Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in Legge 27-02-2004 n. 46) art. 1, comma 2 e 3 - CB-NO/TORINO
ANNO XXXII BIMESTRALE Nº 5 - 2011
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In cammino con Maria
pag. 22 Centro
Nazionale Opere Salesiane Al servizio dei giovani d’Italia.
pag. 32 Una vita
dopo le sbarre A colloquio coi cappellani delle carceri.
pag. 34 Settembre:
ritorno a scuola L’avventura continua anche per i genitori.
Attività & iniziative
hic domus mea
inde gloria mea Direzione: Livio Demarie (Coordinamento) Mario Scudu (Archivio e Sito internet) Luca Desserafino (Diffusione e Amministrazione) Direttore responsabile: Sergio Giordani Registrazione: Tribunale di Torino n. 2954 del 21-4-1980 Stampa: Scuola Grafica Salesiana - Torino Corrispondenza: Rivista Maria Ausiliatrice Via Maria Ausiliatrice 32 10152 Torino Centralino 011.52.24.822 Rivista 011.52.24.203 Fax 011.52.24.677 rivista@ausiliatrice.net http://rivista.ausiliatrice.net www.donbosco-torino.it Abbonamento: Ccp n. 21059100 intestato a: Santuario Maria Ausiliatrice Via Maria Ausiliatrice 32 10152 Torino Per Bonifici: BancoPosta n. 21059100 IBAN: IT15J076 0101 0000 0002 1059 100 PayPal: abbonamento.rivista@ausiliatrice.net Collaboratori: Corrado Bettiga Lorenzo Bortolin Federica Bello Marina Lomunno Nicola Latorre
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La pagina del Rettore
Settembre. Tutti in piedi Cari amici, settembre ha un profumo particolare, quello delle cose consuete che sembrano nuove. Sembrano nuove perché per un po’ di tempo avevamo cercato di dimenticarle o perlomeno di metterle da parte: «Dopo le vacanze!» è stata l’etichetta incollata in modo frettoloso su impegni, lavori, compiti, decisioni da prendere. Ma viene settembre e poi ottobre e ritroviamo tutto esattamente come lo abbiamo lasciato. Così questo diventa il momento adatto per ritrovare nel nostro bagaglio interiore alcune preziose virtù. Il raccoglimento, prima di tutto. È un atteggiamento fondamentale. Dicono che un esploratore percorreva le immense foreste dell’Amazzonia, e aveva molta fretta. Per i primi due giorni i portatori si adattarono alla cadenza rapida e ansiosa che egli pretendeva di imporre a tutte le cose. Ma al mattino del terzo giorno si fermarono silenziosi, immobili, l’aria totalmente assente. Era chiaro che non avevano nessuna intenzione di rimettersi in marcia. Impaziente, l’esploratore, indicando il suo orologio, con ampi gesti cercò di far capire al capo dei portatori che bisognava muoversi, perché il tempo premeva. «Impossibile», rispose quello, tranquillo. «Questi uomini hanno camminato troppo in fretta e ora aspettano che la loro anima li raggiunga». Il tempo delle vacanze è sì tempo di riposo, ma spesso rischia di essere anche un tempo di dispersione; settembre è il tempo di “raccogliere” i pezzi di sé, farsi raggiungere dalla propria anima e con pazienza e vigore ricominciare. La seconda virtù è la risolutezza. Si tratta di una virtù formata dalla pazienza e dal coraggio. Bisogna
La vite piantata dal Beato Michele Rua è ancora rigogliosa. Sullo sfondo la cupola con la statua della Madonna. Foto Archivio RMA
avere la pazienza di riprendere il cammino verso la meta: la mente paziente scopre motivi d’interesse, perfino entusiasmo, lungo il cammino. L’impazienza è lo stato del non essere presenti. La parola “realtà” è un po’ impopolare perché è quasi diventata sinonimo di durezza e difficoltà. Ma decidere di affrontarla è la migliore delle strategie e ci premia con una discreta dose di soddisfazione. La pazienza è ritrovare il ritmo, nostro e degli altri, e riorganizzare il tempo in modo efficace. Per questo occorre il coraggio della decisione. A un celebre maestro di spiritualità fu chiesto come si fa per imparare la virtù della pazienza: «Basta smettere di lamentarsi» rispose. Il coraggio è connaturale al cristiano e dovremmo viverlo nella ripresa dell’anno regolare con sensibilità “liturgica”. Durante le celebrazioni, ci sono quei momenti in cui qualcuno dice: «In piedi!». Ci alziamo per mostrare rispetto a quello che stiamo per ascoltare. Ci alziamo come segno della nostra dignità e della nostra speranza. Gli esseri umani, al contrario degli animali, stanno su due gambe e hanno gli occhi rivolti verso l’alto. Ci alziamo per mostrare di essere decisi. Ci alziamo per farci coraggio, quando ci sentiamo abbattuti. Ci alziamo come segno della nostra fiducia che Gesù è risorto dai morti. La nostra intraprendenza è un frutto della nostra speranza. Anche Maria appena seppe di Elisabetta «si alzò e andò in fretta» e divenne suo “aiuto”. Questo è il nostro augurio: settembre vi trovi in piedi, decisi a riprendere e a ricominciare. Con un particolare ricordo per tutti voi in Basilica. Don Franco Lotto, Rettore lotto.rivista@ausiliatrice.net N° 5 • SETTEMBRE-OTTOBRE 2011
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Editoriale
Quanta vita... bella Un osservatorio privilegiato
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hi sta su una torre di avvistamento ha davanti a sé un vasto orizzonte. Alla domanda di come vedo l’Italia Salesiana dal mio “osservatorio” del Centro Nazionale Opere Salesiane nonché Centro Salesiano di Pastorale Giovanile, la comunità San Lorenzo in Roma, posso solo rispondere: bella e piena di vita. E non per il bicchiere mezzo pieno dell’ottimista, ma perché è come se nelle nostre stanze passasse continuamente uno dei tanti rivoli che confluiscono e compongono il fiume della realtà dei Salesiani, della Famiglia Salesiana e dei giovani della nostra
Don Luigi Perrelli, qui ritratto con la segreteria nazionale del Movimento Giovanile Salesiano, è Presidente del Centro Nazionale Opere Salesiane (CNOS) e segretario della Conferenza degli Ispettori Salesiani della Regione Italia e Medio Oriente.
L’insegnamento in officina nei centri di formazione professionale è una delle occasioni di incontro e accompagnamento dei giovani, dove l’insegnamento tecnico non è mai disgiunto dal percorso educativo. © ImageBank
Anche in missione, nei paesi più poveri del mondo, l’incontro dei salesiani con i giovani non è mai solo questione di solidarietà, ma soprattutto è un’amicizia e una fraternità che si instaurano alla luce del messaggio evangelico. © ImageBank
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cara Italia. E per il fatto di partecipare, personalmente o coi confratelli responsabili dei vari servizi e uffici nazionali a diversi incontri ecclesiali, sento quanto è vero ciò che il Papa disse a conclusione del convegno ecclesiale di Verona nel 2004 e quanto il Rettor Maggiore ha più volte ripetuto: «La Chiesa e la Congregazione apprezzano molto la ricchezza e la variegata fecondità della Chiesa Italiana e, rispettivamente, della realtà salesiana italiana». Una storia che continua La nostra ricchezza nasce da un dono di primogenitura e da una meravigliosa storia che le varie celebrazioni di centenari, centocinquantesimi e via dicendo vanno ritessendo dalle Alpi all’Etna. Continua a essere vero quello che ha detto il presidente emerito della Corte Costituzionale dott. G. M. Flick il 14 aprile alla presenza di don Chávez e Madre Reungoat quando ha parlato di «un impegno articolato sul piano sociale, culturale, scolastico, edu-
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Italia! cativo, religioso, assistenziale, popolare e massmediatico, che ha certamente contribuito a fare l’Italia e gli italiani». E in quest’altro centro spirituale della Congregazione, il Sacro Cuore, santuario e testimonianza splendida e sacrificale dell’amore al Signore e ai giovani e dell’obbedienza al Papa di Don Bosco, si susseguono gli incontri degli Ispettori d’Italia e Medio Oriente, dei responsabili di servizi preziosi quali l’accompagnamento vocazionale, la formazione, l’animazione missionaria, il volontariato, i servizi civili e sociali, quelli dell’emarginazione e del disagio, quelli degli ambienti della nostra tradizione educativa ed evangelizzatrice
Il CNOS (Centro Nazionale Opere Salesiane), di cui don Luigi Perrelli è presidente, è un’associazione civile con sede in Roma nella Casa salesiana San Lorenzo che ne costituisce il Consiglio Direttivo, con Statuto approvato dalle competenti autorità religiose e riconosciuto civilmente con decreto del Presidente della Repubblica. Esso ha il compito di guida e di controllo delle Associazioni e Federazioni promosse nell’ambito dell’azione educativa della Congregazione Salesiana, per salvaguardarne l’identità carismatica e la qualifica educativa. Gli enti promossi dal CNOS sono: CNOS-FAP (Formazione Aggiornamento Professionale); CNOS-SCUOLA (Scuole Salesiane); COSPES (Centri di Orientamento Scolastico Professionale e Sociale); CGS (Cinecircoli Giovanili Socioculturali per la comunicazione e la cultura); TGS (Turismo Giovanile e Sociale per il turismo e il rispetto dell’ambiente); SCS-CNOS (Servizi Civili e Sociali, Salesiani per il sociale); VIS (Volontariato Internazionale per lo Sviluppo, Organizzazione Non Governativa e di Animazione Missionaria); CNOS-SPORT (Associazione salesiana di coordinamento per la pastorale dello sport).
come gli oratori, la scuola, la formazione professionale, la parrocchia; i coordinatori dei rami laici della famiglia salesiana, i delegati e le coordinatrici della Pastorale Giovanile in Italia, i responsabili delle Associazioni civilmente riconosciute, della comunicazione sociale e vai e vai... Un pieno di vita, di pensiero, di progetto, di cuore... di Da mihi animas! Una fatica di ricerca, comunione, innovazione, di... “con Don Bosco e coi tempi”. E poi il gioiello di famiglia: i giovani. Qui si coordina anche la realtà del Movimento Giovanile Salesiano che in poco più di trent’anni, da virgulto – che chi scrive, con qualcun altro ha avuto la gioia di piantare e irrigare –, si è fatto albero carico di frutti e di speranza che come la vigna biblica si espande nell’Italia e nel mondo. Questa grande storia di ieri e di oggi scorre nella clessidra del mio osservatorio e sono felice di essere con tantissimi altri granello di questa meravigliosa storia di vita e d’amore. Don Luigi Perrelli redazione.rivista@ausiliatrice.net N° 5 • SETTEMBRE-OTTOBRE 2011
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Leggere i Vangeli
Una presenza che rinfranca Il Signore invia ad evangelizzare (Mt 28,16-20)
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hi avrà la buona curiosità di confrontare la finale di Matteo con quella degli altri tre testi evangelici, osserverà la presenza di somiglianze, ma anche di alcune differenze nel resoconto dell’ultima apparizione del Risorto agli Apostoli. La maggiore di esse riguarda il luogo in cui il fatto avvenne: Marco e Matteo lo ambientano in Galilea, mentre Luca e Giovanni propendono per Gerusalemme. Cosa è avvenuto? La varietà dei modi in cui l’apparizione è stata scritta proviene certamente dalle molte tradizioni antiche su di essa, ma soprattutto dal tipo di rilettura religiosa cui ogni Evangelista la sottopose così che la sua narrazione rispondesse nel modo migliore possibile al cammino di fede della comunità per la quale il Vangelo fu scritto. La diversità di rilettura, da cui proviene la varietà dell’ambientazione geografica, non tocca né sminuisce pertanto l’autenticità storica del fatto: essa è insomma innegabile. Gesù è il Signore
Matteo nel suo Vangelo ci ha presentato la figura di Gesù come del Cristo, il Figlio di Dio venuto a compiere tutte le promesse fatte all’antico popolo di Israele. Gli Apostoli non avevano però sempre capito chi egli fosse: ora davanti al Risorto essi si prostrano, lo riconoscono cioè come Dio e Signore, ma continuano ad essere dubbiosi. Come aveva fatto in precedenza con Tommaso (Gv 20,24-29), Cristo vuole soccorrere la loro incredulità: per questo si avvicina per dare prova che egli è davvero risorto. L’atto dell’avvicinarsi è indi-
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L’Eucaristia è segno di quella presenza fedele e silenziosa di Gesù in mezzo a noi capace di indirizzare, consolare, incoraggiare ogni giorno il cammino del cristiano. © donboscoland.it
Africani, asiatici, europei: il messaggio del Vangelo è per tutti; il compito di ciascuno è l’annuncio della salvezza che è offerta a tutti coloro che si mettono con fiducia alla sequela di Cristo. © Max Ferrero - Sync
sgiungibile da quello del parlare, momento culminante di tutta la narrazione. A questo ultimo discorso dobbiamo prestare molta attenzione data la grande ricchezza di insegnamento che esso contiene. Le ultime parole del Risorto riguardano innanzitutto la propria identità ed il compito affidatogli: il Padre lo ha costituito Signore e gli ha dato ogni potere, o meglio “autorità”, su tutto ciò che esiste nel’Universo (Mt 28,18). Certamente Gesù durante la sua vita aveva già questa autorità. È però significativo che egli sia pienamente colmato di essa solo dopo aver dato prova di fedeltà ed obbedienza alla volontà affidatagli dal Padre, solo dopo essere passato per la sofferenza e la morte! La consegna Il Cristo ha però anche un importante impegno da trasmettere ai suoi. Il prosieguo del discorso (Mt 28,19-20) lo illustra indicando quale sia il perenne compito
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ed impegna del cristiano: “fare discepoli” tutti i popoli, vale a dire condurli a credere in Cristo Gesù e a vivere di lui. Per raggiungere questo alto obiettivo – dice il Signore – bisogna “andare”, “battezzare” ed “insegnare” ad osservare quanto egli aveva comandato. La missione, il battesimo e l’insegnamento sono a vario titolo i mezzi che il Risorto ci lascia in modo del tutto privilegiato affinché tutti possano entrare nella Chiesa in qualità di figli di Dio! La nostra memoria di lettori e di credenti ricorda che tutto ciò che Cristo ci ha insegnato va cercato nelle sue parole ed opere disseminate in ogni pagina del Vangelo di Matteo, ma particolarmente nei grandi “discorsi”: quello della montagna (Mt 5,1– 7,29) e della missione (Mt 9,35–10,42), il discorso in parabole (Mt 13,3b-52) e quello ecclesiale (Mt 18,3-34), per ultimo il discorso escatologico (Mt 23,1–25,46). Il Vangelo è insomma la potenza del Signore che ama ed ordina di amare, che prega
Le braccia di Gesù sono distese sulla croce per abbracciare e accogliere ogni uomo con le sue sofferenze, le sue gioie, le sue speranze. © Barbara Helgason - Photoxpress
ed insegna a farlo, che guarisce, che perdona e vuole che perdoniamo, che chiama alla comunione nella Chiesa e alla radicalità del Regno, finché egli ritorni. Una quotidiana presenza
Anche chi è molto diverso da noi per cultura, abitudini, opinioni è nostro fratello, è un prossimo in cui riconoscere il volto del Padre. © Max Ferrero - Sync
La consegna che il Risorto ci lascia è grande. Tutti dobbiamo condividerla secondo la parte che ci spetta, sentendocene responsabili in prima persona. Alto il compito, ma più alta ancora la promessa: «Io sono con voi tutti giorni fino alla fine del mondo». Ecco le rassicuranti parole pronunciate dal Signore. Esse sono come il suo testamento in cui ci viene consegnata una eredità preziosissima: non ci è dato qualcosa, ma la sua presenza quotidiana. Questo è del resto il tenore delle promesse del Signore. Con tale parlare si chiude il Vangelo di Matteo. Mentre lo leggiamo siamo come riportati indietro, all’inizio di questo testo santo. Nella «Galilea delle genti» (Mt 4,14), a Nazaret, da un angelo del Signore era stato recato a Giuseppe (Mt 1,20-21) l’annuncio della nascita di Gesù. L’Evangelista per spiegarne ai suoi lettori la portata, si era appellato ad una breve profezia di Isaia: colui che doveva nascere, avrebbe ricevuto il nome di «Emmanuele», Diocon-noi (Mt 1,23). Ancora in Galilea, sul monte indicato da Gesù, viene ora data la conferma di quell’annuncio: Gesù il Risorto, il Signore che manda a far discepolo e figlio di Dio ogni uomo e donna della terra, dice di essere Dio-con-noi «tutti i giorni, fino alla fine del mondo». Mai alla Chiesa che lo deve testimoniare mancherà la sua quotidiana presenza che rinfranca ed impegna. Marco Rossetti rossetti.rivista@ausiliatrice.net N° 5 • SETTEMBRE-OTTOBRE 2011
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Spiritualità mariana
Entrata nella casa ella lingua cinese l’ideogramma 安 che significa tranquillità serena, è composto da un tetto e da una donna posta sotto. L’idea è che quando nella casa c’è una donna, si vive bene. Mi piace collegarla alla riflessione mariana. Quando nel mondo, nella Chiesa, nelle famiglie e nelle comunità è presente Maria, c’è pace e armonia.
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La donna che sceglie come modello Maria – rappresentata spesso tra le mura domestiche ad indicare proprio l’importanza della relazione familiare – nella sua casa diviene fonte di armonia, gioia, pace. © Paolo Siccardi - Sync
Nei testi evangelici, Maria è presentata spesso in una casa. – Nell’annunciazione, l’angelo Gabriele è mandato nella casa di Maria a Nazareth. Tutto l’incontro è racchiuso in questi due estremi: «Entrando da lei, l’angelo disse» (Lc 1,28) e «E l’angelo partì da lei» (1,38). – Anche la visitazione è inquadrata da «Entrata nella casa di Zaccaria» (Lc 1,40) e «poi tornò a casa sua» (1,56). Maria porta il Figlio di Dio, ancora invisibile, nella concretezza della vita familiare. E dove entra Maria, la casa si riempie di gioia, Elisabetta esplode in benedizione e Giovanni esulta di gioia nel grembo
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della madre. Maria stessa, piena di riconoscenza per le meraviglie operate dal Signore, intona il Magnificat. – Nel racconto della nascita di Gesù, Matteo descrive come i Magi giungono a Betlemme. «Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre» (Mt 2,11). È nella cornice di una casa, nella sfera domestica che Maria mostra il Figlio di Dio a tutti i popoli. – I lunghi anni che Maria ha trascorso con Gesù e Giuseppe nella casa di Nazareth sono caratterizzati dal silenzio, dalla laboriosità e dalla sapienza di cuore rilevata da Luca: «Maria serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19.52). – A Cana, Maria e Gesù si trovano nella casa di due sposi. Qui, per intercessione di Maria, Gesù compie il primo “segno”
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cambiando l’acqua in vino. E quel miracolo suscitò nei discepoli la fede iniziale in Lui come Messia (Gv 2,11). – Sotto la croce, Gesù affida tutta l’umanità da lui redenta a Maria. Egli vuole che sua madre sia “madre” anche di tutti i suoi discepoli. «E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé» (Gv 19,27). Giovanni, rappresentando l’umanità, accoglie Maria non soltanto nella sua “casa” in quanto alloggio, ma nella sua vita, nell’intimo del suo cuore. – Negli Atti degli Apostoli Maria è tra i discepoli riuniti nel Cenacolo. Questa casa, vuota della presenza fisica di Gesù, sarà tutta riempita dallo Spirito (At 2,2). Le porte di questa casa, prima chiusa per paura, sarà poi spalancata per l’annuncio coraggioso del Vangelo. La casa è lo spazio vitale – spazio fisico, psicologico, sociale, spirituale – dove l’uomo vive, sviluppa le sue potenzialità, ripristina le forze, stabilisce relazioni, ecc. La casa è il luogo dove avvengono nascita e morte, gioie e dolori, arrivi e partenze, unioni e separazioni, dove si custodiscono memorie, si pro-
La famiglia trova nella realtà di Nazareth un percorso ben delineato: il silenzio, l’accoglienza, l’amorevolezza, l’abbandono fiducioso a Dio che Maria incarna sono le “risorse” con cui contrastare la disgregazione e il pessimismo. © Monkey business - Photoxpress
Maria e sua madre Sant’Anna. Quando è presente Maria, nel mondo, nella Chiesa, nelle famiglie e nelle comunità, c’è pace e armonia. © Abdelkader Belhadi
spetta il futuro, si risolvono problemi, si tessono sogni, si inventano gesti di solidarietà e di servizio, si gusta la bellezza della gratuità e della libertà. Il Figlio di Dio incarnato ha passato la maggior parte della sua vita in una casa di Nazareth e durante la sua vita missionaria è entrato in molte case. È stato ospite nella casa dei suoi discepoli; si è fermato nella casa degli amici, come quella di Lazzaro, Marta e Maria, in Betania; è stato ospite nella casa dei farisei come in quella di Simone. È andato persino ad alloggiare presso i peccatori. Con sorpresa di tutti egli dice a Zaccheo: «Oggi devo fermarmi a casa tua» (Lc 19,5). Infine, sulla croce sarà lui ad offrire l’ospitalità a casa sua, dirà al ladrone pentito: «Oggi sarai con me nel paradiso» (Lc 23,43). E già prima della nascita, Gesù faceva l’esperienza di “entrare in casa”. È stato portato dalla madre nella casa di Zaccaria e Elisabetta: è stata Maria a introdurre Gesù nella trama del quotidiano con le sue gioie, sofferenze, ansie, speranze e tutte quelle cose che rendono significativa la vita. Insomma, vivere il cristianesimo significa diventare «concittadini dei santi e familiari di Dio» (Ef 2,19), significa accogliere nella propria casa Gesù, che arriva sempre accompagnato dalla Madre. Maria Ko Ha Fong kohafong.rivista@ausiliatrice.net N° 5 • SETTEMBRE-OTTOBRE 2011
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Maria nei secoli
Il Cavaliere dell’Imma San Massimiliano Maria Kolbe (1894 -1941)
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ampo di concentramento di Auschwitz, agosto 1941. Dieci innocenti sono stati selezionati dal colonnello Fritsch per essere condannati a morte. Tra loro, anche Franciszek Gajowniczek che, pensando alla moglie Elena e ai figli, avanza disperato. Un prete polacco, però, chiede di prendere il suo posto: è accontentato. Morirà circa due settimane dopo, finito con un’iniezione letale, nel famigerato bunker della morte, mentre incoraggia i suoi compagni con parole ispirate dalla fede e dal perdono. Si chiamava Massimiliano Maria Kolbe ed era prete francescano. Il suo atto eroico gli valse il titolo di “martire della carità” e il beato papa Giovanni Paolo II lo ha canonizzato nel 1982.
la pubblicazione mensile: “Il Cavaliere dell’Immacolata”. Il successo del periodico fu enorme: si diffuse in tutta la Polonia e ben presto, in varie lingue, anche all’estero. Con il permesso dei superiori, fondò pure la “Città dell’Immacolata”, nei pressi di Varsavia, dove centinaia di frati, seminaristi, giovani ed operai si dedicavano a propagare l’amore alla Madonna. Si utilizzarono le macchine tipografiche più avanzate e si allestì anche una stazione radio: la “Radio dell’Immacolata”. Poi, padre Kolbe partì missionario in Giappone ed anche a Nagasaki nacque un “Giardino dell’Immacolata”. Persino i pagani si convertivano attirati dalla Madonna.
La Milizia dell’Immacolata dalla Polonia al Giappone Non ancora sacerdote, mentre infuriava la prima guerra mondiale, era stato colpito dall’ostilità alla religione cristiana e dal disprezzo verso la Chiesa, fomentate dalla massoneria. Decise di reagire con l’arma più potente a sua disposizione: la preghiera a Maria e l’incremento della devozione a Lei. Per questo motivo, fondò l’associazione “La Milizia dell’Immacolata”. I mezzi adottati sono quelli che ogni cristiano devoto di Maria pratica: preghiera, lotta al peccato, imitazione delle virtù mariane, apostolato, soprattutto diffondendo la medaglia miracolosa fatta coniare da santa Caterina Labouré dopo le apparizioni mariane a Parigi, in Rue du Bac, nel 1831. Ordinato sacerdote nella chiesa di Sant’Andrea della Valle a Roma, Kolbe celebrò la prima Messa all’altare della Vergine Maria nel luogo dove, nel 1842, Ella apparve all’ebreo Ratisbonne convertendolo dall’ateismo alla fede. Rientrato in Polonia, padre Kolbe fondò
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Lo Spirito Santo si è quasi incarnato nell’Immacolata
San Massimiliano Maria Kolbe fu canonizzato il 10 ottobre 1982 dal Beato papa Giovanni Paolo II, suo conterraneo. Nell’omelia il Papa lo definì «santo martire, patrono speciale per i nostri difficili tempi, patrono del nostro difficile secolo» e «martire della carità».
Tutto il mio tempo, tutto ciò che ho e tutto ciò che sono, li offro all’Immacolata. San Massimiliano Maria Kolbe
I nemici di Dio non potevano sopportare questo trionfo della religione cristiana. Quando la Polonia fu invasa dai nazisti, padre Kolbe fu deportato ad Auschwitz, dove consumò il suo ultimo atto di omaggio alla Madonna: l’offerta della propria vita in cambio di quella di un suo fratello. Quando pensa a Maria, padre Kolbe, secondo la spiritualità francescana, la contempla anzitutto come Immacolata. Ed è proprio questo privilegio che, secondo lui, spiega la sua missione di Madre di Cristo e mediatrice universale. Forse il punto più originale della mariologia di padre Kolbe è che lo Spirito Santo e Maria agiscono in perfetta sinergia tanto che, con un’espressione audace, più immagine poetica che definizione rigorosamente
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macolata
Nel mistero dell’Immacolata Concezione si svelava davanti agli occhi dell’anima di San Massimiliano Maria Kolbe quel mondo meraviglioso e soprannaturale della Grazia di Dio offerta all’uomo. Beato Giovanni Paolo II
dottrinale, egli dichiara: «Lo Spirito Santo si è quasi incarnato nell’Immacolata», nel senso che vi inabita come in un tempio splendente. L’intuizione di padre Kolbe sarà ripresa dal Paolo VI, il papa che lo beatificò, il quale nell’esortazione apostolica “Marialis Cultus” indicò ai teologi come un campo da approfondire il legame tra Maria e lo Spirito Santo. Non certo per caso il movimento cattolico del Rinnovamento nello Spirito associa l’invocazione dello Spirito Santo a una robusta e tenera devozione mariana: dove passa Maria c’è sempre una rinnovata Pentecoste! Consacrandosi a Lei, si asseconda l’opera dello Spirito che desidera la santificazione di ogni credente, così che risuonano ineccepibili le parole di padre Kolbe quando, nel 1923, presentando la “Città dell’Imma-
Una statua che raffigura l’Immacolata, la Vergine a cui padre Kolbe fu particolarmente devoto. © Unclesam - Photoxpress
Anche in un campo di concentramento la speranza cristiana è capace di andare al di là della morte e della sofferenza. © Sammy - Photoxpress
colata”, dichiarò: «Tutta la nostra filosofia risiede nel renderci sempre di più simili a Maria Immacolata». Roberto Spataro spataro.rivista@ausiliatrice.net
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La Parola qui e ora
L’unico “padrone” di ogni uomo è In quel tempo i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come coglierlo in fallo nei suoi discorsi. Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». (Matteo 22,15-21).
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l programma politico, sociale, ideologico più anticristiano è quello che si prefigge di eliminare i poveri, l’idea stessa di povertà. I poveri sono l’anello di congiunzione tra Dio e gli uomini, fra storia sacra e storia umana. Fin quando ci si riconosce poveri, si è ancora in
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L’accumulo di denaro aumenta la disparità fra ricchi e poveri e le distanze tra quanti sperano in un lavoro per sostenere la famiglia e quanti incuranti sprecano e consumano. © unpict - Photoxpress
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grado di capire la differenza fra il proprio stato, le proprie risorse o proprie capacità, e il resto del mondo. Quando si decide che si è diventati “ricchi”, si rischia anche di diventare ciechi e sordi: quanto abbiamo conquistato, quanto “siamo”, ci basta. Non abbiamo più bisogno di nulla – in primis – non abbiamo più bisogno di Dio. Ricchi di cultura, di conoscenza e osservanza della Legge, come i farisei; ricchi di beni materiali, e la ricchezza impedisce loro di compiere il passo decisivo, come accade al giovane (Marco 10,21) che vorrebbe diventare discepolo del Signore ma che poi «se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni». La differenza fondamentale è tra povertà e miseria. La miseria è la mancanza di quanto è indispensabile al sostentamento del corpo, alla vita. Senza acqua,
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o è se stesso
senza cibo (e, nei Paesi sviluppati, senza istruzione, senza libertà di espressione) non si può vivere. Per esempio, che senso ha la scuola per un bambino che non ha da mangiare, eccetera. Ma la povertà è “necessaria” alla vita stessa: se non siamo capaci di campare in modo essenziale, rispettando i propri bisogni ma senza fare di quei bisogni un idolo, come potremo continuare a “crescere”, nel corpo come nello spirito? Che c’entrano i poveri con il tributo a Cesare del brano? La sfida dei farisei a Gesù mira a farlo cadere nel tranello della doppia fedeltà a Dio e allo Stato, al potere costituito. Ma il Signore sfugge al sofisma e dichiara che non c’è da scegliere: la “fedeltà” di ogni uomo e di ogni cittadino non è da porre in questi termini. Lo scopo del Regno di Dio – anzi, la sua stessa presenza nel mondo – non ha bisogno di essere confusa, messa in gara con i poteri terreni. “Quel che è di Cesare”
Il lavoro, quando non è finalizzato all’oppressione, alla prevaricazione dell’altro, all’arricchimento senza remore morali, è via di santificazione, è vocazione che si realizza giorno dopo giorno.
© Lisa F. Young - Photoxpress © William Casey - Photoxpress © Frédéric Prochasson - Photoxpress
I Romani uccidevano i cristiani che non si piegavano alle loro divinità. Oggi la libertà del cristiano si gioca vincendo la tentazione di adorare il dio denaro. © Clarence Alford - Photoxpress
va riconosciuto alla società, al mondo: a patto che questo tributo non oscuri ”la parte di Dio”, non faccia scomparire dalle coscienze, e nemmeno dall’ordine sociale, la presenza del Signore – o, se si vuole dirlo in altri termini – lo spazio del divino, la certezza che sopra e prima
di qualunque potere mondano c’è il “potere” di Dio che è Padre Creatore, Figlio incarnato, Spirito di vita. La povertà è il terreno di confronto, il termine di paragone. C’è, in ogni cittadino del mondo – dunque, in ogni persona – uno spazio geloso della coscienza che non è tributario di nessun potere terreno, ma appartiene profondamente al singolo individuo e a lui solo. L’unico “padrone” di ogni uomo è se stesso, non lo Stato e tanto meno gli imperativi etici che lo Stato si provi ad imporre. Per secoli i cristiani si sono lasciati massacrare dall’Impero romano proprio in nome di questa rivendicazione della libertà di coscienza. E anche oggi le uniche battaglie vere, profonde, hanno origine da questo conflitto. Essere poveri, significa voler essere liberi. Il trucco dei poteri di oggi non è diverso da quello degli imperatori romani: ci vendono l’illusione di essere ricchi, ci mostrano – o ci impongono – la teologia del benessere, ci chiedono di sacrificare al dioconsumo. Ma questo è un tributo che a Cesare non possiamo versare. Marco Bonatti marco.bonatti@lavocedelpopolo.torino.it N° 5 • SETTEMBRE-OTTOBRE 2011
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Amici di Dio
Laudato si’, mi’ Sign San Francesco d’Assisi, patrono d’Italia (1182 -1226)
D
alle immense galassie al fiorellino che nasce la mattina e muore la sera: tutto annuncia la gloria di Dio. E noi, mortali, restiamo sopraffatti dalla meraviglia. Gli stessi sentimenti che abbiamo pensando ad alcuni santi, che sentiamo ancora vivi, moderni, propositivi e incoraggianti: come San Francesco. Vissuto otto secoli fa, è ancora oggi ammirato, seguito, studiato e invocato. E anche imitato. Perché? Vedendo lui, la gente vedeva Cristo. Da una “adolescenza contro”... Francesco, nato ad Assisi nel 1182, visse la giovinezza come tanti altri giovani di sempre, alla ricerca della propria identità. Come tanti suoi coetanei di oggi, anche lui visse una “vita contro”: contro la noia di tante giornate, contro i nobili della sua città asserviti all’imperatore Federico II, poi contro gli abitanti di Perugia, suoi sostenitori. E qui il suo “io contro” ebbe un primo scacco: tornò ferito dalla spedizione e trovò suo padre infuriato, perché ne aveva pagato il riscatto. Ultimo ten-
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Noi siamo le madri di Cristo quando lo portiamo nei nostri cuori e nei nostri corpi per mezzo dell’amore e di una coscienza pura e sincera. E noi diamo Cristo alla luce per mezzo delle nostre opere sante che devono brillare davanti agli altri come esempio. San Francesco d’Assisi
Una veduta della bellissima città di Assisi, ormai indissolubilmente legata al nome di San Francesco. © giemmephoto - Photoxpress
Assisi è una città ricca di arte e religiosità, visitata ogni anno da moltissimi turisti desiderosi di respirarne l’intensa spiritualità. © Maurizio Malangone - Photoxpress
tativo del suo “io contro”: si arruolò nella cavalleria contro l’imperatore. Partì verso le Puglie, ma Dio lo aspettava a Spoleto. Gli parlò come una “voce” che lo invitava a «servire il Padrone, non il servo». Francesco cominciò a capire. Tornò ad Assisi, dove fu preso in giro dai concittadini e affrontato a muso duro dal padre, ma non cedette. Non voleva essere più contro nessuno: era arrivato il momento di Dio. Diventava un “uomo per”: per la concordia, per la povertà, per la fraternità universale, per l’amore a tutte le creature, per la Chiesa, per Dio presente in tutti. D’ora in poi, la sua vita sarà soltanto per Cristo. Scriverà un biografo: «Portava Gesù sempre nel suo cuore, Gesù sulle labbra, Gesù nelle orecchie, Gesù negli occhi, Gesù nelle mani». Dopo un viaggio a Roma, in cui né il Papa, né Dio gli parlarono chiaramente, tornò ad Assisi e nella chiesa di San Damiano sentì di nuovo la “voce”: «Va’, Fran-
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l’autorità del vescovo, restituendo al padre anche la veste che indossava.
gnore
cesco, ripara la mia chiesa». E si mise a restaurare la chiesetta, spendendo denaro. Suo padre non capiva, ma il denaro speso lo fece infuriare, accusandolo pubblicamente. Allora Francesco si mise sotto
... ad una “vita per”
San Francesco, patrono d’Italia. B. Berlinghieri, San Francesco e storie della sua vita. Firenze, Museo di Santa Croce.
Il santo riceve le stimmate. Dipinto di Barrie K. Tinkler di New Orleans.
La conversione di Francesco era seria. A prova di ogni critica: dei cosiddetti benpensanti, dei dubbiosi, degli scettici che aspettavano il suo fallimento spirituale, degli ex compagni di feste. Lui, ormai, era su un’altra lunghezza d’onda, quella di Dio e non era più contro nessuno. Anzi, riusciva ad amare tutto e tutti, nonostante tutto. E presto arrivarono i primi compagni, e saranno tanti. Ma la “conquista” più bella fu tra le ragazze. Molte lo conoscevano, una lo seguì: Chiara Scifi (1193-1253), ovvero Chiara di Assisi. Anche oggi si sente dire «Cristo sì, la Chiesa no». Francesco la pensava diversamente: amore totale a Cristo e alla Chiesa, che lui voleva “restaurare”, cioè riformare. E sarà proprio al Papa che Francesco e compagni chiederanno il permesso per predicare, promettendogli obbedienza. Insieme con i suoi “frati penitenti” cominciò a predicare, dovunque e comunque, accettando anche le umiliazioni e le bastonate: anche quelle facevano “perfetta letizia” perché ricevute nel nome di Cristo. L’impatto di Francesco, delle sue scelte radicali per Cristo e per la Chiesa furono enormi. I suoi seguaci, tantissimi: è nata una famiglia immensa, la Famiglia Francescana, viva ancora oggi. Francesco, fratello universale Francesco è il santo che ha amato tutto e tutti, Dio e le creature di Dio. Non esisteva soltanto “Fratello Sole” e “Sorella Luna”, belli e gradevoli, ma anche “Fratello Lebbroso” e perfino “Fratello Lupo”: soggetti, questi, più problematici. Diceva: «Siamo tutti ciechi e il Signore ci illumina gli occhi per mezzo delle sue creature». Giunto alla fine, fu un “altro Cristo” anche nella passione. Nel 1224, infatti, ricevette le stimmate, quasi come sigillo finale. Dopo lunga malattia e quasi cieco, morì il 3 ottobre 1226. E fu santo subito, due anni dopo: correva l’anno 1228. Mario Scudu archivio.rivista@ausiliatrice.net N° 5 • SETTEMBRE-OTTOBRE 2011
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L’intervista
Sport educativo: la parola agli atleti Q
positivi, come Marco Galiazzo e Natalia Valeeva, campioni della Federazione Italiana Tiro con l’Arco (FITARCO), una delle associazioni che hanno aderito alla campagna del CNOS Sport.
uante volte abbiamo sentito questo motto? «L’importante non è vincere, ma partecipare». Perché, in effetti, lo sport dovrebbe essere anzitutto questo: una scuola di vita, dove il cammino conta più della meta, i compagni di strada più dei premi, la correttezza più del risultato, le sconfitte più delle vittorie. E non a caso il CNOS Sport (Centro Nazionale Opere Salesiane per lo Sport) parla di “Partita educativa” in riferimento alla campagna lanciata a gennaio 2011 per unire tutte le realtà sportive italiane in una rete ispirata a lealtà e amicizia. Purtroppo le cronache quotidiane parlano spesso di atleti dopati, scommettitori d’azzardo, evasori fiscali... lontani anni luce da quei principi guida. Esempi negativi, a cui si contrappone per fortuna la maggioranza “silenziosa” dei modelli
Marco e Natalia, cosa vi suggerisce l’espressione “Partita educativa”? Marco: «Far praticare lo sport a un giovane equivale a educarlo. A mio avviso essere formati da sportivi significa vincere la partita della vita». Natalia: «L’educazione è come una partita: se la vinci, ti sarà più facile stare al mondo e relazionarti con gli altri. Penso che essere educati attraverso la pratica dello sport e dei suoi valori sia un’ottima opportunità». Cosa avete imparato dalla vostra attività sportiva? Marco: «La cosa più importante che ho imparato è il rispetto per l’avversario». Natalia: «Ho imparato a impegnarmi a fondo in ciò che faccio; ho capito infatti che, attraverso il lavoro e i sacrifici, si raggiungono i risultati sperati; tutti gli sforzi e la fatica vengono ripagati». Marco Galiazzo e Natalia Valeeva, campioni della Federazione Italiana Tiro con l’Arco (FITARCO). © FITARCO - g.c. salesianiperlosport.org
Marco Galiazzo afferma: «Nel tiro con l’arco è fondamentale il rispetto per l’avversario, ma il risultato è determinato da se stessi». © FITARCO - g.c. salesianiperlosport.org
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Chi sono stati i vostri punti di riferimento educativo lungo il percorso sportivo? Marco: «Sicuramente mio padre, che si è appassionato al tiro con l’arco insieme a me, fino a diventare il mio allenatore personale». Natalia: «I miei primi tecnici di tiro con l’arco. A volte utilizzavano metodi di allenamento un po’ rudi, che erano la norma nell’ex Unione Sovietica, il Paese dove sono cresciuta come atleta, ma mi sono serviti molto». Intervista a cura di FITARCO Introduzione a cura di Lara Reale redazione.rivista@ausiliatrice.net
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Le ricette di Mamma Margherita
Bagna càuda U
na lettrice, pensando alle guerre del Risorgimento e alle due mondiali, si chiede se era necessario seminare migliaia di morti sui campi di battaglia per costruire lo Stato italiano. Vorrebbe sapere anche che cosa pensava in proposito Don Bosco, vissuto proprio negli anni in cui si costruiva l’unità. Le guerre, purtroppo, sono sempre decise a tavolino dai politici e pagate dal popolo con lutti, povertà e distruzione. Ma era giusto lottare per l’unità e l’indipendenza d’Italia: la patria rappresenta il passato e il futuro, la storia, la religione e la cultura, insomma quanto ci accomuna e ci rappresenta. Don Bosco credeva nella politica del Padre Nostro, nella costruzione terrena del Regno di Dio, fatto di giustizia, amore e pace. Con questi princìpi formava cittadini rispettosi delle leggi, calati nella realtà del proprio tempo, attenti ai valori della fede, della famiglia, della patria, del lavoro. Deluso dalle ascese e dai rapidi crolli degli imperi terreni, Don Bosco non si stancava di proporre ai giovani la santità come unico progetto di vita. A Pio IX, che si lamentava con lui per la fine del potere temporale, il Santo consigliò di rimanere saldo al proprio posto di capo della Cristianità, lasciando che la storia facesse il suo corso. Per lui e per i suoi ragazzi la fedeltà al Papa, come la pratica eucaristica e la devozione mariana, avrebbe continuato ad essere un caposaldo della religione.
Aglio, acciughe e olio sono gli ingredienti fondamentali per una buona bagna càuda. © flickr
E se fosse stata ancora viva, non si sarebbe scomposta nemmeno Mamma Margherita. Avrebbe continuato a cucinare i poveri piatti contadini dei colli astigiani, capaci di creare comunità. Come l’intramontabile Bagna Càuda. Eccone la ricetta. Tritare finemente 200 g di aglio, disporlo in un tegame di terracotta, coprirlo di olio (½ litro circa), portare a bollore a fuoco dolce, rimestando. Sobbollire fino a che l’aglio diventerà roseo, aggiungere 200 g di acciughe, dissalate, diliscate e lavate nell’aceto, che dovranno disfarsi,
e 1 dl di panna. Cuocere ancora per qualche minuto e servire in recipienti individuali di terracotta, sugli appositi “lumini” accesi. Nella salsa si intingono verdure invernali crude, come cardi, sedani, topinambours. Anna Maria Musso Freni redazione.rivista@ausiliatrice.net N° 5 • SETTEMBRE-OTTOBRE 2011
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Il Papa ci parla
Pellegrino della fede. Nell’ o M
«
olto volentieri ho accolto l’invito... a compiere un pellegrinaggio a questo Sacrario, caro agli italiani». Il 27 marzo scorso il Papa era al Sacrario delle Fosse Ardeatine: uno dei tanti “luoghi dell’orrore” disseminati su quel pianeta che Dante ha definito l’«aiuola che ci fa tanto feroci». Ha ricordato il Papa: «Ciò che qui è avvenuto il 24 marzo 1944 è offesa gravissima a Dio, perché è la violenza deliberata dell’uomo sull’uomo. È l’effetto più esecrabile della guerra, di ogni guerra, mentre Dio è vita, pace, comunione». L’episodio è tristemente noto Il 23 marzo 1944 un gruppo di partigiani fece esplodere in via Rasella una bomba nascosta in un carrettino della spazzatura, uccidendo 33 militari tedeschi delle SS. Per rappresaglia Hitler ordinò subito di radere al suolo l’intero quartiere, poi si accontentò dell’uccisione di dieci italiani per ogni tedesco caduto nell’imboscata. L’esecuzione fu affidata al colonnello Herbert Kappler, ed eseguita dal
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Nel marzo scorso Benedetto XVI ha visitato le Fosse Ardeatine. Papa e tedesco, dall’efferata strage compiuta nel 1944 dai suoi connazionali delle SS ha ricavato un messaggio di speranza. Per la civiltà per l’amore.
capitano Erich Priebke. La maggior parte delle 335 vittime fu prelevata dal carcere Regina Coeli e dalla prigione tedesca di via Tasso. Erano uomini legati alla resistenza, partigiani, antifascisti, 76 ebrei, e un sacerdote. Furono trasportati alle antiche cave di pozzolana della via Ardeatina, e giustiziati con un colpo alla nuca. Quindi vennero fatte esplodere varie mine per cancellare gli ingressi alle gallerie, e occultare la strage. Il messaggio Sul luogo, poco dopo la fine della guerra è stato eretto un monumento, oggetto di ininterrotte visite. Anche Paolo VI e Giovanni Paolo II vi si erano recati in mesto pellegrinaggio, ora Benedetto XVI. Papa Ratzinger nella sua breve ma densa allocuzione ha denunciato «le voragini aperte dagli uomini quando, spinti dalla cieca violenza, rinnegano la propria dignità di figli di Dio e fratelli tra loro». E da quegli abissi ha tratto un messaggio di speranza, richiamando due testimonianze giunte a noi da quel tragico
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avvenimento. Due atti di fede: «Credo in Dio e nell’Italia», e «Dio, mio grande Padre».
l’uomo è figlio di quel Padre che è nei cieli, è fratello di tutti in umanità. Ma questo essere figlio e fratello non è scontato. Lo dimostrano purtroppo anche le Fosse Ardeatine. Bisogna volerlo, bisogna dire sì al bene e no al male. Bisogna credere nel Dio dell’amore e della vita. E rigettare ogni altra falsa immagine divina, che tradisce il suo santo Nome e tradisce di conseguenza l’uomo, fatto a sua immagine».
Credo in Dio e nell’Italia
Prendersi per mano
Il primo messaggio era in un graffito trovato inciso sul muro di una prigione di via Tasso. Dice: «Credo in Dio e nell’Italia / credo nella risurrezione / dei martiri e degli eroi / credo nella rinascita / della patria e nella / libertà del popolo». «Queste parole – ha commentato il Papa – sono il testamento di una persona ignota che in quella cella fu imprigionata. E dimostrano che lo spirito umano rimane libero anche nelle condizioni più dure. “Credo in Dio e nell’Italia”: questa espressione afferma il primato della fede, dalla quale attingere la fiducia e la speranza per l’Italia e per il suo futuro».
La visita del Papa alle Fosse Ardeatine non è stata una delle tante, e suggerisce riflessioni per la vita. L’ideologia nazista e la logica assurda della guerra conducono a perdere il senso dell’umano, alla crudeltà spietata. E ogni violenza richiama altra violenza, in una spirale inarrestabile. «Il sonno della ragione genera mostri», sosteneva Francisco Goya. Ma il Papa ha ricordato che dalla fede vigilante può nascere la civiltà dell’amore. Perciò ha concluso così la sua densa allocuzione. «In
’ orrore
Qui e nella pagina a fianco: il Papa alle Fosse Ardeatine per portare un messaggio di pace e di rifiuto di ogni forma di violenza che mai può essere attribuita alla volontà di Dio. © L’Osservatore Romano - Servizio fotografico photo@ossrom.va
Dio mio grande Padre Ha proseguito il Papa: «Un’altra testimonianza mi ha colpito, e questa fu ritrovata proprio qui nelle Fosse Ardeatine. Un foglio di carta su cui un caduto aveva scritto: “Dio mio grande Padre, noi ti preghiamo affinché tu possa proteggere gli ebrei dalle barbare persecuzioni”. In quel momento così tragico, così disumano, nel cuore di quella persona c’era l’invocazione più alta: “Dio mio grande Padre”. Padre di tutti! Come sulle labbra di Gesù, morente sulla croce: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. In quel nome, Padre, c’è la garanzia sicura della speranza; la possibilità di un futuro diverso, libero dall’odio e dalla vendetta, un futuro di libertà e di fraternità, per Roma, l’Italia, l’Europa, il mondo». Quindi il Papa ha approfondito la sua riflessione. «Sì, dovunque sia, in ogni continente, a qualunque popolo appartenga,
Furono 335 le vittime dell’eccidio delle Ardeatine: antifascisti, partigiani, ebrei, un sacerdote. Portati alle antiche cave di pozzolana della via Ardeatina furono giustiziati con un colpo alla nuca. © flickr
questo luogo, doloroso memoriale del male più orrendo, la risposta più vera è quella di prendersi per mano, come fratelli, e dire: Padre nostro, noi crediamo in Te, e con la forza del tuo amore vogliamo camminare insieme, in pace, a Roma, in Italia, in Europa, nel mondo intero». Enzo Bianco bianco.rivista@ausiliatrice.net N° 5 • SETTEMBRE-OTTOBRE 2011
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Vita della Chiesa
Islam-Cristianesimo: un dialogo difficile ma p L
’Islam d’Europa marcia nella giusta direzione e il Vecchio Continente può favorire la nascita di un Islam più religioso che politico. I mutamenti in atto sul suolo europeo fanno sperare in una migliore integrazione dei musulmani nelle società dei Paesi in cui vivono da qualche decennio. Ne sono convinti i delegati delle Conferenze episcopali per le relazioni con i musulmani in Europa (CCEE) che, riuniti a Torino nei giorni scorsi, hanno fatto il punto della situazione sulla presenza dei musulmani in Europa (circa 11 milioni) e sulla paura dell’Islam nelle comunità cristiane. Un processo lento «Si tratta di un processo complesso e non privo di contraddittorietà in cui emerge la sfida, che diviene realtà, hanno sottolineato i relatori nel documento finale del secondo incontro europeo, della pro-
Don Andrea Pacini, Consultore della “Commissione per i Rapporti Religiosi con i Musulmani” e Presidente della “Commissione per l’Ecumenismo”, entrambe della Diocesi di Torino.
Alcuni momenti del convegno. Da sinistra a destra: P. Christian Troll S.J. (relatore), S.E. Mons. Lucjan Avgustini (Albania), don Andrea Pacini, dott. Martino Diez (Fondazione Internazionale Oasis);. A fianco: P. Christophe Roucou (Francia), Sig.ra Katharina Müller (Inghilterra e Galles), Mons. Duarte da Cunha. Ultima: Card. Jean Louis Tauran, Card. Jean-Pierre Ricard e don Andrea Pacini. Foto di Thierry Bonaventura
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gressiva inculturazione dell’Islam in Europa, con la conseguente manifestazione della sua dimensione più prettamente religiosa e morale che politica». Ogni iniziativa culturale e teologica che fa riferimento alla “teologia dell’inculturazione”, è seguita con particolare attenzione e interesse dai “saggi” della Chiesa perché «rafforza processi di partecipazione positiva alla vita sociale e culturale europea in un contesto pluralista aperto al dialogo interreligioso e interculturale». Per don Andrea Pacini, segretario della Commissione per l’ecumenismo e il dialogo della Conferenza episcopale piemontese, l’incontro con i delegati è stato un’occasione importante per riflettere sul processo in corso e per sottolineare che «l’Europa offre una grande opportunità perché l’Islam possa da una parte esprimere la sua identità religiosa e dall’altra avere la possibilità di entrare in dialogo con la società europea in modo da inserirsi in essa dal suo interno».
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a possibile Formazione degli imam Cambiamenti importanti vengono segnalati anche in seno alle stesse comunità islamiche con iniziative mirate a far crescere sul piano culturale e teologico gli imam delle moschee e gli insegnanti fornendo loro una preparazione più idonea a svolgere il loro ruolo religioso e spirituale nel contesto europeo. Gli esperti delle Conferenze episcopali si pronunciano a favore di una formazione adeguata degli imam, attraverso la creazione di cattedre di teologia islamica nelle università europee, e dicono «sì» all’insegnamento della religione islamica nelle scuole pubbliche. La Chiesa si augura tuttavia che tali progetti possano svolgersi secondo lo schema giuridico dei rapporti esistenti tra Stato e Chiesa. Nei confronti dell’Islam i delegati del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa esprimono una valutazione cri-
Al Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE) appartengono, quali membri, le attuali 33 Conferenze episcopali presenti in Europa, rappresentate di diritto dai loro Presidenti, gli Arcivescovi del Lussemburgo, del Principato di Monaco, di Cipro, dei Maroniti e il vescovo di Chişinău (Repubblica Moldova). Lo presiede il Cardinale Péter Erdő, Arcivescovo di Esztergom-Budapest, Primate d’Ungheria; i Vicepresidenti sono il Cardinale Josip Bozanić, Arcivescovo di Zagabria e il Cardinale Jean-Pierre Ricard, Arcivescovo di Bordeaux. Segretario generale del CCEE è mons. Duarte da Cunha. La sede del segretariato è a St. Gallen (Svizzera).
Per ulteriori informazioni: visitate l’indirizzo http://ccee.ch (naturalmente scegliete la lingua italiana). Potete anche scrivere a: Thierry Bonaventura, addetto stampa CCEE +41788 516040 thierry.bonaventura@ccee.ch
tica del termine “islamofobia”, utilizzato per interpretare le reazioni di ostilità all’Islam presenti nella società europea, preferendo utilizzare le categorie di “paura” e “ostilità”. Si conferma comunque l’impegno della Chiesa a contribuire a superare tali reazioni che conducono all’intolleranza e si sollecitano i musulmani a sviluppare rapporti positivi e trasparenti. Non è mancato alle vicende che scuotono nord Africa e Medio Oriente. Le rivoluzioni dei giovani nei Paesi arabi suscitano forte interesse nei delegati delle Conferenze episcopali. Si spera che il vento di cambiamento porti alla realizzazione di una vera libertà religiosa in quei Paesi in modo che anche gli arabi cristiani possano godere di tale libertà e non essere più oggetto di persecuzioni e discriminazioni. È anche il sogno di monsignor Maroun Lahham, palestinese e Arcivescovo di Tunisi: «la mia speranza – ha detto il prelato che ha preso parte al seminario – è che la Tunisia riesca ad avviarsi verso libere elezioni che consentano la nascita di un governo democratico in grado di promuovere un islam moderato capace di convivere con la democrazia». Filippo Re redazione.rivista@ausiliatrice.net
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Sull’esempio di Don Bosco
Una realtà sempre Federazione SCS-CNOS-Salesiani per il sociale
L
a Federazione SCS-CNOS (Servizi Civili e Sociali - Centro Nazionale Opere Salesiane) - Salesiani per il sociale, è un’associazione di enti non profit, sorta nel 1993 e promossa dai salesiani italiani, che si ispira all’esperienza umana e al sistema educativo di san Giovanni Bosco. La Federazione coordina le attività e le esperienze dei soci, promuove e avvia, direttamente o con altri enti, iniziative, attività e progetti a favore dei minori e giovani a rischio. Case famiglia e comunità residenziali per italiani e stranieri, centri diurni di aggregazione e comunità per la prevenzione e il recupero dalle dipendenze, sono le strutture e i luoghi che accolgono, curano e soprattutto accompagnano i giovani anche nella loro educazione. Sono migliaia, infatti, i ragazzi che versano in condizioni di disagio ed emarginazione sociale e che sono accolti ogni giorno su tutto il territorio nazionale. Per loro, la Federazione crea percorsi educativi e formativi, migliorandone le
In oratorio, giovani ed educatori insieme, per vivere un cammino di crescita umana e spirituale. © Aps Sacro Cuore e Oratorio Sacro Cuore di Foggia
L’attenzione ai piccoli, ai casi che possono apparire più difficili è la sfida quotidiana che Don Bosco invitava ad affrontare sempre con grande fiducia nella Provvidenza. federazionescs.org
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condizioni di vita. I centri giovanili e le strutture di accoglienza sorgono nei quartieri difficili delle grandi città: angoli di colore nel grigiore metropolitano, danno speranza, educano, lottano contro solitudini, restituiscono il sorriso. Accoglienza e rieducazione, sostegno di tossicodipendenti e affetti da Hiv, interventi socio-educativi e preventivi e a favore di adolescenti a rischio di marginalità, sono infatti le attività svolte ogni giorno all’interno delle strutture e dal centro. Perché dare di più a chi ha avuto meno è la missione della Federazione. Ma la Federazione è tanto ancora. È, infatti, l’ente che coordina il Servizio Civile nazionale. Il Servizio Civile, istituito nel 2001, concorre alla difesa della Patria con mezzi ed attività non militari, per favorire la realizzazione dei princìpi costituzionali di solidarietà sociale, promuovere la so-
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impegnata lidarietà e la cooperazione a livello nazionale e internazionale, contribuire alla formazione civica, sociale, culturale e professionale dei giovani che operano tale scelta. La Federazione è impegnata anche a diffondere la cultura dell’associazionismo, a professionalizzare e arricchire tutte le “figure” che lavorano nel e per il Terzo Settore. Per questo si è adoperata per la nascita del Forum del Terzo Settore in Italia e vi partecipa, come ad altri tavoli di cittadinanza e politica attiva. Per realizzare interventi incisivi sul territorio c’è bisogno, infatti, di educatori, volontari, operatori preparati, capaci di raccogliere le sfide poste dai problemi sociali emergenti. Per questo, la Federazione mette a disposizione di tutti il bagaglio conoscitivo ed esperienziale salesiano, organizzando corsi di formazione, seminari di lavoro e di studio sulle tematiche più attuali e utili per il settore del non profit. Ogni giorno negli uffici centrali, a Roma in via Marsala 42, un team segue i
Il progetto “L’altra città”, promosso dalla Federazione SCS - Salesiani per il sociale, finanziato con i fondi della legge 383/00, fondi nazionali per le associazioni di promozione sociale, nasce con l’obiettivo di creare un modello sperimentale per rendere i nostri centri urbani più a misura di ragazzi e giovani. federazionescs.org
Anche l’integrazione dei giovani stranieri è una sfida fondamentale nelle nostre città. Bambini immigrati o figli di immigrati possono diventare risorse preziose per la società e per i coetanei se adeguatamente seguiti e accompagnati negli oratori e nelle comunità. © Kablonk Micro - Photoxpress
progetti implementati nelle sedi degli enti, coordina le attività previste all’interno dei programmi, si occupa della promozione e dello sviluppo del Servizio Civile, della comunicazione e altro ancora. Le attività giornaliere vanno dalla presentazione di nuovi progetti all’adesione a bandi per il loro finanziamento, dall’organizzazione di seminari finali per la chiusura dei lavori alla stesura di pubblicazioni dei quaderni operativi relativi ai progetti, sino alla ricerca di sponsor e donatori che sostengano la causa della Federazione e le attività dei soci. Le informazioni sull’organizzazione sono reperibili sul sito www.federazionescs.org o scrivendo a: comunicazione@federazionescs.org. Domenico Ricca domenico.ricca@salesianipiemonte.it N° 5 • SETTEMBRE-OTTOBRE 2011
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Mari e fiumi nella Bibbia
Il mar Morto I
l mar Morto, in ebraico “mare del sale”, è in realtà un lago situato tra Israele (e parte della Cisgiordania occupata nel 1967) e la Giordania, con il bacino nella più bassa depressione della Terra: 408 metri sotto il livello del mare. Il marelago è lungo circa 75 km e largo circa 14, con profondità massima di 400 m e superficie di circa 1.000 km quadrati. Le dimensioni, però, si riducono progressivamente perché l’acqua del fiume Giordano e di altri torrenti, sempre più usata per l’agricoltura, non compensa l’elevata evaporazione: anche 25 millimetri il giorno, d’estate. Il livello dell’acqua si abbassa, inoltre, perché, soprattutto nella zona sud del mare, industrie di entrambi i Paesi estraggono cloruri, bromo, magnesio e altri sali, poi usati come fertilizzanti e nella cosmesi. Questi fattori e l’assenza di emissari rendono la salinità dieci volte superiore a quella degli oceani e impedisce la presenza di pesci e di vita. Già in epoca romana l’acqua del mar Morto era famosa per le proprietà curative (in particolare, psoriasi, allergie, infezioni respiratorie). Poiché l’eccessiva salinità consente a tutti di stare a galla senza nuotare, molti turisti oggi si fanno fotografare mentre leggono il giornale galleggiando. Per mantenere costante e anzi, aumentare un poco il livello del mar Morto, sono allo studio varie ipotesi.
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Una fotografia ai raggi infrarossi scattata da un satellite mostra il territorio intorno al Mar Morto: le piantagioni appaiono come chiazze rosse in mezzo a valli e colline brulle e riarse, quasi completamente prive di boschi sin dai tempi della Bibbia.
Una abbastanza accreditata prevede un condotto per incanalare acqua marina ad Aqaba, sul mar Rosso, e di qui portarla prima a un impianto di desalinizzazione (per ottenere acqua potabile per villaggi israeliani e giordani), poi a una centrale elettrica (l’energia sarebbe ottenuta sfruttando il “salto” della depressione) e infine immettere l’acqua nel mar Morto. Oggi, le sponde israeliana e giordana offrono molti richiami turistici: per il paesaggio unico al mondo, per gli alberghi con centri termali e curativi, per i siti archeologici. Tra questi, il più noto è Qumran, non lontano dalla sponda nordoccidentale. Qui, all’epoca di Gesù, viveva la comunità degli Esseni, che nelle vicine grotte, dentro decine di giare, hanno nascosto molti manoscritti, soprattutto dell’Antico Testamento, ritrovati casualmente una sessantina d’anni fa. Nella Bibbia il mar Morto è citato con questo nome nove volte, ma è presente anche come mare Salato (Gen 14,3), mare dell’Araba (Gs 3,16) o mare Orientale (Ez 47,18). Le sue sponde facevano da confine ad alcune tribù di Israele (Dt 3,17; Gs 15,2-5; Gs 18,19) e ad altri popoli. A questo mare fa riferimento anche il racconto di Lot e della distruzione di Sodoma e Gomorra (Gen 19,23-29; Dt 29,22). Lorenzo Bortolin bortolin.rivista@ausiliatrice.net
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Il poster
Conosci le vie Tutti gli uomini hanno accesso a Dio, ma ciascuno ha un accesso diverso... L’universalità di Dio consiste nella molteplicità infinita dei sentieri che conducono a lui, ciascuno dei quali è riservato ad un uomo... Che Dio è mai, esclamò il rabbi, quello che può essere servito su un unico cammino? Ma dato che ogni uomo può, a partire da dove si trova e dalla propria essenza, giungere a Dio, anche il genere umano in quanto tale può, progredendo su tutti i cammini, giungere fino a lui. Martin Buber
La Bibbia parla non soltanto di ricerca di Dio da parte dell’uomo, ma anche di ricerca dell’uomo da parte di Dio. Questo è il misterioso paradosso della fede biblica: Dio insegue l’uomo. È come se Dio non volesse rimanere solo e avesse scelto l’uomo per servirlo. J. Heschel
È
un invito che arriva dal Medio Evo, ma non per questo è meno valido o attuale. Lo fa a ciascuno di noi santa Ildegarda di Bingen (1098-1179), grande donna oltre che grande mistica, passata alla storia come la “prophetissa teutonica”. Ed è anche il titolo della sua opera: “Scivias lucis”, “Conosci le vie della luce”. È l’invito accorato di questa monaca ad ascoltare per conoscere, a scrutare per interpretare, a discernere per comprendere le vie di Dio, attraverso le quali Lui ci viene incontro: i sentieri difficili, i percorsi rettilinei o contorti, fatti da circostanze belle o brutte, nella salute o nella malattia, quando c’è il cielo azzurro o infuria la tempesta esistenziale, attraverso le quali ci vuole condurre alla mèta, che è Lui stesso, per l’eternità. Sono molteplici e talvolta apparentemente semplici o persino insignificanti le vie attraverso le quali Dio ci viene incontro per fare amicizia, per stare con noi e per camminare insieme a noi. Per darci un po’ della sua Luce infinita e rischiarare così le nostre tenebre, che ci bloccano nella paura e nella immobilità. Se non viviamo perennemente nella fretta e nella distrazione, conosceremo queste vie. E Dio ci parlerà, anche se il come e il quando lo deciderà soltanto lui. Ildegarda parla di Dio come Luce Divina, che ci illumina per condurci alla salvezza, per parlarci e mostrarci le sue molteplici vie nel Creato, nell’incarnazione di Cristo, “il sole che non tramonta”, e nell’opera dello Spirito che pervade con il suo amore non soltanto la Chiesa ma l’universo intero. Per lo studioso A. J. Heschel, molte teorie religiose
cominciano definendo la situazione religiosa come una ricerca di Dio da parte dell’uomo e affermano l’assioma che Dio è silenzioso, nascosto o indifferente. Oggi questo pensiero della lontananza o assenza di Dio dal mondo o del suo silenzio ritorna spesso, quasi per giustificare l’indifferenza stessa dell’uomo moderno e post-moderno verso il problema religioso. Per lo studioso ebreo è proprio il contrario. Da qui, il titolo del suo volume “Dio alla ricerca dell’uomo”. È una grande e consolante verità: Dio è molto più alla ricerca di noi, che noi uomini di Dio. Perché se siamo, come siamo, sue creature, tenute in vita dal suo amore quotidiano e onnipresente, non può non avere “interesse” per noi, per la nostra felicità e salvezza. È quello che fa Dio nel suo eterno amore: ci viene incontro per tante vie. Quasi che non avesse altro da fare che mettersi alla ricerca dei suoi figli che si perdono. Il pensiero di un Dio “interessato” a noi, sino cercarci in mille modi e in mille vie, così consolante e così incoraggiante, è presente già nell’Antico Testamento e lo è con accenti più forti e impressionanti nel Nuovo Testamento. Pensiamo alla parabola della pecorella smarrita, con quel Pastore, immagine di Dio Padre, alla ricerca di chi è perduto, cioè ciascuno di noi. Dio non soltanto ci viene incontro, ma ci cerca, con amore e con passione. Perché tutto è suo, e Dio non vuole perdere niente. Tutto appartiene a Lui, e per questo ama tutto e tutti. Dovunque è Lui, e quindi è “trovabile” da tutti. Anche se per il cristiano, la via maestra per arrivare a Dio, la via speciale dove Lui ci viene incontro per dimostrarci il suo amore è proprio suo Figlio Gesù, che è per noi la vera, sicura, infallibile Via al Padre. Mario Scudu archivio.rivista@ausiliatrice.net N° 5 • SETTEMBRE-OTTOBRE 2011
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Beato l’uomo che trova in te il suo rifugio e ha le tue vie nel suo cuore. (Sal 84,6) Foto HAPE
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RIVISTA MARIA AUSILIATRICE - N. 5 - 2011
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Ti saluto Maria Qual canto d’usignolo che in cuore spera, bolla iridescente in specchio d’acqua è il mio saluto Maria. Le mani giunte sui grani del rosario le pene a confidarti, con la prece del Figlio il cuore schiude. Ti saluto Maria. Nel silenzio d’attesa, alla tua soglia col desio nel silente orante, col sorriso che gioia dal tuo cuore attinge, ti saluto Maria alba di nuovo giorno per cielo ardente desiderio accendi. Maria Caterina Scandàle
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Tu venivi verso di me Signore, dove ti troverò? Alto e nascosto nel tuo luogo? E dove non ti troverò? Il mondo è pieno della tua gloria. Io ho cercato la tua vicinanza: con tutto il mio cuore ti ho chiamato e mentre uscivo per incontrarti ti ho trovato che venivi verso di me. Proprio quando, nella meraviglia della tua potenza, in santità io ti ho contemplato, chi dirà di non averti visto? Ecco i cieli e le loro schiere dichiarano il timore che hanno di te, sebbene la loro voce non venga udita. Yehudah Halevi
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io Dio, io ti adoro in tutte le tue creature, ti adoro, vero ed unico sostegno di tutto il mondo. Senza di te nulla esisterebbe e nulla sussiste che in te. Ti amo, mio Dio, e lodo la tua maestà che appare sotto l’esteriorità di tutte le creature. Tutto ciò che vedo, o mio Dio, a nulla serve che ad esprimere la tua bellezza, segreta ed ignota agli occhi dell’uomo. Tu sei al fondo di tutto e ti manifesti sotto ogni cosa in qualcuna delle tue perfezioni. Jean-Jacques Olier
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Le monete ai tempi di Gesù
Talento e quadrante Talento
L
a parola talento deriva dal termine greco “talaton”, che in origine indicava la bilancia a due piatti (su uno si metteva il materiale da pesare, sull’altro si aggiungevano pesi noti, sino ad ottenere il loro equilibrio); dopo, assunse questo nome il peso che si metteva sul piatto, poi il metallo pesato e infine la moneta. Nell’area medioorientale il peso e quindi il valore del talento variarono molto nel tempo, anche se aveva un valore elevatissimo. Nella Bibbia, il talento è citato 77 volte e poteva essere di ferro, di bronzo, d’argento e d’oro, come si legge nell’episodio di Davide e dei capifamiglia che contribuirono a costruire il tempio (1 Cr 29,4-7). In ogni caso, si trattava di una moneta di pregio: nel 1º Libro dei Re si legge che se un prigioniero scappava a chi lo custodiva, «la tua vita pagherà per la sua, oppure dovrai sborsare un talento d’argento» (1Re 20,39). Secondo alcuni studiosi, durante la Guerra del Peloponneso, il talento corrispondeva alla quantità di argento necessaria per pagare l’equipaggio di una trireme per un mese. Il talento romano, a sua volta, era soprattutto un’unità di peso: era formato da centro libbre, pari a circa 32,7 kg. Come misura monetaria, era d’oro e di valore tale da essere usata soltanto come unità di conto: infatti, era pari a 60 mine, oppure a 6000 denari o dracme, e pesava circa 26,16 kg. Secondo alcuni, il valore corrispondeva a seimila giornate di lavoro di un operaio, qualcosa come vent’anni di lavoro. Con il tempo, scomparsa la moneta e prendendo spunto dalla parabola evangelica detta appunto dei talenti (Mt 25), il termine passò ad indicare le capacità e i pregi di una persona.
Due quadranti: monete romane in bronzo di scarso valore. Le folle ascoltano Gesù che con la parabola dei talenti invita ciascuno a far fruttare le proprie risorse, anche se poche, per il Regno dei cieli.
leva un quarto di un’asse e quindi, tre once. Circolava già ai tempi della Repubblica e dapprima recava impresso sul diritto tre globuli (per ricordare, appunto, le tre once), poi chicchi di grano, cinghiali, mani e in seguito la testa di Ercole, mentre al rovescio era raffigurata la prua di una galea. Nel 90 a.C., con l’adozione del sistema semionciale, il quadrante era la moneta di minore valore. Tale restò con la riforma di Augusto, quando il quadrante rappresentava soltanto un sedicesimo di oncia. Continuò a essere coniato sino ad Antonino Pio, imperatore dal 138 al 161 d.C., cambiando spesso rapporto, diametro (1718 mm) e peso (da 2,5 a 1,7 grammi). Tutte queste variazioni non devono stupire: come molti lettori ricordano, nei decenni precedenti l’euro, la “vecchia” lira cambiò varie volte dimensioni e valore. Lorenzo Bortolin bortolin.rivista@ausiliatrice.net
Quadrante L’originale nome latino “quadrans” indica che questa moneta romana di bronzo vaN° 5 • SETTEMBRE-OTTOBRE 2011
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All’ombra del santuario
Le statue di San Tarcisio e Sa n U
na visita alla cappella delle Reliquie, nel cuore della basilica di Maria Ausiliatrice, è un’esperienza di Chiesa, e non soltanto di devota curiosità. Accanto alle reliquie dei Santi, infatti, i curatori del primo allestimento hanno collocato due statue che sottolineano l’eroicità di due giovani martiri: San Tarcisio e Santa Cecilia. Il primo, ancora ragazzo, portava l’Eucaristia a cristiani imprigionati durante la persecuzione di Aureliano; quando fu scoperto, per non farla cadere nelle mani degli assalitori, protesse il tesoro a costo della vita. Nella cappella delle Reliquie, sotto la mensa del primo altare di sinistra, fu posta una copia della celebre statua, conservata al parigino Museo d’Orsay, opera dello scultore francese Alexandre Falguière: raffigura Tarcisio che, nonostante le
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L’opera dedicata al giovane san Tarcisio, ancora oggi esempio e richiamo a riconoscere l’immensità del dono eucaristico. Foto Mario Notario
violenze, continua a stringere al petto il Sacramento. Di Santa Cecilia, invece, è riprodotta la celebre scultura di Stefano Maderno, che la raffigura vestita con una lunga tunica e con il capo ricoperto da un velo. La giovane è riversa a terra con la testa mozzata, ma ancora unita al corpo, con le braccia quasi aderenti al corpo e non legate, e con le dita di entrambe le mani che segnano uno e tre, quasi a confermare, con quel gesto, la sua fede in Dio uno e trino, nel Signore per il quale ha versato il suo sangue. Agli appassionati d’arte, e non solo, ricordiamo che il pittore e scultore francese Jean-Alexandre-Joseph Falguière nacque a Tolosa nel 1831 e morì a Parigi nel 1900. Si formò alla scuola dello scultore François Jouffroy, con il quale nel
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a nta Cecilia 1859 si classificò primo al Prix de Rome. Ottenne una borsa di studio a Roma, a Villa Medici sul Pincio. Nel 1882 fu nominato professore alla Scuola di Belle Arti di Parigi. Stefano Maderno, invece, è stato uno degli scultori più apprezzati nella Roma papale tra la fine del Cinquecento e i primi anni del secolo successivo. Nato nel 1570 a Capolago, nel Canton Ticino, si formò giovanissimo a Roma sotto la guida dello scultore Niccolò d’Arras (attivo tra il 1578 e il 1599). Nel 1600, su incarico del cardinale Paolo Emilio Sfondrati, per l’altare maggiore della chiesa di Santa Cecilia in Trastevere realizzò la sua opera più celebre: la figura, in marmo bianco, della Santa martire Cecilia che, secondo la tradizione, riproduce la posizione del corpo incorrotto della Santa così come fu trovato nel 1599 du-
Le dita di santa Cecilia indicano i numeri uno e tre, simbolo di quell’amore trinitario capace di dare significato anche al sacrificio della propria vita. Foto Mario Notario
rante gli scavi di restauro della chiesa dedicata, corpo ancor oggi custodito nella cripta. La statua anticipa nell’impostazione futuri sviluppi della scultura barocca. In seguito, il Maderno lavorò per la Cappella Paolina nella Basilica di Santa Maria Maggiore. Nel 1610 divenne accademico dell’Accademia di San Luca, sodalizio che raccoglieva tutti gli artisti residenti a Roma. La sua vita fu laboriosa, con importanti sculture di grande e piccolo formato. È famoso anche per bronzetti di piccolo formato, che formavano la gioia dei collezionisti, e sempre suoi sono alcuni piccoli lavori in terracotta, conservati a Venezia, nel Museo della Ca’ d’Oro. Morì a Roma nel 1636. Tornando alle statue dei due martiri, ancora una volta nell’iconografia d’ambito salesiano ritorna il tema caro a Don Bosco e tutti i suoi: gli eroici Tarcisio e Cecilia non erano adulti, ma giovani e, nonostante l’età, erano così consapevoli del bene della fede che professavano, da essere disposti a dare la vita per conservarlo. Natale Maffioli maffioli.rivista@ausiliatrice.net
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Vite allo specchio
La vita dopo le sbarre S
ono libero! E adesso cosa faccio? Sembra un controsenso, invece no: è la domanda che assilla chi ha scontato la galera ed è “fuori”, ma non sa più dare un significato alla sua libertà. Stando ai dati ufficiali, i 208 istituti penitenziari italiani ospitano 67.174 detenuti – contro una capacità ricettiva ufficiale di 45.551 posti –. Gli stranieri sono un terzo (Ministero della Giustizia, aggiornamento al 31 maggio 2011). Bastano questi dati a fare intuire oceani di problemi, a cominciare dal sovraffollamento. Questioni all’esame di numerosi tavoli di confronto e convegni organizzati di recente in Piemonte, con il decisivo contributo di don Domenico Ricca, cappellano dell’istituto penale minorile Ferrante Aporti di Torino. Su tutte, spicca la difficoltà di chiudere con il passato. Molti si trovano dietro le sbarre da diversi anni e quando escono inizia una nuova tragedia: non sanno dove andare, non hanno i soldi per il pullman, tanto meno per mangiare. Sono soli, e il ritorno alla delinquenza diventa un passo quasi auto-
matico. Quasi. «Non c’è mai un detto che valga per tutti i carcerati, come: “Sono tutti irrecuperabili”. Al loro interno le carceri sono dei “microcosmi” o “spaccati” della vita della società esterna, cioè con presenza, per esempio, di persone con ampie possibilità di denaro e di altre, invece, senza fondi. C’è chi alle spalle ha
Lunghi corridoi cupi e sbarre isolano i detenuti da un mondo dove, scontata la pena, è sempre più difficile reinserirsi. Un mondo che poco conosce la realtà del carcere e l’importanza di sostenere chi come i cappellani e i volontari si adoperano per mantenere viva la speranza in un futuro diverso. © Flickr
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una famiglia, e chi non ha nessuno e così via», spiega don Piero Stavarengo, cappellano della casa circondariale Lorusso e Cutugno di Torino. Senza famiglia Chi però ha ancora una famiglia ad attenderlo e può permettersi di spendere dei soldi è la minoranza. Per quanti provengono da contesti di droga, emarginazione, immigrazione, non esiste una vita in cui reinserirsi. Una volta usciti, s’infilano di nuovo in ambienti sbagliati, perché sono gli unici che conoscono. «Il carcere oggi non può migliorare le persone – constata don Sandro Spriano, cappellano della casa circondariale di Rebibbia Nuovo Complesso –. Non bisogna meravigliarsi del forte turn over. Non c’è una
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qualifica o vocazione a fare il detenuto. Si cambia una volta dentro. In cella non c’è libertà né di movimento né di espressione». Uno degli effetti peggiori è la perdita della consapevolezza di ciò che si è fatto. Così, l’omicidio diventa una sem-
Particolarmente delicata la situazione dei minori e dei giovani che si trovano dietro le sbarre. Per loro è importante capire che non sono degli “irrecuperabili”, ma che possono ancora mettersi in gioco positivamente.
© Suzanne Tucker - Shutterstock © Klaus-Peter Adler - Photoxpress
ventarlo – partendo da un percorso di omicidio. Il sostegno spirituale è stato determinante. «Scommettendo su di loro, seguendoli, hanno iniziato a ricostruire su nuove basi l’esistenza spezzata», dice don Spriano. Una ricetta uguale per tutti non c’è. Ma, nota don Staverengo, «le carceri devono essere sempre meno “non conosciute” e sempre più aiutate anche dai singoli cittadini. In che modo? Favorendo iniziative come i beni prodotti ormai da un buon numero di carceri; con un volontariato competente, anche solo all’esterno con raccolte di vestiario, di prodotti per la pulizia e per l’igiene, etc...». Resta fondamentale il ruolo di famiglie e amici. Perché, conclude il cappellano del Lorusso e Cutugno: «Quanti sono riusciti a ricostruirsi un’esistenza buona, e per fortuna ce ne sono diversi, hanno molto sofferto e faticato, e quasi mai da soli». Luca Mazzardis redazione.rivista@ausiliatrice.net
plice disgrazia e la condanna un errore giudiziario. E la redenzione? «I problemi di coscienza, il desiderio di riscatto, sono frasi che si sentono, ma solo dopo aver ricevuto degli stimoli – spiega don Spriano –. In carcere la giustizia non è pagare il debito con la società, bensì recuperare il conflitto interiore. Sono riflessioni proposte di rado in prigione. Ma quando lo si fa, si comincia a ripensare la propria vita».
© Suzanne Tucker - Shutterstock © Andres Rodriguez - Photoxpress
Non lasciamoli soli Forse sta qui la risposta alla domanda iniziale. Di recente, a Rebibbia hanno deciso di seguire questa via, ad esempio, due giovani di 32 anni – uno libero da poco, l’altro in procinto di diN° 5 • SETTEMBRE-OTTOBRE 2011
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Wellness educativa
Ritorno a scuola, anche per i g A
rchiviate le vacanze, dopo i primi temporali di agosto, è il momento ideale – per genitori e figli – per prepararsi ad affrontare le sfide, le fatiche e le incertezze di un nuovo anno scolastico. Un impegno che non andrebbe delegato ai ragazzi ma un’opportunità che dovrebbe coinvolgere tutta la famiglia. Ne abbiamo parlato con don Ezio Risatti, preside del corso di laurea in Psicologia della comunicazione, che ha sede
nella Scuola superiore di formazione “Rebaudengo” di Torino. Che cosa risponderebbe a una coppia che le domandasse la “formula magica” per far rendere i figli a scuola? «Fornire consigli per aiutare i ragazzi ad affrontare lo studio è facile. Ma si tratta, nella maggior parte dei casi, di accorgimenti che un buon papà e una buona mamma sono perfettamente in grado di darsi da sé: incoraggiare sempre; premiare i buoni risultati; castigare, con punizioni simboliche, eccessive carenze di impegno. Rimedi facilmente intuibili ma destinati il più delle volte a non raggiungere i risultati sperati».
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In che senso?
Don Ezio Risatti, preside del corso di laurea in Psicologia della comunicazione alla scuola superiore di formazione Rebaudengo di Torino. © scold - Photoxpress Fondamentale, per don Risatti, è soprattutto la testimonianza dei genitori. Più delle parole, gli atteggiamenti e le attenzioni che riservano alle occupazioni quotidiane e lavorative. © Kurhan - Shutterstock
«L’educazione affonda le proprie radici nell’azione più che nelle parole. I figli ricevono maggior insegnamento da cosa i genitori fanno che da ciò che dicono. Sostenerli lungo l’anno scolastico significa innanzitutto aiutarli ad affrontare fatiche di cui non sono ancora in grado di comprendere l’utilità. Più che di una serie di “prediche” i ragazzi hanno bisogno di vivere a contatto con un papà e una mamma capaci di far fronte ai propri impegni con serenità, coraggio e fiducia nelle proprie capacità». L’elemento fondamentale per una buona riuscita scolastica sembrerebbe quasi dipendere dall’equilibrio della coppia... «È proprio così. Marito e moglie, se vogliono essere credibili nel proprio ruolo di educatori, non devono rinunciare a educarsi l’un l’altro, a favorire un rapporto che li aiuti a crescere, a sostenersi e a correggersi reciprocamente. In linea di massima, i genitori possono sperare di riuscire a plasmare i propri figli nella mi-
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i genitori
La SSF Rebaudengo è un Ente formativo promosso e sostenuto dall’omonima Associazione Scuola superiore di Formazione, altrimenti detta SSF Rebaudengo. A norma del suo Statuto promuove e gestisce attività accademiche, di formazione e di orientamento. Potete trovare informazioni dettagliate all’indirizzo http://www.ssfrebaudengo.it
sura in cui, prima di tutto, sono capaci di plasmare se stessi». È un “rimedio” destinato a successo sicuro? «No, purtroppo. In materia di educazione non esistono “ricette” sicure perché i ragazzi, come adulti in miniatura, sono autonomi e dotati di personalità. Per questo capita, a volte, che anche in presenza di ottimi genitori il processo educativo non attecchisca e i ragazzi prendano brutte strade». Un rischio che vale comunque la pena di affrontare... «Senza dubbio. La coppia che decida
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Nel tempo dello studio e dello svago, nelle piccole consuetudini quotidiane come l’andare a scuola, i genitori hanno l’opportunità di applicare il modello educativo di Gesù, misericordioso ed esigente, amorevole e fermo. Una sfida educativa da riaffrontare con impegno ed entusiamo ad ogni nuovo anno scolastico.
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di intraprendere un cammino di crescita ottiene, nel migliore dei casi, un doppio guadagno: il proprio sviluppo e quello dei figli. Non sempre, bisogna ammetterlo, i genitori sono disposti a sottoporsi a questa fatica e preferiscono, piuttosto, affrontare sacrifici economici per “inondare” i piccoli di cose che il più delle volte si rivelano non necessarie». A quale modello ideale può ispirarsi la coppia nel proprio percorso educativo? «Alla scuola del Signore. Dio è un Padre che educa, attento alla crescita di tutti noi, suoi figli. Avvicinarsi a Lui significa comprendere meglio le dinamiche pedagogiche volte al bene esclusivo dell’altro. Secondo le teorie pedagogiche più in voga il genitore ideale dovrebbe essere fermo ma non duro, dolce ma non debole: stati d’animo che solo chi ha la possibilità di sperimentare su di sé può interiorizzare e trasmettere ai propri figli. E, in questo senso, l’anno scolastico che sta per cominciare può trasformarsi in imperdibile opportunità di crescita per genitori e figli». Carlo Tagliani redazione.rivista@ausiliatrice.net N° 5 • SETTEMBRE-OTTOBRE 2011
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Esperienze
La testimonianza di Clau N
el rumore delle nostre giornate non è raro che ci si senta abbandonati a noi stessi al sopravvenire di un dolore più forte, di una difficoltà più grande. È il senso del nostro rapporto con la fede, allora, che rischia di perdersi, come nel caso di chi venga colpito da una malattia il cui decorso, per quanto la ricerca e le cure registrino ogni giorno progressi fino a ieri insperati, è gia noto. Non è raro, in questo caso, che si invochi, per clemenza propria o altrui, la fine. Ma la fine, che fine sarebbe? Nel seno di questo dubbio trovano humus i semi di una speranza che diventa testimonianza e germoglia. «A me fu recata, furtiva, una parola e il mio orecchio ne percepì il lieve sussurro. Negli incubi delle visioni notturne, quando il torpore grava sugli uomini, terrore mi prese e spavento, che tutte le ossa mi fece tremare; un vento mi passò sulla faccia, sulla pelle mi si drizzarono i peli» (Gb 4,13-16). Tra sapienza antica e scienza moderna, la testimonianza di Claudia, stravolge il significato delle parole che diamo spesso per scontato, attribuendo nuovo va-
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Claudia Sini ha curato per la Rivista la rubrica “Esperienze”. Sul numero di dicembre 2010 potete leggere “Ho imparato”, dove ha raccontato con molta chiarezza la sua fede e la sua malattia. Nata il 19-6-1975, consacrata con voti di castità, povertà e obbedienza nell’Istituto Secolare Volontarie Don Bosco (http://www.volontariedonbosco.org), ci ha lasciati il 19-6-2011.
Claudia festeggia la sua laurea con gli amici dell’oratorio.
lore alla ricerca di un sé da donare agli altri. Testimoniando che è vita non solo quanto ci illudiamo di considerare egoisticamente nostro. I tempi che viviamo ci costringono a considerare in forma liquida ogni rapporto, perdendo spesso l’aspetto materiale della testimonianza, per cui «re e governanti della terra (...) si sono costruiti mausolei». Claudia è un medico anestesista rianimatore, uno “scienziato”. Claudia è un’animatrice che, nel silenzio della propria fede, ha dedicato a Dio la propria vita e agli altri ha offerto i frutti di quella pianta germogliata ben prima che l’alluvione rendesse fertili le sponde del fiume. Prima che un linfoma di Hodgkin la costringesse ad interrompere solo materialmente quel lavoro estenuante nella corsia di un ospedale e nel profondo di un’anima che ha conosciuto il Signore. Il suo mausoleo l’ha costruito su Internet, raccontando in un blog il diario della propria malattia. Il decorso, le analisi e gli esami medici a cui era sottoposta. Una testimonianza che trasforma la sapienza in scienza e sposa la scienza alla fede. Nelle sue parole è il senso di questa prova d’amore. «L’idea di fare un blog per raccontare la mia esperienza e soprattutto quello che avevo imparato nel viverla, in modo che, magari, fosse utile per altri che vivono la mia stessa esperienza». Lo farà nelle lunghe settimane di terapia, per raccontare dei primi sintomi della malattia e dell’iter, spesso doloroso, che a un malato tocca affrontare. «Mi piacerebbe condividere quello che ho imparato con chiunque abbia voglia di leggere questo blog. Magari potrebbe essere utile a qualcuno (...) Da oggi le due storie, passata e presente, viaggeranno in parallelo». Claudia racconta ancora, con preci-
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audia sione scientifica e abilità di divulgatore, fino a quando si avvicina la necessità di “prepararsi a tutto”. «Spesso sento dire che tanti vorrebbero andarsene in fretta, senza accorgersene, senza saperlo. Ha i suoi vantaggi: ti risparmi un bel po’ di paura e probabilmente sofferenza». Ma non si smette, anche quando si scopre che le terapie non porteranno alla guarigione, di lottare. «Persino Gesù Claudia ritratta in alcuni momenti significativi della sua vita. Già durante la malattia, con la serenità sulle labbra, ci invita a vivere con intensità e fede i momenti di difficoltà e di sofferenza. In mezzo ad un gruppo di animatori e durante una festa di carnevale nei cortili dell’oratorio.
sulla croce ha gridato per il dolore e l’abbandono. Perché vogliamo negare a chi soffre, a chi si sente sprofondare, il diritto del pianto, del grido?». Alla fine, però, ci si deve preparare. Claudia lascerà tutto pronto per «una festa, un incontro tra amici». Il suo funerale sarà di canti e ringraziamento. La sua testimonianza, una testimonianza forte per la sua comunità. Per la nostra comunità. «Guarigione, vita e morte, non sono regalini, e sono l’unica cosa che è, assolutamente, per tutti. Sta a noi il come. Io credo che il costruire e ricostruire queste dimensioni in forma comunitaria non solo sia utile, ma fondamentale dal punto di vista umano. In chi poi possono e riescono a svilupparsi dimensioni di fede, sottolineate da riti positivi e di non abbandono, si raggiunge il culmine». Enrico Romanetto redazione.rivista@ausiliatrice.net N° 5 • SETTEMBRE-OTTOBRE 2011
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Don Bosco 2015
Verso il bicenten a C
i stiamo avvicinando al 2015. E con questo? A tutti coloro che non sono insensibili al carisma salesiano non sfugge il fatto che ormai sono passati quasi due secoli dal giorno della nascita di Don Bosco. Per celebrare degnamente il bicentenario è bene raccogliere un po’ di idee, elaborarle, condividerle, confrontarle, integrarle affinché questo importante appuntamento non venga vissuto come un semplice fatto di calendario, ma si trasformi in una scoperta, o riscoperta se è il caso, del nostro padre fondatore. Qua e là la macchina organizzativa si accinge a scaldare i motori. Le prime circolari cominciano a girare. Già hanno avuto luogo le prime riunioni. Molte saranno le iniziative messe in cantiere per questa circostanza. Anche la nostra rivista non può rimanere insensibile, o distratta. Ma che fare? Certamente non ci possiamo limitare a vivere la ricorrenza agganciati solo alle molte celebrazioni religiose che
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Seguiremo i principali momenti della vita di Don Bosco, accompagnandolo da Castelnuovo fino alla sua e nostra Torino. Foto Beppe Ruaro
verranno indette. Sarebbe troppo banale e riduttivo. Limitarsi a contemplare Don Bosco avvolto nell’alone luminoso della sua grande santità significherebbe toglierlo dal nostro vissuto quotidiano che spesso si dimostra impermeabile ad ogni forma di misticismo. Neppure è il caso di annegare il ricordo del nostro padre negli abissi delle profondità teologiche che ce lo renderebbero terribilmente lontano e distante. Ai pedagogisti lasciamo il compito di cogliere ed illustrare le ben che minime sfumature del sistema preventivo. Noi non vogliamo percepire Don Bosco come un qualcosa radicato nel passato, ma desideriamo sentirlo vivo accanto a noi. Davanti a lui non staremo estatici in ginocchio, piuttosto lo prenderemo sotto braccio rendendolo complice del nostro andare per le strade del mondo in compagnia dei giovani. Lui ci aiuterà a non distogliere lo sguardo dall’orizzonte della fede, e noi cercheremo di aiutarlo
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n ario della nascita a destreggiarsi nel labirinto della modernità. La scoperta della “realtà virtuale” renderà possibile il nostro ardire di confrontarci faccia a faccia con lui. A tappe, seguendo i principali momenti della sua vita lo accompagneremo nel suo venire “giù dai colli” verso la sua e la nostra Torino. Alla luce dei suoi sogni cercheremo di rivitalizzare i nostri sogni che forse si sono un po’ ingrigiti ed hanno perso smalto. Nella chiesa di san Francesco d’Assisi, all’altare dell’Angelo Custode, in compagnia di don Cafasso, condivideremo la gioia della sua prima messa e cercheremo di fare nostre le motivazioni della sua passione educativa per i giovani. Quindi punteremo sul santuario della Vergine Consolata, costeggeremo le opere messe in atto dalla marchesa Barolo e, dopo aver attraversato il “Rondò d’la furca” e gettato un’occhiata alla statua del Cafasso, approderemo a Valdocco, terra della realizzazione dei suoi Giovanni Bosco nasce a Castelnuovo d’Asti il 16 agosto 1815 da una famiglia di contadini: Francesco Bosco e Margherita Occhiena. Morì logorato dal lavoro a 72 anni, il 31 gennaio 1888. Pio XI, che lo aveva conosciuto, lo beatificò nel 1929 e lo canonizzò il giorno di Pasqua del 1934.
Foto Archivio RMA
sogni e punto di partenza delle nostre speranze. Visiteremo la cappella Pinardi, entreremo nella “sua” Basilica e ci soffermeremo davanti alle urne di coloro che meglio hanno realizzato, nella santità di vita, i suoi ideali educativi. Riscopriremo la centralità dei cortili nella pedagogia salesiana, i laboratori e le aule scolastiche ci richiameranno alla nostra missione di educatori aperti al mondo della cultura e del lavoro. La visita alle sue “camerette” ci costringerà a fare i conti con la sobrietà del suo modo di vivere. Tutto questo lo faremo senza l’enfasi della celebrazione di un traguardo raggiunto, ma con tutta la trepidazione della consapevolezza che deriva dall’obbligo di non essere dei semplici custodi di un sogno ormai lontano, ma dei continuatori di una missione educativa che diventa sempre più indispensabile con il passare del tempo. Al prossimo numero, quindi! Con Don Bosco. Ermete Tessore tessore.rivista@ausiliatrice.net N° 5 • SETTEMBRE-OTTOBRE 2011
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Vita del santuario
Quattro nuovi preti per D
opo anni intensi di preghiera, di studio e di volontariato quattro diaconi salesiani – un indiano, un vietnamita e due piemontesi – il 28 maggio, nella Basilica di Maria Ausiliatrice, hanno coronato il sogno di diventare sacerdoti. Li abbiamo incontrati per ripercorrere con loro i momenti salienti della loro vocazione, gli eventi che li hanno incoraggiati ad abbracciare la vita religiosa alla luce del carisma di Don Bosco, al servizio della Chiesa e dei giovani. Lo sguardo dei poveri
Yardava Kaljan Kumar viene dall’India e ha trent’anni. La vocazione, in lui, si è fatta strada osservando l’esempio del padre, uomo di stato e innamorato di Gesù. «Aiutava i poveri e li ospitava a casa nostra – ricorda – educando me e i miei fratelli all’accoglienza e all’attenzione verso tutti. Fin da piccolo ho imparato a vedere il volto di Dio nell’altro». Terminata la scuola partecipa a un campo di ricerca vocazionale e sente il desiderio di diventare prete per condividere la vita intera con i poveri. «Quando l’ho detto a mio padre – racconta – ne è stato felice ma non mi ha dato subito la sua benedizione. Per convincerlo che non si trattava di un capriccio ho digiunato per due giorni». Don Yardava è tornato in India, ad Hyderabad, per prendersi cura dei novizi e di progetti di comunicazione. Nato trentacinque anni fa a Dong nai, in Vietnam, Nguyen Kim Hoan – «Vincenzo», per gli amici – in prima media viene colpito dalle riflessioni del parroco sulla bellezza della vita sacerdotale e comincia a chiedersi se potrebbe essere la dimensione giusta per lui. Negli anni del liceo e dell’università
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I giovani salesiani appena ordinati preti. Da destra: Yardava Kaljan Kumar, Stefano Mondin, Piero Antonio Gullino, Nguyen Kim Hoan. Nguyen Kim Hoan, primo a destra, con giovani dell’oratorio. Un’omelia del suo parroco ha acceso in lui il desiderio di regalare tutta la sua vita a Dio attraverso i giovani.
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i giovani frequenta con costanza l’oratorio e viene conquistato, poco a poco, dal carisma di Don Bosco. «Ero rapito dal suo amore per gli umili e per chi vive ai margini – confida – e ho deciso di incamminarmi sulla sua strada». Don Vincenzo è stato mandato in missione in Lettonia. Condividere i talenti Nato a Vigliano Biellese trentasei anni fa, Stefano Mondin frequenta fin da piccolo la chiesa e l’oratorio. Dopo la laurea in Giurisprudenza è assalito da un dilemma: far fruttare i propri talenti al servizio del proprio benessere e dei clienti disposti a pagare le sue consulenze o metterli, gratuitamente, al servizio della Chiesa? Presa la decisione, non si volta indietro. Piero Antonio Gullino, cinquantatrè anni, è originario di Saluzzo. La sua è una vocazione adulta, nata affiancando la mamma nel suo percorso di malattia e sofferenza. «Avevo un lavoro soddisfacente, con ottime possibilità di carriera – racconta – ma dopo la morte di mia mamma le domande sul senso della vita sono diventate più urgenti». Iniziare il percorso per diventare sacerdote in età matura non lo spaventa: il Signore chiama a tutte le età, e a ogni età chiede a chi vuol seguirlo di mettersi in gioco. Una squadra vincente «È davvero una bella squadra!», commenta con soddisfazione don Luigi Testa, direttore della casa di formazione della Crocetta, che ha ospitato i nuovi sacerdoti per gli studi.
Stefano Mondin, quarto da sinistra, dopo la laurea, ha voluto mettere a disposizione i suoi talenti a servizio della Chiesa. Piero Antonio Gullino, primo in piedi da sinistra, è una vocazione adulta, nata accompagnando la mamma nel suo percorso di sofferenza.
«Auguro loro – conclude – di essere il Don Bosco di oggi, di mettersi al servizio dei giovani, soprattutto i più poveri, per dar loro risposte di fiducia, d’amore e di speranza, nella consapevolezza che la vita è bella e vale la pena viverla bene». Carlo Tagliani redazione.rivista@ausiliatrice.net N° 5 • SETTEMBRE-OTTOBRE 2011
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Amare i giovani
Giovani norma l Bisogna sentirsi poveri e liberi per trasmettere valori
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’ “universo giovani” è sempre più variegato ed indecifrabile alla maggioranza di noi. L’inquietudine degli adulti nei suoi confronti aumenta sempre di più. Genitori, educatori, psicologi, assistenti sociali, preti e suore si sentono inadeguati a contenere lo tsunami di dubbi, provocazioni, inquietudini, fallimenti e qualche successo che la gioventù riversa sulle famiglie, sulla scuola, sulla chiesa e sulla società civile. Un tempo i comportamenti giovanili erano analizzati e dibattuti da molti specialisti. Ora c’è il tentativo di giustificare l’incapacità ad educare mimetizzandolo dietro l’ambiguo concetto di “normalità”.
È tutto normale? Di fronte a una società sempre più complessa, i giovani appaiono ancora più indecifrabili ed è spesso più facile giustificare l’incapacità educativa con una presunta normalità dei nuovi contesti. © Monkey Business - Photoxpress
I disturbi della personalità diventano accettabili
Anche molti disturbi della personalità, dal 2013, saranno considerati atteggiamenti normali. Normali, per esempio, la ricerca spasmodica dell’approvazione e l’incapacità di decidere in autonomia. © Sandra Brunsch - Photoxpress
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La notizia che dal 2013 l’APA (Associazione Psichiatri Americani) eliminerà dal Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders molti disturbi di personalità sta suscitando perplessità e polemiche. Perché significa che molti atteggiamenti sinora considerati nevrotici, dal 2013 saranno etichettati come normali. Normali saranno i comportamenti diffidenti, sospettosi, tendenti ad interpretare malamente le intenzioni altrui. Normali saranno le relazioni basate sul disinteresse per gli altri. Normali gli atteggiamenti sbruffoni, le opinioni mutevoli e superficiali, l’incapacità di rapporti duraturi. Normale sarà il calarsi nei ruoli del superman e della superwoman ubriachi di
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a li? supponenza, intagliati nell’arroganza, nell’invidia, nella rabbia esistenziale e nella competizione ossessiva. Normale anche la ricerca spasmodica dell’approvazione altrui, l’incapacità di decidere autonomamente, il continuo e frustrante bisogno di rassicurazione. In realtà tutto questo non è che il maldestro prendere atto di un fallimento generazionale nel campo educativo. Percepiamo i ragazzi d’oggi troppo distanti e diversi da noi. Vediamo i loro limiti, ma siamo incapaci di gestire questi problemi. Per tutelare il torpore delle nostre coscienze, ci illudiamo che tutto sia normale. Intanto i ragazzi “normali” si trasformano in “normali” delinquenti. Il capobranco che a Grosseto ha massacrato due carabinieri, per il padre «non è cattivo, soltanto un po’ stupido». Il ventunenne che a Ro-
Don Bosco con i suoi ragazzi. Ai giovani dedicò tutto il suo impegno per renderli anzitutto consapevoli di essere figli di un Dio che ama e guarda al cuore. © Nino Musio
I ragazzi di oggi vedono gli adulti distanti da loro, incapaci di gestire dialogo e problemi. © cdrcom - Photoxpress
ma, con un pugno, ha abbattuto a morte una donna, per la madre «ha sbagliato sì, ma era stato provocato». “Perdere tempo” nell’educazione Come dice Paola Mastrocola, tutto questo forse è dovuto al fatto che siamo troppo civilizzati per educare. Ci riteniamo troppo civili, democratici, informati e connessi per permetterci il lusso di perdere tempo nell’educazione. Bisogna sentirsi poveri e liberi per poter trasmettere valori e senso della vita. Don Bosco è sceso “giù dai colli” per trasformarsi in educatore che testimonia prima di insegnare. Mescolandosi con un modo di vivere inaccettabile (all’epoca, lo sfruttamento del lavoro giovanile) ha insegnato a ritrovare il senso della vita, della fede e della dignità. Prima di catechizzare ha liberato il suo essere prete dal muro di ipocrisia, dal moralismo, dal perbenismo. Il suo sistema preventivo, che dobbiamo attualizzare in una società ampiamente scristianizzata, necessita, da parte nostra, tutta la carica di una spiritualità incentrata sulla fede, sulla ragione e sull’amore, che devono ridiventare la “normalità” dell’educazione salesiana. Ermete Tessore tessore.rivista@ausiliatrice.net N° 5 • SETTEMBRE-OTTOBRE 2011
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La pagina dell’ADMA
Lascia il peccato e deciditi per l ADMA news Per informazioni complete e aggiornate sull’ADMA nel mondo consultate il sito: www.admadonbosco.org oppure: www.donbosco-torino.it adma-on-line
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io Padre desidera salvarci e non condannarci e per questo ci manda Maria affinché ci mostri la via della salvezza. Lei, come Madre amorosa, ci raduna attorno a sé, perché col suo materno amore desidera aiutarci a liberarci dalla sporcizia del passato, a ricominciare a vivere e a vivere diversamente. Certo noi spesso bussiamo alla porta del cuore di Maria, ma in noi manca la speranza, manca la volontà di un distacco deciso dal peccato e dalle nostre piccole o grandi schiavitù. Anche tra noi molti hanno abbandonato il sacramento della confessione o non lo vivono con lo spirito autentico del pentimento e del proposito di lottare contro il male. Maria
può intercedere con efficacia per noi, può aiutarci, può rendere fecondo il nostro impegno nella misura in cui in noi c’è una forte e chiara volontà di lasciare il peccato e di deciderci per Dio e per la santità. Non mortifichiamo la grazia di Dio, non rattristiamo i Sacri Cuori di Gesù e di Maria. Rinnoviamo il nostro impegno a vivere con gioia e fedeltà l’Amore di Gesù e di Maria per ciascuno di noi. Diciamo col cuore “sì” al Padre ed incamminiamoci sulla strada della salvezza su cui Egli ci chiama per mezzo dello Spirito Santo. Don Pier Luigi Cameroni Animatore spirituale pcameroni@sdb.org
L’ADMA nel mondo Roma Consulta mondiale della Famiglia Salesiana. Dal 27 al 29 maggio presso la Casa Generalizia di Roma i rappresentanti dei vari gruppi della Famiglia Salesiana
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si sono riuniti per l’incontro annuale. Erano rappresentati 23 dei 28 gruppi che formano la Famiglia Salesiana. Sabato 28 il Rettor Maggiore ha presentato la “Carta d’Identità della Famiglia Salesiana”. Si è anche parlato del triennio di preparazione al Bicentenario della nascita di Don Bosco. Come ADMA, oltre a presentare la vita associativa dell’anno, abbiamo illustrato il senso e il programma del VI Congresso di Maria Ausiliatrice.
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r la santità Murska Sobota (Slovenia) Festa di Maria Ausiliatrice con l’accoglienza dei nuovi soci. Londra (Inghilterra) Processione di Maria Ausiliatrice presso il convento delle Suore Orsoline di Malta. Più di 200 partecipanti, 14 sacerdoti e 3 nuovi soci. Palazzolo sull’Oglio (BS) Incontro dei Gruppi ADMA di Piemonte e Lombardia. Domenica 12 giugno, presso la comunità Shalom di Palazzolo sull’Oglio (BS), si è tenuto l’incontro dei gruppi ADMA del Piemonte e della Lombardia. I ragazzi dell’ADMA Giovanile della comunità hanno portato la loro esperienza di vita e animato l’intera giornata. Notevole impatto ha avuto l’intervento della fondatrice, Sr. Rosalina Ravasio, che ha richiamato l’urgenza di ricuperare la dimensione del sacrificio e della fatica nell’opera educativa. Bogotà (Colombia) Incontro dei Gruppi ADMA Ispettoria. Sabato 4 giugno presso il Centro Teologico salesiano di Bogotà, presente l’animatore spirituale don Pier Luigi Cameroni, si è svolto l’incontro con circa 100 soci dell’ADMA in rappresentanza degli oltre 600. La Presidente ispettoriale Sig.ra Maria del Pilar Lucas e l’animatore spirituale don Luis Mur hanno presentato le attività e il cammino degli oltre 40 gruppi. Don Cameroni ha illustrato il commento al Regolamento dell’Associazione di cui è stata presentata un’edizione in lingua spagnola. Capaci (PA) Significativa partecipazione alla processione di Torino. N° 5 • SETTEMBRE-OTTOBRE 2011
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Appuntamenti mariani
Una lacrima dall’occhio d 6 settembre 1553
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ongo è un comune di circa 3.500 abitanti, in provincia di Como, posto sulla costa nord-occidentale del Lago, presso la foce del torrente Albano. Il semplice nome richiama alla nostra memoria i tragici avvenimenti per l’Italia della seconda guerra mondiale. La città
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di Dongo però è conosciuta in modo speciale per il Santuario della Madonna delle Lacrime. Il presbiterio del santuario con l’altare sopra il quale è posta l’effigie miracolosa.
Il fatto miracoloso Fin dal 1500, sul muro ad angolo che racchiude una vecchia vigna, si trova una modestissima Cappella sulla quale è dipinta ad affresco l’Immagine di Maria che sorregge il Bambino Gesù. Per il fatto di trovarsi vicino al torrente Albano è chiamata la Madonna del Fiume. In una esondazione del torrente le acque invadono ogni cosa circostante; il muro di cinta della vigna crolla, ma rimane intatta la Cappella della Madonna. Questo fatto è ritenuto quasi miracoloso dai fedeli. Il 6 settembre 1553 verso sera, l’Immagine è vista stillare una lacrima dall’occhio destro. A quella lacrima ne seguono altre, notate da alcuni passanti i quali, ricolmi di stupore, gridano subito al miracolo. La prima ad avvedersene ed a promulgare la notizia è una certa Maria de’ Matti; ella corre ad avvisare il curato don Bernardo Bonizio il quale pone un calice sotto l’immagine per raccogliere le lacrime. Il fatto prodigioso viene sottoposto a regolare esame ed a processo canonico istituito dal vescovo di Como mons. Filippo Archinti; ad esso sono chiamati i testimoni oculari che depongono con giuramento la verità delle loro dichiarazioni. La devozione alla Madonna che piange si propaga in modo straordinario. Da ogni sponda del lago i fedeli accorrono ad implorare grazie e protezione. Dal giorno della lacrimazione la Madonna del Fiume viene chiamata Madonna del Miracolo, ed in seguito Madonna delle Lacrime.
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o destro
CSDM online Consultate l’archivio on-line del Centro di documentazione. Troverete anche nuove informazioni ed approfondimenti. www.donbosco-torino.it
Ben presto, la piccola Cappella con l’Immagine della Madonna si rivela troppo angusta a contenere il concorso dei devoti, sempre più numerosi. Lo stesso anno del miracolo, la cappella viene racchiusa in una chiesa più ampia di forma semicircolare, intitolata alla Natività di Maria che, con il tempo assume le dimensioni del Santuario attuale.
L’affresco con l’Immagine di Maria che sorregge il Bambino Gesù. Il 6 settembre 1553, l’Immagine ha stillato una lacrima dall’occhio destro. A questo evento ne sono seguiti altri.
Le lacrime di una Madre
Fraternità francescana e Santuario Via Mons. E. M. Sembrini, 12 22014 Dongo (CO) Tel. 0344.81338 Fax 0344.82601 Email: dongo@fratiminori.it http://www.fratiminori.it/con tent/view/18/26/
La storia ci ricorda altri casi nei quali la Madonna piange: a Treviglio, a Lezzeno e a Dongo, quasi nel medesimo periodo di tempo. Viene quindi spontanea la domanda: perché la Madonna piange? E la risposta non può che essere una sola: perché è mamma e soffre per le sventure che colpiscono i suoi figli; per richiamarli sulla via del bene, ricordando loro che il peccato rinnova la morte del suo amato Gesù, causa del suo dolore ai piedi della Croce.
CONVENTO SANTA MARIA DELLE LACRIME
Il santuario Madonna delle Lacrime si trova a Dongo, piccolo paese sulla riva nord occidentale del Lago di Como.
Proprio in quel tempo, si stanno diffondendo in Europa dottrine contrarie alla fede cattolica, di ribellione e di odio contro il Papa di Roma. La Madonna, con le lacrime, supplica i suoi figli a rimanere fedeli al Vangelo del suo Gesù, vincendo l’odio ed ogni divisione. Numerose sono le grazie, esaminate e riconosciute dalle autorità, che la Madonna delle Lacrime ha concesso nel corso degli anni. Particolare protezione hanno sperimentato gli abitanti di Dongo durante la terribile peste che tante vittime ha causato attorno al 1630. Durante la seconda guerra mondiale il vescovo di Como, mons. Alessandro Macchi, si rivolge alla Madonna delle Lacrime: implora ed ottiene che la popolazione sia risparmiata dai massacri. Per questo la Statua di Maria, incoronata la prima volta nel 1904, viene incoronata una seconda volta il 21 ottobre 1945 dal beato cardinale Alfredo Ildefonso Schuster. Mario Morra morra.rivista@ausiliatrice.net N° 5 • SETTEMBRE-OTTOBRE 2011
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Anche la Basilica ha accolto carabinieri, bersaglieri e alpini a Torino per i raduni nazionali nel 150º dell’Unità d’Italia. Celebrazioni comunitarie e ufficiali, ma anche tanti passaggi silenziosi di militari che hanno voluto sostare all’Ausiliatrice per affidarle l’impegno del loro servizio.
© Paolo Siccardi - Sync
Foto Mario Notario
Foto Mario Notario
In basso, la lapide ricordo del “gioco della guerra” guidato dall’ex bersagliere Giuseppe Brosio nei cortili dell’oratorio di Valdocco.
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Catechesi & dintorni
Un Salmo del terzo millennio C
«
e l’abbiamo fatta! – esclama trionfante Matteo, buttandosi addosso alla mamma all’uscita dall’ultima lezione di catechismo – Abbiamo rifatto il Salmo 103!». «Rifatto un Salmo? – chiede titubante la signora – Perché? Non andava bene com’era?». «Beh, sai, era un po’ difficile... e non troppo aggiornato». Il ra-
© Barbara Helgason - Photoxpress
gazzino sguscia via, inseguendo il pallone in cortile. Tranquillizzo la mamma. La Bibbia è salva: abbiamo soltanto interpretato e commentato, a modo nostro, una delle più belle preghiere di ringraziamento. Non è facile accostare i ragazzi al linguaggio dei Salmi, ma le cose difficili fanno crescere e restano impresse. Così, dopo avere appurato che il “corruccio” di Dio non è un cappuccio e dopo aver capito quali sono i favori di Dio, abbiamo provato ad elencare motivi personali di ringraziamento e a riscrivere qualche pezzo del Salmo secondo la mentalità del nostro tempo, nell’ottica dei... verdi anni degli autori. Ecco il risultato: Benedici il Signore, anima mia non dimenticare tutti i suoi doni. Egli è pietoso verso di te e cancella i tuoi peccati come la spugna cancella il gesso sulla lavagna. Il Signore ha reso belli i nostri giorni ci ha regalato l’amicizia e l’amore per gli altri (anche se qualche amico è un po’ agitato). Non ci ha lasciati soli nella Creazione. Il Signore ci ha dato il cibo e il lavoro. Ci ha donato il gioco e il sonno. Il Signore ci ha dato la famiglia, la scuola e brave maestre. Ha fatto inventare il computer, la play station e Facebook. Il Signore abita nei Cieli, ma è sempre in mezzo a noi. Persone, animali e cose, benedite il Signore. Benedici il Signore, anima mia. Sono sicura che il buon Dio ha gradito e sorriso. Anna Maria Musso Freni redazione.rivista@ausiliatrice.net N° 5 • SETTEMBRE-OTTOBRE 2011
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Lettere a Suor Manu
Quello che c’è dentro “M
io figlio aveva un compagno di scuola venezuelano. Dico «aveva» perché ho saputo che la mamma l’ha trasferito in una scuola privata. Motivo: lo prendevano in giro per il colore leggermente differente della pelle. Alla maestra che mi riferiva questa notizia ho chiesto se non fossero state interpellate come maestre su questo gravissimo problema, ma lei mi ha risposto che le dinamiche tra i bambini non si possono determinare o cambiare, che la situazione delle maestre oggi come oggi è molto difficile. Mi sono chiesta: e se il figlio fosse stato il mio? Penso che mi sarei aspettata che le maestre educassero i bambini all’accoglienza del diverso e che questo faccia parte dei doveri principali della scuola, quanto insegnare a leggere e scrivere. Nessuna domanda. Solo un piccolo sfogo.
palloncino rosso, che salì alto nel cielo, attirando così una folla di aspiranti piccoli clienti. Slegò poi un palloncino blu, e subito dopo uno giallo e un altro bianco, che volarono sempre più in alto finché scomparvero. Il negretto continuava a fissare il palloncino nero e finalmente domandò: “Signore, se tu mandassi in aria quello nero, volerebbe in alto come gli altri?”. Il venditore rivolse al bimbo un sorriso affettuoso, poi strappò il filo che teneva legato il palloncino e, mentre saliva in alto, spiegò: “Non è il colore che conta. È quello che c’è dentro che lo fa salire”». “Quello che c’è dentro” non si insegna come la matematica, ma è un atteggiamento che si può “educare” con la parola certamente, ma soprattutto con la testimonianza e l’esempio! Manuela Robazza
Ho molte amiche che insegnano in scuole primarie e lo fanno davvero come una vocazione. Purtroppo so di altre che lo fanno puramente come mestiere in cui il prodotto probabilmente è la serie di nozioni che viene immessa nella testa dei bambini. Il verbo “insegnare”, in effetti, è molto vicino etimologicamente al verbo “imprimere”, mentre “educare” è più vicino all’idea di accompagnare, condurre. Accogliere la diversità è una competenza che va molto oltre le nozioni delle discipline scolastiche, non si tratta di una conoscenza da acquisire ma di un atteggiamento. Non si tratta di saper fare, né semplicemente di sapere, ma di “essere”. Racconta Anthony De Mello: «Un bambino dalla pelle scura stava a guardare il venditore di palloncini alla fiera del villaggio. L’uomo era evidentemente un ottimo venditore, poiché lasciò andare un
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© Jafaris Mustafa - Photoxpress
”
BRUNO FERRERO
L’ALLODOLA E LE TARTARUGHE Editrice Elledici, pagine 80, € 4,00 Nuovo titolo della serie di libri “Piccole storie per l’anima”. Anche in questo volume, tanti racconti e qualche pensiero: minuscole compresse di saggezza spirituale. Per la meditazione personale, l’uso nella catechesi e nell’animazione, la lettura in famiglia.
Mandateci le vostre foto! Avete foto in cui vi siete fatti immortalare con la Rivista? Bene: speditecele. Noi le sceglieremo e le pubblicheremo con la vostra dedica o auguri o preghiera. Inviate a: foto.rivista@ausiliatrice.net oppure al nostro indirizzo postale. Nel caso di foto con minori, entrambi i genitori devono esplicitare per iscritto il consenso alla pubblicazione ed inviarcelo.
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così “Lun per Don Bosco, Come il “Grigio” nostra rivista. per la
A Valdocco da
Napoli-Vomero.
pe del I saluti dell’équi ale Giovanile. or st Pa o di Centro Salesian
Mandateci i vostri SMS! Don Bosco è stato all’avanguardia nella comunicazione. Noi cerchiamo di imitarlo. Dal prossimo numero, oltre alla rubrica riservata alle foto che ci spedite, apriamo... agli sms! Basta inviare un messaggio, anteponendo alla vostra richiesta di preghiera la parola rivista al numero 320.2043437. Pubblicheremo gli sms più significativi e a tutti assicuriamo il ricordo in Basilica.
Ringrazio per la bellissima Rivista.
Marzio
Chiedo a tutti i lettori uno speciale ricordo per Marica in questo momento difficile.
Lucio
Che Maria Ausiliatrice protegga tutti noi! Grazie, grazie, grazie, grazie.
Chiara
Filippo
Aspetto con piacere il prossimo numero. È proprio bella!
Carlo
Antonello
Complimenti per le tante novità.
Maria Teresa
È bello rivedersi insieme sulle pagine della Rivista.
Carmela, ADMA Messina
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Settembre. Tutti in piedi don Franco Lotto La pagina del Rettore
25 Conosci le vie
Quanta vita... bella Italia! Editoriale
29 Talento e quadrante Luigi Perrelli
Il poster
a cura di Mario Scudu
Le monete ai tempi di Gesù
L. Bortolin
Una presenza che rinfranca ed impegna Marco Rossetti Leggere i Vangeli
30 Le statue di San Tarcisio e Santa Cecilia
Entrata nella casa Spiritualità mariana
32 La vita dopo le sbarre Maria Ko Ha Fong
All’ombra del Santuario
Natale Maffioli
Vite allo specchio
Luca Mazzardis
Il Cavaliere dell’Immacolata Roberto Spataro Maria nei secoli
34 Ritorno a scuola, anche per i genitori
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L’unico “padrone” di ogni uomo è se stesso Marco Bonatti La Parola qui e ora
36 La testimonianza di Claudia
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Laudato si’, mi’ Signore Amici di Dio
38 Verso il bicentenario della nascita
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Mario Scudu
Wellness educativa
Carlo Tagliani
Esperienze
Enrico Romanetto
Don Bosco 2015
Ermete Tessore
Sport educativo: la parola agli atleti CNOS Sport Il punto di vista
40 Quattro nuovi preti per i giovani
Bagna càuda Le ricette di Mamma Margherita A. M. Freni
42 Giovani normali?
Pellegrino della fede. Nell’orrore Enzo Bianco Il Papa ci parla
44 Lascia il peccato e deciditi per la santità
Islam-Cristianesimo: 20 un dialogo difficile ma possibile Vita della Chiesa
Vita del santuario
Carlo Tagliani
Amare i giovani
La pagina dell’ADMA
Ermete Tessore
Pier Luigi Cameroni
46 Una lacrima dall’occhio destro Filippo Re
Appuntamenti mariani
Mario Morra
49 Un Salmo del terzo millennio
22 Una realtà sempre impegnata Sull’esempio di Don Bosco Domenico Ricca
Catechesi & dintorni
A. M. Musso Freni
50 Quello che c’è dentro
24 Il mar Morto Mari e fiumi nella Bibbia
Lorenzo Bortolin
Lettere a Suor Manu
Manuela Robazza
ANNO XXXII BIMESTR ALE Nº 5 - 2011
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In cammino con Maria
ro pag. 22 Centonale Nazi Opere Salesiane
Al servizio dei giovani d’Italia.
vita pag. 32 Una
dopo le sbarre A colloquio coi cappellani delle carceri.
mbre pag. 34 Sette rno rito a scuola L’avventura continua anche per i genitori.
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