 suore e migliaia di fedeli? Dobbiamo lasciarli andare alla deriva lontani dalla Chiesa? E possiamo escludere i sacerdoti solo perché rappresentanti di un gruppo radicale?”. “Mordere e divorare” Esplicito l’affondo contro “le molte cose stonate, superbia e saccenteria, fissazione su unilateralismi” della Fraternità, anche se “ho ricevuto anche una serie di testimonianze commoventi di gratitudine”. Come esplicita è la critica “a qualche stonatura dell’ambiente ecclesiale” e all’abitudine di individuare “un gruppo al quale non riservare alcuna tolleranza e contro il quale scagliarsi con odio. E se il Papa gli si avvicina, perde anche lui il diritto alla tolleranza e può essere trattato con odio, senza timore e riserbo”. Chiude la lettera citando il monito di Paolo ai Galati 5,13-15: “Se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!”. Purtroppo “questo «mordere e divorare» esiste anche oggi nella Chiesa come espressione di libertà male interpretata”. Pier Giuseppe Accornero 9
05 MA-mag.2009-impaginato(7)
22-04-2009
Anno Paolino Le espressioni per indicare la Chiesa
N
ell’Antico Testamento il termine edah esprimeva la convocazione del popolo come unità politico-nazionale: persone unite dalla stessa lingua, moneta, religione. Mentre con il termine qahal s’indicava la convocazione militare. Su questo secondo termine si appoggia il concetto di ‘ekklesia usato dal Nuovo Testamento. Tradotto in italiano con “Chiesa”; il termine deriva dal greco ek-kaleo, esattamente tradotto con “chiamare fuori” oppure “scegliere”. La Chiesa cristiana è quindi l’assemblea dei convocati da Dio per il combattimento della fede, nel nome di Gesù. La voce ‘ekklesia risuona 114 volte nel Nuovo Testamento, di cui 62 solo nella letteratura paolina, ad indicare quanto l’edificazione della Chiesa fu un tema particolarmente caro a Paolo. Con lui divenne una realtà, secondo le intenzioni di Gesù. Il contributo di Paolo “Paolo, Silvano e Timòteo alla Chiesa dei Tessalonicesi che è in Dio Padre e nel Signore Gesù Cristo: grazia a voi e pace!” (1Ts 1,1). Il concetto di Chiesa di Dio compare per la prima volta in questo passo, in cui Paolo, scrivendo ai cristiani di Tessalonica, li caratterizza come “essere in Dio”, in quanto convocati da Lui e dimoranti in Lui, nel Signore Gesù. L’idea è ripresa nella prima lettera ai Corinti: “Paolo, chiamato 10
11:03
Pagina 10
Paolo di Tarso e la Chiesa Pr i ad essere apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio, e il fratello Sòstene, alla Chiesa di Dio che è in Corinto, a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, chiamati ad essere santi insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo, Signore nostro e loro: grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo” (1 Cor 1,1-3). La Chiesa non è una comune convocazione sull’appello umano ma Dio stesso è il suo convocante. L’espressione “Chiesa di Dio” andrebbe tradotto, secondo la grammatica greca, con “Chiesa originata da Dio”. In tutta le lettere di Paolo, anche quando compare soltanto ‘ekkle-
sia (Chiesa), è sempre da intendersi come tou Theou (di Dio). L’Eucaristia dei primi secoli veniva celebrata in clandestinità, nelle case di cristiani che mettevano la loro abitazione a disposizione del culto. In questa cornice, Paolo definisce la Chiesa domestica, quando saluta i cristiani di Corinto con le parole: “Salutate i fratelli di Laodicèa e Ninfa con la comunità che si raduna nella sua casa” (Col 4,5).1 Il passaggio da Chiesa domestica a Chiesa celeste con il riconoscimento di Cristo, capo del corpo della Chiesa, si ritrova nella Lettera ai Colossesi. “Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si tro-
Il tema della Chiesa fu particolarmente caro all’Apostolo Paolo, tanto che ne parla ben 62 volte nelle sue lettere.
05 MA-mag.2009-impaginato(7)
22-04-2009
11:03
Pagina 11
o r imitiva
/2
va Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio! Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria” (Col 3,1-3). Dio fonda la sua Chiesa per mezzo di Gesù e le comunità cristiane sono comunità di Dio, in Cristo (cf 1 Ts 2,14; Gal 1,22; Rm 16,16). Le immagini con cui Paolo rappresenta la Chiesa La Chiesa Tempio. “Non sapete che siete Tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il Tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il Tempio di Dio, che siete voi” (1 Cor 3,16-17). La comunità di Corinto era divisa al suo interno tra cristiani benestanti e meno abbienti e le differenze sociali si esprimevano in particolare a tavola, dopo la celebrazione dell’Eucaristia, quando ciascuno consumava il pasto secondo le proprie possibilità. Paolo rimprovera prontamente i cristiani di Corinto ammonendoli per la faziosità della loro Chiesa che è Tempio, in quanto lo Spirito Santo è principio di unità. È Tempio in quando Dio abita in essa, non da essa separato ed il Tempio santo di Dio non va profanato con separazioni (cf 1 Cor 10,16-17). Già l’Antico Testamento parlava di presenza di Dio in mezzo al suo popolo (cf Lv 26,12; Ez 37,27 e paralleli) ma ora, con l’avvento di Cristo, la sua presenza è reale “Noi siamo infatti il Tempio
Dopo la sua conversione, Paolo si dedicò interamente alla predicazione e alla fondazione delle Chiese, sviluppando un pensiero del tutto originale sulla natura e la funzione della Chiesa vista come famiglia, sposa e corpo di Cristo.
del Dio vivente, come Dio stesso ha detto: Abiterò in mezzo a loro e con loro camminerò e sarò il loro Dio, ed essi saranno il mio popolo” (2 Cor 6,16-17). L’edificazione del Tempio di Dio non è prerogativa dei soli Ebrei ma anche ai Gentili, ovvero dai lontani dalla religione, a cui l’Apostolo rivolge lo stesso invito: “Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù. In lui ogni costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; in lui anche voi insieme con gli altri venite edificati per diventare dimora di Dio per mezzo dello Spirito” (Ef 2,20-22). Nella dimora di Dio c’è posto per tut-
ti e questo dà compimento all’antica promessa in cui il Tempio di Gerusalemme sarà luogo di convergenza di tutti i popoli (cf Is 2,1-5; Mi 4,1-5), sopra i quali le profezie annunciavano la signoria del Messia come pietra angolare (cf Is 28,16; Sal 118,22-23). La Chiesa Corpo. Paolo pensa ad un corpo in graduale crescita, il quale, formandosi come il corpo di un bambino nella comunità locale, cresce fino alla maturità adulta con un corpo che accoglie tutta la Chiesa universale. Così dalla figura del corpo descritta nella Lettera ai Romani: “poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno per la sua 11
05 MA-mag.2009-impaginato(7)
22-04-2009
parte siamo membra gli uni degli altri” (Rm 12,4-5); l’Apostolo arriva con la Prima Lettera ai Corinti ad estendere il corpo a tutti i credenti in Cristo: “e in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito” (1 Cor 12,13). Ancora contro la faziosità della comunità di Corinto, Paolo propone il Battesimo come principio di unità, orientato alla ricerca del bene comune. Con il Battesimo l’unità della Chiesa universale in un unico corpo, si esprime nella dialettica tra ciò che essa “già” costituisce, in vista del “non ancora” di ciò che sarà: “Vi esorto dunque io, il prigioniero nel Signore, a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo Battesimo. Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti” (Ef 4,1-6). La Chiesa Famiglia. L’immagine familiare della Chiesa, in cui lo spirito di famiglia regola le relazioni interpersonali, ha attraversato la storia del pensiero cristiano, passando anche per San Giovanni Bosco, il quale proponeva alla sua chiesa domestica di Valdocco, di respirare l’aria della reciprocità di chi si sente a proprio agio quando vive nella propria casa. Possiamo ritrovare nell’Apostolo il fondamento biblico di questa bella immagine, in cui Dio è Padre e i cristiani sono figli nel Figlio Gesù. Lo esprime ancora be12
11:03
Pagina 12
ne la Lettera ai Romani: “Tutti quelli infatti che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: «Abbà, Padre!». Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria” (Rm 8,15-17).
Nella Chiesa Famiglia la cura delle relazioni è fondamentale, a garanzia di stabilità e di reciproco amore: “Non essere aspro nel riprendere un anziano, ma esortalo come fosse tuo padre; i più giovani come fratelli; le donne anziane come madri e le più giovani come sorelle, in tutta purezza” (1 Tm 5,1-2). La Chiesa Sposa. Per raffigurare il rapporto tra Dio ed il suo popolo, l’Antico Testamento usava varie immagini, tra queste il rapporto tra uno sposo ed una sposa, per esprimere l’intensità amorosa tra Dio e la comunità dei suoi amici. Su questa linea si muovono il Cantico dei Cantici e i profeti Osea, Ezechiele e Isaia. Contrariamente alle osserva-
zioni di qualche studioso, Paolo aveva grande stima nell’istituto del matrimonio e riprendendo l’antica simbolica sponsale afferma: “come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto. E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei” (Ef 5,21-33). Nella reciprocità di amore tra un marito ed una moglie, si manifesta l’amore tra Dio e la sua Chiesa e mentre il marito ha il compito di proteggere la propria moglie, fino a donarle la vita, così l’amore di Dio per la Chiesa è grande fino al dono totale della propria vita nella morte di Cristo. D’altro canto, come la moglie è invitata a riconoscere l’amore oblativo del marito, così la Chiesa è invitata a lodare il suo Signore e a ringraziarlo per il dono totale del suo amore. Il Cantico dei Cantici presentava una figura mediativa tra lo sposo e la sposa e questo è l’amico dello sposo che nella tradizione antica aveva il compito di mediare il messaggio d’amore tra i due innamorati. Paolo si propone alla Chiesa con questo stesso ruolo, come l’amico di Dio-Sposo, a Lui offre il ruolo di mediatore per inviare alla sua Chiesa-Sposa il grande messaggio di salvezza proclamato dal Vangelo di Gesù. Lo afferma nella Seconda Lettera ai Corinti: “Io provo infatti per voi una specie di gelosia divina, avendovi promessi a un unico sposo, per presentarvi quale vergine casta a Cristo” (2 Cor 11,2). Fabio Ferrario 1 La Chiesa primitiva non aveva ancora la possibilità di radunarsi in appositi edifici, che oggi comunemente chiamiamo chiese, in quanto la persecuzione anticristiana impediva la manifestazione esterna del culto e solo dopo l’editto costantiniano di Milano (317), iniziò l’edilizia cristiana.
05 MA-mag.2009-impaginato(7)
22-04-2009
11:03
Pagina 13
Maria, donna di fede
/2
Spiritualità mariana
I
l Concilio Vaticano II ha raccomandato a tutti, ma specialmente ai teologi e ai predicatori, “di astenersi con ogni cura da qualunque falsa esagerazione, come pure dalla grettezza di mente, nel considerare la singolare dignità della Madre di Dio” (LG, 67). E più avanti ricorda anche ai fedeli che “la vera devozione non consiste né in uno sterile e passeggero sentimentalismo, né in una certa qual vana credulità, bensì procede dalla fede vera, dalla quale siamo portati a riconoscere la preminenza della Madre di Dio, e siamo spinti al filiale amore verso la Madre nostra e all’imitazione delle sue virtù”. Anche Santa Teresa di Gesù Bambino (Dottore della Chiesa nel 1997) ha avuto parole di rimprovero per i predicatori del suo tempo (solo del suo?). Ella affermava che tutte le prediche che lei aveva ascoltato su Maria l’avevano lasciata fredda, perché la Madonna così presentata non la sentiva vicina alla propria vita. “Perché una predica sulla Vergine Maria dia frutto è necessario mostrare la sua vita reale, così come il Vangelo ce la fa intravedere e non la sua supposta vita. Si capisce subito che la sua vita reale, a Nazaret, e anche più tardi dovette essere totalmente ordinaria... bisognerebbe dire che ella viveva di fede come noi e portare le prove dal Vangelo”. Così Teresa. Forse presagendo la prossima fine, aveva affidato ad una composizione poetica dal titolo «Perché ti amo, o Maria», il proprio testamento mariano. In questa lunga poesia di 200 ver-
si troviamo una vera sintesi della sua spiritualità mariana. Maria è per lei non tanto la regina, potente ma inaccessibile, gloriosa ma lontana tanto da risultare quasi estranea, ma è soprattutto una Madre, la Madre di Gesù, la Madre nostra. La maternità divina è il titolo più grande e importante della Madonna. La Maria di Teresa è quella che viene fuori dai Vangeli «mortale e sofferente» come noi, vicina ai suoi figli anche «deboli e peccatori», capace di «tacere e di nascondersi» umile donna tra le donne di Nazaret. Una Maria capace di «gioire e di piangere», tutta occhi e sollecitudine materna (a Cana) che si mescola alla povera gente per ascoltare suo Figlio, senza reclamare di diritto la prima fila. Una madre coraggiosa
e fedele nel proprio amore e dedizione alla causa del Figlio, fino ai piedi della croce. Nel proprio dolore condivideva il Suo dolore. Una madre molto terrena quindi, vicina nella vita quotidiana. Una madre premurosa non una regina solenne, una sorella non una sovrana. Una come noi, ma nello stesso tempo ben più di noi. Da seguire e imitare nella sua vita di fede (“viveva di fede come noi” dice Teresa), non solo da esaltare nelle processioni e nei santuari. Il cammino di fede di Maria nella sua adesione continua a Dio Lungo i secoli la metafora del cammino e del camminare è sta-
Nel pensiero di Santa Teresa, Maria è soprattutto la madre coraggiosa e fedele che si dedica interamente alla causa del Figlio, fino alla fine.
13
05 MA-mag.2009-impaginato(7)
22-04-2009
ta una delle più usate, da scrittori e poeti, per indicare la vita umana. La vita dell’uomo infatti è un lento e inesorabile cammino che scorre lungo i binari dell’inarrestabile tempo. La fatica poi di questo camminare è certamente alleviata dalla speranza di raggiungere la meta, dove si troverà riposo e sicurezza tra i propri amici. Ogni cristiano nella propria esistenza intraprende un cammino spirituale, che lo impegna tutta la vita. E questo camminare del credente è facilitato dal fatto che, nella fede, ciascuno di noi percorre la Via, che è Cristo. Ha inoltre la fondata speranza anzi la certezza (tanto più certa quanto più è forte la fede) di raggiungere la Meta, che è Dio stesso, operando il bene cioè vivendo quotidianamente nell’amore e per amore. Maria di Nazaret ha percorso lo stesso cammino spirituale. Bisogna anche ricordare che Maria è figlia del suo tempo e della sua cultura (il popolo ebraico), non è nata dal nulla. Ha vissuto cioè anche lei le due categorie antropologiche fondamentali: lo spazio e il tempo. I Padri della Chiesa poi amano ricordare che ella si pone come cernie-
11:03
Pagina 14
ra tra Antico e Nuovo Testamento. Ella conosceva le “grandi opere” di Jahwe fatte per Israele, conosceva le promesse di salvezza e viveva di fede in questo Dio.
mata di Dio e risposta dell’uomo, dono e compito, volontà di Dio sull’uomo e per l’uomo e volontà dell’uomo per Dio e con Dio.
La fede nell’Antico Testamento
La fede di Maria nell’Annunciazione e ai piedi della Croce
I verbi in ebraico che indicano la fede sono aman e betah. Il primo (da cui deriva la parola “amen”) significa “essere sostenuto, essere solido, essere certo, sicuro”, significa anche aver fiducia che Dio adempirà le sue promesse. Il verbo betah invece indica lo stato di sicurezza in cui si trova chi crede in Dio, nonostante tutto (vedi Abramo, Mosè, Geremia ecc.). Credere in Jahwe significa quindi “essere sicuro” di Dio, “riposare in lui” ed “essere tranquillo” circa il proprio futuro nonostante le apparenze contrarie o perfino l’apparente umana impossibilità (Abramo). Quindi la fede per il credente dell’Antico Testamento (anche per Maria) è fidarsi di Dio, contare totalmente su di lui, accettare (ubbidire a) la sua Parola e di conseguenza fondare la propria vita su Dio e sulle sue promesse. Fede quindi è chia-
Maria, è anzitutto la Madre di Dio; per questo può facilmente comprendere tutti i movimenti del cuore di una madre.
14
Anche Maria di Nazaret viveva di questa fede. E l’ha dimostrata nel punto centrale della sua vita, cioè nell’Annunciazione (e all’estremo del suo cammino di fede, ai piedi della Croce). Riguardo all’Annunciazione il biblista A.Valentini ha scritto: “La fede – unica possibilità di collaborare con Dio – è la chiave per penetrare la figura della Vergine Maria e il segreto della sua singolare maternità”. Come dirà Sant’Agostino “ella concepì prima nel cuore e poi nella carne”. E con la domanda “Come è possibile? Non conosco uomo?”. Maria si rivela una donna ricca di personalità e piena di concretezza: interlocutrice di Dio a nome dell’umanità. Il suo atteggiamento, esemplare sul piano della fede e della responsabilità, assume particolare significato, soprattutto in riferimento alla donna contemporanea. E così il suo “Eccomi, sono la serva del Signore” che è proprio l’inizio della Nuova Alleanza di Dio con l’umanità arriva dalla sua totale fede in Dio, e dalla sua totale adesione alla sua volontà. “Ci pare, comunque la si declini, che sia la fede la categoria trainante e interpretativa della condizione esistenziale della Madre del Signore. Ci si rapporti al mistero della sua «vocazione», ci si rapporti al concreto servizio della sua «missione», emerge a monte del suo auto determinarsi, del suo consentire all’azione di Dio e del suo spirito, l’orizzonte vitale e originario della fede, da cui germina in tutta la sua com-
22-04-2009
plessità la ricchezza e singolarità della sua risposta” (Cecilia Militello). Anche Romano Guardini accentua lo stesso pensiero: “Ciò che si esige da Maria è un passo che vada nell’impenetrabile, la fede pura. Sotto la guida di Dio, ella deve arrischiarsi il suo esser personale avventurandosi in qualcosa che è impossibile con presupposti puramente naturali” (in La Madre del Signore, p. 33). E più avanti: “Nell’ora dell’Annunciazione ella decide di esistere totalmente sulla base della fede. Fuor della fede, d’ora in poi, ella è nulla, e tutto ciò che ella è, è atto di fede”. E così la fede di Maria è dono di Dio e compito suo, grazia dall’alto e impegno nella vita, chiamata di Dio e risposta sua, vocazione e missione. E questo atteggiamento di fede totale sarà anche nell’ora suprema del Calvario, in cui Maria accetterà anche la modalità scandalosa a cui il Padre ha affidato la liberazione e la salvezza. Maria accoglie lo scandalo della croce. Lo fa suo in pienezza come creatura che sopra ogni cosa confida e si affida al suo Creatore (in Cecilia Militello, Maria, p. 236). Quella di Maria fu “la via della fede crocifissa” (così Giorgio Gozzelino), tutto, sempre con e per il Figlio Gesù. Dal “ramo” delle proprie certezze all’abbandono in Dio Un curioso racconto di A. De Mello illustra bene il significato di vivere di fede. Un ateo precipitò da una rupe. Mentre rotolava giù, riuscì ad afferrare il ramo di un alberello, e rimase sospeso fra il cielo e la roccia trecento metri sotto. Consapevole di non poter resistere a lungo, venne folgorato da un’idea: “Dio” urlò con quanto fiato aveva in gola. Silenzio. Nessuna risposta.
11:03
Pagina 15
Gridò di nuovo. “Dio! Se esisti salvami, ed io ti prometto che crederò in te e insegnerò agli altri a credere...”. Ancora silenzio. Subito dopo, stava quasi per mollare la presa per lo spavento nell’udire una voce possente che rimbombava nel burrone: “Dicono tutti così quando si trovano nei pasticci...”. “No, Dio, no” replicò l’ateo sempre in pericolo ma rincuorato. “Io non sono come gli altri. Non vedi che ho già cominciato a credere, solo perché sono riuscito a sentire la tua voce? Ora non devi fare altro che salvarmi ed io proclamerò il tuo nome fino ai confini della terra”. Riprese la voce: “E va bene, ti salverò. Staccati dal ramo”. “Come? Staccarmi dal ramo” urlò l’uomo sconvolto. “No, no. Non sono matto io”. Nella Bibbia invece troviamo una vera galleria di “matti” o “folli” per Dio (San Paolo si definiva “stolto a causa di Cristo”, 1Cor 4,10), di persone che si sono fidate della parola di Dio aggrappandosi al “ramo” solido che era Dio stesso. Così è stato anche per Maria di Nazaret. Il momento di massima grandezza ed anche l’inizio della sua peregrinazione nella fede fu nel pronunciare il suo famoso “fiat” all’annuncio di Gabriele. In quel momento Maria si staccò dal “ramo” delle proprie sicurezze umane e si lasciò cadere, con decisione libera e personale, nelle braccia di Dio. Noi purtroppo ci comportiamo diversamente da lei. “Di fronte alla manifestazione di un progetto da parte del Signore noi vorremmo ragionarci sopra, elaborarci Santa Famiglia, Raffaello Sanzio (1507). Museo del Prado, Madrid.
05 MA-mag.2009-impaginato(7)
Maria realizza la sua maternità verso Cristo come una normalissima mamma del suo tempo, prestandole tutte quelle cure necessarie per la sua crescita corporale e spirituale.
tutta una serie di idee, discutere, esaminare attentamente ogni lato della questione, illustrare i nostri punti di vista, anche quando Lui non ce li richiede. Ed, eventualmente, solo dopo aver chiarito ogni dubbio, risolto ogni difficoltà, dissipata qualsiasi incertezza, disporre all’ubbidienza” (A. Pronzato). E restiamo attaccati al “ramo” del nostro semplice ragionare umano, troppo umano. Non facciamo, per troppi calcoli, il salto nel “campo” di Dio e non entriamo con decisione nel suo “progetto”, come Abramo, Maria e i santi. Concludo con il grande Agostino. Per lui credere è “fidarsi di Cristo e donarsi a lui”. Questo è stato fatto in maniera vertice da Maria di Nazaret, la Madre di Gesù. Mario Scudu 15
05 MA-mag.2009-impaginato(7)
I Novissimi
22-04-2009
11:03
Pagina 16
/12
Celebrazione
In cammino verso le ultime realtà POSSIAMO GIOVARE AI DEFUNTI? Il valore della Messa
S
e non vogliamo passare per il Purgatorio, l’unica via è quella di purificare qui in terra la nostra anima, con una buona confessione e la comunione e un atto di dolore perfetto, così potremo vedere subito, dopo la nostra morte, il volto di Dio. Ma non essendo sicuri se quando ci presenteremo al giudizio di Dio avremo la bella veste nuziale per essere presentati subito al Padre, o se prima ci toccherà una buona purificazione, allora supplichiamo i nostri cari perché preghino per noi dopo la nostra morte. E non dimentichiamoci mai di pregare noi stessi per tutti i defunti. Come si disperano e soffrono terribilmente gli emigranti in vista ormai del porto sospirato, mentre non possono ancora sbarcare a motivo del mare in forte burrasca, così le anime sante del Purgatorio, soffrono desiderose di gustare al più presto possibile l’abbraccio del Padre. Preghiamo dunque per le anime sante del Purgatorio, soprattutto con la Santa Messa. Esse, una volta in Paradiso, sapranno ricompensarci. Ci fu sempre insegnato che non c’è preghiera più efficace per noi e per le anime del Purgatorio che la Santa Messa. Perché lì c’è Gesù in persona che si offre per noi al Padre: è lui che prega per noi con un valore infinito. Ecco che cosa dice il compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica al numero 211: “Come possiamo aiutare la purificazione delle anime del Purgatorio? In virtù della comunione dei santi, i fedeli ancora pellegrini sulla terra possono aiutare le anime del Purgatorio offrendo per loro preghiere di suffragio,
16
in particolare il Sacrificio Eucaristico, ma anche elemosine, indulgenze e opere di penitenza”. La Messa è il Memoriale perenne che Cristo ha messo nelle nostre mani: il Corpo di Cristo è la caparra della vita eterna, il suo Sangue è la remissione dei nostri peccati. L’Agnello di Dio toglie il peccato del mondo: è vinta la morte, è rimesso e cancellato il peccato. Ricordati dei nostri defunti “Ricordati, Padre...”, mio Dio, tu ci permetti, come fa un buon padre, di dirti: “ricordati”, come se tu non avessi presente davanti a te tutti i tuoi figli, vivi e defunti, e tutti i loro bisogni. E allora ti diciamo: Ricordati dei nostri fratelli e sorelle, che si sono addormentati nella speranza della Risurrezione e di tutti i defunti che si affidano alla tua clemenza, ammettili a godere la luce del tuo volto (Canone II). Questa preghiera viene recitata dal sacerdote a nome di tutti i fedeli. Siamo dunque lì tutti attorno all’altare e tutti innalziamo al Padre questa accorata preghiera, insieme a Gesù. Non esiste intercessione più grande di questa in favore dei nostri defunti. Che cosa dunque chiediamo al Padre celeste? Lo supplichiamo di scontare benevolmente i debiti che i defunti devono pagare per uscire dal Purgatorio ed entrare in Paradiso. E sì, perché quando uno muore in grazia di Dio, ha sempre qualche residuo di pena o di conto da pagare, o macchie da pulire, o polvere da eliminare. Le anime che passano per il Purgatorio soffrono grandemente perché non possono ancora essere ammesse alla visione beatifica della SS. Trinità, che esse hanno appena intravisto: allo
05 MA-mag.2009-impaginato(7)
22-04-2009
11:03
specchio della loro coscienza, non si vedono ancora così pure e sante da essere introdotte al cospetto del Dio altissimo. E tutto ciò devono sopportare per essere purificate e poter indossare la veste nuziale. Qui possiamo intervenire noi che crediamo nella vita eterna e nella Risurrezione. Per questo bisogna ricorrere ai meriti di Gesù, unico Salvatore dei vivi e dei defunti. Ma è soprattutto nella Santa Messa che noi presentiamo al Padre i nostri defunti, perché, per il prezioso Sangue di Cristo, tutti i defunti, secondo il beneplacito del Padre, vengano rivestiti della veste nuziale e così far festa con tutti gli angeli e i santi. Tutto ciò viene operato nella Santa Messa. Quanto chiediamo nella celebrazione eucaristica non è soltanto in favore di coloro che si sono addormentati nella speranza della Risurrezione, ma anche di tutti gli altri defunti che nel loro cuore, prima di morire, si sono pentiti dei loro peccati e si sono affidati alla clemenza di Dio. E quale grazia chiediamo al Padre? Lo supplichiamo di ammetterli a godere la luce del suo volto. Preghiamo con il Salmo 62 Rit.: Ha sete di te, Signore, l’anima mia. O Dio, tu sei il mio Dio, dall’aurora io ti cerco, ha sete di te l’anima mia, desidera te la mia carne. Rit. Così nel santuario ti ho contemplato, guardando la tua potenza e la tua gloria. Poiché il tuo amore vale più della vita, le mie labbra canteranno la tua lode. Rit. Quando penso a te che sei stato il mio aiuto, esulto di gioia all’ombra delle tue ali. A te si stringe l’anima mia: la tua destra mi sostiene. Rit. I nostri suffragi Dunque il mezzo migliore per suffragare le anime del Purgatorio è la Santa Messa, e in particolare la celebrazione delle trenta Messe gregoriane, così chiamate dal nome dell’istitutore della pia pratica, San Gregorio Magno. Nei suoi famosi “dialoghi” il santo racconta questo episodio: Quando egli era ancora abate dovette prendere dei provvedimenti a carico di un suo monaco. Alla morte di costui il santo fece celebrare l’Eucaristia in suo suffragio per trenta giorni consecutivi, senza omettere un sol giorno. Al trentesimo giorno il defunto monaco apparve a un suo confratello annunziando: «finora ho sofferto, ora però sto bene».
Pagina 17
Il monastero di Cluny conservò e diffuse questa pia pratica, approvata dalla Chiesa, in tutto il mondo cristiano. I nostri fedeli sanno che non c’è soltanto questa pratica in favore dei nostri cari defunti. Alla morte di ogni credente si suole recitare il santo rosario, quindi la Messa “presente cadavere”, e l’aspersione con l’acqua benedetta, l’onore alla salma con l’incenso, e la partecipazione dei parenti e di tanti fedeli. Poi vengono le Messe del giorno trigesimo, quelle annuali e tante altre secondo la devozione dei propri cari. E non basta. In favore delle anime sante del Purgatorio, tutte le volte che noi partecipiamo alla Santa Messa, possiamo unirci al sacerdote celebrante nel momento nel quale dice: Ricordati dei nostri fratelli e sorelle, e qui mettere le nostre intenzioni particolari. Inoltre giovano moltissimo alle anime sante la recita del rosario, le preghiere varie, la visita ai cimiteri, le elemosine, le indulgenze plenarie, le opere buone, le adozioni a distanza: quando in tutti questi casi mettiamo l’intenzione di giovare alle anime del Purgatorio. E non dimentichiamoci della Madre di Gesù, venerata e invocata con il titolo di Madonna del Suffragio. Dicendo l’Ave Maria noi la supplichiamo perché si interessi di noi con la sua forte preghiera: Prega per noi peccatori adesso e nell’ora della nostra morte. Preghiera Fratelli, lodiamo il nostro Salvatore, adoriamo questo pane consacrato, è il vero corpo di Cristo Signore, misticamente offerto in Croce. Lo contempliamo tutto martoriato mentre il suo Sangue prezioso sgorga abbondante dal suo petto e ci copre infiammandoci il cuore. O Corpo e Sangue del Figlio di Maria nulla vi è di più prezioso in terra, rivestici, o Madre, delle sante piaghe così brillanti e belle del tuo Gesù. Don Timoteo Munari 17
05 MA-mag.2009-impaginato(7)
22-04-2009
Musica e Fede
11:04
Pagina 18
L’irreparabile sc o del male BORIS GODUNOV
BORIS GODUNOV
I più grandi mali si sono sempre infiltrati nella vita degli uomini sotto la fallace apparenza del bene. Erasmo da Rotterdam (1466-1536) umanista olandese
N
el viaggio intorno alla musica russa è capitato varie volte il riferimento a Boris Godunov, uno dei massimi capolavori musicali di ogni tempo. Questo enorme spartito nel quale confluiscono, come in un immaginario Volga, tutti i sentimenti dell’animo russo (religione, senso nazionale e patriottico, affetti familiari, culto dell’onestà, accettazione della sofferenza), esprime anzitutto l’assurdità e l’inevitabile disastro della scelta del male come mezzo per emergere. L’Autore è Modest Petroviˇc Musorgskij (Pskov 1839 - Pietroburgo 1881), animo tormentato e inquieto, di intelligenza portentosa e di entusiasmo e generosità illimitati. Incapace di liberarsi dal tremendo vizio del bere, morì per un collasso e lasciò incomplete le sue cinque opere, delle quali soltanto due, Boris e Kovàncina, vengono oggi costantemente rappresentate. Musorgskij aderì con fervore alla corrente nazionalista musicale di Pietroburgo, che, in netta opposizione alla tendenza occidentalizzante di Mosca, intendeva affrancarsi dal predominio del melodramma italiano e francese, che durava da sempre, e dare vita ad una scuola musicale come espressione fedele dell’anima popolare. Per una serie 18
di circostanze, e per il suo spirito russo, fu colpito dalla tetra vicenda dello Zar Boris Godunov, e volle dimostrare con la musica quanto siano catastrofici l’inganno e il delitto. La crudeltà e la morte dello zar Boris erano state magistralmente riassunte in tragedia di stile shakesperiano da Aleksandr Sergeeviˇc Puškin (1799-1837) nel 1825. Un’opera per il popolo Musorgskij stesso compose il libretto, condensando in 4 atti il vasto lavoro puskiniano (1868). Nacque così la prima stesura del Boris, terminata tra il 1869-70 e presentata al Teatro Imperiale di
Pietroburgo, che la rifiutò senza esitazione. Si trattava di una proposta musicale troppo debitrice al sentire comune del popolo. Musorgskij non si diede per vinto, e ripresentò nel 1872 una seconda versione, ancora respinta. Grazie infine all’interessamento di alcuni critici, che compresero la novità e la genialità della partitura, il Teatro Marijnskij di Pietroburgo decise di rappresentare integralmente l’opera (prologo e 4 atti), che andò in scena il 27 gennaio 1874 (secondo l’antico calendario ortodosso corrispondente all’attuale 8 febbraio), diretta dal valente compositore Eduard Francevi Nàpravnik (1839-1916). L’opera suscitò enorme consenso e commozione
La grande intuizione di Musorgskij è quella di pensare un’opera vicina al sentire comune del popolo.
05 MA-mag.2009-impaginato(7)
22-04-2009
c onfitta nel pubblico, che ben si riconosceva nella sofferenza del popolo del XVI secolo schiacciato dalla miseria e dallo strapotere dei nobili. Ma l’avversione della critica fu totale. Il grande avversario della musica nazionaliˇ sta era Cajkovskij, uno tra i più eccelsi musicisti di ogni tempo: giudicò negativamente, e in modo inappellabile, l’opera. Anche dai colleghi del “Gruppo dei Cinque”, la scuola che portava avanti il tema della musica popolare russa, Musorgskij non ebbe grande appoggio, proprio per la novità estrema del suo lavoro. Ancor più del “sovversivo” Puškin, l’opera accentuava l’immagine del popolo oppresso e sfruttato, vittima degli intrighi e delle lotte dei potenti, e lo elevava a protagonista corale, sviluppando polifonicamente aderente e con potente respiro melodico i canti popolari. La musica riesce in modo mirabile a rendere il carattere dei personaggi col massimo rilievo e caratterizza l’epoca del dramma secondo la vicenda storica, divenuta leggenda. Il Boris è l’opera più audace prodotta dalla scuola russa e anche la più vicina al tipo ideale di dramma lirico sognato dai riformatori del XX secolo. Deve qualcosa, forse non poco, all’opera italiana: nel 1862, per il Teatro di Pietroburgo, Verdi compose La forza del destino, su richiesta addirittura dello zar Nicola I; Musorgskij non ne dimenticò talune caratterizzazioni di sicuro effetto teatrale. Largamente mutilato per ordine delle autorità imperiali, spaventate dalle scene troppo “rivoluzionarie”, il Boris rimase in
11:04
Pagina 19
La musica di Musorgskij fu molto in anticipo sul suo tempo, sia sul piano ritmico che quello armonico: in particolare nei fraseggi vocali e strumentali si riscontra la tendenza a riprodurre le inflessioni del parlare quotidiano della lingua russa.
scena a Pietroburgo fino al 1881 e giunse a Mosca nel 1888. La difficoltà di reperire cantanti adeguati all’impervio spartito, la mancanza di una completa orchestrazione (dovuta al malfermo stato di salute dell’Autore e alla sua morte prematura) e l’ostilità dei musicisti e della nobiltà, ne provocarono la scomparsa dalle scene. Soltanto nel 1896 Nikolaj Rimskij-Korsakov la riorchestrò completamente, secondo lo stile brillante di fine secolo. Nel 1940, infine, fu Dmitrij Sostakoviˇc (1906-75) a realizzare una nuova orchestrazione, più fedele all’originale. Nel frattempo è tornato alla luce il Boris autentico, con la sua pur sommaria orchestrazione di colore scuro, pienamente corrispondente al senso della tragedia. La storia dello zar Boris Boris Godunov fu zar di tutte le Russie dal 1598. Alla morte di Ivan IV il Terribile (1584), di cui Boris fu consigliere, rimanevano due eredi: Fëdor, figlio di primo letto, e Dmitrij, nato dall’ultimo matrimonio del
Terribile. La corona toccò a Fëdor, minato da follia. Occorreva perciò un reggente, e questi fu Boris Godunov, abile politico, che Ivan aveva avvicinato al trono dando in moglie all’inetto Fëdor la sorella di Boris, Irene. Nel 1591 il piccolo Dmitrij venne trovato con la gola squarciata. Nel 1598 morì anche Fëdor, e quindi la strada al trono fu aperta a Boris, cognato del defunto zar. Ma il piccolo Dmitrij, erede legittimo, si era davvero ferito, essendo notoriamente epilettico, o era stato fatto eliminare da Boris per assicurarsi il potere? La fantasia dei nobili e del popolo cominciò a lavorare. Si disse che lo zar Boris aveva invano tentato di uccidere il piccolo, ma questi si era salvato, era cresciuto sotto il falso nome di Grigorij ed era novizio in un convento in Polonia. Ora costui riappare e rivendica il trono, si sposa con un’ambiziosa polacca cattolica, tramite le subdole manovre di un gesuita italiano che sogna di riportare la Russia alla religione cattolica. Nel 1605 muore lo zar Boris a soli 53 anni, folle dal rimorso per aver fatto scannare il piccolo Dmitrij. 19
05 MA-mag.2009-impaginato(7)
22-04-2009
La tragedia del dramma di Musorgskij induce a profonde riflessioni sulla natura del male e sulla capacità dell’uomo di volgere al bene il corso della storia.
Questo il quadro storico, alterato dalla leggenda, su cui si basa l’opera. Sulla colpevolezza di Boris non vi è alcuna certezza: il piccolo Dmitrij si uccise veramente, causa la sua malattia. Lo zar governò con capacità, non morì di follia, restaurò l’amministrazione dello Stato e fu sovrano giusto e mite. Dovette fronteggiare la nobiltà gelosa e un usurpatore da essa istigato, tal Grigorij, che dichiarava di essere Dmitrij. La sua morte fece precipitare la situazione politica e sociale della Russia: i generali passarono dalla parte del falso Dmitrij, che venne incoronato e ucciso dopo un anno; sul trono si succedettero prima i nobili, poi il re di Polonia Sigismondo e infine Michele Romanov, fondatore della nota dinastia. L’ultimo atto presenta l’infelice popolo (una scena corale uni20
11:04
Pagina 20
ca al mondo per grandiosità e bellezza) che soffre miseria e fame e odia la nobiltà sfruttatrice. Chi paga il prezzo delle oscure trame di potere e di delitti, è sempre il popolo, è sempre la Russia, sulla quale un povero demente, reso tale dalla fame e dal freddo, intona un canto di irresistibile dolcezza, piangendo l’infelice patria e la misera sorte dei potenti e dei poveri, accomunati da un tragico destino di disperazione e di morte. Non vi sono parti facili in Boris: il protagonista, basso, è stato interpretato dai più grandi cantanti del mondo, così come tutti gli altri. Non è un’opera nella quale emerga una sola voce (vi sono oltre quindici voci principali). Nel secondo atto lo zar canta per circa mezz’ora, iniziando con un’aria formidabile per introspezione psicologica e ampiezza di suoni; la sua mente, offuscata dal rimorso del fanciullo uc-
ciso, impazzisce vedendo il fantasma del piccolo. Le incisioni discografiche sono una quarantina. Scegliendo tra le “pietre miliari” si ricordano la versione in un improbabile italiano del maestro Ettore Panizza (1939), protagonista Ezio Pinza, basata sulla prima versione; poi quella, stupenda, del 1970, protagonista Nicolai Ghiaurov e diretta da Herbert von Karajan (del quale si ricorda il 20º della scomparsa, il 16 luglio 1989), basata sulla versione Rimskij-Korsakov; infine la produzione di Claudio Abbado, messa in scena per la Scala e poi per il Covent Garden (1979-83), con la regia di Andrei Tarkovskij. Forse l’edizione migliore della truce storia dello zar è quella che può fare il credente, ripudiando ogni forma di compromesso e aderendo totalmente alla verità e alla giustizia del Regno di Dio. Franco Careglio
PIER LUIGI CAMERONI
AVE MARIA AUSILIATRICE! Editrice Elledici, pagine 72, € 4,50 La prima parte del libro offre spunti per la preghiera, valorizzando in modo speciale l’iniziativa, promossa da Benedetto XVI, di una cordata di preghiera per la Cina proprio nella memoria di Maria Ausiliatrice; viene inoltre proposto il commento al santo Rosario alla luce dell’esortazione apostolica di Paolo VI Marialis Cultus. La seconda parte propone una serie di catechesi a sfondo mariano orientate a sottolineare l’azione materna di Maria nell’aiutare a crescere nella vita cristiana. Nella terza parte viene presentata in particolare la grande devozione all’Ausiliatrice da parte di Don Bosco. Inoltre vengono offerte alcune esperienze di vita che evidenziano come Maria, in modi diversi, è presente e opera nella vita delle persone. In appendice, una presentazione dell’Associazione di Maria Ausiliatrice (ADMA), secondo gruppo della Famiglia Salesiana fondato da Don Bosco.
05 MA-mag.2009-impaginato(7)
L’ADMA nel mondo
22-04-2009
11:04
Pagina 21
INSERTO
XXVII Giornate di Spiritualità della Famiglia Salesiana (Roma, 22-25 gennaio 2009)
(9a parte)
A
nche quest’anno la nostra Associazione (con re michelite” è stata fondata, sul finire del XIX seoltre 30 soci) ha partecipato alle XXVII colo, dal beato Don Bronislao Markiewicz e dalla Giornate di Spiritualità della Famiglia SaServa di Dio Madre Anna Kaworek. lesiana, annuale appuntamento dei rappresentanti dei Cuore della riflessione di queste giornate è la diversi gruppi della famiglia iniziata da Don Bosco, Strenna, messaggio che ogni anno i Rettori Magsvoltosi a Roma dal 22 al 25 gennaio. Oltre ai 4 prigiori, continuando la tradizione avviata da Don Bomi gruppi originari, Salesiani, Figlie di Maria Ausco, consegnano ai membri della Famiglia. La Strensiliatrice, Salesiani Cooperatori e ADMA, fondati na di quest’anno è dedicata proprio alla Famiglia dallo stesso Don Bosco, sono stati presenti memSalesiana: “Impegniamoci a fare della Famiglia bri degli altri 22 gruppi di questo “grande movimento Salesiana un vasto movimento di persone per la di persone al servizio della salvezsalvezza dei giovani”. za dei giovani”, come sottolinea Sono passati 150 anni da quando Il clima delle Giornate è stato Bosco ha fondato la Congregaspesso Don Pascual Chávez, Rettor Don zione Salesiana. Ora il suo carisma particolarmente carismatico, graMaggiore dei Salesiani e, in quan- si estende in tutto il mondo. La Fa- zia anche alla forte presenza del to successore di Don Bosco, padre miglia Salesiana conta numerosi Rettor Maggiore che già nella Buoche si rifanno allo spirito di e centro di unità della Famiglia Sa- gruppi na Notte del primo giorno, comDon Bosco. lesiana. Tre Gruppi sono stati ricomentando il video della strenna, nosciuti proprio in concomitanza con intensa passione affermava: con questo evento: Canção Nova, “Sono fiero di essere salesiano e in un movimento di laici internaziomodo particolare di essere della Fanale impegnato nella evangelizzamiglia Salesiana”. Il Rettor Magzione, in modo particolare attragiore così ha introdotto il suo mesverso i mezzi di comunicazione, saggio ai rappresentanti dei divernato nel 1978 da 12 giovani guidasi gruppi della Famiglia Salesiana, ti da un sacerdote salesiano, Don Jomessaggio nel quale ha anche fatnas Abib; “The Disciples”, o Istito riferimento al “bisogno di partuto secolare Don Bosco, una astire dalla Spiritualità per cosociazione pubblica ecclesiale mastruire la comunione in vista delschile e femminile nata in India nel la missione”. Con il Rettor Mag1973 da una ispirazione del salegiore è doveroso ricordare l’impesiano Don Joseph D’Souza. I Digno e l’animazione di Don Adriascepoli, traendo ispirazione dal brano Bregolin, Vicario del Rettor no evangelico della missione che Maggiore e animatore della FamiGesù affida ai 72 discepoli, sono glia Salesiana. dediti alla proclamazione del VanDon Juan José Bartolomé, ha gelo, all’insegnamento del catechiarricchito la riflessione guidando i smo, alla cura degli ammalati e al partecipanti nella lettura biblica, alservizio dei poveri. La Congregala luce della sensibilità salesiana, zione delle Suore di San Michele della parabola del granello di seArcangelo, chiamate anche “suonapa, icona evangelica richiamata 21
05 MA-mag.2009-impaginato(7)
22-04-2009
11:04
dal Rettor Maggiore a commento della Strenna. “Nata dalla grazia di Dio, la Famiglia Salesiana sarà grazia di Dio per i giovani se vive riconoscendo – e proprio perciò riconoscente – che nella sua esistenza Dio è presente attuando la sua salvezza ‘come il granellino di senapa’. Vivere come Famiglia la comune vocazione salesiana è la prova di avere capito i misteri del Regno e di poter capirci come recettori del dono di Dio.” La riconsegna ai diversi gruppi della Carta di Comunione della Famiglia Salesiana, documento non nuovo, ma bisognoso di costante attenzione, è stata fatta in modo condiviso dal sig. Roberto Lorenzini, dell’Associazione dei Salesiani Cooperatori, Don Pierluigi Cameroni, Salesiano e Animatore spirituale dell’ADMA, e Sr. Carmela Santoro, Figlia di Maria Ausiliatrice. Insieme hanno evidenziato come Don Bosco, docile all’azione di Dio, sia all’origine della Famiglia Salesiana diventando il promotore di quel carisma che, coniugandosi con stili, esigenze, culture ed epoche diverse, ha ispirato varie realtà ecclesiali. I tanti gruppi della Famiglia salesiana sono chiamati a costruire una comunione di reciproca conoscenza e rispetto, partendo dalla contemplazione dell’icona della Trinità, modello di ogni comunione. Hanno fatto seguito, come esempio concreto di comunione, due testimonianze. A San Severo, cittadina in provincia di Foggia, e nel nord-est dell’Italia i Salesiani, le Figlie di Maria Ausiliatrice e i Cooperatori, operano in maniera concorde in collaborazione con le realtà sociali e diocesane
Pagina 22
nel primo caso e con progetti mirati per i giovani nel secondo. Nei pomeriggi hanno avuto luogo lo Spazio Meeting e il Laboratorio. Divisi in gruppo i 330 partecipanti sono stati invitati, confrontandosi con gli interventi proposti nelle mattinata, a prendere coscienza della dimensione ecclesiale e carismatica della Famiglia Salesiana individuando percorsi per crescere nella comunione. La giornata del 23 si è conclusa con una serata di festa attorno al IX Successore di Don Bosco, Don Pascual Chávez. Madre Yvonne Reungoat, Superiora delle Figlie di Maria Ausiliatrice, ha offerto ai partecipanti il pensiero della Buona Notte, con una comunicazione tutta mariana. La giornata del 24 gennaio è stata caratterizzata dal ricordo di San Francesco di Sales, santo a cui Don Bosco si è ispirato e dal quale deriva il nome e lo stile dei Salesiani e dell’intera Famiglia Salesiana. È stata fatta la presentazione della “Carta della Missione” da parte della sig.na Pina Bellocchi VDB, da Don Angelo Santorsola, salesiano, e da Maritza Valentiner, dell’Associazione Damas Salesianas. I tre relatori hanno sviluppato questo secondo documento di riferimento per i gruppi della Famiglia Salesiana mettendo in evidenza i rischi da evitare e le sfide da vincere. La seconda relazione è stata tenuta da Don Pascual Chávez, Rettor Maggiore dei Salesiani, che ha presentato il suo commento alla Strenna 2009. Don Chávez, commentando il testo dello storico verbale del 18 dicembre 1859, nel quale si sancisce la nascita della Congregazione salesiana, ha precisato che in esso è presente non solo il seme dell’orDal 22 al 25 gennaio si è tenuta a Roma la XXVII Giornata di Spiritualità del- dine religioso, ma anche quello la Famiglia Salesiana. 26 erano i gruppi che hanno aderito a questo gioioso dell’intera Famiglia Salesiana. Il evento. successore di Don Bosco nel suo intervento ha invitato la Famiglia Salesiana “ad acquisire una nuova mentalità, a cambiare il paradigma, a pensarsi ed agire sempre come Movimento”, un cambio che significa tre cose: “intenso spirito di comunione”, “unione di cuori, oltre ad uno spirito di comunione con convinta volontà di sinergia” e “unità di intenti e con matura capacità di lavorare in rete”. Nella serata del 24 i partecipanti alle giornate si sono portati a Genzano di Roma. Qui hanno assistito al musical su Don Bosco “Andiamo Ragazzi!” promosso dalla Famiglia Salesiana del Piemonte e della Valle d’Aosta e realizzato dalla Compagnia Teatrale “L’Alfa e l’Omega de Joanne Bosco”. 22
05 MA-mag.2009-impaginato(7)
22-04-2009
11:04
Il Rettor Maggiore, Don Pascual Chavez, ha sottolineato il bisogno di partire dalla spiritualità per costruire la comunione in vista della missione.
Due gli appuntamenti che hanno caratterizzato l’ultima giornata di Spiritualità della Famiglia Salesiana, domenica 25 gennaio: l’Eucaristia domenicale, presieduta dal Rettor Maggiore, e la conclusione svoltasi nell’aula magna del Salesianum. Don Chávez, commentando le letture della III domenica del tempo ordinario, ha indicato ai presenti la necessità di convertirsi e credere così come richiesto da Gesù nel brano evangelico. I 18 giovani che seguirono Don Bosco nella fondazione della Congregazione salesiana sono come i primi quattro apostoli che hanno risposto alla chiamata di Gesù: “Ecco quanto Don Bosco si attende della sua famiglia spirituale ed apostolica: un gesto simile a quello del gruppo di giovani che radunati nella sua camera il 18 dicembre del 1859, 150 anni or sono, decisero di lasciare i propri sogni e progetti per fare proprio il sogno e il progetto suo: la salvezza dei giovani. Anche loro, lasciato tutto lo seguirono”. Successivamente, in asAlcuni momenti dei lavori delle Giornate di Spiritualità Salesiana.
Pagina 23
semblea, i rappresentanti della Famiglia Salesiana hanno condiviso le conclusioni e i contributi emersi dai lavori di gruppo. Tre gli atteggiamenti ai quali i singoli e i gruppi della Famiglia Salesiana sono chiamati: ampiezza del cuore, accoglienza della diversità e camminare insieme verso un traguardo condiviso. È stata richiesta una formazione condivisa che contempli la spiritualità salesiana, i temi etici, la questione sociale e politica. Diverse le iniziative e i campi di azione indicati perché ciò si realizzi. Don Chávez nel riconsegnare ai gruppi della Famiglia Salesiana le conclusioni e i suggerimenti presentanti in sala, ha espresso un suo sogno: aprire presso l’opera di Cremisan, in Israele, un centro di formazione internazionale della Famiglia Salesiana, gestito in collaborazione tra i diversi gruppi. Un secondo desiderio, espresso dal Rettor Maggiore e per il quale ha dichiarato il suo impegno perché si realizzi, è quello di giungere ad un riconoscimento ufficiale della Famiglia Salesiana da parte della Santa Sede. Perché questo si realizzi, ha precisato Don Chávez, è necessario scrivere una “Carta della Famiglia Salesiana” che presenti con chiarezza la sua identità. Per tutto questo il Rettor Maggiore ha ricordato come sia necessario che il “Bosco salesiano venga irrigato con il sangue dei martiri, il sudore della fatica e le lacrime della sofferenza”. “Don Bosco è un ‘padre’ che ha generato figli che proseguono ancora oggi la sua esperienza carismatica e spirituale”, ha detto il Rettor Maggiore non esitando a paragonare Don Bosco ai patriarchi del Vecchio Testamento, perché trasmettitore di una fede e di benedizioni. Il santo torinese è un fondatore non solo in senso storico e giuridico, – a lui si devono i 4 gruppi originari della Famiglia Salesiana: i Salesiani, le Figlie di Maria Ausiliatrice (con S. Maria Mazzarello), i Salesiani Cooperatori e l’Associazione di Maria Ausiliatrice (il Rettor Maggiore, rifacendosi anche alle ricerche storiche di Don Pietro Braido, ha sottolineato con forza il fatto che Don Bosco ha fondato l’ADMA) – ma anche in senso teologico: promotore di un carisma che si diversifica nei vari gruppi della Famiglia Salesiana. Don Bosco è anche il precursore di una via di santità che è stata percorsa da uomini e donne, religiosi e laici, adulti e giovani, vescovi. L’assemblea si è sciolta sulle note allegre della canzone “Siamo Salesiani” tratta dal recital “Andiamo ragazzi” apprezzato la sera precedente dai partecipanti alle Giornate della Famiglia Salesiana. Don Pier Luigi Cameroni 23
05 MA-mag.2009-impaginato(7)
22-04-2009
88
Santuari mariani CARAVAGGIO (BG) Santuario Santa Maria del Fonte Indirizzo: Portici Santuario 10 Tel: 0363.35.71 Diocesi: Cremona Calendario: Festa solenne il 26 maggio, anniversario dell’apparizione mariana. Sono, inoltre, celebrate l’Annunciazione, 25 marzo; l’Assunzione, 15 agosto; la Natività di Maria, l’8 settembre e l’anniversario dell’incoronazione della Madonna, avvenuta il 29 settembre 1710. Note: La Basilica e i quattro piazzali sono circondati da una serie di portici, con duecento arcate.
Il 26 maggio, nei prati di Mazzolengo, apparve la Madonna a Gannetta Varoli di 32 Il Santuario di Santa Maria del Fonte di Caravaggio.
24
11:04
Pagina 24
Santuari della Lombard i anni, e le diede l’incarico di portare un messaggio di pace ai governanti, invitandoli a costruire una cappella sul luogo dell’apparizione. Sul luogo venne trovata anche una fonte, mai vista prima di allora e che tuttora scorre. Filippo Maria Visconti fece subito costruire una chiesa che, consacrata nel 1451, fu poi ampliata e ricostruita anche per volere di San Carlo Borromeo. Furono costruiti anche un ospedale per i poveri e gli ammalati ed una casa per l’infanzia abbandonata. L’architetto Pellegrino Tibaldi iniziò i lavori nel 1575 e terminarono soltanto nel 1700. La chiesa è a pianta quadrata, con due facciate e due bracci ai lati, preceduti da portici. La cupola è solenne, con lanternino. L’altare maggiore, ricco di marmi ricchi, su disegno iniziale di Filippo Juvarra, è sormontato da un tempietto a otto colonne di Carlo Merlo e degli scultori Sampietro e Melone. Le statue che ornano l’altare rappresentano le virtù della Fede, Speranza, Carità, Umiltà. Dall’altare maggiore, attraverso due scale laterali si accede al sacro speco, posto sopra il luogo dell’apparizione, con il gruppo statuario in legno, opera del Moroder, della Val Gardena (1932). Le decorazioni interne sono opera di Giovanni Moriggia e Luigi Cavenaghi. Moriggia dipinse la Vergine in gloria nella cupola, nel transetto la splendida Immacolata, la Natività di Maria, l’Assunta e nelle controfacciate l’Annunciazione, la Vi-
La Vergine appare a Giannetta Varoli il 26 maggio 1432 quando questa si trovava fuori dall’abitato lungo la strada verso Misano, ed era tutta presa dal pensiero di come avrebbe potuto portare a casa i fasci d’erba che lì era venuta a falciare per i suoi animali.
sitazione, la Nascita di Gesù; mentre gli affreschi della volta sono di Luigi Cavenaghi: Isaia, Geremia, Davide, Salomone. Inoltre i Santi Dottori della Chiesa latina: Ambrogio, Agostino, Gregorio e Leone Magno.
05 MA-mag.2009-impaginato(7)
d ia
22-04-2009
11:05
Pagina 25
/4
La navata maggiore presenta la facciata dell’organo e la balconata della cantoria, scolpita in legno dai fratelli Carminati di Caravaggio (1739-1747). Sui fianchi della bellissima Basilica si aprono otto cappelle. La sacrestia è un complesso di pitture, legni, intagli e stucchi. Sulle pareti sono narrati i racconti della vita di Maria, opera di Giuseppe Procaccini (1698), con le figure dei dodici Apostoli, mentre sul soffitto è rappresentata l’Assunzione della Vergine. Il luogo più visitato del complesso è il Sacro Fonte, a cui si accede dall’esterno del Santuario. CASALMAGGIORE (CR) Santuario Madonna della Fontana Frati Minori Cappuccini Indirizzo: Viale del Santuario 2 Tel. 0375 42.279 Diocesi: Cremona. Calendario: Vengono celebrate le solennità mariane dell’Annunciazione (25 marzo), festa patronale, e l’Assunzione (15 agosto), anniversario dell’Incoronazione dell’effigie mariana avvenuta nel 1963.
La miracolosa immagine della Madonna che allatta il Bambino fu oggetto di culto fin dall’VIII secolo, quando doveva esserci un affresco su un muro prospiciente un pozzo. Il primo ti-
La facciata romanica del Santuario della Madonna della Fontana a Casalmaggiore costruito nel 1463.
tolo «Madonna al Pozzo» fu poi cambiato in «Madonna della Fontana». Un primo eclatante Immagine della Vergine venerata a Casalmaggiore.
miracolo avvenne nel 1320: un povero cieco, dopo essersi bagnato gli occhi con l’acqua del pozzo della Madonna, istantaneamente riacquistò la vista. In ringraziamento i casalesi costruirono un primo tempietto ottagonale. La costruzione dell’attuale Santuario fu decisa dopo un altro clamoroso miracolo avvenuto nel 1463: la guarigione di un infermo grave risanato dopo l’immersione nell’acqua della fontana. L’immagine ora venerata nel Santuario risalirebbe al XIV secolo. Quattro date sono pietre fondamentali nella storia del Santuario: il 1492 e il 1629 per la cessazione miracolosa della peste a Casalmaggiore e a Milano, proprio dopo l’aspersione dell’acqua della fontana; inoltre il 1778 per la liberazione da una durissima siccità e il 1855 per la fine improvvisa del colera. Già dal XV secolo vi fu annesso il Convento, tenuto dai Servi di Maria, ai quali subentrarono, nel 1902, i Cappuccini. Il Santuario, costruito nel 1463, è in stile romanico lombardo e possiede tre navate con un bellissimo portale rinascimentale in cotto. La navata centrale è ritmata da grandi pilastri poligonali e la volta a botte presenta notevoli decorazioni pittoriche, a cassettoni con cerchi e rosette interni, di origine classica. Numerosi gli affreschi e le tele, alcuni del Parmigianino, il quale volle essere sepolto proprio in questo Santuario e di cui si conserva la tomba nella seconda cappella a sinistra dell’entrata. Cristina Siccardi 25
05 MA-mag.2009-impaginato(7)
22-04-2009
11:05
Pagina 26
1400: NOSTRA SIGNORA DEL DESERTO - MILLESIMO (SV)
Calendario mariano
A
ll’inizio del 1400, in valle Bormida, nel luogo chiamato Deserto di Millesimo, boschi e brughiere si estendono inviolati per vallate e colli, tanto da rendere la zona selvaggia e solitaria. Il bosco si popola solo in autunno per la raccolta delle castagne, unica risorsa contro la fame di quei tristi tempi. Nelle altre stagioni a stento echeggia il suono metallico della scure dei legnaioli o il canto monotono dei carbonai. Un sentiero ripido e scosceso sale dalla Bormida verso le giogaie del Piemonte, ed incontra, ad un dato punto, una grossa fontana d’acqua chiamata «Garbazzo». Proprio su questo sentiero, un giorno imprecisato, sale con fatica una povera donna di Finale Ligure, tenendo per mano il proprio bambino cieco. Sono diretti a Ceva, dove la gente dice vi sia un medico che possiede l’arte di guarire i ciechi nati. Che cosa non fa una mamma per il proprio figlio? La speranza l’ha spinta ad arrampicarsi fin lassù, su quel sentiero, ma la meta è ancora lontana e la notte avanza. Fortunatamente, tra la boscaglia, la donna intravede le mura di un essiccatoio: è la salvezza per quella notte! Nell’avvicinarsi però al casolare scorge sulla parete affumicata l’Immagine della Madonna con il Bambino. La fede di quella mamma sgorga spontanea in una preghiera fiduciosa: nessun medico di questo mondo avrebbe potuto dare la vista a suo figlio, ma Lei certo poteva! E il bambino riacquista la vista. Non si sa quando avvenne, ma questo è il primo miracolo che 26
Tu ci attendi paziente
L’immagine davanti alla quale la mamma di Finale Ligure pregò per ottenere la vista per il suo figlioletto, all’inizio del 1400.
dà origine al Santuario della Madonna del Deserto di Millesimo. Con esso si apre una vera fonte di grazie che la Madonna riversa sui fedeli che vengono a Lei da ogni parte della Liguria e del Piemonte. Il “deserto” si trasforma: sor-
ge una cappella, poi una chiesetta ed infine una chiesa più grande, un Santuario. I fedeli accorrono con uno spirito ed una devozione particolare, virile e robusta, fatta di penitenza e di sacrificio. Dopo una notte di cammino, in preghiera, sul sentiero
05 MA-mag.2009-impaginato(7)
22-04-2009
ripido e faticoso, giunti alle ultime rampe, i pellegrini, con il fiato corto e ansanti, scoprono quasi all’improvviso, tra i castagni folti e lucenti, la cupola del Santuario, e la fatica scompare. Per diversi anni durante l’estate, periodo favorevole ai pellegrinaggi individuali e collettivi, i miracoli si moltiplicano: malati dichiarati inguaribili guariscono istantaneamente. L’Arciprete Rolando Maria Occelli, con prudenza e spirito critico non comune, raccoglie la documentazione giurata dei casi più clamorosi. Nei soli anni 1725 e 1726 sono attestati ben 30 casi di guarigioni straordinarie. Le deposizioni sono firmate da testimoni oculari, qualificati e redatte alla presenza del notaio. Interessante la dichiarazione di un certo Matteo Giordano di Bossolasco che, guarito da cecità, come riconoscenza, impegna se stesso ed i suoi eredi a versare la somma di sette lire annue per la “fabbrica” della Chiesa. Attorno all’Immagine della Madonna si ammucchiano le stampelle e gli ex voto per grazia ricevuta, ed ogni pietra della chiesa testimonia altre grazie. Gli eventi storici, le guerre tra Francia, Spagna, e Savoia che coinvolgono ed impoveriscono le popolazioni della zona, soprattutto il passaggio delle armate napoleoniche, rallentano i lavori per la costruzione della Chiesa, che però prosegue tra immensi sacrifici. Nel 1796, dopo le terribili battaglie di Cairo Montenotte, di Millesimo e di Dego, un reparto di Francesi penetra nel Santuario, strappa le corone della Madonna, si impadronisce di tutti gli oggetti di valore, accatasta le stampelle, le tavolette degli ex voto ed i quadri al centro della chiesa e vi appicca il fuoco. Fortunatamente le strutture dell’edificio reggono all’incendio. Passata la bufera napoleonica
11:05
Pagina 27
L’imponente Santuario di Nostra Signora del Deserto immerso nei boschi della Val Bormida.
riprendono i pellegrinaggi dei devoti della Madonna del Deserto; ritornano soldati riconoscenti per la protezione di Maria sperimentata in lontani Paesi d’Europa dove la guerra li ha portati; si rinnovano le grazie e le guarigioni miracolose. A partire dal 1867 iniziano i lavori di ampliamento e di costruzione dell’attuale Santuario che si concludono nel 1882. Nel 1893 con la solenne consacrazione del Santuario, viene incoronata la venerata Immagine della Madonna che continua la sua protezione sulle popolazioni della Val-
le Bormida, del Piemonte e della Liguria che a Lei ricorrono con grande fiducia: «O Maria, Vergine del Deserto, tu ci attendi paziente con cuore di Madre nel silenzio di questa valle… Non abbandonarci o Madre nei deserti aridi delle nostre dure prove, delle nostre croci disperate, delle nostre solitudini amare». Don Mario Morra 1
PALADINO VALENTINO, Memorie storiche del Santuario di N. S. del Deserto e cenni su Millesimo (Savona, A. Ricci 1904).
TERESIO BOSCO
DON BOSCO La magnifica storia Editrice Elledici, pagine 304, € 6,00 Dalla penna feconda di un noto narratore, la fresca e documentata biografia di uno dei santi più amati, perché il nome di Don Bosco è ovunque sinonimo di educazione. Il suo sistema educativo è ancora moderno ed efficace. Questo libro, scritto con stile avvincente, ne racconta la storia. 27
05 MA-mag.2009-impaginato(7)
22-04-2009
11:05
Pagina 28
notizie notizie e avvenimenti A cura di Mario Scudu
Nelle parole di Naglaa Elhag di Pax Christi la drammatica situazione della comunità e del Paese.
Aiutare tutti gli iracheni per salvare i cristiani on c’è più fine alla persecuzione dei N cristiani in Irak, e alla loro fuga dal Paese. Nella zona di Mossul, in pochi giorni ne sono stati uccisi una decina a sangue freddo, e un migliaio di famiglie sono subito fuggite per timore di cadere sotto i colpi di gruppi armati. “Lì la situazione è pessima per i cristiani. Il Governo centrale non ha il controllo della zona, che è nelle mani degli estremisti e di Al Qaeda”, sottolinea Naglaa Elhag, esponente di Pax Christi rientrata da poco da un viaggio in Irak. Della difficile condizione dei cristiani in Irak, ma anche nei Paesi di tutta l’area, Elhag ha parlato a una tavola rotonda sulle minoranze cristiane in Medio Oriente, organizzata al Parlamento europeo dai Popolari. Cosa possono fare l’Europa e la comunità internazionale? “Dovrebbero muoversi a favore di tutti gli iracheni”, risponde Elhag. “Sarebbe un errore intervenire solo per i cristiani, finirebbe per danneggiarli. Dovrebbero chiedere la tutela delle minoranze; in questo quadro, c’è spazio per una pressione politica sul Governo a favore dei cristiani. Bisognerebbe dirgli: fate attenzione, è importante che i cristiani rimangano in Irak e non vengano indotti ad andarsene. Perché questo è esattamente ciò che vogliono gli estremisti”. (Rosanna Biffi). Il dramma in cifre • Sono meno di 500.000 i cristiani che vivono oggi in Irak. Alla fine degli anni Novanta erano oltre un milione, quasi il 3% della popolazione. Circa 250.000 cristiani, però, erano già emigrati dopo la Guerra del Golfo del 1990-1991. 28
• Quest’anno a Baghdad hanno fatto la comunione poco più di 300 bambini, mentre in passato se ne contavano almeno mille l’anno. • Nell’agosto 2004, cinque autobombe contro altrettante chiese fecero 11 morti. Nel giugno 2007, vennero uccisi a Mossul un sacerdote e tre diaconi. Nell’agosto 2008, sempre a Mossul, è stato rapito l’arcivescovo caldeo Paulos Faraj Rahho. Rimasto in prigionia per quasi un mese, il prelato fu poi trovato morto in una fossa alla periferia della città. Da Famiglia Cristiana, 2008 Una cristiana irachena in preghiera.
05 MA-mag.2009-impaginato(7)
22-04-2009
11:05
Pagina 29
XV Rapporto Legambiente sull’ecosistema urbano.
Città ecologiche: Belluno svetta, la Sicilia sprofonda ualità ambientale dei 103 capoluoghi di Q provincia dello Stivale, anno 2009: timidi segnali positivi, in crescita il livello di attenzione degli amministratori verso il territorio, ma la situazione resta ancora al limite dell’emergenza. Dà i giudizi il “XV Rapporto ecosistema urbano 2009” di Legambiente. In testa Belluno, che mantiene la posizione 2008 con quota 74,63% (il 100% è il traguardo città sostenibile). Bollino più verde al Nord, sprofonda il Meridione (Caserta, prima del Sud, è solo al 37º posto). Maglia nera alla Sicilia: sette capoluoghi tra gli ultimi posti della classifica, cala il Lazio che chiude con Frosinone, fanalino di coda. (Maria Gallelli). Da Famiglia Cristiana, 2008
La chiesa più antica del mondo più antica chiesa del mondo si Luna team troverebbe in Giordania. L’annuncio è di di archeologi, secondo i quali la chiesa risale ad una data collocabile tra il 33 e il 70 d.C. I resti sono stati scoperti sotto la già nota chiesa di San Giorgio (230 d.C.) a Rihab, nel nord del Paese, vicino al confine siriano. Secondo l’archeologo Husan, “ci sono prove che la chiesa scoperta ha ospitato i primi cristiani, i 70 discepoli di Gesù. Questi, fuggiti dalla persecuzione di Gerusalemme, sarebbero riparati nelle chiese della Giordania settentrionale”. Citando poi fonti storiche, suggerisce che il gruppo ha vissuto e praticato la fede nella chiesa sotterranea per lasciarla solo dopo che l’Impero romano abbracciò il cristianesimo (313 d.C.). All’interno della cava sono presenti alcuni sedili di pietra, probabilmente destinati al clero, e un’area circolare che fa pensare all’abside. Un profondo tunnel, invece, conduceva ad una fonte d’acqua. Asia News
Per l’universo nessun Big Bang ma dieci, cento, mille Bang l revisionismo scientifico sembra essere Inientemeno pronto a mietere un’altra vittima, che il Big Bang. O, almeno, a questo risultato conducono le teorie esposte nel libro Universo senza fine (Il Saggiatore) da due fisici teorici, Paul J. Steinhardt (Princeton) e Neil Turok (Cambridge). La teoria della grande esplosione, finora la più accreditata per spiegare il processo che avrebbe dato origine all’universo circa 14 miliardi di anni fa, avrebbe infatti troppe carenze e «buchi neri». Per questo Steinhardt e Turok (www.endlessuniverse.net) mettono in campo un’ipotesi alternativa, forti delle ultime acquisizioni dell’astronomia e della fisica delle particelle. Dalla teoria dell’esplosione passano cioè a quella «dell’universo ciclico», secondo la quale nella storia del cosmo si sarebbero susseguiti espansioni e collassi. Ogni ciclo sarebbe stato aperto da un’esplosione (un bang), con genesi di nuova materia e formazione di galassie, stelle e pianeti. Al primo ciclo ne sarebbero seguiti altri, finché l’ultima esplosione avrebbe plasmato la struttura dell’universo che possiamo osservare adesso. A loro volta, i prossimi eventi sarebbero destinati a determinare le caratteristiche dell’universo dei prossimi cicli. Il tempo e lo spazio sarebbero comparsi alcuni cicli or sono, e, sulla base di questa teoria, potrebbero anche essere «senza fine». (Massimiliano Panarari). Da Il Venerdì di Repubblica, 2008
29
05 MA-mag.2009-impaginato(7)
22-04-2009
11:05
Pagina 30
Pastor Angelicus A cura del Gruppo di Filatelia Religiosa “Don Pietro Ceresa”
Filatelia religiosa Pio XII a 50 anni dalla scomparsa e 70 dall’elezione a Papa
M
ezzo secolo è trascorso da quando Pio XII, il venerato Pastor Angelicus, secondo un appellativo attribuito a Malachia, concluse il suo itinerario terreno e un lungo pontificato, iniziato il 1º marzo 1939. Dopo la morte di Pio XI e il breve Conclave, si ebbe l’elezione di Pacelli al pontificato e il 2 giugno del 1939 venne emessa dal Vaticano la serie di quattro valori per l’incoronazione di Pio XII. Nel 1940 apparvero i francobolli vaticani detti “medaglioncini” con l’effigie del nuovo pontefice e il suo stemma. 16 gennaio del 1943, mentre ormai la guerra imperversava, venne stampata la serie di quattro valori per il venticinquesimo anniversario della consacrazione episcopale di Pio XII, nella Cappella Sistina per opera di Papa Benedetto XV. Coincidenza sorprendente: la cerimonia di consacrazione era avvenuta il 13 maggio del 1917, il giorno della prima apparizione della Vergine ai tre pastorelli di Fatima. Pio XII comparve poi nel 1949 sul valore da cento lire della serie detta “Basiliche romane” e pure nel 1949, in un valore della serie per l’Anno Santo: Pio XII apre la Porta Santa. Nel 1951 due francobolli sottolinearono la proclamazione del Dogma dell’Assunta. Il 25 lire mostra Pio XII mentre pronuncia la dichiarazione del Dogma affiancato dai cardinali Diaconi Canali e Mercati; il secondo valore da 55 lire, bruno, raffigura l’enorme folla assiepata in piazza San Pietro. Ancora un esemplare, da 5 lire, della lunga serie del 1953 detta “papi a San Pietro” per illustrare la partecipazione dei vari pontefici alla costruzione, della basilica sampietrina. Nel 1954 Pio XII fu affiancato a Pio IX nella serie per l’Anno Mariano e il primo centenario
30
della proclamazione del Dogma dell’Immacolata Concezione. In serie più recenti del Vaticano, da ricordare, del 1998 il francobollo con Pio XII nelle seriefoglietti per i Pontefici e gli Anni Santi, vissuti da ciascun successore di Pietro. Alla sua scomparsa, Pio XII ebbe una lunga celebrazione filatelica, ma anche prima, nel corso dell’Anno Santo del 1950, Amministrazioni Postali estere lo avevano onorato con numerosi valori, come il Portogallo che lo raffigurò come Pontefice di Fatima e come il Principato di Monaco, nella serie del 1958 per il centenario della Vergine di Lourdes. Per l’Anno Santo le Poste monegasche avevano emesso una pregevole serie dedicando alcuni esemplari di formato triangolare a Papa Pacelli, interessanti per le prove di colore effettuate da Monaco, proprio per questo commemorativo. Con un francobollo azzurro da lire 1.400, l’Italia aveva evidenziato nel 1983 il venticinquesimo della morte di Pio XII. Rilevanti le buste commemorative, le cartoline, alcune delle quali diventate famose: il “Pastor Angelicus” a braccia aperte, come ad abbracciare il mondo, lo sguardo ispirato, la figura ascetica, raccolta, che subito tuttavia si dischiudeva al sorriso. Così lo ricorderemo sempre, grazie anche alle Poste e ai francobolli, accorato e indimenticabile. “Grande protagonista della storia” come lo hanno definito Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Renzo Rossotti e Angelo Siro
05 MA-mag.2009-impaginato(7)
22-04-2009
La pagina del Rettore
Carissimi amici, l mese di maggio è molto significativo per il nostro Santuario. Nella tradizione popolare è il mese della devozione a Maria, ricca di celebrazioni e momenti particolari, ma per noi è anche il mese che ci prepara alla festa di Maria Ausiliatrice il giorno 24. Liturgicamente quest’anno coincide con la celebrazione della festa dell’Ascensione, ma abbiamo lasciate immutate le date per la Veglia (il 23) e la Processione (il 24) per non creare confusione e disguidi. Mi pare importante, in preparazione alla festa dell’Ausiliatrice, fermare il nostro sguardo sul ruolo e sul significato della presenza di Maria nel pensiero e nella vita di Don Bosco e su come lui ne ha preso coscienza fino alla scelta e alla diffusione del titolo di Ausiliatrice, che diventerà e sarà conosciuta in tutto il mondo come «la Madonna di Don Bosco». Il nostro Santuario è il culmine della sua devozione a Maria Ausiliatrice, il monumento della sua riconoscenza a Lei. Un insieme di tempi tristi e di grandi speranze per la Chiesa sono un motivo fondamentale nel determinare Don Bosco a iniziare l’impresa del santuario, e ad assegnargli il titolo di «Maria Auxilium Christianorum». È proprio
I
11:06
Pagina 31
Il mese dell’Ausiliatrice dell’anno 1862 il famoso sogno delle «Due colonne», dove la nave della Chiesa trova rifugio dagli attacchi degli avversari ancorandosi alla colonna dell’Eucaristia e a quella della Madonna. Per Don Bosco la vita è una grande battaglia tra il bene e il male, una grande avventura, o, se si vuole, una grande impresa per la costruzione di un mondo nuovo, alternativo. Maria diventa allora «Ausiliatrice» in questa battaglia: nel quadro della Basilica è presentata come una regina potente. È Ausiliatrice perché coinvolta in pieno in questa storia di salvezza. È stata lei la prima creatura che ha avuto la chiamata a collaborare con Cristo per la salvezza del mondo, è stata lei che nella sua vita ha sperimentato tutta la ricchezza e la fatica del vivere umano, e proprio perché «esperta» di queste realtà diventa modello vicino. Ma Maria non è solo un modello da imitare, ma aiuto da invocare. Tutto questo suo agire non è solo storia del passato: proprio perché assimilata a Cristo e alla sua opera di salvezza, essa è più che mai viva, operante con particolare efficacia proprio perché legata in modo totale e decisivo a Cristo Gesù, il Risorto vincitore, il Signore della vita e della storia, che ha operato e continua ad operare nel mondo per la sua salvezza. Ella è allora Ausiliatrice del mondo, Ausiliatrice della Chiesa, Ausiliatrice di ogni cristiano, Ausiliatrice di Don Bosco e della sua opera, Ausiliatrice di ognuno di noi, nel momento in cui ci apriamo alla chiamata di Dio per lavorare alla costruzione del suo Regno. Per Don Bosco la devozione a Maria non è qualcosa di
superficiale, di facile sentimentalismo (pur manifestando verso di lei una tenerezza straordinaria), da utilizzare come talismano portafortuna, nei momenti difficili. Maria non è soltanto un quadro appeso alle pareti, o una statua venerata: Maria è una persona viva, che dà una mano ai suoi figli che vivono e soffrono attivamente gli ideali di amore, di giustizia, di pace, di solidarietà, di fedeltà, di dono, di purezza, di santità. Basta scorrere i tanti sogni di Don Bosco per vederla all’azione così. Ancora oggi tante situazioni del mondo, in questi nostri tempi non facili, si rivelano problematiche, cariche di tensione e di paura. Viviamo un momento in cui essere fedeli a Gesù Cristo e alla sua Chiesa non è fonte di applausi, di condivisione, di stima. Ma ancora una volta il Signore ci assicura che lui è il Signore della storia e sua sarà l’ultima parola; ancora una volta, per vivere in pienezza questa storia, ci offre Maria, come aiuto potente: «Abbiate fede in Maria e vedrete cosa sono i miracoli» soleva ripetere Don Bosco. Proprio per questo vi attendiamo numerosi per la sua festa. Con un vivo e riconoscente ricordo Don Franco Lotto Rettore
31
05 MA-mag.2009-impaginato(7)
22-04-2009
11:06
Pagina 32
AVVISO PER IL PORTALETTERE
In caso di MANCATO RECAPITO inviare a: TORINO CMP NORD per la restituzione al mittente - C.M.S. Via Maria Ausiliatrice, 32 - 10152 Torino il quale si impegna a pagare la relativa tassa.
MENSILE - ANNO XXX - N° 5 - MAGGIO 2009 Abbonamento annuo: € 12,00 • Amico € 15,00 • Sostenitore € 20,00 • Europa € 13,00 • Extraeuropei € 17,00 • Un numero € 1,20 Spediz. in abbon. postale - Pubbl. inf. 45%
Direttore: Giuseppe Pelizza – Vice Direttore: Mario Scudu (Archivio e Sito Internet) Diffusione e amministrazione: Teofilo Molaro – Direttore responsabile: Sergio Giordani Registrazione al Tribunale di Torino n. 2954 del 21-4-1980 Stampa: Scuola Grafica Salesiana - Torino – Grafica e impaginazione: S.G.S.-TO - Giuseppe Ricci Corrispondenza: Rivista Maria Ausiliatrice, Via Maria Ausiliatrice 32 - 10152 Torino Telefoni: centralino 011.52.24.222 - rivista 011.52.24.203 - Fax 011.52.24.677 Abbonamento: ccp n. 21059100 intestato a Sant. M. Ausiliatrice, Via M. Ausiliatrice 32 - 10152 Torino E-mail: rivista.maus@tiscali.it - Sito Internet: www.donbosco-torino.it
FOTO DI COPERTINA:
SOMMARIO
Salve, Madre, in te l’aiuto nostro confida per vincere gli assalti di chi dal tuo amore distoglier ci vuole!
2 4 6 8 10 13 16
Inviati di fede e di pace - Gesù racconta il Padre - MARIO GALIZZI Il veggente di Patmos I Dodici - BENEDETTO XVI Pio VII e la festa dell’Ausiliatrice In Basilica - ROBERTO SPATARO Il Papa e i Lefebvriani - Vita della Chiesa - PIER GIUSEPPE ACCORNERO Paolo e la Chiesa primitiva/2 Anno paolino - FABIO FERRARIO Maria, donna di fede/2 Spiritualità mariana - MARIO SCUDU I novissimi/12 Celebrazione - TIMOTEO MUNARI
18 21 24 26 28 30 31
L’irreparabile sconfitta del male Musica e Fede - FRANCO CAREGLIO XXVII Giornata di Spirit. Sal. - L’Adma nel Mondo - DON P. L. CAMERONI Santuari della Lombardia/4 - Santuari mariani/88 - CRISTINA SICCARDI Nostra Signora del Deserto - Calendario mariano - MARIO MORRA Notizie e Avvenimenti MARIO SCUDU
Pastor Angelicus - Filatelia religiosa - ANGELO SIRO Il mese dell’Ausiliatrice - La pagina del Rettore - FRANCO LOTTO
Altre foto: Teofilo Molaro - Archivio Rivista - Archivio “Dimensioni Nuove” - Centro Documentazione Mariana - Redazione ADMA - Guerrino Pera - Andreas Lothar - Gabriele Viviani - Mario Notario - ICP - Edi. Elledici.
Se non siete ancora abbonati a questa rivista e desiderate riceverla in
saggio gratuito per tre mesi o se siete già abbonati e desiderate farla conoscere a qualche persona di vostra conoscenza, ritagliate questo tagliando e spedite in busta affrancata con € 0,60 al seguente indirizzo: Rivista Maria Ausiliatrice - Via Maria Ausiliatrice, 32 - 10152 Torino ❖ Favorite inviare in saggio gratuito per tre mesi la Rivista “Maria Ausiliatrice”, al seguente indirizzo: COGNOME E NOME __________________________________________________________________________________ VIA ___________________________________________________________________________ N. _____________ CAP ______________ CITTÀ ______________________________________________________ PROV. __________
Ringrazio.
FIRMA _________________________________________________________________________
I dati forniti dal Cliente saranno inseriti negli archivi elettronici e cartacei della Rivista Maria Ausiliatrice e sono obbligatori per adempiere all’ordine. I dati non verranno diffusi né comunicati a terzi, salvo gli adempimenti di legge, e saranno utilizzati esclusivamente dalla rivista, anche per finalità di promozione della stessa. Il Cliente può esercitare i diritti di cui all’art. 7 D. Lgs 196/03 “Codice della Privacy” rivolgendosi al titolare del trattamento: Rivista Maria Ausiliatrice, con sede in Torino, Via Maria Ausiliatrice, 32 - 10152. Al medesimo soggetto vanno proposti gli eventuali reclami ai sensi del D. Lgs. 185/99.